Brano: [...]mera il 13.9. 1919. resterà isolato dai fatti e servirà soltanto a paralizzare l’azione dei partiti di massa, in modo non molto dissimile da come, tra il luglio e l’ottobre del 1922, l’equivoco atteggiamento di Facta contribuirà (peraltro in una situazione di ben più organica e accentuata debolezza delle forze popolari, ormai logorate da due anni di offensiva reazionaria) a neutralizzare le ultime resistenze all'ascesa del fascismo al potere.
D'Annunzio e il fascismo
Sulla scia di D’Annunzio avanzava intanto in posizione subordinata, ma a distanza via Via decrescente, Benito Mussolini. I due si erano tenuti continuamente in contatto nei mesi che avevano preceduto la spedizione a Fiume, e il poèta aveva informato il capo del fascismo delle proprie intenzioni.
Il 25.9.1919, ossia pochi giorni dopo la marcia di Ronchi, Mussoljni scriveva a D’Annunzio facendo le seguenti proposte: « 1. Marciare su Trieste. 2. Dichiarare decaduta la monarchia. 3. Nominare un direttorio di governo, che potrebbe essere composto da Giardino, Caviglia,. Rizzo e[...]
[...] e del quale direttorio Voi sarete presidente. 4. Mandare truppe fedeli a sbarcare in Romagna (Ravenna), nelle Marche (Ancona) e negli Abruzzi, per aiutare la sollevazione repubblicana ».
Una settimana dopo, il 2.10.1919, Mussolini scriveva sul Popolo d’Italia: « Molta gente spasima per non poter andare a Fiume, ma io mi domando: Non c’é dunque più nessuno che conosca la strada per Roma? ».
Il 7 ottobre lo stesso Mussolini si abboccava con D'Annunzio a Fiume, dove subito dopo si recavano anche; due esponenti: rdel nazionalismo, Pietro Foscari ed Enrico Corradirìi, per convincere D'Annunzio a estendere la sua azióne, prima alla Venezia Giulia, pòi alle altre pro
vince e successivamente fino a Roma. E gli incoraggiamenti nello stesso senso, da parte fascista e nazionalista, si susseguirono. Si sarebbe perciò indotti a pensare che Mussolini e D’Annunzio dovessero facilmente accordarsi per il colpo di stato reazionaria su scala nazionale. Invece avvenne esattamente il contrario.
Avvenne, cioè, che di fatto Mussolini sabotò, sia pure in modo sotterraneo, il disegno dannunziano. Non fu soltanto il suo comportamento in occasione della sottoscrizione lanciata dal « Popolo d’Itali[...]
[...] fu il clamoroso voltafaccia mussoliniano all’indomani del trattato di Rapallo, quando il capo del fascismo approvò pubblicamente, dalle colonne del suo giornale, quell’atto diplomatico, abbandonando così il poeta al suo destino.
Tale atteggiamento fu determinato in primo luogo da un calcolo di carattere personale: se la marcia su Roma si fosse effettuata tra il settembre 1919 e il dicembre 1920, il « duce » non ne sarebbe stato Mussolini, ma d'Annunzio; Mussolini vi sarebbe comparso in posizione subordinata, e ciò, col suo temperamento individualista e dittatoriale, egli non avrebbe sopportato. Poi ci, fu anche, e collateralmente, un più sottile calcolo politico: Mussolini avvertiva che in quel periodo il movimento nazionalista e fascista non era ancora abbastanza forte, e la situazione generale non abbastanza matura, per tentare il gran colpo. I rischi erano troppo grandi; la classe dirigente liberaldemocratica non era stata ancora abbastanza « lavorata » come lo sarà nell autunno 1922. Per contro, l'abbandono di D’Annunzio con l’accettazi[...]