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Il segmento testuale imperialismo è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1449Analitici , di cui in selezione 51 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [Gli interventi] Roberto Battaglia in Studi gramsciani

Brano: Roberto Battaglia

Paimiro Togliatti ha formulato un’osservazione che mi sembra di grande interesse per lo studio del pensiero di Gramsci. Mi riferisco all'osservazione con cui egli ha accennato alla novità del pensiero di Gramsci rispetto a quello di Antonio Labriola.

Cito dalla relazione di Togliatti: «La guida delle conclusioni leniniste sulla natura dteU’imperialismo fa superare a Gramsci il punto morto cui era giunta all’inizio del secolo l’indagine politica di A. Labriola e alla quale aveva corrisposto in sostanza la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall’estremismo ». Togliatti ha cosi richiamato la nostra attenzione non solo sulla linea di displuvio che corre tra il pensiero di Labriola e quello di Gramsci, ma sulla nuova prospettiva in base alla quale 'Gramsci va elaborando i suoi concetti, la prospettiva dell’età dell’imperialismo.

Affrontare quest’argomento, cioè la concezione di Gramsci dell’età de[...]

[...]del secolo l’indagine politica di A. Labriola e alla quale aveva corrisposto in sostanza la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall’estremismo ». Togliatti ha cosi richiamato la nostra attenzione non solo sulla linea di displuvio che corre tra il pensiero di Labriola e quello di Gramsci, ma sulla nuova prospettiva in base alla quale 'Gramsci va elaborando i suoi concetti, la prospettiva dell’età dell’imperialismo.

Affrontare quest’argomento, cioè la concezione di Gramsci dell’età dell’imperialismo, è evidentemente un tema assai vasto e impegnativo ed

10 qui non posso che limitarmi ad enunciarne qualche aspetto più evidente. Mi sembra che sia necessario innanzi tutto chiarire quale sia stato

11 « punto morto » cui arrivò il Labriola; e di qui partire per determinare il pensiero di Gramsci, per comprendere il suo metodo di formazione, il modo con cui egli — diciamo cosi — assimila la concezione leninista.

Il pensiero del Labriola sulletà dell’imperialismo, fino ad oggi è stato poco studiato ed è particolarmente noto attraverso l'interpretazione che ne ha dato Benedetto Croce. Qu[...]

[...]mente un tema assai vasto e impegnativo ed

10 qui non posso che limitarmi ad enunciarne qualche aspetto più evidente. Mi sembra che sia necessario innanzi tutto chiarire quale sia stato

11 « punto morto » cui arrivò il Labriola; e di qui partire per determinare il pensiero di Gramsci, per comprendere il suo metodo di formazione, il modo con cui egli — diciamo cosi — assimila la concezione leninista.

Il pensiero del Labriola sulletà dell’imperialismo, fino ad oggi è stato poco studiato ed è particolarmente noto attraverso l'interpretazione che ne ha dato Benedetto Croce. Quest’ultimo ha rivolto infatti un elogio di « fedeltà al marxismo » al Labriola, riferendosi agli atteggiamenti che526

Gli interventi

questi avrebbe assunto sulla questione coloniale: «Labriola — dice il Croce — guardò con simpatia all’impresa d’Africa e si manifestò favorevole a'U’impresa di Tripoli, fedele anche in ciò al marxismo che non concepisce un serio movimento proletario se non preceduto da un serio e pieno svolgimento della borghesia ».

Penso che è s[...]

[...]niale. Particolarmente su quest’ultima richiamò pertanto l’attenzione del proletariato, invitandolo a intervenire, ad inserirsi con la propria azione politica nel campo dell’espansione borghese. Certamente, dal punto di vista tattico il Labriola sbagliò nell’indicare il modo di questo inserimento. Ed il suo errore non fu solo contingente, ma ha la propria indubbia origine nella concezione ancora vaga e confusa ch’egli aveva della nuova epoca deirimperialismo. Ecco come, negli ultimi suoi scritti e particolamence nei frammenti delie lezioni universitarie del 190102, egli formula a questo proposito il suo pensiero : « Io non saprei ridurre in poche parole la persuasione in che sono venuto nei miei recenti studi, del come le presenti condizioni d’interdipendenza economica interoceanica manterranno per un pezzo la vita delle nazioni civili nei rapporti d’una sempre più acuita concorrenza, il che non toglie che il socialismo sia già una gran forza e che i partiti operai siano un potente contrappeso alle varie borghesie ». Ed ancora : « La concorrenza [...]

[...]a rispecchiare le sue incertezze di fondo.

Ora, se questo è il punto morto cui è giunto il pensiero del Labriola, non dobbiamo tuttavia credere che Gramsci abbia potuto superarlo come per una improvvisa illuminazione, ma dobbiamo invece studiare con attenzione nell’opera di Gramsci il lento e spesso difficile processo di formazione del suo pensiero.

Vero è che Gramsci non ci ha lasciato nessuna pagina in cui la sua concezione dell’età dell’imperialismo sia espressa compiutamente, abbia il risalto e la forza sintetica che assumono nei suoi scritti altri argomenti decisivi come la concezione del partito e dello Stato. Ma proprio perciò dobbiamo respingere la tentazione di ricostruire questa pagina che manca nella sua opera attraverso una serie di citazioni, di frammenti, come se si trattasse di ricomporre le tessere di un mosaico. Questo mosaico risulterebbe certamente inerte né ci permetterebbe di capire il pensiero di Gramsci nel suo effettivo sviluppo. Del resto è questo un metodo da respingere, come da respingere l’idea che si debba ricer[...]

[...]rienze con la loro elaborazione teorica, con l’assimilazioine dei principi essenziali del leninismo.

A me sembra che nell’epoca della prima guerra mondiale Gramsci non avesse ancora una chiara concezione ddl’età dell’imperiaM’smò, Non è solo un problema di maturità politica — egli aveva ventitré anni allo scoppio del conflitto — ma direi che vi era per chiunque la difficoltà obiettiva di constatare in Italia le caratteristiche essenziali dell’imperialismo quali furono enunciate da Lenin. L’Italia nel grande conflitto internazionale è in fondo un campo periferico in cui non è sempre facile cogliere il centro della lotta: nel nostro Paese gli obiettivi imperialistici della borghesia, come l’espansione nei Balcani, s’intrecciano e si urtano con gli obiettivi democratici dell’irredentismo.

La vera, la decisiva esperienza di Gramsci si verifica piuttosto nelrimmediato dopoguerra e si dispiega pienamente nell’opera di direzione dell’Ordine Nuovo. Quando si parla di questa esperienza in genere ci siRoberto Battaglia

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richiama soltanto ai[...]

[...]ispiega pienamente nell’opera di direzione dell’Ordine Nuovo. Quando si parla di questa esperienza in genere ci siRoberto Battaglia

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richiama soltanto ai suoi elementi interni, cioè al concetto dei consigli di fabbrica, ai rapporti fra sindacato e partito, ma si dimentica troppo spesso l’avversario contro cui si muove Gramsci. L'avversario è la FIAT, cioè il primo grande monopolio, ed egli acquista un’effettiva concezione dell’età dell’imperialismo lottando e penetrando nella lotta le caratteristiche del 'nemico di classe. Si porrebbe fare molte citazioni a questo proposito. Mi sembra che una delle più interessanti sia quella relativa al modo con cui Gramsci si accorge come nella nuova età il capitale finanziario si stia distaccando dalla produzione, cioè come si renda conto di uno degli elementi essenziali dell’imperialismo e cioè del prevalere del capitale finanziario.

Egli ci dice a proposito della FIAT : « SÌ tratta di un gigantesco apparecchio industriale che corrisponde a un piccolo Stato capitalista, che è un piccolo Stato capitalista e imperialista perché detta legge all’industria meccanica torinese, perché tende con la sua produttività eccezionale, a prostrare e assorbirle tutti i concorrenti: un piccolo Stato assoluto che ha un autocrate: il' comm. Giovanni Agnelli, il più audace e tenace dei capitani d'industria italiani, un 66 eroe ” del capitalismo moderno. ÌLI capitalismo annienta i suoi 66 eroi [...]

[...]a FIAT siano tutte esatte e se la sua analisi si è compiutamente avverata; interessa piuttosto che egli colga cosi chiaramente la sostanza del processo capitalistico, cioè il fatto che nella nuova età è finita l’epoca dei capitani d’industria, l’epoca del capitalismo industriale produttivo e s’inizia quella del dominio dell’alta banca, delloligarchia finanziaria.

Cosi il modo con cui egli si avvicina a un’altra caratteristica fondamentale deirimperialismo, al problema dell’espansione coloniale, all’esigenza assoluta che il capitalismo ha in questa fase di lottare per la spartizione dei mercati nel mondo, non è un modo soltanto teorico; ma nasce da un’esperienza diretta che è la vittoriosa lotta condotta dal proletariato contro l’impresa d’Albania. Io non so se Gramsci avesse già530

Gli interventi

letto in quell’epoca il saggio famoso di Lenin sull’imperialismo, ma certo l’impostazione che egli dà alla questione coloniale e il nesso ch’egli stabilisce tra questa questione e la rivoluzione proletaria sono tipicamente leninisti. Egli scrive : « Le popolazioni colonali diventano cosi il piedistallo di tutto l’apparecchio di sfruttamento capitalistico; esse devono dare 'tutta la loro vita per Ilo sviluppo della civiltà industriale senza ottenere alcun beneficio, ecc. », poi continua : « Le imsurrezioni che si verificano tra le popolazioni soggette al regime coloniale consentono quindi di stabilire anche, con sempre maggiore precisione, la portata storic[...]

[...]tiche del proletariato internazionale che lotta per la sua emancipazione, consapevole dell’alta missione storica che gl’incombe d’attuare... Il movimento liberatore del popolo lavoratore russo inizia una rivoluzione assoluta e completa che trasformerà radicalmente la configurazione sociale di tutto il mondo».

È evidente che già in queste fomulaziomi del ’20, Gramsci è arrivato a un punto assai avanzato nel giudizio sui rapporti tra l’età dell imperialismo e la rivoluzione proletaria.

L’ultimo suo scritto destinato alla pubblicazione, il saggio sulla" Quistione meridionale, come ha detto giustamente Togliatti, dev’essere interpretato come uno scritto in cui i principi del leninismo hanno contribuito decisamente alla rottura degli schemi salveminiani. E di questo scritto si può sottolineare ancora un altro aspetto: esso spazzava via decisamente le vecchie concezioni borghesi che ponevano la soluzione della questione meridionale nell’espansione coloniale e che avevano teorizzato sulla esistenza dun imperialismo italiano di natura affatto speci[...]

[...]tione meridionale, come ha detto giustamente Togliatti, dev’essere interpretato come uno scritto in cui i principi del leninismo hanno contribuito decisamente alla rottura degli schemi salveminiani. E di questo scritto si può sottolineare ancora un altro aspetto: esso spazzava via decisamente le vecchie concezioni borghesi che ponevano la soluzione della questione meridionale nell’espansione coloniale e che avevano teorizzato sulla esistenza dun imperialismo italiano di natura affatto speciale, il cosidetto « imperialismo democratico ». (Ricordiamo a questo proposito il saggio del Michels e la violenta risposta che ebbe occasione di dargli sul Communist Lenin.) Gramsci nemmeno ricorda o pone in discussione queste teorie, tanto esse gli sembrano ormai superate dalla storia e dalla maturità politica del proletariato. Se noi pensiamo che il saggio del Michels è anteriore di appena nove anni allo scritto di Gramsci sulla Quistione meridionale ci rendiamo conto di come la concezione dell’« imperialismo democratico » sia stata rapidamente e definitivamente liquidata dall’impetuosa ascesa del proletariato nel dopogue[...]

[...]iamo a questo proposito il saggio del Michels e la violenta risposta che ebbe occasione di dargli sul Communist Lenin.) Gramsci nemmeno ricorda o pone in discussione queste teorie, tanto esse gli sembrano ormai superate dalla storia e dalla maturità politica del proletariato. Se noi pensiamo che il saggio del Michels è anteriore di appena nove anni allo scritto di Gramsci sulla Quistione meridionale ci rendiamo conto di come la concezione dell’« imperialismo democratico » sia stata rapidamente e definitivamente liquidata dall’impetuosa ascesa del proletariato nel dopoguerra (anche se posteriormente la demagogia fascista compirà ogni sforzo per riesumarla dalle sue ceneri).

Nei Quaderni del carcere noi troviamo riflessa tutta l’esperienza politica di Gramsci, troviamo quasi il bilancio di quanto egli ha opeRoberto Battaglia

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rato quale dirigente della classe operaia italiana e quale fondatore del Partito comunista italiano. Ma non troviamo solo questo bilancio. Gramsci lanche in carcere mon s;i rinchiude in se stesso, ma compie ogni s[...]

[...] operaia italiana e quale fondatore del Partito comunista italiano. Ma non troviamo solo questo bilancio. Gramsci lanche in carcere mon s;i rinchiude in se stesso, ma compie ogni sforzo per seguire ciò che sta accadendo .nel mondo, al di la delle mura che lo costringono. Né il suo pensiero si ripiega su se stesso, ma continua, con volontà 'eroica, a progredire e a svilupparsi. Cosi si fa sempre più chiara in lui anche la concezione dell’età dell’imperialismo, quale si va determinando nella realtà. Quando inoi insistiamo suH importanza che ha 'nel pensiero di Gramsci il concetto di « egemonia del proletariato », dobbiamo tuttavia ricordare, affinché la nostra analisi non sia parziale, il nesso che lo stesso Gramsci stabilisce tra questo concetto e la situazione storica in cui esso si verifica e si evolve, e cioè la situazione in cui la borghesia può ancora conservare il potere politico, può ancora dominare, ma senza più la capacità di esercitare stabilmente la sua egemonia.

Ricordo su questo punto una delle sue citazioni più rapide ed illuminan[...]

[...]ra « l’apparato egemonico si sgretola e l’esercizio deU’egemonia da parte della borghesia diviene permanentemente difficile ed aleatorio. Il fenomeno viene presentato e trattato con vari nomi ed in vari aspetti secondari e derivati ». C’è qui la traduzione in termini gramsciani del concetto leninista del capitalismo morente, traduzione che nasce daH’interno stesso deH’esperienza pratica di Gramsci. Egli ha letto infatti gli scritti leninisti suirimperialismo quando già la sua coscienza di militante della classe operala era matura e disposta ad accoglierli, ricavando poi dagli stessi scritti l’impulso per una elaborazione ulteriore, per un successivo passo in avanti compiuto a contatto della realità in continuo sviluppo. Si veda a questo proposito l’acuta e puntuale analisi ch’egli fa dello Stato fascista, ponendo attenzione innanzi tutto a quella compenetrazione fra monopolio e apparato statale cui aveva già accennato Lenin nel suo saggio suH’imperialismo. Gramsci coglie il processo in uno stadio ben più avanzato, e, ravvisando nel fascismo una d[...]

[...]la classe operala era matura e disposta ad accoglierli, ricavando poi dagli stessi scritti l’impulso per una elaborazione ulteriore, per un successivo passo in avanti compiuto a contatto della realità in continuo sviluppo. Si veda a questo proposito l’acuta e puntuale analisi ch’egli fa dello Stato fascista, ponendo attenzione innanzi tutto a quella compenetrazione fra monopolio e apparato statale cui aveva già accennato Lenin nel suo saggio suH’imperialismo. Gramsci coglie il processo in uno stadio ben più avanzato, e, ravvisando nel fascismo una delle più vistose manifestazioni dell’età imperialistica, respinge decisamente le tesi del Salvemini sul fascismo quale fenomeno della piccola borghesia : « Da questo complesso di (esigenze non sempre confessate, nasce la giustificazione storica delle cosidette tendenze corporative che si manifestano prevalentemente come esaltazione dello Stato in generale, concepito come qualche cosa di assoluto, e come 'diffidenza ed avversione alle forme tradizionali del capita532

Gli interventi

lismo. Ne cons[...]

[...]ne pedagogica, e tocca un problema centrale del marxismo, si ricollega alla questione che abbiamo trattato all’inizio e cioè alla questione coloniale.

Scrive Gramsci : « Il modo di pensare 'implicito nella risposta del Labriola non pare pertanto dialettico e progressivo, ma piuttosto meccanico e retrivo... Nella intervista sulla quistione coloniale il meccanicismo implicito nel pensiero del Labriola appare anche più evidente ». Che l’età dell’imperialismo porti con sé l’espansione coloniale è un fatto, è una conseguenza inevitabile delle sue caratteristiche; ma ciò non significa che il proletariato o gli stessi popoli coloniali debbano assistere passivamente all’espansione coloniale nel nome del progresso della storia. « Può darsi benissimo che sia 44 necessario ridurre i papuani alla schiavitù ” per educarli, ma non è meno necessario che qualcuno affermi che ciò non è necessario che contingentemente, perché esistono determinate condizioni, che cioè questa è una necessità 44storica” e non assoluta: è necessarioRoberto Battaglia

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anz[...]

[...] superiore di civiltà e di pensiero », (e cioè in un periodo in cui si è avverata la rivoluzione proletaria ed i popoli coloniali tendono alla conquista della loro indipendenza).

Togliatti ha richiamato la nostra attenzione sul fatto che non dobbiamo ricercare in Gramsci pensieri profetici. Quando noi leggiamo pagine come questa, in cui s’intuiscono i nuovi sviluppi dell’età contemporanea, in cui si .afferma cosi recisamente la certezza che l'imperialismo perderà ia sua base d’appoggio nei popoli coloniali, noi possiamo constatare come questa profezia non derivi da qualche misteriosa od occulta facoltà del pensiero di Gramsci, ma dalla sua chiarezza di prospettiva generale, dalla sua piena coscienza dell’età in cui vive e delle sue leggi di sviluppo. Proprio in virtù di tale chiarezza, tanto Lenin quanto Gramsci hanno contribuito a trasformare il mondo, hanno potuto affidare ila sua sorte non a una cosidetta fatalità della storia, ma alla coscienza e alla volontà dell’uomo.



da Jacques Howlett, I comunisti e la lotta contro il colonialismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]di produzione. Questa produzione riposa sulla supremazia del capitale. La concentrazione del capitale é essenziale all'esistenza del capitale stesso in quanto potenza autonoma. L'effetto distruttivo di questa concentrazione sui mercati del mondo non fa che svelare, in proporzioni gigantesche, le leggi organiche immanenti all'economia politica quali agiscono oggi in ogni città del mondo civilizzato ».
Marx riconduce in questo modo l'essenza dell'imperialismo al semplice fatto economico, e liquida con ciò implicitamente, ma definitivamente, tutte le buone ragioni invocate dal liberalismo per giustificare la colonizzazione : superiorità razziale, vocazione provvidenziale dell'uomo bianco, pseudoargomenti scientifici tratti da Darwin (6), politica di prestigio, obbligo d'ordine morale, ecc.. .
Un'analisi dell'imperialismo é stata condotta anche da scrittori borghesi come Charles A. Conant in T he Economic Basis of Imperialism (1898) e soprattutto dall'inglese J. A. Hobson in
(6) V. PEARSON, National life from the standpoint of the Science (1900).
64 JACQUES HOWLETT
Imperialism (1902). Lenin conosceva l'opera di Hobson, e, pur riprovando il suo punto di vista « socialriformista borghese », riconobbe che essa offriva « una descrizione eccellente, circostanziata, dei principali caratteri economici e politici dell'imperialismo » (7).
L'analisi sistematica dell'imperialismo, e quindi la sua condanna scientifica[...]

[...]harles A. Conant in T he Economic Basis of Imperialism (1898) e soprattutto dall'inglese J. A. Hobson in
(6) V. PEARSON, National life from the standpoint of the Science (1900).
64 JACQUES HOWLETT
Imperialism (1902). Lenin conosceva l'opera di Hobson, e, pur riprovando il suo punto di vista « socialriformista borghese », riconobbe che essa offriva « una descrizione eccellente, circostanziata, dei principali caratteri economici e politici dell'imperialismo » (7).
L'analisi sistematica dell'imperialismo, e quindi la sua condanna scientifica, Lenin l'intraprese nell'opuscolo intitolato « L'Imperialismo, stadio ultimo del Capitalismo », scritto a Zurigo nel 1916. L'imperialismo é legato a un'evoluzione del capitalismo per cui quest'ultimo, nel XX secolo, passa dalla stadio dell'esportazione delle merci a quello dell'esportazione del capitale. Vediamo infatti, nei primi anni del secolo, stabilirsi nel mondo la preponderanza monopolista di alcuni paesi ricchi, come la Germania, l'America del Nord, l'Inghilterra. I monopoli (cartelli, sindacati, trusts) appaiono in questa fase recente dello sviluppo del capitalismo, fase che é caratterizzata anche dall'altro importante fenomeno della progressiva concentrazione bancaria. Prodottosi così un enorme eccedente di capitali, [...]

[...]ilterra. I monopoli (cartelli, sindacati, trusts) appaiono in questa fase recente dello sviluppo del capitalismo, fase che é caratterizzata anche dall'altro importante fenomeno della progressiva concentrazione bancaria. Prodottosi così un enorme eccedente di capitali, i capitalisti aumentano i propri benefici esportando tale eccedente all'estero, nei paesi arretrati. L'esportazione dei capitali é, insieme con i monopoli, una base essenziale dell'imperialismo. È così, continua l'analisi di Lenin, che prima della guerra (191418) i capitali investiti all'estero dai tre principali paesi (Inghilterra, Germania, Francia) ammontavano già a 175200 miliardi di franchi, i quali, al tasso modesto del 5 0/e, dovevano fruttare 810 miliardi all'anno. E Lenin aggiunge : « Ecco una solida base per l'oppressione e lo sfruttamento imperialista della maggior parte dei paesi e dei popoli del mondo, per il parassitismo capitalista d'un pugno di Stati opulenti » (op. cit., p. 168).
L'imperialismo, insomma, corrisponde allo stadio monopolistico del capitalismo; e Leni[...]

[...]418) i capitali investiti all'estero dai tre principali paesi (Inghilterra, Germania, Francia) ammontavano già a 175200 miliardi di franchi, i quali, al tasso modesto del 5 0/e, dovevano fruttare 810 miliardi all'anno. E Lenin aggiunge : « Ecco una solida base per l'oppressione e lo sfruttamento imperialista della maggior parte dei paesi e dei popoli del mondo, per il parassitismo capitalista d'un pugno di Stati opulenti » (op. cit., p. 168).
L'imperialismo, insomma, corrisponde allo stadio monopolistico del capitalismo; e Lenin riassume così i suoi caratteri fondamentali
(7) LENIN, L'impérialisme stade supérieur du capitalisme, p. 2. Testi riuniti in: Données complémentaires à l'impérialisme di E. VARGA et L. MENDELSOHN. Editions Sociales, Paris 1950.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 65
1) concentrazione della produzione e del capitale a un grado tale da provocare la formazione dei monopoli;
2) fusione del capitale bancario industriale;
3) esportazione di capitali;
4) formazione di unioni internazionali capitalistiche e monop[...]

[...]UNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 65
1) concentrazione della produzione e del capitale a un grado tale da provocare la formazione dei monopoli;
2) fusione del capitale bancario industriale;
3) esportazione di capitali;
4) formazione di unioni internazionali capitalistiche e monopolistiche, che si spartiscono il mondo;
5) spartizione territoriale del globo da parte delle maggiori potenze capitaliste.
Ma il capitalismo generatore dell'imperialismo « agonizza », poiché, attraverso il sistema dei trusts, esso conduce alla socializzazione della produzione. A questa necessaria « agonia » del capitalismo la pratica marxista contribuisce incitando alla liberazione politica dei popoli colonizzati. In « Il socialismo e la guerra », Lenin difende il diritto dei popoli arretrati a disporre di se stessi; e Stalin, nel 1913, precisa questa politica di liberazione : « La rivoluzione d'ottobre — egli scrive (8) — ha scosso l'imperialismo non soltanto nei territori metropolitani, ma anche nei paesi coloniali e dipendenti, minando colà la sua dominazi[...]

[...]ttraverso il sistema dei trusts, esso conduce alla socializzazione della produzione. A questa necessaria « agonia » del capitalismo la pratica marxista contribuisce incitando alla liberazione politica dei popoli colonizzati. In « Il socialismo e la guerra », Lenin difende il diritto dei popoli arretrati a disporre di se stessi; e Stalin, nel 1913, precisa questa politica di liberazione : « La rivoluzione d'ottobre — egli scrive (8) — ha scosso l'imperialismo non soltanto nei territori metropolitani, ma anche nei paesi coloniali e dipendenti, minando colà la sua dominazione. La liberazione del proletariato è per sua essenza universalista, e il proletariato non pub liberarsi senza con ciò stesso liberare i popoli oppressi ». V'è del resto, continua Stalin, più di un'analogia tra il proletario e il colonizzato : l'uno e l'altro si trovano in una posizione di dipendenza, l'uno e l'altro producono ricchezza senza tuttavia goderne, l'uno e l'altro appartengono alla classe oppressa.
Così « la Rivoluzione d'ottobre inaugurato un'epoca nuova,
l'epoca de[...]

[...]po sovietico, non sono meno atti dei popoli europei a far progredire la cul
(8) 11 carattere internazionale della Rivoluzione d'Ottobre, Pravda 5, 7 novembre 1927.
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tura e la civiltà in ciò che la cultura e la civiltà hanno di veramente progressivo ».
Qual é il processo di liberazione dei popoli oppressi? Bisogna partire dalle due tesi seguenti (9). Da una parte, la lotta rivoluzionaria condotta dai popoli oppressi contro l'imperialismo è il solo mezzo che essi hanno per liberarsi dall'oppressione e dallo sfruttamento : la crisi del capitalismo nascerà da questi movimenti di liberazione. D'altra parte, un fronte comune di lotta contro l'imperialismo dev'esser formato dai movimenti proletari dei territori metropolitani e i movimenti di liberazione dei territori coloniali; la vittoria non sarà possibile senza questo fronte comune, e questo fronte non potrà formarsi senza l'appoggio dei movimenti coloniali di liberazione da parte del proletariato metropolitano. Quest'appoggio deve consistere nella rivendicazione, nella difesa e nell'applicazione di quella parola d'ordine che è data dal diritto delle nazioni a separarsi e ad esistere come stati indipendenti. Altri~tnenti, sarebbe impossibile di organizzare l'unione e la collaborazione delle [...]

[...]) il semplicismo che non tiene conto delle particolarità proprie a ciascun popolo; 2) il nazionalismo che le esagera.
(11) De la façon de poser la question nationale, 1921.
68 JACQUES HOWLETT
uno scrittore che non pub esser sospettato d'obbedienza comunista (12) : « Non è più il tempo in cui si poteva discutere dei meriti o dei demeriti degli imperialismi. Quali che siano le nostre idee su questo argomento, siamo obbligati a riconoscere che l'imperialismo è una formula tramontata ».
C'è una vasta zona sulla quale la stretta imperialista è ancora potente, e nella quale, d'altra parte, le esigenze liberatrici sono ancora sporadiche ed inefficaci : é l'Africa Nera francese (Africa Occidentale Francese, Africa Equatoriale Francese). È certo tuttavia che la dottrina comunista, — in quanto mette l'accento sulla liberazione degli sfruttati — trova in queste regioni l'adesione, se non delle masse contadine che, prive corne sono d'informazione, mancano dell'attrezzatura intellettuale necessaria per accedere alle ideologie occidentali, almeno di una pa[...]

[...] del partito che li rappresenta. I nazionalisti, senza sconfessare certe posizioni comuniste, si preoccupano tuttavia di porre in risalto certe differenze del loro atteggiamento di fronte al fatto coloniale. In un articolo il cui titolo è già un programma: u L'unica via d'uscita: l'indipendenza totale. Il solo mezzo: un vasto movimento d'unione antiimperialista » (33), Maghemout Diop esprime nettamente queste distinzioni: l'unanimità circa l'antiimperialismo non impedisce ai comunisti e ai popoli coloniali di avere atteggiamenti differenti di fronte al capitalismo. Gli obbiettivi immediati non sono gli stessi. Per i comunisti, la lotta essenziale è quella contro il sistema capitalista. Per
i popoli colonizzati, é quella contro l'imperialismo. In altre parole, mentre i comunisti preparano la rivoluzione sociale che conduce al comunismo, i yopoli coloniali mirano innanzi tutto alla rivoluzione nazionale.
In regime coloniale « la rivoluzione sociale non può in alcun modo essere anteriore alla rivoluzione nazionale ». Se dunque è vero che i popoli coloniali sono gli alleati naturali delle masse proletarie del mondo, è anche vero che molti africani distinguono accuratamente gli obbiettivi immediati dei primi da quelli delle seconde, e insistono sul fatto che l'alleanza in questione non dev'es sere una dipendenza. Un pratico esempio d[...]



da Romano Ledda (a cura di), Dossier NATO in KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 5 - 9 - numero 19

Brano: [...]ica mondiale
Patto atlantico. Basi NATO
con alcuni precisi e irrefutabili connotati. E' stata strumento, da un lato, di una lotta aperta al mondo socialista, e di una repressione crescente verso le aree del « terzo mondo ». E' stata, dall'altro lato, la struttura portante della difesa e del consolidamento dei regimi capitalistici dell'occidente europeo. Elemento unificatore di questi due aspet ti sono state la politica dei blocchi voluta dall'imperialismo e la supremazia americana sull'Europa.
La NATO ha simboleggiato per l'Europa e per il mondo tutto ciò. Per cui volere un mutamento, oggi, della realtà degli ultimi venti anni è incompatibile, per usare le parole di un cattolico, « con l'idealizzazione e la sopravvivenza della NATO ». Al contrario, richiede la rimessa in discussione della NATO e dell'Alleanza atlantica, per rovesciare e battere la logica che ne presiedette la nascita e ne determina i destini. ciò che vogliamo dimostrare ai lettori di Rinascita con questa ricerca.
Inserto a cura
di Romano Ledda
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[...]anetaria » di Johnson. Ma se ne gettarono le radici con il contenimento (politica del containment) e se possibile, con l'inversione dei processi di emancipazione aperti nel mondo. Fu uno spostamento deciso dell'asse storico della politica estera americana. Politica di potenza e sfida sociale vi si intrecciarono, trovando di volta in volta ora l'uno ora l'altro maggiore o minore rilievo. Il comunismo fu allora visto come la forza di un presunto « imperialismo sovietico ». La più generale crisi tradizionale del sistema imperialistico come « una cospirazione sovietica globale ». Walter Rostow, ad esempio, vedeva nella lotta di liberazione vietnamita contro il colonialismo francese nel 1946, « il risultato della decisione di Stalin di lanciare una offensiva in Oriente». E fu quindi essenziale combattere il comunismo in ogni parte del mondo.
La definizione compiuta di questa strategia di contenimento si ebbe con la Dottrina Truman (12 marzo 1947), con la quale gli USA si impegnavano a « sostenere i popoli liberi i quali resistono ai tentativi di coer[...]

[...]essione della potenza americana nei confronti dei paesi socialisti, sulla base della politica äi contenimento; 2) la struttura militare era l'unica che garantisse, grazie al rapporto di forza, un naturale dominio statunitense; 3) la « paura » dell'aggressione e la protezione americana erano l'unico cemento unitario degli alleati europei.
Verificare nella storia dell'Alleanza tutto ciò, e ricostruire il processo che ne ha fatto un'appendice dell'imperialismo americano può essere perciò di qualche interesse_ Vediamo prima di tutto gli aspetti specificamente militari e il modo con cui hanno inciso sugli indirizzi politici. Essi possono essere esaminati sotto diversi profili.
Il primo e più elementare è quello dell'organizzazione che si diede l'Alleanza. Fin dal primo Consiglio atlantico del 17 settembre 1949, venne messo a punto il meccanismo organizzativomilitare dell'Alleanza, ossia la NATO. (North Atlantic Treaty Organization). E tale sarebbe rimasto fino ai nostri giorni. Nel corso del 1950 (soprattutto alle sessioni di New York e di Bruxelles[...]

[...]a Kennedy, e successivamente con Johnson, arriverà al delirio planetario della superpotenza americana.
Il passaggio tra le due fasi veniva sinteticamente descritto da Federico Artesio nell'articolo ' citato: « La prospettiva del deterrente americano valida per l'Europa nelle occasioni disperate impallidisce nella misura in cui si è venuto svuotando il pericolo dell'aggressione sovietica e in quella in cui è venuto vece crescendo lo spettro dell'imperialismo americano ».
Le conseguenze . per la NATO furono di grande portata, militari e politiche. La risposta flessibile rende necessaria la possibilità di prendere decisioni immediate relative al « grado di replica » all'avversario, e quindi esclude nel modo più tassativo consultazioni tra gli alleati e ogni divisione di comando. Per cui, come ha scritto in un acuto, per quanto filoatlantico saggio Luisa Calogero La Malfa (in La NATO nell'era
L'accelerazione di questo processo di integrazionedipendenza si è avuta anche sotto il profilo delle diverse strategie mondiali che gli USA venivano via via [...]

[...]el 1949. Non a caso essa coincide con una profonda crisi politica della NATO e delle relazioni tra gli alleati. Taluno ha voluto spiegare quella crisi come il risultato di una serie di errori deformanti interni a una struttura buona e positiva. E di qui vengono tutte le proposte « revisioniste » della Alleanza. Ma non si tratta, invece, della natura stessa degli attuali rapporti tra USA ed Europa? non si tratta della scelta storica compiuta dall'imperialismo americano di fronte ai processi del nostro tempo? Prima di analizzare, quindi, le caratteristiche di quelle crisi e la impossibilità o velleità del « revisionismo » atlantico, converrà vedere più da vicino il prezzo che l'Europa (e il mondo) hanno pagato alla politica atlantica degli Stati Uniti.
Nel 1949, al momento del voto sul Patto Atlantico l'onorevole Ugo La Malf a, con una divinazione di cui possiamo apprezzare tutto l'acume, ebbe a dire: « Oggi sta nascendo l'Europa e l'America non c'entra ». A distanza di vent'anni quale è il bilancio che l'Europa può trarre dalla nascita della NATO[...]

[...]».
Ma l'obiettivo era di più lungo respiro. Restaurare il capitalismo europeo non voleva infatti essere soltanto la ricostruzione di un mercato bellico e la garanzia politica di un sistema sociale omogeneo agli Stati Uniti, voleva dire — e questo è il fenomeno che è venuto delineandosi con grande chiarezza nel corso del ventennio — rimettere in piedi un capitalismo nettamente subordinato alla divisione internazionale del lavoro predisposta dall'imperialismo statunitense. Intorno al 1950 venne imposta, attraverso la NATO, una vera e propria rete di vincoli e di veti economici e commerciali all'intiera Europa occidentale (basti ricordare il commercio con l'Est) che assicurarono da un lato il pieno controllo americano sulla destinazione degli « aiuti » e quindi su tutte le tendenze e le scelte della restaurazione capitalistica, e dall'altro lato aprirono le porte della Europa all'invasione commerciale, di prodotti bellici e no, degli Stati Uniti E' su questa base che è venuta costruendosi l'espansione in Europa — una volta rimesso in piedi il siste[...]

[...] Anzi vi è qualcosa di più e di più grave. Di fatto, e la cosa è assolutamente paradossale nell'illustrare la politica delle classi dominanti europee, la Europa ha pagato direttamente una serie di costi, che hanno pesato sul suo sviluppo, alla politica americana, anche quando essa contrastava con gli interessi dello stesso capitalismo europeo. In un
Gli investimenti USA in Europa a seguito della costituzione dell'alleanza atlantica dossier sull'imperialismo americano in Europa, pubblicato da Problemi del socialismo (n. 38, 1969) si costata giustamente: « Il fatto singolare è che nel corso di questi anni, mentre l'economia americana compiva il più grosso balzo di questo dopoguerra, aumentando il suo distacco rispetto all'economia europea considerata complessivamente, l'attenzione veniva centrata piuttosto sulle difficoltà della bilancia dei pagamenti USA e sui crescenti attivi realizzati dai paesi della CEE, trascurando che i fenomeni monetari dissimulavano una situazione reale capovolta. Ciò che si può dire in sintesi su questo punto è che i pae[...]

[...]i nella tnrhinosa vipenria internazionale di questi ultimi anni. Ma la sua radice principale è nella subalternità
e diseguaglianza in cui si
è trovata l'Europa rispetto agli Stati Uniti. L'urto e il uu.seaiso sono divenuti nnevitabili nel momento in cui la politica di Washington, lungi dall'esercitare una mediazione in nome degli interessi di tutto l'occidente capitalistico, si è rivelata pienamente come corrispondente a specifiche scelte dell'imperialismo USA, cercando di coinvolgervi l'Europa. La crisi di Cuba nel 1962, e soprattutto l'aggressione al Vietnam, furono i campanelli d'allarme di una situazione che era venuta già incancrenendosi fin dai primi anni di vita dell'Alleanza.
Gli interessi degli Stati Uniti coincidono sempre con quelli dei loro alleati europei? questo l'interrogativo che ha cominciato a dilagare in Europa, anche in settori non trascurabili della borghesia europea... Di qui una serie di spinte di varia natura e anche di segno opposto. Il ripiegamento nazionale gollista, espressione di un insorgente conflitto interirnper[...]

[...]e pregiudiziale all'attuazione di quella politica. La « fedeltà attraverso le mutazioni », l'ordine statico fondato sulla egemonia americana, « distensiva » o no divenga l'azione della NATO, sono due connotati intrinseci alla sua natura, alle sue funzioni, alle sue origini. Perciò ogni riammodernamento o revisione che non metta in discussione la realtà dei rapporti USAEuropa, ogni atto politico che rimanga i
alla logica del blocchi imposta dall'imperialismo americano, è destinato a restare lettera morta, pura velleità, e a consacrare quello strapotere americano in Europa che nella NATO ha trovato la sua istituzionalizzazione e le vie del suo progressivo consolidamento.
Non esistono una Alleanza atlantica o una NATO pulite, fatte di eguali tra gli eguali. In quest'ambito e con quella politica non vi è spazio per la sovranità, l'autonomia nazionale; non vi è spazio per l'Europa; non vi è spazio per il pieno dispiegamento della libertà e della democrazia, fondate sulla libera dialettica delle classi e delle forze politiche, all'interno dei paesi a[...]



da [Le relazioni] P. Togliatti, Gramsci e il leninismo in Studi gramsciani

Brano: [...]mpreso in modo nuovo la realtà che sta davanti a noi, ne abbiamo penetrato la sostanza cosi come prima ancora non si era riusciti.

Ora, che cosa vi è in Lenin di fondamentalmente nuovo? Scusate se a questo punto l’esposizione, per esser rapida, dovrà essere per forzaPalmiro Togliatti

423

alquanto schematica. Vi sono in Lenin almeno tre capitoli principali, che determinano tutto lo sviluppo della azione e del pensiero : una dottrina deirimperialismo, come fase suprema del capitalismo; una dottrina della rivoluzione e quindi dello Stato, del potere e una dottrina del partito. Sono tre capitoli strettamente uniti, fusi quasi 'l’uno nell’altro, e ciascuno di essi contiene una teoria e una pratica, è il momento di una realtà effettuale in isviluppo, una dottrina, cioè, che non solo viene formulata, ma messa alla prova dei fatti, dell’esperienza storica e che nella prova dell’esperienza storica si sviluppa, abbandona posizioni che dovevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al mar[...]

[...]non è neanche in lui direttamente unito a un’analisi precisa delle condizioni oggettive in cui si sviluppava la concreta rivoluzione italiana, la rivoluzione degli operai e dei contadini, del popolo italiano per rovesciare il corso della storia t diventarne padroni. Il Labriola, ho già avuto occasione una volta di ricordarlo e credo che del resto questa osservazione sia oggi generalmente riconosciuta valida, non riuscì a giungere al concetto deirimperialismo e questa fu la più grave deficienza dello sviluppo del suo pensiero, deficienza che spiega anche alcuni degli errati

1 II grido del popolo, Torino, 25 maggio 1918.426

Le relazioni

giudizi da lui stesso avanzati, negli ultimi anni dell’esistenza, circa la politica coloniale dell’imperialismo.

In quegli appunti che dopo una certa rielaborazione, credo, sono stati presentati come un « quarto saggio » sulla concezione materialistica della storia, con il titolo Da un secolo all’altro, Antonio Labriola affronta questo problema, il problema dell'imperialismo. La sua ricerca, egli dice, tende a « illuminare la scena attuale del mondo civile, tratteggiarla nei suoi contorni, nel suo interiore aspetto e nell’intreccio delle forze che la configurano e la sorreggono ». Sono termini che indicano tutta la consueta complessità del pensiero del Labriola. E cosi egli parla, venendo al concreto, della politica imperialistica degli Stati di quella fine di secolo, della guerra del Transvaal, della espansione della Russia nell’Asia, che rifà a rovescio l’invasione mongolica. Egli tenta quindi anche una definizione del periodo precedente. Vuol dire che cos’è il[...]

[...]o aggiunge una giustificazione di questa affermazione, che teoricamente è giusta; non si può fare a meno, però, di rilevare che l’incertezza e la sfiducia, che permangono, sono conseguenza della incapacità di compiere quel passo, quel salto, anzi, che Lenin compiva, quando partito da un’analisi assai più approfondita della struttura deH’economia capitalistica e nel primo periodo e nel momento del passaggio al periodo successivo, che è quello deirimperialismo, era in grado di definire con precisione il carattere dell’epoca che stava incominciando, di proclamare che era l’epoca del passaggio dal capitalismo al socialismo, dall’èra liberale all’èra socialista.

Di questa mancanza di una decisa prospettiva storica aveva sofferto, in sostanza, tutto il movimento operaio italiano, sin dagli inizi. Ne soffri particolarmente nel primo decennio del secolo, quando il movimento della classe operaia, che aveva oramai passato le prove delle classi eiePaimiro Togliatti

All

mentari, doveva affrontare le prove superiori, le prove, cioè, della organizzaz[...]

[...]e delle classi eiePaimiro Togliatti

All

mentari, doveva affrontare le prove superiori, le prove, cioè, della organizzazione di una lotta politica la quale avesse delle prospettive rivoluzionarie precise, adeguate alla situazione di quel momento. Le lotte immediate sindacali cerano state e c’erano, amplissime, travolgenti, nell’industria e nelle campagne. Cerano pure state e cerano le lotte politiche per la libertà e contro la politica deliimperialismo. Basti rievocare l’opposizione delle avanguardie della classe operaia e delle masse contadine alla guerra di Libia. Un legame evidente, però, tra questi grandi movimenti e una lotta rivoluzionaria per il potere non lo si trovava. Questa fu la tragedia del movimento socialista italiano all’inizio del secolo. Né la mia critica è diretta soltanto contro le frazioni rivoluzionarie. Se si guarda ai riformisti, le cose andavano anche peggio. Neanche su un terreno riformistico, di collaborazione con gruppi borghesi, essi riuscivano a eie, varsi al di sopra delle agitazioni immediate. Questo ebbe la [...]

[...]ssivi due o tre anni, agli avvenimenti di Russia dopo la conquista del potere, sempre meglio viene elaborato e precisato questo momento da un lato, mentre dall’altro lo studio è vólto430

Le relazioni

a cogliere il nesso tra il momento internazionale e il momento nazionale della rivoluzione. Ciò che i bolscevichi russi sono stati in grado di fare è conseguenza di una trasformazione qualitativa della situazione internazionale. La catena deirimperialismo si è rotta. Si è aperto un nuovo periodo della storia mondiale. Ma la vittoria della classe operaia e dei bolscevichi è stata possibile perché questi sono stati x migliori interpreti di tutto lo sviluppo storico della società nazionale russa di cui hanno saputo trarre, con la loro azione, le conseguenze. In questo modo viene a determinarsi la funzione nazionale della classe operaia nello sviluppo del movimento internazionale. Le condizioni stesse del mondo capitalistico, giunto alla fase dell’imperialismo, creano le premesse generali della rottura rivoluzionaria, ma in ogni paese la rottura h[...]

[...]toria mondiale. Ma la vittoria della classe operaia e dei bolscevichi è stata possibile perché questi sono stati x migliori interpreti di tutto lo sviluppo storico della società nazionale russa di cui hanno saputo trarre, con la loro azione, le conseguenze. In questo modo viene a determinarsi la funzione nazionale della classe operaia nello sviluppo del movimento internazionale. Le condizioni stesse del mondo capitalistico, giunto alla fase dell’imperialismo, creano le premesse generali della rottura rivoluzionaria, ma in ogni paese la rottura ha le sue premesse particolari, che vengono dalla sua storia. La classe operaia è in tutto il mondo Faffossatrice del capitalismo. Questa è la sua funzione storica, nel senso più ampio della parola, ed è una funzione che si attua, concretamente, con la soluzione che essa dà ai problemi che nel paese ove essa agisce sono da risolvere. Non si possono conoscere questi problemi se non con una attenta analisi delle strutture economiche, di tutte le sovrastrutture della economia e delle influenze che le stesse so[...]

[...]ù tardi si abbatterono sopra, di noi e che non fu difficile denunciare e respingere quando si manifestarono nel ventennio fascista, ma non era facile intuire^ criticare e respingere quando si presentarono, nel loro germe, in quel periodo lontano.

Risale a quegli anni l’inizio della decomposizione del vecchio blocco politico risorgimentale. E la crisi venne dalle cose, dagli sviluppi economici che spingono il capitalismo italiano sulla via déH’imperialismo, e dal movimento delle masse. La opposizione contadina, che la Chiesa cattolica aveva cercato di organizzare, mantenere viva e dirigere, per farne la propria base di lotta contro lo Stato risorgimentale, e la nuova opposizione operaia tendono a confluire in una generale ribellione ai vecchi ordinamenti politici. Il vecchio modo di muoversi dei gruppi dirigenti borghesi, liberali di nome, di fatto conservatori e reazionari, non è più valido in questa situazione nuova e non è più valida nemmeno la formula dell’opposizione cattolica allo Stato liberale. È una formula che può rivelarsi assai peri[...]



da Kabaktceff (delegato dei comunisti bulgari e delegato come membro del Comitato della Terza Internazionale) [traduzione dal francese dell'onorevole Misiano], Discorso Kabaktceff in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]oluzionarie decisive.
La rivoluzione russa è una conseguenza della guerra imperialista: essa non è soltanto di importanza locale; ha invece importanza e carattere internazionale. È l'inizio della rivoluzione comunista universale; ha aperto la nuova epoca rivoluzionaria nella storia.
La prova piú eloquente del carattere internazionale della rivoluzione russa, è il fatto che essa ha diviso il mondo capitalista in due fronti: uno è il fronte dell'imperialismo e della controrivoluzione, sul quale lottano la borghesia ed i Governi capitalisti; l'altro é il fronte della rivoluzione proletaria universale, sul quale lottano il proletariato e le classi oppresse di tutti i paesi. La crisi generale economica e finanziaria, infiamma maggiormente la lotta rivoluzionaria del proletariato e gli sforzi della , borghesia, per conservare il suo dominio mediante la dittatura ed il terrore con eserciti mercenari e guardie bianche, scatena la guerra civile nel mondo capitalista.
Qual'è il dovere dei Partiti comunisti e dell'Internazionale comunista nella presente [...]

[...]hiarato che i popoli balcanici non possono liberarsi che con una rivoluzione vittoriosa degli operai e dei contadini e con la instaurazione di una Repubblica socialista
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federativa sovietica dei Balcani. La politica nazionalista della borghesia balcanica e la politica imperialista dei Governi europei, hanno rovinato e devastato i paesi balcanici e danubiani, e hanno posto i loro popoli in condizioni di schiavitú coloniale sotto il giogo dell'imperialismo dell'Intesa; la nostra borghesia è un istrumento docile tra le mani della borghesia imperialista europea, quanto lo sono le classi dominanti di tutti i popoli coloniali ed arretrati. I popoli balcanici non possono conquistare la loro indipendenza nazionale dal giogo dell'imperialismo europeo, se non spezzano le catene del giogo capitalista della loro propria borghesia, e nello stesso tempo non acquistano la libertà e l'emancipazione sociale. Per questo grande fine della emancipazione e della libertà sociale e nazionale dei popoli balcanici e danubiani, i Partiti comunisti di quei paesi, unificati in una fede ed in una Federazione comunista generale, conducono la lotta, in pieno accordo coll'Internazionale comunista.
Altrettanto chiara, giusta e rivoluzionaria è la posizione dell'I.C. nei riguardi della lotta che conducono i popoli coloniali in Asia ed in Africa. In quest[...]

[...] colonie significherebbe il crack del piú potente capitalismo, del capitalismo inglese. Il proletariato internazionale che lotta per la sua emancipazione, commetterebbe un delitto verso la propria classe e verso i popoli oppressi che lottano per l'emancipazione nazionale, se non tendesse a questi popoli la sua mano fraterna. L'unione fra il proletariato rivoluzionario ed i popoli oppressi che insorgono e fanno la rivoluzione e la guerra contro l'imperialismo, è una necessità per la vittoria della rivoluzione comunista universale. I Governi imperialisti attaccati dal proletariato nell'interno dei loro paesi e dai popoli oppressi all'esterno, saranno finalmente spazzati via.
Ecco il profondo senso rivoluzionario delle tesi sulla questione nazionale e coloniale accettate dalla I.C. Ma il compagno Serrati non pub
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o non vuole comprendere questo significato, ed accusa l'Internazionale comunista di aver preparato l'unione con le classi dominanti dei paesi coloniali, e perciò di aver tradito le tradizioni rivoluzionarie del socialismo. Ancora una v[...]

[...] contrario vi chiede di lottare con un'energia maggiore, con intransigenza e con coraggio contro la politica nazionalista ed imperialista della borghesia italiana; vi chiede di opporvi con tutte le forze alla politica di confisca dell'Italia nei Balcani, in Asia Minore ed in Africa e di tendere la mano fraterna ai popoli soggetti che si ribellano e lottano per distruggere il dominio coloniale, per emanciparsi dal giogo economico e nazionale dell'imperialismo italiano. È questo che vi chiede l'I.C., ma voi, anche su di questa questione, passate nel campo degli opportunisti e dei riformisti, sostenitori della « pace civile » con la borghesia, sia in tema di politica interna, che in tema di politica estera, e che rifiutano di dare il loro appoggio ai popoli coloniali insorti per emanciparsi dalla dominazione borghese e imperialista. Noi calpestiamo energicamente questo tradimento e dichiariamo che gli interessi del proletariato internazionale e dei popoli oppressi dell'impe
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rialismo esigono che essi si uniscano formando un fronte unico contro i[...]

[...]taria russa, una alleanza che avrebbe risparmiato molte vittime al proletariato tedesco ed avrebbe accelerato la vittoria della rivoluzione proletaria universale, proprio in quel momento il centro ed i centristi tedeschi, guidati da Kautsky, Haase, Dittmann, Crispien, ecc., hanno respinto la mano tesa loro dal proletariato russo, I partigiani di Scheidemann e gli indipendenti del centro hanno preferito stringere un tacito patto di alleanza con l'imperialismo dell'Intesa ed in questo modo essi hanno commesso il piú grande delitto non solo contro la rivoluzione russa, ma anche contro la rivoluzione tedesca e la rivoluzione mondiale. Questo stesso centro, nei momenti piú decisivi della lotta rivoluzionaria del proletariato tedesco durante i mesi di gennaio e marzo 1919, come durante i mesi di marzo ed aprile 1920, quando le masse operaie avevano perduto la fiducia nei socialpatrioti e quando dalla loro adesione alla minoranza comunista dipendeva la vittoria della rivoluzione, in quel momento i centristi hanno paralizzato l'azione del proletariato, l[...]

[...]aldemocratici, la quale è stata educata durante questo periodo, mentre il movimento proletario si limitava alla azione parlamentare e legale, ha aperto le porte del socialismo all'opportunismo, di cui sono usciti dal suo seno gli apostoli. Nelle loro mani l'Internazionale ha cessato di essere l'organizzazione di lotta della classe per l'emancipazione proletaria e nel momento decisivo, nel 1914, è passata apertamente nel campo della borghesia.
L'imperialismo e la guerra imperialistica hanno aperto un'epoca nuova di battaglie e di rivoluzioni. Nonostante il tradimento della 2'
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Internazionale, una parte del proletariato, prima minoranza insignificante, ma in seguito minoranza sempre piú forte, è rimasta fedele alle tradizioni rivoluzionarie del marxismo. Sotto la bandiera del marxismo ha vinto il proletariato russo, sotto la sua bandiera oggi si radunanonell'Internazionale comunista milioni di operai. La nuova epoca rivoluzionaria esige metodi di lotta e di organizzazione rivoluzionaria. Chi non é capace di comprendere e di adottare questi met[...]



da Asiaticus, Due tesi sull'evoluzione dei paesi ex-coloniali. [sopratitolo: "democrazia nazionale" e "Nuova democrazia"] [sottotitolo: Diverse vie di sviluppo per i popoli del Terzo mondo - Dalla democrazia al socialismo. Le prime esperienze storiche in Mongolia, Cina e Turchia - Il ruolo dirigente del proletariato] in KBD-Periodici: Rinascita 1963 - 1 - 26 - numero 4

Brano: [...] nel novembre del 1960. Questa dichiarazione, dopo avere analizzato l'evoluzione dei paesi coloniali e dipendenti dopo la seconda guerra mondiale, affermava:
« Nella situazione storica attuale si vengono a creare in molti paesi condizioni interne e internazionali favorevoli alla costituzione di uno Stato indipendente a democrazia nazionale, cioè di uno Stato che difenda coerentemente la propria indipendenza politica ed economica, lotti contro l'imperialismo e i suoi blocchi militari, contro le basi militari sul proprio territorio. Si tratta di uno Stato che lotta contro le nuove forme di colonialismo e contro la penetrazione del capitale imperialistico, che ripudia i metodi di governo dittatoriali e dispotici, uno Stato in cui vengono garantiti al popolo ampi diritti e libertà democratiche (di parola, di stampa, di riunione, di manifestazione, di organizzazione in partiti politici e in associazioni). Entro tale Stato il popolo deve avere la possibilità di ottenere l'applicazione della riforma agraria e l'accoglimento di altre rivendicazioni nel [...]

[...]udale e democratica, per fondare uno Stato a democrazia nazionale, per migliorare decisamente il tenore di vita delle masse popolari ».
Il significato di questo concetto cosi ricco e così nuovo merita di essere precisato.
La lotta per l'indipendenza e per la democrazia
In primo luogo, si tratta di una via aperta, di una possibilità offerta ai paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina (il « terzo mondo ») che stanno per staccarsi dall'imperialismo. I due elementi fondamentali e strettamente complementari che caratterizzano questa via sono la lotta per l'indipendenza nazionale e la lotta per la democrazia. Il paragrafo della risoluzione degli 81 che abbiamo citato è sufficientemente chiaro su questo punto.
Se uno di questi due caratteri fondamentali, lotta per l'indipendenza nazionale e lotta per la democrazia, viene a mancare, non si potrà parlare di democrazia nazionale. Certo, non si deve cessare di considerare positivo il ruolo dei governi non democratici e dominati dalle forze feudali o capitaliste i quali lottano attivamente per [...]

[...]iene a mancare, non si potrà parlare di democrazia nazionale. Certo, non si deve cessare di considerare positivo il ruolo dei governi non democratici e dominati dalle forze feudali o capitaliste i quali lottano attivamente per la loro indipendenza na zionale. E' il caso di un certo numero di paesi come il Nepal, l'Afghanistan, l'Egitto, lo Yemen. Ma nella misura in cui essi non hanno una vera base democratica, la lotta di questi governi contro l'imperialismo è necessariamen te debole, manca di decisione e di continuità. Per l'avvenire dei paesi del Terzo mondo, indipendenza nazionale e democrazia sono connesse da un legame di reciproca necessità, sul quale non si è forse insistito abba
e
Truppe dell'esercito popolare cinese durante la « lunga marcia »
stanza nel passato. Esso è uno dei significati del concetto di democrazia nazionale.
In secondo luogo, la democrazia nazionale, se si distingue nettamente dalla democrazia socialista, non è tuttavia meno diversa dalla democrazia borghese di tipo occidentale. La democrazia nazionale non è fondata[...]

[...]sie in seno al movimento comunista mondiale, il concetto di democrazia non è separabile dalla lotta per la coesistenza pacifica. E' una di quelle « condizioni favorevoli della situazione storica attuale » di cui parla la dichiarazione degli 81. La possibilità di stabilire per un certo periodo degli Stati a democrazia nazionale, degli Stati basati sull'indipendenza nazionale e sulla democrazia, che si avviano a staccarsi dal sistema mondiale dell'imperialismo senza passare tuttavia direttamente a un regime socialista e a un'economia socialista, questa possibilità esiste soltanto perchè il campo socialista lotta per la coesistenza :pacifica: E' la lotta per la coesistenza pacifica che accorda á questi nuovi Stati un margine di movimento, che, ofite loro la possibilità di non" dipendere più totalmente dài grandi monopoli occidentali per smerciare i propri prodotti o per ottenere crediti e tecnici, la possibilità anche di seguire, per esempio all'ONU, una politica estera relativamente indipendente.
Tutte queste caratteristiche della democrazia nazio[...]

[...]costituito dalla « nuova democrazia » cinese del 1940.
Esiste tuttavia fra le due 'tesi una differenza' fondamentale. Si tratta del le basi di classe della `« democrazia ñazionale » e della a nuova democra zia », e in particolare della direzione di classe nel movimento per la costruzione degli Stati a democrazia nazionale.
Scrivendo nel 1940 nella Nuova dempc gzia, Mao prospettava una unione assai larga di tutte le classi sociali vittime, dell'imperialismo e dei nemici cinesi della democrazia (1) Ma egli sottolineava nel medesimo tempo, molto ' esplicitamente, oche, questa larga alleanza_ di classi deve essere diretta dal movimento operaio e dai partito comunista. Effettivamente, nelle condi zioni storiche specifiche della rivoluzione cinese, il partito comunista ha svolto — in modo indiscutibile e con l'accordo dei suoi sostenitori della borghesia e della piccola borghesia — Studenti mongoli in un'aula della Università di Ulan Bator
questo ruolo dirigente, sia prima sia dopo la liberazione del 1949.
Il compagno Ponomariov è meno preciso su q[...]

[...]zione di classe. del movimento, lasciando chiaramente intendere che l'evoluzione verso la democrazia nazionale.è possibile in differenti situazioni di equilibrio delle forze sociali. Egli afferma inoltre che « l'essenziale è di ricercare (tenendo conto dei caratteri specifici della vita economica, politica e culturale di ogni popolo) le forme: più appropriate di unione di tutte le forze sane della nazione nella lotta per estirpare le radici dell'imperialismo e delle sopravvivenze del feudalesimo, per avanzare sulla via del progresso sociale ». Questa frase, per quanto prudente nella sua formulazione, non significa . chiaramente che queste « forme appröpriate u possano essere diverse e che non esista quindi un modello unico, per ciò che concerne le basi di classe e la direzione di classe del movimento verso la democrazia nazionale, nei pae. si del terzo mondo.
La struttura di classe nei nuovi paesi
Ci sembra, in tutti i casi, che non sia desiderabile eludere questo problema, quale appare dal confronto fra le tesi della « nuova democrazia » del 1[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Togliatti, Il leninismo nel pensiero e nell'azione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]i nei corso del 1917, soprattutto per il tramite di riviste e giornali in lingua francese e di una rivista americana (il Liberator, diretto da Max Eastman). Da questa venne tratto e pubblicato nel 1919, a cura di Gramsci, un ampio studio su Lenin quale « Statista dell'ordine nuovo ». Il profilo di Lenin quale pensatore e uomo politico, che risulta da questo studio, è però parziale. I momenti piú importanti del pensiero, relativi all'analisi dell'imperialismo e quindi alla definizione del periodo storico e delle sue prospettive, sono trascurati, mentre l'attenzione è concentrata sulle caratteristiche originali del sistema sovietico e sul fondamento che esso ha nella sfera della produzione. Lo scritto infatti non è altro che riproduzione e commento di alcuni lavori di Lenin dedicati, dopo la rivoluzione e nei primi anni del potere sovietico, a sottolineare la decisiva importanza della costruzione economica e dello sviluppo della produzione per il consolidamento del potere dei Soviet. Nella capacità di affrontare e risolvere in modo nuovo, con la in[...]

[...]Nuovo.
I documenti del convegno
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Solo dal 1918 Lenin cominciò a essere conosciuto, tradotto, pubblicato, letto ampiamente, in Italia. Con prevalenza, però, degli scritti dedicati alla lotta immediata di quegli anni, contro il socialsciovinismo e il centrismo, per la creazione di partiti comunisti in tutti i paesi, per la fondazione e l'organizzazione della Internazionale comunista. Dei grandi lavori teorici, vengono allora conosciuti l'Imperialismo, Stato e rivoluzione, la Ripoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, le relazioni e le tesi per il I e per il II Congresso dell'Internazionale comunista, quindi l'Estremismo, e i discorsi al III Congresso, che ne sono quasi un commento. Meno noti Che fare?, Due tattiche e Un passo avanti e due indietro. Difficilissimi a trovare e quindi quasi sconosciuti Lo sviluppo del capitalismo in Russia e L'empiriocriticismo 1 . Si può ritenere che nel 1922, quando si recò nell'Unione sovietica, Gramsci già fosse a conoscenza di tutti questi scritti. Da essi risultavano le tesi fondamentali del lenini[...]

[...]o, e i discorsi al III Congresso, che ne sono quasi un commento. Meno noti Che fare?, Due tattiche e Un passo avanti e due indietro. Difficilissimi a trovare e quindi quasi sconosciuti Lo sviluppo del capitalismo in Russia e L'empiriocriticismo 1 . Si può ritenere che nel 1922, quando si recò nell'Unione sovietica, Gramsci già fosse a conoscenza di tutti questi scritti. Da essi risultavano le tesi fondamentali del leninismo, circa l'analisi dell'imperialismo e il carattere del periodo storico aperto dal passaggio a questa fase suprema della economia capitalistica, circa la natura dello Stato borghese e della dittatura proletaria, il carattere della Rivoluzione di Ottobre e dello Stato sovietico e circa le fondamentali questioni della strategia e tattica rivoluzionarie del partito della classe operaia.
Nel 1922, quando Gramsci giunse in Unione sovietica e vi risiedette alcuni mesi, si era tenuto da poco piú di un anno il X Congresso del PC russo (b), si era chiusa la discussione sui sindacati e si compiva il passaggio alla Nuova politica economic[...]

[...]iero politico leninista, da un lato la insistente polemica di Gramsci contro l'economismo e Ì interpretazioni economistiche del marxismo, (essa è permanente in tutti i Quaderni), dall'altro lato la complessa indagine che fa scaturire le prospettive politiche e rivoluzionarie dalla analisi della struttura economica e dei reciproci suoi rapporti con la sovrastruttura ideale, sociale, politica. La guida delle conclusioni leniniste sulla natura dell'imperialismo fa superare a Gramsci il panto morto cui era giunta, all'inizio del secolo, l'indagine politica di Antonio Labriola e alla quale aveva corrisposto, in sostanza, la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall'estremismo verbale. La concezione leninista della rivoluzione e la successiva, sempre piú profonda, esperienza della strategia e della tattica leniniste lo illumina sempre meglio nella ricerca delle condizioni di sviluppo della rivoluzione in Italia. È questo il punto di partenza, tanto direttamente (negli scritti del 191926), quanto per via indir[...]

[...] se si vuole trasformarla. L'intelligenza è pessimista. L'ottimismo incomincia dalla volontà.
4. — Parte essenziale di tutta la dottrina leninista della rivoluzione
e del pensiero di Gramsci è, in questo quadro generale, la determinazione della nuova posizione che la classe operaia viene ad assumere, internazionalmente e in ogni paese, nel momento in cui si apre, per la stessa maturità oggettiva della struttura borghese del mondo (capitalismo, imperialismo, colonialismo), la fase del passaggio a una nuova struttura e a un nuovo ordinamento sociale. La classe operaia diventa classe nazionale, perché esistono le condizioni di un nuovo blocco storico, cioè di un nuovo rapporto tra la struttura e le sovrastrutture. Questo nuovo rapporto è reso necessario dallo sviluppo delle forze stesse della produzione e ha quindi inizio un movimento attraverso il quale la nuova classe viene organizzando la propria egemonia e il proprio avvento al potere.
Quale relazione si stabilisce, quindi, tra la situazione internazionale e i rapporti nazionali? Di grande im[...]



da Enea Cerquetti, Si accumulano le tensioni politiche e militari [sopratitolo: L'Italia nel Mediterraneo] in KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 12 - 19 - numero 50

Brano: [...] per operare con efficacia politica dentro una Italia che nel MEC è il meridione dell'Europa comunitaria, mentre, nello stesso tempo, è al centro geografico e politico militare del comando meridionale della NATO e sarà il centro politico economico della progettata Organizzazione per lo sviluppo del Mediterraneo.
Sviscerare le implicazioni di questo duplice ruolo e delle possibili linee di lotta, tuttavia, non basta: la complessa iniziativa dell'imperialismo sta già ampliando lo spazio politico e militare entro cui il nostro paese è costretto ad operare, e lo scopo di questo articolo è appunto quello di segnalare tendenze in atto che complicano il nostro duplice ruolo individuato nel recente colloquio di Palermo «Mediterraneo '70 ».
Si profila infatti una sistemazione militare che vede il Comando napoletano non solo dominare l'Europa meridionale, il Mediterraneo, l'Africa settentrionale e il Medio Oriente fino al Pakistan compreso, ma vede già delinearsi la costruzione di uno schema di area geostrategica che comprende tutto il continente african[...]

[...]rebbero Israele, Sud Africa e Portogallo.
Articoli e saggi chiaramente finanziati dia questi Stati e apparsi in riviste militari europee prefigurano un simile schema, chiedendo a gran voce, non tanto di agire sulla organizzazione militare della CENTO — oui appartengono Turchia, Iran e Pakistan, nonchè Inghilterra e USA — ma di agire direttamente sulla NATO, cui il Portogallo, dei tre, già appartiene fin dall'inizio.
Consci del loro ruolo per l'imperialismo statunitense ed europeo occidentale e facendo leva sul generale rilancio delle strategie e delle organizzazioni aeronavali, questi paesi sono prodighi nell'offerta di servizi e di consigli.
Il Portogallo, membro della NATO fin dal 1949, ha visto rafforzarsi il suo ruolo di punto strategico di connessione tra Comando Atlantico e Comando Europeo. Con la costituzione del nuovo comando subordinato dell'Iberlant esso può essere oggi più del tradizionale punto di controllo dell'accesso di Gibilterra al Mediterraneo e della navigazione nell'Atlantico orientale (da Madera alle Azzorre). Esso ha otte[...]

[...]rotezione da una parte della chiusura di Gibilterra e dall'altra degli sbarramenti naturali dei Pirenei: l'uscita della Francia dall'Organizzazione, esalta infatti il ruolo della penisola Iberica come appoggio primo, oltre Atlantico, verso l'Europa.
In cambio il Portogallo chiede tra l'altro sostegno nelle sue colonie o che comunque la NATO abbia anche una politica e una presenza in Africa.
Israele, da parte sua, da decenni ha il sostegno dell'imperialismo. Tuttavia, oltre il tradizionale aiuto economico, politico, diplomatico, in armamenti e in servizi d'informazione, oggi partecipa a manovre navali combinate con le squadre del comando napoletano. Per bocca dei suoi esaltatori sulla stampa militare, come Paul Giniewsky, lo Stato sionista brandisce il suo stock di armi nucleari — già trasportabili dagli aerei Skyhawks entro un raggio di 600 chilometri e ora trasportabili dai Phantom, nel raggio di mille — e si presenta come potenza militare imbattibile e che sta ottenendo successi nella costruzione di aerei e di impianti per il transito di petr[...]

[...]he ne risulterebbe declassato. Israele, d'altra parte, in stretta collusione col Sud Africa, ha intenzione di tenerlo ben chiuso e progetta per sé quegli impianti alternativi già ricordati e che pomperebbero un quantitativo annuo pari a quello già trasportabile attraverso il canale.
Il Sud Africa, dunque, rispetto ai suoi partners maggiori, come il Portogallo e Israele, o minori, come la Rhodesia, è lo Stato che più vocifera sul suo ruolo per l'imperialismo occidentale. Esplicitamente, e lo dimostra in tutto quel che avviene nell'Africa meridionale, nelle vicine colonie portoghesi nonchè negli Stati razzisti della Rhodesia e del South West Africa, esso dichiara di volersi sostituire al « vuoto » presunto lasciato dalla decolonizzazione. Ciò tuttavia non basta. I sudafricani guardano al vuoto che tra un anno l'Inghilterra lascerà nell'Oceano Indiano e sono inoltre impazienti nel far constatare che il Ca mando Atlantico della NATO ha responsabilità limitate fino al Tropico settentrionale. Oltre la presenza statunitense, che tuttavia per ora non è [...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]oi esaltato per la sua tormentata interiorità morale da un lato, per il suo « cosmopolitismo » dall'altro: due fermenti entrambi dissolutori del nazionalismo romano.
Per quante riserve si debbano fare sul concetto marchesiano di « umanità eterna », è indubbio che la contrapposizione homocivis ha dato al critico una chiave preziosa per comprendere i valori piú profondi della letteratura latina, che non nascono dall'adesione al patriottismo e all'imperialismo romano, ma (tranne l'età arcaica, che del resto è già un'età piena di cultura e ha un suo complesso rapporto, messo in luce forse meglio che da
4 Cfr. la testimonianza riportata da Cu. O. BRINK in « Annali della Scuola Normale », ser. In, viii, 1978, p. 1225 s.
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chiunque altro da Scevola Mariotti, con l'alessandrinismo: cfr. « Belfagor » xx, 1965, p. 34 ss.) da un senso di crisi, di pessimismo, di saggezza dolorosamente conquistata, di rimpianto per una Roma primitiva ormai non piú resuscitabile. Io, nei capoversi precedenti, ho in parte citato passi di Marchesi div[...]

[...]ervatore in politica interna ha tuttavia profondamente interessato Marchesi. Oserei dire che, per alcuni aspetti (soprattutto per l'acutezza di certi giudizi politici, cfr. La Penna, p. 65 s.), il Tacito è superiore al Seneca proprio perché l'identificazione fra il critico e il suo autore è meno immediata. Forse, però, Marchesi ha visto troppo poco in Tacito la coscienza (ad un livello piú profondo del livello « patriottico ») dell'iniquità dell'imperialismo romano e del suo avviarsi alla decadenza,, nonostante l'età « aurea » di Nerva e di Traiano. Egli accenna — ed è vero — che Tacito narra senza un moto di pietà i massacri di barbari compiuti dai soldati romani; soltanto tardi, negli Annali, si farebbe strada talvolta un moto di « ammirazione e di riverenza a quei barbari eroici » (p. 165, 2a ed. p. 158); ma anche qui — nei discorsi di Arminio, Ann. II 15, e di Carataco, xii 34, e nel giudizio conclusivo su Arminio, II 88 — Marchesi vede soltanto, da parte di Tacito, una ricerca artistica di drammatizzazione: « in questi rilievi personali l'ar[...]

[...]sorgere l'homo, c'era voluto il civis: un civis molto piú ricco di disciplina e di virtú militari che di spirito democratico (troppo presto soffocato dopo i parziali successi dei primi secoli della Repubblica): un civis che proprio in conseguenza delle grandi conquiste mediterranee aveva sempre piú perduto i propri diritti economicosociali e politici, cosicché non si era nemmeno avuta, specie dalla guerra annibalica in poi, quella coesistenza di imperialismo rapace e di democrazia all'interno della polis che vi era stata nell'Atene periclea. E nella creazione dell'Impero avevano avuto una parte importante alcuni capi, alcuni « uomini forti » che Marchesi, disprezzatore della poesia politica e celebrativa, ammirava, anche, certo, per il suo invincibile aristocraticismo, ma soprattutto perché da un lato, comprimendo il potere dell'oligarchia senatoria, avevano esercitato un'azione, in qualche modo, « popolare » (a proposito di Cesare questo motivo, di chiara origine mommseniana, è indicato dal La Penna, p. 34; e in generale direi che Marchesi, giud[...]

[...]to motivo, di chiara origine mommseniana, è indicato dal La Penna, p. 34; e in generale direi che Marchesi, giudice storicopolitico non sempre ugualmente acuto, raggiunge il massimo di appassionata lucidità nel disprezzo per l'oligarchia senatoria), dall'altro avevano fatto acquisire allo Stato romano quell'estensione e quel carattere cosmopolitico che avevano conferito alla letteratura latina la sua « universalità ».
Da questo punto di vista l'imperialismo diventava, paradossalmente ma non illogicamente, superiore al patriottismo, perché era una via alla dissoluzione delle angustie nazionali. Una frase come quella che leggiamo nell'Epilogo della Storia (ii`, p. 468): « Perché la civiltà va oltre la nazione ed è, per sua intima e prepotente natura, imperiale: se per impero s'ha da intendere la vasta unità civile delle genti », letta in periodo fascista poteva prestarsi a gravi fraintendimenti, e di questo rischio Marchesi si curò troppo poco; tuttavia il contesto dimostra che fondamentalmente l'impero era visto da Marchesi diversamente che dai l[...]



da Goffredo Linder, Dietro Barzani adesso c'è lo scià [sopratitolo: La guerriglia kurda aumenta la tensione in Medio Oriente] [sottotitolo: Precedenti storici di una rivendicazione nazionale e democratica. Come il regime progressista di Bagdad ha risolto il problema dell'autonomia del Kurdistan. La casta dominante kurda, di fronte a profonde riforme strutturali, passa dalla parte dell'Iran. Un disegno pericoloso e articolato dell'imperialismo americano. Ma questa volta la maggioranza del popolo kurdo non s... in KBD-Periodici: Rinascita 1974 - 5 - 17 - numero 20

Brano: La guerriglia kurda aumenta la tensione in Medio Oriente
Dietro Barzani
atlesso c'è lo scià
Precedenti storici di una rivendicazione nazionale e democratica. Come il regime progressista di Bagdad ha risolto il problema dell'autonomia del Kurdistan. La casta dominante kurda, di fronte a profonde riforme strutturali, passa dalla parte dell'Iran. Un disegno pericoloso e articolato dell'imperialismo americano. Ma questa volta la maggioranza del popolo kurdo non segue i vecchi capi
Mer Caspienne
di Goffredo Linder
E' una guerra segreta, ma non tanto. Può apparire come uno dei non pochi conflitti di minoranze etniche che riaffiorano qua e là nel mondo, ma non è così. Parliamo del brusco risveglio della guerriglia (ma per le sue proporzioni è una guerra) kurda che si è avuto nelle ultime settimane in Iraq. Il fatto è in sé grave e non marginale per il contesto in cui si svolge (la crisi mediorientale), per le tendenze che conferma della minaccia iraniana che pesa sulla penisola arabica, [...]

[...]uerra) kurda che si è avuto nelle ultime settimane in Iraq. Il fatto è in sé grave e non marginale per il contesto in cui si svolge (la crisi mediorientale), per le tendenze che conferma della minaccia iraniana che pesa sulla penisola arabica, e più in generale delle tensioni che permango no e, in qualche caso si accrescono, in una regione decisiva del mondo non solo per le sue risorse petrolifere, ma anche per la strategia politicomilitare dell'imperialismo nell'Oceano Indiano. Che cosa in effetti è mutato nella lotta dei kurdi che negli ultimi cinquant'anni hanno ripreso per la quinta volta le armi? Che cosa di diverso vi è nelle qualità della loro lotta di oggi contro il potere centrale di Bagdad rispetto a quella protrattasi per più decenni sulla base di una rivendicazione conseguente di autonomia?
Per dispondere a questi interrogativi occorre riepilogare brevemente la storia degli ultimi decenni. I kurdi, si sa, sono un gruppo etnico indoeuropeo, convertito all'islamismo, di 15 mi lioni di persone, di cui due milioni risiedono in Iraq, ment[...]

[...]i questi ultimi si accresce dopo il conflitto araboisraeliano dell'ottobre 1973: sull'onda dei successi conseguiti in Egitto, la diplomazia kissingeriana guarda con sospetto e preoccupazione all'Iraq (e alla Siria) che ostacolano un progetto di riassorbimento del mondo arabo nell'ambito di una zona d'influenza americana.
Altre orecchie nel frattempo non so no rimaste chiuse: quelle iraniane. In parte in funzione statunitense, come sede di un subimperialismo di tipo brasiliano, in parte per ambizioni proprie, in_parte per la paura di un paese progressista ai suoi confini, l'Iran a partire dal 1970, ancor più dal 1972 (anno della nazionalizzazione) e in modo massiccio dopo il conflitto araboisraeliano, dà a Barzani armi, istruttori, viveri, gli mette a disposizione basi e mezzi. Il patto tra il leader kurdo e lo scià di Persia a questo punto è esplicito: l'agitazione nazionalista non si propagherà tra i kurdi iraniani, la guerriglia dovrà minare il regime pro gressista di Bagdad o almeno corroderlo fino a una crisi insostenibile, e in cambio si po[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine imperialismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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