Brano: [...]ermazione del tutto infondata. La verità è soltanto che Freud nel suo saggio parla del Mosè di pietra come se si fosse trattato di un ,essere vivente, che mutava di sentimenti ed era in movimento: e cioè di un paziente di cui si vuol ricostruire un processo di pensiero. E non voleva di fronte ai critici d'arte (che di fatto in genere non hanno seguito il suo modo di ragionare) prestarsi a critiche che avrebbero investito anche la psicoanalisi. L'antisemitismo non c'entra proprio per nulla.
Preoccupazioni d'ordine politico Freud ebbe invece piú tardi per il libro sull'uomo Mosè: benché coloro che questa volta potevano risentirsi delle tesi sostenute da Freud, fossero proprio gli stessi' ebrei, che si vedevano privati della ebraicità del loro piú grande profeta. Ma al tempo del libro su Mosè e il monoteismo, i nazisti stavano per invadere l'Austria. E Freud paventava sí da un lato di offendere, o addolorare gli ebrei già provati dalle persecuzioni iniziate, ma altresf di irritare la Chiesa cattolica (pur essa in definitiva interessata all'autent[...]
[...]ti dalle persecuzioni iniziate, ma altresf di irritare la Chiesa cattolica (pur essa in definitiva interessata all'autenticità della figura di Mosè, su cui poggia tutto l'Antico Testamento). Di irritare quella Chiesa cattolica, da cui Freud allora continuava ad illudersi che potesse venire qualche aiuto, per impedire che la Germania nazista ed atea inghiottisse la cattolicissima Austria.
Certo Freud, fin dalla piú tenera età ebbe da temere l'antisemitismo: che in forma, ora latente, ora aperta, persisteva da tempo immemorabile specialmente nell'Europa centrale. Ma non cessò mai — benché non credente in alcuna religione — di proclamare non solo la propria discendenza ebraica, ma la propria piena appartenenza al popolo di Israele.
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Nella già citata lettera del 26 febbraio 1925 alla Judische Presszentrale di Zurigo, afferma: « Posso dire di sentirmi lontano dalla religione ebraica come da tutte le altre religioni, nel senso che non mi coinvolgono emotivamente, anche se nutro per esse un grandissimo interesse scien[...]
[...]ti Freud e la sua ebraicità, le quali tuttavia a mio parere sono del tutto infondate.
Cosí quando Brücke spinse Freud, allora giovanotto, ad abbandonare gli studi puramente scientifici per dedicarsi alla professione medica, egli lo fece certamente perché non esistevano prospettive di una rapida carriera universitaria per Freud, che aveva invece assolutamente bisogno di guadagnare. Pensare che il comportamento di Brücke nel 1882 fosse dettato da antisemitismo, e dal desiderio cioè di non tenere, per questo motivo, ulteriormente Freud nel proprio Istituto, come suppone Bakan, è assolutamente assurdo.
È vero che gli ebrei sono stati e sono spesso oggetto di persecuzioni reali; ma bisogna tener conto che questo ha anche sviluppato fra loro una certa mania di persecuzione, per cui possono tendere ad attribuire ad antisemitismo situazioni che coll'antisemitismo nulla hanno a che vedere.
Freud fu invece sempre grato a Brücke di averlo indotto a mettersi a lavorare professionalmente, e riconobbe che Brücke aveva contribuito a toglierlo da una situazione indignitosa, per non dire vergognosa. Infatti per consentire a Sigmund, che non guadagnava un soldo, di continuare i propri lavori scientifici nel campo della neurofisiologia, in vista di una carriera accademica del tutto aleatoria, le sue sorelle erano in quel tempo costrette a fare le domestiche a
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servizio di estranei. Era quindi perfettamente giusto che Brücke riportasse i[...]
[...]lte altre corrispondenze possono essere trovate in documenti provenienti da diverse civiltà.
La via di trasmissione di queste corrispondenze non è dunque storico culturale, ma semplicemente psicologica, per la uniformità dell'apparato psichico degli uomini.
Bakan parla anche di una certa dissimulazione della propria persona da parte di Freud in ciò che pubblicava; e la attribuisce pure ad un bisogno di nascondersi in funzione del problema dell'antisemitismo. Cita Bakan, a tale proposito, il fatto che molti dei sogni, od altri episodi analizzati nelle sue opere, non vengono da Freud riferiti a se stesso, che ne è il vero soggetto, ma ad ipotetici pazienti, o comunque ad altre persone.
Freud però faceva semplicemente quello che fanno tutti gli analisti. Un analista non dovrebbe parlare di se stesso (come invece ho proprio io il brutto vizio di fare), per un riguardo verso i propri pazienti, e perché l'analisi con questi si possa svolgere in forma corretta.
Oggi sappiamo che la maggior parte dei sogni narrati nella Traumdeutung appartengono allo [...]
[...]essere umano.
E vorrei, per concludere, citare gli ultimi due suoi scritti, che egli riusci a veder pubblicati, prima di morire. Sono lettere che aveva inviato a due giornali progressisti, uno francese ed uno inglese, dopo essere giunto profugo in Inghilterra nel 1938. Freud, che pure era stato accolto a Parigi e a Londra col massimo affetto e con i piú grandi onori, constatò come neppure l'Inghilterra e la Francia fossero del tutto immuni dall'antisemitismo. I due giornali avevano infatti scritto accusando si i nazisti di barbarie, ma col tono di invocare, per i poveri ebrei, un po' piú di tolleranza da parte dei nazisti.
No, replica Freud, non tolleranza. Finché si parla di tolleranza si dà per scontata una condizione di inferiorità, e comunque un elemento di discriminazione.
Ciò che in queste sue ultime pagine egli chiede per sé, per gli ebrei, e per tutti gli esseri umani, è il riconoscimento della piena eguaglianza di ogni uomo, nella dignità, nei diritti e nel rispetto della persona.
CESARE MUSATTI