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Il segmento testuale colonialismo è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 459Analitici , di cui in selezione 19 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Vittorio Lanternari, Religione, società, politica nell'Africa Nera avanti e dopo l'indipendenza in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]n mondo di religione e un mondo di tecnica, ovvero potranno precipitare verso una crescente disgregazione e verso l'involuzione socialpolitica e culturale, se il mondo africano non saprà utilizzare fecondamente il suo corredo culturale plurimillenario.
Sono appena da ricordare i recenti sanguinosi conflitti etnici, degli Hutu contro i Tutsi; le lotte interne del Congo con i loro nazionalismi e i loro secessionismi rispettivamente legati all'anticolonialismo e al neocolonialismo, i recenti episodi di rivolta socialreligiosa nella Rhodesia settentrionale, oltre al tumore dell'apartheid, i tribalismi; gli enormi scompensi, anzi l'abisso sociale scavatosi fra — da una parte — un proletariato rurale « dei villaggi », che dei progressi tecnicoorganizzativi soffre (si pensi alla detribalizzazione e ai suoi effetti funesti!) più che godere e un sottoproletariato urbano figlio del primo, dall'altra parte alcune élites minoritarie per lo più così profondamente europeizzate, anzi « abbagliate dagli splendidi orpelli della civiltà occidentale... da essere del tutto stornate dal[...]

[...]olazioni rurali. In tal senso l'ipotesi che i neotradizionalismi d'ambiente rurale siano una spontanea risposta alla politica deculturatrice promossa dalle élites occidentalizzate d'ambiente urbano assume una certa consistenza. Roger Bastide, il quale già ha posto in modo acuto il problema dei rapporti fra élites dirigenti e comportamenti religiosi indigeni, ha indicato nei sincretismi una risposta autonomista delle popolazioni (rurali) al nuovo colonialismo culturale perseguito dalle élites dirigenti dei paesi indipendenti (3). Tanto piú, secondo noi, si giustificano i nuovi neotradizionalismi africani, in questa situazione di «autocolonizzazione» interna.
Sincretismi e neo,tradizionalismi d'epoca coloniale.
A proposito di sincretismo e messianismo, c'é anzitutto un problema di terminologia. Spesso questi termini sono stati usati indiscriminatamente per designare in genere i culti nuovi dell'Africa Nera e di altre popolazioni. Ma — come osserva Denise Paulme — « quale culto può non dirsi sincretista al suo inizio? D'altronde, tutto confondere [...]

[...]rie manifestazioni si possano includere nel termine « sincretismo».
Si finirà per fraintenderne il significato, se si pensa al « sincretismo» come ad un «data» matematico di cui si possano ben misurare e pesare le componenti in maniera statica. Infatti il sincretismo in Africa é, e deve essere considerato una « tendenza dinamica» che nasce in una cultura indigena come reazione all'urto con una civiltà superiore nelle sue forme istituzionali del colonialismo e delle missioni, e si sviluppa nelle forme più varie. In esso si esprimono tre orientamenti della cultura nativa scanvolta dai bianchi:
(19) SCHLOSSER 1958; BAFFA 1961, 131.
(20) BOHANNAN 1958; LANTERNARI, 5MSR. 32.2.
(21) GODY 1957.
152 VITTORIO LANTERNARI
1) riaffermare sé stessa revivificando la tradizione religiosa locale. E' questo l'elemento tradizionalecontinuativo.
2) rinnovarsi per salvaguardarsi dalla crisi indotta dal colonialismo, di fronte al fallimento del sistema religioso tradizionale che non è valso a (( salvare ». Perciò la tradizione é selezionata, in parte abbandonata, in parte sostituita. E' questo l'elemento tradizionalerinnovato. In realtà non v'è alcun movimento nativista che comporti una ripresa integrale e passiva della tradizione: questa, in virtù della selezione, é trasformata.
3) impadronirsi della «potenza» insita nella cultura cristiana a proprio vantaggio — secondo la filosofia della ((forza vitale» propria della tradizione —, per resistere all'egemonia europea, reinterpretando quei tratti esterni[...]

[...]fricana: poiché tradizione è storia nel suo senso retrospettivo, rinnovamento é storia nel suo senso prospettico: e la storia passata non può essere rinnegata neppure nei momenti di massimo impegno rinnovatore (51).
Quanto alle nuove religioni in rapporto all'indipendenza politica, giova in conclusione ripetere — per ben porre il problema su cui torneremo — quel che osserva il BaStide, cioè che «le nuove éliteS non fanno altro che sostituire un colonialismo a un altro, il colonialismo culturale — quello delle idee occidentali — al colonialismo amministrativo... La vera funzione delle religioni sincretiste è di salvare le vecchie strutture etniche minacciate dalle nuove forme politiche» (52). Dunque le religioni
(50) BASTIDE 1959, 435436.
(51) HERSKOVITS 1962, 451478.
(52) BASTIDE 1959, 440.
168 VITTORIO LANTERNARI
sincretiste sono l'estremo rifugio di società che rischiano di perdere, nel processo d'europeizzazione, la propria identità culturale (53), la loro «personalità ».
A questo proposito ricordo che, oltre alle religioni nuove ed alla rivolta attiva, c'é un'altra possibile risposta delle culture native alla civiltà occi[...]

[...]iato dall'Apocalisse„ cfr. KAUFMANN 1964, 1213.
(72) DESROCHE 1960, 31321.
(73) SHEPPERSON 1958, 134135.
(74) L'identificazione e la confusione del ruolo delle missioni con quello delle amministrazioni coloniali proviene dai negri stessi, a causa della natura solidale e organica delle esperienze storiche, da loro subite, dell'u uomo bianco ». Ciò non esclude che per molti altri rispetti i missionari assunsero la protezione dei negri contro il colonialismo, e i negri mostrarono più volte di riconoscere nelle missioni un ruolo distinto da quello degli amministratori coloniali. Per il problema della politica missionaria e delle sue trasformazioni, cfr. LANTERNARI, 4 Ulisse r 1962.
176 VITTORIO LANTERNARI
ferenze. Soprattutto, all'origine dei profetismi indigeni si trova una tensione culturale d'origine esterna; al contrario all'origine degli altri profetismi si ha una tensione d'origine interna fra società e istituzioni oppressive. A queste differenze d'origine corrisponde una grande differenza di tendenze. I profetismi indigeni hanno tendenza [...]

[...] — hanno tutti un contenuto universale e sovrannazionale: un contenuto che deriva dal cristianesimo, il quale lo ereditava a sua volta dal mondo grecoromano e dal giudaismo postesilico, già largamente ellenizzato.
La situazione postcoloniale.
I sincretismi, profetismi, messianismi rappresentano, a uno sguardo d'assieme, una importante risposta delle culture africane all'introduzione della civiltà occidentale nel periodo estremo e più acuto del colonialismo europeo. La raggiunta indipendenza risolve certo alcune delle urgenti istanze che si espressero nei movimenti religiosi preparatori del processo d'emancipazione. Tuttavia altre pressanti esigenze, altri fattori di crisi socioculturale gravano sulle società indipendenti. Numerosi sono i riflessi religiosi di una situazione sociale e culturale tutt'altro che equilibrata.
I sincretismi nati in periodo coloniale continuano e si sviluppano, senza rinunziare agli aspetti religiosi tradizionali più radicati. Anche i profetismi talora continuano ad avere vigore, e mutano indirizzo: da innovatori e p[...]

[...] 224225.
186 VITTORIO LANTERNARI
lismo euroamericano e le autorità centrali considerate solidali con esso.
In conclusione, pur nelle differenti situazioni dei vari paesi, l'indipendenza politica, più che determinare un mutamento radicale dell'atteggiamento socialreligioso, ha spostato all'interno della società le forze promotrici degli antichi contrasti, e che precedentemente agivano su di essa dall'esterno. Neila maggior parte dei paesi, dal colonialismo socialpoliticoeconomico imposto dagli europei si é passati al colonialismo socioculturale imposto dalle élites dirigenti. In tale quadro sembrano spiegarsi le suaccennate manifestazioni di rivolta socialreligiosa, di tradizionalismo e neotradizionalismo, di reinterpretazione mitologica del «potere» politico. Esse direttamente o indirettamente denunciano il «vuoto » socioculturale creatosi nella maggioranza delle nuove nazioni africane fra la classe dirigente che ha fatto proprio il mondo mentale, la secolarizzazione della vita, lo spregiudicato individualismo degli occidentali, e il proletariato rurale o il sottoproletariato urbano, che da un lato sono spinti dal co[...]

[...]fricane fra la classe dirigente che ha fatto proprio il mondo mentale, la secolarizzazione della vita, lo spregiudicato individualismo degli occidentali, e il proletariato rurale o il sottoproletariato urbano, che da un lato sono spinti dal contatto a uscire dall'antica cultura in crisi e d'altra parte rimangono ai margini della cultura nuova, anzi spesso sono strumentalizzati in funzione di interessi particolari di gruppi e persone. C'é un «autocolonialismo» africano dunque, alleato del neocolonialismo euroamericano.
In tale quadro, i villaggi e il sottoproletariato urbano che é l'appendice diretta di quelli, rappresentano « gruppi di pressione» contro la politica deculturatrice e spersonalizzatrice di certe élites dirigenti. Al di là del loro più o meno marcato conservatorismo, i movimenti religiosi poStcoloniali a tendenza " neotradizionalista hanno un significato ammonitore. Sono una risposta all'azione « spersonalizzante» di élites le quali non hanno ancora sufficientemente «decolonizzato» se stesse (91). Sono un richia
(91) Touan 1959, 114, 116. Per quel che riguarda la tensione fra [...]



da Jacques Howlett, I comunisti e la lotta contro il colonialismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO
« Il colonialismo, questa vergogna del XX secolo)): questa formula, pronunciata molti anni or sono dal leader comunista Jacques Duclos, chi oggi, in un modo o nell'altro, non la riprende e fa propria? Persino un segretario di stato britannico alle colonie, A. Creech Jones, dinnanzi all'anacronistico colonialismo e alle rivendicazioni autonomistiche dei popoli coloniali preconizza (1) delle forme nuove : forme certo liberali, ma che tendono a utilizzare « i nazionalismi come altrettanti fattori costruttivi fino a quando i popoli potranno assolvere da loro stessi i compiti di governo ». Un protestante, L. Joubert, che critica (2) i metodi di colonizzazione europei, americani e sovietici, pone innanzi l'idea d'incontri umani tali « che ciascuno possa divenire il prossimo di ciascun altro ». Un nordafricano, R. Emsalem, constata (3) anche lui che il fenomeno coloniale é « in via di dissoluzione ». Un col[...]

[...]da Claude Bourdet, non s'esprime diversamente sul fondo dlella questione. Insomma, in modi assai diversi, modi freddi o indignati, e che vanno dall'appello alla ragione pratica alle «buone ragioni» degli utilitaristi o alla Ragio
(1) « Mondes d'Orient », aprile 1951.
(2) « Le Monde non chrétien », lugliosettembre 1950.
(3) « Conscience algérienne », n. 2.
(4) « Mondes d'Orient », giugno 1951.
62 JACQUES HOWLETT
ne toutcourt, il processo al colonialismo si rinnova ogni giorno. Processo a proposito del quale vogliamo qui ricordare i nomi di coloro che in Francia hanno voluto sostenere con la loro autorità gli sforzi di una rivista come Présence Africaine, destinata precisamente a denunciare gli abusi del colonialismo : A. Gide, J. P. Sartre, E. Mounier, A. Camus, R. Wright, P. Naville, M. Leiris, R. P. Maydieu, P. Rivet. Ma resta il fatto che l'accusatore potente, metodico ed efficace, quello che all'occasione sa anche indignarsi liricamente (5), ma che non cessa mai d'agire, quello per cui «la vergogna del XX secolo )) non é soltanto cattiva coscienza, è il partito comunista. Esso pub servirsi, contro il colonialismo, di una base teorica solida, e i suoi militanti agiscono dappertutto, sia oltremare che nel territorio metropolitano. Nostro argomento, pertanto, saranno innanzitutto le basi teoriche del marxismo per quanto riguarda la questione coloniale; poi studieremo certi aspetti della penetrazione comunista in questo campo; ed esamineremo infine le maggiori difficoltà che tale penetrazione incontra nei paesi colonizzati (limitando tuttavia la nostra analisi, in via generale, ai soli territori di quella che in Francia chiamiamo Africa nera).
Karl Marx non ha scritto alcuna opera sul problema specifico [...]

[...] innanzitutto le basi teoriche del marxismo per quanto riguarda la questione coloniale; poi studieremo certi aspetti della penetrazione comunista in questo campo; ed esamineremo infine le maggiori difficoltà che tale penetrazione incontra nei paesi colonizzati (limitando tuttavia la nostra analisi, in via generale, ai soli territori di quella che in Francia chiamiamo Africa nera).
Karl Marx non ha scritto alcuna opera sul problema specifico del colonialismo; ma scrisse due articoli nella « New York Tribune » del 25 giugno e 8 agosto 1853 sulla dominazione britannica in India, articoli nei quali si trovano già quelle idee essenziali che saranno più tardi sviluppate da Lenin.
Questi due articoli, pochissimo conosciuti, testimoniano d'una presa di coscienza assai approfondita dell'infelice stato dei popoli colonizzati, che per opera dell'uomo bianco son rimasti tagliati fuori dalle loro basi sociali e culturali tradizionali : « L'Inghilterra ha demolito tutto l'edificio della società indù, senza che possa
(5) V. il bellissimo Discours sur le colo[...]

[...]rticoli, pochissimo conosciuti, testimoniano d'una presa di coscienza assai approfondita dell'infelice stato dei popoli colonizzati, che per opera dell'uomo bianco son rimasti tagliati fuori dalle loro basi sociali e culturali tradizionali : « L'Inghilterra ha demolito tutto l'edificio della società indù, senza che possa
(5) V. il bellissimo Discours sur le colonialisme di Armi C sAsxs. Ed. Réclame, Paris 1950.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 63
ancora scorgersi alcun indizio d'una organizzazione nuova. Questa perdita del vecchio passato non essendo stata caratterizzata dalla conquista di un mondo nuovo, l'attuale miseria degl'Indù è caratterizzata da una specie particolare di malinconia; l'Indostan sotto dominazione britannica é separato da tutte le sue antiche tradizioni e da tutto il suo passato storico ».
Un'altra idea importante espressa in questi articoli é quella del rapporto tra la liberazione dei popoli colonizzati e la rivoluzione proletaria in territorio metropolitano. « Gl'Indù — scrive Marx — non potranno raccoglier[...]

[...]olitano. « Gl'Indù — scrive Marx — non potranno raccogliere i frutti di quei semi d'una società nuova che la borghesia inglese ha sparso tra di loro, finché nella stessa Gran Bretagna la classe dominante non sarà stata scac ciata dal proletariato industriale, o finché gl'Indù stessi non saranno divenuti abbastanza forti per scuotere una volta per tutte il gioco inglese ».
Infine Marx enuncia la legge economica che é alla base delle atrocità del colonialismo : queste atrocità « non sono che il prodotto organico dell'insieme del sistema attuale di produzione. Questa produzione riposa sulla supremazia del capitale. La concentrazione del capitale é essenziale all'esistenza del capitale stesso in quanto potenza autonoma. L'effetto distruttivo di questa concentrazione sui mercati del mondo non fa che svelare, in proporzioni gigantesche, le leggi organiche immanenti all'economia politica quali agiscono oggi in ogni città del mondo civilizzato ».
Marx riconduce in questo modo l'essenza dell'imperialismo al semplice fatto economico, e liquida con ciò im[...]

[...]oli del mondo, per il parassitismo capitalista d'un pugno di Stati opulenti » (op. cit., p. 168).
L'imperialismo, insomma, corrisponde allo stadio monopolistico del capitalismo; e Lenin riassume così i suoi caratteri fondamentali
(7) LENIN, L'impérialisme stade supérieur du capitalisme, p. 2. Testi riuniti in: Données complémentaires à l'impérialisme di E. VARGA et L. MENDELSOHN. Editions Sociales, Paris 1950.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 65
1) concentrazione della produzione e del capitale a un grado tale da provocare la formazione dei monopoli;
2) fusione del capitale bancario industriale;
3) esportazione di capitali;
4) formazione di unioni internazionali capitalistiche e monopolistiche, che si spartiscono il mondo;
5) spartizione territoriale del globo da parte delle maggiori potenze capitaliste.
Ma il capitalismo generatore dell'imperialismo « agonizza », poiché, attraverso il sistema dei trusts, esso conduce alla socializzazione della produzione. A questa necessaria « agonia » del capitalismo la pratica marxista co[...]

[...]nderanno la libertà di separazione dei
paesi colonizzati, ché «senza di ciò non v'è internazionalismo )); nei paesi colonizzati, per contro, bisogna lottare « per l'indipen
denza politica della nazione e per la sua unione con gli altri stati ». In ogni caso, bisogna lottare contro i ristretti punti di vista nazio
(9) STALIN, Conferenze sui Principi del leninismo fatte all'Università di Sverdlov (aprile 1924).
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 67
nalistici, contro l'isolamento e « per la subordinazione dell'interesse particolare all'interesse generale ». Per gli uni, dunque, lotta per la libertà di separazione; per gli altri, lotta per la libertà d'unione. «Nella situazione qual è, non può esservi altra via verso l'internazionalismo e la fusione delle nazioni » (10).
Stalin fissa con precisione e buon senso gli obbiettivi da perseguire per condurre i paesi colonizzati all'eguaglianza; bisognerà studiare la situazione economica e la cultura, sviluppare questa cultura, sviluppare l'educazione politica e associare quei popoli alle f[...]

[...]in aereo a Parigi).
Nel territorio metropolitano, per contro, l'attività d'informazione svolta dal partito comunista è assai intensa; essa riguarda, tra l'altro, gli abusi dell'amministrazione, lo sfruttamento delle masse indigene e il loro basso livello di vita, la mancanza di libertà
(12) V. ANDRÉ JULIEN, Impérialisme économique et impérialisme mondial, in « Chemins du Monde: Fin de I'ère coloniale? », 1948.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 69
individuale, le questioni culturali. Degli spunti polemici che la situazione dell'Africa Nera offre a questa propaganda, ci si può fare un'idea esaminando le severe critiche rivolte alla situazione stessa da osservatori anche non impegnati politicamente. Così, J. A. Noon (13) nota che « gli europei, appropriandosi di vaste porzioni del continente, hanno limitato la quantità di terre di cui gli agricoltori indigeni possono disporre, ed hanno così costretto larghe masse indigene ad accettare ogni specie di lavoro senza possibilità alcuna di protestare per l'irrisorietà del compenso ». Willi[...]

[...]di di franchi investiti da privati nell'Africa Nera prima della guerra — nota il Dresch — ben 10,5 miliardi erano investiti in imprese commerciali, contro 4,9 miliardi nelle piantagioni, 3,383 in imprese industriali, e appena 2 nelle miniere n (16).
(15) V. Le colonialisme économique en Afrique Noire, « Le Musée Vivant u, n. 3637, Paris 1948.
(16) Les trusts en Afrique Noire, « Servir la France n, aprile 1949.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 71
Del resto, laddove esiste, l'industrializzazione non é concepita che in funzione dei bisogni metropolitani, e non come fattore d'arricchimento e di liberazione della colonia.
Nell'Africa Nera, insomma, tutto é sacrificato all'esportazione, e nessuna accumulazione di capitale è possibile. « Le condizioni per l'accumulazione di capitali necessaria allo sviluppo dei trasporti, delle comunicazioni e dei lavori pubblici, non esistono, talmente il paese dipende dal capitale esterno e dai servizi e dai mezzi tecnici importati» : tale é la conclusione del « Rapporto sulla situazione economica de[...]

[...] il paese dipende dal capitale esterno e dai servizi e dai mezzi tecnici importati» : tale é la conclusione del « Rapporto sulla situazione economica dell'Africa » pubblicato nel 1951 dall'O.N.U.
Per comprendere la questione culturale quale si pone nell'Africa Nera, e qual é vista dal comunismo nella sua denuncia di certe forme dell'oppressione colonialista in questo campo (17), dobbiamo porre in luce il carattere particolare che assume colà il colonialismo francese. Questo pub certo, all'occasione, assumere delle forme aggressive, ma la sua forma più generale é quella paternalista : forma non meno pericolosa delle altre. Il pregiudizio razziale, per esempio, non ha assunto nell'Africa Nera francese quegli aspetti patologici che ha potuto avere ed ha ancora negli U.S.A. Ma v'è una sufficienza occidentale che non val meglio, in fondo, della psicosi americana. Educato da sempre all'idea della sua incontestabile superiorità (superiorità di diritto divino o superiorità in nome della Ragione, perché la Ragione é bianca e il trascendente ha i colori t[...]

[...]a : non saremo noi ad essere accusati d'incomprensione, ma lui ad esser qualificato di « primitivo ». (Bisogna tuttavia osservare che diversi occidentali di mente più aperta hanno superato questo razionalismo dommatico, e lo stesso LevyBruhl, nei suoi Carnets, abbandona onestamente la sua idea circa il carattere prelogico della mentalità primitiva; ma quest'idea s'é ormai molto radicata presso il gran pubblico).
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 73
Date le condizioni di dipendenza dell'africano, si capisce che la teoria ufficiale dell'« assimilazione » venga respinta dai più coscienti, e che i comunisti, dal canto loro, non vedano in essa niente altro che una mistificazione. Il contatto tra popoli diversi— scrive Aimé Césaire — é fecondo in se stesso, ma è funesto e impossibile nel quadro della colonizzazione, poiché colonizzare non è civilizzare, ma « cosificare », ridurre a oggetto, a cosa : assenza di contatti umani, « rapporto di dominazione e di sottomissione che trasforma l'uomo colonizzatore in sorvegliante, guardaciurma, agu[...]

[...]artre mostra come questa giunga a superare se stessa per aprirsi sull'uomo: sull'uomo aldilà del proprio colore, nero o bianco.
Dunque la « négritude » è superamento, è amore, ed é per questo che, infine, essa è poema.
(21) «La Nouvelle Critique », n. 7, giugno 1949.
(2Z) « Réflexion sur Orphée Noir » in « Présence africaine »: Les Etudiants vous parlent, n. 14, Paris 1953.
(23) PAUL VERGES, articolo citato.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 75
venga soppressa » (24). E lo stesso Vincent Auriol dichiarava nel 1949: « C'è probabilmente bisogno di tecnici, c'è bisogno di diplomati, ma non createne troppi. C'è anche bisogno di capioperai, ma non soltanto di gente che, avendo un diploma e non un impiego, sarebbe forse un elemento di agitazione » (25).
Le cifre ufficiali rispecchiano assai bene questa situazione. Se ïl piano d'investimenti per l'oltremare, nel 1946, prevedeva un 25% per la parte sociale, di cui il 10 % per l'insegnamento, nel 1949 queste cifre sono cadute rispettivamente al 18 e al 5%, il che, tenendo conto del calo[...]

[...]i dei colonizzati. Che cosa é più importante rispettare: la persona umana o l'autorità costituita? Troppo spesso i cristiani sacrificano quella a questa. Troppo spesso l'idea dell'ordine é preposta a quella della giustizia. È forse la giustizia, per non dir niente della carità, che presiede ancora alla divisione dei bianchi e dei negri sui banchi delle chiese d'Africa ?
Abbiamo esaminato alcuni problemi sui quali fa leva la critica comunista al colonialismo nell'Africa Nera. Possiamo ora osservare che questi tre fattori — 1) il forzoso stato di dipendenza delle masse indigene, 2) il loro basso grado di istruzione, 3) la debole industrializzazione del paese — costituiscono altrettanti impedimenti che rallentano la penetrazione comunista tra gli Africani. Il solo paese dell'Africa Nera francese in cui sia esistito un partito politico apparentato a quello comunista é la Côte d'Ivoire. Il partito in questione é il già citato R. D. A. (Rassemblement Démocratique Africain), il cui leader, Felix Houphouet, è un uomo potente e di grande prestigio morale[...]

[...] strutture sociali antiche hanno ancora una radice molto forte nella coscienza africana. Nell'africano — ci dicono gli etnografi — l'idea del lavoro é legata a quella del prestigio : « Lo sforzo di chi coltiva, e quello di chi danza in occasione d'una cerimonia religiosa, non sono molto differenti, poiché dal corretto a
(27) V. Les Temps modernes, novembre 1951. D.O.C., Le procès des 400 noirs de Côte d'Ivoire.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 77
dempimento di questi compiti così eterogenei risulterà per colui che li adempie uno stesso beneficio: godere del prestigio dell'« uomo buono » che ha saputo nutrire il prossimo coltivando o che ha saputo, danzando, suscitare delle forze che tendono anch'esse ad assicurare la sussistenza della collettività » (28). Non v'è, per il negroafricano, un individualismo del lavoro; egli lavora per il proprio gruppo, per la propria famiglia. Nel suo proprio ambiente, dunque, il lavoratore non è un individuo alienato da se stesso, che abbia da opporsi a qualcuno che lo impiega o che lo sfrutta : egl[...]

[...]vato Totale
C.G.T. 18.500 24.000 42.500
Autonomi 2.500 15.000 17.500
C.F.T.C. 1.500 7.000 8.500
C.G.T.F.O. 1.000 1.000
Un totale, dunque, di 69.500 lavoratori sindacati su una popolazione di 232.000 salariati e su una popolazione complessiva di 16.000.000 di abitanti. Nell'A.E.F., su 190.000 lavoratori salariati
(31) PIERRE NAVILLE, Notes sur le syndicalisme en Afrique Noire, «Présence Africaine H, n. 13.
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 79
nel 1949, non più di 8.000 erano sindacati. Quanto ai programmi rivendicativi dei sindacati africani, essi riflettono — osserva P. Naville — due tendenze assai nette : in base alla prima, si esige la parità di trattamento con gli europei e l'accesso agli stessi diritti; in base alla seconda, si esige piuttosto il riconoscimento di diritti specifici degli africani, indipendentemente dalla situazione dei bianchi. Delle due tendenze, la più forte è la prima. Così la Con f érence des Travailleurs d'OutreMer della C.G.T, che ha avuto luogo a Parigi nel 1951, ha chiesto l'estensione ai territor[...]

[...]Questa gioventù si istruisce nelle ,università del territorio metropolitano, conseguendovi i principali diplomi; se una parte di essa si prepara a dedicarsi, una volta tornata in Africa, a professioni liberali su un piano borghese, un'altra parte mette in primo piano il perseguimento di un ideale politico francamente rivendicatore e liberatore. Tra gli studenti africani della metropoli v'è completa unanimità sulla questione della lotta contro il colonialismo, ma, per quanto concerne i metodi di questa lotta, esistono due correnti (32): la cor
(32) DAVID DIM', Etudiant africain devant le fait colonial, in «Présence Africaine », n. 14, Paris 1953.
80 JACQUES HOWLETT
rente nazionalista e la corrente progressista. I progressisti, raggruppati nell'associazione degli studenti R.D.A., non separano la propria lotta da quella del proletariato mondiale e del partito che li rappresenta. I nazionalisti, senza sconfessare certe posizioni comuniste, si preoccupano tuttavia di porre in risalto certe differenze del loro atteggiamento di fronte al fatto coloni[...]

[...]ropa. Nacquero però anche, all'interno del movimento, dei dissensi che portarono alla sua scissione (1949) ed alla costituzione della sua ala sinistra in un nuovo partito, il Convention People's Party (C.P.P.), sotto la guida di N'Krumah. Il C.P.P. mise in programma la lotta per l'autonomia immediata del paese e invitò il popolo alla disobbedienza civile e alla noncollaborazione, ciò che portò all'incarcerazione
I COMUNISTI E LA LOTTA CONTRO IL COLONIALISMO 81
è al centro delle discussioni tra le giovani élites di cui dicevamo. Ma queste discussioni, e il prestigio di quell'opera esemplare, non superano il ristretto cerchio di quei giovani intellettuali attualmente tagliati fuori dal loro ambiente. L'avvenire dell'Africa Nera francese potrà dunque esser segnato dalla loro presenza, ma é sulle basi determinanti dell'industrializzazione e della lotta sindacale che quest'avvenire sembra prepararsi più sicuramente.
JACQUES HOwLETT
dei suoi capi. Ma la base tenne fermo e, alle elezioni del 1950, il successo del C.P.P. fu cosí vasto da preoccupare [...]



da Francesco Cataluccio, Il Congo Belga nel nazionalismo africano in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]eceduto (1522 aprile), nella stessa Accra, da una conferenza degli stati già giunti all'indipendenza, e definito « conferenza panafricana » in effetti vi hanno preso parte, attraverso duecento delegati, venticinque paesi del continente — il congresso ha presentato un netto obiettivo anticoloniale, ha mirato cioè a preparare, secondo l'espressione del suo promotore, il primo ministro ghanese Kwame Nkrumah, « l'assalto finale all'imperialismo e al colonialismo ». La dichiarazione conclusiva della conferenza è perentoria nell'atto di accusa contra il regime coloniale: « La conferenza condanna e addita al disprezzo il sistema del colonialismo e dell'imperialismo nei territori coloniali britannici e francesi, che ha raggiunto le forme più acute e disumane in Algeria, Camerun, Africa centrale, Kenya, Sudafrica, nei territori portoghesi di Angola, Mozambico, isole Principe e San Tommaso, dove la popolazione indigena vive sotto un regime di fascismo coloniale; denuncia lo sfruttamento delle risorse nazionali e della manodopera di questi territori; denuncia la violazione dei diritti umani e democratici proclamati
116 FRANCESCO CATALUCCIO
dalla Carta delle Nazioni Unite; denuncia la segregazione razziale, il sistema delle riserve e de[...]

[...]berazione totale dello spirito del colonizzato. Messo fuori della storia, lo scrittore
e artista africano tende e spersonalizzarsi sotto l'influenza della cultura occidentale e a lungo andare egli si trova isolato nel suo stesso ambiente naturale di fronte a contadini, artigiani restati immuni da ogni timore o complesso ed estranei a cultura abitudini
e valori del regime coloniale. Perciò, nella costruzione della società dei paesi liberati dal colonialismo, l'intellettuale deve rifarsi alla cultura del popolo, alla vita reale; perciò la decolonizzazione deve avere contenuto rivoluzionario, senza indipendenza « per gradi » e senza « tappe verso l'indipendenza ».
Osservando che il congresso é « un congresso di ladri di lingue », il poeta malgascio J. Rabemananjara mette in rilievo il dato obiettivo più importante per spiegare la difficoltà degli scrittori
e degli uomini di cultura negri ad avere una visione unitaria dei. problemi della loro civiltà. Al termine dell'incontro però essi riescono a trarre fuori taluni elementi positivi d'azione sug[...]

[...]bbe posto a una maggiore flessibilità di vedute politiche. La preoccupazione politica di salvaguardare il patrimonio economio, inoltre, suggerisce l'accettazione, nel 1944, di un accordo con gli Stati Uniti — accordo rinnovato alla sua scadenza, dopo dodici anni — che trasferisce a questi ultimi l'intera disponibilità della produzione di uranio :del Congo, la più alta del mondo. Conviene infatti potere avere, in una fase di sempre più vivace anticolonialismo, la solidarietà di una potenza, come Washington, assai incline ad assecondare lo sfaldamento della costruzione coloniale europea, in Africa come in Asia.
In un Congo visto soltanto come una unica enorme azienda di produzione e di commercio, la popolazione indigena non interessa che come massa di manodopera alla quale assicurare un graduale miglioramento di vita ma non una libertà capace di turbare l'ordinato ritmo produttivo. Tutti sono imbarcati su una stessa nave e tutti hanno il solo dovere di produrre sempre più e sempre meglio. E in effetti gli indici di produzione agricola e industrial[...]

[...]r lo studio dei problemi politici nel Congo Belga).
Sul più accentuato dinamismo dell'Abako influisce indubbiamente anche l'ulteriore sviluppo nazionalistico dei vicini territori dell'Africa equatoriale francese, che giunge all'epilogo vittorioso con la nuova costituzione francese dell'ottobre 1958. È proprio alle porte di Leopoldville, a Brazzaville, che il gen. de Gaulle annunzia solennemente la sua politica di rottura radicale con il vecchio colonialismo in Africa. Alla testa dei due territori del Congo e dell'UbanghiSciari, divenuti stati indipendenti — il secondo col nome di Repubblica centroafricana — membri della Comunità francoafricana, vi sono due personalità, rispettivamente l'abate Youlou e B. Boganda (perito poi in un incidente aereo il 30 marzo 1959), di vivacissima fantasia panafricanista, assai sensibili ai problemi del Congo belga. Il primo é infatti il capo dei Lari, il gruppo etnico che abbiamo visto dislocato in parte nella colonia belga, e l'altro, fondatore del Movimento per l'evoluzione sociale dell'Africa nera (Mésan), ins[...]



da Tibor Mende, Riflessioni in margine agli avvenimenti indonesiani in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]essa a dura prova, quando l'Indonesia indipendente si trovò a dover affrontare i grossissimi problemi economici ed amministrativi assolutamente al di sopra delle sue possibilità.
Ma prima di approvare le solite generalizzazioni riguardo alla natura autolesionista dei movimenti di indipendenza, sarebbe bene esaminare fino a che punto gli Indonesiani sono responsabili di ciò che hanno fatto.
Le librerie erano piene di dettagliate descrizioni del colonialismo olandese. Prima della guerra era di moda descriverlo come un modello nel suo genere. In effetti, da un punto di vista puramente fisico, gli amministratori olandesi fecero un buon lavoro. A Giava, dove erano concentrate le loro attività e i loro investimenti, essi avevano creato una struttura agricola efficientissima e l'isola — la più popolosa — era ben amministrata. Lo sviluppo era meno evidente nelle 'altre isole, fatta eccezione per due o tre regioni di Sumatra dove le piantagioni e il petrolio avevano attratto e giustificato investimenti su vasta scala. Il colonialismo olandese si basava [...]

[...] puramente fisico, gli amministratori olandesi fecero un buon lavoro. A Giava, dove erano concentrate le loro attività e i loro investimenti, essi avevano creato una struttura agricola efficientissima e l'isola — la più popolosa — era ben amministrata. Lo sviluppo era meno evidente nelle 'altre isole, fatta eccezione per due o tre regioni di Sumatra dove le piantagioni e il petrolio avevano attratto e giustificato investimenti su vasta scala. Il colonialismo olandese si basava sulla presunzione di essere eterno. Per questa ragione, praticamente non venne fatto il minimo sforzo per formare una élite locale e nel complesso l'istruzione fu totalmente trascurata.
Poche cifre illustreranno in maniera eloquente la gravità di questo rigido paternalismo.
Nel 1940, due anni prima dell'invasione Giapponese, in una popolazione totale di circa 70 milioni, solo 82223 bambini indonesiani frequentavano le scuole elementari di tipo occidentale. Nelle classi superiori c'erano in tutto 1786 alunni. Nello stesso anno non più di 9000 bambini presero la licenza ele[...]

[...]dente che gli olandesi non hanno intenzione di lasciare l'isola. Uno dei loro argomenti é che, dal punto di vista razziale, la popolazione dell'isola non ha nulla in comune con gli indonesiani. Non è necessario essere un antropologo per comprendere che i Papuani hanno, dal punto di vista razziale, anche minori affinità con gli olandesi. Inoltre, la popolazione della Nuova Guinea aveva legami storici con le isole dell'Indonesia molto prima che il colonialismo olandese comparisse sulla scena. Naturalmente né l'Olanda, né l'Australia hanno potuto sfruttare le presunte ricchezze della Nuova Guinea. Così gli argomenti si riferiscono a posizioni formali che non hanno nulla a che vedere con la situazione reale. Il fatto che l'Australia, durante i periodici dibattiti dell' ONU sul problema abbia opposto il veto formale all'estensione della sovranità Indonesiana in prossimità delle sue coste, è a mala pena menzionato.
Nel frattempo, il Ministro degli Esteri olandese, sul suo annuario del 195253, ha silenziosamente trasportato la Nuova Guinea Occidentale [...]

[...]e il continuo armarsi di Ciangkaishek, non furono che gradi successivi.
Tuttavia questa volta la strategia in un certo senso falli. E non perché la politica del Presidente Sukarno fosse perfetta o perché gli indonesiani, con i loro atteggiamenti sconsiderati, si fossero già procurati gravi danni economici. Falli semplicemente perché, ancora una volta, si era basata su una valutazione errata della pubblica opinione asiatica.
Per tutta l'Asia il colonialismo olandese ha lasciato un amaro ricordo e, nel caso di un'azione che, sia pure con approssimazione, possa esser chiamata lotta contro un'indiretta ripresa dell'intervento
RIFLESSIONI IN MARGINE AGLI AVVENIMENTI INIH)NESIANI 75
Occidentale, gli indonesiani possono contare sull'appoggio della maggior parte dei governi asiatici non comunisti. Un'intensificazione degli interventi non farebbe che unire sempre di più gli asiatici contra l'Occidente e, per questa ragione, costituirebbe un'ottima carta nelle mani della propaganda comunista. Inevitabilmente essa sarebbe presentata — e probabilmente sa[...]



da Enrica Pischel, Considerazioni sulla nuova fase della politica asiatica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...] la continuazione della politica sovietica di aiuti ai paesi sottosviluppati e l'intensificazione dell'aiuto cinese in questo senso, sono le forze interne ed il loro dinamismo a rappresentare l'elemento decisivo e non l'azione compiuta sull'Asia dall'esterno dall'URSS o da altri paesi a governo comunista.
Proprio sul piano interno ed economico si é verificata dalla conferenza di Bandung in poi l'evoluzione della situazione asiatica: il mero anticolonialismo politico e formale é stato sostituito dal tentativo di risolvere il problema dello sviluppo come principale movente di interesse comune nei paesi asiatici. Questa sostituzione fu l'elemento innovatore e stimolatore suscitato dalla conferenza di Bandung che mostrò, attraverso il confronto della situazione che si veniva creando nei paesi socialmente più progrediti con quella sussistente negli altri, la gravità delle conseguenze implicite nella stasi economica, nell'acquiescenza al permanere del dominio economico imperialistico e nel mantenimento (soprattutto nel regime di proprietà della terra)[...]

[...] organico mirante a dare l'autosufficienza all'economia, implica di per sé, non appena venga affrontato da un paese, un'influenza di carattere rivoluzionario sia sulla situazione interna, sia sui rapporti con le potenze che conservino . o . sviluppino interessi di tipo imperialistico. In questo senso Bandung segnò il punto di passaggio tra due fasi della storia asiatica dal 1945 in poi: tra la fase della generica e limitata solidarietà contro il colonialismo inteso come dominazione politica formale e quella dello sforzo per lo sviluppo e delle scelte politiche e sociali imposte dalla lotta contro l'arretratezza.
Un'apparente unità era più facilmente raggiungibile tra i vari paesi asiatici nella prima fase che nella seconda: un atteggiamento comune esteriore e superficiale contro la dominazione politica straniera poteva essere raggiunto, almeno in larga misura, indipendentemente dagli interessi e dalle forze predominanti nelle varie zone e senza presupporre una concorde analisi della situazione, delle sue cause e delle sue implicazioni interne, m[...]

[...]maggiori di qualsiasi altro movimento nazionalista. Sotto una certa prospettiva il problema della collaborazione con la sinistra del Congresso presenta quindi una certa affinità con quello della collaborazione dei comunisti con i movimenti socialisti non marxisti. Data la particolarità della situazione indiana (cioè dato il livello al quale è giunta qui più che in qualsiasi altro paese emerso dal dominio coloniale, l'eliminazione dei residui del colonialismo e del feudalesimo) il problema che devono fronteggiare i comunisti in I diani non può essere risolto puramente entro gli schemi elabo1 rati in Cina da Mao per una società « semicoloniale e semifeudale »: l'India oggi è un fenomeno assai più complesso, perch' in essa coesistono residui semicoloniali e semifeudali, con vast settori borghesi ed altri semisocialisti.
Come potranno i comunisti indiani inserirsi nel gioco e portare gradualmente alla prevalenza il settore semisocialista ? A questo proposito bisogna tener presente che l'atteggiamento contro il « revisionismo » e contro tutti i tenta[...]

[...] progressive e stataliste. La ragione sociale di questo progressismo va probabilmente ricercata nel fatto che i movimenti nazionalisti bir
50 ENRICA PISCHEL
mano e indonesiano sono stati espressi non da una borghesia capitalistica, bensì da quei gruppi di burocrati, di intellettuali e di piccoli borghesi, in gran parte spostati, che il dominio colaniale ha creato ovunque e che furono spinti al radicalismo politico proprio dalla lotta contro il colonialismo.
Di qui la possibilità di fondere, durante la lotta per l'indipendenza politica, questi gruppi borghesi con forze genericamente « popolari », benché non proletarie (perché il proletariato era nei paesi asiatici minori tanto esiguo quanto l'industria moderna, mentre numerose erano le schiere del sottoproletariato urbano e rurale, privato della terra e di altri mezzi di produzione a seguito della rottura delle strutture sociali tradizionali operata dal dominio coloniale). Ad una classe di borghesi poveri e spostati corrispondeva così una serie di categorie popolari non inserite in stabili rapp[...]



da Giorgio Rochat, Varietà e documenti. Il genocidio cirenaico e la storiografia coloniale in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]itata da seminomadi. E infatti un censimento turco del 1911 dava un totale di 200.000 anime, mentre le valutazioni delle autorità italiane passano da 180200.000 nel 192122 a 225.000 nel 1928 (italiani e stranieri sempre esclusi, in queste come nelle cifre successive). Queste valutazioni sono accettate senza discussioni nelle pubblicazioni ufficiali italiane del dopoguerra 4 e convalidate dal piú illustre studioso di storia cire
2 Cfr. G. R., Il colonialismo italiano, Torino, Loescher, 1973; PIERO PIERIG. R., Pietro Badoglio, Torino, Utet, 1974; G. R., Colonialismo, in AA.VV., Il mondo contemporaneo, a cura di Nicola Tranfaglia, vol. I, Storia d'Italia, tomo I, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 10720. Rinvio a quest'ultimo studio per una rassegna organica della produzione sulla conquista italiana della Cirenaica.
3 Il mio articolo 1973 era basato esclusivamente sulle fonti edite e sull'archivio di Graziani; successivamente mi sono stati aperti l'archivio del ministero delle colonie e quello dell'esercito. Questa nuova base documentaria è stata utilizzata nella mia relazione su La repressione della resistenza in Cirenaica 192731, presentata nel novemb[...]

[...]o schiacciamento della resistenza. Si tratta di circa 50.000 arabi (assai di piú, se si prende per buona la valutazione ufficiale del 1928), da rapportare non al totale della popolazione cirenaica (gli abitanti delle città e delle zone circostanti ormai inseriti nell'economia urbana e quelli delle oasi dell'interno, 7080.000 in tutto,
5 EDWARDS E. EVANSPRITCHARD, The Sanusy of Cyrenaica, Oxford, Clarendon Press, 1948, p. 39 (traduzione italiana Colonialismo e resistenza religiosa nell'Africa settentrionale. I Senussi della Cirenaica, introduzione di Vittorio Lanternari, Catania, Edizioni del prisma, 1979). EvansPritchard, uno dei maggiori antropologhi contemporanei, con una diretta e profonda conoscenza del mondo arabo e africano, visse in Cirenaica nel 194244 come ufficiale britannico, in mezzo alle tribú del Gebel. La sua opera sulla Senussia è certamente la piú autorevole in materia, ma è sistematicamente ignorata dalla storiografia coloniale italiana, a cominciare dal De Leone, che giunge ad attribuire a me cifre e giudizi di EvansPritchard [...]

[...]deportati, accusati soltanto di legami di parentela con guerriglieri riconosciuti (gli indiziati di complicità con la resistenza venivano passati per le armi sul campo), cfr. RODOLFO GRAZIANI, Cirenaica pacificata, Milano, 1932, p. 104, ripreso testualmente nel successivo Pace romana in Libia, Milano, 1937.
10 Secondo il De Leone, soltanto « un personaggio che si direbbe non italiano » può scrivere pagine come le mie di denuncia dei crimini del colonialismo fascista in Cirenaica (Il genocidio cit., p. 8). Nel 1980 questi schemi cari alla propaganda del regime fascista sembrano decisamente fuori posto e servono soltanto a celare la mancanza di validi argomenti scientifici.
11 Cfr. E. E. EVANSPRITCHARD, op. cit., p. 37; J. L. MIELE, L'imperialisme colonial italien de 1870 à nos jours, Paris, Cedes, 1968, p. 180.
12 RAFFAELE CIAscA, Storia coloniale dell'Italia contemporanea, Milano, Hoepli, 19402, p. 551.
VARIETÀ E DOCUMENTI 453
sé solo 600.000 13. Nel 1931, secondo dati di Graziani, pecore e capre erano ridotte a 67.000, perché la loro soprav[...]

[...]tava solo miseria, morte e spoliazione?). La repressione attuata da Badoglio e Graziani, in conclusione, si propose la distruzione di una società secolare, attraverso l'eliminazione fisica di buona parte dei seminomadi, lo sconvolgimento della loro vita tradizionale e la sottrazione dei loro mezzi di sussistenza (il bestiame). Nella storia della nostra civiltà abbiamo altri esempi di genocidio, anche su scala maggiore (basti pensare ai fasti del colonialismo inglese, francese o statunitense), se questo può consolare qualcuno. A noi spetta però denunciare le responsabilità del colonialismo e del fascismo italiano verso le genti del Gebel cirenaico, a infamia dei protagonisti e dei loro difensori
e ad ammonimento degli italiani di oggi.
GIORGIO ROCHAT
BORIS TOMASEVSKIJ, DELLA POETICA
Il potere stimolante che ancor oggi, a molti anni di distanza, continuano ad esercitare gli scritti dei formalisti russi, trova una delle sue giustificazioni nel fatto che, in essi, anche gli errori sono felicemente intaccati dall'intelligenza,
e che questa finisce col contagiare assai piú di quanto quelli non sopraffacciano.
E non intendiamo soltanto alludere alle loro esegesi dei testi lette[...]



da Romano Ledda (a cura di), Dossier NATO in KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 5 - 9 - numero 19

Brano: [...] storico della politica estera americana. Politica di potenza e sfida sociale vi si intrecciarono, trovando di volta in volta ora l'uno ora l'altro maggiore o minore rilievo. Il comunismo fu allora visto come la forza di un presunto « imperialismo sovietico ». La più generale crisi tradizionale del sistema imperialistico come « una cospirazione sovietica globale ». Walter Rostow, ad esempio, vedeva nella lotta di liberazione vietnamita contro il colonialismo francese nel 1946, « il risultato della decisione di Stalin di lanciare una offensiva in Oriente». E fu quindi essenziale combattere il comunismo in ogni parte del mondo.
La definizione compiuta di questa strategia di contenimento si ebbe con la Dottrina Truman (12 marzo 1947), con la quale gli USA si impegnavano a « sostenere i popoli liberi i quali resistono ai tentativi di coercizione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne ». L'Alleanza atlantica fu il primo e coerente corollario di quella dottrina, che nel giro di pochi anni avrebbe proliferato nel mondo una catena intermina[...]

[...]si in una simile direzione » (Collotti). Basta pensare al modo con cui l'aggressione americana al Vietnam e la solidarietà che ha richiesto
e ottenuto, in nome dell'Alleanza, abbiano congelato il dialogo con l'Est ed elevato continue muraglie sulla via di una reale distensione europea.
Basterà ancora pensare al peso determinante avuto dal la NATO nel provocare non solo rapporti mondiali, ma rapporti specifici tra Europa
e Africa all'ombra del colonialismo e del neocolonialismo. In realtà tutto il disegno europeistico perseguito dalle vecchie classi dominanti europee, e vantato come possibile anzi inevitabile all'interno delle strutture dell'Alleanza atlantica, si è rivelato marcio e suicida per l'Europa. « Sulla via dell'atlantismo e della integrazione monopolistica — si scriveva su Rinascita solo qualche anno fa — l'occidente europeo si trova oggi stretto dall'invadenza economica americana, paralizzata nel suo dialogo con i paesi socialisti e nei rapporti col terzo mondo, posto di fronte al riesplodere di focolai revancïtisti ».
Nè si pub dimenticare quello che p[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte terza: Orgosolo moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]l suo territorio è ancora il territorio del paese, ma si è dilatato al territorio nazionale, mondiale.
Studieremo l'azione di questa nuova classe creatasi di recente, che ha fisionomia singolare e già dimostra possibilità di spezzare una storia millenaria, di introdurre nel paese il più profondo rinnovamento.
**(
La situazione coloniale del paese di Orgosolo in seno allo Stato italiano è una situazione coloniale due volte aggravata : e per il colonialismo economico, comune a tante altre zone d'Italia; e per il colonialismo militare proprio (almeno per intensità) solo al paese di Orgosolo. Una così grave, estrema forma di oppressione imperialista comporta — con urgenza — la necessità di « liberazione » del paese, l'interesse comune e generale ad una totale « liberazione ». Si può dire che il problema del paese di fronte allo Stato, dal 1880 ad oggi, sia stato
216 FRANCO CAGNETTA
sempre, essenzialmente, il problema di una liberazione « nazionale » o, più esattamente « paesana », e di una liberazione « sociale » dall'oppressione che si approfondisce sempre piú. Le forme di « ribellione » dal 1880 al 1943 (e si p[...]



da Leone Pacini Savoj, Varietà e documenti. Boris Tomasevskij della poetica in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]tava solo miseria, morte e spoliazione?). La repressione attuata da Badoglio e Graziani, in conclusione, si propose la distruzione di una società secolare, attraverso l'eliminazione fisica di buona parte dei seminomadi, lo sconvolgimento della loro vita tradizionale e la sottrazione dei loro mezzi di sussistenza (il bestiame). Nella storia della nostra civiltà abbiamo altri esempi di genocidio, anche su scala maggiore (basti pensare ai fasti del colonialismo inglese, francese o statunitense), se questo può consolare qualcuno. A noi spetta però denunciare le responsabilità del colonialismo e del fascismo italiano verso le genti del Gebel cirenaico, a infamia dei protagonisti e dei loro difensori
e ad ammonimento degli italiani di oggi.
GIORGIO ROCHAT
BORIS TOMASEVSKIJ, DELLA POETICA
Il potere stimolante che ancor oggi, a molti anni di distanza, continuano ad esercitare gli scritti dei formalisti russi, trova una delle sue giustificazioni nel fatto che, in essi, anche gli errori sono felicemente intaccati dall'intelligenza,
e che questa finisce col contagiare assai piú di quanto quelli non sopraffacciano.
E non intendiamo soltanto alludere alle loro esegesi dei testi lette[...]



da Asiaticus, Due tesi sull'evoluzione dei paesi ex-coloniali. [sopratitolo: "democrazia nazionale" e "Nuova democrazia"] [sottotitolo: Diverse vie di sviluppo per i popoli del Terzo mondo - Dalla democrazia al socialismo. Le prime esperienze storiche in Mongolia, Cina e Turchia - Il ruolo dirigente del proletariato] in KBD-Periodici: Rinascita 1963 - 1 - 26 - numero 4

Brano: [...] affermava:
« Nella situazione storica attuale si vengono a creare in molti paesi condizioni interne e internazionali favorevoli alla costituzione di uno Stato indipendente a democrazia nazionale, cioè di uno Stato che difenda coerentemente la propria indipendenza politica ed economica, lotti contro l'imperialismo e i suoi blocchi militari, contro le basi militari sul proprio territorio. Si tratta di uno Stato che lotta contro le nuove forme di colonialismo e contro la penetrazione del capitale imperialistico, che ripudia i metodi di governo dittatoriali e dispotici, uno Stato in cui vengono garantiti al popolo ampi diritti e libertà democratiche (di parola, di stampa, di riunione, di manifestazione, di organizzazione in partiti politici e in associazioni). Entro tale Stato il popolo deve avere la possibilità di ottenere l'applicazione della riforma agraria e l'accoglimento di altre rivendicazioni nel campo delle trasformazio_ ni democratiche e sociali, la possibilità di partecipare alla determinazione del la politica statale. Ponendosi sulla vi[...]

[...]a « nuova democrazia » cinese del 1940. E' in tutti i casi un problema da discutere.
Asiaticus
(1) Ancora oggi quattro piccole stelle che circondano la grande stella nell'angolo superiore sinistro della bandiera della Cina popolare rappresentano le quattro classi rivoluzionarie chiamate a costruire la .nuova democrazia'. (classe operaia, contadini, piccola borghesia, borghesia nazionale), raggruppate attorno a1 partito comunista.
cLa fine del colonialismo» vista da Siné


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine colonialismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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