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da Vittorio Lanternari, Religione, società, politica nell'Africa Nera avanti e dopo l'indipendenza in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: RELIGIONE, SOCIETA', POLITICA NELL'AFRICA NERA AVANTI E DOPO L'INDIPENDENZA
Ogni secolo nasconde, dietro il sipario dei progressi e delle trasformazioni piú evidenti e chiassose, una sua dimensione inteteriore. Il secolo della macchina e dei risorgimenti nazionali ha avuto una propria dimensione interiore: il socialismo. L'era atomica avrà la sua dimensione interiore, probabilmente, nell'antropologia. La «riscoperta dell'uomo» cui noi oggi assistiamo ha due aspetti fondamentali. Per un verso l'uomo — quello delle società arcaiche, illetterate, preindustriali, preclassiste o scarsamente complesse — acquista coscienza sociale, politica, umana di se stesso e dei suoi valori. Per l'altro verso gli altri uomini — noi delle società avanzate, industriali, classiste, noi della civiltà con la C ritenuta finora maiuscola, noi della civiltà che si fonda .sul libro — stiamo riscoprendo, attraverso l'antropologia, orizzo[...]

[...] di religione e un mondo di tecnica, ovvero potranno precipitare verso una crescente disgregazione e verso l'involuzione socialpolitica e culturale, se il mondo africano non saprà utilizzare fecondamente il suo corredo culturale plurimillenario.
Sono appena da ricordare i recenti sanguinosi conflitti etnici, degli Hutu contro i Tutsi; le lotte interne del Congo con i loro nazionalismi e i loro secessionismi rispettivamente legati all'anticolonialismo e al neocolonialismo, i recenti episodi di rivolta socialreligiosa nella Rhodesia settentrionale, oltre al tumore dell'apartheid, i tribalismi; gli enormi scompensi, anzi l'abisso sociale scavatosi fra — da una parte — un proletariato rurale « dei villaggi », che dei progressi tecnicoorganizzativi soffre (si pensi alla detribalizzazione e ai suoi effetti funesti!) più che godere e un sottoproletariato urbano figlio del primo, dall'altra parte alcune élites minoritarie per lo più così profondamente europeizzate, anzi « abbagliate dagli splendidi orpelli della civiltà occidentale... da essere del tutto stornate dal[...]

[...]rte alcune élites minoritarie per lo più così profondamente europeizzate, anzi « abbagliate dagli splendidi orpelli della civiltà occidentale... da essere del tutto stornate dalla tradizione come da una cosa perfettamente marcia e ,spregevo'le» (1): tutto ciò rischia — se non prevaranno le forze interne ed esterne più democratiche e sagge, che pure non mancano — di travolgere l'Africa sulla scia dei dispotismi coloniali, sulla via dello strumentalismo politico di gruppi interni che noi definiamo «autocolonialisti », sulla via dell'opportunismo classista, fino all'abdicazione totale della propria civiltà e dei valori originali. « Sarebbe vera ironia
(1) TURNBULL, 1962, p. 251.
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— cosi un intelligente etnologo inglese, il Turnbull, conclude il suo stimolante libro di biografie africane —, sarebbe vera ironia se l'ultimo atto di una distruzione preparata con tanta cura sebbene inconsciamente dalle potenze coloniali, dovesse venire dagli Africani stessi, per non saper valutare essi la loro immensurabile eredità u (2[...]

[...]igioni nuove e movimenti politicosociali; 3) i rapporti fra politica e re
nei paesi di recente indipendenza.
La prima parte del nostro discorso riguarda sincretismi
e messianismi. Essa appare a suo modo più agevole e matura, perché la letteratura esistente è cosi vasta, sia per settori etnografici particolari sia per la parte comparativa, che ci sembra giunto il momento di trarre alcune conclusioni. La seconda parte riguarda il neotriadizionallismo d'età post,coloniale. Quest'ultimo presenta problemi complessi d'interpretazione sociologicostorica.
Precisiamo che per neotradizionalismo intendiamo convenzionalmente la tendenza a riprendere tratti della tradizione religiosa nativa in parte già abbandonati, indipendentemente da espliciti influssi delle grandi religioni occidentali. Il neotradizionalismo cosi inteso si distingue dal sincretismo, intendendo per sincretismo restrittivamente la tendenza a fondere con tratti religiosi nativi altri elementi religiosi di provenienza occidentale. Tali distinzioni, come tutte quelle di carattere terminologico, hanno un valore convenzionale e relativo: lato sensu non esiste alcuna religione che non sia sincretista, e cioè non possieda tratti d'origine più o meno eterogenea, cosi come per converso nessun tradizionalismo né neotradizionali
(2) TURNBULL, lOC. Cit.
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smo può escludere in maniera assoluta elementi inn[...]

[...]so si distingue dal sincretismo, intendendo per sincretismo restrittivamente la tendenza a fondere con tratti religiosi nativi altri elementi religiosi di provenienza occidentale. Tali distinzioni, come tutte quelle di carattere terminologico, hanno un valore convenzionale e relativo: lato sensu non esiste alcuna religione che non sia sincretista, e cioè non possieda tratti d'origine più o meno eterogenea, cosi come per converso nessun tradizionalismo né neotradizionali
(2) TURNBULL, lOC. Cit.
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smo può escludere in maniera assoluta elementi innovatori e stranieri. Sottolineiamo che dunque sia il sincretismo sia il neotradizionalismo sono tendenze (e non formazioni rigide), tuttavia ben distinte sul terreno concreto dei dati. Esse possono coesistere nell'ambito d'una medesima società e simultaneamente, con significati socioculturali complementari e perfino convergenti. Sincretismi e neotradi. zionalismi spesso rappresentano altrettante risposte di valore protestatario e anticonformista, elaborate dalle società africane sotto l'urto della civiltà occidentale e sotto l'oppressione coloniale. Pur nella loro intonazione differente — conservatrice nei neotradizionalismi, innovatrice nei sincretismi — le due tendenze hanno spes[...]

[...] altrettante risposte di valore protestatario e anticonformista, elaborate dalle società africane sotto l'urto della civiltà occidentale e sotto l'oppressione coloniale. Pur nella loro intonazione differente — conservatrice nei neotradizionalismi, innovatrice nei sincretismi — le due tendenze hanno spesso un fondo comune di polemica autonomista antioccidentale. In altri casi e in certe fasi di sviluppo di alcune società africane, il neotradizionalismo si contrappone a un precedente sincretismo e prevale su di esso. Alcuni autori parlano, a questo proposito, di «neo paganismo », di a reflux de la Christianisation », ecc. Poiché conosciamo numerosi casi di questo genere, e specialmente presso nazioni africane di recente indipendenza, questo tipo di neotradizionalismo postcoloniale, che é il più sconcertante ed inquietante, pone seri problemi di rapporti fra politica e religione nei paesi di recente indipendenza. Il ritorno alle tradizioni si accompagna, in questi casi, col rifiuto più o meno esplicito, e comunque con l'abbandono o l'offuscamento di numerosi elementi cristiani prece dentemente accettati sia in forme sincretiste sia per apparenti conversioni.
Sincretismo, messianismo, neotradizionalismo costituiscono importanti aspetti del multiforme panorama offerto dallo sviluppo delle religioni africane negli ultimi decenni. Un breve riesame storico e comparativo richiede che tutte queste manifestazioni vengano collocate entro il quadro più generale delle varie risposte — culturali, sociali, politiche oltreché religiose — che le società indigene hanno dato alla civiltà occidentale nella « situazione coloniale » che ha caratterizzato il corso della loro storia per lunghi decenni. Per quel che riguarda i più recenti sviluppi religiosi d'epoca postcoloniale, si richiede soprattutto un'analis[...]

[...]i rurali. In tal senso l'ipotesi che i neotradizionalismi d'ambiente rurale siano una spontanea risposta alla politica deculturatrice promossa dalle élites occidentalizzate d'ambiente urbano assume una certa consistenza. Roger Bastide, il quale già ha posto in modo acuto il problema dei rapporti fra élites dirigenti e comportamenti religiosi indigeni, ha indicato nei sincretismi una risposta autonomista delle popolazioni (rurali) al nuovo colonialismo culturale perseguito dalle élites dirigenti dei paesi indipendenti (3). Tanto piú, secondo noi, si giustificano i nuovi neotradizionalismi africani, in questa situazione di «autocolonizzazione» interna.
Sincretismi e neo,tradizionalismi d'epoca coloniale.
A proposito di sincretismo e messianismo, c'é anzitutto un problema di terminologia. Spesso questi termini sono stati usati indiscriminatamente per designare in genere i culti nuovi dell'Africa Nera e di altre popolazioni. Ma — come osserva Denise Paulme — « quale culto può non dirsi sincretista al suo inizio? D'altronde, tutto confondere [...]

[...]Essi rappresentano una riposta sui generis allo stato d'asservimento, di frustrazione, di «privazione» (« deprivation », come dicono gli anglosassoni) e d'oppressione. E' la medesima situazione che fornisce il terreno d'origine allo sviluppo parallelo dei movimenti sincretisti, messianici e millenaristi. In questi culti magici antistregonisti noi dunque vediamo un genere, o una fase particolare dei movimenti neotradizionalisti: é il neotradizionalismo d'epoca coloniale. Nel corso del colloquio di Bouaké, dedicato ai sincretismi e messianismi dell'Africa Nera, noi lo definimmo « asincretismo ». Certo, conviene distinguere questa fase del neotradizionalismo, dal neotradizionalismo postcoloniale di cui riparleremo. Infatti differenti situazioni storiche danno, alle due fasi del fenomeno, significati ben distinti.
Se si guardano i sincretismi e i neotradizionalismi d'età coloniale in funzione della loro origine, sviluppo e destino, essi presentano chiare differenze. L'origine è diversa, perché nei primi si risente fortemente della personalità del fondatore che é stato a contatto diretto o indiretto con le missioni, ed in essi si esprime un complicato rapporto fra indigeni e cultura europea.
A queSto parallelismo delle origini si contrappone un ben differente ruolo stor[...]

[...]ue fasi del fenomeno, significati ben distinti.
Se si guardano i sincretismi e i neotradizionalismi d'età coloniale in funzione della loro origine, sviluppo e destino, essi presentano chiare differenze. L'origine è diversa, perché nei primi si risente fortemente della personalità del fondatore che é stato a contatto diretto o indiretto con le missioni, ed in essi si esprime un complicato rapporto fra indigeni e cultura europea.
A queSto parallelismo delle origini si contrappone un ben differente ruolo storico degli uni e degli altri. I nuovi culti magici dei Fang hanno un effimero destino a confronto con il movimento sincretista Bwiti. Quelli non sono sopravvissuti a lungo, mentre questo é avviato a un crescente sviluppo, e si volge verso un complesso sincretismo autonomista, nucleo d'un vero rinnovamento religioso e sociale.Osservazioni analoghe sono state fatte dal Debrunner sui recenti culti magici del Ghana, anch'essi effimeri (18).
In genere i movimenti magici, neofesticisti, antistregonisti, insomma neotradizionalisti di età colon[...]

[...]ifestazioni si possano includere nel termine « sincretismo».
Si finirà per fraintenderne il significato, se si pensa al « sincretismo» come ad un «data» matematico di cui si possano ben misurare e pesare le componenti in maniera statica. Infatti il sincretismo in Africa é, e deve essere considerato una « tendenza dinamica» che nasce in una cultura indigena come reazione all'urto con una civiltà superiore nelle sue forme istituzionali del colonialismo e delle missioni, e si sviluppa nelle forme più varie. In esso si esprimono tre orientamenti della cultura nativa scanvolta dai bianchi:
(19) SCHLOSSER 1958; BAFFA 1961, 131.
(20) BOHANNAN 1958; LANTERNARI, 5MSR. 32.2.
(21) GODY 1957.
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1) riaffermare sé stessa revivificando la tradizione religiosa locale. E' questo l'elemento tradizionalecontinuativo.
2) rinnovarsi per salvaguardarsi dalla crisi indotta dal colonialismo, di fronte al fallimento del sistema religioso tradizionale che non è valso a (( salvare ». Perciò la tradizione é selezionata, in parte abbandonata, in parte sostituita. E' questo l'elemento tradizionalerinnovato. In realtà non v'è alcun movimento nativista che comporti una ripresa integrale e passiva della tradizione: questa, in virtù della selezione, é trasformata.
3) impadronirsi della «potenza» insita nella cultura cristiana a proprio vantaggio — secondo la filosofia della ((forza vitale» propria della tradizione —, per resistere all'egemonia europea, reinterpretando quei tratti esterni[...]

[...] sincretismo «emancipazionista» il quale diviene, dopo il ((martirio » o la morte dei suoi fondatori, anche «messianico», e infine in una fase contemporanea si trasforma in un sincretismo «autonomista ». Rispettivamente, la fase di violenta persecuzione dei bianchi e di forzata clandestinità (ecco l'emancipazionismo) si maturò via via, in seguito alla tenace resistenza del Kimbangismo stesso, in un atteggiamento di tolleranza e di crecente liberalismo religioso pur sempre (( nazionale» a a etnico» (ecco l'integrismo, l'autonomismo, l'aggiustamento). Varie sono dunque le forme concrete del sincretismo, ed esse vanno storicamente concatenate fra loro in uno sviluppo coerente. Questo riflette e in parte determina altrettanti momenti storici ben differenti dei rapporti fra la civiltà indigena e quella occidentale.
Come si vede, il termine «sincretismo» abbraccia fenomeni assai eterogenei per grado, sostanza, significato, funzione. Un'ul
(25) PAIILME, Cah. Et. Afr., 1962.
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teriore osservazione: per appre[...]

[...]ti della cultura e delle trasformazioni culturali, e — come dice lo stesso Bastide — «in funzione della congiuntura storica » (49).
Del resto, perfino l'indipendenza politica, là dove essa é raggiunta, non esaurisce affatto quel conflitto interculturale del quale sincretismi e messianismi sono, dapprincipio, una delle principali espressioni. Vogliamo riferirci nuovamente al Bastide. «Dobbiamo osservare — egli dice — che il passaggio dal colo nialismo all'indipendenza non muta i dati del problema che ci
(48) BASTIDE 1961, 12.
(49) SEGUY 1962; DESROCHE 1961; BASTIDE 1961.
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preoccupa: infatti l'indipendenza è diretta, come la colonizzazione, da un'élite minoritaria del tutto occidentalizzata, e il cui ideale di sviluppo economico e sociale non è se non l'interiorizzazione dei valori europei... Costoro (dell'élite) sono acculturati, e non pensano più la loro tradizione con mentalità d'africani, ma con mentalità occidentale» (50). Resta dunque, per dopo l'indipendenza, il problema di scegliere la giusta[...]

[...]: poiché tradizione è storia nel suo senso retrospettivo, rinnovamento é storia nel suo senso prospettico: e la storia passata non può essere rinnegata neppure nei momenti di massimo impegno rinnovatore (51).
Quanto alle nuove religioni in rapporto all'indipendenza politica, giova in conclusione ripetere — per ben porre il problema su cui torneremo — quel che osserva il BaStide, cioè che «le nuove éliteS non fanno altro che sostituire un colonialismo a un altro, il colonialismo culturale — quello delle idee occidentali — al colonialismo amministrativo... La vera funzione delle religioni sincretiste è di salvare le vecchie strutture etniche minacciate dalle nuove forme politiche» (52). Dunque le religioni
(50) BASTIDE 1959, 435436.
(51) HERSKOVITS 1962, 451478.
(52) BASTIDE 1959, 440.
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sincretiste sono l'estremo rifugio di società che rischiano di perdere, nel processo d'europeizzazione, la propria identità culturale (53), la loro «personalità ».
A questo proposito ricordo che, oltre alle religioni nuove ed alla rivolta attiva, c'é un'altra possibile risposta delle culture native alla civiltà occi[...]

[...] «israeliti » presso le società dell'Africa nera (62).
Ora, se si guardano nel loro insieme le risposte dei negri africani ai richiami cristiani trasmessi dall'occidente, si deve tener conto anche di altri fatti: in particolare dell'entusiastica adesione di gruppi di negri a certi movimenti religiosi e parareligiosi per così dire eterodossi o nonconformisti, venuti tra loro dall'occidente, come i Testimoni di Geova (Watch Tower, Kitawala, Russellismo) (63), e l'Esercito della Salvezza (64). Si tratta di movimenti che predicano il ritorno alla morale cristiana fuori dalle sovrastrutture ecclesiastiche o (Russel'lismo) contro le chiese stesse e lo stato, intesi come istituzioni « sataniche». Nel medesimo quadro delle. risposte indigene ai richiami cristiani rientrano i movimenti nativisti, sincretisti, autonomisti di cui s'è parlato. All'infuori delle conversioni di élites inurbate e occidentalizzate e di altri casi individuali, il quadro dei comportamenti dei negri, e specialmente delle masse rurali di fronte al cristianesimo, deve completarsi considerando il ruolo dell'islamismo come religione autonomista e antioccidentale. Si pile. citare, al riguardo, il caso sconcertante e signi ficativo riferito da P[...]

[...]tch Tower) sono perfettamenti paragonabili a quelli dei movimenti religiosi africani, e cioè: superare le contraddizioni fra comportamento e principi, sgomberare la religione dagli interessi istituzionali, riguadagnare il senso di religiosità autonoma dell'individuo: tutto ciò mediante un «ritorno alle origini» variamente interpretato caso per caso.
C'è dunque, nella nascita dei movimenti indigenisti e delle sette moderne occidentali, un parallelismo di condizioni storiche. Sarebbe interessante estendere l'esame di questi paralleli
(68) SEIEPPERSON 1963, 150.
(69) CTIENu 1962, 534.
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smi anche ai movimenti profetici del mondo antico. Come vari autori hanno osservato, il cristianesimo stesso, ai suoi inizi si pre
senta come un movimento profetico e millenarista profondamente
legato alle speranze d'un miglioramento immediato delle condizioni della popolazione. «Dopo tutto — scrive il Koebben — il
cristianesimo cominciò come movimento profetico» (70). E Norman Cohn aggiunge: «Per numerosi suoi pr[...]

[...]ra senza coltivarla avrebbe prodotto vino e grano e latte in una misura mai prima udita, e in cui gli infedeli sarebbero caduti in schiavitù dei fedeli» (71). D'altra parte a un osservatore attento appare che le grandi religioni moderne sorsero precisamente come movimenti prof etici di rinnovamento. In particolare il cristianesimo si fonda, alle origini, sulla protesta contro due principali istituzioni ufficiali, lo statismo romano e il sacerdotalismo giudaico, a nome dell'individualismo e dei bisogni religiosi popolari. E' una protesta che trova una corrispondenza precisa nelle sette millenariste come il Gioachimismo, la Watch Tower, gli Shakers (72), gli Avventisti del VII giorno (73) e nei profetismi indigeni rivolti contra gli stati colonialisti e le missioni nel loro aspetto deculturatore e opprimente (74).
Tuttavia al di lá dei parallelismi non vanno ignorate le dif
(70) KOEBBEN 1960, 161.
(71) CoHN 1962, 33. Per il millenarismo popolare dei primi secoli cristiani, secondo l'interpretazione immanentista e materialista del «millennio» annunciato dall'Apocalisse„ cfr. [...]

[...]ll'Apocalisse„ cfr. KAUFMANN 1964, 1213.
(72) DESROCHE 1960, 31321.
(73) SHEPPERSON 1958, 134135.
(74) L'identificazione e la confusione del ruolo delle missioni con quello delle amministrazioni coloniali proviene dai negri stessi, a causa della natura solidale e organica delle esperienze storiche, da loro subite, dell'u uomo bianco ». Ciò non esclude che per molti altri rispetti i missionari assunsero la protezione dei negri contro il colonialismo, e i negri mostrarono più volte di riconoscere nelle missioni un ruolo distinto da quello degli amministratori coloniali. Per il problema della politica missionaria e delle sue trasformazioni, cfr. LANTERNARI, 4 Ulisse r 1962.
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ferenze. Soprattutto, all'origine dei profetismi indigeni si trova una tensione culturale d'origine esterna; al contrario all'origine degli altri profetismi si ha una tensione d'origine interna fra società e istituzioni oppressive. A queste differenze d'origine corrisponde una grande differenza di tendenze. I profetismi indigeni hanno tendenza [...]

[...]o tutti un contenuto universale e sovrannazionale: un contenuto che deriva dal cristianesimo, il quale lo ereditava a sua volta dal mondo grecoromano e dal giudaismo postesilico, già largamente ellenizzato.
La situazione postcoloniale.
I sincretismi, profetismi, messianismi rappresentano, a uno sguardo d'assieme, una importante risposta delle culture africane all'introduzione della civiltà occidentale nel periodo estremo e più acuto del colonialismo europeo. La raggiunta indipendenza risolve certo alcune delle urgenti istanze che si espressero nei movimenti religiosi preparatori del processo d'emancipazione. Tuttavia altre pressanti esigenze, altri fattori di crisi socioculturale gravano sulle società indipendenti. Numerosi sono i riflessi religiosi di una situazione sociale e culturale tutt'altro che equilibrata.
I sincretismi nati in periodo coloniale continuano e si sviluppano, senza rinunziare agli aspetti religiosi tradizionali più radicati. Anche i profetismi talora continuano ad avere vigore, e mutano indirizzo: da innovatori e p[...]

[...]à indipendenti. Numerosi sono i riflessi religiosi di una situazione sociale e culturale tutt'altro che equilibrata.
I sincretismi nati in periodo coloniale continuano e si sviluppano, senza rinunziare agli aspetti religiosi tradizionali più radicati. Anche i profetismi talora continuano ad avere vigore, e mutano indirizzo: da innovatori e progressisti, quali erano nelle fasi iniziali e rivoluzionarie, diventano conservatori e misoneisti. Il dualismo religioso, nelle combinazioni più varie, sussiste e si sviluppa (75): gli individui e i gruppi «cristianizzati» non hanno difficoltà di ricorrere, quando é necessario, al « fétisheur » o «medicine man» per curare le malattie. Anche in clima cristiano sono salvaguardati vari tratti tradizionali. Per di più in genere si
(75) Per esempio, nel movimento Jamaa del Katanga (Ttrauws 1960).
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tratta d'un cristianesimo più apparente che reale, per ciò che riguarda specialmente le masse rurali.
In questo quadro di generico tradizionalismo ci pare bene esaminare a[...]

[...]no difficoltà di ricorrere, quando é necessario, al « fétisheur » o «medicine man» per curare le malattie. Anche in clima cristiano sono salvaguardati vari tratti tradizionali. Per di più in genere si
(75) Per esempio, nel movimento Jamaa del Katanga (Ttrauws 1960).
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tratta d'un cristianesimo più apparente che reale, per ciò che riguarda specialmente le masse rurali.
In questo quadro di generico tradizionalismo ci pare bene esaminare alcuni episodi di natura socialreligiosa, che sembrano particolarmente significativi del clima postcoloniale. La chiesa matsuista di Kinzonzi nel Congo exfrancese continua, contro il governo indipendente indigeno del paese, la stessa politica di scioperi già adottata contro il governo coloniale francese, come se l'indipendenza non fosse reale. I fedeli della setta rifiutano di aderire al censimento, di pagare le imposte, di accedere agli ospedali. Il governo congolese si é visto costretto a prendere contro i « ribelli » le stesse misure (arresti, carcere) che già il gov[...]

[...]oce che parla sia quella di Lumumba, venuto ad apostrofare la popolazione (85).
Sono questi alcuni elementi di un tema — quello dei rapporti fra politica e religione — che andrebbe analizzato a sé (86).
Alle manifestazioni religiose suddette improntate a significati di protesta socialepolitica abbastanza evidenti di per sé, si debbono aggiungere, nel quadro della situazione post coloniale, le molteplici manifestazioni di autentico neotradizionalismo religioso.
Nel Camerun meridionale padre René Bureau ha fatto una analisi della situazione religiosa, allarmante d'al punto di vista teologico e missionario, per lo sfrenato rigurgito di religiosità tradizionale che s'accompagna con il rifiuto o il declino del cristianesimo precedentemente accettato dalla popolazione locale. Dopo una prima fase d'incontro infruttuoso col cristianesimo missionario fra il 1890 e la I Guerra Mondiale, la popolazione sudcamerunese cominciò dopo la I Guerra Mondiale ad essere attratta ad esso non tanto — come osserva il Bureau — per effetto di proselitismo religi[...]

[...]ione », di « ritorno alle origini ». Le pratiche antiche, i riti, i culti, i valori tradizionali sono ripresi disordinatamente, e intanto ((Si evitano i missionari, si ricorre al medicineman, si verifica una netta flessione della partecipazione dei giovani alla pratica cristiana ». Questo é il quadro della situazione denunciato dal missionario René Bureau: il quale nel tentativo di spiegare questo rigurgito di « paganesimo», questo neotradizionalismo inquietante, conclude col dire che «forse la massa era stata convertita, ma non la coscienza comane» (87).
Piú che ricorrere a distinzioni di quest'ultimo genere, é opportuno, per spiegare un fenomeno così caratteristico, riferirsi
(87) BUREAU 1964, 107112; BUREAU, in: LANTERNARI 1963, 225226.
184 VITTORIO LANTERNARI
all'esperienza di vuoto creatosi nel dopoguerra e cresciuto dopo raggiunta l'indipendenza, fra le comunità dei villaggi — già integrate nel loro sistema socioculturale e religioso — e una classe dirigente europeizzata, da poco formata, e disintegrata nel dominio sociale oltre[...]

[...]il cristianesimo é in piena crisi a causa del processo di secolarizzazione, specie negli ambienti intellettuali e inurbati, a causa delle lotte fra gruppi, a causa del ritorno alle feste e ai riti tradizionali, mentre si estromettono le influenze occidentali (88).
Vi sono parecchi casi nei quali un precedente sincretismo si sviluppa — come già si é detto a rovescio, indietreggiando da una fase ricca di elementi cristiani a un vero neotradizionalismo per nulla cristiano. Così i molti movimenti neoharristi dell'Africa occidentale derivano storicamente dal sincretismo ricco di elementi cristiani fondato da Wade Harris nel 1914; ma oggi l'antico harrismo é ridotto a una serie di culti di guarigione, e ha perduto gli elementi millenaristi, innovatori della fase iniziale. Nella setta dei Water Carriers degli Nzema (Ghana) — come ci indica Ernesta Cerulli — abbiamo l'esempio d'uno di questi culti di guarigione neoharristi. Si fa uso di acqua battesimale, della croce e della Bibbia, che sono privati d'ogni contenuto cristiano e sono rimodellati [...]

[...]essa epoca e con le manifestazioni di rivolta socialreligiosa all'interno dei vari paesi contro le autorità indigene. In maniera diretta le rivolte, in maniera indiretta i tradizionalismi e i sincretismi; su un terreno politicoreligioso le rivolte e su un terreno religiosoculturale i sincretismi e i neotradizionalismi, tutte queste manifestazioni esprimono un comune dissenso contro le forze locali eredi di alcune tendenze già proprie del colonia lismo occidentale. E' chiaro p. es. che il Kitawalolumumbismo svolge la sua latta su due fronti simultaneamente, il neocolonia
(89) CERULLI 1963.
(90) Ronal in: LANTBRNARI 1963, 224225.
186 VITTORIO LANTERNARI
lismo euroamericano e le autorità centrali considerate solidali con esso.
In conclusione, pur nelle differenti situazioni dei vari paesi, l'indipendenza politica, più che determinare un mutamento radicale dell'atteggiamento socialreligioso, ha spostato all'interno della società le forze promotrici degli antichi contrasti, e che precedentemente agivano su di essa dall'esterno. Neila maggior parte dei paesi, dal colonialismo socialpoliticoeconomico imposto dagli europei si é passati al colonialismo socioculturale imposto dalle élites dirigenti. In tale quadro sembrano spiegarsi le suaccennate manifestazioni di rivolta socialreligiosa, di tradizionalismo e neotradizionalismo, di reinterpretazione mitologica del «potere» politico. Esse direttamente o indirettamente denunciano il «vuoto » socioculturale creatosi nella maggioranza delle nuove nazioni africane fra la classe dirigente che ha fatto proprio il mondo mentale, la secolarizzazione della vita, lo spregiudicato individualismo degli occidentali, e il proletariato rurale o il sottoproletariato urbano, che da un lato sono spinti dal contatto a uscire dall'antica cultura in crisi e d'altra parte rimangono ai margini della cultura nuova, anzi spesso sono strumentalizzati in funzione di interessi particolari di gruppi e persone. C'é un «autocolonialismo» africano dunque, alleato del neocolonialismo euroamericano.
In tale quadro, i villaggi e il sottoproletariato urbano che é l'appendice diretta di quelli, rappresentano « gruppi di pressione» contro la politica deculturatrice e spersonalizzatrice di certe élites dirigenti. Al di là del loro più o meno marcato conservatorismo, i movimenti religiosi poStcoloniali a tendenza " neotradizionalista hanno un significato ammonitore. Sono una risposta all'azione « spersonalizzante» di élites le quali non hanno ancora sufficientemente «decolonizzato» se stesse (91). Sono un richia
(91) Touan 1959, 114, 116. Per quel che riguarda la tensione fra [...]

[...]a tendenza " neotradizionalista hanno un significato ammonitore. Sono una risposta all'azione « spersonalizzante» di élites le quali non hanno ancora sufficientemente «decolonizzato» se stesse (91). Sono un richia
(91) Touan 1959, 114, 116. Per quel che riguarda la tensione fra città ricche e campagna (a brousse») povera, fra il proletariato miserabile dei villaggi e i «politici» arrivati e privilegiati, e anche per quel che riguarda il «paternalismo politico» delle élites, vedi
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 187
mo a un bisogno d'integrazione di quei valori che finora la civiltá occidentale ha «esportato)) nell'Africa Nera senza riuscire a integrarli nel background culturale delle società indigene.
Vrrroiuo LANTERNARI
BIBLIOGRAFIA*
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Studies, London 1962.
BALANDIER G., Sociologie dynamique et histoire a partir de faits africains, a Cahiers Internat. de
Sociologie », 34. 1963, 313.
BALANDIER G., Sociologie actuelle de l'Afrique Noire, II éd., P[...]



da [Gli interventi] Roberto Battaglia in Studi gramsciani

Brano: Roberto Battaglia

Paimiro Togliatti ha formulato un’osservazione che mi sembra di grande interesse per lo studio del pensiero di Gramsci. Mi riferisco all'osservazione con cui egli ha accennato alla novità del pensiero di Gramsci rispetto a quello di Antonio Labriola.

Cito dalla relazione di Togliatti: «La guida delle conclusioni leniniste sulla natura dteU’imperialismo fa superare a Gramsci il punto morto cui era giunta all’inizio del secolo l’indagine politica di A. Labriola e alla quale aveva corrisposto in sostanza la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall’estremismo ». Togliatti ha cosi richiamato la nostra attenzione non solo sulla linea di displuvio che corre tra il pensiero di Labriola e quello di Gramsci, ma sulla nuova prospettiva in base alla quale 'Gramsci va elaborando i suoi concetti, la prospettiva dell’età dell’imperialismo.

Affrontare quest’argomento, cioè la concezione di Gramsci dell’età de[...]

[...]olo l’indagine politica di A. Labriola e alla quale aveva corrisposto in sostanza la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall’estremismo ». Togliatti ha cosi richiamato la nostra attenzione non solo sulla linea di displuvio che corre tra il pensiero di Labriola e quello di Gramsci, ma sulla nuova prospettiva in base alla quale 'Gramsci va elaborando i suoi concetti, la prospettiva dell’età dell’imperialismo.

Affrontare quest’argomento, cioè la concezione di Gramsci dell’età dell’imperialismo, è evidentemente un tema assai vasto e impegnativo ed

10 qui non posso che limitarmi ad enunciarne qualche aspetto più evidente. Mi sembra che sia necessario innanzi tutto chiarire quale sia stato

11 « punto morto » cui arrivò il Labriola; e di qui partire per determinare il pensiero di Gramsci, per comprendere il suo metodo di formazione, il modo con cui egli — diciamo cosi — assimila la concezione leninista.

Il pensiero del Labriola sulletà dell’imperialismo, fino ad oggi è stato poco studiato ed è particolarmente noto attraverso l'interpretazione che ne ha dato Benedetto Croce. Qu[...]

[...]n tema assai vasto e impegnativo ed

10 qui non posso che limitarmi ad enunciarne qualche aspetto più evidente. Mi sembra che sia necessario innanzi tutto chiarire quale sia stato

11 « punto morto » cui arrivò il Labriola; e di qui partire per determinare il pensiero di Gramsci, per comprendere il suo metodo di formazione, il modo con cui egli — diciamo cosi — assimila la concezione leninista.

Il pensiero del Labriola sulletà dell’imperialismo, fino ad oggi è stato poco studiato ed è particolarmente noto attraverso l'interpretazione che ne ha dato Benedetto Croce. Quest’ultimo ha rivolto infatti un elogio di « fedeltà al marxismo » al Labriola, riferendosi agli atteggiamenti che526

Gli interventi

questi avrebbe assunto sulla questione coloniale: «Labriola — dice il Croce — guardò con simpatia all’impresa d’Africa e si manifestò favorevole a'U’impresa di Tripoli, fedele anche in ciò al marxismo che non concepisce un serio movimento proletario se non preceduto da un serio e pieno svolgimento della borghesia ».

Penso che è s[...]

[...]a fiducia nello sviluppo pacifico del mondo ed erano arrivati a proporre un tribunale internazionale per risolvere ogni verRoberto Battaglia

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tenza, per eliminare ogni pericolo di guerra. Il (Labriola condannò recisamente questa illusione, l’illusione di sostituire, egli dice, ai « zig zag della storia un consiglio di savi » ; e colse l'occasione per ribadire che ben diversa era la prospettiva storica tracciata dallo sviluppo del capitalismo e che «fatale» eira iainche l'inasprirsi della questione coloniale. Particolarmente su quest’ultima richiamò pertanto l’attenzione del proletariato, invitandolo a intervenire, ad inserirsi con la propria azione politica nel campo dell’espansione borghese. Certamente, dal punto di vista tattico il Labriola sbagliò nell’indicare il modo di questo inserimento. Ed il suo errore non fu solo contingente, ma ha la propria indubbia origine nella concezione ancora vaga e confusa ch’egli aveva della nuova epoca deirimperialismo. Ecco come, negli ultimi suoi scritti e particolamence nei frammenti delie [...]

[...]Particolarmente su quest’ultima richiamò pertanto l’attenzione del proletariato, invitandolo a intervenire, ad inserirsi con la propria azione politica nel campo dell’espansione borghese. Certamente, dal punto di vista tattico il Labriola sbagliò nell’indicare il modo di questo inserimento. Ed il suo errore non fu solo contingente, ma ha la propria indubbia origine nella concezione ancora vaga e confusa ch’egli aveva della nuova epoca deirimperialismo. Ecco come, negli ultimi suoi scritti e particolamence nei frammenti delie lezioni universitarie del 190102, egli formula a questo proposito il suo pensiero : « Io non saprei ridurre in poche parole la persuasione in che sono venuto nei miei recenti studi, del come le presenti condizioni d’interdipendenza economica interoceanica manterranno per un pezzo la vita delle nazioni civili nei rapporti d’una sempre più acuita concorrenza, il che non toglie che il socialismo sia già una gran forza e che i partiti operai siano un potente contrappeso alle varie borghesie ». Ed ancora : « La concorrenza [...]

[...]li ultimi suoi scritti e particolamence nei frammenti delie lezioni universitarie del 190102, egli formula a questo proposito il suo pensiero : « Io non saprei ridurre in poche parole la persuasione in che sono venuto nei miei recenti studi, del come le presenti condizioni d’interdipendenza economica interoceanica manterranno per un pezzo la vita delle nazioni civili nei rapporti d’una sempre più acuita concorrenza, il che non toglie che il socialismo sia già una gran forza e che i partiti operai siano un potente contrappeso alle varie borghesie ». Ed ancora : « La concorrenza è l’assioma della società liberale la quale vi si eserciterà attorno più furiosamente nel nuovo secolo ».

C’è quindi in lui — mi sembra che si possa affermare — l’intuizione che si va verso un’epoca di continui, più approfonditi, « furiosi » contrasti. Tuttavia egli non va al di là di questa intuizione, né arriva a cogliere il profondo mutamento strutturale che subisce in questo periodo il capitalismo. In fondo egli ritiene che la nuova fase sia semplicemente un p[...]

[...]varie borghesie ». Ed ancora : « La concorrenza è l’assioma della società liberale la quale vi si eserciterà attorno più furiosamente nel nuovo secolo ».

C’è quindi in lui — mi sembra che si possa affermare — l’intuizione che si va verso un’epoca di continui, più approfonditi, « furiosi » contrasti. Tuttavia egli non va al di là di questa intuizione, né arriva a cogliere il profondo mutamento strutturale che subisce in questo periodo il capitalismo. In fondo egli ritiene che la nuova fase sia semplicemente un prolungamento, una continuazione della vecchia fase « liberale ». Né coglie nella nuova struttura del capitalismo quegli elementi che — come dice Lenin — « si stanno movendo in senso opposto ». Da qui deriva quel suo accenno alla probabile « accentuazione della concorrenza » che è formula quanto mai imprecisa od errata; mentre la formula esatta dovrebbe invece riferirsi alla fine della concorrenza e al sorgere del monopolio.

Cosi egli intuendo sollo confusamente le caratteristiche della nuova età, non può additare compiti precisi ai partiti operai. E l'enunciazione in cui attribuisce al movimento socialista una semplice funzione di « contrap528

Gli interventi

peso alla borghesia » è evidentemen[...]

[...]cchiare le sue incertezze di fondo.

Ora, se questo è il punto morto cui è giunto il pensiero del Labriola, non dobbiamo tuttavia credere che Gramsci abbia potuto superarlo come per una improvvisa illuminazione, ma dobbiamo invece studiare con attenzione nell’opera di Gramsci il lento e spesso difficile processo di formazione del suo pensiero.

Vero è che Gramsci non ci ha lasciato nessuna pagina in cui la sua concezione dell’età dell’imperialismo sia espressa compiutamente, abbia il risalto e la forza sintetica che assumono nei suoi scritti altri argomenti decisivi come la concezione del partito e dello Stato. Ma proprio perciò dobbiamo respingere la tentazione di ricostruire questa pagina che manca nella sua opera attraverso una serie di citazioni, di frammenti, come se si trattasse di ricomporre le tessere di un mosaico. Questo mosaico risulterebbe certamente inerte né ci permetterebbe di capire il pensiero di Gramsci nel suo effettivo sviluppo. Del resto è questo un metodo da respingere, come da respingere l’idea che si debba ricer[...]

[...]con la loro elaborazione teorica, con l’assimilazioine dei principi essenziali del leninismo.

A me sembra che nell’epoca della prima guerra mondiale Gramsci non avesse ancora una chiara concezione ddl’età dell’imperiaM’smò, Non è solo un problema di maturità politica — egli aveva ventitré anni allo scoppio del conflitto — ma direi che vi era per chiunque la difficoltà obiettiva di constatare in Italia le caratteristiche essenziali dell’imperialismo quali furono enunciate da Lenin. L’Italia nel grande conflitto internazionale è in fondo un campo periferico in cui non è sempre facile cogliere il centro della lotta: nel nostro Paese gli obiettivi imperialistici della borghesia, come l’espansione nei Balcani, s’intrecciano e si urtano con gli obiettivi democratici dell’irredentismo.

La vera, la decisiva esperienza di Gramsci si verifica piuttosto nelrimmediato dopoguerra e si dispiega pienamente nell’opera di direzione dell’Ordine Nuovo. Quando si parla di questa esperienza in genere ci siRoberto Battaglia

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richiama soltanto ai[...]

[...] pienamente nell’opera di direzione dell’Ordine Nuovo. Quando si parla di questa esperienza in genere ci siRoberto Battaglia

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richiama soltanto ai suoi elementi interni, cioè al concetto dei consigli di fabbrica, ai rapporti fra sindacato e partito, ma si dimentica troppo spesso l’avversario contro cui si muove Gramsci. L'avversario è la FIAT, cioè il primo grande monopolio, ed egli acquista un’effettiva concezione dell’età dell’imperialismo lottando e penetrando nella lotta le caratteristiche del 'nemico di classe. Si porrebbe fare molte citazioni a questo proposito. Mi sembra che una delle più interessanti sia quella relativa al modo con cui Gramsci si accorge come nella nuova età il capitale finanziario si stia distaccando dalla produzione, cioè come si renda conto di uno degli elementi essenziali dell’imperialismo e cioè del prevalere del capitale finanziario.

Egli ci dice a proposito della FIAT : « SÌ tratta di un gigantesco apparecchio industriale che corrisponde a un piccolo Stato capitalista, che è un piccolo Stato capitalista e imperialista perché detta legge all’industria meccanica torinese, perché tende con la sua produttività eccezionale, a prostrare e assorbirle tutti i concorrenti: un piccolo Stato assoluto che ha un autocrate: il' comm. Giovanni Agnelli, il più audace e tenace dei capitani d'industria italiani, un 66 eroe ” del capitalismo moderno. ÌLI capitalismo annienta i suoi 66 eroi [...]

[...]ratta di un gigantesco apparecchio industriale che corrisponde a un piccolo Stato capitalista, che è un piccolo Stato capitalista e imperialista perché detta legge all’industria meccanica torinese, perché tende con la sua produttività eccezionale, a prostrare e assorbirle tutti i concorrenti: un piccolo Stato assoluto che ha un autocrate: il' comm. Giovanni Agnelli, il più audace e tenace dei capitani d'industria italiani, un 66 eroe ” del capitalismo moderno. ÌLI capitalismo annienta i suoi 66 eroi ”, il capitalismo sta annientando il comm. Giovanni Agnelli. Il capitalismo è diventato plutocrazia, è diventato alta banca... In pochi mesi rorganizzazione (o lo sfacelo) capitalistica ha compiuto molti passi in avanti; la plutocrazia siderurgica ansaldiana ha rinnovato l’assalto, è passata sopra il cadavere del capitano d’industria ».

Ora non interessa qui tanto verificare se le indicazioni date da Gramsci a proposito della FIAT siano tutte esatte e se la sua analisi si è compiutamente avverata; interessa piuttosto che egli colga cosi chiaramente la sostanza del processo capitalistico, cioè il fatto che nella nuova età è finita l’epoca dei capitani d’industria, [...]

[...]gica ansaldiana ha rinnovato l’assalto, è passata sopra il cadavere del capitano d’industria ».

Ora non interessa qui tanto verificare se le indicazioni date da Gramsci a proposito della FIAT siano tutte esatte e se la sua analisi si è compiutamente avverata; interessa piuttosto che egli colga cosi chiaramente la sostanza del processo capitalistico, cioè il fatto che nella nuova età è finita l’epoca dei capitani d’industria, l’epoca del capitalismo industriale produttivo e s’inizia quella del dominio dell’alta banca, delloligarchia finanziaria.

Cosi il modo con cui egli si avvicina a un’altra caratteristica fondamentale deirimperialismo, al problema dell’espansione coloniale, all’esigenza assoluta che il capitalismo ha in questa fase di lottare per la spartizione dei mercati nel mondo, non è un modo soltanto teorico; ma nasce da un’esperienza diretta che è la vittoriosa lotta condotta dal proletariato contro l’impresa d’Albania. Io non so se Gramsci avesse già530

Gli interventi

letto in quell’epoca il saggio famoso di Lenin sull’imperialismo, ma certo l’impostazione che egli dà alla questione coloniale e il nesso ch’egli stabilisce tra questa questione e la rivoluzione proletaria sono tipicamente leninisti. Egli scrive : « Le popolazioni colonali diventano cosi il piedistallo di tutto l’apparecchio di sfruttamento capitalistico; esse devono dare 'tutta la loro vita per Ilo sviluppo della civiltà industriale senza ottenere alcun beneficio, ecc. », poi continua : « Le imsurrezioni che si verificano tra le popolazioni soggette al regime coloniale consentono quindi di stabilire anche, con sempre maggiore precisione, la portata storic[...]

[...]el proletariato internazionale che lotta per la sua emancipazione, consapevole dell’alta missione storica che gl’incombe d’attuare... Il movimento liberatore del popolo lavoratore russo inizia una rivoluzione assoluta e completa che trasformerà radicalmente la configurazione sociale di tutto il mondo».

È evidente che già in queste fomulaziomi del ’20, Gramsci è arrivato a un punto assai avanzato nel giudizio sui rapporti tra l’età dell imperialismo e la rivoluzione proletaria.

L’ultimo suo scritto destinato alla pubblicazione, il saggio sulla" Quistione meridionale, come ha detto giustamente Togliatti, dev’essere interpretato come uno scritto in cui i principi del leninismo hanno contribuito decisamente alla rottura degli schemi salveminiani. E di questo scritto si può sottolineare ancora un altro aspetto: esso spazzava via decisamente le vecchie concezioni borghesi che ponevano la soluzione della questione meridionale nell’espansione coloniale e che avevano teorizzato sulla esistenza dun imperialismo italiano di natura affatto speci[...]

[...]eridionale, come ha detto giustamente Togliatti, dev’essere interpretato come uno scritto in cui i principi del leninismo hanno contribuito decisamente alla rottura degli schemi salveminiani. E di questo scritto si può sottolineare ancora un altro aspetto: esso spazzava via decisamente le vecchie concezioni borghesi che ponevano la soluzione della questione meridionale nell’espansione coloniale e che avevano teorizzato sulla esistenza dun imperialismo italiano di natura affatto speciale, il cosidetto « imperialismo democratico ». (Ricordiamo a questo proposito il saggio del Michels e la violenta risposta che ebbe occasione di dargli sul Communist Lenin.) Gramsci nemmeno ricorda o pone in discussione queste teorie, tanto esse gli sembrano ormai superate dalla storia e dalla maturità politica del proletariato. Se noi pensiamo che il saggio del Michels è anteriore di appena nove anni allo scritto di Gramsci sulla Quistione meridionale ci rendiamo conto di come la concezione dell’« imperialismo democratico » sia stata rapidamente e definitivamente liquidata dall’impetuosa ascesa del proletariato nel dopogue[...]

[...]questo proposito il saggio del Michels e la violenta risposta che ebbe occasione di dargli sul Communist Lenin.) Gramsci nemmeno ricorda o pone in discussione queste teorie, tanto esse gli sembrano ormai superate dalla storia e dalla maturità politica del proletariato. Se noi pensiamo che il saggio del Michels è anteriore di appena nove anni allo scritto di Gramsci sulla Quistione meridionale ci rendiamo conto di come la concezione dell’« imperialismo democratico » sia stata rapidamente e definitivamente liquidata dall’impetuosa ascesa del proletariato nel dopoguerra (anche se posteriormente la demagogia fascista compirà ogni sforzo per riesumarla dalle sue ceneri).

Nei Quaderni del carcere noi troviamo riflessa tutta l’esperienza politica di Gramsci, troviamo quasi il bilancio di quanto egli ha opeRoberto Battaglia

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rato quale dirigente della classe operaia italiana e quale fondatore del Partito comunista italiano. Ma non troviamo solo questo bilancio. Gramsci lanche in carcere mon s;i rinchiude in se stesso, ma compie ogni s[...]

[...]a italiana e quale fondatore del Partito comunista italiano. Ma non troviamo solo questo bilancio. Gramsci lanche in carcere mon s;i rinchiude in se stesso, ma compie ogni sforzo per seguire ciò che sta accadendo .nel mondo, al di la delle mura che lo costringono. Né il suo pensiero si ripiega su se stesso, ma continua, con volontà 'eroica, a progredire e a svilupparsi. Cosi si fa sempre più chiara in lui anche la concezione dell’età dell’imperialismo, quale si va determinando nella realtà. Quando inoi insistiamo suH importanza che ha 'nel pensiero di Gramsci il concetto di « egemonia del proletariato », dobbiamo tuttavia ricordare, affinché la nostra analisi non sia parziale, il nesso che lo stesso Gramsci stabilisce tra questo concetto e la situazione storica in cui esso si verifica e si evolve, e cioè la situazione in cui la borghesia può ancora conservare il potere politico, può ancora dominare, ma senza più la capacità di esercitare stabilmente la sua egemonia.

Ricordo su questo punto una delle sue citazioni più rapide ed illuminan[...]

[...]egemonia.

Ricordo su questo punto una delle sue citazioni più rapide ed illuminanti, allorché egli afferma che nel periodo del dopoguerra « l’apparato egemonico si sgretola e l’esercizio deU’egemonia da parte della borghesia diviene permanentemente difficile ed aleatorio. Il fenomeno viene presentato e trattato con vari nomi ed in vari aspetti secondari e derivati ». C’è qui la traduzione in termini gramsciani del concetto leninista del capitalismo morente, traduzione che nasce daH’interno stesso deH’esperienza pratica di Gramsci. Egli ha letto infatti gli scritti leninisti suirimperialismo quando già la sua coscienza di militante della classe operala era matura e disposta ad accoglierli, ricavando poi dagli stessi scritti l’impulso per una elaborazione ulteriore, per un successivo passo in avanti compiuto a contatto della realità in continuo sviluppo. Si veda a questo proposito l’acuta e puntuale analisi ch’egli fa dello Stato fascista, ponendo attenzione innanzi tutto a quella compenetrazione fra monopolio e apparato statale cui aveva già accennato Lenin nel suo saggio suH’imperialismo. Gramsci coglie il processo in uno stadio ben più avanzato, e, ravvisando nel fascismo una d[...]

[...]se operala era matura e disposta ad accoglierli, ricavando poi dagli stessi scritti l’impulso per una elaborazione ulteriore, per un successivo passo in avanti compiuto a contatto della realità in continuo sviluppo. Si veda a questo proposito l’acuta e puntuale analisi ch’egli fa dello Stato fascista, ponendo attenzione innanzi tutto a quella compenetrazione fra monopolio e apparato statale cui aveva già accennato Lenin nel suo saggio suH’imperialismo. Gramsci coglie il processo in uno stadio ben più avanzato, e, ravvisando nel fascismo una delle più vistose manifestazioni dell’età imperialistica, respinge decisamente le tesi del Salvemini sul fascismo quale fenomeno della piccola borghesia : « Da questo complesso di (esigenze non sempre confessate, nasce la giustificazione storica delle cosidette tendenze corporative che si manifestano prevalentemente come esaltazione dello Stato in generale, concepito come qualche cosa di assoluto, e come 'diffidenza ed avversione alle forme tradizionali del capita532

Gli interventi

lismo. Ne cons[...]

[...]perialistica, respinge decisamente le tesi del Salvemini sul fascismo quale fenomeno della piccola borghesia : « Da questo complesso di (esigenze non sempre confessate, nasce la giustificazione storica delle cosidette tendenze corporative che si manifestano prevalentemente come esaltazione dello Stato in generale, concepito come qualche cosa di assoluto, e come 'diffidenza ed avversione alle forme tradizionali del capita532

Gli interventi

lismo. Ne consegue ohe teoricamente lo Stato pare avere la sua base politicosociale nella piccola gente, nella piccola borghesia degli intellettuali, ma in realtà la sua struttura rimane plutocratica e riesce 'impossibile rompere i legami con il grande capitale finanziario ».

Un’indagine approfondita in questo senso ci permetterebbe non solo di cogliere il pensiero di Gramsci nel suo ininterrotto e continuo sviluppo, ma anche e principalmente di comprendere più chiaramente come il .suo concetto di egemonia non sia, per dir cosi, edificato sul vuoto o come un’ipotesi teorica per un remoto futuro,[...]

[...]gogica, e tocca un problema centrale del marxismo, si ricollega alla questione che abbiamo trattato all’inizio e cioè alla questione coloniale.

Scrive Gramsci : « Il modo di pensare 'implicito nella risposta del Labriola non pare pertanto dialettico e progressivo, ma piuttosto meccanico e retrivo... Nella intervista sulla quistione coloniale il meccanicismo implicito nel pensiero del Labriola appare anche più evidente ». Che l’età dell’imperialismo porti con sé l’espansione coloniale è un fatto, è una conseguenza inevitabile delle sue caratteristiche; ma ciò non significa che il proletariato o gli stessi popoli coloniali debbano assistere passivamente all’espansione coloniale nel nome del progresso della storia. « Può darsi benissimo che sia 44 necessario ridurre i papuani alla schiavitù ” per educarli, ma non è meno necessario che qualcuno affermi che ciò non è necessario che contingentemente, perché esistono determinate condizioni, che cioè questa è una necessità 44storica” e non assoluta: è necessarioRoberto Battaglia

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anz[...]

[...]ore di civiltà e di pensiero », (e cioè in un periodo in cui si è avverata la rivoluzione proletaria ed i popoli coloniali tendono alla conquista della loro indipendenza).

Togliatti ha richiamato la nostra attenzione sul fatto che non dobbiamo ricercare in Gramsci pensieri profetici. Quando noi leggiamo pagine come questa, in cui s’intuiscono i nuovi sviluppi dell’età contemporanea, in cui si .afferma cosi recisamente la certezza che l'imperialismo perderà ia sua base d’appoggio nei popoli coloniali, noi possiamo constatare come questa profezia non derivi da qualche misteriosa od occulta facoltà del pensiero di Gramsci, ma dalla sua chiarezza di prospettiva generale, dalla sua piena coscienza dell’età in cui vive e delle sue leggi di sviluppo. Proprio in virtù di tale chiarezza, tanto Lenin quanto Gramsci hanno contribuito a trasformare il mondo, hanno potuto affidare ila sua sorte non a una cosidetta fatalità della storia, ma alla coscienza e alla volontà dell’uomo.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] M. Tronti, Alcune questioni intorno al marxismo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...], cosi ricco in quel periodo di fermenti culturali oltre che sociali, di personalità in formazione o già formate. Tutto questo non rientra nello scopo di questo lavoro. Con la conoscenza attuale degli scritti giovanili non appare possibile una discussione intorno agli influssi culturali che hanno agito sul pensiero del giovane Gramsci; e appare una inutile esercitazione il mettersi a misurare quanto di Sorel e quanto di Bergson, quanto di sindacalismo rivoluzionario e quanto di intuizionismo volontaristico possa ritrovarsi in questi pochi scritti che conosciamo.

Per il problema che trattiamo, tra questi scritti del *17 e del ’18 e la successiva ricerca dei Quaderni, c’è, a parte il diverso livello di cultura, una coerenza logica e una direzione univoca che non si può negare.

Due premesse implicite si intravvedono in questi brevi scritti: in primo luogo la necessità teorica della lotta contro il vecchio positivismo, che aveva irretito e inaridito il marxismo nelle secche di un volgare evoluzionismo; in secondo luogo l’impulso violento[...]

[...]* di un certo sviluppo che il marxismo da questo momento intraprende.

È ancora tutta da studiare l’influenza pratica che la Rivoluzione dottobre ha avuto sul marxismo teorico: eppure proprio su questo terreno si è creato un nodo di problemi che ancora oggi è difficile sbrogliare. Non certo per caso il riformismo tendeva verso un’interpretazione positivistica del marxismo; era spinto a questo dai suoi stessi presupposti, che vedevano nel capitalismo una possibilità illimitata di sviluppo verso ii socialismo, tanto sicuro da rendere superfluo o addirittura inopportuno ogni tentativo di « salto » rivoluzionario. Ma il fallimento della politica riformista in tutti i paesi, il successo della pratica rivoluzionaria in un determinato paese, rappresenta in quel momento la smentita ad ogni tipo di evoluzionismo, di gradualismo, di soluzione spontanea dei contrasti oggettivi; rappresenta la conferma positiva, la possibilità concreta, la fecondità immediata della rottura rivoluzionaria in generale.

Mi guardo bene dal trarre da tutto questo immediate conseguenze teoretiche. Ma occorre studiare se non sia questo un elemento fondamentale che comporta, sul piano teorico, la rivalutazione deH’elemento soggettivo, anzi creativo, nei confronti della morta oggettività delle condizioni sociali stratificate e inerti; e la rivalutazione del lato attivo all’interno del rapporto storicosociale, e quindi dell’attività sensibile[...]

[...]a storia: sono gli uomini, sono le coscienze, è lo spirito che plasma l’esteriore apparenza, e finisce sempre col trionfare » 1. È avvenuto quindi un processo di « interiorizzamento ». SÌ è trasportato dall’esterno all’interno il fattore della storia. « Alla legge naturale, al fatale andare delle cose degli pseudoscienziati è stata sostituita: la volontà tenace dell’uomo » 2.

1 Rinascita, 1957, n. 4, p. 149.

2 Ivi, p. 158. « Oggi il massimalismo riafferma, contro la previsione oggettiva, il fine volontario dell’azione. Ma costretto nei limiti dell’antitesi astratta

che disgiungeva gli opposti (condizione oggettiva e volontà soggettiva) come se

l’affermazione dell’uno esigesse la negazione dell’altro, seguendo cioè ancora l’abito mentale che Hegel ed Engels avrebbero chiamato metafisico, essi credono che asMario Tronti

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Non è certo formula episodica come non è facile slogan >la efficace e puntuale espressione gramsciana della « Rivoluzione contro il Capitale ». Quando egli dice : « I bolsceviki rinnegano Carlo Marx », [...]

[...]assimo ordinatrice, cioè fu concepita come conoscenza di un meccanismo obbiettivamente funzionante all’infuori dell uomo. La filosofia classica tedesca introdusse il concetto di “ creatività ” del pensiero, ma in senso idealistico e speculativo. Pare che solo la filosofia della prassi abbia fatto fare un passo avanti al pensiero, sulla base della filosofia classica tedesca... » \

Hegel dialettizza i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiritualismo : la sintesi è un uomo che cammina sulla testa. I continuatori di Hegel distruggono questa unità: si ritorna ai sistemi materialistici da una parte, a quelli spiritualistici dall’altra. La filosofia della prassi rivive complessivamente tutta questa esperienza e finisce per ricostruire la sintesi dell’unità dialettica : l’uomo che cammina sulle gambe. Ma ecco che il laceramento avvenuto per l’hegelismo si ripete per la filosofia della prassi: da un lato il materialismo filosofico, dall’altro la moderna cultura idealistica che incorpora in sé elementi importanti della filosofia della prassi. Quindi esigenza di una nuova sintesi dialettica.

Scissione dell’unità e ricomposizione di essa ad un livello superiore: lo schema della dialettica hegeliana applicato al corso generale della storia del pensiero. La filosofia della prassi traduce l’hegelismo in linguaggio storicistico. Croce ritraduce in linguaggio speculativo lo storicismo realistico della filosofia della prassi. Occorre quindi rifare nei confronti del

Croce la stessa riduzione che la filosofia della prassi ha fatto per la filo
sofia hegeliana 2. E infatti la filosofia del Croce « rappresenta il momento mondiale odierno della filosofia classica tedesca» 3.

Dunque l’idea di un AntiCroce non è un compito occasionale, con
tingente, dettato da particolari sviluppi culturali, nazionali; esso rappresenta il momento mondiale odierno del marxismo, è il compito storico del marxis[...]

[...]alla scoperta di tutte le implicazioni teoriche e pratiche che vengono prodotte dalla distinzione e dal rapporto, storicamente costituìtosi, di società civile e società politica.

Tutto un nesso di problemi che permettono al giovane Marx di raggiungere un primo fondamentale risultato: cogliere le aporie fondamentali e il vizio di fondo, contemporaneamente, nella struttura logica del metodo hegeliano, nel pensiero politico del moderno giusnaturalismo, e nell’analisi economica di tutta la scuola classica. Un identico procedimento logico che appare come il procedimento specifico della società borghese moderna, il carattere particolare del suo sviluppo storico. Le contraddizioni logiche interne alle sovrastrutture, il contrasto storico di struttura e sovrastruttura, intanto è possibile in quanto viene scoperta la contraddizione logica e il contrasto storico all’interno della struttura stessa.

In Marx dunque Hegel, Ricardo e Robespierre non sono presi a sé, come momenti di una pura storia delle idee; essi sono tre aspetti, tra loro complem[...]

[...]della critica che Hegel stesso ha esercitato nei confronti di Kant e Fichte. Cosi è nato il metodo dialettico di Marx come prosecuzione conseguente di ciò cui Hegel aveva aspirato, ma che (Hegel) non aveva concretamente raggiunto... ». C’è qui, in sintesi, la base ultima del pensiero teorico di Lukàcs, che credo rimarrà coerente in tutto il corso della sua opera. Marx è la prosecuzione conseguente di Hegel; il marxismo è la conclusione dello hegelismo, l’inveramento di esso, è il vero hegelismo.

Quasi negli stessi termini si esprimerà Gramsci : « Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, poiché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro, pur nella forma di romanzo filosofico, si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima risultava dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro. In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dell’hegelismo... » \ Qui lo stesso pensi[...]

[...]parte a sé, poiché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro, pur nella forma di romanzo filosofico, si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima risultava dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro. In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dell’hegelismo... » \ Qui lo stesso pensiero di Lukàcs è espresso in un linguaggio che tiene conto di un momento « nazionale » della cultura. Il marxismo è la riforma della dialettica hegeliana; è la conclusione finalmente positiva dei vari tentativi che l’idea
i M. S.f p. 93.

21.312

I documenti del convegno

lismo italiano ha fatto per rivedere e aggiornare lo strumento logico del metodo hegeliano. Croce e Gentile hanno compiuto una riforma « reazionaria » ; rappresentano quindi un. passo indietro rispetto a Hegel1; in ciò sono stati aiutati da quell’anello intermedio VicoSpaventa(Gioberti). Ecco il difetto dunque di una certa tradizione culturale italiana: essa è troppo poco hegeliana; non è stata capace di tirare le somme da tutto di travaglio della filosofia classica tedesca, non è riuscita a concludere, a completare Hegel; a questa conclusione è arrivato o deve arrivare il marxismo.

Non credo di[...]

[...]rmule della dialettica* usandole come innocenti metafore per riassumere icasticamente, secondo l’immaginoso linguaggio intellettuale, colto, del tempo, i processi storici di cui ha scoperto le leggi scientifiche... La dialettica che solo interessa Marx e il marxismo autentico è la dialettica determinata, cioè coincidente con la legge scientifica » 2.

La mistificazione della dialettica hegeliana è essa la conclusione complessiva di tutto l’idealismo, di tutta la filosofia speculativa. Hegel non

1 M. S., pp. 2401.

2 Galvano Della Volpe, Marx e lo Stato moderno rappresentativo, Bologna, 1947, p. 12.Mario Tronti

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ha bisogno di essere concluso; Hegel è già la conclusione. È proprio la conclusione che Marx rifiuta. E allora non si può dire che la filosofia della prassi ha incorporato in sé alcuni valori « strumentali » dello stesso metodo speculativo (ad es. la dialettica) \ Perché la dialettica hegeliana è già tutto il metodo speculativo; e proprio questo metodo, in Hegel, giustifica, rende possibile, anzi rende « necessario [...]

[...]nte filologica nascondono un serio contenuto di pensiero. Gramsci dice, per lo più, « filosofia della prassi », quando deve dire marxismo. E credo che siamo d’accordo nel ritenere non casuale la scelta di questa espressione. Certo che oggi chi dice « filosofia della prassi » o non intende precisamente il marxismo, oppure propone una certa interpretazione del marxismo. O è la crociana Filosofia della pratica, oppure quei non meglio precisato « realismo storicocritico » che fa capo a Rodolfo Mondolfo. Ambedue i concetti, credo, di origine gentiliana, del Gentile dei saggi sul marxismo.

Nella letteratura marxista il concetto di praxis assume una strana origine feuerbachiana. Marx accusa Feuerbach di considerare come schiettamente umano solo il modo di procedere teoretico; e di concepire e fissare la pratica soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Ed in effetti Feuerbach nel l’Essenza del Cristianesimo distingue l'atteggiamento dei greci che considerano la natura con mente teoretica e trovano quindi l’armonia dell’uomo col [...]

[...]l’indicazione di Marx, alla identificazione di scienza e storia.

Per vedere la ragione e le conseguenze di questa impostazione dobbiamo riprendere il discorso sulla « filosofia della prassi ».

Il Mondolfo, tra il 1909 e il 1912, pubblicava i suoi saggi su questi argomenti. « La coscienza e la volontà — egli dice — appaiono un momento essenziale della storia, in quanto condizionano l’azione e, pertanto, lo stesso processo storico. Il materialismo metafisico non può dunque racchiudere nei suoi quadri il realismo storico e il principio della lotta di classe, ma ne risulta superato: un’altra concezione filosofica si rende necessaria. E certamente la concezione filosofica più consentanea appare quella dell’idealismo volontaristico. Non per nulla Marx ed Engels movevano dal volontarismo feuerbachiano e dalla filosofia della prassi » 5.

Occorre vedere se in Gramsci non sia passata almeno una parte di questa concezione6.

1 M. Sp. 39.

2 M. S., p. 44.

3 M. S., p. 35.

4 M. S., p. 49.

5 Rodolfo Mondolfo, op. cit., II ed., p. 24.

6 « La coincidenza (con Gramsci) in questo caso consiste appunto in un eie316

I documenti del convegno

Molto note sono le formulazioni gramsciane riguardo al problema di un oggettività materiale, intorno alla « cosi detta realtà del mondo esterno ». Quasi ogn[...]

[...] di questa concezione6.

1 M. Sp. 39.

2 M. S., p. 44.

3 M. S., p. 35.

4 M. S., p. 49.

5 Rodolfo Mondolfo, op. cit., II ed., p. 24.

6 « La coincidenza (con Gramsci) in questo caso consiste appunto in un eie316

I documenti del convegno

Molto note sono le formulazioni gramsciane riguardo al problema di un oggettività materiale, intorno alla « cosi detta realtà del mondo esterno ». Quasi ogni volta che usa il termine « materialismo », sente il bisogno di metterci dietro l’aggettivo « metafisico ». Accetta cosi la definizione tutta idealistica della metafisica, assegnata ad ogni presunta realtà che vada al di là della realtà della coscieìiza. In quell’espressione molto comune di « materialismo storico », egli dice che occorre posare « l’accento sul secondo termine 66 storico ” e non sul primo di origine metafisica » \ « 64Oggettivo” significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo » 2.

Quindi « oggettivo significa sempre 44 umanamente oggettivo ”, ciò che può corrispondere esattamente a 44 storicamente soggettivo ”, cioè oggettivo significherebbe 44 universale soggettivo ” » 3. «Noi conosciamo la realtà solo in [...]

[...]quella funzione a cui assolve l’elemento della sensazione neirempiriocriticismo di Mach e Avenarius.

Ebbene questa imprecisione nella problematica schiettamente materialistica del marxismo, dobbiamo vederla come una diretta conseguenza della sopravvalutazione che nell’opera di Gramsci troviamo dell’origine

mento fondamentale: l’affermazione della filosofia della prassi, di cui, da oltre quarantanni fa, ho sostenuto la necessità per il socialismo... » : R. MONDOLFO, Intorno a Gramsci e alla filosofia della prassi, in Critica sociale, 1955, nn. 678.

1 M. S., p. 159.

2 Ai. S., p. 54.

3 Ai. S., p. 142.

4 Ai. S., p. 143.

5 M: S.t p. 92.Mario Tronti

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idealistica, immanentistica, storicistica del pensiero di Marx. Conseguenza inevitabile se non si è passati attraverso quella distruttiva critica marxiana al procedimento mistificato della dialettica hegeliana, e quindi al metodo del pensiero hegeliano che fa tutt’uno per Marx con il sistema definitivo della filosofia hegeliana; se non si è analizzata e smontata dall’i[...]

[...]

idealistica, immanentistica, storicistica del pensiero di Marx. Conseguenza inevitabile se non si è passati attraverso quella distruttiva critica marxiana al procedimento mistificato della dialettica hegeliana, e quindi al metodo del pensiero hegeliano che fa tutt’uno per Marx con il sistema definitivo della filosofia hegeliana; se non si è analizzata e smontata dall’interno l’unica metafisica che Marx temeva, e che era la metafisica dell’idealismo, culminata, coronata e conclusa nel pensiero di Hegel.

Grossi equivoci possono sorgere intorno a questo aspetto della problematica gramsciana. Prendiamo la teoria delle sovrastrutture. « Il materialismo sporico... — dice Gramsci — nella teoria delle superstrutture pone in linguaggio realistico e storicistico ciò che la filosofia tradizionale esprimeva in forma speculativa » 1; « la concezione 66 soggettivistica ”... può trovare il suo inveramento e la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture » 2. Che mi pare si possa capire in questo modo : per salvare la concezione soggettivistica occorre darle un’interpretazione storicistica; e questa si ha con la teoria delle sovrastrutture. In questo senso Videa hegeliana diventa l'ideologia; cioè l’idea hegeliana cambi[...]

[...]nire storico, viene storicizzata; o meglio viene risolta sia nelle strutture sia nelle sovrastrutture, in quanto entrambe si presentano come parvenze di un concreto divenire storico. Dunque Videa, nella sua natura, nella struttura del suo movimento, rimane identica: è l’idea hegeliana, che, solamente, viene storicizzata. Il marxismo risulta cosi come la interpretazione storicistica della concezione soggettivistica; come lo storicizzarsi dell’idealismo.

Non possiamo dire che Gramsci arrivi a questa conclusione esplicita. C’è in lui la consapevolezza di altri problemi, c’è in lui una ben determinata gerarchia di problemi, in cui il primo posto spetta sempre al concreto, al particolare, allo « storicamente determinato », che giustamente gli impedisce di giungere ad una simile conclusione. C’è in lui soprattutto una giusta soluzione al problema del rapporto di « teoria e pratica ».

« Se il problema di identificare teoria e pratica si pone, si pone in

1 M. S., p. 139.

2 M. S., p. 141,318

I documenti del convegno

questo senso [...]

[...]toria e della politica, e inoltre dell’arte, dell’economia, dell’etica e deve nel nesso generale trovare il posto per una teoria delle scienze naturali » 2. E infatti « ogni sociologia presuppone una filosofia, una concezione del mondo, di cui è un frammento subordinato » 3. La stessa dialettica, cioè il metodo, può essere esattamente concepito, solo se la filosofia della prassi è concepita come una filosofia integrale e originale che supera idealismo e materialismo tradizionali, esprimendo questo superamento proprio attraverso la nuova dialettica 4.

Vuol dire questo che dobbiamo accingerci ad una esposizione sistematica del marxismo? No: per Gramsci questo è possibile soltanto quando una determinata dottrina ha raggiunto la fase « classica » del suo sviluppo. Fino ad allora ogni tentativo di « manualizzarla » deve necessariamente fallire e la sua sistemazione logica risulta apparente e illusoria. Fino ad allora non è possibile una esposizione formalmente dogmatica, stilisticamente posata, scientificamente serena 5. Ecco il motivo profondo che riesce [...]



da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]. Abbiamo comunque ragione di credere che, anche così come si è riusciti ad attuarlo, il presente tentativo ha qualche merito, soprattutto se si tien conto che in Italia rappresenta in certo senso il primo del genere, soprattutto per la prospettiva che lo caratterizza: infatti solo in parte potrebbero essere considerati come antecedenti i fascicoli dell’Archivio di Filosofia diretti dal Castelli (Filosofia della Religione, 1955; Filosofia e Simbolismo, 1956) e la raccolta Umanesimo e Simbolismo, curata dallo stesso Castelli (Padova, 1958). Numerosi sono invece gli antecedenti stranieri, come

— per ricordare i più recenti e i più importanti — i due volumi delYEranos Jahrbuch del 1949 e del 1950 (rispettivamente dedicati al mito e al rito), i numeri di Studium Generale del maggio, giugno e luglio 1955, il Journal of American Folclore del 1955, n. 370, e soprattutto il recentissimo fascicolo di Daedalus, Journal of thè American Academy of Arts and Sciences, che è della primavera del 1959 e che è dedicato interamente al mito e alla mitopoiesi (myth and mythma\ing). Tuttavia anche ris[...]

[...]ento della civiltà moderna. La serie degli articoli comprende uno scritto di R. Pettazzoni che opportunamente richiama una lettera inedita del Croce (in Italia infatti ogni revisione della problematica tradizionale della nostra cultura comincia necessariamente dal Croce anche se è vero che la storia nel mondo non si è conclusa a Napoli, Via Trinità Maggiore 12, come alcuni ripetitori e epigoni hanno talora lasciato intendere x:on palese provincialismo); un saggio di E. de Martino in cui si tenta di dare unaPREFAZIONE

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valutazione critica complessiva del movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito negli ultimi quarantanni ; una monografia di Vittorio Lanternari che si occupa delle riplasmazioni subite dal mito e dalla vita religiosa dei popoli coloniali e semicoloniali nel quadro del movimento di emancipazione che ormai li coinvolge tutti; un saggio di Remo Cantoni che riprende e rielabora i suoi temi già svolti in Umano e Disumano; un contributo di Diego Carpitella sul rapporto fra musica primitiva e musica m[...]

[...], la storia, la etnologia, la tipologia, la sociologia, la psicologia della religione — nella misura in cui si muovevano al di fuori di presupposti teologici e apologetici mostravano uno spiccato orientamento ad accogliere i temi ermeneutici della eredità illuministica, idealistica, materialistica e positivistica: basterebbe ricordare gli schemi dell’evoluzione religiosa dell’umanità dal Comte in poi, le teorie religiose di Fuerbach e del materialismo storico, la scienza del mito e la storia comparate delle religiosi inaugurate da Max Mùller, la etnologia religiosa di un Tylor e di un Frazer, la psicologia del misticismo di un Janet o di un Leuba, la Vdikerpsycholologie del Wundt e la interpretazione sociologica della religione da parte del Durkheim e della sua scuola, la riduzione della religione e sublimazione della sessualità da parte del primo freudismo. Nei vari indirizzi di quest’epoca, per quanto diversi fra di loro per metodi e per risultati, si palesa la innegabile comune tendenza a non riconoscere al rapporto religioso una sua sp[...]

[...]venienza e per le loro origini variamente laicizzanti, razionalistiche, idealistiche, materialistiche e positiviste, sembravano più refrattarie ad una problematica del genere. Così, p. es., nel quadro della scuola di Marburgo, tradizionalmente interessata alla ricerca delle condizioni logicotrascendentali della scienza, Ernesto Cassirer dallo studio del simbolo matematico nella scienza passa alla analisi della struttura e della funzione del simbolismo mitico (1); il movimento psicoanalitico che procedeva da presupposti materialistici e positivistici si volge, soprattutto per opera della secessione junghiana, ad una rivalutazione della vita religiosa e del mito; la tradizione epistemologica francese, che già col Bergson accentua le radici esistenziali della funzione fabulatrice (2), palesa con Gastone Bachelard una netta flessione verso il mondo dei « simboli » (3).

Una analoga vicenda è possibile riscontrare nella tradizione sociologica francese, particolarmente a proposito del LévyBruhl; il quale nei suoi primi lavori sulla mentalità p[...]

[...]endeva Leone Bruschwicg, e quindi nella prospettiva di una mentalità prelogica che è soppiantata da quella logica; ma successivamente il LévyBruhl ha sempre con maggiore energia negato che la mentalità primitiva o mitica dovesse essere considerata come fase di sviluppo dell’umanità, sottolineandone invece il carattere di permanente struttura antropologica (4). Naturalmente in indirizzi di pensiero francamente ispirati alle istanze dell’esistenzialismo — si pensi all’Eliade, al Caillois, al Gusdorf e al Cazeneuve — la motivazione esistenzialistica e antropologica del sacro appare più esplicita: ma è significativo il fatto che l'orientamento complessivo fa sentire la sua influenza anche per entro tradizioni culturali che per la loro origine non erano inizialmente disposte a considerare il mito e il sacro come valori antropologici permanenti e autonomi. Né è da credere che il movimento di rivalutazione esistenziale della vita religiosa e del mito concerna soltanto le « scienze religiose » come tali : a parte gli ovvi riferimenti alla vita art[...]

[...]mo nazista e dei prestigi che assegnò all’arcaico e all’ancestrale: e non è certo una coincidenza fortuita se uno dei rappresentanti più caratterizzati della rivalutazione della irrazionalità del sacro, lo storico e fenomenologo delle religioni J. W. Hauer, fu anche il capo riconosciuto del « movimento della fede tedesca » {Deutscheglaubensbewegung). Ma lasciando da parte questi estremi sussulti, così scopertamente legati alle sorti di un imperialismo politico e la cui stagione fu breve ancorché sanguinosa, è innegabile il fatto che negli ultimi quarantanni le forme tradizionali di vita religiosa, e il cattolicesimo in particolare, sembrano aver riacquistato negli animi prestigio e signoria: tanto che da più parti si è parlato di un « ritorno alla religione », quale che sia

(4) Il disatcco di LévyBruhl dalle posizioni prevalenti in Les fonctìons mentàles dans les sociétés injérieures (1910) è segnato dall’intervento alla Societé fran^aìse de philosophie (1929) e dalle opere successive (Le surnaturel et la Nature dans la mentalité primit[...]

[...]izzante, di cattivante, di fascinante, che invita perentoriamente al rapporto (9). Questo « radicalmente altro » e « ambivalente » costituisce il momento irrazionale della complessa categoria del sacro, nella quale i momenti razionali (morali, estetici, conoscitivi) sono senza dubbio argomento di perfezione e di elevatezza, ma non esauriscono mai la fondamentale irrazionalità della esperienza religiosa:

Una religione potrà salvarsi dal razionalismo se manterrà desti e vivi gli elementi irrazionali. D’altro canto saturandosi copiosamente di momenti razionali essa si preserva dal cadere o dal permanere nel fanatismo o nel misticismo, meritando di diventare religione di cultura e di universalità (QttalitatsKuìturund MenschheitsReligion) (10).

Il « tutt’altro ambivalente » si configura dunque come un momento ulteriormente irriducibile ad altro, come un dato che è l’ultima Thule dell’analisi: lo si può rivivere e descrivere e suggerire in qualche modo, ma non propriamente rigenerare nel pensiero. Il fenomenologo e lo storico delle religio[...]

[...]ttere in evidenza come il ritorno del passato acquistava due significati nettamente diversi a se
(13) Per questa polemica si vedano i rinvii bibliografici contenuti in O. Fenichel, Trattato di Psicoanalisi, trad. it. di C. Gastaldi, Roma 1951, pp. 57, 138, 608 sgg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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conda che si trattasse di ripetizione coatta e cifrata nel sintomo morboso

o di ripetizione attiva e risolvente mediante un simbolismo aperto della rappresentazione e del comportamento, come nel caso del giuoco del rocchetto (14). Ora questo secondo significato della ripetizione accennava in qualche modo al simbolismo miticorituale della vita religiosa. Già nel 1926 il Malinowski, riassumendo i risultati delle sue osservazioni sulla mitologia vivente degli indigeni tobriandesi, sottolineò il fatto che il mito in azione, cioè nella concretezza della esperienza religiosa, significa rivivere, sotto forma di racconto, una realtà dei tempi primordiali (15). Anche un altro etnologo, il Preuss, che era venuto formulando le sue considerazioni sul mito attraverso lo studio della mitologia vivente dei Cora amerindiani, pervenne a conclusioni analoghe (16). Uno studioso del mondo classico, Karl Kerényi, nella Introdu[...]

[...]itorno agli archetipi e alla ripetizione. Il nostro malato è condotto, se ci collochiamo da un punto di vista psicogenetico, ad abolire ila sua storia personale, ripetendo in maniera delirante l’atto cosmogonico, che lo situa in ilio tempore, abolendo il tempo profano.» (20).

Ma lasciando da parte gli echi meno prossimi e meno diretti, e per attenerci alle scienze religiose, ritroviamo un largo impiego della tematica delFEliade nell’esistenzialismo del Gusdorf, dove però si fa valere una prospettiva del tutto inaccettabile. Il Gusdorf infatti fantastica di un’epoca « precategoriale » in cui l’uomo — ancora unità indivisa di coscienza e mondo — starebbe integralmente immerso in condotte di ripetizione rituale di miti primordiali. A trarlo da questo «paradiso degli archetipi e della ripetizione » e da questo gigantesco « déjà vu » senza fine, sarebbe intervenuta a un dato momento la « rottura del patto mitico», cioè la scissione introdotta dal progresso della razionalità, e con la contrapposizione di coscienza e mondo il continuo da capo [...]

[...]o diligentemente studiati dal Nordenskiòld, il quale ebbe modo di formare fra gli indigeni preziosi collaboratori: uno di essi, il vecchio Guillermo Haya, fece pervenire al successore di Nòrdenskiòld, Henry Wasser, il testo in quistione, redatto in lingua originale e accompagnato da una traduzione spagnuola, sottoposta poi ad una accurata revisione da parte dello Holmer.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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mostra un complesso simbolismo, orientato in parte verso la ripresa di una situazione iniziale, e in parte verso il rivivere in termini risolutivi i conflitti e i processi somatici del partorire. L’incantesimo si apre con una lunga e minuziosa descrizione degli antecedenti: narra, come in un film al rallentatore, l’inizio della crisi, lo smarrimento della levatrice, la sua visita allo sciamano, la partenza di quest’ultimo per la capanna della partoriente, il suo arrivo. In altri termini la « cura » comincia con un «passo indietro» che riprende gli eventi di interesse retrospettivo e li descrive incisivamente con una incred[...]

[...]chico dello sciamano si compie proprio neH’interno della vagina e dell’utero, e « la via di Muu », « il soggiorno di Muu » rappresentano alla lettera nel pensiero degli indigeni l’utero e la vagina. Lo sciamano ed i suoi assistenti ingaggiano qui la loro lotta diretta a punire l’usurpazione di Muu e a recuperare l’anima della partoriente. Ora la parte dell’incantesimo che narra l’agone sciamanistico contro Muu si mantiene constantemente fra simbolismo mitico e realismo fisiologico, con un continuo passaggio dall’uno all’altro piano, dalla descrizione simbolica di ciò che potremmo chiamare il paesaggio viscerale e il continuo riferimento alla realtà fisiologica del mondo uterino in travaglio. «È come se si trattasse — commenta LéviStrauss — di abolire nello spirito della malata la distinzione che separa (il piano mitico dal piano fisiologico), e di rendere impossibile la differenziazione dei loro rispettivi attributi » (26). L’incantesimo sembra proteso « a rendere chiaro ed accessibile al pensiero cosciente della partoriente la sede di sensazioni e di soffe[...]

[...]e istanze le prospettive di sviluppo non soltanto della psicoanalisi come tale, ma della scienza dell’uomo nel suo complesso.

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Nel quadro del movimento di rivalutazione esistenziale della vita religiosa il movimento psicoanalitico ha sostenuto una parte non certo marginale o casuale. Fra la coazione a ripetere di carattere nevrotico, l’abreazione che ha luogo nel trattamento psicoanalitico e il rivivere un passato primordiale nel simbolismo miticorituale delle religioni dell’ecumene vi è infatti un nesso troppo evidente per passare inosservato. Senza dubbio non vi è identità fra i tre fenomeni: ma che essi stiano in rapporto, e possano illuminarsi a vicenda, par fuori di dubbio. È quindi comprensibile che nel seno stesso del movimento psicoanalitico maturasse, soprattutto dopo la prima guerra mondiale, una crisi che doveva esercitare una notevole influenza diretta nel campo delle scienze religiose. Noi possiamo considerare tale crisi, che si ricollega all’indirizzo di Jung e della sua scuola, da diversi punti di vista. Ma da que[...]

[...] una fase anteriore, o nel loro volgersi avanti, verso un ulteriore sviluppo, ma scaturivano dalla dinamica dei due momenti, dal loro cruv póXXeiv, dal loro carattere di « totalità » del dinamismo psichico, onde essi mediante la ripetizione di uno stadio inferiore tendevano già ad uno sviluppo più alto, e per inaugurare questo sviluppo più alto si avvalevano dello stadio inferiore (31). Ora già per queste ragioni è evidente il rapporto col simbolismo miticorituale della vita religiosa, poiché nei miti e nelle cerimonie, e in genere nella religione considerata nel suo dinamismo e nella sua concretezza, si compie continuamente questa vicenda di ripetizione e ripresa, di catabasi e di anabasi, di fondazione e di apertura, di origine e di prospettiva (32). Purtroppo a complicare, e in parte a oscurare, questo tema ermeneutico per le scienze religiose innegabilmente fecondo, è intervenuta la teoria junghiana degli archetipi. Nella sua pratica terapeutica lo Jung fu sorpreso di ritrovare nei simboli onirici — come nelle fantasie e nei deliri di[...]

[...]gegnose ipotesi diffusionistiche potevano

(31) Per la concezione junghiana del simbolo si veda R. Hostie, C. G. Jung und die Religion, Monaco 1957, pp. 44 sgg. (L’originale in olandese dell’opera dello Hostie porta il titolo Analytische Psychologie en Godsdienst, UtrechtAntewerpen 1955).

(32) In Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino 1958, ho cercato appunto di esplorare, in un concreto esempio storico, il rapporto fra crisi, simbolismo miticorituale e mondo dei valori.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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essere spiegate mediante la trasmissione culturale da un punto alPaltro dello spazio, e da un’epoca ad un’altra. Jung credette di poter spiegare queste imbarazzanti concordanze mediante l’ipotesi di un inconscio collettivo, come deposito di tracce, o disposizioni, o pieghe psichiche, le quali avrebbero determinato certi binari definiti del rappresentare e certe tendenze al parallelismo delle immagini, indipendentemente dalla tradizione cosciente, come anche dai contenuti rimossi dei singoli individui. Questi [...]

[...]ndo dei valori.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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essere spiegate mediante la trasmissione culturale da un punto alPaltro dello spazio, e da un’epoca ad un’altra. Jung credette di poter spiegare queste imbarazzanti concordanze mediante l’ipotesi di un inconscio collettivo, come deposito di tracce, o disposizioni, o pieghe psichiche, le quali avrebbero determinato certi binari definiti del rappresentare e certe tendenze al parallelismo delle immagini, indipendentemente dalla tradizione cosciente, come anche dai contenuti rimossi dei singoli individui. Questi archetipi, nel loro insieme, assolvevano la funzione dinamica di stimolare il processo di individuazione, cioè l’ideale della totalità del se stesso, in quanto pieno accordo della sfera cosciente e di quella inconscia e in quanto progressiva reintegrazione delle unilateralità dell’io. Quanto alla origine di questi archetipi Jung parla talora di un precipitato di esperienze ancestrali ricorrenti indefinitamente ripetute nei millenni, e di ricorrenti risposte similari a t[...]

[...]eligiosa, in primo luogo il simbolo miticorituale. La presenza in crisi è esposta al rischio di non essere autentica presenza, cioè di patire il ritorno del passato non oltrepassato, in cui si è perduta e a cui è rimasta legata: un ritorno che, in quanto crisi, ha luogo nella forma cifrata e servile del sintomo psichico dal quale « si è agiti ». Il piano dell’àlterità radicale si configura pertanto come piano di ripresa e di risoluzione del simbolismo chiuso e passivamente subito, cioè del rischio che il passato torni nella maschera irriconoscibile del sintomo nevrotico o psicotico. Appunto per questo il tutt’altro ambivalente si articola nella ripetizione rituale di un mito: le varie crisi individuali ricorrenti in un dato regime di esistenza sono tolte dal loro isolamento individualistico e trattate in forma socializzata e istituzionale mediante modelli di risoluzione che attuano la reintegrazione delle alienazioni e la pedagogia del mondo dei valori. L’esempio freudiano della « madrerocchetto », fatta scomparire e tornare dal bambino, i[...]

[...]l simbolo miticorituale è apertura verso queste opere dotate di valore, è ponte verso il mondo degli uomini, anche se per il momento religioso è unicamente ponte verso il divino. Questa dinamica ha sempre luogo, anche quando — come accade in determinate civiltà religiose — par quasi che tutto il mondano operare viva occultato e protetto nel « come se » della destorificazione miticorituale, e anche quando — come nel caso della « magia » — il simbolismo miticorituale par quasi ridotto alla potenza della parola e del gesto, e l’orizzonte umanistico è angusto ed elementare. Nel modo più palese poi questa dinamica ha luogo nelle religioni superiori, nelle quali gli stessi simbolismi miticorituali si presentano integrati con significati filosofici e morali, e costituiscono fonte di ispirazione artistica. Comunque, in un modo o nell’altro, la dinamica religiosa, nella varietà delle sue concrete manifestazioni storiche, accenna a un mondo di uomini che si protegge dalla crisi di alienazione radicale fermandola e configurandola in un sopra40

ER[...]

[...]ERNESTO DE MARTINO

la sua straordinaria messe di opere economiche, politiche, morali, artistiche, scientifiche e filosofiche, la conquista di questo primato civile è certamente impensabile senza la nuova esperienza del divenire storico inaugurata dal Cristianesimo. Il rapporto fra energia morale mondana della civiltà occidentale e simbolo cristiano assume talora vie molto mediate (si pensi al rapporto fra etica protestante e spirito del capitalismo, secondo la tesi famosa del Max Weber): ma il rapporto sussiste e conferisce alla storia delPoccidente la sua fisionomia inconfondibile. D’altra parte al germe di consapevolezza della storia che è racchiuso nel simbolo cristiano è altresì da attribuire la energia con la quale l’Occidente ha condotto innanzi il processo di laicizzazione del mondano operare, sconsacrando e restituendo all’umano una sfera sempre più vasta di attività culturali. Per quanto già nel mondo antico si manifesta il processo di liberazione del profano dal sacro, per entro la civiltà cristiana la progressiva autonomia de[...]

[...]la storia e più ancora l’umanesimo integrale che gli è potenzialmente congiunto. Né quest’urto irrisolvente può trovar esito legittimo in tormentati compromessi sul tipo della cosiddetta «demitizzazione del Nuovo Testamento», patrocinata dal Bultmann: il quale — nel proposito di restituire al messaggio cristiano un significato accettabile per il mondo moderno — si è adoperato a cernere, avvalendosi degli strumenti analitici offerti dalPesistenzialismo heideggeriano, quanto nel Nuovo Testamento è « mito » e quanto « messaggio », col risultato di conservare come « messaggio » ciò che, per l’uomo moderno, è ancora « mito », e di respingere come «mito» ciò, per il credente, costituisce parte vitale del simbolo religioso cristiano (62).

Del resto, per quanto riguarda il «ritorno alla religione» negli Stati Uniti, ecco che cosa ne pensa J. Milton Yinger, professore di socio* logia e di antropologia all’Oberlin College:

L’aumento degli appartamenti alle Chiese, il fatto,che molti 'libri religiosi sono diventati bestseller, i numerosi artico[...]

[...]entamenti di Teologia Dogmatica », Milano 1957, I, pp. 827 sgg.; R. Marlé, Bultmann e Vinterpretazione del nuovo testamento, trad. it., Brescia 1958; G. Miegge, L’evangelo e il mito nel pensiero di Rudolf Bultmann, Milano 1956; F. Bianco, Introduzione al problema dello smitologizzamento, nel voi. « Metafisica ed Esperienza Religiosa », Archiv. di Filosofia, Roma 1956, pp. 265 sgg.; F. Bianco, Mito, simbolo, esistenza, nel voi. « Filosofia e simbolismo », Archiv. di Filosofia, 1956, pp. 289 sgg. e Metodo fenomenologico e interpretazione del mito, ibidem, 1957, pp. 199 sgg.; M. Bendi scioli, Interpretazioni razionalistiche del Cristianesimo primitivo, Padova 1952, pp. 68 sgg.; R. Tucci S. Un nuovo allarme fra i teologi protestanti, in « Civiltà Cattolica », quad. 2562, 16 marzo 1957, pp. 580 sgg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sere facile spiegare Fattuale interesse per la religione facendo appello alla frustrazione delle speranze che parecchi avevano riposto nella scienza, nell'umanesimo, nei movimenti politici secolari.[...]

[...]nziale, la esigenza di simbolismi protettivi e reintegratori appartengono certamen
(63) }. Milton Yinger, Religion, Society and Individuai. An introduction to Sotfiology of Religion, New York 1957, p. 270 sg.46

ERNESTO DE MARTINO

te alla condizione umana e quindi anche alla civiltà moderna: ma la tecnica dell’orizzonte metastorico è diventata inattuale, onde la civiltà moderna è impegnata ad ordinare una società e una cultura il cui simbolismo esprima il senso della storia e la coscienza umanistica, senza ricorso alla ambigua politica dei due volti.

Possiamo ora meglio apprezzare, dopo questi rilievi, gli aspetti positivi e i limiti del movimeno di rivalutazione esistenziale della vita religiosa e del mito negli ultimi quarantanni. È senza dubbio merito di questo movimento aver messo in evidenza, in polemica con il superficiale intellettualismo, alcuni temi ermeneutici di notevole interesse e suscettibili di sviluppo e di approfondimento, come p. es. il rapporto della esperienza del sacro con la crisi esistenziale, il nesso miticorituale in cui si articola l’orizzonte del tutt’altro, le motivazioni inconsce dell’esperienza religiosa, le omologie fra terapia psicoanalitica e dinamismo efficace dei simboli miticorituali, il diverso rapporto in cui il tempo e la storia stanno nelle religioni non cristiane e nel Cristianesimo, l’emergere del « senso della storia » per entro il simbolo religioso cristiano. Tuttavia il movimento di rivalu[...]



da (Mito e civiltà moderna) Vittorio Lanternari, Frammenti religiosi e profezie di libertà fra i popoli coloniali in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]'altra grande personalità, André Matsúa (15).
Nativo del gruppo Balali (tribú Sundi Ladi) presso Brazzaville, di educazione cattolica, partecipò alla prima guerra mondiale, fu in Francia ove frequentò circoli politici come l'« Union des Travallieurs Nègres », la « Ligue de la Defense de la Race Nègre », etc., e divenne ben presto un eminente condottiero politico. Fondò in Francia (1926) il movimento « Amicale Balali» comunemente detto poi «Amicalismo », nell'intento di svegliare le autorità metropolitane verso il problema negro e di promuovere la solidale resistenza antibianchi dei Negri africani. II duplice arresto (1930, 1940), la deportazione al Ciad, il lungo periodo di prigionia aggiunsero, alla sua fisionomia di « eroeguida », la corona del martirio. André Matsúa diveniva per i Congolesi il suc
(13) Andersson, 70.
(14) Andersson, 6995.
(15) Andersson, 96117.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 63
cessore di Simon Kimbangu; né la sua morte (1942) attenuò gli entusiasmi, bensì valse a diffondere l'atte[...]

[...]mentre la lampada nonché la croce derivano dal rito cristiano. Ma è nella grande V troneggiante su tutto, che più clamorosamente si esprime l'idea di rivolta e, soprattutto, di vittoria. La V altro non é che il portato culturale dell'ultima guerra mondiale, la fatidica V di Winston Churchill e degli alleati, riplasmata in funzione antibianchi come simbolico annuncio della fine della dominazione colonialista (24).
Come in effetti il GunzismoAmicalismo sia una religione di rivolta e di guerra lo dice con identica coerenza una serie di profezie, fra le quali una suona cosí: « La guerra é prossima — essa dice —... Siamo venuti ad annunciare la buona novella di Dio al mondo. Chi fa parte della nostra chiesa non dovrà rivolger parola a chi é legato al governo o alle missioni, o a coloro dei Negri che ancora affondano nelle tenebre. Il tempo del rosso sangue é venuto... Coloro che risusciteranno entreranno nella gloria del regno trionfante... ». Ed ancora, con linguaggio allegorico e biblico: « I Bianchi ignorano che troveranno morte e perdizion[...]

[...]del rosso sangue é venuto... Coloro che risusciteranno entreranno nella gloria del regno trionfante... ». Ed ancora, con linguaggio allegorico e biblico: « I Bianchi ignorano che troveranno morte e perdizione nel paese altrui. Il bufalo e l'elefante sono possenti..., essi sono come Golia..., ma non sanno costruire la via del ritorno. Imminente é la morte del bufalo e dell'elefante. La liberazione sarà definitiva » (25).
Nel 1939 il GunzismoAmicalismo faceva un ulteriore passo in avanti ad opera di Simon Pierre Mpadi, nuovo profeta ed apostolo. Nativo della tribù Kongo (Leopoldville, Congo Belga), Mpadi annunciava già, nella scelta deliberata dei suoi due nomi — Simon e Pierre — un duplice programma: da un lato sviluppare il movimento fondato dal primo Simon (Kimbangu), dall'altro costruire, a imitazione di Pietro, la nuova « chiesa » negra. In effetti Simon Mpadi fondava la « Mission des Noirs », poi nota come movimento Kakista, che stabilisce attorno al « capo degli apostoli » una complessa e organizzata gerarchia ecclesiastica, cui si p[...]

[...]nchi, il movimento Kitawala o Kitower, attivo già in Rhodesia e nel Nyassa ove ispirò a varie riprese moti sedizioni violentemente repressi. Il movimento Kitawala proviene per processo separatistico indigeno dalla congregazione americana della Watch Tower (Kitawala
o Kitower é deformazione dell'originario termine inglese), o Associazione dei Testimoni di Geova, fondata nel 1874 da Charles Taze Russell, e perciò nota anche con il name di « Russellismo ». Il movimento Watch Tower s'accentra nell'attesa millenaristica di un'era di paradiso che seguirà, in età non lantana, allorquando la decisiva battaglia di Dio contro Satana esploderà ad Armageddon. I miscredenti saranno debellati, sulla terra regnerà la giustizia. Negatori della Trinità, della divinità di Cristo, dell'immortalità dell'anima, degli eterni castighi ultraterreni; per di più antimilitaristi ed antinazionalisti ad oltranza, i Testimoni di Geova condannano sia lo Stato sia ogni forma di organizzazione ecclesiastica come emanazione di Satana. Essi dunque avevano i migliori requis[...]

[...]izzazione ecclesiastica come emanazione di Satana. Essi dunque avevano i migliori requisiti perché la loro ideologia apparisse ai Negri africani, tra i quali arrivassero, la controparte più positiva ed entusiasticamente accettabile della cultura religiosa dei bianchi, specialmente se confrontata con il Cristianesimo dei missionari. Infatti del profetismo indigeno che i missionari cristiani avversavano, ora i nativi venivano a scoprire, nel Russellismo, un modello vivente, anzi un emulo in pieno mondo religioso cristiano (32). Il movimento Kitawala, iniziatosi in Africa fin dal principio del secolo, reinterpretava a sua volta la dottrina russellita originaria. Il suo centro di diramazione fu l'Africa del Sud e l'Africa Centrale Britannica. Contro la minaccia di disgregazione culturale e sociale indotta dai bianchi, i predicatori indigeni del movimento Kitawala — nell'Angola, in Rhodesia, nel Kenya, Nyassa, Uganda fino al Congo Belga — accusavano i missionari di mentire e di nascondere deliberatamente o distorcere le verità della Bibbia, pon[...]

[...] realtà l'incontro fra profetismo africano e millenarismo russellita é fra i più sconcertanti fenomeni delle religioni moderne. Infatti entrambi esprimono, pur in mondi culturali diversi, una somigliante esigenza di rinnovamento religioso, entrambi denunciano una grave crisi culturale. Dal loro incontro risultano poste in netta evidenza le cocenti contraddizioni religiose in cui versano gli organismi ecclesiastici delle nazioni moderne. Il Russellismo, e con qualche analogia l'Esercito della Salvezza, nel loro incontro con le religioni africane profetiche, hanno fornito una giustificazione non più solamente « indigenista », ma convalidata dalla viva esperienza religiosa dei bianchi stessi, dell'autenticità e accettabilità delle posizioni religiose native.
Per tornare al movimento religioso Kitawala e al suo divulgatore Muana Lesa, testé nominato, costui ben presto ebbe ad incorrere nelle maglie della persecuzione poliziesca. Accusato dall'autorità belga di uccidere persone battezzate, fu catturato: fuggi in Rhodesia, ma venne arrestato e [...]

[...]posta e a superamento della grande crisi storica determinata dall'urto.
Si è visto che le più numerose formazioni nativiste africane congiungono alla tendenza xenofoba ostile ai bianchi, la difesa dalla stregoneria o magia nera. Non si creda che le due manifestazioni siano del tutto indipendenti fra loro. L'avvento dei bianchi portava in Africa, e così anche in ogni altro territorio occupato, incremento di malattie sociali ed epidemiche, l'alcoolismo oltre a conseguenze altrettanto disastrose quali il crescente desiderio di facili guadagni, la corruzione morale con incremento dei furti e della prostituzione, la detribalizzazione, ecc.: malanni che, data la loro natura particolarmente misteriosa e incontrollabile, pressa la maggior parte delle culture arretrate seconda una ideologia tradizionale sono fatti rientrare nell'ambito dei malefici operati clandestinamente dagli stregoni: malanni ai quali vanno opposte comunque, unico rimedio efficace, medicine tradizionali dotate di particolare potenza magica. Così in Africa con l'incremento dei [...]

[...]e ad opera di profeti taumaturghi che coinvolgono nel loro bersaglio lo stesso feticismo. Insieme con la lotta anzibianchi la lotta antistregonista si colloca in una situazione coloniale così caratterizzata (48).
Non stupirà ora se in tutt'altro ambiente culturale, fra gli Indiani delle praterie nordamericane, quando la supremazia dei bianchi portò alla segregazione dei gruppi nativi nelle riserve e ogni sorta di male fisico e morale (tbc, alcoolismo, frustrazione, ecc.) incombette su di essi dal contatto dei bianchi, il culto medicinale del peiote, già ivi esistente con funzione di guarigione individuale, si sviluppò in un culto collettivista di emancipazione e di salvazione, più che di salute. Nacque una complessa religione atta a riscattare gli indigeni dalle frustrazioni subite, a guarirli dall'alcoolismo e dai mali fisici, a realizzare insieme una emancipazione religiosa rispetto alla supremazia culturale dei bianchi: dico il Peiotismo.
Fu fondato dal profeta John Wilson verso il 1890 nelle riserve dell'Oklahoma. Ebbe rapido successo e si divulgò fra la maggior parte delle riserve, ove tuttoggi é in vigore, propagato da una serie di profeti come John Rave, Elk Hair, Albert Hensley, ecc. Il Peiotismo vuole
(48) Field 1948, 17579.
76 VITTORIO LANTERNARI
essere una religione destinata esclusivamente agli Indiani, esplicitamente contrapposta al Cristianesimo dei bianchi, del quale tuttavia a[...]

[...]rofetismo emancipazionista trovava il più autentico suo modello nel Mosaismo, mentre la passione, l'arresto, la cattura, il sacrificio subito dai singoli profetifondatori nativi ha in Gesù il suo precedente più valido. Inoltre i Nativi hanno potuto rintracciare un'ulteriore convalida e autenticazione delle proprie posizioni religiose, attraverso i movimenti messianici occidentali di derivazione giudaicocristiana pervenuti fra loro, come il Russellismo.
Tale autenticità e validità, se rettamente si guarda, si regge su una notevole corrispondenza di esperienze storiche. Certo i Negri africani, gli indigeni Oceaniani e Americani oggi ripetono esperienze religiose — millenarismo, messianesimo, profetismo, attesa di liberazione e salvezza — che il Cristianesimo subì ai suoi primordi, quando i suoi martiri offrivano il sangue non solamente come passivi testimoni d'una fede individuale, bensì come componenti d'una milizia di Cristo consapevole dell'impulso rivoluzionario e combattivo emanante dal proprio martirio. Né si tratta di coincidenze [...]

[...]sangue non solamente come passivi testimoni d'una fede individuale, bensì come componenti d'una milizia di Cristo consapevole dell'impulso rivoluzionario e combattivo emanante dal proprio martirio. Né si tratta di coincidenze puramente casuali. Alla radice del Cristianesimo e — prima ancora — del profetismo mosaico e del messianesimo biblico d'età esilica, stanno altrettante condizioni di crisi. Quanto al Cristianesimo, l'acuta tensione fra statalismo e individualismo, la stridente frattura tra sacerdotalismo e bisogni religiosi popolari costituivano, all'interno della società, gli estremi d'un conflitto da cui il messianesimo di Gesù doveva trarre il primissimo e necessarissimo germe, onde s'impose come religione di salvezza dei popoli. Ma a sua volta il Cristianesimo si veniva a inserire nella tradizione messianica che aveva il suo fondatore in Mosè e la sua continuazione nei profeti dell'Esilio. Orbene, il Mosaismo era nato come prodotto dell'urto culturale fra una civiltà pastorale — fondata sul culto di un Essere supremo — che va a
(60) Kenyatta, 282; Vaggioli II, 3723. L'identificazione [...]

[...]fondazione e nei suoi primi stadii. Vero è che la cultura moderna, nella sua veste ufficiale, é venuta accantonando quelle antiche esperienze tra i ricordi di una storia lontana. Tuttavia non del tutto quella storia é scaduta dal suo antico valore, né conflitti culturali e religiosi hanno mancato e mancano, fino ai tempi recenti, di ripresentare in veste più o meno rimodernata reviviscenze messianiche e profetiche: basti pensare appunto al Russellismó, al movimento dei Mormoni e di Saint Simon o — per non tornare indietro al Gioachimismo e ai movimenti ereticali del nostro MedioEvo (62) —
al Lazzarettismo nonché ai più vari movimenti di rinnovamento religioso e sociale i quali costellano il mondo culturale d'ogni paese moder
no. Essi esprimono, allo stesso titolo che presso le società primitive, una condizione di crisi di cui rappresentano ad un tempo il prodotto e il riscatto religioso.
Tuttavia conviene discriminare — per entro la varia fenomenologia dei movimenti profetici — due forme storicamente eterogenee, che contrassegnano la va[...]

[...]e l'idolatria o politeismo « popolare » : conflitto che profondamente l'impronta.
Ora, precisamente il contrasto interno fra religione « popolare » e religione « ufficiale », intese come momenti particolari di un unico processo dialetticostorico, si perpetua per entro la storia del Cristianesimo, diretto erede del Giudaismo. Ciò non è senza rapporto con lo sviluppo assunto nel mondo cristiano dalle istituzioni ecclesiastiche (eredi del sacerdotalismo giudaico), e con le contraddizioni che ne scaturiscono, fra esigenze istituzionali da un canto e dall'altro le esigenze religiose della società nel suo insieme.
D'altra parte il suddetto conflitto tra momenta popolare e momento ufficiale della religione — inteso quest'ultimo nella forma di sacerdotalismo teocratico — presiede alle origini stesse del Cristianesimo, e non solamente d'esso ma dei vari movimenti profetici cananei, dall'Essenismo alla Setta di Qumran. Infine il medesimo conflitto impronta l'intero svolgimento storico del Cristianesimo, dal Medio Evo alla Riforma, ai movimenti messianici dei tempi recenti e d'oggi stesso. Dunque in questi vari, ricorrenti movimenti profetici convergono e si polarizzano, contro l'azione ecclesiastica imposta « dall'alto », le esigenze religiose
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 85
popolari, radicate in modo stringente[...]

[...] dei tempi recenti e d'oggi stesso. Dunque in questi vari, ricorrenti movimenti profetici convergono e si polarizzano, contro l'azione ecclesiastica imposta « dall'alto », le esigenze religiose
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 85
popolari, radicate in modo stringente, immediato, spontaneo alle forme di esistenza collettiva (66 bis)
Una tra le moderne manifestazioni di tale conflitto religioso é ap punto il Russellismo. I1 suo incontro con i culti profetici a livello etnologico, l'intima intesa stabilitasi spontaneamente fra questi e quello rappresentano un documento quanto mai illuminante, quasi uno « specchio » rivelatore del valore contraddittorio insito nella civiltà religiosa a moderna ». Infatti il conflitto tra chiese missionarie e nazioni moderne da un canto, civiltà « primitive » dall'altro vale ad illuminare i limiti non soltanto delle civiltà « primitive », bensì non meno della civiltà cosiddetta « moderna », con le sue peculiari istituzioni di chiesa e stato.
In effetti le formazioni profetiche[...]

[...]te le ragioni che favorirono tale rivolgimento di valori profetici quale venne operato nel Cristianesimo (e del resto negli altri movimenti cananei).
Determinante sembra, in proposito, il carattere precisamente « endogeno » del movimento profetico cristiano. Prodotto da una cultura urbana altamente gerarchicizzata, il Cristianesimo sorse e si sviluppò, come manifestazione « popolare », dal confronto con forze egemoniche oppressive — il sacerdotalismo giudaico, lo statalismo romano — scaturite dal seno della società di cui esso era parte integrante. Combattere su terreno religioso contro tali insopprimibili forze era possibile in un modo soltanto e ad un'unica condizione, cioè globalmente rovesciando i valori dell'esistenza sociale, additando come positivi unicamente i valori ultraterreni.
Insomma, il programma salvifico del Cristianesimo, contro il sacerdotalismo e insieme contro lo statalismo, doveva necessariamente fondarsi su una evasione integrale dalla storia, sulla fondazione di un Regno che doveva attuare il rovesciamento, anzi l'annullamento delle vigenti sovrastrutture sociali.
Sembra significativo che un'analoga, altrettanto radicale evasione dalla storia si adempie, pur in differenti forme, presso religioni profetiche a livello etnologico. Si tratta sempre di. profetismi « di origine endogena » come il Cristianesimo. Le formazioni messianiche Tupi d'epoca precoloniale (Brasile) si fondano su una evasione in massa dai territori d'origine, e su un collettivo ritorno simbo[...]

[...]ze ostili. In siffatte condizioni ed in tale fase essi fanno propri quelli che sono i caratteri salienti dei movimenti profetici d'origine esterna, tendenzialmente volti a contrapporre, all'invasione della potenza egemonica, l'espulsione di quella e non la propria evasione.
Abbiamo fin qui caratterizzato alcune differenze, storicamente determinate, tra formazioni profetiche di tipo occidentale « moderno » (Cristianesimo apostolico fino al Russellismo, Mormoni, Lazzarettismo, ecc.), e formazioni profetiche a livello etnologico, tra profetismi d'origine esterna ed interna. Al di là delle differenze riconducibili a diverse condizioni storiche e culturali, le varie formazioni profetiche sono congiunte da un indissolubile nesso. Esse rivelano le condizioni di crisi in cui versano da un canto le civiltà coloniali, dall'altro la civiltà moderna occidentale. Quanto ai rapporti fra cultura ufficiale moderna e culture cosiddette primitive, le religioni profetiche rivelano un preciso limite inerente alla prima di esse, dato dall'esclusivismo dogmati[...]



da Asiaticus, Due tesi sull'evoluzione dei paesi ex-coloniali. [sopratitolo: "democrazia nazionale" e "Nuova democrazia"] [sottotitolo: Diverse vie di sviluppo per i popoli del Terzo mondo - Dalla democrazia al socialismo. Le prime esperienze storiche in Mongolia, Cina e Turchia - Il ruolo dirigente del proletariato] in KBD-Periodici: Rinascita 1963 - 1 - 26 - numero 4

Brano: [...]vembre del 1960. Questa dichiarazione, dopo avere analizzato l'evoluzione dei paesi coloniali e dipendenti dopo la seconda guerra mondiale, affermava:
« Nella situazione storica attuale si vengono a creare in molti paesi condizioni interne e internazionali favorevoli alla costituzione di uno Stato indipendente a democrazia nazionale, cioè di uno Stato che difenda coerentemente la propria indipendenza politica ed economica, lotti contro l'imperialismo e i suoi blocchi militari, contro le basi militari sul proprio territorio. Si tratta di uno Stato che lotta contro le nuove forme di colonialismo e contro la penetrazione del capitale imperialistico, che ripudia i metodi di governo dittatoriali e dispotici, uno Stato in cui vengono garantiti al popolo ampi diritti e libertà democratiche (di parola, di stampa, di riunione, di manifestazione, di organizzazione in partiti politici e in associazioni). Entro tale Stato il popolo deve avere la possibilità di ottenere l'applicazione della riforma agraria e l'accoglimento di altre rivendicazioni nel campo delle trasformazio_ ni democratiche e sociali, la possibilità di partecipare alla determinazione del la politica statale. Ponendosi sulla vi[...]

[...] democratica, per fondare uno Stato a democrazia nazionale, per migliorare decisamente il tenore di vita delle masse popolari ».
Il significato di questo concetto cosi ricco e così nuovo merita di essere precisato.
La lotta per l'indipendenza e per la democrazia
In primo luogo, si tratta di una via aperta, di una possibilità offerta ai paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina (il « terzo mondo ») che stanno per staccarsi dall'imperialismo. I due elementi fondamentali e strettamente complementari che caratterizzano questa via sono la lotta per l'indipendenza nazionale e la lotta per la democrazia. Il paragrafo della risoluzione degli 81 che abbiamo citato è sufficientemente chiaro su questo punto.
Se uno di questi due caratteri fondamentali, lotta per l'indipendenza nazionale e lotta per la democrazia, viene a mancare, non si potrà parlare di democrazia nazionale. Certo, non si deve cessare di considerare positivo il ruolo dei governi non democratici e dominati dalle forze feudali o capitaliste i quali lottano attivamente per [...]

[...]mancare, non si potrà parlare di democrazia nazionale. Certo, non si deve cessare di considerare positivo il ruolo dei governi non democratici e dominati dalle forze feudali o capitaliste i quali lottano attivamente per la loro indipendenza na zionale. E' il caso di un certo numero di paesi come il Nepal, l'Afghanistan, l'Egitto, lo Yemen. Ma nella misura in cui essi non hanno una vera base democratica, la lotta di questi governi contro l'imperialismo è necessariamen te debole, manca di decisione e di continuità. Per l'avvenire dei paesi del Terzo mondo, indipendenza nazionale e democrazia sono connesse da un legame di reciproca necessità, sul quale non si è forse insistito abba
e
Truppe dell'esercito popolare cinese durante la « lunga marcia »
stanza nel passato. Esso è uno dei significati del concetto di democrazia nazionale.
In secondo luogo, la democrazia nazionale, se si distingue nettamente dalla democrazia socialista, non è tuttavia meno diversa dalla democrazia borghese di tipo occidentale. La democrazia nazionale non è fondata[...]

[...]o numero di paesi tendono a consolidare la loro indipendenza nazionale e la loro vita democratica (come sottolinea con esempi concreti la dichiarazione degli 81 nel paragrafo sopra citato). Si dice in tal caso che quei paesi, come il Mali, l'Indonesia, Ceylon, la Guinea, sono orientati verso la democrazia nazionale.
Questo carattere progressivo ed evolutivo della democrazia nazionale è molto importante. In certi casi, l'evoluzione verso il socialismo può essere rapida, come a Cuba, dove essa è stata accelerata dalle necessità stesse
della lotta contro i piani di intervento degli Stati Uniti e contro i loro eventuali complici all'interno. In altri casi, la democrazia nazionale può rappresentare una fase di stabilizzazione abbastanza lunga. Gli 81 partiti non hanno d'altronde mai cessato di proclamare che il socialismo costituisce la sola soluzione veramente definitiva ai problemi degli Stati moderni, compresi quelli dell'Asia e dell'Africa. Da questo punto di vista, la democrazia nazionale non ha niente di comune con le posizioni di un Nehru o di Senghor, che cercano di definire per l'Asia e per l'Africa un avvenire radicalmente e definitivamente opposto a quello dei paesi del mondo socialista, per esempio del Vietnam, della Gina, della Mongolia.
L'originalità e la novità del concetto di democrazia nazionale appaiono dunque chiaramente. Ma vale egualmente la pena, ci pare, di precisare il contesto in cui [...]

[...]seno al movimento comunista mondiale, il concetto di democrazia non è separabile dalla lotta per la coesistenza pacifica. E' una di quelle « condizioni favorevoli della situazione storica attuale » di cui parla la dichiarazione degli 81. La possibilità di stabilire per un certo periodo degli Stati a democrazia nazionale, degli Stati basati sull'indipendenza nazionale e sulla democrazia, che si avviano a staccarsi dal sistema mondiale dell'imperialismo senza passare tuttavia direttamente a un regime socialista e a un'economia socialista, questa possibilità esiste soltanto perchè il campo socialista lotta per la coesistenza :pacifica: E' la lotta per la coesistenza pacifica che accorda á questi nuovi Stati un margine di movimento, che, ofite loro la possibilità di non" dipendere più totalmente dài grandi monopoli occidentali per smerciare i propri prodotti o per ottenere crediti e tecnici, la possibilità anche di seguire, per esempio all'ONU, una politica estera relativamente indipendente.
Tutte queste caratteristiche della democrazia nazio[...]

[...]strettamente legato, come abbiamo sottolineato, all'evoluzione stessa dei paesi dell'Asia e dell'Africa dopo la seconda guerra mondiale, e all'evoluzione del sistema comunista mondiale, della sua ideologia e della sua strategia. Ciò non vuol dire tuttavia che tentativi nella medesima direzione non siano già stati fatti nel passato, sia sul piano teorico sia sul
ï1
Diverse vie di sviluppo per i popoli del ` Terzo mondo Dalla democrazia al socialismo
Le prime esperienze storiche in Mongolia, Cina e Turchia Il ruolo dirigente del proletariato

Politica internazionale 26 gennaio 1963 pag. 15 Rinascita
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piano pratico, e pensiamo che non sia giusto passare sotto silenzio questo aspetto della questione. Pensiamo, per esempio, alla rivoluzione mongola del 1921, alla base rivoluzionaria dì Canton all'epoca di Sun Yatsen (nel 1923'27), al primo periodo del kemalismo in Turchia (il compagno Ponomariov fa d'altronde un'allusione a questo esempio nel suo articolo), al programma del 1941 del Vietminh, al funzionamento della Repubblica democratica del Vietnam dalla sua proclamazione nell'agosto 1945 sino alla guerra con la Francia nell'autunno del 1946.
Tutti questi episodi sono caratterizzati dalla stessa profonda unità della lotta per l'indipendenza nazionale e la democrazia, dalla medesima preoccupazione (anche da parte dei comunisti) di formulare un programma rivoluzionario ere sia molto più avanzato della democrazia borghese di tipo occidentale, pur sen[...]

[...]
Ma esiste, a nostro avviso, un pre cedente ancora più importante e interessante, per lo studio delle origini teoriche e pratiche della democrazia nazionale: il concetto di « nuova democrazia » (Xin Minzhou zhouyi) quale è stato formulato nel 1940 da Mao Tsetung in un'opera teorica rimasta giustamente celebre.
Fra la « nuova democrazia » definita nel 1940 da Mao e la « democrazia nazionale » definita nel 1960 dagli 81 partiti, esiste tin parallelismo che non si può passare sotto silenzio. Nei due casi, l'accento è messo sull'unità della lotta antiimperialista (della lotta contro il Giappone per la Cina del 1940) e della Iotta democratica (cioè, sempre per la Cina del 1940, della lotta contro il comportamento autoritario e dispotico del Kuo Mintang). Mao fece appello a partire dal 1940 al fronte unito di tutti coloro che accettavano questa duplice esigenza.
Il parallelismo può anche essere spinto più lontano, poiché, nello spirito di Mao, la « nuova democrazia » è una soluzione che non interessa solo la Cina ma che può presentarsi a tutti i paesi coloniali e dipendenti dell'Africa e dell'Asia. Opponendo la « nuova democrazia » alle vecchie democrazie borghesi da una parte e all'URSS dall'altra, egli dichiara in effetti che si tratta di « un terzo tipo, una forma transitoria dì Stato creata dalle rivoluzioni nei paesi coloniali e semicoloniali ». La parola transitoria indica bene che si tratta di una fase, non di un'opposizione definitiva della
« nuova democra[...]

[...]tutti i paesi coloniali e dipendenti dell'Africa e dell'Asia. Opponendo la « nuova democrazia » alle vecchie democrazie borghesi da una parte e all'URSS dall'altra, egli dichiara in effetti che si tratta di « un terzo tipo, una forma transitoria dì Stato creata dalle rivoluzioni nei paesi coloniali e semicoloniali ». La parola transitoria indica bene che si tratta di una fase, non di un'opposizione definitiva della
« nuova democrazia » al socialismo; ma anche che questa formula ha i suoi caratteri specifici e originali, inerenti alle esigenze dei paesi dell'Africa e deIl'Asia nel loro insieme.
Il parallelismo fra la « nuova democrazia » e la « democrazia nazionale » è rafforzato ancora dal fatto che questi due concetti hanno suscitato a suo tempo gli stessi sospetti e motivato gli stessi silenzi. La stampa e il pubblico sovietici ignoravano le idee di Mao sulla nuova democrazia sino alla edizione delle opere di Mao in russo nel '49. D'altro canto, la stampa cinese è oggi assai discreta sul concetto di democrazia nazionale, e a maggior ragione sul rapporto di filiazione che potrebbe unire questo concetto a quello formulato da Mao sin dal 1940. Sembra che le ragioni di questi volontari silenzi siano[...]

[...]ito dalla « nuova democrazia » cinese del 1940.
Esiste tuttavia fra le due 'tesi una differenza' fondamentale. Si tratta del le basi di classe della `« democrazia ñazionale » e della a nuova democra zia », e in particolare della direzione di classe nel movimento per la costruzione degli Stati a democrazia nazionale.
Scrivendo nel 1940 nella Nuova dempc gzia, Mao prospettava una unione assai larga di tutte le classi sociali vittime, dell'imperialismo e dei nemici cinesi della democrazia (1) Ma egli sottolineava nel medesimo tempo, molto ' esplicitamente, oche, questa larga alleanza_ di classi deve essere diretta dal movimento operaio e dai partito comunista. Effettivamente, nelle condi zioni storiche specifiche della rivoluzione cinese, il partito comunista ha svolto — in modo indiscutibile e con l'accordo dei suoi sostenitori della borghesia e della piccola borghesia — Studenti mongoli in un'aula della Università di Ulan Bator
questo ruolo dirigente, sia prima sia dopo la liberazione del 1949.
Il compagno Ponomariov è meno preciso su q[...]

[...]i classe. del movimento, lasciando chiaramente intendere che l'evoluzione verso la democrazia nazionale.è possibile in differenti situazioni di equilibrio delle forze sociali. Egli afferma inoltre che « l'essenziale è di ricercare (tenendo conto dei caratteri specifici della vita economica, politica e culturale di ogni popolo) le forme: più appropriate di unione di tutte le forze sane della nazione nella lotta per estirpare le radici dell'imperialismo e delle sopravvivenze del feudalesimo, per avanzare sulla via del progresso sociale ». Questa frase, per quanto prudente nella sua formulazione, non significa . chiaramente che queste « forme appröpriate u possano essere diverse e che non esista quindi un modello unico, per ciò che concerne le basi di classe e la direzione di classe del movimento verso la democrazia nazionale, nei pae. si del terzo mondo.
La struttura di classe nei nuovi paesi
Ci sembra, in tutti i casi, che non sia desiderabile eludere questo problema, quale appare dal confronto fra le tesi della « nuova democrazia » del 1[...]

[...]va democrazia » cinese del 1940. E' in tutti i casi un problema da discutere.
Asiaticus
(1) Ancora oggi quattro piccole stelle che circondano la grande stella nell'angolo superiore sinistro della bandiera della Cina popolare rappresentano le quattro classi rivoluzionarie chiamate a costruire la .nuova democrazia'. (classe operaia, contadini, piccola borghesia, borghesia nazionale), raggruppate attorno a1 partito comunista.
cLa fine del colonialismo» vista da Siné



da Theodor Wiesengrand Adorno, Aldous Huxley e l'utopia [traduzione di Elèmire Zolla] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]ndo, esasperandolo fino all'assurdo, ricavando l'idea della dignità umana dal riconoscimento della disumanità. La conclusione é la percezione della somiglianza di tutti i prodotti in serie, uomini o cose che siano. La metafora schopenhaueriana dei prodotti di fabbrica della natura viene presa alla lettera.
Greggi brulicanti di gemelli vengono preparati nella storta. Un incubo di infiniti sosia invade la vita di veglia dell'ultima fase del capitalismo, con il sorriso obbligatorio del garbo sfornato ¿Caile charm schools e con la coscienza di stuoli sterminati di uomini unificata sulla falsariga imposta dalla communication industry. L'esperienza della singolarità, dell'hic et nunc della esperienza spontanea, già insidiata, viene schiacciata: g uomini lion sono soltanto più consumatori dei prodotti di serie sfornati dalle aziende, ma paiono essi stessi prodotti dallo strapotere delle aziende e privi di individúazione, Lo sguardo in panico, grazie a quale vengono a Pietrificarsi in allegorie della catastrofe le os
98 THEODOR WIE SENGRUND ADO[...]

[...]lla civiltà vengono spinte dalla sua teologia immanente fino all'evidenza diretta del suo disordine. Non sono tanto degli elementi tecnici o istituzionali a ribadire il quadro quanto la visione di ciò che sarebbe degli uomini qualora non conoscessero piú il bisogno. La sfera economicopolitica come tale diventa di minor peso e importanza: resta sicuro che si tratta di un sistema classista iperrazionalizzato di proporzioni planetarie, di un capita lismo di Stato pianificato fino al particolare; resta certa che la collettivizzazione totale corrisponde alla tirannide assoluta, che l'economia monetaria e l'incentivo del profitto perdurano.
Invece delle tre parole d'ordine della rivoluzione francese si proclama: Community, Identity e Stability. Community definisce una condizione della società in cui ogni singolo é sottoposto incondizionatamente al funzionamento del tutto, sul senso del quale non dovrebbe più essere possibile nel brave new world alcun interrogativo. Identity significa la sparizione delle differenze individuali, la standardizzazi[...]

[...]atamente al funzionamento del tutto, sul senso del quale non dovrebbe più essere possibile nel brave new world alcun interrogativo. Identity significa la sparizione delle differenze individuali, la standardizzazione spinta fino ai fondamenti biologici. Stability il tramonto di ogni dinamica sociale. La situazione astutamente calcolata si ricava per estrapolazione da certi sintomi di un esaurimento del gioco delle forze economiche nel tardo capitalismo: una perversione del Millennio. La panacea garantita dalla statica sociale è il conditioning, locuzione assai difficile a tradursi, trasferita dalla biologia e dalla psicologia behavioristica (dove significa la provocazione di certi riflessi o comportamenti mediante modificazioni deliberate del mondo circostante, attraverso il controllo di « condizioni ») la quale nella lingua corrente americana sta a significare ogni specie di controllo scientifico delle condizioni di vita: così air conditioning è il livellamento meccanico della temperatura in spazi chiusi. In Huxj ley conditioning significa[...]

[...]gni. Essa é stata tanto pratica quanto irrazionale. Un ordinamento che abolisca l'irrazionalità nella quale é stata in
ALDOUS HUXLEY E L'UTOPIA 113
vischiata la produzione delle merci, ma appaghi i bisogni, potrà anche abolire lo spirito pratico che si rispecchia nell'assenza di finalità dell'art pour l'art borghese. Supererà non soltanto l'antagonismo della produzione e del consumo, ma anche la loro ultimissima unificazione da parte del capitalismo di Stato, convergendo verso l'idea che, nelle parole di Karl Kraus « Dio non fece l'uomo come produttore o consumatore, ma come uomo ». A tal punto non sarà vergognoso che qualcosa non sia utile, l'adattamento sociale non avrà senso, la produzione agirà sui bisogni in modo reale e non distorto: non perché placherà il bisogno con cose inutili, ma perché il sazio potrà orientarsi nel mondo senza ricorrere al criterio dell'utilità universale.
Nella critica del falso bisogno Huxley tiene ferma l'idea dell'oggettività della felicità. L'ottusa ripetizione della proposizione everybody's happy now d[...]

[...]'insicurezza, il sospetto che la sua specie di gioia sia infirmata dalla contraddizione interna di non essere affatto vera gioia. Per afferrare l'imbecillità di quel film e quindi la « disperazione oggettiva » dei suoi spettatori, non era necessario rammentare farisaicamente Shakespeare. Ma è l'essenza stessa del film, come duplicazione e rafforzamento di ciò che é, la sua superfluità e insensatezza stridenti nel tempo libero ancorato all'infantilismo, l'incompatibilità del realismo fondato sulla duplicazione e della contemporanea pretesa di essere immagine — tutto questo appare in evidenza nella cosa stessa, senza ricorsi a vérités eternelles dogmaticamente citate. Che il circolo vizioso tracciato così accuratamente da Huxley abbia le sue lacune, non dipende dalle manchevolezze della sua costruzione fantastica, ma dall'idea di una felicità soggettivamente completa e oggettivamente contraddittoria. Se valesse la sua critica del meramente soggettivo, cadrebbe l'idea di una felicità oggettiva, scissa dalle aspirazioni umane e ipostatizzata non meno dell'ideologia. Radice d[...]

[...]cavare dal male. Eppure essa viene posta dinanzi alla scelta tra la ricaduta in una mitologia che a Huxley stesso appare discutibile ed un progresso verso una illibertà senza lacune. Non resta nessuno spazio per un concetto dell'uomo che non si esaurisca né nella coercizione del sistema collettivistico né nella contingenza singolare. La prospettiva per cui si denuncia lo Stato universale totalitario mentre si esalta retrospettivamente l'individualismo che vi portò, é totalitaria essa stessa. Essa non lascia vie d'uscita e implica la liquidazione di tutto quanto non si lasci eguagliare, liquidazione che a ragione fa rabbrividire Huxley. La conseguenza pratica del « non c'é niente da fare » borghese, che echeggia nel romanzo, é il perfido « devi inserirti » nel brave nera world totalitario. L'univocità della tendenza, la linearità del concetto di progresso quale viene usato nel romanzo, deriva dalla limitatezza delle forze produttive nella «preistoria ». L'inevitabilità si impone nell'utopia negativa perché la limitatezza dei rapporti di pro[...]

[...]seunte come irrilevante, la storia come storia del male vengono messi in contrasto con l'invariante: la filosofia perenne, l'eterna luce solare del cielo delle idee. Conformemente l'esteriorità e l'interiorità degenerano in un'antitesi primitiva: all'uomo é attribuito il male, dalla riproduzione artificiale all'invec
ALPOUS HUXLEY E L'UTOPIA 119
chiamento precoce, mentre la categoria del singolo é investita di indiscutibile dignità. L'individualismo non svolto dalla rifles sione si afferma come se l'orrore al quale guarda il romanzo non fosse esso stesso progenie della società individualistica. Dal processo storico si elimina la spontaneità dell'uomo singolo, mentre il concetto dell'individuo viene scisso dalla storia e trasformato in un pezzo di philosophia perennis. L'individuazione, un fatto essenzialmente sociale, ritorna natura selvaggia. Invece di ravvisare la sua inerenza alla connessione delle colpe, che fu dominata dalla filosofia borghese al suo culmine, si livella empiricamente l'individuo attraverso lo psicologismo. In seguit[...]

[...]sibbene una « maschera di carattere » della società, facendone una ragione di inautenticità e menzogna, di ristretto egoismo, motivo di intervento per una psicologia dell'io sottilmente descrittiva. Secondo lo spirito borghese, per Huxley il singolo é tutto (perché forni a suo tempo il principio dell'ordinamento della proprietà) e nulla (perfettamente sostituibile come mero portatore della proprietà). Ecco il prezzo che l'ideologia dell'individualismo deve pagare per la sua falsità. La fabula docet del romanzo é più nichilistica di quanto possa ammettere l'umanità che esso proclama.
Perciò l'ingiustizia contraddice ai fatti stessi sui quali riposa la forza positivistica. Come tutte le utopie svolte fino in fondo quella huxleyana ha i tratti della futilità. Non manca l'esatta fantasia ma lo sguardo nel futuro remoto come tale, la capacità di indovinare l'effettualità del non essere, ed il romanzo vie
i:iti.~v~
120 THEODOR WIESENGRUND ADORNO
ne colpito dall'impotenza della temerarietà. Il momento antitetico della dialettica non si lascia[...]

[...]lascia eludere mediante la consequenzialità logica, attraverso il concetto generale di illuminismo. Chi tenti di giungere a tanto esclude il non soggettivo, non « spirituale » e non autocosciente, che é la forza motrice della dialettica. L'utopia rifinita, anche se fornita di elementi materialisticotecnici e impeccabilmente corretta dal punto di vista delle scienze naturali, è per principio una regressione nella filosofia dell'identità, nell'idealismo. Perciò le fa difetto quell'ironica esattezza che preoccupa talmente Huxley. Come il concetto non autocosciente di illuminismo totale spinge al rovesciamento nell'irrazionalità, così non si può dedurre partendo da esso se si avvererà o se si arresterà. Le catastrofi politiche imminenti non possono lasciare aperta la via d'uscita della civiltà tecnica. Ape and Essence è il tentativo in certa misura affrettato di correggere un errore che non dipendeva da scarse conoscenze di fisica atomica, ma dalla concezione lineare dello sviluppo storico e cui perciò non si può rimediare mediante correzioni [...]

[...]ica romanzesca realistica, chiamando in causa l'allegorismo filosofico. Attraverso l'inevitabile errore concettuale si fa sentire l'incertezza della concezione generale. L'atteggiamento resta a dispetto d'ogni intenzione simile a quello dei grossi borghesi che sono sovranamente certi di non esigere la continuazione dell'economia basata sul profitto in base al proprio interesse ma per amor degli uomini, che non sarebbero ancora maturi per il socialismo. Se essi non avessero più da lavorare non saprebbero che farsene del loro tempo. Tali saggezze non sono soltanto compromesse dal loro uso, ma anche prive di contenuto gnoseologico, perché tanto reificano gli « uomini » come dati di fatto quanto incielano l'osservatore co
ALDOUS HUXLEY E L'UTOPIA 121
me un'istanza aleggiante in libertà. Questa freddezza é alla radice dell'opera di Huxley. Pieno di fittizia preoccupazione per il male che l'utopia avverata potrebbe recare all'umanità, egli scarta il male assai più pressante e reale che tiene lontana l'utopia. E' ozioso lamentarsi di ciò che ac[...]

[...]o viene scontato con la riduzione all'indegnità umana della normalità di ieri
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oggi e domani. Non il momento contemplativo come tale, che il romanzo ha in comune con ogni filosofia e figurazione, dev'essergli rimproverato, ma che esso non includa nella riflessione il momento di una prassi che spezzi il continuum scellerato. L'umanità non è costretta a scegliere tra lo Stato universale totalitario e l'individualismo. Se la grande prospettiva storica é qualcosa di più della fata morgana dello sguardo ordinatore, allora deve condurre alla domanda se la società potrà autodeterminarsi o se provocherà la catastrofe tellurica.
THEODOR WIESENGRUND ADORNO
(Trad. Elémire Zolla)



da (Nove domande sullo stalinismo) Lelio Basso in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20

Brano: [...]ata al XX Congresso. Riconoscere che a un determinato momento dello sviluppo storico la dittatura é stata un fenomeno necessario non esclude che essa sia successivamente divenuta un ostacolo per l'ulteriore sviluppo. Sarebbe poco marxista non riconoscere questa intima dialettica del processo storico e attribuire alla dittatura staliniana tutto il bene o tutto il male. Senza la dittatura in appoggio alla tesi staliniana della costruzione del socialismo nel solo paese sovietico, la rivoluzione sarebbe stata probabilmente travolta (l'altra soluzione — quella cioè di esportare la rivoluzione nel mondo capitalistico — era già stata condannata dalla storia);
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tuttavia proprio la marcia al socialismo esigeva che, a un certo momento, fosse travolta la dittatura.
Se infatti la spiegazione che io ho dato è fondata, la concentrazione di volontà e di potenza diventava superflua, o perlomeno non doveva essere più così stretta, dal momento in cui non solo eran debellati gli avversari di classe, ma in luogo delle decine e decine di milioni di contadini analfabeti da spingere quasi a forza sulla via del rapido progresso, vi era ormai un popolo progredito, non più assillato dall'ansia di bruciare le tappe di uno sviluppo eco nomico di cui aveva raggiunto le vette più alte, e che perciò poteva guar[...]

[...]dittatura, necessitata dall'esigenza di impedire uno sviluppo spontaneo, finisce col far appello, contro la spontaneità, all'ubbidienza meccanica, specialmente quando si vuole imprimere alla marcia delle cose un ritmo eccezionale e manca quindi il tempo di fare appello ad un processo, inevitabilmente più lento, di adesione cosciente. Ubbidienza meccanica si traduce spesso in ultima analisi in conformismo degli inferiori verso superiori, in caporalismo dei superiori verso gli inferiori. Paura della responsabilità in chi si limita a ubbidire senza discutere e magari senza assimilare, burocratismo nei quadri intermedi che si limitano a trasmettere la circolare o la direttiva, sclerosi del pensiero e del processo creativo negli intellettuali conformisti, esaltazione parossistica e tendenza all'abuso del potere nei dirigenti, via libera al carrierismo e al servilismo: queste sono conseguenze a cui difficilmente sfugge a lungo andare una dittatura. Credo che siano ben pochi nella storia gli esempi di persone portate dagli avvenimenti alle vette del potere e che abbiano ciononostante conservato un giudizio equilibrato delle cose e un superiore controllo di sé. Stalin ad ogni modo non fu fra questi ed è anzi probabile che egli sia giunto a degli eccessi di brutalità che meritano la più severa condanna. Ma — lo ripeto — sarebbe una polemica superficiale quella che pretendesse di trarre da ciò motivo di condanna di tutto il periodo stalinia
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no,[...]

[...]ntare la vigilanza degli occidentali, e coloro che spiegano la destalinizzazione con ragioni di politica internazionale soltanto, sono fuori di strada. Basta leggere attentamente il rapporto introduttivo di Krus'ciáv, e in genere i discorsi tenuti dai dirigenti al XX Congresso, per rendersi conto che la lotta da essi impegnata é soprattutto una lotta contro quei formidabili nemici del progresso che sono il conformismo e il burocratismo, il caporalismo e la paura della responsabilità, il dogmatismo e l'assenza di spirito critico. Non una polemica storica contro le colpe passate di Stalin hanno condotto i dirigenti sovietici, ma una battaglia politica contro le sopravvivenze dello stalinismo; non contro Stalin morto ma contro lo stalinismo vivo, o perlomeno contro i suoi aspetti deteriori che gli sono sopravvissuti, hanno impegnato tuttte le loro energie. Certo, per condurre con estrema decisione questa battaglia, essi hanno dovuto infrangere il mito che sta dietro alla mentalità che si sono proposti di distruggere: solo riducendo Stalin all[...]

[...]samente la grande sfida che il XX Congresso ha lanciato al mondo capitalistico. Io credo fermamente che il mondo socialista vincerà questa sfida se si libererà tempestivamente della zavorra che gli appesantisce le ali.
Un aspetto di questa zavorra lasciata in eredità dallo stalinismo era costituito dallo spirito e dai modi con cui erano regolati
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i rapporti tra l'Urss e gli altri « paesi del socialismo n o gli altri partiti comunisti. Anche qui la dittatura aveva sostituito ad una molteplicità elastica e aderente alle situazioni nazionali, e perciò viva e creatrice, una macchina rigida e pesante che doveva essere spezzata. Questo, a mio parere, è il senso della destalinizzazione, che io ho salutato come un fatto eminentemente positivo per le sorti future del socialismo, e ricco di immense possibilità. Di fronte a ciò tutti gli altri problemi che sono stati sollevati, di modo e di tempo, mi sembrano di secondaria importanza. Non ho elementi sufficienti per valutare la tempestività, ma penso che da un lato fosse difficile affrontare questa battaglia senza un certo periodo di preparazione (e tre anni di fronte ai decenni della dittatura non sono certo troppi), e che dall'altro fosse necessario a un certo momento sferrare un colpo decisivo. Quanto al fatto che il processo sia venuto dall'alto, mi sembra facile rispondere che non poteva accadere diversamente: pr[...]



da Sergio Solmi, Distrazioni in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]snuda). Un ideale erotico da pouponnière ha preso il posto della Vamp che ha dominato l’epoca simbolista, quella dannunziana e quella immediatamente postdannunziana.

Quali pronostici se ne possono trarre? Non sembra semplice. Vedere quel curioso scrittore americano di fantascienza, Fritz Leiber, e quali presagi apocalittici deduce da queste indicazioni del gusto e dell’eros collettivi. Non è detto, purtroppo, che la predisposizione all’infantilismo, quale denunciata dalla moda americaneggiante, dal gioco di « lascia o raddoppia », dalla lenta ma inesorabile sostituzione del vino con la cocacola, debba ricondurci all’innocenza, riaprirci i cancelli del paradiso terrestre.

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Il mio amico Piero Martina, figlio di operai torinesi di vecchio ceppo, è un concentrato di « torinesità », come si vede anche dalla peculiare eleganza del suo segno pittorico. Non è perciò un caso, ma devo leggerlo in termini di destino, il fatto che, dopo tanti anni, sia lui a condurmi su di una sconquassata « giardinetta », in un rapido giro per la mia ve[...]

[...]zione puerile, su cui si sono sedimentati a poco a poco i ricordi e gli affetti, su cui è piovuto ad un certo momento un lume di consacrazione.

Alain giustificava queste ragioni dell’irrazionale, e lo stesso fanatismo, che gli sembrava inerente alla natura umana, e per cui non esistono guerre che non siano di religione. Ad esso rimediava la cultura, « che rende adorabile la diversità ». Ma questo ideale e integrale liberaDISTRAZIONI

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lismo è rintracciabile unicamente in certe punte supreme della civiltà, e lo sforzo storico, nel suo profondo, lo ignora. Attraverso il processo dissolvitore della cultura, le idee finiscono con lo smussare la loro punta, col tendere indefinitamente a un’armonia (o combustione), con l’ordinarsi secondo una dialettica che tutte le accolga e giustifichi e disponga come sfumature o sfaccettature d’un’ipotetica unica idea. Correlativamente, in un simile clima a poco a poco la particolarità passionale e tradizionale decade a costume, e di lì a poco si dissecca e sperde. Perciò il reale progresso sarebbe[...]

[...]a nostra civiltà, che ha diminuito in misura così considerevole l’insicurezza quotidiana in confronto ad ogni altro tempo, mantenga così vastamente aperto un altro genere di rischi, nel suo fondo essenzialmente gratuito. Né si vuole, qui, alludere a quelli più propriamente sportivi, perché gli sport pericolosi, come l’alpinismo,98

SERGIO SOLMI

interessano pur sempre una proporzionalmente limitata categoria di persone. Ma il comune automobilismo si allarga a ceti sempre più imponenti, e tende a diventare universale persino da noi.

Per quanto grande possa essere la nostra pietà per le vittime, è ancora una volta rassicurante attestare questa persistente generosità, arditezza e « gratuità » della natura umana, sotto tante incrostazioni di egoismo e di conformismo.. Nietzsche si consolerebbe, vedendo per sempre smentito il mito ironico, che apre lo Zarathustra, degli ultimi uomini che hanno trovato la meschina felicità. Esto todos caballeros.

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DISCESA AI VERDI INFERNI. Forse un oscuro principio di spiegazione posso trovare[...]



da Alessandro Lami, recensione su Margherita Isnardi Parente, Città e regimi politici nel pensiero greco, Torino, Loescher, 1979, pp.266 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...] « una fantasia antropologica in cui gli stessi connotati della città sono scomparsi per dar luogo a una società non organizzata in gruppi cittadini, non retta da leggi, comunitaria e tribale, in un quadro naturale eccezionale. È la negazione della città » (p. 33). Il libro però si chiude con una nota ottimistica. Nelle elucubrazioni di Polibio intorno alla costituzione romana, che utilizzano « gli schemi tipici del costituziona
RECENSIONI 241
lismo classico greco », l'autrice ravvisa infatti « la perdurante vitalità della città nel tardo Ellenismo » (p. 35). Anche se legittimamente ci si potrebbe chiedere se in esse non si abbia, in qualche modo, l'altra faccia della medaglia rispetto all'utopia di Iambulo, l'incapacità cioè di cogliere la realtà di Roma — che aveva davvero qualcosa da spartire con le primitive aristocrazie greche — con categorie libresche da parte di un intellettuale che proveniva da un'area periferica dove quel che restava della polis erano da tempo vuoti riti ed esteriore cerimoniale.
Si possono ben tralasciare osse[...]

[...]nte opposta a quella di Isnardi Parente; un punto che, se nulla toglie ai meriti indiscutibili di quest'ottima antologia ragionata, è tuttavia capitale per l'apprezzamento dell'intera storia del pensiero politico greco. Intanto non viene mai esplicitamente rilevato dall'autrice, che il nucleo essenziale di quel pensiero risale a due soli secoli, il v e il iv (si è visto, per esempio, come da ultimo Polibio si richiami direttamente al costituzionalismo classico). Questo fatto permette di sottolinearne un altro che ancora l'autrice non pare cogliere in tutta la sua importanza: e cioè che quel patrimonio di idee è stato elaborato oltre che in un lasso di tempo cosí limitato, in uno spazio localmente ancora piú ristretto: ad Atene. Di ateniesi o di intellettuali strettamente legati ad Atene — il lettore deve esserne avvertito — sono i testi che vengono presentati. Ciò ha ovviamente il suo significato, e ci permette di arrivare al punto. L'autrice fa iniziare la storia del pensiero politico greco con l'affermarsi della polis aristocratica, « al[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine lismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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