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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 169

Brano: Riformismo

il superamento di istituti e tradizioni feudali obsoleti, senza una più larga partecipazione dei sudditi (visti sia come produttori che consumatori), quindi senza una democratizzazione della vita pubblica e delle istituzioni, cui veniva chiesto di garantire per legge condizioni ottimali allo sviluppo della libera iniziativa privata.

Di queste esigenze si faranno interpreti in Italia i sostenitori del liberalismo (v.) e dello Stato costituzionale contro l’assolutismo, dai cattolici moderati (detti neoguelfi) Cesare Balbo (17891853), Vincenzo Gioberti (18011852) e Giuseppe Montanelli (181[...]

[...] i rapporti di produzione nelle campagne ecc.. La stessa unità d’Italia è da vedersi come il principale obiettivo perseguito dalla borghesia liberale “riformista” (con i noti limiti e, per di più, legata agli interessi degli Stati capitalistici europei più avanzati) per assicurarsi la piena disponibilità delle risorse del paese in un regime di libero mercato.

Carico di significati reali alquanto diversi e di contenuto perfino antitetico è il “riformismo” entrato a far parte del bagaglio ideologico del movimento operaio europeo negli ultimi decenni del secolo XIX e infine di quello italiano, come una particolare ideologia e linea politica nel corso delle lotte di classe. Secondo questa ideologia, il proletariato doveva migliorare le proprie condizioni di esistenza attraverso la conquista di “riforme”, ossia di limitate e graduali conquiste sociali ed economiche, senza pretendere e tanto meno imporre con la violenza radicali trasformazioni nella struttura della società capitalistica. Il riformismo operaio teorizzava quindi la conservazione dei[...]

[...]nni del secolo XIX e infine di quello italiano, come una particolare ideologia e linea politica nel corso delle lotte di classe. Secondo questa ideologia, il proletariato doveva migliorare le proprie condizioni di esistenza attraverso la conquista di “riforme”, ossia di limitate e graduali conquiste sociali ed economiche, senza pretendere e tanto meno imporre con la violenza radicali trasformazioni nella struttura della società capitalistica. Il riformismo operaio teorizzava quindi la conservazione dei rapporti di produzione in atto, lasciando immutato il principio di appropriazione capitalistica del plusvalore prodotto dalla forzalavoro, ma cercando di ottenere che, nella distribuzione di questo plusvalore, una parte dell’incremento determinato dalla crescente produttività del lavoro fosse elargita (direttamente o in forme indirette, cioè sociali) ai lavoratori stessi. Mutuando dalla cultura politica democraticoborghese il concetto di “riformismo”, veniva così

introdotta nel movimento operaio una mistificazione teorica, la quale risulta evi[...]

[...]ne dei rapporti di produzione in atto, lasciando immutato il principio di appropriazione capitalistica del plusvalore prodotto dalla forzalavoro, ma cercando di ottenere che, nella distribuzione di questo plusvalore, una parte dell’incremento determinato dalla crescente produttività del lavoro fosse elargita (direttamente o in forme indirette, cioè sociali) ai lavoratori stessi. Mutuando dalla cultura politica democraticoborghese il concetto di “riformismo”, veniva così

introdotta nel movimento operaio una mistificazione teorica, la quale risulta evidente ove si consideri che, mentre il riformismo classico borghese postulava e perfezionava il passaggio di poteri avvenuto tra due classi entrambe dominanti (cioè dal sistema feudale a quello capitalisticoborghese) senza mutare e anzi sotto vari aspetti perfezionando lo sfruttamento della forzalavoro, il “riformismo” operaio non postulava affatto un passaggio di potere, dava per scontato il dominio capitalistico e lo consolidava nella pratica consentendogli di superare le proprie crisi ricorrenti e di assorbire, ammortizzandole, le conseguenze della inevitabile lotta di classe. Il riformismo diventava così funzionale allo sviluppo del capitalismo.

La storia ha dimostrato che a propugnare il riformismo sono sempre state le élites burocratiche e parlamentari dei partiti operai e dei sindacati (in generale con il sostegno dei capitalisti più accorti e aggressivi), élites che per le loro caratteristiche strutturali e operative hanno sempre costituito obiettivamente un ceto privilegiato all’interno del movimento. I quadri dirigenti di questo ceto in buona parte provengono dalla piccola borghesia e, nel loro insieme, essi vengono di fatto cooptati dai gruppi borghesi dominanti. In quei partiti, movimenti o sindacati, dove si sono trovate a convivere forze rivoluzionarie e gruppi riformisti, nei [...]

[...]ona parte provengono dalla piccola borghesia e, nel loro insieme, essi vengono di fatto cooptati dai gruppi borghesi dominanti. In quei partiti, movimenti o sindacati, dove si sono trovate a convivere forze rivoluzionarie e gruppi riformisti, nei momenti di più acuta lotta di classe questi ultimi si sono pertanto sempre schierati su posizioni conciliatrici e rinunciatarie o sono passati apertamente al campo avverso. Corollario indispensabile del riformismo operaio è il revisionismo (v.) che mira a dare una giustificazione teorica alle pratiche riformiste.

Carlo Marx e Federico Engels presero decisamente posizione contro il riformismo, considerandolo in contrasto col socialismo scientifico e deleterio agli effetti della maturazione della coscienza di classe. L’ideologia riformista, che tra la fine del secolo XIX e i primi del XX riscosse un notevole successo tra il movimento operaio, trovò uno dei suoi maggiori sostenitori nel socialdemocratico tedesco Eduard Bernstein che, nel Congresso di Stoccarda del 1898, teorizzò una revisione a fondo del marxismo, criticandone il carattere dialettico, quindi negando la validità delle sue conclusioni rivoluzionarie e considerandolo storicamente superato. Ma nel 1904,

nel VI Congre[...]

[...]Bernstein che, nel Congresso di Stoccarda del 1898, teorizzò una revisione a fondo del marxismo, criticandone il carattere dialettico, quindi negando la validità delle sue conclusioni rivoluzionarie e considerandolo storicamente superato. Ma nel 1904,

nel VI Congresso di Amsterdam dei partiti socialdemocratici aderenti alla Seconda Internazionale (v.), la linea revisionistariformista fu giudicata come asservita agli interessi borghesi.

Dal riformismo al fascismo

Riformista fu la maggioranza del gruppo dirigente della Confederazione generale del lavoro (v.) che, in coerenza con questa linea, ai primi del 1927 decise di « autosciogliersi » affinché i lavoratori collaborassero con il regime fascista (v. Associazione nazionale studio e Problemi del lavoro).

Decisamente contro il riformismo furono invece Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci (v.) con il gruppo dell’“Ordine Nuovo” che, collegandosi alla Terza Internazionale (v.), sostennero la necessità di un'azione rivoluzionaria e della dittatura del proletariato.

In campo cattolico, un autorevole riconoscimento ufficiale del riformismo nei rapporti sociali può essere fatto risalire a Leone XIII che, con la sua enciclica Rerum Novarum (v.) del 1891, mirò a far assumere alla Chiesa funzioni di guida civile e politica nel mondo moderno, oltre che religiosa e morale. Un importante aspetto del riformismo cattolico può essere considerato il corporativismo, concezione collaborazionista e interclassista alla quale si ispirò anche il fascismo (v. Corporativismo fascista).

Visto dalla parte della borghesia liberale, il riformismo significa fondamentalmente la creazione di un libero mercato e un allargamento della base di partecipazione attiva dei cittadini alla gestione degli affari pubblici. Nel sistema democraticoparlamentare (v. Parlamentarismo) questo allargamento si realizzava attraverso il suffragio universale e il decentramento amministrativo dello Stato (regionalismo, autonomie comunali ecc.), provvedimenti che stimolano la libera iniziativa privata, favoriscono l’accumulazione a favore dei detentori dei mezzi di produzione, consolidano il sistema capitalistico.

Visto dalla parte del proletariato, il riform[...]

[...]degli affari pubblici. Nel sistema democraticoparlamentare (v. Parlamentarismo) questo allargamento si realizzava attraverso il suffragio universale e il decentramento amministrativo dello Stato (regionalismo, autonomie comunali ecc.), provvedimenti che stimolano la libera iniziativa privata, favoriscono l’accumulazione a favore dei detentori dei mezzi di produzione, consolidano il sistema capitalistico.

Visto dalla parte del proletariato, il riformismo si concretizza invece fondamentalmente nella ricerca di un aumento del salario reale, in forme sia dirette che indirette (miglioramento dei servizi sociali e tutela sindacale dei lavoratori).

Dalla contrapposizione e combinazione delle diverse componenti istituzionali ed economiche, risultanti dai rapporti di forza in atto tra ca

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 172

Brano: Riformismo socialista

Questi moti misero in contrasto i sostenitori dei tumulti con la corrente riformista del P.S.I. e il Gruppo parlamentare socialista che, schierato con i riformisti, approvò un ordine del giorno in cui si condannava il movimento popolare. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale (agosto 1914) il riformismo entrò in crisi, mettendo a nudo i limiti della propria strategia di fronte ai gravi avvenimenti in corso. I progressi economici avevano infatti determinato il sorgere di élites operaie, ma a spese di altri lavoratori, indebolendo la solidarietà di classe; la stessa fisionomia del Partito socialista era andata in parte mutando in seguito all’afflusso di nuovi strati sociali a danno della presenza operaia. La guerra provocò inoltre il naufragio della Seconda Internazionale che, praticamente dominata dai rappresentanti riformisti dei vari paesi, vide prevalere nelle proprie fila gli interessi “n[...]

[...]ne non sempre coerente col proprio passato fu assunta da alcuni riformisti rimasti in Italia. Fra questi, un gruppo di ex sindacalisti che arrivò a un compromesso con Mussolini attraverso la pubblicazione della rivista Problemi del Lavoro (v.)f o come Emilio Caldara (v.) che, trascinato in un tentativo di intesa con lo stesso Mussolini, fu duramente criticato dai socialisti più giovani.

Secondo dopoguerra

Dopo la Seconda guerra mondiale il riformismo, nelle diverse situazioni esistenti nei vari paesi europei, si orientò sempre più a divulgare il concetto che il progresso di una società non può essere affidato a un solo urto risolutore, ma ai mezzi forniti dalle nuove conquiste della democrazia. Alcuni concetti di fondo vennero di nuovo richiamati nei programmi dei riformisti come: portare avanti con le conquiste economiche il principio della libertà deH’uomo; togliere di mezzo tutti i privilegi e le ingiustizie creati dagli uomini stessi rifuggendo dai mezzi violenti; ricercare sempre più l'unione fra azione riformista e rivoluzionaria (i[...]

[...]ti di fondo vennero di nuovo richiamati nei programmi dei riformisti come: portare avanti con le conquiste economiche il principio della libertà deH’uomo; togliere di mezzo tutti i privilegi e le ingiustizie creati dagli uomini stessi rifuggendo dai mezzi violenti; ricercare sempre più l'unione fra azione riformista e rivoluzionaria (intesa come mutamento della situazione esistente) per fare avanzare le forze del lavoro; dare consapevolezza a un riformismo moderno in cammino verso l’esaltazione del sapere, per aprire nuove vie e scoprire nuove verità da conquistare.

Come per tutte le grandi idee, divenute poi ideologia, anche nella storia del riformismo dall’800 ai tempi nostri non sono mancati travagli, forme di degenerazione del pensiero e dell’azione, in certi casi tradotte in vere concessioni che hanno frenato in parte il progresso; non sono mancati quindi i momenti in cui i mezzi finivano distaccati dal fine. Ciò è costato sacrifici e sofferenze che hanno pesato anche per interi cicli storici, ma come giudizio generale si può affermare che il riformismo resta nella storia del movimento operaio come un contributo di progresso dell’uomo in lotta per l’edificazione di una nuova società.

Lib. Cav.

Bibliografia: Franco Venturi, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, Ed. Ricciardi, Napoli 1958; Filippo Turati, La via maestra del socialismo, a cura di Rodolfo Mondolfo, Ed. Cappelli, Bologna 1921; Rodolfo Mondolfo, Sulle orme di Marx, Ed. Cappelli, Bologna 1919; R. Sestan, Il riformismo settecentesco in Italia, in “Rassegna Storica Toscana”, n. 23, aprilesettembre 1955; Arturo Labriola, Sindacalismo e riformismo, Ed. Nerbini, Firenze 1905; Rinaldo Rigola, Cento anni di movimento operaio, Ed. S.A.R.E.P., RomaMilano 1935; Furio Diaz, Illuminismo riformatore in Italia, in “Il Ponte”, n. 6, Firenze giugno 1959; S. Cotta, Il pensiero politico del nazionalismo e deirilluminismo, in “Questioni di storia moderna”, Milano 1951; Gina Martini, Il Riformismo, Allegranza, Milano 1946; Arturo Colombi, Socialismo e riformismo, Ed.

C.D.S., Roma 1948; Biagio Riguzzi, Sindacalismo e riformismo nel parmense, Ed. Laterza, Bari 1931; Leo Valiani, Il PSI nel

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 170

Brano: Riformismo

pitale e forzalavoro, sono scaturite le politiche riformistiche via via perseguite e realizzate (o meno) nel corso della lotta di classe nei vari paesi. Quando questa dialettica tra le classi è stata coercitivamente bloccata per intervento di gruppi impadronitisi dello Stato, oppure, in situazioni di libero mercato, essa è stata impedita dalle forze capitalistiche consolidatesi fino a togliere ogni possibilità di difesa ai lavoratori, si sono avuti regimi totalitari e fascisti. Naturalmente il problema è sempre presente nelle fila del movimento operaio di ogni paese capitalistico.

Comun[...]

[...]Quando questa dialettica tra le classi è stata coercitivamente bloccata per intervento di gruppi impadronitisi dello Stato, oppure, in situazioni di libero mercato, essa è stata impedita dalle forze capitalistiche consolidatesi fino a togliere ogni possibilità di difesa ai lavoratori, si sono avuti regimi totalitari e fascisti. Naturalmente il problema è sempre presente nelle fila del movimento operaio di ogni paese capitalistico.

ComuniSmo e riformismo

Nel 1962 Pai miro Togliatti, in un saggio dal titolo « ComuniSmo e riformismo », polemizzando con la Democrazia cristiana, ma rivolgendosi anche al suo stesso partito, scriveva:

« Il vizio radicale del riformismo sta nel fatto che, in qualsiasi situazione, esso tende sempre a dimenticare e cancellare l’obiettivo generale e finale del movimento operaio, che è l’abbattimento del capitalismo, l’avvento al potere e la costruzione di una società socialista. In una situazione rivoluzionaria acuta, quando questi obiettivi possono e devono essere raggiunti con una lotta immediata, dimenticarli e cancellarli è tradimento. Traditori furono quei capi socialdemocratici che, nella crisi acuta del dopoguerra, si unirono ai borghesi per impedire che la grande breccia aperta dalla rivoluzione d’ottobre venisse allarg[...]

[...]e a uno di questi nodi storici si deve quindi ritenere che il movimento della classe operaia sia costretto a stagnare, non sia in grado di proporsi obiettivi immediati concreti, che possano essere raggiunti e costituiscono quello che Lenin stesso chiamava un “prodotto marginale della lotta di classe rivoluzionaria”? È evidente che in questa situazione la lotta per delle riforme, sia economiche che politiche, assume un’importanza fondamentale. Il riformismo, anche in questo caso, tende a dimenticare gli obiettivi finali della lotta delle classi lavoratrici, isolando la riforma stessa dal complesso delia lotta per superare il regime capitalistico. L’azione della classe operaia in conseguenza di questa rottura tende ad arrestarsi, perde il suo slancio, il suo entusiasmo, la molla che la spinge ad avanzare. La lentezza diventa questione non più soltanto di misura, ma di qualità. Il movimento operaio, stagnando attorno a una posizione riformistica, si riduce ad es

sere forza subalterna in una società capitalistica, non riesce a vedere in ogni suc[...]

[...]ezza diventa questione non più soltanto di misura, ma di qualità. Il movimento operaio, stagnando attorno a una posizione riformistica, si riduce ad es

sere forza subalterna in una società capitalistica, non riesce a vedere in ogni successiva sua conquista, anche parziale, un passo compiuto verso l’obiettivo finale e a servirsi di esso per procedere con maggior sicurezza e più spedito ». (Da “Rinascita”, a. XIX, n. 13, 28.7.1962).

E.Ni.

Riformismo socialista

Come prassi politica del movimento operaio, a partire dalla fine del secolo XIX il riformismo (v.) si è sempre più largamente affermato in Europa, con caratteristiche e vicende diverse da paese a paese, secondo le rispettive situazioni economiche e i rapporti di forza esistenti fra le classi sociali in lotta.

Inghilterra

Nel maggio 1838, in Gran Bretagna (v.), il movimento cartista (prima organizzazione proletaria della storia inglese) pubblicò la Carta del Popolo che proponeva un indirizzo gradualistico per ottenere miglioramenti nelle condizioni dei lavoratori, facendo appello all’azione democratica delle masse e al sostegno dellopinione pubblica britannica. Ma dopo violente r[...]

[...]enza politica, fino a esser chiamato a dirigere il governo nei momenti di maggior difficoltà del paese (1924,

1929, 1931, 1945 ecc.), quando cioè si trattava di chiedere al proletariato sacrifici e “spirito di collaborazione”.

Francia

Verso la fine del secolo XIX l'ex radicale francese Alexandre Millerand (v.) fece del “Petite Republi

que”, giornale da lui diretto, un organo socialista, diventando uno dei più autorevoli esponenti del riformismo in campo internazionale. Eletto deputato socialista indipendente nel 1889, tradendo i suoi compagni nel 1898 lo stesso Millerand entrò a far parte del gabinetto WaldeckRousseau che aveva tra i suoi ministri Gallifet, noto come il “boia” della Comune. Il suo comportamento provocò la spaccatura del Gruppo parlamentare socialista, che si divise tra “rivoluzionari” e riformisti.

Nel 1903 Millerand pubblicò Le socialisme rif or miste f rancai s, un testo che acquistò larga notorietà e che esponeva appunto la concezione del suo autore. In polemica con i compagni egli scriveva: « ...se noi giudic[...]

[...]v.).

Figura ben diversa di riformista fu Jean Jaurès (v.) che tenacemente lottò per impedire la Prima guerra mondiale, attirandosi l’odio dei peggiori reazionari fino a cadere assassinato da un fanatico il 31.7.1914. Tra i riformisti francesi sono da ricordare anche R.R. Hervé, Léon Blum (v.) posto a capo del governo di Fronte popolare nel 1936, Paul Faure e Léon Jouhaux (v.), segretario generale della C.G.T..

Germania

Primo teorico del riformismo in Germania (v.) fu Ferdinando Lassalle (v.) che, dopo essere stato in contatto con Marx, se ne allontanò. Nel 1862 egli pubblicò il “Programma degli operai”, come testo base per la formazione del movimento socialista tedesco, nel quale teorizzava come metodo di conquista

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 171

Brano: Riformismo socialista

del potere politico la competizione pacifica e la collaborazione di classe sul piano parlamentare per la realizzazione di programmi legalitari. Nonostante fossero in netto contrasto col marxismo, le idee di Lassalle ebbero notevole influenza sul movimento operaio tedesco.

Karl J. Kautsky (v.), già segretario di Engels e, nel 1883, fondatore della rivista Die Neue Zeit che diresse poi per molti anni, fu dapprima “lassalliano”, poi marxista e infine, dopo la fallita rivoluzione russa del 1905, assunse posizioni centriste, criticando sia la sinistra che i revisionisti. Ma allo s[...]

[...]Ma allo scoppio della Prima guerra mondiale Kautsky si avvicinò a questi ultimi e si schierò poi contro la rivoluzione bolscevica del 1917, legandosi sempre più alla socialdemocrazia.

Il filone riformista nel movimento operaio tedesco continuò a rafforzarsi nel Partito socialdemocratico attraverso il revisionismo di Eduard Bernstein e la politica di Philipp Scheidemann: deputato al Reichstag, dal socialismo rivoluzionario Scheidemann passò al riformismo nel periodo in cui Ebert era a capo del partito, assumendo posizioni di destra, fino a essere il 3.10.1918 tra i membri di un governo antioperaio. È da ricordare infine il riformista Gustav Noske (v.) che, designato ministro della Difesa nel 1919, si distinse nella sanguinosa repressione che stroncò il movimento spartachista.

Belgio

In Belgio (v.) i maggiori esponenti del socialismo riformista furono Emile Vandervelde (deputato dal 1894, ministro in vari governi di coalizione) che nel 1937 entrò in conflitto col governo per la posizione di neutralità da questo assunta nella guerra di Sp[...]

[...]un partito socialdemocratico sorse nel 1867, ma solo nel 1888 (dopo l'unificazione della corrente intransigente con quella moderatariformista) esso si costituì in modo definitivo. Il Partito socialdemocratico austriaco fu sempre influenzato da tendenze revisioniste, con prevalenza della linea “austromarxista” di Victor Adler, padre di Friedrich Adler (v.). L'austromarxismo tendeva a realiz

zare una sintesi tra le posizioni rivoluzionarie e il riformismo tedesco dominante aH’interno della Seconda Internazionale. Dopo la catastrofe nazista e la Seconda guerra mondiale, il Partito socialdemocratico austriaco si ricostituì su basi decisamente riformiste, allineato con il Partito socialdemocratico della Repubblica Federale Tedesca.

Italia

Le prime affermazioni del riformismo in Italia si ebbero nelle campagne emiliane a partire dal 1880, attraverso la predicazione e l'opera dell’“apostolo del socialismo” Camillo Prampolini (v.), per lo sviluppo del movimento cooperativo e per la municipalizzazione dei servizi pubblici. Dopo la fondazione del P.S.I. (1892), il leader socialista Filippo Turati (v.), allineatosi alle posizioni di Kautsky quando questi divenne il teorico della Seconda Internazionale, fu il più autorevole capo riformista italiano, al quale si affiancarono, oltre a Prampolini, Claudio Treves (v.), Giuseppe Emanuele Modigliani (v.), Leonida Bissolati e [...]

[...]alista di conquistare importanti amministrazioni comunali, fra cui Milano e Bologna, nelle quali furono eletti sindaci socialisti.

In quegli anni, Turati affermò ripetutamente che « le elezioni non sono un atto strumentale e di transizione all'attività trasformatrice »; in altri termini, il leader socialista sosteneva che non bisognava concepire le elezioni come una preparazione alla rivoluzione, ma già come conquista rivoluzionaria in sé. Il riformismo veniva quindi concepito come l'unico modo per sottoporre al controllo della classe lavoratrice tutta la società nei suoi vari aspetti. Esso equivaleva, secondo Turati, a una forma di socialismo moderno che aveva in sé « le tre indicazioni fondamentali: il legalitarismo, il parlamentarismo, la gradualità delle riforme ».

In quegli stessi anni il riformismo venne definito “sinistra costituzionale” e la corrente riformista si arricchì di prestigiose personalità in ogni campo: uomini di cultura (^\lessandro Levi, Rodolfo e Ugo Guido Mondolfo, Giuseppe Rensi, Giovanni Zibordi) ; avvocati di grido, come il già citato Giuseppe Emanuele Modigliani e Genunzio Bentini, economisti cooperatori [Nullo Baldini, Giuseppe Massarenti) ; politici di grande prestigio [Giacomo Matteotti, Enrico Dugoni, Morriconi) che affiancarono i vecchi riformisti fra i quali, oltre a Turati, Treves e Prampolini, spiccavano le figure di Antonio Vergnanini, Anna Kuliscioff, Emil[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 185

Brano: [...]al 1903 al 1906, prevalendo la corrente di sinistra nella direzione socialista, fu diretto da Enrico Ferri, il quale impresse al giornale un marcato timbro anticlericale, antigiolittiano e di violenta denunzia del malcostume politico della classe dirigente. Succeduto a Ferri per breve periodo (febbraiosettembre 1908) Oddino Morgari, la direzione dell’À. tornò a Bissolati dopo il congresso di Firenze del 1908 e se

gnò l’avvio della contesa fra riformismo di destra e riformismo turatiano. Spostatosi progressivamente Bissolati su posizioni che negavano in concreto la funzione del partito, il congresso di Milano dell’ottobre 1910 decretò il passaggio della direzione del giornale (dalla quale Bissolati stesso si era dimesso) a Claudio Treves.

Sotto la guida di Treves, l’A. condusse alcune delle battaglie di più vasto respiro del socialismo di quegli anni, intensificando la campagna contro il sorgente nazionalismo e contro i metodi corruttori della politica di Giovanni Giolitti; propugnando l’allargamento del suffragio elettorale, la concessione del voto alle donne e[...]

[...]into Menotti Serrati, quest'ultimo nominato responsabile l'1 dicembre seguente. Nel corso del conflitto, l’oscillante e incerta condotta socialista si rifletté nel quotidiano il quale, malgrado conoscesse nuovi successi (fra il ’17 e il ’18 uscirono due nuove edizioni a Roma e a Torino), rivelava i sintomi del disorientamento da cui sarebbe uscita la crisi del P.S.I. neH’immediato dopoguerra.

Primo dopoguerra

Imprigionato nel contrasto fra riformismo e massimalismo, incapace di dare uno sbocco reale alle istanze rivoluzionarie manifestate dalle masse e alimentate dalla medesima direzione del partito, il P.S.I. si trovò ben presto impotente dinanzi allo scatenarsi dell’offensiva nazionalfascista. Il 15.4.1919 l’A. di Milano fu assalito dalle squadre di Mussolini, la sua sede venne devastata e incendiata. La solidarietà popolare permise al giornale di riparare ogni danno, ma le denunzie veementi contro lo scatenarsi della violenza fascista non avevano per corrispettivo l’adeguata azione del movimento operaio.

A Torino, nel frattempo, il [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 329

Brano: [...]o, l’enucleazione deH’occhip sinistro e altri dolorosi interventi. Nello stesso conflitto cadde, combattendo contro i tedeschi, il soldato Mario Ribotti.

Bonomi, Ivanoe

N. a Mantova il 18.10.1873, m. a Roma il 20.4.1951; giornalista e uomo politico. Laureatosi in scienze naturali e in giurisprudenza, dopo una breve parentesi di insegnamento si dedicò al giornalismo, militando nelle file del primo socialismo sulle posizioni idealistiche del riformismo bissolatiano, divenendo poi uno degli esponenti di quel revisionismo di destra che tradusse nella forma più banale i motivi dell’analisi di Bernstein, inserendoli nella tradizione fondamentalmente amarxista del movimento socialista italiano. In un libro pubblicato nel

1907, con il pretenzioso titolo Le vie nuove del socialismo, Bonomi non soltanto teorizzava queste impostazioni, ma muoveva per la prima volta un duro attacco polemico all’ortodossia marxista della socialdemocrazia tedesca. Optando per un concetto di evoluzionismo

Ivanoe Bonomi a 23 anni 11896)

sociale che tendeva a neg[...]

[...]ato la vita politica italiana alla fine del secolo precedente.

Il « concretismo » di Bonomi sfociava nell’accettazione delle pratiche parlamentaristiche più deteriori e nella spinta al disarmo di ogni energia di lotta del movimento operaio. Attaccato dalla stessa ala sinistra riformista del Partito socialista nel Congresso di Firenze del

1908, con un discorso di Gaetano Salvemini (il quale definì Bonomi «il socialista che si contenta»), il riformismo bissolatianobonomiano accentuò ancora di più la propria scelta verso la formazione di un blocco radicaldemocratico, nel quale il partito socialista scomparisse per formare uq « partito del lavoro» senza alcun connotato di classe, direttamente impegnato nella collaborazione con le forze politiche della borghesia.

La crisi che spingeva a destra i riformisti alla Bonomi si acuì col passare degli anni e giunse al culmine quando, nel 1912, alcuni esponenti della frazione, in partico

lare l’on. Podrecca, presero apertamente posizione a favore dell’impresa coloniale libica; e il 14 marzo di qu[...]

[...] rimasta anch’essa senza eco.

Da questa vicenda Bonomi acquisì quella caratteristica che sarà propria della sua collocazione sulla scena politica italiana negli anni seguenti, cioè la caratteristica di un deputato (era eletto nel collegio di Mantova) avente una propria base elettorale a sfondo tradizionale contadinopiccolo borghese, disponibile per avallare con il suo passato socialista combinazioni governative di impronta giolittiana.

Dal riformismo al filofascismo

Volontario negli alpini durante la guerra 191518, coerentemente con la sua adesione aH’interventismo, assunse il dicastero dei Lavori pubblici nel ministero di Paolo Boselli, rimasto in carica dalla primavera del 1916 all'autunno del 1917; quindi ricoprì lo stesso incarico nel gabinetto Orlando e fu poi ministro della Guerra con Nitti (1920) e infine con Giolitti, nel governo presieduto dallo statista cuneese tra il giugno del 1920 e il luglio del 1921. Divenne presidente del Consiglio nel 1921, reggendo il gabinetto che si dimise il 26.2.1922 per lasciare la successione al[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 114

Brano: [...]nenza in gioventù, insieme col movimento sindacale pugliese, al sindacalismo rivoluzionario, nel quale ho incontrato e divenni amico di uomini come Filippo Corridoni e tanti altri militanti dell’epoca.

Si sono date varie interpretazioni al l’affermarsi del movimento sindacalista rivoluzionario in Italia, in un certo periodo della sua storia. Il movimento sindacalista fu in tutto il paese, ma specialmente nel Mezzogiorno, una rivolta contro il riformismo che allora dirigeva il movimento operaio italiano.

Gli esponenti del riformismo, alcuni consapevolmente, altri inconsciamente, tendevano a realizzare un compromesso col grande capitalismo, fondato su certi vantaggi, molto relativi, che sarebbero stati concessi a favore di una aristocrazia operala del Nord, ma che sarebbe stato pagato a dismisura, specialmente dalle masse lavoratrici povere e oppresse del desolato Sud. Questo compromesso ebbe con Giolitti un inizio di applicazione. E fu per questo compromesso che il vecchio riformismo di destra tentò di burocratizzare il giovane movimento sindacale italiano, allo scopo di immobilizzarlo, di renderlo passivo.

Poiché que[...]

[...], alcuni consapevolmente, altri inconsciamente, tendevano a realizzare un compromesso col grande capitalismo, fondato su certi vantaggi, molto relativi, che sarebbero stati concessi a favore di una aristocrazia operala del Nord, ma che sarebbe stato pagato a dismisura, specialmente dalle masse lavoratrici povere e oppresse del desolato Sud. Questo compromesso ebbe con Giolitti un inizio di applicazione. E fu per questo compromesso che il vecchio riformismo di destra tentò di burocratizzare il giovane movimento sindacale italiano, allo scopo di immobilizzarlo, di renderlo passivo.

Poiché questo era da considerarsi un autentico tradimento del movimento operaio e della sua alta funzione storica di stimolo al progresso generale della società, il sorgere del sindacalismo rivoluzionario in Italia e specie nel Mezzogiorno, fu dunque una rivolta giustificata — anche se in termini errati — contro l’accennato compromesso e contro il conseguente tentativo di burocratizzazione del movimento sindacale. Ma la ragione fondamentale del fatto che il sindacal[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 370

Brano: [...]di Luigi Sturzo, additava nel sistema cooperativistico un possibile strumento di soluzione degli squilibri economicosociali in atto. La partita, giocata sul doppio fronte del latifondo e della piccola e media proprietà contadina, comportò all’inizio una serie massiccia di scioperi organizzati da « ricostituiti nuclei » di lotta che, nelle campagne, diffondevano i contenuti rivendicativi e politici delle leghe e di altri organismi associativi. Il riformismo produsse un’ulteriore emarginazione di estese categorie sociali (soprattutto dei braccianti), sacrificate agli interessi di una imprenditorialità corporativa prodotta da sanguinose repressioni come le stragi di Castelluzzo e Grammichele del 190405 (v. Eccidi in Italia).

Di fronte a ciò, le gravi incomprensioni del socialriformismo mettevano in evidenza i limiti angusti della tradizione operaistica, incapace di liberarsi da certo spirito settentrionalistico e di affrontare in concreto la questione meridionale (v. Meridionale, Questione). Anche su questo punto di debolezza giocò la ricomposizione del blocco agrario palermitano che, in tal modo, potè sfruttare l’isolamento di dirigenti contadini emarginati dalla nuova politica, su cui poterono abbattersi gli ultimi colpi della reazione agraria e della mafia (a Santo Stefano di Ouisquina nel 1911 verrà assas

sinato Lorenzo Panepinto e a Corleone, nel 1915, il grande dir[...]

[...] del blocco agrario palermitano che, in tal modo, potè sfruttare l’isolamento di dirigenti contadini emarginati dalla nuova politica, su cui poterono abbattersi gli ultimi colpi della reazione agraria e della mafia (a Santo Stefano di Ouisquina nel 1911 verrà assas

sinato Lorenzo Panepinto e a Corleone, nel 1915, il grande dirigente dei Fasci Bernardino Verro),

Movimento socialista

Il caso palermitano è emblematico delle conseguenze del riformismo socialista in Sicilia. Qui, dopo la repressione dei Fasci e toljo Io stato d’assedio, ci fu un primòVtentativo di ricostituzione del Partito socialista a opera di Alessandro Tasca di Cutò e Aurelio Drago. Nel 1896 nacque così un Circolo socialista che ebbe come organo di stampa la Battaglia. Poi, nel 1903, sorse una Federazione socialista palermitana. Questa trovò espressione ufficiale ne II Giornale dei Lavoratori che, in contrapposizione ad Alessandro Tasca e ad altri « socialisti da carrozzella » (come li definiva Garibaldi Bosco), raccolse il gruppo massimalista più direttamente venuto da[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 566

Brano: [...] altri ancora) spiega come all’inizio il concetto di socialismo fosse alquanto vago e desse luogo a contrastanti interpretazioni. Particolarmente importanti furono in Gran Bretagna (v.) le esperienze organizzative del cartismo: le lotte dei cartisti inglesi degli anni Trenta e Quaranta del secolo XIX, quantunque duramente represse, costituirono un primo esempio di associazionismo sindacale e costrinsero la classe dominante a imboccare la via del riformismo (v.) per non essere travolta.

In Francia (v.), il moto rivoluzionario del 1848 favorì la dialettica fra l’insurrezionalismo capeggiato dal futuro comunardo Louis August Blanqui (18051881) e il programma di pianificazione statale dell’economia proposto dal socialriformista Louis Bianc (18111882) che, nel 1876, fonderà il Partito radicalsocialista francese. Insieme al rivoluzionarismo blanquista e al riformismo poggiante sullo Stato come regolatore della produzione, il socialismo francese fu alimentato dalla corrente del mutualismo guidata da Pierre J. Proudhon (v.), poggiante su criteri federalistici di socialismo anarchico antistatale.

In Germania (v.), dove lo sviluppo industriale apparve più tardi rispetto agli altri paesi, data la scarsa consistenza dei primi nuclei di classe operaia la lotta per il socialismo si esplicò inizialmente più sul piano teorico, grazie a opere come Le garanzie deìl'armonia e della libertà (1842) del socialista utopico Wilhelm Weitling (18081871).

Socialismo, an[...]

[...]ltri paesi, data la scarsa consistenza dei primi nuclei di classe operaia la lotta per il socialismo si esplicò inizialmente più sul piano teorico, grazie a opere come Le garanzie deìl'armonia e della libertà (1842) del socialista utopico Wilhelm Weitling (18081871).

Socialismo, anarchismo, comuniSmo

Nella prima metà del secolo XIX, mentre il movimento per il socialismo consolidava le proprie basi teoriche e accumulava esperienze pratiche (riformismo sindacale inglese, proudhonismo, blanquismo), dal suo ceppo si staccavano due filoni che sarebbero proceduti per vie distinte: il movimento anarchico (v. Anarchici) guidato dal rivoluzionario russo Mikhail A. Bakunin (v.) e quello comunista che avrebbe avuto i suoi maggiori esponenti in Car

lo Marx e Federico Engels.

Nel 1864 le correnti socialiste di diversi paesi si incontrarono a Londra e fondarono la Prima Internazionale (v.) dei lavoratori, intorno a un programma (ispirato da Marx) che, sottolineando l’esistenza di un intreccio indissolubile tra lotte economiche e lotte politiche, [...]

[...]ella Seconda Internazionale (v. Socialdemocrazia).

Il socialdemocratico tedesco Eduard Bernstein (18501932) sarà considerato il caposcuola del revisionismo antimarxista che, agli inizi del secolo XX, determinò in seno al movimento socialista una scissione tra « revisionisti » e « ortodossi », anticipando lo scontro ideologico tra « riformisti » e « rivoluzionari » che avrebbe caratterizzato le vicende del socialismo nei decenni successivi.

Riformismo e rivoluzione

In seno al Partito socialdemocratico russo il richiamo al socialismo scientifico era comune sia a Lenin (v.) che al socialista ortodosso Karl J. Kautsky (v.) il quale, avendo avuto rapporti diretti con Engels, si presentava come il suo più fedele interprete. Ma mentre Kautsky, insieme ai menscevichi, sosteneva in nome del marxismo che, dato lo scarso sviluppo delle forze produttive in Russia, non si poteva avere in questo paese una rivoluzione “socialista”, Lenin e i bolscevichi si mossero in senso contrario, fino a instaurare nel 1917 il potere sovietico.

Dal 1917 le corr[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol VI (T-Z e appendice), p. 181

Brano: [...]terminante a

segnare lo spartiacque fra organizzazione autonoma e di classe del proletariato e democrazia borghese, e a chiarire i rapporti tra l'associazionismo operaio e la coscienza socialista (su questi punti è complessivamente concorde la storiografia, salvo qualche interna variante), dopo il 1900 si pose il problema nuovo, che pure risentiva della formazione e delle scelte precedenti, del rapporto fra il disegno politico socialista e il riformismoliberalismoconservatorismo di Giovanni Gioliti ti (v.). Fu questo il problema dominante della prima decade del XX secolo, che si svolse da un lato lungo la vicenda dei congressi del partito (e quindi della dialettica dei programmi minimi e massimi e delle nascenti correnti), che Turati riusciva a dominare con la sua efficacia oratoria, la sua esperienza tattica e padronanza intellettuale, e dall’altro lungo le scadenze o le svolte del “giolittismo”.

La linea di fondo di Turati, ben marcata dalla crisi di fine secolo in poi, fu di stabilire un collegamento tatticostrategico con l'ala marcant[...]

[...]l mercato e lo Stato. Con l’afflusso dei nuclei proletari urbani nelle Camere del lavoro dell'Italia centrosettentrionale fu così favorita anche l'organizzazione dei lavoratori della terra. L'ideologia e la condotta politica di Turati, senza parere, tennero presenti questi processi di massa e seppero guardare, nel complesso, oltre gli steccati e le diatribe del partito; si spiega co

sì anche il fatto che il gruppo turavano fu sempre vicino al riformismo sindacale arroccato dal 1906 nella Confederazione generale del lavoro, fino al dopoguerra e oltre. Un po' per le sue matrici lombarde, un po’ per i limiti obiettivi del movimento dei lavoratori nell’evoluzione nazionale, un po’ per l’influenza di una prassi politicoelettorale dualistica e del localismo e corporativismo proprio della scuola riformista, Turati e la dirigenza socialista trascurarono però il proselitismo e la presenza politica socialista nel Mezzogiorno.

I limiti economicocorporativi dell’indirizzo turatiano furono indicati abbastanza presto, nella stessa cerchia del riformism[...]

[...]’ per i limiti obiettivi del movimento dei lavoratori nell’evoluzione nazionale, un po’ per l’influenza di una prassi politicoelettorale dualistica e del localismo e corporativismo proprio della scuola riformista, Turati e la dirigenza socialista trascurarono però il proselitismo e la presenza politica socialista nel Mezzogiorno.

I limiti economicocorporativi dell’indirizzo turatiano furono indicati abbastanza presto, nella stessa cerchia del riformismo, da Gaetano Salvemini (v.) sulla questione meridionale e da Anna Kuliscioff sulla questione femminile, temi che confluivano nella critica ai ritardi e al disinteresse con cui Turati gestiva il grande problema del suffragio, vale a dire il volano centrale della riforma politica nella società italiana del tempo.

Lungo l’età giolittiana si vide insomma come la tatticastrategia turatiana rimanesse « sotto il segno del compromesso » (sarà l’interpretazione di Pietro Nenni nella Lutte de classes en Italie, pubblicata vivo Turati e con prefazione di Turati a Parigi, per il Congresso di unità soci[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine riformismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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