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Il segmento testuale realismo è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1503Analitici , di cui in selezione 54 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Alberto Moravia, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Il comunismo al potere e i problemi dell'arte in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]ondo opere pubbliche gigantesche, ma non un Guerra e Pace, non un Boris Godunof, gli equivalenti poetici, sulla scala della grandezza, di quelle opere pubbliche. Perché? Al contrario degli operai e degli ingegneri, gli artisti hanno forse sabotato la produzione? Oppure si tratterebbe di due fronti diversi, nel primo dei quali valgono i piani e le direttive e nel secondo proprio la mancanza di piani e di direttive?
Il vizio segreto del cosidetto realismo socialista é, per dirla con una formula spiccia, di essere realista su tutto fuorché sul socialismo. E poiché il socialismo in certi paesi ò tutto, di non essere sovente realista affatto. Ora non si dà realismo se non totale, senza riguardi, né rispetti, né compromessi, né convenzioni, né limiti di sorta. Le società del passato, fossero esse feudali o borghesi o schiaviste o patriarcali, nei loro buoni momenti furono sempre capaci di esprimere un tale realismo. Una società che invece non ne sia capace é una società che per qualche motivo non sa, non vuole, o non può vedersi qual é realmente.
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L'arte di classe, o arte ufficiale risponde con sufficiente precisione al concetto deteriore dell'arte intesa come sovrastruttura proposto dal marxismo. I comunisti dichiarano volentieri che tale arte di classe o
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[...]e novità.
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Se l'arte é sovrastruttura, come mai riesce a sopravvivere alla struttura? Perché mai leggiamo ancora l'Iliade, sopratruttura, a quanto si dice, del feudalesimo arcaico greco? E che cos'è che garantisce vita eterna alla sovrastruttura? E perché la struttura transeunte é considerata più importante della soprastruttura che non lo è?
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Le idee dei comunisti sull'arte sono giuste, chi potrebbe negarlo? Nello stesso termine di realismo socialista é contenuta una riflessione critica inoppugnabile: l'arte fu sempre realista o non fu affatto e inoltre essa fu sempre legata direttamente o indirettamente alla ideologia
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del momento. Il realismo è dunque inseparabile dall'arte, almeno da quella europea; l'ideologia anche. Che c'è dunque di strano che lo stato socialista chieda agli artisti il realismo socialista? Rispondiamo che la stranezza consiste nel fatto che, al contrario della Chiesa e d'ogni altro organismo totalitario del passato, lo stato socialista sappia tutte queste cose, cioè che abbia una coscienza critica e storica così sviluppata. In questo senso lo stato socialista, così intellettualistico e così pragmatistico, entra nella dialettica della decadenza alla quale pretenderebbe di sottrarsi.
Quando tutto é stato detto, bisognerà pur affermare che in realtà l'arte non interessa il comunismo. E che questo sia vero lo dimostra la semplicità della ideologia marxista per quanto r[...]

[...], di ispirazione, di originalità, di creatività. Di una concezione, insomma, classica o per lo meno classicheggiante, su quella romantica. Si pensa, per analogia, ad estetiche che sembravano tramontate e che invece, a quanta pare, torneranno in auge. Tanto per fare un esempio Boileau non avrebbe trovato niente da ridire su una simile imposizione
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dell'autorità sull'artista. Che differenza c'é infatti tra il realismo socialista e « l'artifice agreable » del poeta di corte di Luigi decimoquarto?
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Ci si meraviglia che certi scrittori e critici d'occidente, di fede marxista, difendano l'arte dei paesi orientali che, a parere di molti, essi non potrebbero invece non giudicare assai severamente. E si parla in questi casi di disciplina di partito. Ma secondo noi si tratta invece di uno scambio avvenuto nel profondo dell'animo tra ideologia e realtà. Per i comunisti l'ideologia è la realtà, e quella che la gente comune chiama realtà non é nulla. Se la realtà non dà ragione all'ideologia, tanto peggio per [...]

[...]non furono più barbari. Così il proletariato (e specie quello dei paesi in cui il sonno sociale si doppiava di sonno biologico) ha certamente molte cose da dire; ma non le dirà se non quando _avrà la capacità di dirle, ossia quando cesserà di essere proletariato. Nel frattempo le opere d'arte che ci vengono presentate come opere del proletariato, debbono, nel caso migliore, essere considerate come segni di impazienza.
Ë un errore credere che il realismo socialista abbia impedito nei paesi orientali l'apparizione di un nuovo Michelangelo o, per lo meno, di un nuovo Picasso. Con ogni probabilità se in quei paesi il regime liberale subentrasse ad un tratto a quello socialista, gli artisti di quei paesi forse imiterebbero quelli occidentali (sebbene non sia sicuro), ma non oltrepasserebbero certo il livello artistico alquanto basso della loro presente produzione. Gli é che in quei paesi c'é stata una rivoluzione con conseguente decapitazione della classe colta e che dirigenti e popolo vi fanno un sol'bloce°, con gli stessi gusti, le stesse conce[...]

[...]e accettato e confermato l'autonomia del fatto linguistico, quell'uomo di stato orientale non faccia lo stesso per l'autonomia del fatto artistico. Non se ne vede il perché sebbene lo si possa indovinare: la lingua, come ebbe a dire quell'uomo di stato, non é né borghese né socialista, é simile alle locomotive: é un mezzo. Invece l'arte può essere, é un fine. Ora non può esserci altro fine se non quello della rivoluzione socialista.
***
Perché realismo socialista e non, poniamo, neoclassicismo? Perché l'ultima arte oggettiva europea fu quella naturalistica. Gli stati non sono mai all'avanguardia, checché se ne dica. La Chiesa è ferma a Raffaello che fu il grande mediatore tra il mondo dell'Antico Testamento e l'Ellenismo. Gli stati conoscono la storia, non l'estetica.
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Tra l'alienazione dell'operaio e l'alienazione dell'artista non c'è alcun rapporto. L'operaio é alienato in quanto, nell'economia di mercato, egli é una merce come tutte le altre, ed essendo tale viene defraudato, in base al prezzo di mercato, del plus valore, ossia di c[...]

[...]ola possibile in quel tempo, era opera del diavolo. I comunisti non credono al diavolo bensì alla decadenza, immoralità, corruzione e rovina del capitalismo. In realtà così il cristianesimo allora come il comunismo oggi sono strumenti della natura esausta che chiede riposo. Ma gli uomini non amano ammettere di essere determinati da semplici leggi biologiche; e così nel campo dell'arte la . stanchezza é chiamata, poniamo, astrattismo e il riposo, realismo socialista.
S'intende che queste note riguardano i rapporti dell'arte col comunismo al potere. Per i rapporti dell'arte con il comunismo all'opposi
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zione, le cose si svolgono in maniera normale, come per i rapporti dell'arte con qualsiasi motivo ispiratore. Anzi il comunismo all'opposizione, facendosi forte di molte istanze generose ed universali, ispira direttamente o indirettamente un'arte assai viva, polemica e aliena dai compromessi, di protesta e di rivolta. Ma una volta il comunismo al potere il motivo polemico ovviamente scompare, sostituito da [...]

[...]e ciò che gli é utile, bensì i dirigenti che sono i depositarii e gli amministratori dell'ideologia dominante. Ed è qui appunto che sta il luogo debole dello schieramento dell'arte comunista. Perché l'ideologia comunista, nel suo autoritarismo, da una parte é tratta spesso a confondere ciò che é utile al popolo con ciò che é utile ai dirigenti; dall'altra non sembra, almeno per ora, in grado di elaborare una sua estetica (ivi compresa quella del realismo socialista) che possa resistere alla pressione degli eventi e non venga alla fine mortificata e sviata dalle esigenze utilitarie della dittatura e della guerra e ridotta così alla funzione di semplice strumento di controllo. In queste condizioni potrebbe anche avvenire che l'arte invece di lavorare per il popolo e soltanto per il popolo, si distacchi dal popolo.
A un'arte di partito, si dovrebbe chiedere prima di tutto di non sembrare di partito. Perché, se non altro, gli uccelli non si lasciano prendere se le reti non sono ben dissimulate.
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Non abbiamo nulla in contrario al realismo so[...]

[...]tatura e della guerra e ridotta così alla funzione di semplice strumento di controllo. In queste condizioni potrebbe anche avvenire che l'arte invece di lavorare per il popolo e soltanto per il popolo, si distacchi dal popolo.
A un'arte di partito, si dovrebbe chiedere prima di tutto di non sembrare di partito. Perché, se non altro, gli uccelli non si lasciano prendere se le reti non sono ben dissimulate.
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Non abbiamo nulla in contrario al realismo socialista o qualsiasi altra estetica desunta dal marxismo. Ma non ci convince del tutto il fatto che questa estetica o altra simile diventi l'estetica ufficiale di uno stato potente, proprietario di tutte le case editrici, di tutti i giornali
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 21
e le riviste, di tutti i musei, di tutte le sale di concerto, di tutti gli studi di cinema e di tutti i teatri. Ove fosse lasciata all'arte l'autonomia che le é indispensabile, il realismo socialista trionferebbe e (come é da credersi seconda la legge che regola le cose umane) decadrebbe
e [...]

[...] desunta dal marxismo. Ma non ci convince del tutto il fatto che questa estetica o altra simile diventi l'estetica ufficiale di uno stato potente, proprietario di tutte le case editrici, di tutti i giornali
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 21
e le riviste, di tutti i musei, di tutte le sale di concerto, di tutti gli studi di cinema e di tutti i teatri. Ove fosse lasciata all'arte l'autonomia che le é indispensabile, il realismo socialista trionferebbe e (come é da credersi seconda la legge che regola le cose umane) decadrebbe
e verrebbe sostituito dall'altra estetica più conveniente in maniera affatto spontanea, attraverso le discussioni e le opere degli artisti. Ma dal momento che il realismo socialista o qualsiasi altra estetica simile diventa una faccenda di stato, è da temersi che esso ubbidisca alle norme che guidano le faccende di stato; ossia diventi una faccenda di burocrazia, di regolamenti, di infrazioni, di conformità, di controlli
e di autorità. Il che non può non portare ad una grave limitazione appunto, di quell'autonomia, per quanta relativa, che abbiamo già dichiarato indispensabile all'arte.
Non illudetevi che le cose siano cambiate: l'uomo preistorico che fermava sulle pareti della caverna gli atteggiamenti dei bisonti in fuga non era gran che diverso da Balzac [...]

[...]ese? Oppure di essere stati per secoli oppressi, sfruttati, colonizzati, disprezzati, avviliti? Evidentemente, se vendetta c'é, es"si vogliono vendicarsi di questo. Ma, allora, l'arte che c'entra?
Il conformismo soprattutto in arte non é che una delle tante facce del decadentismo. Esso non supera né soppianta il decadentismo, si limita invece a rovesciarne le posizioni, lasciandone intatte l'esteriorità, l'impotenza espressiva, l'astrazione. Il realismo socialista, nel suo aspetto di conformismo politico e sociale, non sembra che faccia eccezione a questa regola. L'arte sovietica, come é noto, fu decadente, ossia europea, fino al giorno in cui, per ordine superiore, dal mattino alla sera, dovette adottare il realismo socialista. Il cambiamento, dunque, non avvenne per sviluppo spontaneo ma d'autorità, per semplice capovolgi
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mento. Parafrasando il Belli il quale dice che dentro ogni uomo vivo c'é un uomo morto, potremmo dire che dentro ogni realis a socialista vivo c'é un astrattista morto ma sempre pronto a risuscitare. In questo senso bisogna considerare il realismo socialista come uno degli aspetti del decadentismo universale, forse il più vistoso, certo il più significativo.
Abbiamo parlato dell'arte classica come del solo possibile sbocco positivo dell'arte in regime comunista. E invero non vediamo dove si possa trovare l'oggettività assoluta e universale cui aspira il marxismo se non nell'arte classica quale si manifestò tutte le volte che una civiltà raggiunse l'apice della maturità. Essa nasce infatti nei momenti di perfetta e profonda stabilità quando la classe al potere si illude di aver trovato un assetto definitivo, eterno; ossia nei momenti i[...]

[...]zi avveniristici. il guaio si ò che spesso l'artista é nella realtà e lo stato invece ne é uscito. Ma per far rientrare un artista nella realtà basta una critica sfavorevole su un giornale ufficiale. Invece, purtroppo, per far rientrare uno stato nella realtà, non ci vuole meno di una rivoluzione.
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In fatto di romanzi sociali, nessuno ha mai scritto un romanzo così persuasivo come Germinal di Zola, tanto per fare un esempio. I romanzi del realismo socialista, al confronto, fanno figura di raccontini per libri di lettura. Che diavolo é mai successo nel frattempo? Ma semplicemente che le miniere, le quali nel romanzo di Zola erano in mano ai capitalisti, sono passate nelle mani dello stato socialista.
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A thing of beauty is a joy for ever. Il poeta che scrisse queste parole, non si aspettava certo che questa gioia potesse durare un anno soltanto. E poi diventare tristezza per ordine superiore.
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Lasciar giudicare agli uomini politici sulle cose dell'arte può essere utile soltanto in un caso: che gli uomini politici siano anch[...]

[...]e dall'incontro a pari termini tra la società e l'artista. Quest'incontro noi l'abbiamo in tutti gli scrittori classici delle grandi epoche dell'arte. L'arte per l'arte e l'arte di propaganda invece evitano quest'incontro, la prima per orgoglio e la seconda per spirito di sopraffazione. Esse astraggono, insomma, dalla realtà che vuole invece studio, pazienza, umiltà, sincerità, senso della verità, disinteresse. In questo senso l'astrattismo e il realismo socialista, ambedue infantili e impotenti, si valgono.
ALBERTO MORAVIA



da Georg Lukacs, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Introduzione agli scritti di estetica di Marx ed Engels in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]hiarificare alcuni tra i momenti più importanti di tale situazione, si affaccia subito la questione: che :' f cosa é quella realtà di cui la creazione letteraria deve essere la fedele immagine speculare? Qui importa soprattutto l'aspetto ne¡ gativo della risposta: questa realtà non é soltanto la superficie del mondo esterno quale viene immediatamente percepita; non sono i fenomeni casuali, momentanei, puntuali. Mentre l'estetica marxista pone il realismo al centro della teoria dell'arte, essa combatte :aspramente al contempo ogni e qualsiasi naturalismo, ogni ten
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denza che si appaghi della riproduzione fotografica della superficie immediatamente percepibile del mondo esterno. Anche in questa questione il marxismo non afferma nulla di radicalmente nuovo e non fa altro che sollevare al livello della massima consapevolezza e chiarezza ciò che da sempre fu al centro della teoria e della prassi dei grandi scrittori del passato.
Ma l'estetica del marxismo 'combatte al tempo stesso con altrettanta asprezza[...]

[...]arte. Infatti contrariamente alla scienza, chë r salve tare màviíneritöç nei suoi elementi astratti e intende definire concettualmente l'azione reciproca di questi elementi, l'arte lo fa intuire sen sibilmente in quanto movimento, nella sua vivente unità.' Una delle Zpiù importanti categorie di questa sintesi artistica é quella del
ti Non a caso quindi Marx ed Engels si richiamano in prima
a questo concetto quando si tratta di definire il vero realismo. Engels scrive: t< Realismo significa a parer mio, oltre alla fedeltà dei particolari, il riprodurre fedelmente dei caratteri tipici in circostanze tipiche ». Ma Engels indica altresì che non é affatto lecito contrapporre tale tipicità all'unicità dei fenomeni, facendone un'astratta generalizzazione: «... ognuno é un tipo, ma al contempo anche un individuo determinato, un `questo', come si esprime il vecchio Hegel, e così deve essere ».
Dunque i ti..... = ser Marx ed Engels il tipo astratto della tragedia classica; n il ` personaggio schilleriano nella sua genericità idealizzante; ma tanto meno é quello che ne hanno fa[...]

[...]ipiche, le più importanti tendenze dell'evoluzione sociale ricevono un'adeguata espressione artistica.
A queste osservazioni d'indole generale dobbiamo farne seguire un'altra. Marx ed Engels scorgevano in Shakespeare e Balzac (di fronte, diciamo, a Schiller da una parte e a Zola dall'altra) quella tendenza realistica che meglio corrispondeva alla loro estetica. La scelta di questi grandi scrittori indica di per sé che la concezione marxista del realismo non ha nulla a divedere con la copia fotografica della vita quotidiana. L'estetica marxista auspica soltanto che l'essenza individuata dallo scrittore non venga rappresentata astrattamente, bensì come essenza insita in modo organico nella fervida vita dei fenomeni, dalla cui esistenza individuale essa scaturisce. Ma non é affatto necessario, a nostro parere, che il fe nomeno reso sensibile dall'arte sia attinto dalla vita quotidiana, e nemmeno dalla vita reale in generale. Cioè a dire: anche il più sfrenato gioco della fantasia poetica, la più fantasiosa raffigurazione dei fenomeni, sono pie[...]

[...]essenza insita in modo organico nella fervida vita dei fenomeni, dalla cui esistenza individuale essa scaturisce. Ma non é affatto necessario, a nostro parere, che il fe nomeno reso sensibile dall'arte sia attinto dalla vita quotidiana, e nemmeno dalla vita reale in generale. Cioè a dire: anche il più sfrenato gioco della fantasia poetica, la più fantasiosa raffigurazione dei fenomeni, sono pienamente conciliabili con la concezione marxista del realismo. Non é un caso che proprio alcune novelle fantastiche di Balzac e di E. Th. Hoffmann si annoverino tra quelle creazioni' artistiche che Marx apprezzava in modo particolare.
Naturalmente c'é fantasia e fantasia, fantastico e fantastico. Per cercare un criterio di distinzione dobbiamo ritornare alla tesi fondamentale della dialettica materialistica: il rispecchiamento della realtà.
L'estetica materialista, che nega il carattere realistico di un mondo delineato con particolari naturalistici quando non vi appaiano le forze motrici essenziali, ritiene naturalissimo che le novelle fantastiche di [...]

[...]o della realtà.
L'estetica materialista, che nega il carattere realistico di un mondo delineato con particolari naturalistici quando non vi appaiano le forze motrici essenziali, ritiene naturalissimo che le novelle fantastiche di Hoffmann e Balzac rappresentino delle vette della letteratura realistica perché in esse, proprio in grazia del / l'esposizione fantastica, questi elementi essenziali sono messi in J' risalto. La concezione marxista del realismo afferma che l'arte deve rendere sensibile l'essenza. Non a caso é proprio il concetto del tipo a mettere così chiaramente in risalto questa peculiarità dell'estetica marxista. Da una parte il tipo permette una soluzione
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della dialettica tra essenza e fenomeno propria dell'arte e inesir stente in ogni altro campo, e dall'altra esso rimanda al contempo a quel processo storicosociale di cui la miglior arte realistica costituisce il fedele riflesso. Questa definizione marxista del realismo continua quella linea che grandi maestri del realismo, come Fielding[...]

[...]o il concetto del tipo a mettere così chiaramente in risalto questa peculiarità dell'estetica marxista. Da una parte il tipo permette una soluzione
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della dialettica tra essenza e fenomeno propria dell'arte e inesir stente in ogni altro campo, e dall'altra esso rimanda al contempo a quel processo storicosociale di cui la miglior arte realistica costituisce il fedele riflesso. Questa definizione marxista del realismo continua quella linea che grandi maestri del realismo, come Fielding, rivendicavano alla loro prassi artistica: essi si davano l'appellativo di storiografi della vita borghese, della vita privata. Ma Marx approfondisce ulteriormente il rapporto della grande arte realista con la realtà storica e apprezza i risultati, ottenuti dai grandi realisti maggiormente di quanta essi stessi non facessero. In un colloquio con suo genero, l'eminente scrittore socialista fran cese Paul Lafargue, Marx così si esprime riguardo a tale funzione di Balzac: «Balzac non fu soltanto lo storiografo della società del suo tempo, ma anche il profetico creatore di figure c[...]

[...]onforme a quanto prima discussa — dalla realtà stessa, di cui é il rispecchiamento dialettico. Ebbene, quali sono quelle tendenze fondamentali su cui lo scrittore deve prendere posizione se vuole essere artista vero? Sono le grandi questioni del progresso umano. Nessun grande scrittore può restare indifferente di fronte ad esse, e senza un'appassionata presa di posizione nei loro confronti non é possibile creare dei tipi autentici, né si dà vero realismo. Senza una siffatta presa di posi zione lo scrittore non saprà mai distinguere l'essenziale dal non essenziale. Poiché dal punto di vista della totalità dello sviluppo sociale la possibilità di operare una giusta distinzione é preclusa allo scrittore che non si entusiasma per il progresso, che non detesta la reazione, che non ama il bene e non ripudia il male.
Ma riaffiora qui in apparenza una nuova profonda contrad dizione. Sembra, a voler seguire questo ragionamento, che ogni grande scrittore debba avere una concezione progressista del mon do in filosofia, sociologia e politica; sembra che[...]

[...]Engels: «Il fatto che Balzac sia stato costretto ad agire contro le sue proprie simpatie di classe e contro i propri pregiudizi politici; che egli abbia visto l'inevitabilità della fine dei suoi cari aristocratici e abbia rappresentati come uomini che non meritavano un destino migliore; che egli abbia vista i veri uomini dell'avvenire là dove soltanto si potevano trovare in quel tempo, — questo io lo considero come uno dei più grandi trionfi del realismo e come una delle massime qualità del vecchio Balzac ».
E forse accaduto un miracolo: la rivelazione di una miste riosa genialità artistfra ;non_ misurabile con concetti, « irrazionale », che ha infranto la prigione delle concezioni politiche che la coartavano? No. Quel che è qui dimostrato dall'analisi di Engels è sostanzialmente un fatto semplice e chiaro, il cui vero significato è stato per?) per la prima volta scoperto e analizzato da lui e da Marx. Si tratta qui innanzitutto dell'onestà estetica, incorruttibile e spoglia di ogni vanità, degli scrittori e degli artisti vera mente grandi. [...]

[...]ore vede meglio, di più e più profondamente dei pensatori politici di destra. Attraverso i loro rapporti con l'integrità dell'uomo egli penetra le contraddizioni dell'ordinamento economico capitalistico, la problematica della civiltà capitalista; l'immagine del mondo proprio del Balzac creatore si avvicina straordinariamente al quadro satirico della società capitalista in formazione disegnato dal suo grande contemporaneo Fourier.
Il trionfo del realismo significa, in questa versione che ne dà il marxismo, una completa rottura con quella concezione volgare della letteratura e dell'arte che deriva meccanicamente il valore dell'opera letteraria dalle concezioni politiche dello scrittore, dalla cosiddetta psicologia di classe. Il metodo marxista qui indicato é
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G. LURÁCS INTRODUZIONE AGLI SCRITTI DI MARX ED ENGELS 57
adattissimo a spiegare i fenomeni letterari piú complessi, ma solo a patto di maneggiarlo concretamente, con vero spirito storicistico,
con accortezza estetica e sociale. Chi si illude di trovarvi uno sche
ma applicabile a qu[...]

[...]rari piú complessi, ma solo a patto di maneggiarlo concretamente, con vero spirito storicistico,
con accortezza estetica e sociale. Chi si illude di trovarvi uno sche
ma applicabile a qualsiasi fenomeno letterario dà un'interpretazione dei classici del marxismo altrettanto sbagliata quanto quella
dei marxisti volgari di vecchio stile. Perché non resti più nessun equivoco a proposito di questo metodo ripetiamo ancora una vol ta: il trionfo del realismo non significa per Engels né che l'ideologia apertamente proclamata dallo scrittore sia indifferente per il marxismo, né che ogni creazione di ogni scrittore, non appena si distacchi dall'ideologia apertamente proclamata, implichi il trionfo del realismo. Questa ha luogo solo quando gli artisti realisti veramente grandi intrattengono un rapporta serio e profondo, an che se non riconosciuto consapevolmente, con una qualsiasi ten denza progressiva dell'evoluzione umana. Così come dal punto di vista marxista é inammissibile elevare sul piedestallo dei classici degli scrittori cattivi o mediocri in grazia delle loro convinzioni politiche, altrettanto inammissibile sarebbe il voler riabilitare in base a questa formulazione engelsiana degli scrittori piú o meno compiuti artisticamente ma reazionari del tutto o in parte.
Non a caso abbiamo parlato,[...]

[...]ebbe il voler riabilitare in base a questa formulazione engelsiana degli scrittori piú o meno compiuti artisticamente ma reazionari del tutto o in parte.
Non a caso abbiamo parlato, a proposito di Balzac, della salvaguardia dell'integrità umana. Nella maggior parte dei grandi realisti é questa che dà l'impulso a raffigurare il mondo reale, benché con caratteri ed accenti assai diversi a seconda del periodo e dell'individuo. Grandezza artistica, realismo autentico e umanismo sono indissolubilmenté uniti. E il principio unificatore é proprio quello prima rilevato; la preoccupazione dell'integrità dell'uomo. Questa umanesimo conta tra i principi fondamentali più importanti dell'estetica marxista. Ripetiamo ancora una volta che Marx ed Engels non furono i primi a situare il principio umanistico al centro dell'estetica. Anche qui come dappertutto Marx ed Engels continuarono l'opera dei massimi rappresentanti del pensiero filosofica ed estetico, sviluppandola fino a un livello qualitativamente superiore. D'altra parte pera, proprio perché non ne s[...]



da (9 Domande sul romanzo) Sergio Solmi in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]ccontare è ingenita nell'uomo, come quella al canto, o al disegno.
Tuttavia di crisi, in un senso assai più circoscritto, si può parlare sotto entrambi gli aspetti enunciati nella domanda. Dopo la guerra, non sono sorti che tre o quattro scrittori particolarmente
54 SERGIO SOLMI
notevoli, in aggiunta ai pochi che già si erano rivelati nel periodo precedente come romanzieri compiuti e significativi. Questo potrebbe anche voler dire che il « neorealismo » non ha mantenute tutte le sue promesse. Effettivamente, come opinavo, rispondendo una diecina di anni fa ad una inchiesta, mi pare della R.A.I., il « neorealismo », sorto dal bagno di esperienze aperte e drammatiche degli anni della guerra, dell'occupazione tedesca, della Resistenza, appariva troppo legato alla contingenza per avere radici profonde, e andare, pur negli esempi positivi, molto al di là di quegli elementi di schiettezza immediata, di freschezza descrittiva, di ingenua emotività che il pungolo dell'ora storica eccezionale aveva ridestato su di un piano abbastanza diffuso. Sicché, al pari della contemporanea esperienza cinematografica di quel nome, anche quella fioritura narrativa — spesso rappresentata da diari, o da diari appena traspost[...]

[...]opolare » o « d'appendice » : e che appare essere stato sostituito, nelle sue finalità di svago e di « transfert » psicologico, dal cinematografo e dalla T.V., nonché da quei prodotti in serie che sono i romanzi polizieschi, i « fumetti », e le novelle sentimentali dei rotocalchi (i quali prodotti, rappresentando essenzialmente « estratti in scatola » di processi psicologici ed emdtivi tipizzati, sono necessariamente impressi da un sostanziale irrealismo — anche se per avventura intriso di elementi brutalmente realistici —, e sono perciò
9 DOMANDE SUL ROMANZO 55
destinati ad operare una chiusura, anziché un'apertura, verso la vita, come è invece compito dell'espressione letteraria).
Se si pensa alla totale ostruzione dei canali verso il romanzo popolare tradizionale, propria della narrativa moderna (quei canali che mantenevano invece aperti grandi scrittori del secolo scorso, come Balzac, Hugo, la Sand, Manzoni, Dostoiewskj); se si pensa al completo tramonto dell'epica popolare ottocentesca nei suoi esemplari più riconoscibilmente letterar[...]

[...]posto, che in un mondo di civiltà profondamente diviso come il nostro, sotto la spinta di un più intenso « farsi » storico, urtante contro pesanti resistenze tradizionali, una delle caratteristiche del romanzo, come di altre espressioni letterarie o artistiche, sia la coesistenza di diversissime forme e modi e ideali stilistici e morali.
3) Conosco e apprezzo alcune delle opere che vanno sotto il nome della scuola narrativa francese del « nuovo realismo », o « école du regard » (come l'ha chiamata Emile Henriot). Ma apprezzo assai meno le teorie con le quali i loro autori intenderebbero appoggiarle e giustificarle. Non mi sembra esatto affermare che un tale tipo di romanzo « volge le spalle alla psicologia », bensì che esso tende piuttosto a rilevarla in modi indiretti, o implicandola in movimenti e passaggi di ordine strettamente fisiologico, corporeo, o lasciandola indovinare mediante le tracce enigmatiche che la vicenda romanzesca ha lasciato sugli oggetti visualmente recepiti e descritti, o facendola scaturire per suggestione dall'appare[...]

[...]e rientri solo di scorcio nella pur vaghissima definizione della « scuola », la recente Modification di Michel Butor, col suo delicato impasto di minuta percettività realistica, di alternanze e ritorni di episodi evocati mnemonicamente, e la ben preparata sorpresa di veder sfociare, alla, fine, la vicenda
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SERGIO SOLMI
interiore del protagonista in un mito culturale, proiezione sognata di un mito interno.
A mio modo di vedere, il « nuovo realismo » ha comunque il merito di sperimentare energicamente prospettive inedite, sonde ancora impreviste nel Russo dell'esistenza: il che, in un'epoca di incertezza e di cambiamento, mi sembra essere inerente al compito stesso del romanzo.
4) Mi pare che neppure l'« io » del romanzo classico equivalesse in tutto e per tutto a una « terza persona », bensì venisse a costituire, per il narratore, un più sicuro aggancio al punto di vista prospettico. Dello stesso ordine sono gli espedienti usati dalla narrativa classica (e anche in epoche più recenti, fino al Conrad), di interporre, ad esempio, fra l'[...]

[...] figure dai lineamenti deformati, mobili od equivoci, quale maggior sicurezza di verificazione che l'offrirli fluttuanti e dissolti, per così dire, nella esperienza c in fieri » di un protagonista, coinci
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9 DOMANDE SUL ROMANZO
dente, in ipotesi, e talora addirittura in fatto, almeno parzialmente, con lo stesso autore?
5) Come è noto, anche da estetiche errate sono spesso uscite opere egregie. La particolare sterilità della formula del « realismo socialista » mi sembra dovuta al fatto che non si tratta già, in sé e per sé, di una dottrina errata, bensì di una dottrina che mira non direttamente al fenomeno artistico in quanto tale, ma lateralmente ad esso, al suo riflesso documentario o morale. L'acuto, per quanto in definitiva irresoluto, pensiero di Gramsci, condizionato in egual grado da crocianesimo e marxismo, ha toccato in anticipo il problema, con vigore impareggiabile, laddove, in Letteratura e vita nazionale, riconosce l'esistenza « di due serie di fatti, uno di carattere estetico, o di arte pura, l'altro di politica culturale[...]

[...]cipo il problema, con vigore impareggiabile, laddove, in Letteratura e vita nazionale, riconosce l'esistenza « di due serie di fatti, uno di carattere estetico, o di arte pura, l'altro di politica culturale, (cioè di politica senz'altro) », soggiungendo: « Che l'uomo politic,;) faccia una pressione perché l'arte del suo tempo esprima un determinato mondo culturale è attività politica, non di critica artistica ». In altri temini, il concetto di « realismo socialista » non appartiene al campo delle poetiche, ma al campo della politica culturale. E lo stesso Gramsci, poco più in là, in quanto « politico », vagheggia infatti una « letteratura funzionale », alla stregua dell'« architettura funzionale », di cui già allora si parlava, senza nascondersi il carattere praticistico della « coercizione » e « pianificazione » occorrenti per farla sorgere.
Oggi, a più di vent'anni di distanza dalla morte di Gramsci, dopo aver constatato in atto la sostanza e i limiti del « realismo socialista », dopo di aver sviluppato, anche per una utilizzazione in prof[...]

[...]ella politica culturale. E lo stesso Gramsci, poco più in là, in quanto « politico », vagheggia infatti una « letteratura funzionale », alla stregua dell'« architettura funzionale », di cui già allora si parlava, senza nascondersi il carattere praticistico della « coercizione » e « pianificazione » occorrenti per farla sorgere.
Oggi, a più di vent'anni di distanza dalla morte di Gramsci, dopo aver constatato in atto la sostanza e i limiti del « realismo socialista », dopo di aver sviluppato, anche per una utilizzazione in profondo di altre correnti del pensiero moderno, una fenomenologia dell'arte assai più particolareggiata e complessa di quella che poteva ritenersi implicita nel grande chiarimento crociano, possiamo identificare il problema anche sotto un altro profilo. Sappiamo che l'opera romanzesca è, come ogni altra opera, letteraria o artistica, la risultante, la sintesi di un incontro del singolo con la realtà (e uso a bella posta, per comodità di discorso, questi termini grossolani, perché non si tratta, in effetti, né di un incontr[...]

[...] artistica, la risultante, la sintesi di un incontro del singolo con la realtà (e uso a bella posta, per comodità di discorso, questi termini grossolani, perché non si tratta, in effetti, né di un incontro né di una sintesi, ma di un processo unico di esperienza che si matura, coestensivo alla vita stessa dell'uomoartista, e, a sua volta,
60 SERGIO SOLMI
al flusso della realtàambiente). Ora, le teorie del « rispecchiamento », su cui si basa il realismo socialista, anziché far cadere l'accento sul momento della sintesi particolaritàoggettività (che é il momento della vera comunicazione, in cui l'esperienza singola si autentica, si universalizza nel lettore, come scambio fra individuo concreto così e così foggiato e condizionato storicamente, e altro individuo altrettanto concreto), lo fanno cadere sul momento astratto, avulso, della pura oggettività, o pura corrispondenza esterna alle strutture del reale. Sembrerebbero così configurare non già l'atteggiamento naturale dell'artista, ma un atteggiamento di cronista, nel migliore caso di storic[...]

[...]ora, per la fatale conversione di ogni contenutismo in formalismo, che la parte di invenzione, di agio, di libertà dell'artista, dato il tema « pianificato » e strutturato esternamente, si rifugia nell'episodio, nella pagina, nella frase (ad es., la bella descrizione, la bella, o caratteristica, « tipizzazione »). Così la forma si scinde veramente dal contenuto, e si fa accademica.
In conclusione, se qualche opera che va sotto l'etichetta dei « realismo socialista » si é salvata, o si salverà, sarà sempre in virtù di un equivoco, di una più o meno casuale coincidenza con lo scopo propagandistico, polemico o dottrinale. E, nella sua stessa valutazione, interverranno sempre motivi elasticamente politici, ossia varianti a seconda dei movimenti di contrazione e di distensione imposti dalla situazione e dall'opportunità politica.
Gramsci osservava ancora: « Se il mondo culturale per il quale si lotta é un fatto vivente e necessario, la sua espansività sarà irresistibile, esso troverà i suoi artisti ». Gramsci assegnava quindi alla « coercizione [...]

[...]ione del politico (e lo stesso Gramsci ha sovente perfetta coscienza di questa complessità). L'azione per la nascita di un mondo nuovo, che é fatto della
9 DOMANDE SUL ROMANZO 61
volontà degli uomini operanti su di una storia padroneggiata solo approssimativamente e parzialmente, é sempre per fatalità laterale al progetto. D'altra parte il mondo nuovo é veramente nuovo anche per la sua prevalente quantità d'imprevisto. Qui é la debolezza del « realismo socialista », che, mirando alla realtà attraverso íI « piano », all'essere attraverso il « dover essere », ne sopisce e ne smorza i contrasti, e ne lascia sfuggire il più vero fondo.
6) Mi riferisco a quanto detto più sopra circa il « romanzo saggistico », della necessaria coesistenza, in un'epoca di rapida trasformazione, di diversi ideali e schemi e modi narrativi. Riesco perciò a concepire benissimo un ipotetico futuro romanzo fortemente contrassegnato da un denso « mezzo » linguistico (écriture artiste, linguaggio separato e individualmente elaborato, e magari d'invenzione personale, all[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] L. Gruppi, I rapporti tra pensiero ed essere nella concezione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]hiaramente affermato da Marx (cfr. Glosse a Feuerbach). A nostro parere, concependo la conoscenza come riflesso dell'oggetto nella coscienza, Lenin pone, da un lato, l'oggetto al di fuori del conoscere — vale a dire ai di fuori della storia — e dimentica, dall'altro, la natura creatrice del conoscere che il marxismo ha assunto consapevolmente e criticamente dall'idealismo. Si riproduce cosí il dualismo tra oggetto e soggetto che ca ratterizza il realismo ingenuo ed ogni metafisica.
Estremamente rivelativo è quest'altro passo: « Il " realismo ingenuo" di ogni persona sana di mente, che non è mai stata in manicomio o a scuola dai filosofi idealisti, consiste nel riconoscere l'esistenza delle cose, dell'ambiente, dell'universo, indipendentemente dalla nostra sensazione, dalla nostra coscienza, dal nostro Io e dall'uomo in generale. Questa stessa esperienza... che ha creato in noi la ferma convinzione che esistono indipendentemente da noi altre persone e non semplici complessi delle mie sensazioni dell'alto, del basso, del giallo, del solido, ecc., questa stessa esperienza crea in noi la convinzione che oggetti, universo e ambiente e[...]

[...] deve essere dialetticamente superato perché si giunga al materialismo dialettico, ma fini
1 LENIN, Materialismo ed empiriocriticismo, Roma, 1953, p. 17.
2 LENIN, op. cit., p. 60.
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sce per ridursi ad una aberrazione da buttare in un canto, a un momento del pensiero che è semplicemente da cancellare. Scartato a questo modo l'idealismo, « il rovesciamento della prassi » diventa impossibile, ed è naturale si torni al realismo ingenuo e si affermi che il materialismo lo pone a base della sua teoria della conoscenza. Per dirla in termini gramsciani, il realismo ingenuo, che può essere accomunato al senso comune, non deve piú essere superato criticamente nel « buonsenso » 1.
Posta la conoscenza come riflesso del mondo esterno — ritornati al realismo ingenuo — ci pare che alcuni capisaldi della filosofia marxista vengano meno.
Che ne è ad esempio dell'affermazione:
« Il difetto principale di ogni materialismo sino ad oggi... è che l'oggetto, reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività sensibile umana, come attività pratica, non soggettivamente » ? 2.
Concepito il conoscere come riflesso dell'oggetto, il carattere creativo del conoscere viene meno, l'oggetto, il reale ritornano ad essere concepiti solo « sotto la forma di oggetto » e « non come attività sensibile umana », proprio [...]

[...]azione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario, ecc. » j.
E dunque affermando la storicità del conoscere che Gramsci si distingue dall'idealismo; concependo la coscienza come risultato di tutto un processo storico e non come il presupposto di questo processo.
Va dunque affermata, al tempo stesso, la storicità dell'oggetto, che resta invece al di fuori della storia nelle concezioni del materialismo meccanico e del realismo in genere: « noi conosciamo la realtà solo in rapporto all'uomo e siccome l'uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l'oggettività è un divenire, ecc. » 2.
La contrapposizione del marxismo all'idealismo, tuttavia, compiuta affermando la storicità del conoscere, resterebbe ancora illusoria poiché anche l'idealismo afferma tale storicità. Bisogna andare ancora piú a fondo per cogliere la distinzione essenziale tra la posizione gramsciana — noi diciamo marxista — e quella idealistica: essa consiste nell'affermare che il processo storico è un processo di az[...]

[...], sicché sempre da un nuovo « fatato » proceda un nuovo « vero » e viceversa, in intima unità dialettica.
La storicità del conoscere è dunque caratterizzata in Gramsci dal suo carattere pratico, dal fatto che essa dimostra la propria validità nella pra tica stessa, la quale fa si che il conoscere si sviluppi sempre di piú nel proprio carattere creativo, e sempre piú si allontani da quel carattere di rifiesso, di copia, che gli era assegnato dal realismo ingenuo è che corrispondeva ad un'epoca in cui il minor sviluppo delle scienze, la minore consapevolezza della capacità trasformatrice dell'azione politica e i limiti reali di questa, avevano certamente messo meno in rilievo il carattere creativo del conoscere, in un'epoca anzi in cui il conoscere (e cosí l'agire umano) era effettivamente meno creativo. Ciò che caratterizza il marxismo è che in esso giunge a piena maturità la coscienza del carattere creativo del conoscere e dell'agire, e viene superato quanto vi era ancora di astratto, di teologico, nell'affermazione idealistica della creativ[...]

[...]o, cit., p. 243.
Luciano Gruppi 177
assoluta», nello spirito come atto puro e autoctisi — quindi metastorico — a cui inevitabilmente deve giungere l'idealismo portato coerentemente alle sue conseguenze.
Per evitare la conclusione idealistica è indispensabile affermare « una realtà obiettiva, che esiste fuori della nostra coscienza »? In questo caso si eviterebbe il solipsismo per cadere in un'altra contraddizione, che è quella rimproverata al realismo ingenuo, di affermare, evidentemente con il pensiero e quindi includendola nel pensiero, una realtà obiettiva il cui essere sarebbe fuori del pensiero. Ancor piú: si ignorerebbe il carattere sovrastrutturale del conoscere che rende impossibile il concepire una obiettività per sé.
L'uno e l'altro, il solipsismo idealistico e il realismo ingenuo, negano il conoscere come rapporto. L'idealismo perché riduce l'uno dei termini (essere) del rapporto all'altro (pensiero); i'l realismo ingenuo — anche se la cosa appare meno evidente — perché toglie al soggetto la sua soggettività, cioè il suo carattere attivo e quindi lo riduce, nella sostanza, all'oggetto. L'idealismo, come il realismo ingenuo (e a quest'ultimo si rifà il materialismo meccanico nella teoria del conoscere), nega, per le conseguenze inevitabili delle proprie posizioni, il conoscere come rapporto e quindi 'la sua capacità creativa. È dunque ancora una volta dall'affermazione che la validità del pensiero si dimostra « nell'attività pratica v, che bisogna partire. È cioè nell'attività pratica che si dimostra il carattere di rapporto del conoscere, la impossibilità di ridurlo a solo pensiero, come soltanto a copia del reale, perché altrimenti verrebbe a cadere ogni possibilità di una attività pratica, creatrice, [...]



da Carlo Salinari, Marxismo e critica letteraria in un libro di Lukàcs in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1953 - numero 11 - novembre

Brano: [...]i stimoli di una ricerca psicologica sottile e complicata e il premere della tradizione naturalistica e veristica. Voglio dire che l'introduzione della critica marxista in Italia potrebbe significare il superamento di quell'eclettismo, il punto d'incontro — in un rinnovato e coerente storicismo — delle esperienze più interessanti degli ultimi decenni (da quelle filologiche a quelle stilistiche), e soprattutto una chiara indicazione sulla via del realismo, un punto fermo nella battaglia per superare i residui del tradizionale di, stacco fra la letteratura e la vita nazionale.
Il libro di Lukàcs segna una tappa importante su questa strada. Malgrado che non possa essere considerato un modello ideale di critica letteraria (sia rispetto al gusto che alle premesse ideologiche), tuttavia è tale il respiro della sua ricerca, la novità e la giustezza di molte sue impostazioni, la vastità degli interessi, l'acutezza dei giudizi che non a torto può essere considerato il libro di critica letteraria più vivo che sia uscito in Italia in questo dopoguerra.[...]

[...]la giustezza di molte sue impostazioni, la vastità degli interessi, l'acutezza dei giudizi che non a torto può essere considerato il libro di critica letteraria più vivo che sia uscito in Italia in questo dopoguerra.
Alla base delle impostazioni e dei giudizi di Lukàcs vi sono due elementi fondamentali. In primo luogo la concezione dell'arte come conoscenza della realtà, propria del marxismo, e in secondo luogo l'esperienza di gusto, del grande realismo europeo dell'800, soprattutto di Goethe, di Balzac e di Tolstoi. Abbiamo detto la concezione dell'arte come conoscenza della realtà, propria del marxismo : e volevamo con questo appunto distinguerla da altre concezioni dell'arte come conoscenza. Anche per l'idealismo .l'arte è una delle forme del conoscere: ma è un conoscere che crea esso stesso l'oggetto della sua conoscenza. L'oggetto della conoscenza è il riflesso della attività conoscitiva del soggetto: Per dirla con Lenin, si va dal pensiero all'esistenza, dalla, sensazione alla materia mentre il marxismo, il materialismo dialettico, .va[...]

[...]insistente è la polemica che non scende quasi mai — come avviene invece per i naturalisti e in specie per Zola — a una analisi minuta di opere, di personaggi, di posizioni concrete. Si ha l'impressione, cioè, che si ripeta — anche in questo settore
la posizione in fondo difensiva già notata nelle questioni più propriamente teoriche. Lì si appun. tavano gli strali della polemica contro le deformazioni del marxismo, qui contro le deformazioni del realismo : lì si eludevano i problemi più scottanti posti dalle estetiche più avanzate del pensiero borghese, qui si eludono le posizioni e i testi più suggestivi e sfuggenti della letteratura decadente borghese.
Tuttavia non è questa l'obiezione più importante che ci sembra si debba rivolgere allo schema critico di Lukàcs. Il quale ci sembra difettoso soprattutto ' perché scaturisce quasi a priori da una premessa teorica e ideologica. Stabilito il tipico come categoria fondamentale dell'arte e individuato questo tipico in una determinata stagione della letteratura europea, se ne deduce che le possib[...]

[...]l'intellettuale borghese. Ma soprattutto un simile errore si ripercuote sul suo gusto di lettore. Lukàcs senza dubbio non è un marxista volgare, senza dubbio possiede una conoscenza di primo ordine delle principali letterature europee, senza dubbio ha una apertura e un respiro nella ricerca che vorremmo ritrovare negli smagriti critici nostrani di oggi : eppure la sua lettura di un testo poetico è sempre filtrata attraverso i. modelli del grande realismo borghese, e quindi è anch'essa a priori sempre chiusa e raffrenata in uno schema. In modo assai diverso dalla crociana, è anch'essa una critica sempre un po' frigida e distaccata. Esageriamo, se il nostro pensiero corre ancora una volta a De Sanctis e alla sua sorprendente capacità di aderire pienamente e senza residui alle singole situazioni poetiche?
Un'ultima osservazione su questo bel libro che manifesta la sua validità proprio nel sollecitare la discussione e nel sollevare problemi e dubbi. Quanto i modelli del grande realismo borghese, possono realmente servire, sia pure come modelli, [...]

[...]. In modo assai diverso dalla crociana, è anch'essa una critica sempre un po' frigida e distaccata. Esageriamo, se il nostro pensiero corre ancora una volta a De Sanctis e alla sua sorprendente capacità di aderire pienamente e senza residui alle singole situazioni poetiche?
Un'ultima osservazione su questo bel libro che manifesta la sua validità proprio nel sollecitare la discussione e nel sollevare problemi e dubbi. Quanto i modelli del grande realismo borghese, possono realmente servire, sia pure come modelli, al nuovo realismo? Nel discutere la narrativa so vietica Lukàcs riesce ad esporre numerosissime osservazioni piene di acume critico, ma pare che non voglia comprendere che, prima ancora di fare i conti con la tradizione letteraria in cui bisogna ricercare i filoni a cui richiamarsi, bisogna fare i conti con la rottura rivoluzionaria avvenuta nel corpo della società, in cui oramai come elemento tipico la classe operaia ha sostituito la borghesia. Se non si tiene conto di questo fatto primordiale — che deve essere alla base di ogni successiva considerazione — il richiamo a qualsiasi tradizione rimane inerte e pu[...]

[...]nuta nel corpo della società, in cui oramai come elemento tipico la classe operaia ha sostituito la borghesia. Se non si tiene conto di questo fatto primordiale — che deve essere alla base di ogni successiva considerazione — il richiamo a qualsiasi tradizione rimane inerte e puramente libresco e rischia di soffocare le istanze più valide che lo stesso Lukàcs pone : la polemica contro lo psicologismo e contro il naturalismo, la lotta per un nuovo realismo. E la classe operaia, la sua funzione, la trasformazione che essa ha provocato con la sua presenza combattiva in ogni nazione e eon la costruzione del primo Stato socialista nel mondo intiero appaiono poco nelle argomentazioni di Lukàcs o appaiono sotto forma di nozioni ancora una volta dottrinarie e libresche. E infine, il richiamo alla grande stagione del realismo per la Germania significa Goethe, per, la Russia Tolstoi, per la Francia Balzac. Cosa può significare per noi? Il richiamo al Manzoni? In Italia non c'è stata la riforma, non c'è stata — o c'è stata in misura straordinariamente limitata — la grande esperienza illuministica, razionalistica e materialistica del secolo XVIII, non c'è stata una impetuosa e radicale rivoluzione democraticoborghese : il nostro realismo ottocentesco è realismo di moderati, di cattolici, di timidi liberali. Persino Leopardi nelle loro mani è diventato il poeta dell'idillio. La nuova letteratura realistica italiana deve cercare altrove
i suo modelli : soprattutto credo nella nuova situazione italiana. Compnque non può accettare — senza profondamente discuterle — le indicazioni di Lukàcs.
CARLO SALINARI Scuola italiana d'oggi
Il fallimento dei clericali alla direzione della scuola
« Arrivare al monopolio attraverso la libertà »; chi ancora dubita che questa formula non riassuma esattamente il programma dei clericali nel campo della scuola, non ha [...]



da Giovanni Testo, Ritratti critici di contemporanei. Lalla Romano in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...] per una scrittrice come Lalla Romano sempre cosí attenta ai risvolti di poetica, cosí sorvegliata e consapevole, è di un'importanza nient'affatto secondaria, ha il valore anzi di un punto di forza mai smentito.
« La fantasia (come la memoria) astrae dalla realtà quello che le serve »,
672 GIOVANNI TESIO
dirà nell'Avvertenza alla ristampa delle Metamorfosi (Torino 1967, p. 11). È un pensiero che ha poco o nulla da spartire con ogni forma di « realismo », previa intesa che non usiamo la parola, secondo invece la proposta del Venturi, come sinonimo di « non imitazione », perché allora finiremmo per cadere in una specie di gioco nominale (ad esempio, per Pavese, si è dovuta inventare la formula, che sta come un ossimoro, di « realismo simbolico ») e dovremmo riprendere da capo ogni concetto: cosa, è ovvio, che quand'anche ne fossimo capaci, sarebbe fuori luogo. Qui piuttosto ci interessa dire che la poetica di Lalla Romano non va ascritta, se non in modi estremamente indiretti e condizionali, al grande (ottocentesco) alveo realista e meno ancora può patire l'etichetta, ancor piú angusta, di neorealista. Ne fa fede non tanto l'esordio poetico, che avvenne nel 1941 con la raccolta Fiore pubblicata dall'editore Frassinelli di Torino e che si collocava in un ambito di risonanze elette e preziose — condotte con modulazioni di p[...]

[...]onanze elette e preziose — condotte con modulazioni di personale ermetismo —, ma il vero e proprio esordio narrativo che avvenne di contromano con Le metamorfosi (1951), un'antologia di sogni secchi e concreti, che passò, pour cause, sotto silenzio. Né bastano a smentita, tacendo d'altri pochi minimi, l'appetito curioso e non sorprendente di Sereni o l'« interessata » attenzione di Bo, che proprio allora veniva investigando, con prudenza, sul neorealismo all'apice.
Abbiamo detto per inciso della formula a cui si è fatto ricorso per Pavese e per l'altro variare la formula auerbachiana, ai casi della Romano proponendo per lei le formule forse più quiete di « realismo allusivo » o di « realismo memoriale » o ancora di « realismo analogico » (« Trasformazione e analogia sono l'essenza dell'arte » [ Le parole cit., p. 52]. E nel Diario di Grecia: « È una di Alberobello, dal gran corpo a uovo con una piccola testa in cima; per cui alla mia immaginazione fertile di analogie essa appare come un'incarnazione del monumento tipico del suo paese »1). Con ciò intendiamo per un verso prendere le distanze dall'accanita officina di Pavese e per l'altro variare la formula auerbachiana, ai casi della Romano sorprendentemente adattabile, di realismo « figurale » (dr. Mimesis, Torino, Einaudi, 19562, ii, pp. 339343).
Lasciamo pur da[...]

[...]dell'arte » [ Le parole cit., p. 52]. E nel Diario di Grecia: « È una di Alberobello, dal gran corpo a uovo con una piccola testa in cima; per cui alla mia immaginazione fertile di analogie essa appare come un'incarnazione del monumento tipico del suo paese »1). Con ciò intendiamo per un verso prendere le distanze dall'accanita officina di Pavese e per l'altro variare la formula auerbachiana, ai casi della Romano sorprendentemente adattabile, di realismo « figurale » (dr. Mimesis, Torino, Einaudi, 19562, ii, pp. 339343).
Lasciamo pur da parte Le metamorfosi, che sono anch'esse, a ben vedere, una prova estrema di raffigurazione, e pensiamo al felicissimo incipit di Maria, la « servente au grand coeur »: esordi e chiuse sono sempre, nella Romano, vere e proprie chiavi della volta:
Quando entrammo nella nostra casa, c'era già Maria. Eravamo di ritorno dal
viaggio, e camminammo in punta di piedi, perché era mezzanotte.
Io non conoscevo Maria, se non per averla vista, quando era venuta a pre
' Citiamo dalla ristampa einaudiana dei « Nuovi Cor[...]

[...]puro.
L'ospite, da cui abbiamo appena citato, è un'opera che metteremmo in questo senso tra le perfette. Il rapporto che si narra tra la nonna e il nipotino di pochi mesi giunto improvvisamente a sconvolgere ritmi e abitudini è un rapporto pieno di tensione che lo stile compone in geometriche consistenze, chiude in una sorta di sinfonia breve (la musica della Romano è una musa assai sentita) il valore fulmineo del dono. Qui la poetica di quel « realismo allusivo » — e quanto tornerebbe il « figurale »! —, che proponevamo come formula sintetica all'inizio di questo ritratto, trova cospicue pezze d'appoggio. Ma la Romano, che pure non è scrittrice amante di cla
11 Da un'intervista apparsa su « La Gazzetta del Popolo » il 15 dicembre 1979.
LALLA ROMANO 683
mori sperimentali (la discrezione, s'è detto, e s'intende discrezione stilistica, è la sua misura) non si è mai nemmeno rinchiusa in una ricetta. E accaduto in Una giovinezza inventata, dove il valore del documento assume un posto cospicuo e svolge una importante funzione narrativa. Ma su [...]



da Giacinto Spagnoletti, Carlo Bernari in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...] Milano, Mondadori, 1973.
176 GIACINTO SPAGNOLETTI
dell'ozio forzato in un ufficio del Ministero della Guerra. egli riprese in mano la prima stesura di un romanzo intitolato sino allora Tempo passato. Doveva diventare Tre operai, e uscire tre anni dopo presso un editore milanese, per iniziativa di Cesare Zavattini, in una collana di giovani narratori. Il libro, letto ancora manoscritto da Goffredo Bellonci e da Flora, si conquistò mercé il suo realismo del tutto nuovo immediate simpatie e vivissime inimicizie: queste ultime negli ambienti ufficiali del fascismo che provvidero coi sistemi draconiani di allora a farlo uscire « dal giro ». All'autore, costretto a rientrare nel guscio, non restarono che gli incoraggianti giudizi di qualche letterato come Pancrazi, il cui articolo peraltro fu bloccato dalla censura. Per alcuni anni lo scrittore si fermò a Roma, firmando articoli sotto vari pseudonimi (Bernari, Siglai, Caberna, Beda), e guadagnandosi da vivere nel campo dell'antiquariato librario, un mestiere tranquillo svolto sotto la guida di v[...]

[...]ni senza speranza vissute in ambienti squallidi. Questa nuova realtà rimbalza in una scrittura opaca, volutamente gremita di parole « matte » — secondo la definizione di Vittorini, che le contrapponeva a quelle « lucide » della letteratura solariana allora in voga —, di frasi elementari che volgono le spalle alla tradizione narrativa italiana piú vicina. Con questo stile insieme asciutto e raziocinante, Bernari lasciava un biglietto da visita al realismo italiano. Si parlerà infatti di lui
178 GIACINTO SPAGNOLETTI
come di uno dei promotori del neorealismo, quando il fenomeno avrà la sua crescita nel dopoguerra.
Da Tre operai in poi, tutti i motivi che contano nella narrativa dello scrittore napoletano recano sempre qualcosa che li accomuna, come l'ansia o il tentativo troppo spesso votato al fallimento di uscire da un vicolo cieco, da una situazione di angoscia e di paura; sentimenti e stati d'animo dominanti in Tre casi sospetti (1946) e in Prologo alle tenebre (1947), dove si può cogliere l'eco di quanto la guerra o l'attesa della catastrofe stavano facendo individuare a chiunque viveva allora con un minimo di coscienza civile. Ma c'è solo [...]

[...]tto di uno strumento linguistico capace di penetrare nel tessuto sociale, in quel mondo stratificato di costumi, di convenzioni e di sentimenti a sé stanti. Da ciò nacque la contaminazione fra lingua nazionale e dialetto, caratteristica di tali romanzi. Va osservato che l'operazione ebbe luogo con alcuni anni di anticipo su Ragazzi di vita di Pasolini e su altri risultati del genere, mentre già in taluni scrittori, come Marotta, l'adesione al neorealismo volgeva al ricalco folcloristico. Bernari, con Speranzella specialmente, balzò piú su del livello mimetico a cui erano giunti tutti gli altri negli anni caldi del neorealismo, dandoci, secondo la bella definizione di Enzo Golino, « un andante narrativo larghissimo, un disteso piglio cantabile ».
Ma ora urge definire il carattere essenziale della narrativa bernariana, al di là di quello che essa debba al tempo e alle sue suggestioni. Basterebbe, a mio avviso, riflettere al « calore » presente quasi in ogni storia dello scrittore napoletano, che lo conduce a toccare con mano il destino dei suoi personaggi, creandogli un « prima » e un « poi », al di fuori di una mera parabola cronologica. Questo ci mostra il caso esemplare di Un foro nel parabrezza (1971), dove il [...]

[...]ci del nostro tempo, e soprattutto quale profeta di un futuro imminente. Troviamo in un'intervista del 1970 premessa a un saggio 3 queste parole abbastanza eloquenti: « Se mi interrogo in questa direzione, devo riconoscere che ho sempre cercato di tradire quel me stesso che si disponeva a rispondere a determinate domande d'urgenza, a determinate sollecitazioni, con delle restituzioni testimoniali immediate ». Da ciò può nascere il ripudio del neorealismo quale « movimento », o corrente letteraria, come di ogni tipo di realismo che rifugga da radici di estremo rigore concettuale. e quindi dialettico, considerando che l'opera d'arte — secondo le parole di Bernari — è « un
3 E. PESCE, Bernari, Firenze, La Nuova Italia, 1970.
CARLO BERNARI 183
sistema i cui elementi compositivi hanno comportamento dialettico; quindi o vivono come messaggi antagonistici, o muoiono sul nascere, trascinando nella loro rovina l'intero apparato ». Un'affermazione, come si vede, molto risentita per chiudere in una negatività finalmente sincera ogni « apparato » condiviso e divulgato ma non fecondo di futuro; « col preciso compito di snida[...]



da Recensione di Giuseppe Grilli a Joaquim Molas, La literatura catalana d'avantguarda. 1916-1938 in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: 240

RECENSIONI

Joaquim Molas, La literatura catalana d’avantguarda. 19161938, selecció,

edició i estudi, Barcelona, Antoni Bosch, 1983, pp. 458.

L’avanguardia storica attraversa tutta la letteratura catalana del Novecento, ma non ne svela l’enigma, anzi l’accresce. È presente in tutte, o quasi tutte, le sfaccettature del movimento (futurismo, cubismo, dada, surrealismo, ecc.), ma nessuna delle grandi correnti internazionali adotta fino in fondo, omologa e si fa cassa di risonanza di un poeta catalano. Con i pittori accade, invece, esattamente l’opposto: Torres Garcia, Dalì, Miro, Renau, e poi i giovani del gruppo Dau al set, sono tra i massimi rappresentanti delle nuove tendenze. Alcuni, come Dalì e Miro, espressero la caratteristica oscillazione, propria del secolo, tra affermazione parigina e mercato newyorkese. Altri, come Torres Garcia o Renau, scelsero il mercato parallelo, quello dell’ideologia, e una committenza pubblica o collettiva. Tuttavia nei mo[...]

[...]di Junoy e Folguera; quel continuo impegnarsi, e poi svicolare, di Foix; quell’epigonismo così passatista di SànchezJuan; quel radicalismo troppo declamatorio dei surrealisti Dalì, Gasch, Montanyà e dei loro emuli di sinistra (Miravitlles) o di destra (DiazPlaja, Massoliver); ecc. Parimenti il prolungarsi negli anni Trenta dei movimenti, quando il futurismo salvatiano si converte in letteratura popolare, o addirittura in paraletteratura, e il surrealismo passa da una gestione di sinistra, filotrozkista, a un tentativo di strumentalizzazione filofascista, determina la strana condizione dei gruppi del dopoguerra, sospesi tra legami utopici con la tradizione delle avanguardie storiche e la prefigurazione della neoavanguardia. Tutto sommato, però, le difficoltà che scaturiscono dalla fissazione della cronologia proposta da Molas non credo che possano diminuire il vantaggio rappresentato da una definizione del quadro di riferimento. Questo alla fine risulta capiente e unitario insieme; è infatti capace di comprendere le manifestazioni più signific[...]

[...]erills », è da ascrivere il mancato ingresso dei catalani nei gruppi organizzati internazionalmente, con la sola eccezione appunto di Dall. Ma anche in questo caso fu un’adesione con molte riserve, mediazioni e coperture: Gala, Bunuel, Garda Lorca, ecc. Un’adesione che culminò, per altro, nel 1934 nella richiesta, da parte di Breton, di espulsione di Dalì a causa delle sue dichiarazioni filonaziste (p. 108). Ma se del rapporto politico tra il surrealismo catalano e il leader riconosciuto dell’internazionale, è ormai noto se non tutto, almeno buona parte, ancora troppo poco sappiamo degli incontri e degli scontri avvenuti tra Marinetti e SalvatPapasseit, o tra i massimi esponenti di dada e Foix. Ci sono indizi consistenti per affermare che questi rapporti ci furono; come mai sono rimasti occulti? L’aver posto questo interrogativo è un altro dei meriti del libro che stiamo commentando. C’è forse una superdirezione che travalica gli stessi gruppi dirigenti dei movimenti organizzati e che decide a chi dare la parola e a chi toglierla? Certo non è[...]

[...]erdirezione che travalica gli stessi gruppi dirigenti dei movimenti organizzati e che decide a chi dare la parola e a chi toglierla? Certo non è la prima volta che l’ipoteca cortigiana si affaccia all’orizzonte dell’avanguardia storica.

In fondo, però, il problema catalano resta quello indicato all’inizio, come coniugare le poetiche proprie del Novecento, modernismo e novecentismo, con i tre grandi filoni dell’avanguardia: futurismo, dada, surrealismo. Molas dedica al problema i primi due capitoli del suo studio, ma forse la questione non si esaurisce in una spartizione quantitativa. In vero tutti, o quasi tutti i gruppi e i gruppetti catalani hanno finito per rendere omaggio, più o meno sentito, alla simbologia di questo o quel movimento d’avanguardia, persino gli oppositori più accaniti, come il pittorescrittore Santiago Russinyol, modernista, localista e colorista. C’è una sua bella tavola parolibera, ad esempio, nel giornale satirico « L’Equella della Torratxa » del 13.4.1917 che si intitola Retrat futurista', in essa le parole, dispos[...]

[...]mentale in Catalogna, « Carte segrete», 36, 1977, pp. 3879). Ma la sua maggiore originalità è nel tentativo di costruire un vero e proprio poemetto neoclassico, una forma che Salvat riprende da Joan Maragall, integrandovi le innovazioni metricotipografiche e i contenuti della poesia futurista: è lo straordinario Poema de la rosa als llavis del 1924.

Foix è autore di una delle più belle composizioni dada (il Poema de Sitges); è l’inventore del realismo magico (Gertrudis, 1927 e KTRU, 1932), che egli introduce separandolo dalla scrittura automatica surrealista (per un confronto si vedano le prose di Dall e Planellas riprodotte da Molas); è il solo poeta d’avanguardia in Europa che riesca a mettere insieme nei sonetti di Sol, i de dol (1936) il sessismo postfreudiano, il medievalismo alla Maurras e il neoumanesimo della poesia pura postsimbolista. La sua influenza sulla letteratura futurista, dada o surrealista, è stata nulla, ma il prezzo pagato per il mancato successo internazionale gli è valso il bottino più ricco in patria. Dal gruppo di [...]

[...]ostsimbolista. La sua influenza sulla letteratura futurista, dada o surrealista, è stata nulla, ma il prezzo pagato per il mancato successo internazionale gli è valso il bottino più ricco in patria. Dal gruppo di Sabadell, che fu la sola 4 avanguardia ’ autoctona e stravagante (Molas ne parla alle pp. 9899), emerge la prosa narrativa di un Francese Trabai, o di un Cesar August Jordana, che già nei primi anni Trenta rendevano il giusto tributo al realismo foixano: più tardi verranno Calders e Perucho e gli epigoni. Intanto tutta la poesia catalana postribiana è sotto il segno, diretto o indiretto, di Foix: da Pere Quart a Ferrater, da Brossa a Gimferrer. Ma l’opera di Foix è244

RECENSIONI

emblematica anche per un altro motivo: essa infatti con ogni probabilità si svolge al riparo di una dominanza dada, eppure ottiene i suoi massimi risultati laddove sono futurismo e surrealismo a dirigere il programma della scrittura. E questo stesso è anche il più generale destino di tutta l’avventura dei movimenti di avanguardia catalani.

In conclusione si può affermare che la contraddizione tra il notevole complesso testuale accumulato e la marginalità del ruolo internazionale rende l’avanguardia catalana particolarmente interessante per una comprensione non superficiale del fenomeno delle avanguardie storiche in Europa, della autoemarginazione in cui hanno sospinto tanta parte di sé, come della sopravvalutazione che hanno indotto. Conoscere l’avanguardia catalana, ora che ne [...]



da (9 Domande sul romanzo) Elsa Morante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]ato né ragione, se non fosse che per ogni esistenza si scopre una diversa realtà. L'avventura della realtà è sempre un'altra. Ma al romanziere (come a ogni altro artista) non basta l'esperienza contingente della propria avventura. La sua esplorazione deve tramutarsi in un valore per il mondo: la realtà corruttibile dev'essere tramutata, da lui, in una verità poetica incorruttibile. Questa è l'unica ragione dell'arte: e questo è il suo necessario realismo.
Supremi esempi di nonrealismo, di nonimpegno, e di evasione, a me sembrano certi prodotti del realismo socialista (così nominato), o del (così nominato) neorealismo contemporaneo.
Un vero romanzo, dunque, è sempre realista: anche il più favoloso! e tanto peggio per i mediocri che non sanno riconoscere la sua realtà. Soltanto degli sciocchi, a esempio, potrebbero disconoscere il realismo di Alighieri: per quanto il suo romanzo pretenda narrare le peripezie di un vivente nell'oltretomba e metta gli angeli e i diavoli sulla scena. Così pure, a esempio, è realista la narrativa di Poe: giacché le figure, che egli proietta nel mondo, rappresentano con verità la sua psicologia reale di uomo vivente. Se egli, falsando la propria realtà psicologica, avesse descritto con zelo documentario, a edificazione dei borghesi suoi concittadini, gli onesti passatempi domenicali di una famigliola puritana, allora si che non sarebbe stato realista. Né più né meno che non sarebbe stato realista Ve[...]

[...] la più stolta offesa alla persona umana se si riconoscesse all'uomo soltanto la sua funzione sociale (di poeta, o di medico condotto, o di re, o di pescatore) e si ignorasse la sua prima verità, e la più umana realtà del suo dramma: che è una realtà psicologica. Tolstoi, scrivendo (se ben ricordo) al giovane Gorki, lo avverte che è lecito inventare qualsiasi cosa in un romanzo, fuorché la psicologia. Per me, questa è l'unica, assoluta legge del realismo nel romanzo.
Ogni vero romanzo é un dramma psicologico, perché rappresenta il rapporto dell'uomo con la realtà. E il primo termine di questo rapporto, é, in partenza, sempre l'autore del romanzo, giacché è il suo diverso orientamento psicologico a determinare la scelta del suo itinerario nella esplorazione del mondo reale. Si potrebbe dire che l'avventura umana, rappresentata in un romanzo, è sempre soggettiva, perché significa sempre, nella sua verità, il dramma umano del romanziere stesso (cioè il suo particolare rapporto col mondo). Se si volesse isolare il sentimento predominante che sti[...]



da Georg Lukacs, Problemi della coesistenza culturale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]ntrambi i sistemi, soprattutto per il fato che si tende a ignorare le lotte interne di tendenza nel campo dell'avversario. Non si poté evitare che ciò avvenisse nell'epoca di Stalin, ed ho già accennato altrove ad alcune conseguenze, ancora oggi operanti. La più importante, e la più pericolosa per lo sviluppo della letteratura socialista, é che non si tiene conto della lotta mai interrotta, anzi sempre più intensa, che si svolge in Occidente tra realismo e antirealismo. In Occidente, tali pregiudizi riguardo al realismo socialista sono del resto dominanti. Si dimentica che il periodo prestaliniano della Rivoluzione, i cui effetti perdurarono nella letteratura fino alla metà degli anni trenta, hanno prodotto non soltanto films ma anche scrittori come Séolokov e Makarenko, opere come gli ultimi drammi di Gorki, ad esempio Klim Samgin. E non si dimentichi che l'opposizione contro i metodi stalinisti, anche se fino a ora é soltanto agli inizi, ha rivelato scrittori come Solzenitsyn o Nekrassov, le cui opere non significano affatto una rottura con il realismo socialista bensì il suo interno rinnovamento adeguato [...]

[...]ivoluzione, i cui effetti perdurarono nella letteratura fino alla metà degli anni trenta, hanno prodotto non soltanto films ma anche scrittori come Séolokov e Makarenko, opere come gli ultimi drammi di Gorki, ad esempio Klim Samgin. E non si dimentichi che l'opposizione contro i metodi stalinisti, anche se fino a ora é soltanto agli inizi, ha rivelato scrittori come Solzenitsyn o Nekrassov, le cui opere non significano affatto una rottura con il realismo socialista bensì il suo interno rinnovamento adeguato alle esigenze attuali. Questa é la via per la quale la letteratura socialista potrà riconquistare la sua importanza.
Non trattiamo tutti i problemi che scaturiscono da questa situazione, e dal suo futuro superamento da un osservatorio meramente estetico, ma soltanto come partì di quel complesso che abbiamo cercato in precedenza di intendere come lotta tra concezioni del mondo. Non per questo viene escluso il fattore estetico, al contrario. Esso sostiene un ruolo decisivo, giacché un'influenza generale, profonda e durevole sul piano della [...]

[...]ssa scaturiscono abbiano le più profonde radici proprio nel terreno del contenuto umano della concezione del mondo. Quando l'aspetto puramente formale dell'arte viene posto in modo quasi esclusivo al centro dell'interesse, questo è generalmente il segno di un sostanziale affievolimento del rapporto tra arte e pubblico, ovvero il convergere dei suoi effetti in un accomodamento cinicoapatico dalle forme di vita volta per volta date, mentre il vero realismo — in modi sempre differenti — suole esercitare un'influenza stimolante, liberatrice per la conservazione dell'integrità morale dell'uomo. In tutto ciò, bisogna naturalmente considerare che qui si parla soltanto degli effetti dell'opera stessa, non delle intenzioni dell'autore. Ovviamente, anche nel campo della teoria esiste un legame diseguale e contraddittorio tra l'intenzione soggettiva e la tendenza e il peso oggettivi riguardo all'influenza
24 GEORG LUKACS
sugli uomini. Tuttavia, questa contraddittorietà nel campo dell'arte si accresce qualitativamente. Ed è per essa una tendenza negati[...]

[...]ione intellettuale che parta da tali premesse eserciterà per forza un'influenza paralizzante. Quando poi tale direzione arriva fino a imporre divieti, assai facilmente porterà a conferire a tendenze in sé superficiali e passeggere un'eccessiva forza di attrazione, a rendere la loro influenza più profonda e durevole di quel che non sarebbe stata nella sua spontaneità. In ultima analisi, anche i tentativi che compiono in Occidente per diffamare il realismo da un punto di vista estetico opereranno allo stesso modo.
Queste brevi osservazioni non hanno certo la pretesa di .prendere posizione esteticamente sull'arte del nostro tempo e sulle prospettive del suo sviluppo nello Svolgimento della coesistenza culturale. Si é inteso soltanto accennare ad alcuni tratti essenziali che precisano il peculiare ruolo dell'arte entro le lotte ideologiche della coesistenza culturale.
In generale, abbiamo cercato, al di là delle difficoltà attuali, specifiche e prevedibilmente condannate ad essere superate dallo sviluppo futuro, di accennare alle sue prospettiv[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine realismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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