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Il segmento testuale gismo è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 45Analitici , di cui in selezione 2 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]i, eppure legato a una concezione aristocratica della vita e a un senso dell'arte come creazione assolutamente individuale; angosciato dal dubbio esistenziale, dal « mistero », da un bisogno di fede religiosa sempre insoddisfatto e sempre perdurante, eppure non toccato da alcun dubbio di fronte alle atrocità staliniane, nemmeno quando esse, troppo tardi e troppo poco, furono sconfessate dal comunismo « ufficiale »; ostile all'aridità del « filologismo », eppure, quando si dedicava a lavori filologici, seguace proprio di una filologia « arida », senza ricerca di connessioni con la storia politicoculturale e la critica letteraria. Giustamente il La Penna ritiene (p. 93 s.) che queste ed altre contraddizioni, se devono essere francamente messe in rilievo e criticate, non per questo inducano a un giudizio svalutativo su Marchesi:
Ci sono personalità coerenti, in cui la coerenza è facilitata dalla povertà spirituale; ce ne sono altre ricche e incoerenti, in cui l'incoerenza è aggravata dalla ricchezza stessa: Marchesi è tra queste ultime [...][...]

[...]. La Penna, p. 13). Ancor maggiore è l'estraneità a quell'indirizzo filologico « wilamowitziano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marchesi il fatto poetico ha i propri antecedenti solo nell'esperienza sentimentale, nella psicologia e nella biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
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fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positi[...]

[...]assici a Padova, Padova, Antenore, 1976, p. 23 ss. Fra le poche traduzioni in versi riuscite, giustamente il Pianezzola (pp. 3638) cita e riporta la monodia di Tieste nell'omonima tragedia di Seneca e una parte del coro delle Troades sulla morte come annullamento.
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incomprensione, credo anche antipatia personale. Forse l'unica allusione a Pasquali (finora, che io sappia, non notata) si trova appunto in Filologia e filologismo, e riguarda ancora quella che a Marchesi sembrava una stortura nella moderna ricerca delle fonti, il voler rintracciare fonti diverse dalle poche dichiarate e confessate dagli stessi autori antichi: « Cosí non è creduto Orazio quando dichiara che i suoi ispiratori sono fra i lirici classici della Grecia » (SM, III, p. 1236). L'Orazio lirico era uscito appena tre anni prima della prolusione di Marchesi: mi pare indubbio che Marchesi voglia colpire la tesi, effettivamente, piú discutibile (anche se non liquidabile senz'altro) del libro pasqualiano: la derivazione della lirica oraziana dalla lir[...]

[...] frettolosa, e rivela una lettura non sempre attenta. Tuttavia è affermato giustamente con forza il carattere non manualistico dell'opera, il « vigore d'ingegno » che essa rivela: Marchesi tende addirittura a forzarne il carattere antierudito, ad affermare che si tratta di « un'opera, piú che critica, artistica », il che è conforme piú agli ideali di Marchesi stesso che alle intenzioni e alla realtà del volume del Leo. Anche in Filologia e filologismo (SM, III, p. 1241), fra tante riserve e censure riguardo alla filologia tedesca, spicca un alto riconoscimento del valore del Leo. Osserva il La Penna (p. 55) che questa « è un'eccezione che non incide troppo sull'atteggiamento generale », ed è vero. Ma su un punto la lettura del Leo influí positivamente su Marchesi: sulla valutazione di Plauto, poeta di grande originalità, ma non popolaresco in senso immediato e triviale, bensí dotato di cultura, di raffinato senso ritmico, esprimentesi in una lingua piena di espressività e di forza vitale, ma non « volgare ». Si confronti l'accenno a Plauto[...]

[...] dei miti e delle mistificazioni (p. 96: è la chiusa del saggio).
L'esortazione alla « misura » e al « rispetto della verità » non si riferisce soltanto, credo, alla mancanza di interesse storicoculturale e al misticismo estetico a cui abbiamo già accennato. Si riferisce anche, suppongo (e ciò, forse, andava piú messo in rilievo) alla sicurezza assoluta di giudizio che Marchesi ha sempre mostrato nella sua opera di critico. In Filologia e filologismo (SM, III, p. 1235; cfr. II, p. 544) Marchesi afferma drasticamente: « Noi sappiamo che se i gusti sono tanti, il buon gusto è uno solo » (sua è la sottolineatura). Croce credeva di sfuggire al relativismo del giudizio estetico con la famigerata teoria dell'identità di genio e gusto (Estetica, cap. xvi): dell'atto del giudizio non è protagonista il critico in quanto « individuo empirico », ma il Soggetto assoluto che opera in lui, e che è anche (esso, e non il poeta in quanto altro individuo empirico) il creatore dell'opera d'arte. Marchesi non aveva dimestichezza con questi filosofèmi (al suo[...]

[...]a e critica che tagliava fuori Cattaneo, Pisacane, la prima scapigliatura, e fondamentalmente non capiva nemmeno Leopardi. Tuttavia nello Studio sul Leopardi, l'ultima opera rimasta incompiuta, c'è un'esigenza di ricerca filologicostorica e addirittura di preparazione bibliografica, di metodo
« tedesco ». Che cosa di tutto ciò ereditò Marchesi? Direi nulla, anche a volersi limitare al « gusto », che In Marchesi è sempre collegato con uno psicologismo, con una predilezione per le « anime tormentate » a cui De Sanctis (anche per
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ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica » assunta in un senso un po' troppo generico. Ciò che in seguito diremo su Marchesi « tardopositivista » contribuirà forse a distaccarlo ulteriormente dal De Sanctis. Ma anche rimanendo nella cerchia degli eventuali predecessori medioottocenteschi, direi che, pur con la giusta avvertenza di La Penna (p. 37: in [...]

[...]etto nulla neanche su quell'aspetto di vitalità sorgiva, « al di qua del bene e del male », che è un carattere di alcuni tra i piú vivi epigrammi, messo piú tardi in evidenza dal La Penna (« Maia » vut, 1955, p. 137). Anche al Seneca (il libro a cui probabilmente Marchesi teneva di piú, come dimostra la dedica alla memoria della persona da lui piú amata, sua madre) nuoce talvolta un eccesso di autobiografismo che è, insieme, un eccesso di psicologismo, di quella predilezione per le « anime tormentate » a cui già s'è accennato. L'ammirazione per Seneca passa ogni limite: da molti passi sembra chiaro che Marchesi lo consideri l'autore piú grande di tutta l'antichità, se non di tutta l'umanità. Nella
5 In un saggio giovanile su un volgarizzamento medievale della Pharsalia (SM, i, p. 247, segnalato brevemente dal LA PENNA, p. 21) Marchesi sembra aver intuito, attraverso il Fortleben di Lucano nel Medioevo, i due principali motivi ispiratori — strettamente legati l'uno all'altro — di questo poeta: l'esasperato e disperato libertarismo e la neg[...]

[...] po' aridamente tecnica (quante pure e semplici collazioni di codici, ora raccolte in SM, nel primo quindicennio di attività!)
e una critica letteraria aliena da ogni filologia va messa in rapporto, a mio avviso, con una pratica di lavoro frequente in molti filologi classici o, ancor piú, italianisti o romanisti della « scuola storica », che alternavano a un'erudizione troppo arida una saggistica fin troppo divulgativa, con tendenza allo psicologismo e al « bello scrivere », spesso anche alla retorica. Naturalmente si sottraggono a tale caratterizzazione capolavori come il Virgilio nel Medio Evo del Comparetti; ma non vi si sottrae del tutto il Carducci (a
9 Specialmente negli ultimi anni, e in scritti di argomento estraneo alla letteratura latina, l'accenno ai « tre presenti » compare piú volte, anche senza che Agostino sia nominato: cfr. Umanesimo e comunismo, pp. 30, 45, 182, 342; ma in una forma estremamente generica, per significare l'intero corso della storia umana, oppure ciò che è sempre attuale. Si ha l'impressione che Marchesi [...]

[...]oduzione giovanile di Marchesi tratta in modo eccellente il La Penna nel cap. ir del suo saggio, e io non ho nulla da aggiungere; qualcosa, piú oltre, dirò del Marchesi filologo classico.
Con ciò non intendo certo sostenere che Marchesi abbia trascorso la maggior parte della sua vita intellettuale chiuso dentro una corazza tardopositivistica, insensibile ad ogni influsso del neoidealismo e dell'irrazionalismo novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), la preferenza per la critica letteraria monografica o per la storia come « collezione di monografie », erano aspetti della sua personalità che — uso una felice espressione del La Penna, p. 78, a proposito della Storia della letteratura latina — « convergevano con una certa impostazione idealistica ». E infatti, come ricorda ancora il La Penna, la Storia fu lodata da Croce (cfr. Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, ir, Bari 19473, p. 197) ed ebbe ottima accoglienza nella cultura italiana degli anni Trenta. P[...]

[...]stuale marchesiana, l'indirizzo troppo conservativo, di cui fornisce (a p. 30 e in un'appendice a pp. 101103) parecchi esempi, discutendo intelligentemente vari passi e proponendo anche qualche suo contributo persuasivo.
Sia la valutazione generale di Marchesi filologo, sia le discussioni lapenniane di singoli passi sono in massima parte giuste. E rimane ovvio che per la sua indole stessa di criticoartista, per la sua polemica contro il « filologismo » che assieme al filologismo tendeva a svalutare la filologia, Marchesi non poteva riuscire un filologo di prima grandezza: il centro della sua personalità e dei suoi interessi era altrove.
Su due punti, tuttavia, mi sembra necessaria una precisazione. Per quel che riguarda il primo periodo dell'attività criticotestuale di Marchesi (cioè fino all'Arnobio escluso), mentre le edizioni dell'Orator, del De magia e dell'Ars amatoria vanno abbandonate senza rimpianti al giudizio negativo del La Penna — si potrà sempre discutere su qualche singolo passo, ma il quadro d'insieme non muta —, quella del Tieste di Seneca è un'edizi[...]

[...]otestuale: nell'introduzione al Tieste il Leo e il Richter sono chiamati, in contesti polemici, « gli studiosi tedeschi », « gli editori tedeschi » (pp. 29, 38), e di « pernicioso influsso germanico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filologismo (SM, in, pp. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che da un lato anticipavano molti sviluppi delle lingue romanze, dall'altro si riconnettevano al latino arcaico, in parte per consapevole arcaismo, in parte maggiore per riemersione di una ininterrotta corrente di lingua popolare rimasta celata sotto la lingua letteraria degli scrittori dell'età classica. Non si trattava, quindi, da parte del Löfsted[...]

[...] Arnobio, come si sa, è uno solo) o forse a esercitazioni di seminario su testi medievali: non certo, per ovvie ragioni cronologiche, alle edizioni degli anni 190418, quando Marchesi non aveva ancora quel gusto per la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcuno dei suoi volumi piú tardi la prolusione Filologia e filologismo, e, aggiungo, a fargli apprezzare lavori di filologia « arida » come gli Studi sui Topici del Riposati (dr. Franceschini, p. 44). Ma, detto tutto ciò, vorrei ancora pregare di non frainten
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 669
dermi: anche nell'ultimo Marchesi la filologia, pur tanto meglio apprezzata e praticata, rimase un'attività marginale.
9. Tommaso Fiore e gli « intellettuali disorganici ». — Se ora, dopo essermi soffermato cosí a lungo sul Marchesi di La Penna (mettendo a dura prova la pazienza dell'eventuale lettore), non mi soffermo sul piú breve saggio su Tommaso Fiore interpre[...]



da (Mito e civiltà moderna) Vittorio Lanternari, Frammenti religiosi e profezie di libertà fra i popoli coloniali in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]egri, favoriva un'atmosfera sempre più ostile ai bianchi, vagheggiava la fondazione di una « chiesa nativa » (10). Ormai perseguito dall'autorità amministrativa, Kimbangu veniva arrestato, fuggiva, ma poco dopo si sottometteva volontariamente all'arresto, anche in ciò esprimendo il suo atteggiamento di « imitatore di Cristo ». Moriva più tardi in carcere a Elisabethville nel 1950 (11).
Al di là della intransigente polemica antibianchi, il Kimbangismo rappresenta un momento notevolmente avanzato, e nello stesso tempo dimostra quale sia il preciso, inderogabile limite nel processo di rinnovamento della cultura religiosa aborigena al contatto con la cultura cristiana. In effetti nel Kimbangismo alcuni essenziali elementi della tradizione culturale aborigena — culto di guarigione, tema del ritorno collettivo dei morti, figura di un Essere supremo, ecc. — vengono riplasmati entro un complesso di nuovo genere, che costituisce un rinnovamento — non una semplice continuazione — della tradizione: p. es. l'iconoclastia antifeticista, che pur ha indubitabili legami con l'antistregonismo delle società segrete, é un elemento di rottura con la piú antica tradizione magica (12). D'altra parte il Cristianesimo portato dai missionari in esso viene esplicitamente reinterpretato in funzione emancip[...]

[...] fondatore e martire egli stesso,
(10) E.alandier 1955, 42831; Andersson, 63.
(11) Andersson, 637.
(12) Si noti tuttavia che lo stregonismo e il feticismo sono fenomeni ben differenti, il primo (magia nera) avendo valore antisociale, il secondo invece essendosi volto contro il primo, a difesa della società.
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alla pari di Cristo e di Mosè, di una religione direttamente rivelata da Dio per i Negri.
In tal senso il Kimbangismo, come ogni movimento profetico, ha una sua netta ambivalenza, perché se da un lato é il prodotto di reazione polemica alla politica di forzata assimilazione religiosa connaturata alla propaganda missionaria, dall'altro lato rappresenta il veicolo all'accettazione di notevoli elementi cristiani da parte nativa. Senonché anche tale accettazione é condizionata ad una decisa esigenza di autonomia ed emancipazione religiosa. Non per nulla il Kimbangismo, già nella sua forma originaria, enuncia il bisogno di una chiesa « nativa ». Il principio verrà ben presto attuato dai successori del fondatore, ma già il Clan nazionale Negro è una sorta di chiesa nativa (13). Il principio della « chiesa nativa » denuncia un fenomeno particolarmente importante: che se il contrasto con la cultura orientale é valso a porre i Nativi di fronte alla necessità di un profondo rinnovamento culturale, la « via » di tale rinnovamento vuole e deve essere scelta dagli stessi Nativi, fuori e contro ogni imposizione dei bianchi.
La deportazione di Simon Kimbangu non val[...]

[...]le é valso a porre i Nativi di fronte alla necessità di un profondo rinnovamento culturale, la « via » di tale rinnovamento vuole e deve essere scelta dagli stessi Nativi, fuori e contro ogni imposizione dei bianchi.
La deportazione di Simon Kimbangu non valse a spegnere il movimento religioso da lui fondato. Gli indigeni continuavano a seguirne
i riti in modo clandestino nelle foreste, mentre nuovi profeti mantenevano viva la fiamma del Kimbangismo o Gunzismo (14), il quale attraverso alterne fasi di reviviscenza e repressione, tra arresti e deportazioni, penetrò profondamente nel Congo fino al 1930, quando sorse un'altra grande personalità, André Matsúa (15).
Nativo del gruppo Balali (tribú Sundi Ladi) presso Brazzaville, di educazione cattolica, partecipò alla prima guerra mondiale, fu in Francia ove frequentò circoli politici come l'« Union des Travallieurs Nègres », la « Ligue de la Defense de la Race Nègre », etc., e divenne ben presto un eminente condottiero politico. Fondò in Francia (1926) il movimento « Amicale Balali» comunem[...]

[...]asi — fra convulsioni epilottoidi —, che si trasmette al pubblico dei proseliti, in un'atmosfera di eccitazione collettiva (27). Ora, i fedeli ritengono che l'ispirazione che li fa entrare in crisi d'estasi provenga dagli spiriti dei morti risorgenti dalle tombe (28). Così gli elementi tradizionali s'intrecciano con i nuovi elementi cristiani in un complesso religioso che serba intero lo spirito di emancipazione antibianchi già proprio del Kimbangismo. « Il Regno verrà — annuncia una profezia kakista reinterpretando a suo modo l'idea cristiana del "Regno" — quando Matsúa e Kimbangu torneranno tra i Negri, apportatori di potenza e dominio : sarà il `regno africano' ». « Dio di Abramo, Dio di Giacobbe, Dio di Simon Kimbangu e di André Matsúa — così suona la preghiera di Mavonda Ntangu —: quando scenderà la benedizione e la libertà su di noi? Orsù tralascia di ascoltare le preghiere dei bianchi, già a lungo ascoltati da te. Basta con le benedizioni ricevute da loro! ora volgiti a noi. Amen » (29).
(26) Balandier 1955, 43135, 44763; Andersson[...]

[...]n, 193.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 67
Così il messaggio profetico di libertà fonde indissolubilmente il momento religioso con il momento politico: perché al livello di queste culture l'esperienza sacrale tanto più insopprimibilmente accompagna le esperienze profane, quanto più queste ultime si rendono, per condizioni obiettive, angosciose e pungenti.
Nell'atmosfera messianica sviluppata nel Congo dal Kimbangismo con le sue varie emanazioni trova la sua giustificazione un particolare fenomeno che vale la pena di ricordare, promosso dall'arrivo, nel 1935, dell'Esercito della Salvezza (Salvation Army). Questa organizzazione laica avente scopi puramente umanitari, scevra da interessi istituzionali ed ecclesiastici, estranea ad ogni forma di proselitismo, si configuro ben presto all'occhio dei nativi come la controparte, sorprendentemente attraente, delle missioni cristiane. Quanto queste, per i sistemi coercitivi, l'intransigenza dei metodi, il rigorismo dottrinale riuscivano invise a gran parte della po[...]

[...]ngola col motto « l'Africa agli Africani! ». Simon Toko nel 1949 fondava un nuovo movimento, la « Stella rossa », basato sul principio che Dio sta con i più, e perciò in Africa Egli é a fianco degli Africani. Secondo la profezia di Toko, Dio invierà un suo figliomessia incarnato in un Negro, a redenzione dei Negri (31). Così dal sincretismo negrocristiano va sviluppandosi una coscienza religiosa panafricanista — già implicita del resto nel Kimbangismo, Gunzismo e Kakismo —, fondata su una omogeneità di esperienze di fronte ai bianchi e su una crescente consapevolezza etnicoculturale determinata dallo stesso confronto con la cultura straniera egemonica.
Mentre nell'Africa equatoriale e nel Congo, fra alterne esplosioni e repressioni, in un ininterrotto processo di proliferazioni sotterranee
(3G) Andersson, 12635.
(31) Tastevin 1956.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 69
e di efflorescenze visibili il messianesimo indigeno s'incrementava irradiandosi a regioni vicine e lontane, venivano diffondendosi a mano [...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine gismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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