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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 679

Brano: Corporativismo fascista

Il Comando generale del C.V.L. sfila a Milano subito dopo la Liberazione. Da sinistra: Argenton, Stucchi, Parri, Cadorna, Longo, Mattei

Milano una grande sfilata partigiana, alla cui testa si trovavano tutti i membri del Comando generale.

A.Cos.

I bollettini del Comando

Dal giugno 1944 il Comando generale del C.V.L. provvide a diramare 23 bollettini periodici, in media 2 al mese, di 50 e più pagine dattiloscritte ciascuno. Ogni bollettino informava sulle principali azioni effettuate dalle formazioni partigiane e dai G.A.P., sugli scontri che avevano avuto luogo durante[...]

[...] per la Patria. Nuovo onore alla Stirpe, i Volontari della Libertà sono,

nella storia d’Italia, monito alle generazioni future. Guerra di Liberazione, 194319441945 ».

Bibliografia: L. Longo, Un popolo alla macchia, Milano, 1947; R. Cadorna, La Riscossa, Milano 1948; R. Battaglia, Storia della Resistenza Italiana, Torino, 1953; P. Secchia F. Frassati, La Resistenza e gli Alleati, 1962; G. Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Bari, 1966.

Corporativismo fascista

Per corporativismo intendesi quella particolare dottrina economica e quel sistema di organizzazione fondati sul principio di un’armonica e disciplinata cooperazione di tutte le forze produttive di una determinata società, indipendentemente dall’esistenza di contrasti di classe, anzi negando la necessità e quindi la liceità di tali contrasti, in nome di un superiore interesse collettivo. Il termine discende dalle corporazioni medioevali, che furono appunto associazioni di arti e mestieri nelle quali non esisteva distinzione tra salariati e capitalisti, e in cui tutti si attenevano a una disciplina comune. Si può[...]

[...]dalle corporazioni medioevali, che furono appunto associazioni di arti e mestieri nelle quali non esisteva distinzione tra salariati e capitalisti, e in cui tutti si attenevano a una disciplina comune. Si può dire che l’ideologia basata su tali principi (che poi si avvicinano a quelli cristiani dell’amore e della « fratellanza » tra tutti gli uomini) abbia costantemente ispirato la ricerca dei cattolici in campo economico e sociale, in quanto il corporativismo sostanzialmente nega le classi sociali, quindi la lotta di classe, alla quale la sociologia cattolica stessa ha inteso generalmente opporsi.

Data la sua componente anticlassista, ma al tempo stesso in gran parte gerarchicoautoritaria, il corporativismo ha sempre rappresentato un buon supporto teorico e pratico per i diversi regimi fascisti instauratisi nel mondo tra le due guerre mondiali, e Io è tuttora per paesi — come ad esempio il Portogallo che si dichiara « repubblica unitaria corporativa » — dove il fascismo si mantiene al potere. Indubbiamente ha concorso, alle fortune del corporativismo, quella critica oggettiva del liberismo economico costituita dalla crescente affermazione nella società moderna, della necessità di un intervento pianificatore e socializzatore dello Stato neH’economia, tanto nei paesi capitalisti quanto in quelli socialisti dove, com’è noto, il problema ha trovato la sua più radicale soluzione.

Per il fascismo italiano, tanto sprovveduto quanto ansioso di colmare le sue lacune ideologiche, il corporativismo — sia pure in una con

679



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol VI (T-Z e appendice), p. 380

Brano: [...]deschi. E quando, sotto la nuova gestione Lavai del 1942, li si volle trasformare in veri organi di collaborazione e di fornitura di manodopera agli occupanti, il risultato fu di svuotare sia i quadri dei chantiers (che si diedero in gran parte alla macchia) sia la vaga ideologia del lavoro nazionale, introducendovi pratiche di comportamento che rappresentavano un vero e proprio sabotaggio del progetto iniziale di controllo della gioventù.

Il corporativismo

Il terzo settore di intervento per l’organizzazione del consenso fu quello forse più importante: il tentativo di introdurre il corporativismo (v.) non solo come ideologia, ma anche come forma di organizzazione e di regolamentazione collettiva della società.

Se già la restaurazione dei valori tradizionali della famiglia, come cellula di base della società, aveva rappresentato un forte momento di riavvicinamento alla gerarchia cattolica e di sollecitazione del consenso dei ceti medi, la riesumazio

ne del corporativismo, nel quale si sommavano istanze di sindacalismo e di socialismo anticlassista e orientamenti di derivazione più spiccatamente cattolica, costituì l’ipoteca più consistente a favore del primato morale attribuito nel nuovo sistema alla Chiesa. Al di là delle forme organizzative, il corporativismo evocava comunque una serie di miti e di obiettivi ideali che erano già stati patrimonio della destra francese prima del Fronte popolare (v. Action francaise) : ideologie ruraliste, che si risolvevano nell'accresciuto peso sociale degli interessi agrari; lo stesso combattentismo, che dalle campagne aveva reclutato per tutte le guerre la gran massa dei militari, non era insensibile al richiamo agrarista. L’organizzazione corporativa dell’agricoltura non poteva che rafforzare e favorire nell'equilibrio delle forze gli interessi agrari. Il volto della “nuova” Francia era caratterizzato quindi dal[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 680

Brano: Corporativismo fascista

fusa e ambigua accezione — rappresentò un importante cavallo di battaglia; ma solo sul piano della propaganda di massa, poiché in realtà le parole d’ordine e le strutture corporativistiche via via sostenute e approntate dal regime ad altro non dovevano servire che a togliere l’arma dei sindacati di classe dalle mani dei lavoratori italiani, e a mettere nelle mani dei gruppi capitalistici al potere strumenti atti a meglio svolgere una politica di rapina nei confronti dell’intera economia nazionale. Una piena valutazione del corporativismo presuppone pertanto anche l’analisi del sin[...]

[...]olo sul piano della propaganda di massa, poiché in realtà le parole d’ordine e le strutture corporativistiche via via sostenute e approntate dal regime ad altro non dovevano servire che a togliere l’arma dei sindacati di classe dalle mani dei lavoratori italiani, e a mettere nelle mani dei gruppi capitalistici al potere strumenti atti a meglio svolgere una politica di rapina nei confronti dell’intera economia nazionale. Una piena valutazione del corporativismo presuppone pertanto anche l’analisi del sindacalismo (v.) fasci' sta e della politica economica svolta in Italia durante il ventennio.

Il corporativismo dei cattolici

« Il corporativismo rappresenta la diretta filiazione, in fatto di sindacalismo, del fascismo. Al fondo della sua concezione e della sua impostazione pratica sta la negazione delle classi sociali come tali, quindi la negazione della lotta di classe. Un'ideologia conservatrice, dunque, che ha trovato fertile terreno su cui innestare le proprie radici nell'analoga concezione cattolica espressa, con la sua massima autorevolezza, dalle encicliche pontificie Rerum novarum e Quadragesimo anno. Anche qui si nega la lotta di classe, mantenendo le classi lavoratrici in posizione di sottomissione nei confronti della grand[...]

[...]iva fascista. "Senza dubbio — scrisse

— il fascismo puntando con risolutezza ed ardimento, fin dal suo nascere verso l’ideale corporativo, presenta ormai un insieme di istituzioni, di leggi, di esperienze intorno ad una nuova organizzazione economicopolitica, che si impone gigantesca sopra ogni altra sorta in questo fortunoso dopoguerra — è aggiungeva —: Non scorgonsi in essa coincidenze e direttive sociali promosse dal cristianesimo?".

Il corporativismo era già perciò un punto di incontro tra due scuole sociologiche. Certamente un altro punto di incontro fu il

comune spirito antirisorgimentale. Il pensiero cattolico ufficiale in Italia era stato antirisorgimentale, non foss’altro perché il Risorgimento significava la caduta del potere temporale e la formazione di quello Stato italiano che, per ftiolti decenni, fu accusato dal Vaticano di essere uno Stato usurpatore. Il fascismo, anche se rivendicò molte glorie risorgimentali come glorie di precursori del fascismo, in realtà era, nella sua intima essenza, profondamente antirisorgimentale, [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 138

Brano: Italia

avrebbero potuto inserirsi anche i sindacati di sinistra); nello stesso tempo era necessario continuare ed allargare l'opera di inquadramento delle masse in organizzazioni rigidamente controllate dallo stato. Di qui l’importanza del corporativismo.

Le radici dell’ideologia corporativa, come è noto, potrebbero essere cercate assai prima della formazione dello stato fascista, in certi atteggiamenti della pubblicistica cattolica, ed anche nelle encicliche dei pontefici, ma il corporativismo fascista (v.) fu assai diverso da quello cattolico, nella stessa misura in cui il paternalismo cattolico è diverso dalla disciplina che gli industriali vorrebbero imporre in una grande fabbrica moderna. Il corporativismo fascista, infatti, mirò essenzialmente a trasferire nel paese i rapporti disciplinari che, grazie alla nuova situazione politica, gli industriali stavano realizzando nelle fabbriche.

Come si è detto, da parte degli industriali ci fu qualche resistenza: nel 1926, quando si discusse la questione della Carta del Lavoro (v.)f la Confindustria, dando troppo credito agli atteggiamenti di taluni esponenti dei sindacati fascisti, si preoccupò che le Corporazioni potessero in qualche misura limitare le sue possibilità di scelte economiche. Ma Mussolini respinse le obiezioni: egli aveva bisogno di u[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 630

Brano: [...]a di prove, ma il 22.2.1929 fu uguale mente condannato a 5 anni di reclusione per costituzione del P.C.I. e propaganda.

Spirito, Ugo

N. ad Arezzo nel 1896, m. a Roma nel 1979; filosofo.

Allievo di Giovanni Gentile, fu docente di Politica ed economia corporativa all'Università di Pisa e successivamente di Filosofia nelle Università di Messina, Genova e Roma. La sua fama in periodo fascista fu legata essenzialmente al ruolo di teorico del corporativismo (v.) e, soprattutto, all’interpretazione originale che egli cercò di dare dello stesso movimento corporativo.

Personaggio ruvido e irritante per la sentenziosità dello stile e per la tendenza a porre se stesso al centro di ogni dibattito [Antonio Gramsci definì sarcasticamente Arnaldo

Volpicela e Ugo Spirito « i Bouvand e Pécuchet della filosofia, della politica, del l'economia, del diritto, della scienza etc. »), fu portavoce del cosiddetto corporativismo integrale, detto anche “assoluto” e “rivoluzionario”.

Teorico del corporativismo

Assunta dal Gentile l’identificazione totalit[...]

[...].) e, soprattutto, all’interpretazione originale che egli cercò di dare dello stesso movimento corporativo.

Personaggio ruvido e irritante per la sentenziosità dello stile e per la tendenza a porre se stesso al centro di ogni dibattito [Antonio Gramsci definì sarcasticamente Arnaldo

Volpicela e Ugo Spirito « i Bouvand e Pécuchet della filosofia, della politica, del l'economia, del diritto, della scienza etc. »), fu portavoce del cosiddetto corporativismo integrale, detto anche “assoluto” e “rivoluzionario”.

Teorico del corporativismo

Assunta dal Gentile l’identificazione totalitaria di società civile e Stato, fu di Spirito la preoccupazione di un superamento totale del dualismo fra economia e politica fino alla celebre tesi della « corporazione proprietaria », da lui esposta a Ferrara nel 1932: per promuovere una fusione effettiva tra capitale e lavoro, indicava come necessaria la soppressione del sindacalismo e della contrattazione collettiva, per dar luogo alla corporazione proprietaria realizzando, a tappe, una complessiva “rivoluzione”. Egli indicava una prima fase, nella quale si sarebbe potuto stabilire per legge[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 527

Brano: [...]sti costituirono una loro organizzazione nazionale denominata Unione sindacale italiana (v.).

Da parte sua il sindacalismo cattolico individuava la propria base associativa nelle corporazioni, cioè in unioni organiche di lavoratori e datori di lavoro operanti in una stessa unità produttiva o in un determinato settore, fondamentalmente basandosi sul principio della collaborazione interclassista. Già dalla fine del secolo XIX la prospettiva del corporativismo cattolico si configurava come essenzialmente istituzionalistica e, nel Congresso dei cattolici italiani del 1903, Giuseppe Toniolo ipotizzò sindacati paralleli di lavoratori e datori di lavoro, che avrebbero dovuto trovare un collegamento a livello dirigenziale. L’ispirazione interclassista di Toniolo e il suo favore per le soluzioni arbitrali dei conflitti, basate sul principio cristiano della « giusta mercede », rimarranno il contrassegno del sindacalismo cattolico. Nel maggio del 1918 nacque la Confederazione italiana del lavoro (C./.L), della quale facevano parte i cosiddetti sindacati bi[...]

[...]bili: particolarmente importante, la concezione comunista, ampiamente dibattuta aH’interno del P.C. d’I., indicava il sindacato come veicolo, «cinghia di trasmissione» delle prese di posizione del partito, ipotizzandone quindi la dipendenza da quest'ultimo sul piano più strettamente politico.

Ma la tendenza a depotenziare politicamente il sindacato, sciogliendo

lo nel quadro di altri soggetti politici, trovò l’applicazione più drastica nel corporativismo di stato, proprio del regime fascista. Questa concezione liquidatrice, che discendeva in parte dal sindacalismo corporativista dei nazionalisti (v. Nazionalismo italiano) avrà come legislatore il ministro Alfredo Rocco (v.), secondo il quale il sindacato, non più classista, attraverso il disciplinamento di tutte le classi produttrici doveva diventare organizzazione integrale della produzione nazionale e racchiudere in sé tutti gli

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 772

Brano: [...]ione mondiale, P.d.l., n. 5, 1.5.1940).

« I Problemi del lavoro » non fu soltanto un organo di appoggio « esterno » al fascismo, ma giunse a elaborare un proprio programma politico: Rigola sosteneva la necessità di realizzare uno « stato operaio », nel quale la massa dei pro

duttori fosse divisa in « gerarchie di funzioni perfettamente solidali tra esse », per controllare i mezzi di produzione e di scambio. La rivista dichiarava che con il corporativismo non sarebbe cessato il processo rivoluzionario (P.d.l., n. 5, 1.5.1928; n. 9, 1.9.1334), ma che in ogni caso la classe operaia si doveva inserire nel processo solo come una « componente essenziale della vita nazionale » (Dopo il convegno dell’A.N.S., n. 7, 1.7.1929).

Su queste teorizzazioni influivano certe posizioni ideologiche maturate dai neosocialisti belgi, secondo i quali Io schema marxista delle classi era ormai storicamente superato in seguito all’aumento quantitativo dei ceti medi e della loro influenza sociale. Su tali premesse veniva teorizzata una « terza via », né liberista né[...]

[...]S., n. 7, 1.7.1929).

Su queste teorizzazioni influivano certe posizioni ideologiche maturate dai neosocialisti belgi, secondo i quali Io schema marxista delle classi era ormai storicamente superato in seguito all’aumento quantitativo dei ceti medi e della loro influenza sociale. Su tali premesse veniva teorizzata una « terza via », né liberista né comunista e definita pianista, che gli ex sindacalisti italiani riconoscevano in buona parte nel corporativismo fascista.

Date queste posizioni di Rigola e compagni, il fascismo diede loro una certa libertà di esprimersi. Questa era utile al regime anche per dimostrare che in Italia era possibile perfino il dissenso, nonostante tutte le accuse lanciate dagli esuli antifascisti. All’estero la stampa antifascista naturalmente attaccò sempre e con durezza il collaborazionismo dei vecchi dirigenti sindacali. In questi attacchi si distinsero l'Operaio italiano diretto da Bruno Buozzi e, fino al

1935, il comunista Lo Stato operaio. Sulla rivista comunista il compromesso di Rigola era visto come l'aspet[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 681

Brano: Corporativismo fascista

pito di garantire la « collaborazione » tra lavoratori e datori di lavoro sotto ogni aspetto (cpnciliazione, organizzazione della produzione, disciplina del lavoro, ecc.). Onde meglio assolvere alla loro funzione, le corporazioni non avevano personalità giuridica propria (quindi nessuna autonomia), ma erano dichiarate organi dello Stato, diretta emanazione del potere fascista; in altri termini, diretta emanazione del padronato.

Contemporaneamente furono costituiti il ministero delle Corporazioni e il Consiglio nazionale delle corporazioni. Mentre il primo era l’organo esecutivo[...]

[...] mistero. Il passaggio dalle formulazioni teoriche astratte alla costituzione di organi e istituti non era sembrato difficile nel clima del fervido attivismo fascista, né difettavano coloro che andavano sistemati in posti di responsabilità e in sinecure, ma l’imporre una svolta « corporativistica » alla vita del paese era tutt’altra questione. Si può dire che, in realtà, tale svolta non ebbe mai luogo, e per varie ragioni. Anzitutto, dato che il corporativismo presuppone una dialettica interna alle forze produttrici e tra le forze produttrici stesse, che non può essere assicurata senza un mi

nimo di democrazia, esisteva tra le affermazioni verbali e la realtà del fascismo una contraddizione di fatto di cui i fascisti stessi non riuscivano a rendersi conto, o pensavano che sarebbe^stata risolta creando le necessarie strutture e ordinando fascisticamente agli interessati di attenervisi. I quadri dell'organizzazione corporativa, designati secondo criteri di benemerenza politica (diretta o indiretta, per il gioco delle « raccomandazioni »), costitui[...]

[...]i prestavano alcun credito. Di conseguenza il paese venne a trovarsi tra i piedi una nuova sovrastruttura parassitaria, di cui era più facile intuire l’assurdità, nel suo sfarzo di sedi marmoree e nel confuso parlare che ne facevano i gerarchi, che cercar di scoprire a che cosa sarebbe servita. I pochi che, nei convegni « di studio » o attraverso la stampa « qualificata », più o meno in buona fede si sforzavano di dare una sistemazione logica al corporativismo fascista, si dibattevano tra le tautologie e le contraddizioni in termini.

Ma ciò accadeva anche in un paese la cui classe dirigente, dopo aver scaricato sulle spalle dei lavoratori tutto iTpeso della grande crisi (v.) economica del 1929, stava preparandosi a varare una politica di aggressione militare all’estero e di ulteriore sfruttamento economico aH’interno. Il fascismo era in quegli anni al suo apogeo e a molti sembrava incrollabile: in tale situazione si rendeva necessario e possibile creare strumenti che in forma permanente consentissero di svolgere una politica di appropriazione ca[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 528

Brano: »

Sindacalismo

elementi: gli organizzatori, i tecnici, i lavoratori manuali, uniti insieme dal legame indissolubile rappresentato, secondo la sua concezione, dall’"interesse comune” (v. Carta del Lavoro). In tal modo anche gli insopprimibili antagonismi di classe dovevano trovare un'automatica composizione e disciplina, per assicurare la quale sarebbe intervenuto energicamente lo Stato.

In realtà, la dottrina del corporativismo fascista consisteva in gran parte nella compenetrazione del sindacalismo di Edmondo Rossoni (v.) con il nazionalismo autoritario del Rocco. Già nel 1921 lo statuto del Partito nazionale fascista (v.) additava la corporazione come strumento della solidarietà nazionale per lo sviluppo della produzione; Rossoni, segretario della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, aveva come idea fondamentale quella di un sindacato strutturalmente misto e ideologicamente qualificato come fascista, quindi politicamente unico. L’“unicità” di Rossoni presupponeva il fatto che non esistesse altro [...]

[...]padronale (v. Confederazione generale delTindustria italiana), quindi la riduzione, nei fatti, del sindacalismo fascista a organizzazione di controllo nei confronti dei soli lavoratori. Nel 1925, con il Patto di Palazzo Vidoni (v.), Confindustria e Confederazione delle corporazioni fasciste si spartirono il monopolio sindacale, autoeleggendosi uniche rappresentanti legali, rispettivamente degli imprenditori e dei lavoratori.

Il progredire del corporativismo doveva però passare attraverso l’estinzione di fatto dei sindacati non fascisti e la fascistizzazione della Confindustria: le Leggi eccezionali fasciste (v.) del 1926 e la già ricordata Carta del lavoro del 1927 realizzarono questo piano, abolendo la pluralità e le libertà sindacali, a cominciare dal diritto di sciopero, e imponendo per contro l'obbligatorietà dei contratti collettivi di lavoro stipulati tra associazioni sindacali contrapposte, ma di fatto sempre a danno dei lavoratori dal momento che l’associazione padronale era la sola in grado di imporre le proprie condizioni.

Dal 1927 [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol II (D-G), p. 42

Brano: [...] « chi più chi meno, siamo usciti malconci », e se stesso come un « confessore » della dottrina cristiana. Da quel periodo ebbero però inizio alcune delle sue ricerche storiche più impegnate sul cattolicesimo sociale europeo, che proseguirà poi nella « lunga vigilia », sino al 1943. Le sue simpatie vanno soprattutto a Luigi Windhorst e al Centro germanico, che rimarrà sempre il suo modello; freddo e riservato si rivela invece nei confronti del « corporativismo » cattolico di un Vogelsang e un La Tour du Pin, allora molto in auge e che il fascismo aveva fatto in gran parte proprio, tra gli osanna delle autorità ecclesiastiche e dei clericali rimasti fedeli all’interpretazione più arretrata della stessa enciclica Rerum' Novarum del 1891 (v. Corporativismo fascista).

Sorvegliato dalla polizia, resagli impossibile qualsiasi attività, anche di carattere professionale, nel 1929 veniva chiamato da Pio XI alla Biblioteca Vaticana, dapprima come assistente « provvisorio » e poi in qualità di « segretario ». Collaborò sotto diversi pseudonimi a varie riviste cattoliche e in modo speciale a\Y II lustrazione Vaticana dove curò tra l’altro, tra il 1933 e il 1938, le « Cronache di vita internazionale », rassegna quindicinale, firmando Spectator.

Con l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania nazista, cercò di riannodare le fila del vec[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine corporativismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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