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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale nazionalismo è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 738Analitici , di cui in selezione 19 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Tibor Mende, L'Asia Sud-Orientale tra due mondi in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]ficoltà analoghe. S'è riconosciuto che una pura e semplice imitazione dei metodi occidentali non poteva dare risultati soddisfacenti. L'influenza delle minoranze educate all'occidentale é in relativo ribasso. Le condizioni materiali dell'esistenza nei paesi più ricchi stanno venendo conosciute sempre meglio, e ne risulta uno scontento che tende a favorire le soluzioni radicali per il miglioramento del livello di vita sociale. È qui l'origine del nazionalismo asiatico, che
L'ASIA SUDORIENTALE TRA DUE MONDI 39
non ha niente a che vedere con le nostre forme di nazionalismo occidentali, e che è innanzitutto espressione dell'impazienza provocata in milioni di esseri umani dalla coscienza dell'inferiorità della propria condizione. Il nazionalismo, in questi paesi, diventa dunque il motivo fondamentale delle rivendicazioni d'uguaglianza con il resto del mondo; é una passione dominante, che condiziona tutto il clima politico e ideologico del SudEst asiatico d'oggi. In altre parole, possiamo dire che nel SudEst asiatico domina oggi una atmosfera di disinganno : conseguenza abituale delle speranze eccessive. Ci si è resi conto che l'indipendenza politica, da sola, non mette fine alla servitù economica, e da questo riconoscimento é derivato appunto ciò che noi, in Occidente, generalmente chiamiamo « il rapido insorgere del nazionalismo asi[...]

[...]inante, che condiziona tutto il clima politico e ideologico del SudEst asiatico d'oggi. In altre parole, possiamo dire che nel SudEst asiatico domina oggi una atmosfera di disinganno : conseguenza abituale delle speranze eccessive. Ci si è resi conto che l'indipendenza politica, da sola, non mette fine alla servitù economica, e da questo riconoscimento é derivato appunto ciò che noi, in Occidente, generalmente chiamiamo « il rapido insorgere del nazionalismo asiatico ».
Abbiamo così assistito al formarsi di movimenti politici i cui scopi non differivano molto da quelli delle rivoluzioni europee dei secoli XVIII e XIX: riforme agrarie, migliori possibilità di istruirsi, una giustizia e un'amministrazione migliori, e la liquidazione dei privilegi economici. Ma le forze appoggiate dall'Occidente si sono opposte a queste domande relativamente modeste, ed é per questo che gli asiatici son venuti convincendosi, in numero sempre maggiore, dell'impossibilità di realizzare i propri ideali « progressisti » per vie diverse da quelle del comunismo. Come la [...]

[...]iche.
Dagli intellettuali delle università al più semplice contadino, quei popoli sono così giunti a comprendere che per por fine alla loro servitù economica hanno bisogno di una migliore attrezzatura tecnologica. E questo desiderio di liquidare ogni traccia di tale servitù va rapidamente divenendo il tema centrale del loro risveglio politico e razziale.
Chiusi nei limiti della nostra terminologia, noi diamo a questo risveglio l'etichetta di « nazionalismo », perché é l'unica esperienza nostra che ad esso si possa paragonare. Ma il nazionalismo occidentale storicamente si associa con l'emergere di una classe sociale che ha bisogno di un quadro d'ampiezza nazionale per l'adempimento delle sue ambizioni economiche e culturali. Nei paesi dell'Asia sudorientale questa classe, la borghesia, o non esiste o è numericamente irrilevante. La funzione di portatrice dell'idea nazionalistica è qui esercitata dalla comunità nel suo insieme; e suo obbiettivo non è la mera espressione economica o culturale di una minoranza d'élite, ma la liberazione dalla servitù economica dopo il conseguimento dell'indipendenza politica. Il richiamo nazionalistico[...]

[...] conseguimento dell'indipendenza politica. Il richiamo nazionalistico, nell'Asia sudorientale came in tutta l'Asia, non consiste essenzialmente, come in Occidente, nella preservazione del proprio paese da un controllo esterno. È l'espressione assai più composita del desiderio di ricostruire dalle fondamenta il proprio paese, di forgiare in modo affatto nuovo la propria società in modo da elevarla all'ugualianza con gli altri paesi del mondo.
Il nazionalismo asiatico dei nostri giorni si compone non sol
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tanto di amore per il proprio paese, ma anche di fiducia nelle sue potenzialità, di fede nella sua possibilità futura di raggiungere l'uguaglianza, e di determinazione a compiere i cambiamenti sociali necessari per raggiungere questi fini.
Radice comune a queste varietà asiatiche di « nazionalismo » contemporaneo, é il risentimento. Risentimento per l'incapacità economica; risentimento per il controllo straniero; risentiimento per la superiorità politica, culturale e razziale dell'Occidente. Queste componenti si combinano in proporzioni diverse a seconda delle circostanze locali. Dove esiste una classe media di una certa importanza — come in India, nel Siam, in Indocina o a Singapore — il risentimento acquista un carattere prevalentemente economico o culturale; ma laddove la classe media è pressoché inesistente, come in Birmania o in Indonesia, il risentimento appare nella sua forma pi[...]

[...]appare nella sua forma più genuina e potente. In questi casi, non ancora incanalato in una direzione specifica, esso emerge sotto forma di un'ampia passione popolare, e : o sbocca nella rivoluzione, come in Birmania; o come in Indonesia, si dissolve in una inarticolata xenofobia.
Per noi occidentali, é difficile, fors'anche impossibile, analizzare a fondo i motivi di questo risentimento e comprenderne la funzione formativa di quel che chiamiamo nazionalismo asiatico. I nostri libri di storia ed anche i nostri atteggiamenti istintivi tendono a una scelta di fatti atta a dare una visione erronea, ma per noi lusinghiera, del periodo di dominio occidentale in Asia. Noi amiamo rappresentarci i generosi istituti che hanno aiutato le società coloniali; loro, ricordano gli incidenti marginali che umiliarono e esasperarono gli individui. È certo difficile per noi valutare giustamente l'importanza della passione anticolonialistica. Nessuno ci ha mai chiamati « indigeni » ; non è mai arrivato nessuno dai confini estremi dell'Asia a metter cartelli all'ingr[...]

[...] quei popoli della sincerità del nostro aiuto, quando al tempo stesso, in realtà, non facciamo nulla per por termine alla loro arretratezza industriale e alla scarsissima remunerazione della loro forza di lavoro, su cui in passato si sosteneva il dominio coloniale dell'Occidente. E con un poco di logica possiamo infine renderci conto che fino a quando queste lezioni non saranno state apprese, e fino a quando non si sarà agito in conseguenza, il «nazionalismo» asiatico, questo appassionato risentimento per il dominio europeo, non farà che espandersi ed aumentare di intensità e di violenza.
Per quanto sinceri possano essere i nostri realisti, che vogliono risparmiare ai popoli asiatici economicamente retrogradi l'orrore della nostra civiltà tecnologica, la loro sollecitudine rimarrà senz'effetto. Il significato della rivoluzione asiatica contemporanea é che centinaia di milioni di persone che sono state umiliate con la forza fisica, ma ben di rado si sono convinte della superiorità occidentale in altri campi che in quello materiale, ora vogliono e[...]

[...] va al cinema e sfoglia i giornali illustrati; sa che nelle altre regioni del mondo i piaceri della vita sono tutt'altri; ed è assai più facile allargare il campo delle sue abitudini e dei suoi bisogni, che aumentare le sue risorse produttive. Ma questo non é che un aspetto del problema. Ve n'è un altro, e cioè che tutti questi milioni di uomini hanno ormai compreso che per metter fine alla loro servitù economica v'è bisogno di macchine. Il loro nazionalismo, sempre più profondo e appassionato, reclama l'uguaglianza con il resto del mondo; e per ottenere quest'uguaglianza bisogna passare per le fabbriche; la maggior parte di essi lo comprende, anche se l'idea gli dispiace. Dopo secoli di soggezione, non è un esercito di uomini come Albert Schweitzer o di funzionari del Punto Quarto, non è l'artigianato, non sono i portacenere dipinti o i telai a mano che daranno a questi uomini l'uguaglianza che desiderano; essi, o almeno le loro élites, lo sanno. Questa uguaglianza così ardentemente desiderata non potrà venire che da un'industria possente, da fa[...]



da Francesco Cataluccio, Il Congo Belga nel nazionalismo africano in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: IL CONGO BELGA NEL NAZIONALISMO AFRICANO
Dal punto di vista dell'osservazione politica vi sono due Africa: un'Africa vista nel complesso, come continente, con problemi comuni ad ogni sua parte, ed é l'Africa più conosciuta, che viene in genere identificata col mondo coloniale, che presenta le zone mondiali culturalmente ed economicamente più depresse, che polarizza sempre più la rivalità politicoeconomica delle potenze attratte dalla sua posizione geografica e dalle sue crescenti possibilità di produttrice di materie prime e di mercato di assorbimento; e un'altra Africa, meno unitaria e più caratterizzata nelle parti. con [...]

[...]piano sono soprattutto i paesi — Ghana, Guinea, Nigeria — che hannoraggiunto o sono prossimi a raggiungere il primo e fondamentale obiettivo dell'indipendenza.
Naturalmente, l'armonia di posizioni tra i diversi nazionalismi. africani, da facile e pronta qual é sul terreno della lotta anticoloniale, si inceppa non poco allorché si passa all'esame del coordinamento strutturale tra i nuovi stati, dei lineamenti territoriali o culturali o umani del nazionalismo africano, dei mezzi per individuare e tutelare le singole nazionalità. Come suole accadere, sulla varietà di prese di posizione incidono interessi locali e tribali, talune cristallizzazioni di esperienze compiute durante il regime coloniale, particolari valutazioni degli interessi collettivi connessi alla. origine sociale dei gruppi politici impegnati nella discussione, certa differenziata impostazione dei problemi derivante dalla situa zione economica e dal grado di sviluppo culturale di ciascuna popolazione.
Sotto gli aspetti culturale sociale politico, non è possibile immaginare area più [...]

[...]pettare, ma toglie d'altra parte ogni punto di riferimento sicuro per il successo politico delle iniziative da prendere, rende problematico l'innesto di idee moder, ne sulla vecchia organizzazione di vita, minaccia continui trabocchetti a costruzioni statali o nazionali che pur rispondono a premesse e impulsi di genuina validità. La realtà é che, a differenza del continente asiatico, in Africa, specie nell'Africa nera, ha pre
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valso la civiltà tribale, la formazione di gruppi umani ristretti e isolati i quali, anche se eccellenti culturalmente, non hanno mai posseduto la tecnica di trattare grandi spazi, di unificare e amministrare grandi concentrazioni umane. Soltanto oggi, per la prima volta, gli africani si pongono il problema della organizzazione unitaria di vaste aree africane; ma se lo pongono in uno stato d'anima emotivo concitato quale può derivare dal ritrovarsi dopo una latta assai aspra contro la potenza coloniale — talvolta resa più aspra dalla resistenza psicologica e sociale di parte del[...]

[...] di definirsi nazionalmente.
A tre dei molti congressi riunitisi di recente conviene accennare, come a quelli che meglio hanno puntualizzato i due aspetti dell'attuale evoluzione africana, la rottura cioè del vincolo di dipendenza coloniale e la organizzazione politica dell'Africa divenuta arbitra della sua vita.
Il primo si è svolto a Accra capitale del Ghana dall'8 al 13 dicembre 1958 sotto la presidenza d'una forte personalità dell'odierno nazionalismo africano, il kenyese Tom Mboya. Preceduto (1522 aprile), nella stessa Accra, da una conferenza degli stati già giunti all'indipendenza, e definito « conferenza panafricana » in effetti vi hanno preso parte, attraverso duecento delegati, venticinque paesi del continente — il congresso ha presentato un netto obiettivo anticoloniale, ha mirato cioè a preparare, secondo l'espressione del suo promotore, il primo ministro ghanese Kwame Nkrumah, « l'assalto finale all'imperialismo e al colonialismo ». La dichiarazione conclusiva della conferenza è perentoria nell'atto di accusa contra il regime colo[...]

[...] che ha luogo dal 16 al 23 marzo 1959 a Ibadan, capitale della Nigeria occidentale e sede della più attrezzata università dell'ovest africano, sotto l'egida del Congresso per la libertà della cultura. Il tema di studio della riunione, « Governo rappresentativo e progresso nazionale », consente di esaminare, tra gli altri, i problemi della tribù, della nazione e della federazione. Universitari e uomini politici, partendo dalla
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constatazione che i nuovi stati africani sorgono da una geografia politica arbitraria artificiosa, dettata in gran parte dal giuoco di spartizione e di equilibrio di potenza dei governi coloniali nel sec. XIX, si sforzano di individuare l'entità dell'ostacolo creato dalle diverse esperienze politiche e dalle diverse situazioni linguistiche e culturali al raggruppamento dei nuovi organismi nazionali. Lo studio del problema porta al tentativo di definire la « personalità africana », al confronto tra la teoria del panafricanismo di Giorgio Padmore, la teoria della negrità di Leopol[...]

[...]zioni che ha dominato le discussioni. La risoluzione finale suggerisce di: ristudiare scientificamente la storia dell'Africa; formare gruppi di storici; istituire archivi e biblioteche; riprendere in esame i sistemi associativi di base e soprattutto la democrazia comunitaria per elaborare forme nuove di vita comune; orientarsi nel grande intreccio di oltre seicento lingue e dialetti dell'Africa, scegliendo per i suoi elementi
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comuni quella lingua (swaili, bambara, ulof, malgascio, senegalese) che possa diventare in breve lingua continentale attraverso l'insegnamento obbligatorio in tutte le scuole africane; curare il passaggio dalla forma orale a quella scritta delle opere letterarie; sviluppare il dialogo ai fini d'una comprensione reciproca tra le religioni cattolica, protestante, musulmana e animista prevalenti in Africa. In definitiva il congresso dice agli africani: siate cattolici, siate marxisti, siate fedeli a qualsiasi ideologia che soddisfi le vostre esigenze intellettuali e morali, ma afri[...]

[...](Maghreb unito), la Federazione della Rhodesia e del Niassa, il progetto britannico di federazione dell'Africa orientale (Kenya Tanganika e Uganda) avviato dalla creazione dell'East Africa High Commission che coordina ventotto rami amministrativi dei tre territori tra cui i trasporti aerei le dogane la difesa le poste i servizi radiofonici le ferrovie le comunicazioni fluviali la statistica e l'istruzione superiore, la Federa
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zione etiopoeritrea, l'integrazione del Togo britannico nel Ghana, l'annessione del territorio di mandato dell'Africa sudoccidentale extedesca da parte del Sudafrica, la richiesta sudafricana d'incorporazione dei Protettorati britannici di Basutoland Bechuanaland
e Swaziland; e, in data più vicina, il progetto di federazione tra Ghana e Repubblica di Guinea «come nucleo della creazione degli Stati Uniti dell'Africa occidentale », la Federazione del Mali tra Senegal e Sudan e i progetti di Unione Benin (Dahomey Niger
e Togo) e di Stati Uniti dell'Africa latina (Africa equatori[...]

[...]perno talvolta non su impulsi nazionali ma su preoccupazioni tribali o su interessi settoriali sia economici sia personali. Spesso il movimento centrifugo si sviluppa in vista di altri e più connaturali raggruppamenti: è il caso delle popolazioni somale dell'Etiopia, che parteciperebbero volentieri a quella Confederazione della grande Somalia che dovrebbe raggruppare, secondo progetti attribuiti al presidente egiziano Nasser,
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le tre Somalia (francese, britannica e in amministrazione fiduciaria italiana), l'Eritrea, l'Ogaden e parte del Kenya.
Un terzo elemento determinante della evoluzione dell'Africa è il problema dei rapporti interrazziali. Tale problema si presenta con caratteristiche diverse in Algeria, nel Sudafrica, nell'Africa centrale britannica (Rhodesia) e nell'Africa orientale britannica (Kenya), ma in tutti e quattro questi territori provoca la stessa conseguenza di allontanare nel tempo la formazione di stati africani indipendenti, e rappresenta quindi il settore in cui la colonizzazion[...]

[...] la assoluta identificazione dei due interessi, sul piano dei coloni: « l'Algerie c'est la France ». Tanto più agevole è stata l'identificazione per il fatto che la ricchezza mineraria del sottosuolo sudalgerino, ognora più ampia di promesse positive, ha dato solidi puntelli al patriottismo algerino. Ciò però interessa la formulazione d'una politica della Francia per l'Algeria, indica il sopravvento preso in Francia dalle correnti più avverse al nazionalismo arabo, ma non imposta una soluzione valida anche per l'altra parte, o meglio, prospetta una soluzione opposta agli obiettivi degli algerini arabi, lasciando quindi alla prova di forza la decisione del problema. « C'est que l'Europe », osservava J. Amrouche durante l'assemblea della Società europea di cultura a Parigi nel settembre 1953, « hors d'Europe est l'antiEurope; elle est contre l'Europe, renie l'Europe ».
Negli stessi termini, sostanzialmente, il gruppo etnico bianco del Sudafrica pone il problema della minoranza bianca in una so
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FRANCESCO CATALUCCIO
cietà di colore in espan[...]

[...]uietudine spirituale, aspirazioni fittizie sproporzionate alla realtà del loro intimo processo evolutivo, così appare irreale la loro previsione che i gruppi etnici di colore del Sudafrica siano con l'apartheid tagliati fuori dal movimento di emancipazione politica delle popolazioni africane e si adagino nell'indefinita accettazione della supremazia della minoranza.
Partendo dalla constatazione che l'indirizzo sudafricano ha
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per sola conseguenza l'esasperazione dei rapporti razziali e che, se rinvia il problema dell'emancipazione indigena, lo porrà però a suo tempo in termini non di conciliazione di interessi e di vantaggiosa coesistenza ma di violenta eliminazione del gruppo bianco — e se io tiro troppo la corda dalla parte mia », ha ricordato di recente un alto funzionario coloniale belga, «il giorno in cui sono costretto a lasciarla, ebbene, essa va molto lontano anche dalla parte opposta » —, la Gran Bretagna si é sforzata di avviare i suoi territori dell'Africa centrale e orientale, anche su so[...]

[...]erienza di collaborazione interrazziale, di partnership. Al tentativo di conciliazione di interessi hanno nociuto e nuocciono, tuttavia, certa tendenza delle autorità locali britanniche a considerare la partnership come un mezzo di prolungamento del governo coloniale e l'evidente impulso di alcuni settori di coloni a trasformarla in uno strumento avente gli stessi fini dell'apartheid, la permanente supremazia della minoranza bianca. Se perciò il nazionalismo africano è in aperta lotta contro le posizioni di indubbio contenuto colonialistico, quali si affermano a Algeri e a Pretoria, diffida di un interazzismo che non ha rotto con tutte le velleità colonialistiche. Nella sua autobiografia Kwame Nkrumah oppone a Aggrey, il cui insistente messaggio politico è la collaborazione tra le razze bianca e negra, la tesi che tale collaborazione e può esistere soltanto quando la razza negra tratta su un piede di uguaglianza con la razza bianca » e che « soltanto un popolo con un governo proprio può pretendere uguaglianza, razziale o di altra natura, con un a[...]

[...]rdere le residue posizioni di governo coloniale, sia pure adattandole alle nuove situazioni di fatto, e la esigenza, alla quale sono più sensibili i governi come lo statunitense che non hanno in Africa posizioni coloniali da difendere, di non compromettere i futuri rapporti di collaborazione
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con la comunità di stati africani, e di non lasciare che si convoglino vieppiù verso i governi comunisti interessi e simpatie del nazionalismo africano già fortemente influenzato dall'aperta solidarietà comunista alle sue aspirazioni e dalla dottrina marxista circa la lotta nazionale dei popoli oppressi dall'imperialismo. Della volontà conservatrice, adattata alla mutata situazione dell'equilibrio delle forze, sono manifestazioni, oltre all'impegno di riforme delle singole potenze coloniali — che ha negli accennati programmi federativi e nella recente creazione della Comunità francoafricana esempi di rilievo — gli sforzi per affrontare con piani concordati i problemi difensivi ed economicosociali riguardanti il continente nero. In c[...]

[...]ione dei loro problemi, di legare i propri interessi ai loro interessi in divenire, di stabilire un rapporto, possibilmente una conciliazione, tra le loro esigenze e i propri interessi politicoeconomici, di precisare in definitiva la propria linea di condotta di fronte ai vari aspetti in cui si articola la realtà africana, dal problema dell'autonomia dei territori dipendenti a quello degli aiuti necessari ai paesi sottosvilup
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patì, dalla discriminazione razziale in alcuni territori alla possi bilità e ai principi basilari di stati plurirazziali.
Non c'è alcun segno che gli stati del blocco occidentale, nel. loro complesso, si siano posti, per risolverlo, il problema d'una concreta politica africana, nei numerosi rivoli in cui questa si scinde e va coordinata. A cominciare dagli stati che mantengono controlli sovrani su settori dell'Africa — se si esclude in parte la Gran Bretagna che segue da vicino e senza apriorismi le varie situazioni del continente —, la cui politica africana sembra ridursi a un[...]

[...]erplessità politiche e psicologiche dello stato colonizzatore nel passare da una politica di puro governo coloniale a un riconoscimento degli interessi preminenti indigeni, sono oggi individuabili nel Congo belga nella fase di avvio, di prima maturazione. La problematica di questi aspetti di vita è meno vivace e perentoria che in altri territori africani, ma per ciò stesso può essere colta nella sua più umana e logica radice.
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Forse in nessun altro territorio africano, quanto nel Congo, il regime coloniale ha trovato un ambiente più comodo e adatto per insediarsi e svilupparsi. Il Congo appariva davvero come un vastissimo « territorium nullius », isolato dall'esterno coi suoi appena sessanta chilometri di costa rispetto agli oltre novemila chilometri di frontiere terrestri, frazionato politicamente con la sua serie di tribù sparse in grandi spazi e divise da migliaia di chilometri di fitta foresta equatoriale e, se a contatto, ostili l'una a l'altra per ancestrali rivalità. I circa cinquecento trattat[...]

[...]eguono un anno dopo Bukavu, Stanleyville, Coquilhatville e Luluaburg — nessun cambiamento viene apportato alla situazione costituzionale. Il Congo è come pietrificato, politicamente; i marosi che agitano, con due guerre mondiali e rivoluzioni, le acque europee e coloniali, si frantumano sulle dighe massicce che sembrano circondare il grande spazio umano del Congo. Entro il loro recinto il tempo pare essersi fermato e continua
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l'età dell'oro del mondo coloniale. Un belga, J. Labrique, ha puntualizzato di recente nel parigino Le Monde gli elementi costitutivi dell'idilio coloniale congolese, la ricetta pratica di quello che egli definisce « paternalismo integrale » del regime coloniale belga : « Lo StatoProvvidenza e l'ImprenditoreProvvidenza vigilano, con la collaborazione delle missioni cattoliche, sul benessere materiale e morale dell'indigeno. Questi é curato gratuitamente da quando é nel seno materno e dalla fanciullezza fino al letto di morte. È fornito di, alloggio dal suo imprenditore o benefic[...]

[...]lare e irritante che nel Sudafrica, e senza quel gusto della teoricizzazione del proprio programma politico che allarma gli osservatori e scuote psicologicamente i « pazienti », l'orientamento di governo nel Congo belga é una forma di apartheid. Suscita perciò uno scandalo interno la pubblicazione nel 1957, ad opera di Van Bilsen, professore all'università cola niale di Anversa, di un Piano trentennale per l'emancipazione del
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Congo; e costituisce uno scandalo internazionale la decisione dell'Assemblea generale dell'ONU, durante la sessione del 1952, di raccomandare al Comitato per le informazioni sui territori non autonomi — creato nel 1949 col compito di esaminare i dati forniti dalle potenze amministratrici sulle condizioni economiche sociali e culturali dei territori loro sottoposti — di raccogliere anche indicazioni dettagliate sul modo in cui le popolazioni indigene godono del diritto all'autodecisione. Il Belgio, punto sul vivo, dichiara di non volere più partecipare ai lavori del Comitato. Ema[...]

[...]era vita della colonia ed é arbitra delle direttive di governo. Non é, il Congo, colonia di popolamento, non serve per obiettivi strategici, ma funziona come una coraggiosa impresa economica e la sua ragion d'essere é legata alla tutela degli interessi economici che vi si sono trasferiti e sviluppati. La finalità della colonia del Congo spiega bene la politica belga nel Congo. Probabilmente, se Bruxelles avesse la certezza che la formazione d'un nazionalismo congolese e il suo sbocco nella creazione di uno stato africano non alterassero le condizioni di espansione dell'iniziativa industriale, lo sforzo ombroso di neutralizzare qualsiasi evoluzione politica dei congolesi farebbe posto a una maggiore flessibilità di vedute politiche. La preoccupazione politica di salvaguardare il patrimonio economio, inoltre, suggerisce l'accettazione, nel 1944, di un accordo con gli Stati Uniti — accordo rinnovato alla sua scadenza, dopo dodici anni — che trasferisce a questi ultimi l'intera disponibilità della produzione di uranio :del Congo, la più alta del mond[...]

[...]ione indigena non interessa che come massa di manodopera alla quale assicurare un graduale miglioramento di vita ma non una libertà capace di turbare l'ordinato ritmo produttivo. Tutti sono imbarcati su una stessa nave e tutti hanno il solo dovere di produrre sempre più e sempre meglio. E in effetti gli indici di produzione agricola e industriale del Congo mostrano un progresso costante. Se in agricoltura 14 mila coloni
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IL CONGO BELGA NEL NAZIONALISMO AFRICANO
coordinano il lavoro di 350 mila negri, con forti produzioni di cotone caffè gomma cacao essenze pregiate, nell'industria la marcia produttiva è più spettacolare: 192 milioni di tonnellate di rame, 14 milioni di tonn. di stagno (la seconda cifra nel mondo), 5 milioni di tonn. di cobalto (il 75% della produzione mondiale), 89 milioni di tonn. di zinco, il 56% della produzione mondiale di diamanti industriali, una forte aliquota di tungsteno, e poi la ricordata maggiore produzione mondiale di uranio, estratto nei giacimenti di Shinkolobwe da un minerale che ne contiene dal 60 all'80%[...]

[...] nella collaborazione degli indigeni. Al pesante sgretolamento dell'edificio coloniale per ogni dove in Africa, viene contrapposto l'armonioso cammino congolese. Soltanto i fatti contano, e il Congo é li a smentire chi corre dietro a idee di ineluttabilità del dissolvimento coloniale. Il Congo prospera perché non vi sono teste calde politiche, e le teste calde politiche non germinano perché la potenza coloniale sa tenere l'am
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biente disinfestato moralmente e sa rendersi conto che occorre assicurare a tutti lavoro e dare graduali soddisfazioni alla esigenza di miglioramento materiale e spirituale degli indigeni.
Concentrazione di operai nei grossi centri abitati, in conseguenza dell'industrializzazione, contatto di questi operai con i colleghi bianchi, formazione di una piccola borghesia commerciale e impiegatizia, vicinanza di territori politicamente in fermento, concorrono tuttavia a trasformare sempre più l'ambiente congolese, costituiscono le consuete premesse al passaggio del regime coloniale in[...]

[...]con un programma più radicale, che prevede l'indipendenza immediata e la partenza dei bianchi. Due gruppi politici si fanno portavoce di questo programma: il Movimento nazionale congolese fondato da Patrizio Lumumba, e, più autorevolmente, l'Associazione dei Bakongo per l'unificazione, la conservazione e l'espansione della lingua Kikongo, che si trasforma poco più tardi in Associazione degli originari del Basso Congo (Abako).
IL CONGO BELGA NEL NAZIONALISMO AFRICANO
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La vivacità delle manifestazioni politiche di questi gruppi e l'ampiezza di adesioni che essi raccolgono nell'ambiente indigeno cancella subito l'oleografica e falsa immagine di un Congo estraniato dall'irrequietudine nazionalista africana. Non resta al governo belga che dare una prova, sia della sua volontà non di escludere una evoluzione politica del Congo ma soltanto di graduarla sulla base di una educazione amministrativa della popolazione, sia del fatto che nell'attuale malcontento per lo status quo non sono implicati che sparuti gruppi di persone mossi più da spirito d[...]

[...]elettorale non spinge il governo belga ad abbandonare la politica dello struzzo e a valutare obiettivamente la realtà al di fuori dei luoghi comuni di comodo e della naturale pigrizia conservatrice, ma accresce perplessità e suggerisce piuttosto propositi di più ferma resistenza, non bene mascherati dagli accenni ai necessari adattamenti della politica indigena (dichiarazione governativa del 18 novembre 1958 e costituzione
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d'un gruppo di lavoro per lo studio dei problemi politici nel Congo Belga).
Sul più accentuato dinamismo dell'Abako influisce indubbiamente anche l'ulteriore sviluppo nazionalistico dei vicini territori dell'Africa equatoriale francese, che giunge all'epilogo vittorioso con la nuova costituzione francese dell'ottobre 1958. È proprio alle porte di Leopoldville, a Brazzaville, che il gen. de Gaulle annunzia solennemente la sua politica di rottura radicale con il vecchio colonialismo in Africa. Alla testa dei due territori del Congo e dell'UbanghiSciari, divenuti stati indipendent[...]

[...]dovuto tenere Kasavubu, Diomi e Lumumba, è accolto come una sfida contro le aspirazioni nazionali congolesi. La reazione si scatena improvvisa con violenza tumultuosa e acre, investendo disordinatamente beni e persone che siano europei. Per due giorni incendi e saccheggi degli africani si frammischiano a cariche e sparatorie, ad arresti ed uccisioni ad opera della polizia e dei reparti paracadutisti accorsi in rinforzo da
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IL CONGO BELGA NEL NAZIONALISMO AFRICANO 143
Kamina. Poi, per diversi giorni ancora, strascichi di disordini e di violenza repressiva qua e là per le località del Congo; ed infine, il gran silenzio del coprifuoco, lo stato d'assedio, le carceri colme di rivoltosi, la ripresa del consueto ritmo di vita.
Le sanguinose giornate del gennaio segnano la comparsa sulla scena politica congolese di una volontà indigena distinta e opposta alla volontà dello stato colonizzatore, e capace di porre sul tappeto il problema dell'autonomia del Congo. L'urto violento con l'amministrazione coloniabelga serve anche a consacrare l'Abako come[...]

[...]noranza bianca stanziata nel Congo. Il panico altera le proporzioni della minaccia alle sue posizioni economiche e sociali, spingendo ad atteggiamenti capaci piuttosto di approfondire il solco razziale che di smussare i motivi di contrasto, facendo vedere la salvezza soltanto in una politica di forza, in una dura repressione di qualsiasi gesto autonomistico degli africani. Non manca, tra coloni e funzionari coloniali, chi non
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condivide l'orientamento basato su impulsi di vendetta, ma é sommerso dalla prevalente tendenza a puntare i piedi, a considerare lo spirito di moderazione come una debolezza foriera di distruzione degli interessi bianchi. Una mozione dell'Association des colons, subito dopo gli incidenti, chiede « la costituzione immediata d'un corpo di protezione armata », reclama « il risarcimento integrale dei danni », domanda che « severe misure siano prese contro tutti i responsabili » e che « lo stato di assedio sia proclamato immedia tamente in caso di ripresa dei disordini »; proclama in[...]

[...]a loro terra e della loro assunzione graduale di responsabilità di governo. La soluzione di questo problema è data, il 13 gennaio, da un programma esposto in un messaggio di re Baldovino e in una dichiarazione alla Camera del primo ministro Eyskens. È un programma sufficientemente chiaro nella sostanza ma espresso in forme « interlocutorie », tali da permettere successivi accomodamenti. Due sono gli obiettivi generali da esso
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espressi: evoluzione politica degli indigeni verso l'autogoverno, e creazione di una comunità belgocongolese che assicuri la presenza duratura del Belgio nella vita del Congo e tuteli permanentemente gli interessi economici belgi nel Congo. Il messaggio del sovrano afferma: « È nostra ferma risoluzione di condurre, senza indugi dannosi ma senza precipitazioni sconsiderate, le popolazioni congolesi all'indipendenza, nella prosperità e nella pace... Pur non esitando ad approvare e assecondare le aspirazioni dei nostri fratelli neri, non possiamo tuttavia dimenticare che il Belgio,[...]

[...]à é che, più numerosa immigrazione bianca o meno, comunismo o meno, il Congo é entrato ormai nel gran movimento di decolonizzazione che domina l'Africa. Il movimento indigeno congolese può essere valutato in modi diversi, come forza politica, può apparire più o meno privo di centro di gravità organizzativo, caotico nei suoi interessi tribali, confuso nei suoi obiettivi nazionali, ma ha raggiunto in modo netto il momento di
I
IL CONGO BELGA NEL NAZIONALISMO AFRICANO 149 .
frattura psicologica col regime coloniale. Per incerti che possano essere i modi di convergenza concreti dei suoi impulsi, é certo che si tratta di solidi impulsi di emancipazione. Saranno le circostanze di lotta a esprimere le forze politiche più valide nazionalmente e gli uomini più adatti a esserne guida. E interesse del Belgio con siderare il passaggio da un ordine di cose all'altro non come un tracollo delle sue fortune ma come una evoluzione, per nulla arbitraria, che può consentire l'ulteriore sua presenza, vantaggiosa per i suoi interessi, ove sia posta in atto una pol[...]



da Paolo Alatri, Il Governo Nitti e la questione adriatica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]
Del resto, in confronto al suo predecessore Orlando, Nitti dimostrò la tendenza a servirsi, per le trattative, più di diplomatici. che di uomini politici e di parlamentari, e in tal senso fu sinto matica la sostituzione di De Martino a Crespi come membro della. Delegazione alla Conferenza della Pace. Inoltre, Nitti rivelò una notevole capacità di utilizzare per la sua politica nettamente antinazionalista uomini che erano animati da un istintivo nazionalismo — da Tittoni a Scialoja, da Badoglio a Caviglia, da Mosconi
(17) « Sono qui — dichiarò una volta quando era ministro degli Esteri — per vedere che, almeno in politica estera, non facciamo troppe fesserie » (DANIELE VARL IZ diplomatico sorridente, ediz. inglese, citato da GORDON A. CRAIG and FELIX GORDON, The Diplomats. 19191939, Princeton University Press, 1953, p. 212). Cfr. anche ARTURO CARLO JEMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi, 1948, p. 653.
(18) CARLO SFORZA, L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Milano, Mondadori, 1946, p. 89.`
(19) F. S. NI[...]

[...]erra interna su quella esterna. Su Bissolati, cfr. RAFFAELE COLAPIETRA, Leonida Bissolati, Milano, Feltrinelli, 1958, pp. 27678: « Nella irrequieta atmosfera che aveva accompagnato la caduta del ministero Orlando ed il sorgere di quello Nitti e nell'attesa delle elezioni generali, è gran merito di Bissolati, nei suoi ultimi mesi di vita, aver serbato fede fermissima negli ideali per cui si era così coraggiosamente battuto ed aver individuato nel nazionalismo esasperato, nel dannunzianesimo ritornante, il pericolo da isolare e colpire, quello che veramente avrebbe sviato l'Italia dalla cooperazione con le nazioni, ben più che non il rumoroso massimalismo o il cattolicesimo politico organizzato ».
(26) Quando nella prima meta di dicembre 1918 si era cominciato a parlare, in seno al Governo OrlandoSonnino di cui facevano parte sia Bissolati che Nitti, delle condizioni di pace, i criteri antinazionalisti esposti dal primo erano stati condivisi da
174 PAOLO ALATRI
pretesto ai nazionalisti, che in lui vedevano uno dei loro veri e maggiori avversari,[...]

[...] forze armate, sia per avere una leva mediante la quale tentare, al momento opportuno, di sollevare l'insurrezione contro il governo parlamentare. Ciò in Italia come in Francia o in Jugoslavia. Infatti, se il conflitto per Fiume, in gran parte artificiosamente gonfiato dopo la guerra, costituì la bandiera dei nazionalisti italiani, non è da credere che le stesse resistenze ad un'equa e moderata soluzione del conflitto non vi fossero da parte del nazionalismo jugoslavo, altrettanto cieco e irresponsabile di quello italiano. Dati i termini del problema fiumano, e più in generale di quello adriatico, data cioè l'intricata struttura etnica dei territori in contestazione, la questione di Fiume era in qualche modo ideale per potercisi ac
quest'ultimo: cfr. l'appunto bissolatiano del 24 dicembre 1918 citato da R. COLAPIETRA, op. cit., pp. 26768.
(27) E. CAVIGLIA, op. cit., pp. 5658.
(28) Cfr. GIAMPIERO CARocci, Storia del fascismo, Milano, Garzanti, 1959, pp. 910.
IL GOVERNO NITTI E LA QUESTIONE ADRIATICA 175
canire fra opposti nazionalismi: essa s[...]

[...]landra con il suo slogan « la terra ai contadini », aveva concretamente operato per istituire una rete di provvidenze in favore dei combattenti. Ma Nitti non era l'uomo del combattentismo professionale, al quale si sapeva che avrebbe dato del filo da torcere. La grossa bomba che gli scoppiò tra le mani, l'impresa fiumana di D'Annunzio, riassumeva tutti gli elementi, tutti i motivi del combattentismo professionale, dell'arditismo sistematico, del nazionalismo, del militarismo, del sovversivismo di destra.
Nel fronteggiarla, Nitti ebbe all'inizio qualche oscillazione. Il carattere solo apparentemente fermo ma in realtà generico dei primi
(29) Pregiudiziale nell'Idea Nazionale del 24 giugno 1919.
176 PAOLO ALATRI
ordini inviati ai comandanti militari nella Venezia Giulia rivela infatti, a nostro giudizio, una sostanziale incertezza sulla migliore via da intraprendere per battere il movimento; analoga indicazione offre la accentuata differenza di tono fra la dichiarazione alla Camera del 13 settembre e quella di tre giorni dopo; e bisogna riconos[...]

[...]al settembre del 1919 Fiume si comporta veramente — come scrive un dannunziano (35) — da legionario e da fascista verso Croati e Alleati, contro Clemenceau e contro Wilson, nei confronti del sempre titubante e sempre commosso Orlando, e contro le preoccupazioni, le insidie e il cinismo rinunziatario di Nitti ».
In Fiume — prendendo il nome della città come simbolo di quella mobilitazione — si incontrano i rappresentanti delle varie frazioni del nazionalismo e del sovversivismo di destra: accanto al figlio di Vittorio Emanuele Orlando il figlio di Giuseppe Toeplitz,. consigliere delegato della Banca Commerciale, a capo di un ufficio « delle relazioni estere », e il genero del gen. Porro, uno degli accusati nell'inchiesta su Caporetto, tanto per citare qualche nome indicativo. Vecchia classe politica, alta finanza, militarismo dànno vita nella generazione più giovane alla forza armata di una ideologia della quale scaturirà il fascismo e la « marcia su Roma ». Nella sua biografia di Salvemini, Enzo Tagliacozzo osserva che lo storico di Molfetta acc[...]



da Enrica Pischel, Considerazioni sulla nuova fase della politica asiatica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]possano essere in ogni paese le forze ed i modi, _per trasformare gradualmente e pacificamente il regime borghesenazionalista (diverso da luogo a luogo a seconda del rapporto sul quale ciascuna borghesia si trova sia con le forze feudali sia con gli elementi rivoluzionari agrari o urbani) in una società sostanzialmente socialista; se e fino a che pinto i tentativi progressivi condotti dalle forze borghesi più avanzate rimangano nell'ambito del nazionalismo borghese progressista e dove divengano invece una nuova e quanto mai « diversa » via al socialismo; come possa essere conciliata la denuncia del « revisionismo » da parte del mondo marxistaleninista con il tentativo di operare pacificamente il trapasso dai regimi nazionalisti progressisti a quelli socialisti.
Chi scrive non presume di dare risposte a questi problemi, ma intende soltanto esaminare alcuni fenomeni ed alcune indicazioni che possano rendere più facile lo sforzo di interpretare in futuro gli sviluppi tuttora in corso in Asia. Molto si é scritto da Bandung in poi sul problema dei [...]

[...]nsi organizzati a favore di Chiang e di Rhee espongono qualsiasi azione diplomatica americana al ricatto di questi regimi che sono tenuti dagli aiuti statunitensi in uno stato di fittizia solidità, sufficiente a far si che rappresentino una minaccia contro il mantenimento dello statu quo in Asia, mentre non sono più un reale e stabile avamposto delle linee strategiche americane. Essi hanno infatti dimostrato negli ultimi anni, con una ripresa di nazionalismo antistatunitense, di non essere disposti a rimanere per sempre le abbandonate sentinelle avanzate di quella politica di immediata aggressione anticinese che avevano sperato di veder giungere rapidamente al successo con il rovesciamento di Mao ed una generale guerra anticomunista, ma che ora é stata accantonata dagli Stati Uniti.
Proprio sul terreno economico, la politica statunitense verso Formosa e la Corea meridionale (e per quest'aspetto le medesime considerazioni valgono in sostanza anche per il Viet Nam meridionale) implica le_ più_ gravi ipoteche sulla generale capacità degli Stati Uni[...]

[...]trutture economiche e politiche del paese, ma perché rappresenta la formazione politica nella quale si esprime la borghesia indiana, intesa nel senso più lato. Quindi la scelta del Congresso é la scelta delle classi non feudali e non proletarie indiane; inoltre il Congresso è, a differenza del Kuomintag cinese nel 1927, in grado di tenere i contatti anche con vaste masse contadine. Finora Nehru, che all'epoca di Gandhi fu l'anima di sinistra del nazionalismo indiano, e più spesso un oppositore ideologico e politico delle tesi sociali del Mahatma che un pedissequo seguace, é riuscito a dominare la macchina del Congresso, questa informe federazione di movimenti diversi che ha coperto con un vago interclassismo la predominanza nel suo seno dapprima dei proprietari terrieri, poi dei rappresentanti degli interessi capitalistici e che ora si trova impegnata nella costruzione di una società che si pretende avviata al socialismo.
Nehru ha costretto il Congresso e la borghesia indiana che ne rappresenta il gruppo dirigente ad adottare in teoria e ad att[...]

[...]al movimento comunista nel suo complesso: questa collaborazione rientra infatti nelle vecchie tesi sulla necessità di unire comunisti e nazionalisti nella lotta contro le sopravvivenze economiche del dominio coloniale (siano esse controllate dai decrescenti interessi olandesi o dai nuovi interessi delle compagnie petrolifere americane) e contro i residui delle forze confessionali e separatiste semifeudali. La debolezza economica e ideologica del nazionalismo indonesiano e l'atteggiamento di sinistra delle nuove leve nazionaliste permettono inoltre di prevedere la possibilità di un'effettiva direzione comunista in un'alleanza di questo genere, secondo le tesi di Stalin e di Mao. La probabilità di portare al successo un'alleanza nazionalistacomunista attraverso una vittoria elettorale anziché attraverso la lotta armata non costituisce di per sé un nuovo elemento nella teoria dei fronti popolari per i paesi semicoloniali e si inserisce logicamente nell'evoluzione di tutti i movimenti comunisti asiatici a favore del metodo democratico per la conquist[...]



da Voce enciclopedica di G.Pr [Giovanni Primavera], Siria in Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S)

Brano: [...]e, rifiutava ogni concessione sul piano sociale. D'altra parte la repubblica siriana aveva strutture più democratiche rispetto alle monarchie arabe confinanti, non aveva quella pressante necessità di mantenere un equilibrio di rapporti interni fra cristiani e musulmani (come era il caso del Libano) e godeva della presenza di un ceto intellettuale che, fin dal secolo scorso, aveva dato un contributo fondamentale alla formazione dell'ideologia del nazionalismo arabo.
Al Blocco nazionale che reggeva il governo (diviso in un partito filosaudita e in uno filoirakeno) si contrapponevano i socialisti e il Ba'th (un piccolo movimento fondato nel 1943 da Michel Aflaq) che raccoglievano adesioni fra studenti, gruppi di ufficiali dell'esercito e fra le minoranze.
Colpi di stato
Nel dicembre 1948, quando scoppiarono sommosse contro il governo, il presidente della repubblica Shukri Al Quwatli, con l'appoggio dell'esercito, ricorse alla forza. Si ebbe così il primo di una lunga serie di colpi di stato (29.3.1949), guidato dal colonnello Hosni EzZa'Im che pe[...]

[...] la riforma agraria e ricercò l'alleanza irakena. Ma, di fronte a questa involuzione, i giovani ufficiali del Ba'th costituirono un'organizzazione clandestina e, 1'8.3.1963, fecero il loro colpo di stato, costituendosi in Consiglio nazionale del comando della rivoluzione (C.N.C.R.).
La politica del Ba'th
Il Ba'th (che significa letteralmente "Rinascita") aveva una ideologia radicalborghese e laica elaborata da Michel Aflaq, secondo il quale il nazionalismo e non la fede religiosa doveva costituire la principale forza di unificazione del mondo arabo. Grazie al suo laicismo il Ba'th era quindi in grado di superare le profonde divisioni sussistenti in Siria tra le varie minoranze religiose che non potevano unirsi sotto la bandiera dell'Islam sunnita. Sorto come si è detto nel 1943, dopo un decennio di vita stentata questo movimento aveva avuto una svolta decisiva nel 1953, grazie alla sua fusione con il Partito socialista arabo guidato da Akram Awrani. Era sorto così il Partito socialista della rinascita araba (di cui il Ba'th costituiva l'ala più[...]

[...]indu striali, nonostante l'opposizione di vasti strati della borghesia. Agli oppositori, il nuovo regime fece fronte istituendo un tribunale militare speciale.
D'altra parte, i conflitti ideologici attraversavano anche il Ba'th, nel quale era sorta una nuova generazione di militanti che, convinti del, la necessità di collegare la lotta nazionale a una prospettiva di azione contro l'imperialismo occidentale, non condividevano il puro
e semplice nazionalismo di Aflaq e degli altri capi storici del partito. Nell'ottobre 1963, al VI Congresso del Ba'th, quest'ala di sinistra ebbe la maggioranza e il 23.2.1966, in seguito a un ennesimo colpo di stato militare, Aflaq e Bitar vennero espulsi dal partito e costretti all'esilio. Alla testa del nuovo governo fu posto Yusuf Zuwayyin, ma l'azione era stata ispirata dal generale Salah Jedid.
Riprese quindi il cammino verso una ristrutturazione economica di tipo socialista all'interno, mentre in politica estera si aveva un'avvicinamento all'U.R.S.S. e un miglioramento dei rapporti con Nasser (a sua volta or[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]zione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discutibile neoumanesimo e nazionalismo, non importa qui discutere). Di quel ben piú complesso e raffinato modo di porre il problema del rapporto tra l'opera poetica e i suoi antecedenti, che aveva prodotto già esempi insigni nel commento del Wilamowitz all'Eracle di Euripide o nella Kunstprosa e in altre opere di Norden o in lavori, pur discutibili per altri lati, di R. Heinze, Marchesi non avverte la novità e la fecondità. Accenna, è vero, a una distinzione che ha notevole importanza, tra fonti, per cosí dire, meramente « contenutistiche » e analogie di espressione formale, le sole, queste seconde, che dimostrerebbero un effettiv[...]

[...]età repubblicana, dalla capacità d'indagare, con indignata ma lucida amarezza, aspetti torbidi della psicologia umana che appartengono ad « ogni tempo » (p. 35). E anche Seneca, l'autore prediletto da Marchesi, è da lui, forse troppo, umanamente compreso per le sue incoerenze e debolezze politiche ed è poi esaltato per la sua tormentata interiorità morale da un lato, per il suo « cosmopolitismo » dall'altro: due fermenti entrambi dissolutori del nazionalismo romano.
Per quante riserve si debbano fare sul concetto marchesiano di « umanità eterna », è indubbio che la contrapposizione homocivis ha dato al critico una chiave preziosa per comprendere i valori piú profondi della letteratura latina, che non nascono dall'adesione al patriottismo e all'imperialismo romano, ma (tranne l'età arcaica, che del resto è già un'età piena di cultura e ha un suo complesso rapporto, messo in luce forse meglio che da
4 Cfr. la testimonianza riportata da Cu. O. BRINK in « Annali della Scuola Normale », ser. In, viii, 1978, p. 1225 s.
644 SEBASTIANO TIMPANARO
chiu[...]

[...] una poesia populistica e retorica, o la reviviscenza della grande poesia antica. Una cultura, una poesia nuova che si innalzi un po' al di sopra dell'Inno dei lavoratori è esclusa a priori da Marchesi.
Il 1908 cade in un periodo in cui gran parte dell'intelligencija italiana, che si era accostata al socialismo durante la reazione di Crispi e di Pelloux e ancora nei primissimi anni del nostro secolo, ridiventa « borghese »: c'è chi si spinge al nazionalismo e prepara già un clima prefascista; ma il distacco dal socialismo fu compiuto anche da studiosi seri e onesti come Salvemini, Ciccotti e molti altri. Non è azzardato, credo, supporre che Marchesi, pur rimanendo iscritto al Partito socialista, abbia fortemente risentito dell'atmosfera antisocialista di quegli 'anni.
Quell'articolo del 1908 dette luogo (lo ricorda, anche se fugacemente, Piero Treves, art. cit., pp. 141,146) a una replica di Alessandro D'Ancona, Malinconica visione dell'avvenire (« Giornale d'Italia », 26 luglio 1908 = Ricordi storici del Risorgimento italiano, Firenze [1914], [...]



da Jacques Howlett, I comunisti e la lotta contro il colonialismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]li colonizzati per darsi uno stato; e dall'altro la tendenza, presso i popoli colonizzati stessi, a confinarsi nel loro quadro strettamente nazionale, nel loro particolarismo. Lenin — citato a questo proposito da Stalin — aveva ben visto il legame dialettico che unisce queste due posizioni apparentemente contradittorie : nei paesi oppressori, gli operai difenderanno la libertà di separazione dei
paesi colonizzati, ché «senza di ciò non v'è internazionalismo )); nei paesi colonizzati, per contro, bisogna lottare « per l'indipen
denza politica della nazione e per la sua unione con gli altri stati ». In ogni caso, bisogna lottare contro i ristretti punti di vista nazio
(9) STALIN, Conferenze sui Principi del leninismo fatte all'Università di Sverdlov (aprile 1924).
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 67
nalistici, contro l'isolamento e « per la subordinazione dell'interesse particolare all'interesse generale ». Per gli uni, dunque, lotta per la libertà di separazione; per gli altri, lotta per la libertà d'unione. «Nella situazione qua[...]

[...]punti di vista nazio
(9) STALIN, Conferenze sui Principi del leninismo fatte all'Università di Sverdlov (aprile 1924).
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 67
nalistici, contro l'isolamento e « per la subordinazione dell'interesse particolare all'interesse generale ». Per gli uni, dunque, lotta per la libertà di separazione; per gli altri, lotta per la libertà d'unione. «Nella situazione qual è, non può esservi altra via verso l'internazionalismo e la fusione delle nazioni » (10).
Stalin fissa con precisione e buon senso gli obbiettivi da perseguire per condurre i paesi colonizzati all'eguaglianza; bisognerà studiare la situazione economica e la cultura, sviluppare questa cultura, sviluppare l'educazione politica e associare quei popoli alle forme superiori dell'economia; bisognerà infine, organizzare la collaborazione economica tra i lavoratori delle nazioni arretrate e quelli delle nazioni progredite (11). Nel 1925, Stalin lancia la parola d'ordine : « Bisogna proletarizzare le regioni coloniali », cioè svilupparne l'industria, cre[...]

[...]LENIN, Bilan de la discussion sur le droit des nations d disposer d'ellesmêmes, citato da J. STALIN, in Le Marxisme et la question nationale et coloniale, p. 187. Editions Sociales, Paris 1950. V. anche, STALIN, Des taches politiques de l'université des peuples d'Orient, dove si denunciano due deviazioni possibili per quanto concerne la questione coloniale: 1) il semplicismo che non tiene conto delle particolarità proprie a ciascun popolo; 2) il nazionalismo che le esagera.
(11) De la façon de poser la question nationale, 1921.
68 JACQUES HOWLETT
uno scrittore che non pub esser sospettato d'obbedienza comunista (12) : « Non è più il tempo in cui si poteva discutere dei meriti o dei demeriti degli imperialismi. Quali che siano le nostre idee su questo argomento, siamo obbligati a riconoscere che l'imperialismo è una formula tramontata ».
C'è una vasta zona sulla quale la stretta imperialista è ancora potente, e nella quale, d'altra parte, le esigenze liberatrici sono ancora sporadiche ed inefficaci : é l'Africa Nera francese (Africa Occidental[...]



da Luciana Castellina, Motivazioni e obiettivi del Partito operaio turco. [sopratitolo: Una forza politica di sinistra che nasca dai sindacati] [sottotitolo: Il gruppo dirigente del POT non cerca facili soluzioni «cittadine» ma vuole realizzare il contatto organizzato con le masse contadine che rappresentano la grandissima maggioranza del paese] in KBD-Periodici: Rinascita 1965 - 1 - 23 - numero 4

Brano: [...]la linea ehe sembra esprimere Yón — troppo arretrate in Turehia
e illusorio sarebbe quindi sperare che da esse prenda le mosse un qualsiasi processo di rinnovamento mentre i militari, sia per la loro origine sociale quasi popolare (in Turchia gli ufficiali compiono gratuitamente gli studi e la borghesi a professionista o terriera li considera ad un livello sociale s inferiore »), sia per il prestigio che specialmente nell'esercito ha tuttora iI nazionalismo di Ataturk, rappresentano iI solo gruppo dotato di sufficiente energia e consapevolezza per
avviare non certo una trasformazione socialista della Turchia, ma almeno un processo di sviluppo noncapitalistico, premessa di una reale indipendenza del paese.
I militari sono in Turchia una forza prettamente laica, ma se questo rappresenta un punto di vantaggio rispetto ai loro colleghi arabi, bisogna dire che esiste in loro assai meno chiara e violenta quella carica anticolonialista che ha portato come necessaria conseguenza l'Egitto su posizioni cosi avanzate anche dal punto di vista dei rapporti[...]

[...]ell'esercito laddove non intervenga un condizionamento capace di dare ai militari una linea ideologica precisa, di fornire ad essi una più esatta co noscenza delle strutture dell'economia del paese. Ciò che fa sperare in un movimento in seno all'esercito è la ondata antiamericana che si è sviluppata nel paese in seguito ai fatti di Cipro e di cui esso non è stato di certo estraneo; se il movente delle manifestazioni che si sono svolte è stato il nazionalismo esasperato, è vero infatti che esse hanno rappresentato il terreno su cui è poi andata formandosi la coscienza del ruolo che l'imperialismo americano e la NATO volevano assegnare alla Turehia e in genere ai paesi « satelliti A. La vicenda di Cipro, il viaggio del ministro degli esteri Erkin a Mosca e la recente visita della delegazione parlamentare sovietica — i primi contatti amichevoli fra Turchia e URSS dal 1933 hanno aperto gli occhi soprattutto alle nuove generazioni che avevano vissuto fino a ieri in un clima di antisovietismia ossessivo e nel più completo isolamento rispetto agli avve[...]



da Vito Grasso, Turchia. Contraddizioni dell'alleato di ferro [sottotitolo: Anche qui la politica americana e della NATO è stata messa in discussione. I primi incerti passi della democrazia dopo la dittatura militare. Ma adesso i militari hanno recuperato gran parte del loro potere] in KBD-Periodici: Rinascita 1974 - 8 - 30 - numero 34

Brano: [...]restaurazione democratica.
Tuttavia la situazione interna turca presenta un quadro che non può non suscitare perplessità riguardo alla vo lontà di rinnovamento che pure esiste nel gruppo repubblicano.
Il Partito repubblicano del popolo, dopo l'allontanamento e poi la morte La fortezza di Famagosta dove i turcociprioti erano rimasti assediati dall'EokaB
di Inönü, sotto la guida di Bulent Ecevit si è profondamente rinnovato, uscendo dal confuso nazionalismo panturco che lo aveva caratterizzato negli anni della sconfitta e che lo aveva reso debole di fronte al più conseguente conservatorismo dei Menderes prima, e dei Demirel poi. Le scissioni interne, avvenute tutte a destra, non solo non lo hanno indebolito, come si è visto, nelle recenti elezioni politiche, ma gli hanno dato la possibilità di elaborare delle linee programmatiche intorno alle ,quali chiamare tutte le forze progressiste del paese. Ecevit non ha esitato a dichiarare, in un paese in cui l'attribuzione della qualifica di comunista era sufficiente per essere deportati, che il suo par[...]

[...] chiave per poter eventualmente ricattare il governo. L'azione a Cipro ha inoltre dato prestigio professionale agli ufficiali turchi e ne ha rafforzato, pertanto, anche la posizione politica. In un esercito che ha avuto occasione di combattere solo rail'atto della sua formazione — nella guerra di liberazione del 1923 — e che, in seguito ha potuto soltanto inviare due battaglioni alla guerra di Corea, la guerra cipriota, sostenuta da un'ondata di nazionalismo restituisce indubbiamente ai generali un'autorevolezza ed una funzione capaci di far dimenticare gli scandalosi privilegi di cui godono, le crudeltà e l'imperizia da essi dimostrate nel governo, le responsabilità per il colpo di Stato.
Se già prima della crisi di Cipro, la presenza dei militari costituiva per Edevit un pericoloso condizionamento, essa appare oggi più minacciosa e tale da consigliargli una estrema prudenza non solo nei rapporti interni ma an che nella politica estera della Turchia: alla quale non giova certo uno stato di tensione permanente che determinerebbe l'aumento delle [...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Sabetti, Il rapporto uomo-natura nel pensiero del Gramsci e la fondazione della scienza in Studi gramsciani

Brano: [...] al cattolicesimo e per il formarsi del centro neoscolastico. Cosí gli scienziati " laici " hanno contro la religione e la filosofia piú diffusa: non può non avvenire un loro imbozzolamento e una " denutrizione " dell'attività scientifica che non può svilupparsi isolata dal mondo della cultura generale... Questo disgregarsi dell'unità scientifica, del pensiero generale, è sentita: si è cercato di rimediare elaborando, anche in questo campo, un " nazionalismo " scientifico, cioè sostenendo la tesi della " nazionalità " della scienza. Ma è evidente che si tratta di costruzioni esteriori estrinseche, buone per i congressi e le celebrazioni oratorie, ma senza efficacia pratica... Il pericolo piú grande pare essere rappresentato dal gruppo neoscolastico, che minaccia di assorbire molta attività scientifica sterilizzandola, per reazione all'idealismo gentiliano » 1.
Se non è passibile accettare la posizione assunta dall'idealismo nei confronti della scienza, il rapporto uomonatura e la conseguente fondazione della stessa scienza non possono implicare [...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine nazionalismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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