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Il segmento testuale psicologia è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1197Analitici , di cui in selezione 37 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Pietro Citati, Ideologia e verità in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]soria, aggrovigliando ed impastando in un unico ed enorme intrico tutte le emozioni, affondando sino al collo in una materia così stupendamente infetta. Lo scrittore e il lettore di oggi, come l'uomo che ogni giorno incontriamo per la strada, sono stati tutti — anche senza saperlo — educati a questa scuola. Ma siamo così abituati, ormai, a vivere in un mondo mescolato, confuso ed impuro: siamo talmente allenati a considerare insieme fisiologia e psicologia, che codesto mostruoso groviglio di pensieri, sensazioni e sentimenti, dal quale i nostri padri erano ancora così cupamente affascinati, ha perso per noi gran parte del suo incanto. Sicuro ed impartecipe, il nostro sguardo analizza le zone di confine e distingue ogni volta in quale misura il corpo e lo spirito oscillino e si confondano nelle nostre emozioni.
Educato da Freud, abituato a sottomettere allo spettroscopio qualsiasi emozione, l'uomo moderno ha subito una curiosa esperienza. Dopo un secolo di psicologia « totale », gli capita ormai di seguire il comportamento del proprio corpo qua[...]

[...]entimenti, dal quale i nostri padri erano ancora così cupamente affascinati, ha perso per noi gran parte del suo incanto. Sicuro ed impartecipe, il nostro sguardo analizza le zone di confine e distingue ogni volta in quale misura il corpo e lo spirito oscillino e si confondano nelle nostre emozioni.
Educato da Freud, abituato a sottomettere allo spettroscopio qualsiasi emozione, l'uomo moderno ha subito una curiosa esperienza. Dopo un secolo di psicologia « totale », gli capita ormai di seguire il comportamento del proprio corpo quasi con la medesima astratta sicurezza con la quale può tracciare linee o cerchi sulla lavagna. Il suo corpo non gli appartiene: é di nuovo fuori
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di lui. Come un tempo, la psicologia può tornare a liberarsi dalla fisiologia, che affida alle cure dello scienziato o del tecnico. E l'ambizione, l'orgoglio, la coscienza di sé, quei sentimenti attorno ai quali la moralistica classica edificò la sua nozione dell'anima? Basterebbe ritrascrivere i Caratteri di La Bruyère nel linguaggio del ventesimo secolo, per comprendere quanti sentimenti stiano perdendo la loro antica forza propulsiva. Possiamo dunque anticipare le ovvie conclusioni della nostra ipotetica inchiesta. La figura umana ha ristretto e concentrato i propri confini, perdendo molti dei suoi contenuti tradizionali. Ha,[...]

[...]blimi lo immergeranno in una atmosfera di incubo. Sarà certo la sua diminuita e impoverita umanità a non tollerare quelle eroiche dismisure. Ma sul nostro immaginario uomo moderno non vorrei incrudelire. Come non accorgersi, alla fine, quanto poetici possano essere anche i nostri civili e poco vitali contemporanei. Sensibili, modestamente infelici, grigi, intelligenti, delicati, ansiosi, essi hanno innanzitutto bisogno, per essere intesi, di una psicologia che sappia cogliere il valore delle nuances.
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Con quali strumenti psicologici, con quali disposizioni analitiche ci avvicineremo al mitico abitante delle villette? La psicologia moderna ha asató l'inosabile, ha accolto tutti i contenuti, ha tentato .tutte le tecniche, e sembrerebbe che nessunsentimento debba mai riuscirle difficile o alieno. Quanto alle nuances, poi,
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è nata con loro; e ha talmente sacrificato al loro valore conoscitivo, da dissolversi nell'indistinto. Dopo due secoli di analisi infinitesimali, di furibonda investigazione attorno alle gradazioni e ai passaggi impercettibili, di scavi in zone fino allora proibite, il narratore moderno si trova immerso in una immensa ricchezza di reazioni psicologiche pure, in un infinito conglom[...]

[...]nte sacrificato al loro valore conoscitivo, da dissolversi nell'indistinto. Dopo due secoli di analisi infinitesimali, di furibonda investigazione attorno alle gradazioni e ai passaggi impercettibili, di scavi in zone fino allora proibite, il narratore moderno si trova immerso in una immensa ricchezza di reazioni psicologiche pure, in un infinito conglomerato di sfumature. Chi vorrebbe negarlo? Ma dimentichiamo di aggiungere che i creatori della psicologia moderna lavoravano d'après nature, descrivevano acutamente le sfumature, abbondavano nelle mezzetinte e nei mezzitoni, nelle evanescenze e nell'indefinibile, soltanto, come avrebbe detto Van Gogh, per dipingere des fleurs trop grandes.
Alla psicologia gli inventori della psicologia moderna, gli autori di quelle farse dilatate e sublimi che si chiamano la Comédie Humaine e la Recherche, I Fratelli Karamazov e l'Ulysses e Der Mann ohne Eigenschaften, non ebbero mai alcuna intenzione di fermarsi. La consideravano appena un ingrediente di una tela che mirava ad abbracciare tutto l'universo, deformandolo e travolgendolo nelle più aggrovigliate contraddizioni grottesche. Mescolavano insieme Dio e l'inferno, l'eccelso e l'informe, impastando le più diverse note linguistiche usufruivano ad ogni passo dei salti di tono; si abbandonavano al lirismo per ricorrere subito dopo alle [...]

[...]uoi sentimenti e delle sue emozioni é dunque divenuta più povera e più ristretta: intere zone del suo animo stanno cedendo ad una esperienza che si raccoglie, via via, attorno al proprio nucleo. Sembra che la stessa vita si sia assunta il compito a cui un tempo adempivano gli scrittori: lascia cadere tutti i sentimenti secondari, abolisce il corpo, le circostanze, i tempi, esige l'essenziale, illumina soltanto il nascosto centro del cuore. Ma la psicologia non ha bisogno, per svilupparsi e fiorire, di un campo vastissimo e contraddittorio di esperienze. Prima che Balzac affondasse la propria sonda a tutti i livelli della persona, e Dostojevskij raffigurasse gli sconvolgimenti dell'isterismo e della dispersione nervosa, i grandi poeti ed interpreti dell'animo umano sapevano concentrare il fuoco della propria attenzione su di un solo punto, trascurando ogni possibile e curiosa deviazione, ma illuminando di una luce spietata quell'unico centro sentimentale.
L'uomo moderno probabilmente richiede, per essere rappresentato, una attitudine psicologic[...]

[...]tentativo di Joyce, nei racconti piú scarni ed impartecipi dei Dublinars. Di suo RobbeGrillet ci ha aggiunto specialmente l'abilità diabolica del congegno, e quella specie di folle ascetismo avanguardistico, per cui la poesia viene a coincidere interamente con le trovate tecniche, con le formule che si vengono man mano inventando. Ma quanto a fare di questa formula quella stessa della narrativa moderna, l'unica arte possibile in un mondo dove la psicologia sarebbe scomparsa, non é nemmeno il caso di parlarne. Sono quei discorsi che passano gli anni, la vita continua e muta, l'avanguardia si copre di rughe, e uno si vergogna persino di averli non dico fatti ma pensati.
In un recente articolo, Italo Calvino, raccogliendo insieme alcuni sintomi e tendenze recentissime, vede la letteratura e l'arte di oggi sepolte sotto Il mare dell'oggettività. Non riesco per conto mio a condividere la sua tesi, che uno spartiacque senza rimedio divida le tendenze oggettivistiche dei RobbeGrillet e dei Pollock dall'arte, per cosí dire soggettivistica, della prima[...]



da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...] suoi problemi anche quando volge la sua attenzione all’arcaico, al simbolico, al mitico, al magico, al sacro*MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

Negli ultimi quarantanni, e più precisamente a partire dalla fine della prima guerra mondiale il dominio delle scienze religiose è senza dubbio entrato in una crisi decisiva. Nell’età precedente le scienze religiose — cioè la filosofia, la storia, la etnologia, la tipologia, la sociologia, la psicologia della religione — nella misura in cui si muovevano al di fuori di presupposti teologici e apologetici mostravano uno spiccato orientamento ad accogliere i temi ermeneutici della eredità illuministica, idealistica, materialistica e positivistica: basterebbe ricordare gli schemi dell’evoluzione religiosa dell’umanità dal Comte in poi, le teorie religiose di Fuerbach e del materialismo storico, la scienza del mito e la storia comparate delle religiosi inaugurate da Max Mùller, la etnologia religiosa di un Tylor e di un Frazer, la psicologia del misticismo di un Janet o di un Leuba, la Vdikerpsyc[...]

[...]gici e apologetici mostravano uno spiccato orientamento ad accogliere i temi ermeneutici della eredità illuministica, idealistica, materialistica e positivistica: basterebbe ricordare gli schemi dell’evoluzione religiosa dell’umanità dal Comte in poi, le teorie religiose di Fuerbach e del materialismo storico, la scienza del mito e la storia comparate delle religiosi inaugurate da Max Mùller, la etnologia religiosa di un Tylor e di un Frazer, la psicologia del misticismo di un Janet o di un Leuba, la Vdikerpsycholologie del Wundt e la interpretazione sociologica della religione da parte del Durkheim e della sua scuola, la riduzione della religione e sublimazione della sessualità da parte del primo freudismo. Nei vari indirizzi di quest’epoca, per quanto diversi fra di loro per metodi e per risultati, si palesa la innegabile comune tendenza a non riconoscere al rapporto religioso una sua specifica e permanente funzione nella storia culturale deirumanità. In generale, consapevoli o non che ne fossero i singoli autori, la religione e il mito veniv[...]

[...]rumanità. In generale, consapevoli o non che ne fossero i singoli autori, la religione e il mito venivano ricondotti ad altro, erano « maschera » di qualche cosa d’altro : di esigenze filosofiche, scientifiche, estetiche, morali, di mondani bisogni proiettati nel sopramondo e nel sopramondo illusoriamente soddisfatti, di strutture economicosociali o addirittura 'della sessualità. Un’analoga tendenza « riduttiva » si faceva valere nel campo della psicologia del misticismo, dove l’analisi era prevalentemente orientata a sottolineare i disordini psichici nelle esperienze dei mistici. In ogni caso si faceva strada in modo più o meno esplicito e consapevole la persuasione che la civiltà moderna aveva ormai imboccato la via della saggezza, e si accingeva a dissolvere le proiezioni religiose della sua eredità arcaica, e a vivere la sua vita morale e sociale in piena autonomia, al di fuori degli impacci miticorituali. Lo stesso cattolicesimo fu investito dalla tempesta, e dovette fronteggiare il movimento modernista.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ M[...]

[...] «impronte» che la scienza psicologica deve limitarsi a ipotizzare rinunziando al problema della origine, tuttavia la fede e la teologia potrebbero ricondurre l’impronta a Colui che lascia l’impronta, cioè a Dio.

« Se come psicologo dico che Dio è un archetipo, mi riferisco con questa affermazione a un « tipo » dell’anima, che notoriamente deriva da typos, impronta. Già la parola « archetipo » presuppone un qualcuno che imprime l’impronta. La psicologia come scienza dell’anima deve limitarsi al suo proprio oggetto... Se essa dovesse anche soltanto come causa ipotetica postulare un Dio, avrebbe implicitamente avanzato l’esistenza di una possibile dimostrazione di Dio, oltrepassando così la sua competenza in modo assolutamente inammissibile. La scienza può essere soltanto scienza: non ci sono dimostrazioni scientifiche della fede» (34).

(33) Ùber die Energeti\ der Seele, 1919, p. 189.

(34) In Psychologie und Alchemìe, 1944, p. 27 sg. (2) C. G. Jung, Aion, 1951, p. 107.24

ERNESTO DE MARTINO

In altra sua opera Jung si chiede, se il [...]

[...]e P. Zacharias, accogliendo prontamente la concessione, ha valutato appunto quali sarebbero le conseguenze teologiche quando si assuma il « se stesso » come simbolo di Cristo (36). D’altra parte in una conversazione personale col suo esegeta cattolico R. Hostie, Jung ha finito col definire a questo modo la sua posizione religiosa : « È chiaro che Dio esiste, ma perché mi si chiede sempre di provare la sua esistenza con dimostrazioni tratte dalla psicologia? » (37). Del resto lo Jung aveva desiderato a lungo di poter collaborare con teologi preparati in psicologia, i quali « benevolmente e con comprensione lo avessero aiutato a correggere e ad integrare la sua insufficiente terminologia teologica», e non mancò di compiacersi quando un domenicano, P. White, gli consentì di realizzare la collaborazione « da lunghi anni attesa » (38). Questa « intesa » che si va progressivamente stabilendo fra junghismo e mondo cattolico è giustificata dal fatto che effettivamente lo Jung negli ultimi decenni si è reso sempre più largamente partecipe del movimento di rivalutazione esistenziale della religione. Colui che fu già nel 1902 discepolo di Pierre Janet alla Salpe[...]

[...]anza fra l’esperienza del « vivente rapporto con gli archetipi », quali gli veniva suggeriti dalla sua pratica di psicoterapeuta, e i momenti del numinoso così come R. Otto li aveva indicati nella sua ricerca fenomenologica sul Sacro. Il sentimento di dipendenza, il maestoso, l’efficace per eccellenza, il mistero tremendo e fascinante, il tutt’altro che chiama perentoriamente al rapporto, potevano essere agevolmente tradotti nel linguaggio della psicologia analitica come segno del rapporto con realtà psichiche non dipendenti dalla coscienza, svolgentisi nell’oscurità dell’inconscio: di un rapporto, cioè, che si identifica in ultima istanza con ciò che la psicologia analitica aveva definito come rapporto con gli archetipi e come processo di individuazione (39). Se poi queste realtà psichiche fossero il riflesso della realtà ontologica di Dio, la psicologia come scienza non era in condizione di decidere, e doveva lasciare il passo alla fede e alla teologia. Una posizione del genere non era più incompatibile con la teologia, ed in sostanza manifestava un sostanziale accordo con le note tesi cattoliche circa i « limiti di competenza » della ricerca scientifica in generale (40).

Attraverso il suo condizionamento inconscio, sottolineato con tanto

(39) Si veda, per questa parte dell’influenza di R. Otto, sulla interpretazione junghiana della religione, Jung, Psychologie and Religion, New Haven, 1938 (Psychologie und Religion, Ziirich 1940).

[...]

[...]onamento per entro determinate civiltà religiose, palesano una efficacia che si estende allo stesso ordine somatico e fisico ordinariamente precluso alla decisione consapevole. In questo caso il simbolo miticorituale non si limita alla ripresa del «passato psichico perduto», ma fa da ponte tra lo psichico e il somatico, tra lo psichico e il fisico, instaurando efficacie di cui l’incantesimo Cuna precedentemente ricordato offre un esempio. La parapsicologia e la medicina psicosomatica hanno probabilmente favorito il diffondersi nelle scienze religiose di un più cauto apprezzamento circa l’efficacia possibile dei simboli miticorituali: ma è certo che il rinato interesse per un problematico del genere è in rapporto con l’orientamento generale dell’epoca che stiamo esaminando.

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Una valutazione critica del movimento di rivalutazione deve partire, per quel che ci sembra, dalla esperienza del numinoso. Nella teorizzazione che ne ha dato R. Otto, si tratta — come si è detto — di una « ultima Thule » esistenziale, o, se più piace, di una sort[...]



da (9 Domande sul romanzo) Elsa Morante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]ista: anche il più favoloso! e tanto peggio per i mediocri che non sanno riconoscere la sua realtà. Soltanto degli sciocchi, a esempio, potrebbero disconoscere il realismo di Alighieri: per quanto il suo romanzo pretenda narrare le peripezie di un vivente nell'oltretomba e metta gli angeli e i diavoli sulla scena. Così pure, a esempio, è realista la narrativa di Poe: giacché le figure, che egli proietta nel mondo, rappresentano con verità la sua psicologia reale di uomo vivente. Se egli, falsando la propria realtà psicologica, avesse descritto con zelo documentario, a edificazione dei borghesi suoi concittadini, gli onesti passatempi domenicali di una famigliola puritana, allora si che non sarebbe stato realista. Né più né meno che non sarebbe stato realista Verga se, in luogo di proiettare nel mondo (secondo la propria realtà psicologica) le figure dei Malavoglia, avesse fabbricato, a edificazione della sua parrocchia o dei Circoli della Caccia locali, dei pescatorelli e delle pescatorelle sul genere di quelli dei calendari, o dei manifesti tu[...]

[...]o in quanto umano, è un dramma psicologico. Si recherebbe la più stolta offesa alla persona umana se si riconoscesse all'uomo soltanto la sua funzione sociale (di poeta, o di medico condotto, o di re, o di pescatore) e si ignorasse la sua prima verità, e la più umana realtà del suo dramma: che è una realtà psicologica. Tolstoi, scrivendo (se ben ricordo) al giovane Gorki, lo avverte che è lecito inventare qualsiasi cosa in un romanzo, fuorché la psicologia. Per me, questa è l'unica, assoluta legge del realismo nel romanzo.
Ogni vero romanzo é un dramma psicologico, perché rappresenta il rapporto dell'uomo con la realtà. E il primo termine di questo rapporto, é, in partenza, sempre l'autore del romanzo, giacché è il suo diverso orientamento psicologico a determinare la scelta del suo itinerario nella esplorazione del mondo reale. Si potrebbe dire che l'avventura umana, rappresentata in un romanzo, è sempre soggettiva, perché significa sempre, nella sua verità, il dramma umano del romanziere stesso (cioè il suo particolare rapporto col mondo). S[...]

[...]ell'esistenza e delle « relazioni » nel mondo, in Poe è l'orrore della morte, ecc. Sono sempre sentimenti soggettivi, ma il dramma, che ne nasce, ha sempre, come ogni dramma, un termine di rapporto oggettivo: che è sempre, in ogni romanzo, il mondo
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reale. Così, anche la distinzione fra romanzi soggettivi e romanzi oggettivi, a me sembra soltanto esterna. E riguardo all'ipotesi che il romanzo volti definitivamente le spalle alla psicologia, essa mi sembra assurda nella sua stessa enunciazione, perché il romanzo è, in se stesso, la proiezione di una psicologia nel mondo. Lo è quando intreccia favolisticamente delle vicende, non meno di quando si ferma a esaminare, in termini di analisi psicologica, le coscienze e le relazioni umane. Ma in quanto, poi, alla scelta fra queste due diverse forme espressive (la favolistica e la psicologica) direi anche qui (come per il romanzo di pura rappresentazione rispetto a quello saggistico) che essa, più che dalle diverse società o dalle mode, dipenderà sempre, forse, dalla diversa psicologia che distingue ogni autore di romanzi da un altro, come ogni uomo da un altro. Suppongo perciò che la coesistenza di queste[...]

[...]quando intreccia favolisticamente delle vicende, non meno di quando si ferma a esaminare, in termini di analisi psicologica, le coscienze e le relazioni umane. Ma in quanto, poi, alla scelta fra queste due diverse forme espressive (la favolistica e la psicologica) direi anche qui (come per il romanzo di pura rappresentazione rispetto a quello saggistico) che essa, più che dalle diverse società o dalle mode, dipenderà sempre, forse, dalla diversa psicologia che distingue ogni autore di romanzi da un altro, come ogni uomo da un altro. Suppongo perciò che la coesistenza di queste due forme sia un fenomeno naturale in ogni tempo (basterebbe ricordare che uno stesso secolo vide nascere lo psicologico Canzoniere petrarchesco e il puro oggettivismo del Decamerone...).
***
Giustificato, invece, da un'esigenza particolare del nostro secolo, mi sembra il frequente e particolare uso, da parte dei romanzieri moderni, della prima persona. È un fatto che la multiformità sterminata e cangiante (la chiamata «relatività ») dell'oggetto reale, anche se fu semp[...]

[...]na sparizione della persona umana dal mondo) non si può considerare possibile una crisi mortale dell'arte.
Se per crisi invece s'intende « sviluppo » o « trasformazione » (o magari «eclisse temporanea ») è certo che ogni forma artistica, come ogni altra espressione umana, partecipa delle crisi periodiche della società e della vita: anzi, ne è il centro sensibile. Il nostro secolo é il luogo di un passaggio drammatico: che si può tradurre, nella psicologia, in una crisi d'angoscia. Così accade che gran parte degli artisti odierni proiettino, nel mondo, le proprie immagini reali (che essi chiamano astratte) di questa angoscia. Tali, che, molto spesso, per quanto si nominino « artisti », essi, invece, abdicano, nell'atto stesso di esprimersi, alla prima ragione dell'arte: che é la forma della verità, espressa attraversò la realtà delle cose. Le loro immagini si limitano a rendere la greggia realtà della loro angoscia. E qui, curiosamente, certi astrattisti di ogni arte si ricongiungono con quelli che essi ritengono i loro contrari: e cioè i natur[...]

[...]di valori poetici dentro le stesse negazioni di questi valori. Ma una simile pretesa, forse, può valere a confermare, infine, la esigenza perenne e disperata di valori poetici nel mondo.
Bisogna osservare, a questo punto, che l'abdicazione ai simboli, e certe « regressioni » e « riduzioni » per effetto dell'angoscia, anche se non possono giustificare col titolo di arte i loro prodotti, si confessano, in se stesse, come nude esperienze umane. La psicologia moderna ha insegnato che spesso l'angoscia, nella sua estremità, cerca una medicina e un riposo nella riduzione spettrale del mondo, e nel ritorno al disordine dell'informe e del prenatale. Anche nei miti, le lotte coi draghi infernali, le discese sotterranee, e le traversate dell'irrealtà notturna rispecchierebbero questa esperienza psicologica comune.
Ma anche nei miti, appunto, si legge che il protagonista solare (ossia la immaginazione ragionante, consapevole del destino) risale sempre dalla prova della notte, portando la liberazione alla città devastata. A lui si richiede di affrontare [...]



da (9 Domande sul romanzo) Sergio Solmi in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]i verso il romanzo popolare tradizionale, propria della narrativa moderna (quei canali che mantenevano invece aperti grandi scrittori del secolo scorso, come Balzac, Hugo, la Sand, Manzoni, Dostoiewskj); se si pensa al completo tramonto dell'epica popolare ottocentesca nei suoi esemplari più riconoscibilmente letterari, da Walter Scott a Dumas Padre a Sue fino a Emile Gaboriau, e della fusione che essa operava di rappresentazione storicosociale, psicologia e mito collettivo; se si pensa alla conseguente clausura e « aristocraticizzazione » del romanzo (parallela, del resto, a quella della poesia, della musica e delle arti figurative), si avrà un aspetto di « crisi » su di un piano generale, del resto in atto da molto tempo.
2) Il romanzo cc saggistico » non è una novità nella storia letteraria. Il più o meno frequente intervento dell'autore nella narrazione, sia per trarre il succo morale della vicenda narrata, sia per consolidarne la verisimiglianza di prospettive mediante excursus descrittivi o storici, rappresenta già di per sé un atteggiam[...]

[...]iche, sia la coesistenza di diversissime forme e modi e ideali stilistici e morali.
3) Conosco e apprezzo alcune delle opere che vanno sotto il nome della scuola narrativa francese del « nuovo realismo », o « école du regard » (come l'ha chiamata Emile Henriot). Ma apprezzo assai meno le teorie con le quali i loro autori intenderebbero appoggiarle e giustificarle. Non mi sembra esatto affermare che un tale tipo di romanzo « volge le spalle alla psicologia », bensì che esso tende piuttosto a rilevarla in modi indiretti, o implicandola in movimenti e passaggi di ordine strettamente fisiologico, corporeo, o lasciandola indovinare mediante le tracce enigmatiche che la vicenda romanzesca ha lasciato sugli oggetti visualmente recepiti e descritti, o facendola scaturire per suggestione dall'apparente oggettività di un contesto dialogato ecc. A parte le differenze che presentano tra loro i vari scrittori censés di appar
9 DOMANDE SUL ROMANZO 57
tenere a detta scuola, e che rendono assai difficile escogitare per essi un reale denominatore comune (qua[...]

[...]à noti alla lirica francese degli ultimi decenni, diretti ad accentuare l'emozione, per così dire, obliterandola, e in realtà isolandola con reagenti negativi (vuoi d'indifferenza, vuoi di distrazione laterale, vuoi vagamente nostalgici, o scopertamente ironici), in maniera da presentare, per così dire, lo scavo in rilievo, o viceversa.
Roland Barthes, a proposito di RobbeGrillet, ha accennato alla crisi della civiltà borghese, e della relativa psicologia, e, quindi, all'attualità di un « formalismo assoluto » (le dégré zéro de l'histoire). Ma anche questa tesi poco mi convince. La psicologia di un mondo in crisi non vuol dire assenza di psicologia, ma piuttosto ambiguità, contraddizione, che quindi può benissimo essere resa, magari in modi anch'essi ambigui e contradditori.
Perciò l'ultimo romanzo di RobbeGrillet, La jalousie, che sembra intenda realizzare in pieno la definizione di Barthes, sopprimendo la psicologia mediante la soppressione dello stesso personaggio principale (ridotto a un ipotetico, astratto e innominato punto di vista attorno a cui ruota il racconto), resta un prodotto eccezionale, il risultato di una specie di scommessa, e in definitiva astratto e volontario. Mentre il precedente romanzo, Le voyeur, presentava, invece, nella forma indiretta di cui s'è accennato, l'evocazione di una realtà psicologica — sia pure bruta ed elementare —, destando di riflesso quella forza emotiva, senza la quale non si dà romanzo, né arte in genere.
Mi sembra poi che rientri solo di scorcio nella pur vagh[...]



da Roberto Pertici, Giovanni Amendola: l'esperienza socialista e teosofica (1898-1905) in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...] penna, analisi spesso ingenue ed entusiastiche di libri dei vari Charcot, Flournoy, Figuier, Sidgwick; ma soprattutto egli guardava a coloro (William James, F. Myers) che non solo erano lontani da ogni scientismo, ma che mostravano piú chiaramente la consapevolezza dei risvolti filosofici e religiosi che sottostavano alle loro ricerche. In comune con questi studiosi, Amendola aveva innanzitutto una profonda ostilità verso i rappresentanti della psicologia materialistica e fisiologica, che, con James, egli considera « un verbalismo vuoto perché vorrebbe spiegare l'essenza dei fenomeni di ordine superiore, stabilendo una concomitanza con fenomeni d'ordine nervoso e fisico » 14. Certamente l'investigazione psicologica di James era stata determinante per l'avvicinamento di Amendola a questi problemi; soprattutto la lettura delle Varieties of Religious Experience, avvenuta durante il 1902, dovette aprirgli una nuova scena di pensiero. Essa infatti non solo gli confermò alcune sue convinzioni antiche sull'esperienza religiosa intesa come forma di co[...]

[...] i coniugi Bozzelli ed altri amici condussero nell'estate del 1905 una dura lotta, che sembrò avere un momentaneo successo; ma un intervento della « papessa » Annie Besant domò la ribellione ed allora
« i teosofi onesti che avevano un po' di sale in zucca uscirono disgustati dalla Società »18. Era l'autunno del 1905, ma già da alcuni mesi Amendola si era mosso al di fuori degli ambienti teosofici. Nell'aprile aveva preso parte al v Congresso di psicologia, tenutosi a Roma: vi aveva conosciuto William James, che gli concesse un'intervista per « La Nuova Parola », ed i giovani del « Leonardo », Papini in testa. Aveva scritto un saggio per « Il Regno », la cui direzione era da poco passata a Campodonico, strinse amicizia con Giuseppe Vannicola ed iniziò la collaborazione alla « Revue du Nord »: insomma era entrato nel variegato mondo delle riviste di idee.
Anni di pazze sfuriate romantiche quelli della teosofia, ma non anni inutili. In essi trovano una soluzione ingenua e mitologica problemi che restarono al centro della ricerca amendoliana: l'a[...]

[...]on Giuseppe Vannicola ed iniziò la collaborazione alla « Revue du Nord »: insomma era entrato nel variegato mondo delle riviste di idee.
Anni di pazze sfuriate romantiche quelli della teosofia, ma non anni inutili. In essi trovano una soluzione ingenua e mitologica problemi che restarono al centro della ricerca amendoliana: l'autonomia del sentimento religioso, le motivazioni di fondo dell'impegno morale, un forte interesse per i problemi della psicologia e dei loro rapporti con l'etica. Kant, James e Schopenhauer restarono costanti interlocutori delle riflessioni di Amendola, come pure non lo abbandonò l'interesse per le teorie di riforma sociale di un Ruskin, per le correnti di misticismo religioso, per i new thinkers americani 19 ecc. Ma se non c'era frattura nei temi di riflessione, ve n'era una, decisiva, nel metodo d'indagine. Alla fine del 1906, Amendola scriveva a Papini: « Conosco personalmente i fantasmi, sebbene ne parli meno di te — ma non ne voglio essere apostolo — piuttosto che vivere fra essi preferisco l'assoluta sterilità » ([...]

[...]uvelle Librairie Nationale, 1921, opera di notevole interesse, fortemente ostile alla teosofia, anche se scritta in un'ottica interna al mondo ed ai problemi dell'esoterismo; MARIO MANLIO ROSSI, Spaccio dei maghi, Roma, Doxa, 1929, opera scritta con acume e ironia dal futuro storico e studioso di filosofia; EMILIO SERVADIO, La ricerca psichica, Roma, Paolo Cremonese ed., 1930, in cui le idee teosofiche sono esposte nel piú ampio quadro della parapsicologia; GIOVANNI BuSNELLI s.J., Manuale di Teosofia, Roma, La Civiltà Cattolica, 1932', in cui è netta .la condanna cattolica della teosofia; H. C. PUECH, Storia delle religioni, XIIEsoterismo, spiriti
smo, massoneria, Bari, Laterza, 1978. Sulle vicende della teosofia italiana si possono vedere: DECIo CALVARI, La teosofia a Roma, « Teosofia » , rI, gennaio 1899, n. 1, pp. 14; GUIDO
FERRANDO, La Società Teosofica, I e n, « La Voce», I, n. 14 del 18 marzo 1909 e n. 17, 8 aprile 1909; ARNALDO DELLA TORRE, Il cristianesimo in Italia dai filosofisti ai modernisti, Palermo, Sandron, s.d., pp. 4023.



da (9 Domande sul romanzo) Pier Paolo Pasolini in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]ura rappresentazione: il significato ideologico o sociologico, deve esser mediato dalla fisicità più immediata.
3) Ripeto: immediata fisicità: ossia personaggio in azione, paesaggio in funzione, violenta e assoluta mimesi ambientale.
Non ho ancora letto Butor e gli altri: credo però — con loro solo estrinsecamente — alla legge della realtà « puramente visiva » (e acustica, tattile, olfattiva): mi sembra idiota, tuttavia, voltare le spalle alla psicologia. Può essere che la psicologia intesa come analisi dei sentimenti dell'anima bella (Proust, dulcis memoria...) abbia stancato i proustiani, si sia esaurita, nella lunga serie degli atti evocativi...
Ma il termine « psicologia » ha un significato capacissimo, implicante nozioni lontane. In quanto autore, io non intendo affatto voltarle le spalle: fondamentalmente sociologica, la psicologia dei miei personaggi, vuol essere sempre li, a governare, onni
46 PIER PAOLO PASOLINI
presente e invisibile, quella pura fisicità dei fatti, delle azioni, delle parole.
4) Penso che il romanzo debba essere necessariamente oggettivo: l'autore borghese non ne ha forse più gli strumenti, per farlo, perduti col senso della propria storicità, svaporati nella metastoria intimisticostilistica.
Essere oggettivo, per), non significa essere ottocentesco: al positivismo generico che presiedeva al realismo di quel secolo, si è ora sostituita una ben precisa filosofia: quella marxista. La visione ogget[...]



da Romano Bilenchi, Ancora sul romanzo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]sse stato fatto, come se tutto nascesse ora, la nozione stessa di vita in sé e nelle sue relazioni. Far ricadere questo senso di crisi della no stra società su un solo genere letterario o su tutta l'arte, mi sembra assurdo. Si dovrà se mai dire che il carattere dell'arte del Novecento è proprio questo, ed è anche il carattere della sua spiritualità se ne ha una.
Osserviamo come Joyce rimette nel crogiuolo elementi vecchi e nuovi, per esempio la psicologia e il suo metodo. Egli distrugge nei suoi romanzi il dato cronaca così come lo aveva stabilito la narrativa dell'Ottocento, portando alle estreme conseguenze l'analisi per scavare nel profondo dell'uomo. Con questo procedimento toccò regioni inesplorate della psiche umana. Hemingway riporta la cronaca a tutti gli onori, ma ormai sfrondata dello « stato civile » ottocentesco e arricchita da quanto Joyce aveva scoperto e. reso insostituibile. Hemingway riesce oggettivamente a narrareuna storia suggerendo quella stessa psicologia dell'uomo attraverso= la cronaca. Questa é una delle avventure del [...]

[...]ome lo aveva stabilito la narrativa dell'Ottocento, portando alle estreme conseguenze l'analisi per scavare nel profondo dell'uomo. Con questo procedimento toccò regioni inesplorate della psiche umana. Hemingway riporta la cronaca a tutti gli onori, ma ormai sfrondata dello « stato civile » ottocentesco e arricchita da quanto Joyce aveva scoperto e. reso insostituibile. Hemingway riesce oggettivamente a narrareuna storia suggerendo quella stessa psicologia dell'uomo attraverso= la cronaca. Questa é una delle avventure del romanzo moderno.. Ma è crisi questa ? Se si, é chiaro che l'arte vive di crisi, che ogni scrittore degno di questo nome mette in crisi quanto é stato fatto prima di lui. Non esisterà mica per caso un « regime del roman
38 ROMANO BILENCHI
zo » ? Dunque a me sembra che il romanzo continui ad avere una sua storia.
E questo ragionamento si potrebbe fare per tutte le arti. Pittori come Picasso, Rosai, Morandi, Matisse, Braque, Klee, poeti come Machado, Guillén, Esenin, Pasternak, Éluard, Montale, Ungaretti, Luzi, e nel campo cin[...]

[...]a formuletta trovata e puntigliosamente applicata. E il principio della riduzione del mondo alla pura visività, questa negazione di qualunque potere di comunicazione, questo rifiuto della storia dell'uomo e della sua interpretazione come se egli fosse un bacillo o un marziano, a me sembrano gravissimi dal punto di vista spirituale anche prima che artistico e di una gret tezza a cui non trovo riscontro in nessuna tradizione letteraria.
Spesso la psicologia cacciata dalla porta è rientrata dalla finestra sotto varie forme: ogni volta che la rappresentazione dell'uomo è voluta andare in profondo.
4. — Non bisogna far confusione fra autobiografia nuda e cruda e romanza o racconto. L'io dei veri scrittori di oggi ha lo stesso valore dell'io di Moll Flanders: è un'invenzione poetica come un'altra.
5. — Non ho mai compreso che cosa volesse significare la formula « realismo socialista ». Nei suoi termini stessi mi sembra ci sia una contraddizione fondamentale. Come si pub essere realisti e basarsi su una sola situazione ignorando le altre, basarsi s[...]



da Theodor Wiesengrand Adorno, Aldous Huxley e l'utopia [traduzione di Elèmire Zolla] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]vittima. I venticinque anni trascorsi dall'uscita del libro hanno permesso di verificare anche più di quanta fosse necessario: minimi orrori, come le prove per l'assunzione dei ragazzi d'ascensore, che selezionano i più sciocchi, o visioni raccapriccianti come la svalutazione razionale del cadavere. Il bravo new world è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso non essendoci nulla da contrapporgli. Se, a seguire la dottrina della Psicologia di massa di Freud, il panico é quella condizione nella quale crollano delle potenti identificazioni collettive e le energie istintive liberate si convertono in subitanea angoscia, allora l'individuo colto dal panico sarà in grado di innervare ciò che di oscuro sta alla base dell'identificazione collettiva: la falsa coscienza dei singoli i quali, privi di una vera e verificabile solidarietà, legati ciecamente a immagini del potere, si credono d'accordo con una Totalità che li soffoca con la sua ubiquità.
Huxley é esente da quell'assennatezza folle che riesce a ricavare perfino dal peggio il s[...]

[...]ifferenze individuali, la standardizzazione spinta fino ai fondamenti biologici. Stability il tramonto di ogni dinamica sociale. La situazione astutamente calcolata si ricava per estrapolazione da certi sintomi di un esaurimento del gioco delle forze economiche nel tardo capitalismo: una perversione del Millennio. La panacea garantita dalla statica sociale è il conditioning, locuzione assai difficile a tradursi, trasferita dalla biologia e dalla psicologia behavioristica (dove significa la provocazione di certi riflessi o comportamenti mediante modificazioni deliberate del mondo circostante, attraverso il controllo di « condizioni ») la quale nella lingua corrente americana sta a significare ogni specie di controllo scientifico delle condizioni di vita: così air conditioning è il livellamento meccanico della temperatura in spazi chiusi. In Huxj ley conditioning significa la completa preformazione dell'uomo a opera della violenza sociale che va dalla riproduzione artificiale alla determinazione tecnica del conscio e dell'inconscio nel ` lo stadi[...]

[...]to, é l'interio
rizzazione della pressione e della coercizione sociali in misura assai superiore a quella conosciuta dal protestantesimo: li uomi
ni si rassegnano ad. amare ciò, .che debbono fare, senza neanc e più sapere di rassegnarsi. Così la loro felicità viene rafforzata soggettivamente e viene mantenuto l'ordine. Tutte le rappresentazioni di un'influenza esteriore della società sul singolo, per il tramite di agenti come la famiglia o la psicologia, appaiono superate. Cie) che alla famiglia é stato già fatto, viene perpetrato ai suoi danni ancora una volta nel brave new world. Come figli della società nel senso più letterale gli uomini non si trovano in un rapporto dialettico ma coincidono con essa. Esponenti volontari della Totalità collettiva nella quale é stata assorbita ogni antitesi, essi sono in senso non metaforico « socialmente condizionati » e non già adattati al sistema sociale attraverso un loro « sviluppo ».
Il rapporto di classe viene eternato biologicamente, perché i direttori della riproduzione razziale decidono fin dall[...]

[...]della bancarotta morale. La conoscenza della nullità dell'individuo, socialmente vera, si ribalta sull'individuo che privatamente é stato inflazionato. Non solo questo libro ma tutta l'opera di Huxley incolpa l'individuo, trasformato in un assoluto, di essere fungibile, non veramente se stesso sibbene una « maschera di carattere » della società, facendone una ragione di inautenticità e menzogna, di ristretto egoismo, motivo di intervento per una psicologia dell'io sottilmente descrittiva. Secondo lo spirito borghese, per Huxley il singolo é tutto (perché forni a suo tempo il principio dell'ordinamento della proprietà) e nulla (perfettamente sostituibile come mero portatore della proprietà). Ecco il prezzo che l'ideologia dell'individualismo deve pagare per la sua falsità. La fabula docet del romanzo é più nichilistica di quanto possa ammettere l'umanità che esso proclama.
Perciò l'ingiustizia contraddice ai fatti stessi sui quali riposa la forza positivistica. Come tutte le utopie svolte fino in fondo quella huxleyana ha i tratti della futilit[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]va in una posizione del tutto antitetica a quella di Marchesi. In Marchesi storico del mondo latino c'è una passione politica che dà spesso origine a giudizi acuti, ma non c'è alcuna seria presa di contatto col marxismo (cfr. La Penna, p. 13). Ancor maggiore è l'estraneità a quell'indirizzo filologico « wilamowitziano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marchesi il fatto poetico ha i propri antecedenti solo nell'esperienza sentimentale, nella psicologia e nella biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
IL « MARCITESI » DI ANTONIO LA PENNA 633
fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perc[...]

[...]nche uno scrittore fortemente legato ai valori della romanità, Tacito, sia ammirato da Marchesi per ragioni che puntano sull'homo e non sul civis: l'aristocratico disprezzo per il volgo, ma soprattutto il pessimismo storico e morale (cap. x); e come anche in Giovenale il critico sia affascinato, piú che dal rimpianto moralistico per i valori dell'età repubblicana, dalla capacità d'indagare, con indignata ma lucida amarezza, aspetti torbidi della psicologia umana che appartengono ad « ogni tempo » (p. 35). E anche Seneca, l'autore prediletto da Marchesi, è da lui, forse troppo, umanamente compreso per le sue incoerenze e debolezze politiche ed è poi esaltato per la sua tormentata interiorità morale da un lato, per il suo « cosmopolitismo » dall'altro: due fermenti entrambi dissolutori del nazionalismo romano.
Per quante riserve si debbano fare sul concetto marchesiano di « umanità eterna », è indubbio che la contrapposizione homocivis ha dato al critico una chiave preziosa per comprendere i valori piú profondi della letteratura latina, che non [...]

[...]o di non poter consentire con l'amico La Penna; ma una discussione, ora, ci porterebbe troppo fuori tema), ingiusto, ancor piú ingiusto, credo, di quanto appaia a La Penna (p. 75), è il giudizio, pieno di riserve e di restrizioni su Lucano 5.
Anche le predilezioni di Marchesi sono talvolta pericolose, giacché egli riversa nell'interpretazione degli autori da lui piú amati una carica di autobiografismo che da un lato è preziosa per penetrarne la psicologia e l'arte, d'altro lato è spesso troppo immediata, troppo tendente all'identificazione. Si veda il caso di Marziale: indubbiamente Marchesi ha « ritagliato » un Marziale melanconico, gustatore di amori fugaci e conscio della loro fugacità, osservatore disincantato di una società caotica, precocemente invecchiato e desideroso di pace nella sua città natale; e su tutto ciò ci ha dato, a piú riprese, pagine fra le sue piú felici. Ma non ci ha detto una parola su quanto di pettegolo, di futile, di moralisticamente frusto c'è nei troppi epigrammi di Marziale (di difendere Marziale dall'accusa tradi[...]



da Elemire Zolla, Antropologia negativa [Il borghese progenitore dell'uomo di massa, L'uomo massa come Prospero, La memoria dell'uomo massa è eccezionale,Il gusto dell'uomo massa è sicuro, L'uomo massa sa di essere tale,L'uomo massa pensa intensamente, L'uomo massa è poetico, L'uomo massa moltiplica il linguaggio. L'uomo massa è diabolico, Ciò che annoia diverte e viceversa,Ciò che è comico ha dignità e viceversa, Ciò che si pensa seriamente si finge scherzoso e viceversa, Chiama gioioso ciò che è torturan... in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]i sofismi ma perché lo pungola internamente un senso di colpa; così Oreste, creatura della civiltà patriarcale era perseguitato dalle Furie, divinità del mondo matriarcale crollante.

Quanto a pretesti, a mezzi di difesa d’ogni sorta, l’uomo massa ne sfodera in copia, confermando ancora di essere non già un Calibano, ma un Prospero. Anzitutto l’uomo massa solleverà un’eccezione alla competenza di chi lo giudica: «Con quale diritto si mescolano psicologia, letteratura, filosofia, sociologia per dare un quadro necessariamente falso della società e dell’uomo che in essa vive ? Si tratta di specialità da lasciare ai singoli esperti, e non è un’analisi sociologica seria quella che interpreta i fatti psicologicamente e non è psicologia seria quella che usa di una dialettica speculativa». Si stagliano in questa difesa l’irrazionale paura della mescolanza delle specialità che ha sostituito per l’uomo massa l’orrore della mescolanza di sangue dei primitivi, e l’idea del valore (scientifico) come dolorosa serietà di mutilato.

Ma, venendo al merito: l’uomo massa si difenderà sfoderando un nominalismo radicale, affermando che uomo massa (o eterodiretto) è un concetto di comodo, una etichetta che l’epistemologia avverte di non scambiare per una realtà. Il che è inu130

ELEMIRE ZOLLA

tilmente vero e ovviamente falso, perch[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine psicologia, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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