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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 351

Brano: Liberalismo

nario, ne propugnava la conseguente attuazione. I giacobini della Rivoluzione francese possono essere considerati come gli antenati di questi democratici liberali che, per lottare contro le sopravvivenze feudali, cercano l'appoggio del proletariato accogliendone in cambio quelle rivendicazioni che risultano compatibili con lo sviluppo del sistema borghese: alla monarchia costituzionale i democratici liberali contrappongono quindi la repubblica democratica; al suffragio elargito sulla base del censo e della istruzione, il suffragio universale; alla proprietà terriera nobiliare, l’impresa ag[...]

[...]rck e strinsero una alleanza con gli Junker, feudatari militaristi delle regioni orientali. Perfino negli Stati Uniti, dopo la guerra civile del 186165, la borghesia liberale raggiunse un compromesso con gli schiavisti del Sud che permise a questi di eludere con vari espedienti l’emancipazione dei neri. In Italia i liberali, abbandonate le idee repubblicane, si orientarono verso la monarchia e poi verso il fascismo (v. Liberale, Partito).

Dal liberalismo al fascismo

Nella seconda metà del secolo scorso il liberalismo divenne nemico acerrimo della Prima Internazionale (v.), di cui temeva la forza ideale propulsiva per l’avanzata autonoma del proletariato (nel 1871

i liberali combatterono a fianco dei versagliesi contro la Comune di Parigi). Quindi, nella misura in cui il crescente sviluppo del movimento operaio esasperava le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, vennero abbandonate quelle libertà che, già rivendicate dal primo liberalismo, diventavano strumenti pericolosi nelle mani del proletariato.

D’altra parte, anche la fortuna del liberalismo come dottrina e movimento politico varia secondo i rapporti di produzione esistenti all’interno dei singoli paesi capitalistici e nelle relazioni internazionali.

In campo economico il liberalismo ebbe successo soltanto in Inghilterra e finché quella che era la maggiore potenza industriale, commerciale e coloniale del mondo ebbe interesse a difendere, con la dottrina liberista, il proprio privilegio di portare la concorrenza in casa altrui. Per contro i paesi industrialmente più deboli dovevano proteggere le proprie industrie dal pericolo che venissero soffocate nel nascere dalla concorrenza inglese. Quando poi, aN’interno dei singoli paesi capitalistici, grazie ai progressi della tecnica, cominciò a svilupparsi un processo di concentrazione industriale con relativa eliminazione dei pr[...]

[...]dustriali e finanzieri, gli ideali del liberismo lasciarono il posto ad altre correnti di pensiero più idonee ad alimentare il nazionalismo, il militarismo, l’espansionismo, il colonialismo, quindi a giustificare la conquista di nuovi mercati, nuove fonti di materie prime, nuovi popoli da sfruttare.

Le avventure africane dell’Italia furono sostenute e giustificate da « liberali » come Francesco Crispi e Giovanni Giolitti (v.) che, in nome del liberalismo, rivendicavano all’Italia il diritto alle sue conquiste coloniali. Nel 1881 l’occupazione della Tunisia da parte della Francia frustrò le aspirazioni della borghesia italiana che vi aveva già messo gli occhi. Considerata dai governi « liberali » del tempo come l’invasione di una proprietà riservata, la mossa francese servì da pretesto all’Italia per concludere un trattato di alleanza con i governi autocratici di Berlino e di Vienna. Il liberalismo arrivò così all’abbandono di quei principi di uguaglianza tra gli uomini e tra le nazioni, di libertà democratiche, di indipendenza na

zionale e di sovranità popolare dai quali era originariamente partito.

Tra i frutti dell’involuzione del liberalismo è da includere anche il fascismo (v.). Tutto il pensiero nazionalista e sciovinista è infatti una filiazione dell’idealismo liberale che già contiene la negazione dei principi emancipatori del liberalismo originale. In tal senso il fascismo non è altro che la negazione del liberalismo dialetticamente generata dal liberalismo stesso.

Non è casuale coincidenza il fatto che, al suo sorgere, il fascismo non suscitasse alcuna repulsione politica nel Partito liberale italiano, come è storicamente accertato. I maggiori esponenti liberali accolsero il movimento fascista, tanto le sue affermazioni di violenza quanto le sue giustificazioni patriottarde e demagogiche, senza mai trovarvi alcuna incompatibilità politica, morale e ideale con i loro principi. Che tale atteggiamento corrispondesse a una posizione tattica di attesa (far passare la bufera per tornare più tardi a prendere in mano la situazione) e che i liberali [...]

[...]rono i governi liberali ad armare le squadre fasciste, a fornire ufficiali per organizzarle e dirigerle, e a non impiegare la polizia, i carabinieri, le guardie regie e la magistratura per stroncarne le azioni criminali. Più tardi i liberali fornirono al primo governo Mussolini i loro ministri e, alla Camera, i loro voti. Nelle elezioni del 1924, essi fecero a gara per entrare nel « listone » fascista (v.).

Anche se non si può identificare il liberalismo con il fascismo, si ebbe tra i due movimenti una convergenza di fatto, palese od occulta secondo i tempi e le circostanze, sia nel portare Mussolini al potere sia negli anni del regime. Al fascismo il movimento liberale diede anche alcune grosse personalità, provenienti dall’ala monarchica e nazionalista, a cominciare dal filosofo Giovanni Gentile (v.). Di formazione liberale erano molti degli intellettuali assimilati dal fascismo, alcuni dei quali operanti attorno alla rivista « La Critica » di Benedetto Croce (v.), che tanta influenza ebbe negli anni Venti del secolo.

Il liberalismo di G[...]

[...]rtare Mussolini al potere sia negli anni del regime. Al fascismo il movimento liberale diede anche alcune grosse personalità, provenienti dall’ala monarchica e nazionalista, a cominciare dal filosofo Giovanni Gentile (v.). Di formazione liberale erano molti degli intellettuali assimilati dal fascismo, alcuni dei quali operanti attorno alla rivista « La Critica » di Benedetto Croce (v.), che tanta influenza ebbe negli anni Venti del secolo.

Il liberalismo di Gobetti

Il patrimonio progressista del liberalismo fu abbandonato o distolto dal movimento reale. Spettò a un giovane liberale di alta levatura morale e intellettuale cercare di

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 352

Brano: Liberalismo

salvare questo patrimonio, aggiornandolo e immergendolo nella realtà del mondo contemporaneo, cioè nell’epoca delle rivoluzioni proletarie. Spogliando il primo liberalismo del suo carattere contraddittorio, progressista verso il passato feudale ma reazionario nei confronti deH’emancipazione del proletariato, Piero Gobetti (v.) diede vita alla rivista « Rivoluzione liberale » per propugnare un liberalismo nuovo, mirante a uno stato in cui le masse dovevano essere le principali protagoniste. Il liberalismo risorgimentale, estraneo e ostile alle masse popolari, non aveva saputo fare che una « rivoluzione fallita ». I contrasti sociali e di classe non andavano negati, ma da essi occorreva trarre stimolo per arrivare a sintesi foriere di un continuo rinnovamento. Nella costruzione teorica gobettiana i grandi ideali libertari del liberalismo, spogliati dalle interpretazioni contingenti e strumentali, possono confluire con gli stessi ideali fondamentali del socialismo. Si tratta, in sostanza, della tesi secondo cui nessuna vera rivoluzione rinnega il passato progressista dell’umanità.

C.Gh.

Liberalismo economico

Liberismo. Dottrina favorevole a un’economia regolata, nel movimento delle merci e dei capitali, da quelle leggi della libera concorrenza quali furono descritte dai classici deH’economia politica borghese. L’economia e la società italiana non hanno mai conosciuto un regime di vero e proprio liberalismo economico. Ove si eccettui il primissimo periodo postunitario, quando nella borghesia italiana era prevalente l’interesse a creare le basi di una moderna industria capitalistica capace di trarre profitto dal grande mercato nazionale che andava nascendo a seguito della conseguita unità, e quindi particolarmente utile appariva propugnare un regime di liberi scambi con l’estero che assicurasse aH’Italia materie prime, macchine e soprattutto capitali a buone condizioni (quali potevano essere, allora, quelli offerti dalla concorrenza internazionale), i principi del liberalismo furono ben presto ab[...]

[...]esse a creare le basi di una moderna industria capitalistica capace di trarre profitto dal grande mercato nazionale che andava nascendo a seguito della conseguita unità, e quindi particolarmente utile appariva propugnare un regime di liberi scambi con l’estero che assicurasse aH’Italia materie prime, macchine e soprattutto capitali a buone condizioni (quali potevano essere, allora, quelli offerti dalla concorrenza internazionale), i principi del liberalismo furono ben presto abbandonati e nel corso dei successivi decenni sempre più contraddetti.

Protezionismo nel Regno d’Italia

In Italia, si cominciò nel 1878 ad adottare il primo dazio doganale

largamente protezionistico. Al dazio sul grano, introdotto al fine di favorire la rendita dei grandi proprietari terrieri e che fu alla base del compromesso storico tra la nascente borghesia industriale del Nord e i latifondisti del Sud, si accompagnarono i primi dazi protettivi a favore degli industriali tessili.

La tariffa doganale del 1887 segnò un ulteriore e decisivo passo in avanti sulla[...]

[...]ico di* Stato ante litteram, nato cioè e affermatosi con quelle caratteristiche tipiche di un sistema economico che, pur basandosi sui principi deH’economia del profitto, ha bisogno, per aumentare il proprio processo di accumulazione, di avere a diretta disposizione la Banca e lo Stato, deve cioè integrarsi direttamente con essi. Da qui si aveva inevitabilmente l’abbandono definitivo di fatto e poi, via via, anche nei princìpi, dei postulati del liberalismo economico.

Il protezionismo, sotto le crescenti spinte imperialistiche e militaristiche, venne eretto a sistema, sacrificando lo sviluppo delle industrie di esportazione, e l’agricoltura specializzata a favore della cerealicoltura.

Il processo di compenetrazione tra

grande capitale, alta Banca e Stato si accentuò nel corso della Prima guerra mondiale. Le esigenze del conflitto imposero l’abbandono delle ultime vestigia del sistema liberistico: sia pure a fini prevalentemente bellici si attuò un primo esperimento di economia « regolata », nel quale tutti i momenti essenziali del proce[...]

[...]a.

Lo sbocco fascista

Fu da questo clima di guerra, dalla acutissima crisi economica e sociale che ne derivò e dalla estrema tensione sopravvenuta nella lotta tra le classi che, negli anni del dopoguerra, in seno alle classi dominanti maturò e alla fine prevalse la persuasione che, come extrema ratio per la difesa degli interessi delle classi sfruttatrici, altro non restava che abbandonare, anche nelle istituzioni politiche, i princìpi del liberalismo da tempo ripudiati sul piano economico.

Si giunse così al fascismo (v.) che, sotto questo profilo, appare il « naturale » sbocco (naturale, ma non necessario e ineluttabile) delle caratteristiche di sviluppo del capitalismo italiano. Nato « tarato », con quelle particolari tare che lo condussero, sin dal suo sorgere, ad avere stretto bisogno del diretto aiuto dell’alta finanza e dello Stato, era naturale che il capitalismo italiano tendesse a impadronirsi totalmente dello Stato per servirsene non solo come spietato strumento di potere, svincolato da ogni parvenza di liberalismo, apertament[...]

[...]bocco (naturale, ma non necessario e ineluttabile) delle caratteristiche di sviluppo del capitalismo italiano. Nato « tarato », con quelle particolari tare che lo condussero, sin dal suo sorgere, ad avere stretto bisogno del diretto aiuto dell’alta finanza e dello Stato, era naturale che il capitalismo italiano tendesse a impadronirsi totalmente dello Stato per servirsene non solo come spietato strumento di potere, svincolato da ogni parvenza di liberalismo, apertamente tirannico e dittatoriale, ma anche come supremo regolatore degli interessi di classe del grande capitale.

Il corporativismo (v.), eretto a principio regolatore dell’economia in sostituzione del liberalismo economico, si palesò ben presto nulla più che una nuova finzione, una grossolana mistificazione, dietro cui non era difficile scorgere l’egemonia di quelle stesse forze del grande capitale che, dando a vedere di abiurare i principi di un liberalismo che non avevano mai professato, avevano in effetti gettato, fin dai primi anni del secolo, le basi di quel sistema economicosociale dal quale era scaturita la guerra e, con la guerra, il fascismo.

Si veda anche la voce Italia.

P.Gr.

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 83

Brano: [...]ciare alle proprie tendenze imperialistiche che sono in violento contrastp con i principi democratici, non riesce a raggiungere neppure la grossolana coerenza dei suoi alleati, e si estenua in uno sforzo continuo per rappezzare il mantello multicolore delle sue idee ».

Primo dopoguerra

Al termine del conflitto mondiale De Ruggiero fu il primo, tra gli idealisti della cerchia di Croce e Gentile, a schierarsi su posizioni di rinnovamento del liberalismo e di decisa opposizione alle nuove tendenze autoritarie che porteranno al fascismo. Mentre simpatizzava per l’esperimento radicale di Francesco Saverio Nitti, collaborava alle riviste di Piero Gobetti, prima a Energie Nuove e in seguito a Rivoluzione liberale. E mentre, dei suoi maestri, Croce guardava con simpatia al nascente movimento fascista, e Gentile entrava nel primo gabinetto Mussolini come ministro della Pubblica Istruzione, preparandosi a diventare il filosofo ufficiale del regime, De Ruggiero sviluppò la critica dei « presupposti economici del liberalesimo », denunciò la mancanza d[...]

[...]le riviste di Piero Gobetti, prima a Energie Nuove e in seguito a Rivoluzione liberale. E mentre, dei suoi maestri, Croce guardava con simpatia al nascente movimento fascista, e Gentile entrava nel primo gabinetto Mussolini come ministro della Pubblica Istruzione, preparandosi a diventare il filosofo ufficiale del regime, De Ruggiero sviluppò la critica dei « presupposti economici del liberalesimo », denunciò la mancanza di un rapporto reale tra liberalismo è masse popolari, definì « pseudoliberalismo, forcaiolo » quello della tradizione italiana, sia di Salandra che di Giovanni Giolitti.

Più tardi, alla fine del 1924, la battaglia antifascista di De Ruggiero si spostò sulle posizioni più conservatrici e moderate dell'» Unione Nazionale » promossa da Giovanni Amendola (v.) ; si fece così definitiva la sua rottura, anche filosofica, col Gentile e si rafforzarono invece i rapporti col Croce.

Contro il fascismo

Nel 1925, all’indomani dell'instaurazione del regime fascista, uscì la sua Storia del liberalismo europeo, la cui ristampa, nel 1941, sarebbe costata a De Ruggiero la perdita [...]

[...]ra che di Giovanni Giolitti.

Più tardi, alla fine del 1924, la battaglia antifascista di De Ruggiero si spostò sulle posizioni più conservatrici e moderate dell'» Unione Nazionale » promossa da Giovanni Amendola (v.) ; si fece così definitiva la sua rottura, anche filosofica, col Gentile e si rafforzarono invece i rapporti col Croce.

Contro il fascismo

Nel 1925, all’indomani dell'instaurazione del regime fascista, uscì la sua Storia del liberalismo europeo, la cui ristampa, nel 1941, sarebbe costata a De Ruggiero la perdita della cattedra universitaria. Negli

anni della dittatura fascista, quell’opera avrebbe costituito uno dei punti fermi della « resistenza » liberale e uno dei testi su cui si sarebbe prodotta la presa di coscienza antifascista delle nuove generazioni.

Quest’importante opera di De Ruggiero si conclude con la constatazione della crisi del liberalismo e con una diagnosi che sembra andare al di là della nota interpretazione crociana del fascismo come « parentesi patologica » nella storia italiana ed europea. La crisi coincide, per I*Autore, con la perdita di quell'attitudine « universalistica » della borghesia che aveva fatto dire a Siéyès: « Il terzo stato è tutta la nazione « Così — scrive De Ruggiero — [la borghesia] ha subito non soltanto l’iniziativa, ma anche la mentalità degli avversari: essa ha imparato a valutare lo Stato come un terreno di conquista. Il governo come un comitato d'affari della classe al potere, l'ordine giuridico c[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 350

Brano: [...]comunisti e socialisti, i liberali rientrarono al governo nel quarto ministero costituito dallo statista trentino nel maggio 1947; ministero che, si può dire, sancì la definitiva rottura dell’unità dei partiti di massa che avevano collaborato col C.L.N. e inaugurò la « svolta » verso la strategia del « centrismo », con il sostegno del P.L.I. e dell’ala scissionista del P.S.I.U.P. organizzatasi in partito socialdemocratico (P.S.L.I.).

M.Gi.

Liberalismo

Dottrina politica borghese, teoricamente fondata sul preminente valore della libertà individuale nei rapporti tra il cittadino e lo Stato, quindi contraria ad ogni forma di governo autoritario; in realtà essa esprime sul terreno dei rapporti politici il principio del liberalismo economico (v.) per il libero scambio delle merci e contro ogni ingerenza dello Stato nell’economia. Particolarmente diffuso durante il secolo XIX e al principio del XX, il liberalismo precedette e accompagnò la grande Rivoluzione francese. Ispirato dalle teorie di Locke, Voltaire, Montesquieu e dei fisiocratici, combattè contro le strutture feudali che escludevano o limitavano i diritti della borghesia: contro il dispotismo e l’assolutismo monarchico, il liberalismo propugnava lo Stato costituzionale retto da un sistema parlamentare, e una revisione del diritto per far corrispondere lo Stato alle esigenze di sviluppo della società borghese.

Moderati e giacobini

Rivoluzionari nei programmi ma non altrettanto nei metodi di attuazione, pur di realizzare certe riforme costituzionali i movimenti liberali ricorsero frequentemente a compromessi con le vecchie caste dominanti, sconfessando le correnti popolari più avanzate, per cui lo stesso luminoso esempio della Rivoluzione francese del 1789 rimase un fatto storicamente isolato. Il passaggio del liberali[...]

[...] di sviluppo della società borghese.

Moderati e giacobini

Rivoluzionari nei programmi ma non altrettanto nei metodi di attuazione, pur di realizzare certe riforme costituzionali i movimenti liberali ricorsero frequentemente a compromessi con le vecchie caste dominanti, sconfessando le correnti popolari più avanzate, per cui lo stesso luminoso esempio della Rivoluzione francese del 1789 rimase un fatto storicamente isolato. Il passaggio del liberalismo dalla fase nascente a quella matura, ossia dalle posizioni rivoluzionarie a quelle moderate, coincise con lo sviluppo di un movimento più consapevole e radicale delle masse lavoratrici sfruttate.

Contrapposta all’involuzione moderata e conservatrice venne a formarsi una corrente democraticoborghese rivoluzionaria che, riprendendo i motivi del liberalismo origi

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 617

Brano: [...]t, “La Rebelión de las masas”, p. 121. Cfr. “Razón vital y dialèttica en Ortega”, Madrid, 1972, p. 262). Si tratta di un testo evidentemente ambiguo, che però bene esprime l’atteggiamento di numerosi esponenti della élite intellettuale e che può dar ragione a quegli autori che individuano una componente fascista nel pensiero di Ortega y Gasset.

Su quest’ultimo punto è accettabile la tesi di J. Bayon, secondo il quale la questione derivava dal liberalismo di Ortega, che lo avrebbe messo in conflitto con l’intero pensiero fascista spagnolo, il quale identificava nel liberalismo una delle sue bestie nere. Il n. 12 della pubblicazione fascista “Haz” del 5.12.1935 contiene un articolo di José Antonio con il sottotitolo “Omaggio e rimprovero a D. José Ortega y Gasset”, nel quale, alludendo a un articolo di Ortega, critico nei confronti della repubblica (« No es esto, no es esto »), afferma: « I capi non hanno diritto alla disillusione » (J.A. Primo de Rivera, “Obras completas”, p. 1162).

Ramiro Ledesma, in un testo molto rappresentativo del delirio e della confusione concettuale fascista dirà da parte sua: « Di fronte agli intellettuali siamo imperiali, di fronte ai [...]

[...]afferma: « I capi non hanno diritto alla disillusione » (J.A. Primo de Rivera, “Obras completas”, p. 1162).

Ramiro Ledesma, in un testo molto rappresentativo del delirio e della confusione concettuale fascista dirà da parte sua: « Di fronte agli intellettuali siamo imperiali, di fronte ai liberali siamo attuali. In alto i valori ispanici! » (cfr. P. Lain Entralgo, “Los valores morales del nacional sindicalismo”, Madrid, 1941).

L'attacco al liberalismo sarà anche uno dei temi ricorrenti di Francisco Franco: « Il maggiore errore del liberalismo è la sua negazione di ogni categoria permanente di ra

gione [...] e poiché la manifestazione specifica e più sostanziale dello Stato è la positività deH’ordine giuridico, quest’ultimo, quando non discende da un sistema di princìpi [...] riconosciuti come superiori e anteposti allo Stato medesimo, sfocia in un onnipotente volontarismo giuridico, essendo il suo organo, la cosiddetta “maggioranza”, puramente numerica o inorganicamente manifestata » (Discorso del 2.10.1961. Cfr. A. del Rio Cisneros, “Pensamiento polìtico de Franco”, Madrid, 1975, voi. I, p. 90).

Un’altra delle caratteristic[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 277

Brano: [...]eparazione e di estinzione, con una certa gradualità. Fino a che punto si potesse parlare di « prefascismo » (e quindi virtualmente di un « postfascismo »), è una questione che è stata posta appunto nel dibattito politicoideologico (appena abbozzato, ma sintomatico e non più ripreso organicamente) cui parteciparono alla Consulta Nazionale (v.)t nel settembre del 1945, Ferruccio Parri (v.) e Benedetto Croce (v.), cioè gli uomini più sensibili del liberalismo rinnovatore e del liberalismo conservatore, quando oggettivamente l’antifascismo militante si scontrò col problema della trasformazione della società nazionale su un terreno non solo istituzionale, ma anche strutturale. La stessa questione d’altra parte è sorta con l’emersione di un nuovo fascismo erede del vecchio (neofascismo) e con l’attua

zione di una larga e profonda manovra trasformistica della base classista che aveva appoggiato la dittatura, per ereditarne il potere nei limiti più convenienti di una democrazia rappresentativa rigidamente garantita o, meglio ancora, di un « liberalismo protetto » (neoliberalismo[...]

[...] società nazionale su un terreno non solo istituzionale, ma anche strutturale. La stessa questione d’altra parte è sorta con l’emersione di un nuovo fascismo erede del vecchio (neofascismo) e con l’attua

zione di una larga e profonda manovra trasformistica della base classista che aveva appoggiato la dittatura, per ereditarne il potere nei limiti più convenienti di una democrazia rappresentativa rigidamente garantita o, meglio ancora, di un « liberalismo protetto » (neoliberalismo di Wilhelm Roepke).

Le scuole liberali e democratiche moderne, antifasciste e postfasciste, si sono sforzate di relegare nel passato, come una triste parentesi, il fastidioso e corpulento ricordo del fascismo, chiudendo in limiti piuttosto ristretti ogni dibattito più approfondito sulla sua interpretazione strutturale (problema delle radici sociali ed economiche), sul suo ruolo storico e sulle sue manifestazioni derivate (autoritarismo, razzismo e simili). Le scuole socialistiche e marxiste più impegnate, dopo aver dato un decisivo contributo alla riduzione dell’area del fascismo (non del [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 514

Brano: [...]itari, accusandoli di essere stati gli « istigatori morali » dell’attentato: Ranuccio Bianchi Bandinelli (v.), Renato Biasutti, Francesco Calasso, Ernesto Codignola (padre di Tristano), Enrico Greppi (i due ultimi riuscirono a fuggire prima della cattura).

I primi tre furono arrestati e rilasciati dopo una ventina di giorni.

Gentile nei giudizi di Gobetti e Gramsci.

Nel suo volume La Rivoluzione Liberale, Piero Gobetti, commentando il « liberalismo » di Gentile, nel 1925 scrisse: « Il Gentile alla sua volta confondeva liberalismo con arte di governo. Privo del senso delle distinzioni e delle lotte pratiche, egli si riduceva a un concetto del liberalismo come risultante di forze opposte, come conservazione che è anche innovazione, ossia al vecchio pensiero moderato che non vuole andare né a destra né a sinistra e pretende di mascherare i propri interessi conservatori gabellandoli per interessi generali. Del resto in tutta l'equivoca concezione del Gentile, che vanamente si appella a Mazzini e à Cavour, si scorge l'assenza più desolante di ogni generosa passione per la libertà. Per il Gentile la politica liberale si fa dall'alto: solo il ministro può chiamarsi liberale. Un partito di governo inteso a questa funzione di moderato illuminismo con[...]

[...]o inteso a questa funzione di moderato illuminismo conservatore è evidentemente inconcepibile, sicché il problema che il Gentile voleva risolvere viene da lui stesso negato nei suoi termini. L'esemplificazione politica delle tesi gentiliane, offerta dal ministro della Pubblica Istruzione di Mussolini, conferma il significato reazionario che Missiroli scorse nelle prime enunciazioni: la giustificazione e l'interpretazione date dal Gentile del suo liberalismo coincidono con la morale della tirannide e il problema della libertà viene dimenticato, per un artificio dialettico, nella preoccupazione, coltivata da tutti i despoti, dell’autorità ».

Riguardo alla filosofia e alla concezione pedagogica del Gentile, Antonio Gramsci dal canto suo affermava: " Lo storicismo del Labriola (Antonio) e del Gentile è di un genere molto scadente: è lo storicismo dei giuristi per i quali il knut non è un knut quando è un knut « storico ». Si tratta d'altronde di un modo di pensare molto nebuloso e confuso. Che nelle scuole elementari sia necessaria una esposizion[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 354

Brano: [...]Benedetto Croce che ne mise sotto accusa, dal punto di vista dell’idea liberale, le confusioni e gli ibridismi e se ne distaccò e li respinse.

In effetti, come si vide poi, in seguito alla confluenza nel Partito d’Azione e al processo dissolutivo dei presupposti ideologici del movimento (precipitato rapidamente fra

il 1945 e il 1947), si era trattato di un tentativo di aprire e sperimentare in sede politica una « terza via » fra marxismo e liberalismo classico (cioè economicamente agnostico). Anche considerandolo sul suo terreno specifico, il liberalsocialismo fu insomma assai più ideologico che fondatamente teorico, e

il tentativo di Calogero di rilanciare (nel novembre del 1944 a Roma) le formule felicemente escogitate da lui e da Capitini negli anni precedenti (per esempio: « partito d'azio

ne per la repubblica liberalsocialista » o anche « internazionale liberalsocialista degli individui ») non poteva venir meno, una volta usciti fuori da una cospirazione tutta intellettuale e posti di fronte a una lotta politica resa effettuale [...]

[...]idui ») non poteva venir meno, una volta usciti fuori da una cospirazione tutta intellettuale e posti di fronte a una lotta politica resa effettuale dalla discesa in campo nella società nazionale, delle contrapposte spinte di classe.

Del resto, fra il 1943 e il 1944 il terreno del dibattito politico si era già venuto modificando e appariva sempre più evidente il rischio di un progressivo assorbimento delle migliori intenzioni di emarginare il liberalismo, di dare vita a una nuova democrazia a contenuto sociale (da qui una disputa anche terminologica sulle varie « locuzioni binarie », per dirla con Calogero) in una conciliazione o transizione pratica coincidente con l'obiettivo, consapevole

o inconsapevole, di una leadership intellettuale e di ceto medio.

In realtà, anche dal punto di vista ideologico, il liberalsocialismo fu il riflesso della crisi delle scuole idealistiche, iniziatasi per più vie negli anni tra il 1937 e il 1939, tanto sul terreno filosofico che su quello politico. Non si può tuttavia negare, ed anzi si deve ammettere [...]

[...]ubblica italiana, lavorando a dirimere le antitesi fra libertà e giustizia, fra « religione della libertà » e « libertà dal bisogno »: da qui la concezione di un’economia mista, a due settori, di un rapporto fra le autonomie e il piano, di un organamento delle garanzie democratiche in una società animata dallo spirito del socialismo.

A parte il tentativo di superare o conciliare ogni distinzione fra le scuole solo parzialmente coincidenti del liberalismo e del socialismo, molti altri punti più propriamente politici dei programmi liberalsocialisti non potevano avere presa alcuna sulla realtà.

Collocandosi aH'interno dell'antifascismo, i liberalsocialisti, con le loro varie componenti, erano intimamente convinti di « aver fatto tesoro del meglio deH'esperienza politica dei grandi partiti tradizionali » e, cadendo in un tipico idealismo intellettualistico, pensavano di poterne superare le divisioni cambiandone

o ricambiandone l'anima. Ma, in queste sue vedute, la nuova scuola

Guido Calogero nel dopoguerra

liberalsocialista rifletteva[...]

[...]iste e posizioni democratiche, così come si avvertiva l'isolamento degli intellettuali dai ceti subalterni, ribadito dall'organizzazione corporativa del regime fascista e inasprito dalle esigenze della cospirazione. L'idea del « fronte della libertà » (che nel Manifesto del

1940 coronava un travaglio durato già alcuni anni e nel Manifesto del

1941 veniva anteposta a una più immediata iniziativa politica) stava infatti a mezza strada fra il liberalismo crociano e un tentativo metapolitico di liberazione dal fascismo su un piano globale, insieme filosofico e politico, economico e morale.

Attività

È caratteristico che il Movimento liberalsocialista, anche quando si definì come tale, non ebbe suoi organi di stampa e agì soprattutto attraverso adunanze e corrispondenze, discutendo e diffondendo i programmi di cui si è fatto cenno. La sua rilevanza storica più cospicua emerse pertanto, al di là della più immediata incidenza nel campo proprio di « Giustizia e Libertà » e del futuro Partito d’Azione (del resto, diversi fra i primi aderenti c[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 345

Brano: [...]e darsi; ma io mi guardo bene dal dimenticare che i liberali di destra hanno tenuto un contegno di perfetta e amichevole lealtà verso i fascisti, tanto da meritare l'appellativo di « fascisti onorari », e hanno quindi diritto da parte dei fascisti alla più cordiale reciprocità dì trattamento. 1 voti recentemente emessi a favore del Governo da importanti sodalizi liberali a Venezia, Milano, a Roma stessa, dimostrano che una frazione imponente del liberalismo non intende far comunella con quelle opposizioni che vanno da Torrigiani a don Sturzo attraverso Modigliani ” ». (da II Gran Consiglio nei primi cinque anni dell'Era Fascista, a cura del P.N.F., Libreria del Littorio, 1927).

In questo quadro fallimentare, che socialmente ricomprende l’intero schieramento liberale, a un'analisi più attenta e comprensiva è dato distinguere più sofferti e lucidi atteggiamenti particolari di questa o quella singola personalità; ma ciò non toglie che sul terreno politico effettuale, e quindi sul terreno storico, tutto ciò stia all’origine della crisi e del tram[...]

[...]oteca negativa sugli sviluppi di tutto il successivo periodo fascista.

Di una « opposizione liberale » durante la pienezza della dittatura, non è quindi dato di parlare, né all'interno né tantomeno all’estero, nonostante la resipisóenza finale di Giolitti, o il nuovo atteggiamento espresso da Croce nel « contromanifesto » dell’1.5.1925, in risposta al manifesto degli intellettuali e della cultura fascista di Giovanni Gentile (v.) che pure dal liberalismo proveniva.

La classe politica prefascista si andò così gradualmente estinguendo, anche perché nel 1924 le più illustri personalità del mondo liberale

italiano, ex ministri e presidenti liberali del Consiglio, avevano partecipato in comune col nazionalfascismo alle liste e alla battaglia elettorale (con legge maggioritaria) che doveva schiacciare tutte le opposizioni democratiche, cattoliche, socialiste e comuniste, riducendo drasticamente i limiti della lotta politica legale.

In effetti la élite liberale era scomparsa già prima, non avendo presentato alcuna soluzione programmatica or[...]

[...]re il loro dovere per la patria; ma con ciò continuava a sussistere il vecchio equivoco e si scartava per l’idea liberale ogni diretto confronto e cimento d’azione. Nell’isolamento della dittatura il Croce aveva elaborato una sua abbastanza equivoca « religione della libertà », mentre Luigi Einaudi (v.) aveva insistito sulla tematica della critica liberista; fra l’economista e il filosofo si era poi accesa una polemica accademica sui limiti del liberalismo e del liberismo, che aveva condotto ad una distinzione metodologica dell'uno dall’altro. Ma era ancora poca cosa per trarne un fondamento programmatico di rinnovata iniziativa politica.

Il Movimento liberale (194245)

Sorse così, sotto lo stimolo della crisi imminente del fascismo e della sua politica di guerra a fianco della Germania nazista e nel confronto con i risorgenti gruppi e partiti antifascisti (fra cui il liberalsocialismo (v.) e il Partito d’Azione, socialmente contigui anche se di indirizzo radicaleggiante), quel Movimento liberale che — fra il 1942 e il 1943 — attese preval[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 346

Brano: [...] Partito democratico italiano (v.), del tutto estraneo e anzi avverso al C.L.N., con un programma pregiudizialmente e accesamente monarchico. A questi fermenti e pungoli e ritorni centrifughi esterni, corrispondevano aH’interno del Partito liberale l’assillo e l’aculeo di una definizione politica puntuale un po' su tutte le questioni, ma specialmente su quella della monarchia.

Secondo dopoguerra

Anche nel risorto Partito liberale (come nel liberalismo prefascista) e per quanto le sue forze organizzative di base fossero esigue, convivevano ormai le due anime, difficilmente mediate dall'egemonia crociana, della tradizione e della gioventù; e quella del Sud, più tenacemente monarchica e ancorata, specie dopo la fusione con le forze clientelari ed elettorali guidate da Raffaele De Caro (v.), a istanze di conservazione sociale.

Si venne così a una crisi (del resto anticipata dalle mene condotte, unitamente alla Democrazia cristiana, per la smobilitazione dei C.L.N.), e ciò in concomitanza con le nuove alleanze, piuttosto eterogenee, combinat[...]

[...]nlio Brosio (v.) e altri, proprio sul motivo delle scelte istituzionali; e fu messa in minoranza da un ordine del giorno monarchico, presentato da Edgardo Sogno (v. Franchi, Organizzazione) al congresso di Roma del 29.43.5.1946.

Anche se il P.L.I. del 194243 non si richiamava affatto al discusso partito sorto nel 1922, riemergeva tut

tavia nel suo seno la vocazione conservatrice comune a quasi tutte le tendenze e ai vari raggruppamenti del liberalismo prefascista: si concludeva così, con un sostanziale e contrastato ritorno alla tradizione, a poche settimane dal referendum istituzionale del 2.6.1946, l’incontro ultimo con la Resistenza (quasi tutta repubblicana e socialmente avanzata) e con l’antifascismo militante, e l’opera di rianimazione e di risveglio tentata da Benedetto Croce entrava virtualmente in crisi, almeno sul terreno politico e organizzativo.

Bibliografia: Per il partito liberale prefascista: Paolo Alatri, Le origini del fascismo (Roma, 1955); Antonio Salandra, Memorie politiche 19161925 (Milano, 1951); Marcello Soleri, M[...]

[...]diere (Milano, 1960).

Fondamentale: Ercole Camurani, Contributo per una bibliografia sul Partito Liberale Italiano nella Resistenza, in Resistenza in Toscana (Firenze, 1968) pp. 4361.

E.Sa.

I liberali nella Resistenza

II Partito liberale italiano sorse dopo l’8.9.1943, dalla fusione dei Gruppi di Ricostruzione liberale costituitisi nella primavera del 1943, soprattutto in alcuni grandi centri italiani, attorno a esponenti del vecchio liberalismo prefascista e della cultura più pronunziatamente egemonizzata da B. Croce e dai suoi indirizzi di pensiero politico. Salvo l’enuclearsi di ristretti circoli periferici, ispirati a più o meno vaghe premesse liberali e di cui non si ha notizia certa per quel periodo, la ricostituzione del movimento liberale come tale si operò infatti essenzialmente: a Napoli, attorno allo stesso Croce; a Roma, sotto la egida dell’ex socialdemocratico Ivanoe Bonomi, rifluito da lungo tempo su posizioni nettamente conservatrici, vicino alla Corona e rimasto per tutto il ventennio fascista pres


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine liberalismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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