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Il segmento testuale Zio Sabino è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Angelo Muscetta, Memorie del cavaliere Angelo Muscetta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...], e cioè 1 soldo quattro
(1) Di pomeriggio
MEMORIE DEL CAV ANGELO MUSCETTA 55
giarrette di neve zuccherato, con colori variopinti, anche se non nocivi (I), e dalla sera, specie d'inverno, al Teatro dell'Opera ossia l'Opera dei pupi. Quando avevamo il borsellino pieno, prendevamo i primi posti, 2 soldi. Ero felice.
Le cose andavano maluccio, il capitale di mio padre andava assottigliandosi, e ricordandosi che a Marsiglia vi era un fratello di zio Sabino (che in seguito conoscerete), scrisse mio padre a lui, se emigrando a Marsiglia, potesse trovare lavoro. La risposta fu favorevole, e se non erro, verso la fine dell'anno, pare nell'agosto 1888 (sono in questo momento un poco smemorato), mio padre partí per Marsiglia, ove fu accolto da questo zio, fratello di Sabino suo cognato, molto fraternamente; scrisse a noi che aveva fatto buon viaggio, e che aveva trovato lavoro presso una raffineria di zucchero, situata Gran Chaimen d'Aix (2) guadagnando lire 2,60 al giorno, portando da un punto all'altro molti sacchi sulle spalle (lavoro che non avev[...]

[...]ri vi era un carretto venuto insieme con un mio cugino avvisato a tempo e caricammo le poche masserizie e noi, partendo alla volta di Saviano. I parenti ci accolsero con gioia, ci istallammo in casa di due sorelle di mia madre, suore zia Peppa e zia Filomena, in attesa di stabilirci, forse ad Avellino. Ed infatti dopo quattrocinque giorni, partimmo io e mio padre alla volta di Avellino, pregando la sorella di mio padre, zia Angelarosa, il marito zio Sabino e zio Sabatino (che abitava alla casa del Notaio Titomanlio padre in via Beneventana) pregando questi parenti venirci in aiuto, anche a titolo di prestito, per iniziare il lavoro. Ma intanto, un poco perché le loro case non andavano bene, un poco per farci assumere una certa responsabilità, pregarono il compare Fusco perché c'improntasse qualche cosa, per iniziare il lavoro.
Qui entriamo nella terza fase, e potrei dire « dall'ago al milione »..
Verso la fine di agosto, sempre del medesimo anno, il compare Fusco consegnò a mio padre 8 coppi da lire 5 cadauno di bronzo, cioè in tutto lire 40[...]

[...] e il carretto. Eravamo amici intimi, acquistammo il mulo per lire 75 (un bel mulo),
e il carretto 70 lire, pagando metà anticipato e l'altra metà alla fine del 1893. Per me fu di grande sollievo, perché non ne potevo piú: quel somaretto andava cosí lento, da non fare neanche un chilometro all'ora. Col mulo andavamo benino, facevano diversi paesi in un giorno,
e gli affari progredivano sensibilmente. Mi ritiravo a casa, mi lavavo,
e andavo da zio Sabino, il quale gestiva una bella trattoria, con sala da pranzo e giardino, e molti clienti ferrovieri, che venivano da Napoli a mangiare. E facevo il cameriere insieme ad una serva, ed avevo cosí a tavola con loro una buona cena.
Mio padre aveva restituito al compare Fusco le lire quaranta ed aveva messo da parte qualche cosa. Vi era in quell'epoca il nonno dell'attuale Acone, il quale aveva il negozio, dov'è attualmente la Rustica, e i depositi nel portone di Lanzara, di terraglie, porcellane e cristalli, e cosí accoppiato al commercio di vetri ordinaria, aggiungemmo
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUS[...]

[...]io piccolo di fare altrettanto, e per ogni articolo che compravo, ne compravo un pezzo in piú, ed appiccicavo il prezzo, spesse volte la merce finiva e il campione rimaneva. Il cliente protestava, io dicevo prontamente che tale articolo era finito quella mattina.
Eravamo al maggio del 1896, e piú che io, il mio povero padre era soddisfatto di aver ripigliato il suo mestiere, e che rendeva abbastanza. Questo rendimento fece balenare l'idea a mio zio Sabino, marito di zia Angelarosa, sorella di papà, di mettersi in socio con noi; società, se cosí vogliamo chiamarla, che mio padre non potette rifiu. tarsi, perché i primi soccorsi l'avevamo avuto da lui. Il guaio lo passai io, perché questo zio era anche analfabeta, e non del mestiere, essendo lui proprietario e gestore di trattoria e di una piccola camera per uso di albergo. Ci preparammo per l'altra fiera di S. Egidio a Montefusco, lavorando come un cane per la contabilità, perché anche questo barese, era analfabeta. Insomma io che avevo frequentato la seconda classe elementare e due mesi della [...]

[...]ndo come un cane per la contabilità, perché anche questo barese, era analfabeta. Insomma io che avevo frequentato la seconda classe elementare e due mesi della terza, ero un padreterno. Ma solamente alla divisione dei lucri e della merce, incominciarono a sorgere delle dificoltà, ed allora mi convinsi che nessuna società potevamo fare.
Occorre tornare qualche anno indietro, e precisamente nel settembre del 1890.
Frà i moltissimi clienti di mio zio Sabino, vi era il Capotreno Recine di Montefusco, che poi doveva diventare prima cognato e poi suocero mio, ed un giorno raccontò a mio zio che la moglie a Napoli si era partorito di una bellissima ragazza, ed aveva bisogno di una nutrice urgentemente. Mio zio voleva un gran bene a questo Capotreno; e perché assiduo suo cliente, e perché della nostra provincia, gli promise il suo interessamento. Lo zio Sabino aveva una sorella che si chiamava Lena, moglie di un operario di Sarno, Luciano Pappacena, che lavorava a Pianodardine, dove vi era una fabrica inglese di filati,
72 ANGELO MUSCETTA
il di cui proprietario si chiamava Turner. Questa zia Lena da poco si era partorito di una terza figlia, che fatalità volle dopo quindici giorni gli mori. Rimasta così la madre piena di salute e latte buono abbondante, lo zio Sabino telegrafò al Capotreno Recine che portasse la bambina perché aveva pronto la nutrice. Infatti il giorno dopo arrivarono ad Avellino, il Capotreno, la moglie e la bambina che si chiamava Amelia. Si aggiustarono per il prezzo, e altre modalità, e fu affidata alle cure di questa zia Lena, che era una bella e simpatica donna.
Tutte le domeniche (io avevo tredici anni) e per la cupa (1) di S. Lorenzo (perché questa nutrice zia abitava al bivio della cupa, sulla strada che da Pianodardine porta ad Atripalda: abitazione caratteristica, perché aveva esternamente una scalinata) andavo da questa zia, [...]

[...]eroni di zita che io nell'ora di merenda, mangiavo con avidità. Spesse volte per riscaldarmi i maccheroni, mi affibiava in braccia questa piccola Amelia, che cresceva bellissima e che io divoravo con baci innocenti. Passato il periodo di allattamento, il padre ritirò questa bambina, con gran dispiacere di mia zia, vuoi per la morte della figlia, vuoi perché gli aveva dato latte, tanto si era affezionata.
I rapporti tra il Capotreno Recine e mio zio Sabino non solo rimasero cordiali, ma si cementarono fraternamente. Si era alla fine di giugno del 1896. Mio zio Sabino, malgrado i miei diciannove anni, voleva che io sposassi, sapendo che questo Capotreno aveva una sorella signorina a Montefusco, e lo sapeva perché la trattoria di mio zio era il punto d'appoggio di lettere e pacchi, sia da Napoli per Montefusco che da Montefusco a Napoli. Un giorno mio zio abbordò questo Capotreno che era in vena, e gli disse queste testuali parole: — Don Carlo, mi è venuta un'Idea. Perché non facciamo sposare Angelino con vostra sorella? — Il Capotreno su due piedi non sapeva che cosa rispondere, e disse: — Poi vedremo.
Stavano così le cose. Io senza approfondire troppo a [...]

[...] sempre interessantissima. Ero diventato l'idolo di tutta la clientela eletta, di tutte le signore: aspettavano con pazienza delle ore, perché loro dovevano contrattare solamente con Angelino. I successi crescevano senza misura fino al marzo 1897. un fatto nuovo sopravvenne e fatalità volle che dovevo cambiare mestiere.
(1) Via di campagna, delimitata da siepi.
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 73
Il padre di Maioli, appaltatore, propose a mio zio Sabino la gestione del buffet alla stazione di Avellino; e mio zio, per l'avidité di diventare proprietario di un buffet, accettò senz'altro, e si stipulò, tramite il compare Fusco, il contratto di cessione tra il vecchio gestore Amedeo Fontana di Brescia, ottimo organizzatore, che per ragioni di famiglia doveva trasferirsi al suo paese, e mio zio Sabino Tommasetta. E la gestione fu affidata a me, naturalmente sotto il controllo di mio zio Sabino, e così il 21 aprile 1897 avvennero le consegne.
Si era trasferita. da Saviano ad Avellino (andando ad abitare nella casa attualmente di Sabino Venezia, confinando con la casa che avevamo presa in fitto dallo stesso) una sorella di mia madre di nome Matilde, col marito Gavino Martinetti di Iglesias (Sardegna) maresciallo di finanza a riposo, con cinque figli; il primo Peppin, che tutti conoscete, il secondo Giovanni, Domenichina, Tilde, e Palmira, tipo allegro, di cuore e lavoratore. La moglie, zia Matilde, tipo diverso dalle sorelle, bella, elegante, insomma signorile, terribile come mia ma[...]

[...]madre (poteva dalla signorilità passare alla donna del popolo), aveva la stessa mania di mia madre, di effettuare spesso traslochi. Di fatti dopo quattro anni si trasferirono a Saviano, poi a Napoli, a Cagliari, Iglesias, e poi a Palermo dove mori: i figli intelligenti, con educazione benina, però sciuponi, (come la madre), e sfortunati.
Presi le consegne del buffet, alla Stazione, e siccome questo mio zio, sardo cucinava molto bene, pregai mio zio Sabino di prenderlo in servizio, in qualità di cuoco, per lire 10 mensili. Ebbe inizio il mio nuovo lavoro, di cui ero profano, sia perché non avevo mai frequentato caffé (per mancanza di denaro), sia perché non avevo nessuna cognizione di liquori e di ristorante. Avevo un poco di pratica della trattoria di mio zio Sabino, ma era una cosa diversa. Sempre tenace e sempre passione nel lavoro, tutto ciò che iniziavo lo portavo a buon fine. Una sola volta feci una brutta figura, ed era il terzo giorno della mia gestione. Si presentarono al banco un signore ed una signora, chiedendo due coca. Li pregai d'attendere un minuto, e chiesi aiuto a questo zio cuoco, perché non aveva interpretato bene la richiesta, e tanto io che questo zio sardo ci lampicchevamo il cervello, ma poi mi decisi tornare al banco, e con molte scuse feci intendere che eravamo sprovvisti di quello che chiedevano. Ed il signore un poco irritato m[...]

[...]. Ed il signore un poco irritato mi disse: — Ma come dite di non averne, mentre li in quello scaffale ce ne sono diverse bottiglie? — Ed infatti la richiesta sua si riferiva ad un liquore chiamato Elixir Coca. Feci le mie scuse di nuovo, giustificando che da soli tre giorni avevo preso servizio.
74 ANGELO MUSCETTA
Avevo preso buona cognizione del mio compito, che espletai (come sempre) superando ogni difficoltà, con grande soddisfazione di mío zio Sabino (proprietario) e con soddisfazione della clientela, che accresceva giorno per giorno, sia ferrovieri che privati, e viaggiatori di transito. Tutti volevano Angiolillo, tutti cercavano Angiolillo. Chiamai con me le mie due sorelle poiché avevo bisogno di aiuto, oltre la serva, qualche piccolo garzone, per riempire bottiglie e fiaschi di vino. Mio zio era tale la soddisfazione che forni quel buffet dei migliori liquori esteri e nazionali, biscotti, cioccolato e caramelle,
e malgrado mio zio avesse incontrato dei forti debiti, sia per il riscatto del locale pagando una lauta buonuscita, sia per[...]

[...]sia per quelli di porcellana etc., nonché le cambiali ancora rimaste per il riscatto del buffet. Cercai parlare con buoni modi a mio io Sabino perché, mentre era irruento e violento, aveva un cuore d'oro. Aveva la mania di continuare a fare credito ai ferrovieri che non pagavano, ed alla fine del mese che andava a Napoli per riscuotere, non riscuoteva neanche la terza parte. Tirammo ancora avanti fino alla fine del 1896, e nel marzo del 1897 mio zio Sabino ebbe un attacco di gotta che a stento era immobbilizzato, e sopra uno dei due divani che avevamo nella sala da pranzo del buffet guardava gl'incassi. A fine marzo si doveva andare a Napoli per la solita riscossione mensile, e fu la prima volta che delegò a me. Non conoscevo Napoli, che, [solo] qualche volta mio padre mi aveva condotto per qualche giorno. Fittai la medesima camera che mensilmente fittava lui — Albergo Wachinton — (lato partenze) e che pagavo lire 1.25 per sera, e lire 2 al giorno per mangiare. In queste 2 lire erano comprese le sigarette e qualche divertimento. Saltavo il past[...]

[...] decolté della noblès napoletana. Quei zoticoni dei miei amici caddero in braccia a Morfeo per tutta la durata dello spettacolo. Quale fu il mio stupore, quando incominciò il Ballo Escelsior, che si componeva di 500 coppie. Avevo la visione esatta di essere nel mondo della Luna: non potetti fare a meno, con un forte spintone, svegliare quella gente che osava dormire in tanta esagerata Bellezza.
Rientrato ad Avellino, consegnai esattamente a mio zio Sabino l'esazione fatta, con una nota di morosi, che non dovevano piú mangiare, a meno che non avessero pagato per contanti. La cosa non era di gradimento a mio zio, ma poco per volta con le buone maniere fini per convincersi, e la baracca incominciò, con altre direttive piú o meno caotiche.
Per l'esazione a Napoli continuai ad essere io delegato per i mesi di aprile, maggio, giugno sempre dell'anno 1897. Si era in luglio, e si approssimava la fiera a Montefusco, e dovetti darmi da fare per l'approvviggionamento e fare, come sempre, piú buona figura. La solita affluenza di clienti; però la prima se[...]

[...]stoso (1). Acquistò lo stesso il bichiere, salutarono e andarono via, chiamai a mia madre (ché essa veniva sempre alla fiera) e gli raccontai questo episodio.
Io non potetti pronunciarmi dippiú, perché ignoravo se il Capotreno ne avesse fatto qualche .accenno alla sorella.
Finí la fiera, sempre con ottimi risultati, e tornammo ad Avellino ed a mio zio raccontai il piccolo episodio, dicendogli che ne avevo ricevuto buona impressione. Pregai mio zio Sabino di parlarne di nuovo al fratello Capotreno perché a sua volta ne avesse parlato a Don Ciccio Bocchino suo tutore, alla zio Canonico e a zio Francischiello, e poi saremmo andati a Montefusco, a parlare di ogni cosa. Passarono due mesi dalla fiera, ed il fratello Capotreno Carlo Recine era stato a Montefusco e ne aveva parlato alla sorella, ed agli zii, e cosí id 15 novembre 1897 nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefusco, io, lo zio Sabino, e il compare Fusco — ed eravamo diretti alla casa dello zio Don Ciccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima all[...]

[...]rne di nuovo al fratello Capotreno perché a sua volta ne avesse parlato a Don Ciccio Bocchino suo tutore, alla zio Canonico e a zio Francischiello, e poi saremmo andati a Montefusco, a parlare di ogni cosa. Passarono due mesi dalla fiera, ed il fratello Capotreno Carlo Recine era stato a Montefusco e ne aveva parlato alla sorella, ed agli zii, e cosí id 15 novembre 1897 nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefusco, io, lo zio Sabino, e il compare Fusco — ed eravamo diretti alla casa dello zio Don Ciccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima alla casa della sposa, e cosí facemmo. Per quanto preavvisati della nostra visita, la futura sposa rimase sorpresa, e dopo di averci lo stesso ricevuti ci disse gentilmente che la richiesta doveva essere fatta in casa dello zio Bocchino, giusto come si era rimasto stabilito, si parlò del piú e del ;meno, e bastò questo perché i nostri cuori incominciassero a battere all'unisono, e bastò fra noi due .un furtivo sguardo (che è il primo linguaggio dell'amore) per intende[...]

[...]mio conto, ma non si trovavano d'ac
dordo per la posizione finanziaria. E non avevano tutti i torti: io non
possedevo nulla, la sposa portava in dote circa 6 mila lire, in contanti 3.800 e 2.200 una casa e terra, ancora in comune col fratello Carlo
Capotreno. Però mio zio Sabina e mia zia Angelarosa mi donavano lire 1.000 ciascuno alla rispettiva loro morte, e ,il contante della sposa veniva ipotecata su una loro casa, e quindi .garentita; lo zio Sabino s'impegnava fare tutte le spese del matrimonio, mobilio, vestiti per me e per la sposa, quel poco di oro, ecct. ecct.
I zii della sposa quasi non volevano aderire a questo matrimonio, perché non avevano voluto accettare due .matrimoni, uno di un ricco orefice di Gesualdo, e un altro in quell'epoca esattore di Montefusco, tutti e due ricchi, di buona famiglia, ma di pessimi precedenti giovanili. Lo zio Bocchino si alzò, e disse ai famigliari tutti: — Io per conto mio e ne assumo piena responsabilità, son del parere di dare in sposa mia nipote Vincenzina ad Angelo Muscetta, povero, come voi vo[...]

[...]ano contenere dalle risa e così loro chiarirono, che quello era uno scaldaletto di legno piú lungo di una sedia, con dentro due recipienti che contenevano il fuoco, e questo apparecchio lo chiamavano il monaco.
Al. mattino vicino al caffè, vi era un pacchetto di sigarette: insomma io non spendevo nulla. Ricardo a questa proposito, che questo mio fidanzamento aveva destato invidia a molti del rione, tanto che parecchi erano andati ad insinuare a zio Sabino che io rubavo a lui, e portavo a Montefusco tutto dalla fidanzata. Un giorno mi ero già vestito, la carrozza mi aspettava vicino alla porta, salutai a tutti, e salii in carrozza. Stavamo per partire, e mio zio mi chiamò, e mi pregò di scendere un minuto, entrammo in una camera, e mi disse che cosa tenevo in quella picocla valigetta, che feci scendere, e gli dissi: — Qualche fazzoletto, e qualche camicia da notte (a quell'epoca non si usava il pigiama). Mi domandò che denaro avevo, allora incominciai a comprendere, che qualcuno lo aveva insinuato. Mi spogliai nudo, rivoltando tutte le tasche, [...]

[...] quella picocla valigetta, che feci scendere, e gli dissi: — Qualche fazzoletto, e qualche camicia da notte (a quell'epoca non si usava il pigiama). Mi domandò che denaro avevo, allora incominciai a comprendere, che qualcuno lo aveva insinuato. Mi spogliai nudo, rivoltando tutte le tasche, e non uscirono che lire: 1,15, — dico ventitrè soldi, ed un pacchetto di sigarette, e una scatola di cerini. Io rimasi male, ma piú male e umiliato rimase mio zio Sabino, il quale mi disse queste testuali parole: —Dapo il tuo fidanzamento, ti sei circondato di invidia e gelosia, però questo risultato negativo non ha fatto altro che cementare il mio bene e la mia fiducia, per quanto quest'ultima, mai perduta —. Voleva darmi
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 81
del danaro, ma rifiutai energicamente, dicendogli: — Non mi serve, perché a Montefusco non mi fanno mancare neanche le sigarette. — Mi vestii in fretta, presi la mia piccola valigetta, presi pasto nella carrozza, facendo le mie scuse ai miei compagni di viaggio, chè per un contrattempo li avevo fatti at[...]

[...]o sempre conforto. Un giorno mia zia Angelarosa, [di] nascosto del marito Sabino, venne a trovarmi e si rammaricò per quello che era successo, e lo stato mio compassionevole e disperato. Mi mandò subito dalla trattoria da mangiare, e venne di nuovo ad assicurarsi, se io avessi mangiato, perché quasi da tre giorni non avevo toccata cibo. Intanto Vincenzina mi scrisse da Montefusco, che aveva saputo che erano sorte delle questioni serie, tra noi e zio Sabino: i soliti amici e invidiosi s'erano preso la briga di scriverle una lettera anonima informandola di tutto, aggiungendo perfino che il matrimonio sarebbe andato a monte. Supplicandomi di scriverle tutta la verità, e conoscendo il mio tipo affettuoso, non mancò d'incoraggiarmi, di avere fede in Dio per il nostro destino. Un giorno, profittando che lo zio Sabina era a Napoli, ed analizzando bene le cose, riconobbi che il torto era da parte dei miei, e incoraggiato dalle buone parole della zia Angelarosa, di cui portavo il nome del padre, e mi voleva molto bene, andiedi a prendere servizio, giust[...]

[...]oscendo il mio tipo affettuoso, non mancò d'incoraggiarmi, di avere fede in Dio per il nostro destino. Un giorno, profittando che lo zio Sabina era a Napoli, ed analizzando bene le cose, riconobbi che il torto era da parte dei miei, e incoraggiato dalle buone parole della zia Angelarosa, di cui portavo il nome del padre, e mi voleva molto bene, andiedi a prendere servizio, giustificandomi verso i clienti che ero stato poco bene. La sera tornò lo zio Sabino da Napoli con l'ultimo treno di mezzanotte, disse: — Buona sera —, a cui risposi; ma non mi disse altro. Diede alcune disposizioni ,a mio zio Gavino, che funzionava sempre da cuoco, e si ritirò. Fui quella sera un poco contrariato per .il suo atteggiamento ancora severo, e pensando che il lavoro di pacificazione l'avrebbe preparato la zia Angelarosa sua moglie, andiedi a riposare per qualche ora nella stanzetta su una tavola, l'unica camera mia da letto, per diversi anni; camera da letto che da giorno funzionava da sala da pranzo, e la sera la tavola funzionava da letto: stanzetta umida, perc[...]

[...] aveva neanche lontanamente l'idea dell'automobile) e raggiunsi la stazione di Prata: che dopo pochi minuti arrivò i!1 primo treno da Benevento, e giunsi puntualmente alle sette del mattino, giusto come avevo promesso a mio zio. Ero felice, ogni frainteso era scomparso, lavoravo notte e giorno, e vedevo avvicinare il giorno tanto da me sperato e coronato dopo sacrificii, il mio sogno.
Il 21 novembre 1898 partimmo da Avellino in carrozza, io, lo zio Sabino, il compare Fusco, il Notar Capriolo, e il suo segretario, e ci recammo a Montefusco in casa di Don Cuccio Bocchino zio della sposa, e tutore, nonno del Dort. Francesco Bocchino, per redarre i capitoli matrimoniali, con un cerimoniale molto lussuoso, e irto di malte difficoltà per la sistemazione ipotecaria della dote: ché in quell'epoca lire 6.000 era una dote fastosa. Come Dio voile, fu appianato ogni cosa per il meglio, e per la prima vdlta, debbo confessarlo, ebbi l'onore di sedere a mensa in un banchetto di lusso e signorilità, che mi pareva di sognare qualche pagina del libro di Mille e[...]

[...]ste memorie, come rileverete nei primi capitoli, e che poi divenne mia seconda moglie) era in quel periodo in fin di vita, ammalata di tifo, che in seguito fortunatamente superò.
Dopo la cerimonia, si partí alla volta di Avellino, accompagnati da quasi tutti i parenti intimi e fioccava la neve piacevolmente. Ad Avellino nella casa dove abita adesso Siani Vincenzo, ci aspettava un lauto banchetto. A questo proposito debbo precisare una cosa. Mio zio Sabino aveva i suoi gravi difetti, ma aveva anche i suoi meriti, e cioè ci teneva a fare bella figura, un poco perché aveva assistito a due lauti e lussuosi banchetti, un poco anche per riguardo ai parenti venuti da Montefusco, tutti parenti 'rispettabili e perché no? dei veri signori.
Noi avevamo un cuoco abruzzese al 'buffet, che era qualche cosa di speciale, ed a lui lo zio Sabina affidò l'incarico di un menù speciale, dall'antipasto alla lasagna imibottita (perché era carnevale) alla galantina di pollo, al gattò di mariaggio ed ogni ben di Dio. Per non esagerare, il cuoco e un aiutante, altre l[...]

[...] nella mia miseria.
Tornai a casa, presi il mio posto di lavoro, e che lavoro. Nessuna umiliazione, ero padrone, cameriere, sguattero, facchino, venditore di acqua ai treni ecc.: credetemi, non esagero, dalle quattro del mattino a mezzanotte. L'unico conforto era mia moglie, che passato qualche mese incominciò a coadiuvarmi, acquistando pratica, e [a] stare al banco. Eravamo tanto felici, da invidiarci vicendevolmente.
Dimenticavo dire che mio zio Sabino nei primi tempi della gestione del buffet a me affidata, esercitava un'antica trattoria con giardino, e una camera con quattro letti per uso di albergo. Trattoria che per ventisei anni lavorava benino con i ferrovieri ed anche privati, e che poi si decisero lasciare, per esercitare insieme a me il buffet per economie di spese. Passarono cosí tre anni di matrimonio, ed ero già padre di due figli Amato e Sabino, lavoravo come non avevo mai lavorato in vita mia, notte e giorno, coadiuvato da mia moglie Vinoenzina, che era animata di tanta volontà, e spesse volte per forza maggiore in cucina tocc[...]

[...]vano da male in peggio, si era arrivato al punto che tutti i fornitori non volevano farci più credito, centinaia di ferrovieri mangiavano e non pagavano, cambiali che andavano iñ protesto, interessi che si accumulavano, le banche ci chiudevano i sportelli, perché [sul] l'unica casetta vicino a1 Ponte dell'acquedotto di Serino, era ipotecata la dote di mia moglie; ed io vedevo aprire un baratro innanzi a me spaventoso.
Una mattina nel buffet mio zio Sabino con gli occhi fuori dell'orbite e con una rivoltella spianata verso di me, pretendeva una mia firma ad una cambiale, che io non volevo mettere. Per fortuna mio zio fu chiamato dal Capo stazione, ché doveva pagare il canone del buffet scaduto da parecchio tempo. Spaventato presi mia moglie, e mia so rella Mariuccia e scappai in casa, col preciso proposito di non tornare mai più al buffet e piansi amaramente il mio destino. Scrissi allo zio
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 87
Francesco Bocchino a Montefusco mettendolo al corrente, pregandolo che mi facesse un prestito di 500 lire, cosa che fe[...]

[...]ffet scaduto da parecchio tempo. Spaventato presi mia moglie, e mia so rella Mariuccia e scappai in casa, col preciso proposito di non tornare mai più al buffet e piansi amaramente il mio destino. Scrissi allo zio
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 87
Francesco Bocchino a Montefusco mettendolo al corrente, pregandolo che mi facesse un prestito di 500 lire, cosa che fece subito, rilasciandogli una cambiale firmata da me e mia moglie.
Intanto mio zio Sabino, per far fronte ai suoi impegni, precipitò la vendita del residuo di merce cristalli e porcellane, gestione tenuta con capitali suoi, e venduta da mio padre.
Intanto col prestito delle 500 lire fattemi improntare dallo zio Bocchino pensai aprire un negozio sempre di cristalli e porcellane, fiatai quel basso, dove tutt'ora esiste la trattoria di Brigida, di fronte alla ferrovia, e mi decisi andare a Napoli o meglio a S. Giovanni a Teduccio da RichardGinori per fare degli acquisti: naturalmente lire 500 in contanti, ed il resto di un vagone di merce (che costava lire 3000 circa) in cambiale.
[...]

[...]dre.
Intanto col prestito delle 500 lire fattemi improntare dallo zio Bocchino pensai aprire un negozio sempre di cristalli e porcellane, fiatai quel basso, dove tutt'ora esiste la trattoria di Brigida, di fronte alla ferrovia, e mi decisi andare a Napoli o meglio a S. Giovanni a Teduccio da RichardGinori per fare degli acquisti: naturalmente lire 500 in contanti, ed il resto di un vagone di merce (che costava lire 3000 circa) in cambiale.
Mio zio Sabino vomitava fiele, e non sapendo che dispetto farmi, mi precedette di qualche giorno, ed andiede a S. Giovanni a Teduccio da RichardGinori, insinuando a questa ditta di non farmi credito, perché ero un nullatenendo e imbroglione. Non ebbi nessuna sorpresa quando mi recai a S. Giovanni, e la ditta suddetta mi disse che era spiacente non potermi accontentare col farmi credito, come aveva fatto le altre volte con mio zio Sabino, perché la Direzione di Milano cosí aveva dato disposizioni. Però io fui previggente, perché mi avevo portato la copia dei capitoli matrimoniali, e che tutte le cambiali venivano firmate anche da mía moglie Che disponeva della sua dote di oltre 6 mila lire.
Convinsi con le buone maniere 11 Dirigente del deposito della S. A. RiehardGinori di S. Giovanni a Teduccio, anche in omaggio che ero figlio di un vecchio loro cliente, e che per tanti anni (modestia a parte) era il modello di onestà.
Ritornai a casa pieno di gioia, e dopo due giorni, come stabilito, tornai a S. Giovanni con mia moglie p[...]

[...]opo di averci mangiato due belle pizze e due bichieri di vino, spendendo lire 1,20 in tutto, compreso la frutta [e] 2 soldi di mancia, partimmo alla volta di Avellino alle ore diciannove per arrivare alle ore ventiquattro circa, con una fame da lupi. La mia povera madre ci aspettava, e ci cucinò alla svelta dei maccheroni e un uovo. Preparai le mie cose, e dopo due giorni arrivò il vagone di merce nuova e bellissima, malgrado la sicurezza di mio zio Sabino che io non avrei avuto mai il piacere di avere un vagone di merce con un credito (a quei tempi colossali) di lire 3.600.
Il lavoro ebbe inizio, mio padre lavorava giorno e notte per i mercati viciniori, Atripalda compreso, avrei voluto accompagnare mio padre col carretto, ma non volli farlo, non per il lavoro, né per ver
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gogna di farlo, (perché il lavoro onesto, qualunque specie di lavoro, anche umiliante non mi aveva fatto mai impressione); ma per non dare adito alle persone che mi avevano sempre invidiato, dopo il mio matrimonio, perché non potevano rendersene ragione [...]

[...]amore, ed eravamo felici e invidiati. Lo zio Bocchino di Montefusco (che Iddio lo abbia in gloria), alle rimostranze e richiami da parte dello zio Canonico e di un'altro zio Franceschiello, per questo matrimonio fatto, dopo quanto era successo rispondeva: — Aspettate, e vedrete che quel giovane, (si alludeva a me) per la sua abilità nella vita, farà progresso e non gli mancherà mai nulla. Passarono 7 mesi, e già i preliminari di pace da parte di zio Sabino (segnatamente l'amico suo intimo Compare Fusco) si avvicinarono a me per persuadermi a fare la pace, toccando il mio debole, la moglie di zio Sabino, la buona zia Angelarosa, sorella di mio padre. Ma io non volevo più saperne. Avevo saputo che il lavoro del buffet era fortemente aumentato, e malgrado avessero preso servizio due camerieri una cameriera, una sguattera, oltre il cuoco, non potevano arrivare, e tutti rubavano. Ebbi pietà di loro e pensando anche quanto avevano fatto per me, creandomi una famiglia, finii per accettare, e tranne mio padre che seguitava il suo mestiere, e mia madre che con la cameriera vigilava cinque camere mobiliate nel palazzo Alvino, che avevano nove ferrovieri a pensione, io, mia moglie e le mie sorelle, ci[...]

[...]reso servizio due camerieri una cameriera, una sguattera, oltre il cuoco, non potevano arrivare, e tutti rubavano. Ebbi pietà di loro e pensando anche quanto avevano fatto per me, creandomi una famiglia, finii per accettare, e tranne mio padre che seguitava il suo mestiere, e mia madre che con la cameriera vigilava cinque camere mobiliate nel palazzo Alvino, che avevano nove ferrovieri a pensione, io, mia moglie e le mie sorelle, ci riunimmo con zio Sabino e zia Angelarosa. Per ragioni di economia, cambiammo casa. Io e mia moglie due camere al secondo piano, alla casa di Giordano (Melella); e dove sta ora la trattoria di Melena presero alloggio mio padre, mia madre e mia sorella.
Mio zio Sabina e mia zia Angelarosa fiatarono la casa al secondo piano dove sta ora il bar di Umberto Avagliano, compreso di tre camerette e cucina. Le tre camerette furono utilizzate per piccolo albergo, mentre la piccola cucina fu adibita per camera da letto di mio zio e mia zia, cucina umida, che a stento conteneva i1 letto. Avevo pietà dei miei zii nel .modo come [...]

[...]re leggeranno, queste noiose mie memorie, di scegliere bene la compagna della loro vita, una donna che abbia delle doti, non importa se non ha dote, perché solo la buona compagna è capace a farci progredire ed a guidarci, ed a sopportare con rassegnazione il travaglio continuo della nostra vita, piena di dolori, di sagrificio, di privazioni.
Si era arrivato al 1904 e le cose del buffet si avviavano ad un lieve miglioramento, e in quell'anno mio zio Sabino ricevette dal Brasile da un suo cognato, marito della sorella, una rimessa di lire 2.800 con preghiera di comprarci una casetta, perché il loro progetto era quello di vdlersi rimpatriare con la famiglia. Questa rimessa fu di un gran sollievo, perché mio zio Sabino, profittando ohe vi era una pianta disponibile (l'attuale fabricato) alla ferrovia, pensò di iniziare il lavoro, e costruire un fabricato, composto di dodici vani, oltre i scantinati. Si iniziarono i lavori, vennero altre rimesse dal Brasile fino a raggiungere la somma di lire 8.500. La casa fu ultimata, e con l'appaltatore Maiali padre fu stabilito che la resta dell'importo del fabricato venisse pagata in tre annualità. Mio zio Sabino e mia zia Angelarosa si stabilirono nel nuovo fabricato, e segnatamente nella camera attuale n. 8 col balcone prospiciente sul piazzale della stazione, ed il resto delle camere per uso di albergo. Io, Vincenzina mia moglie e i due bambini Amato e Sabino ci trasferimmo al palazzo di Ciro Alvino al primo piano. Si lavorava, e s'intravedeva un futuro miglioramento finanziario.
In quell'epoca, non so per quale ragione, ci fu una grande immigrazione, e tutte le sere arrivavano con i due ultimi treni da Napoli ventitrentaquaranta immigranti della nostra provincia, che dovevano ripartire l'indoman[...]

[...] a secondo del bisogno. Ti guadagno era soddisfacente, perché mentre noi si lavorava con centesimi, questi immigranti pagavano con dollari, che in quell'epoca i'l dollaro quotava lire 4,20 italiane. Il bello era, portavo le valigie internamente dalla stazione al buffet e mi regalavano; li servivo a tavola, ed avevo la mancia; li accompagnavo in camera (portando le valigie), ed avevo altre regalie. e mia zia Angelarosa, mia moglie Vincenzina, mio zio Sabino in cucina ridevano a crepapelle, per tante mie trovate, per tante mie barzellette. Una sera arrivarono trentadue immigranti, che dal loro vestire avevano l'apparenza di essere molto ricchi (sempre cafoni). Tutti allegri mangiarono e bevevano a profusione, regalavano senza parsimonia. Ebbi uno dei momenti miei, che alla mia età (malgrado i disagi) tanto ini distinguevano.
Nella sala da pranzo vi erano i seguenti ferrovieri, che tutte le sere si divertivano: un capotreno, chiamato Cuomo suonava la chitarra; un macchinista, Durante, suonava il violino; un frenatore, Pirone, cantava con una bell[...]

[...] faccia della fame, tutti in abito borghese, con cappelli o berretti civili. Mi presentai a loro ,e dissi: — Questo è il momento di far denari, prendete i vostri strumenti, passate dal piazzale della ferrovia e entrate come suonatori ambulanti —. Al fuochista (che aveva la faccia della fa
(1) Ma non sono le bellezze, sono i modi che tu hai.
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me) gli diedi un piattino, e dopo pochi minuti entrarono chiedendo il permesso a mio zio Sabino proprietario, di suonare. Credetemi, fu un successone. Quando usci il fuochista col piattino, non lo dimentico mai, raccolse lire 41 che in quell'epoca era una forte somma. La buonanima di Vincenzina, mia moglie, e lo zio Sabino e zia Angelarosa, non potevano fare a meno di commentare le mie gioviali trovate. Quanta ero felice.
Nel gennaio del 1905 rimpatriarono dal Brasile il cognato di mio zio Sabino con la moglie e tre figli, e naturalmente si piazzarono in casa nostra a mangiare e dormire. Ne avevano il diritto, perché mio zio doveva a loro, se si era costruito la casa. Intanto il mio dubbio incominciava a rodermi il cervello, pensando che questi nipoti, due donne e un maschio, giovanotti, potevano farmi dare lo sgambetto, per piazzarsi loro con lo zio, e io con moglie e due figli potevo trovarmi sul lastrico. Affidai il mio destino alle preghiere, ed una forza occulta mi fu di sprone: diventai dinamico, instancabile, e con il lavoro enorme che si era venuto a creare si aveva bisogno di[...]

[...] incominciava a rodermi il cervello, pensando che questi nipoti, due donne e un maschio, giovanotti, potevano farmi dare lo sgambetto, per piazzarsi loro con lo zio, e io con moglie e due figli potevo trovarmi sul lastrico. Affidai il mio destino alle preghiere, ed una forza occulta mi fu di sprone: diventai dinamico, instancabile, e con il lavoro enorme che si era venuto a creare si aveva bisogno di aiuto, di altro personale, e naturalmente mio zio Sabino cercò utilizzare i suoi parenti, che tornati dal Brasile erano diventati tanti parassiti, non sapevano e non volevano far niente. Mio zio Sabino, col suo occhio clinico, guardava la situazione, e lui stesso vedeva la differenza che cassava fra me e loro: io che abbracciavo con passione tutti i disagi, il lavoro, i sagrificii, e loro, apatici, pensavano a mangiare, bere e dormire. E naturalmente, col mio lavoro, con le mie privazioni di sonno, di divertimento, di riposo, e con lo sprone di mia zia Angelarosa verso il marito (con questo vi è un antico detto, che bisogna essere sempre il parente della Regina e non _del Re), feci breccia nell'animo di zio Sabino, diventando il suo beniamino, e non ebbe lui né il coraggio, né la malvagità [...]

[...] vedeva la differenza che cassava fra me e loro: io che abbracciavo con passione tutti i disagi, il lavoro, i sagrificii, e loro, apatici, pensavano a mangiare, bere e dormire. E naturalmente, col mio lavoro, con le mie privazioni di sonno, di divertimento, di riposo, e con lo sprone di mia zia Angelarosa verso il marito (con questo vi è un antico detto, che bisogna essere sempre il parente della Regina e non _del Re), feci breccia nell'animo di zio Sabino, diventando il suo beniamino, e non ebbe lui né il coraggio, né la malvagità di cambiare quell'affetto sincero verso di me.
Intanto però mio zio Sahino cercava una soluzione per liberarsi di cinque persone adulti, che da diversi mesi erano a suo carico, incapaci di mettere, o spostare una sedia da un punto all'altro, ma che in sostanza avevano un certo diritto perché dall'America avevano inviato del denaro, per costruirsi o comprare una casa. E tutto questo non era una cosa facile.
Mio zio Sabino possedeva una casa dopo il palazzo Maioli prima del ponte dell'acquedotto del Serino, composta [...]

[...]i né il coraggio, né la malvagità di cambiare quell'affetto sincero verso di me.
Intanto però mio zio Sahino cercava una soluzione per liberarsi di cinque persone adulti, che da diversi mesi erano a suo carico, incapaci di mettere, o spostare una sedia da un punto all'altro, ma che in sostanza avevano un certo diritto perché dall'America avevano inviato del denaro, per costruirsi o comprare una casa. E tutto questo non era una cosa facile.
Mio zio Sabino possedeva una casa dopo il palazzo Maioli prima del ponte dell'acquedotto del Serino, composta di quattro vani ed accessorii, e su questa casa era stata ipotecata la dote di mia moglie Vincenzina. Ed un giorno, profittando della malattia di mio zio Sabina, gli suggerii che la questione dei parenti brasiliani si poteva risolvere nei modi seguenti: cedere a costoro la casa di quattro vani, su cui era gravata l'ipoteca, facendo passare detta ipoteca alla casa fabricata di recente alla ferrovia, naturalmente con una deliberazione del Tribunale, trattandosi di ipoteca dotale.
MEMORIE DEL CAV. ANG[...]

[...] poteva risolvere nei modi seguenti: cedere a costoro la casa di quattro vani, su cui era gravata l'ipoteca, facendo passare detta ipoteca alla casa fabricata di recente alla ferrovia, naturalmente con una deliberazione del Tribunale, trattandosi di ipoteca dotale.
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Dopo numerose e difficili pratiche, ottenni tale deliberazione: fu ceduta questa casa, dando a contanti la differenza, e con sollievo mio e dello zio Sabino ci liberammo dei parenti parassiti brasiliani, i quali pensarono a vivere per conto loro. Un figlio era barbiere, una figlia sarta, la quale si sposò un sarto di Pianodardine, e dopo poco tempo uno dopo l'altro emigrarono nell'America del Nord.
I1 1906 mio Zio Sabino ebbe un forte attacco di gotta, e i medici gli consigliarono la cura di bagni caldi e stufe a Casamicciola, e per la prima volta mio zio e mia zia affidarono a me casa, albergo, e buffet, partendo entrambi per Casamicciola [il...], restando ventidue giorni fuori.
Debbo la mia fortuna ad una circostanza. La stazione di Avellino e tutto il piazzale, era sfornito di luce elettrica (malgrado che la nostra città fosse stata la prima dopo Napoli avere la luce elettrica), e l'amministrazione ferroviaria venne nella determinazione mettere un impianto colossale di acetilene per la stazione e per tutt[...]

[...]à dell'impianti ad acetilene molto profumatamente; ed al cuoco e personale, delle laute mancie. A que ,st'inipianti, ne seguirono molti altri dove non vi era la luce elettrica e per conto della società, che aveva bisogno di reclame, e indirettamente me ne vantaggiai anche io: fu pubblicato in tutti i giornali di Napoli, e
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qualche giornale di Roma, l'inaugurazione e il menù del pranzo, facendo gli elogi al proprietario mio zio Sabino Tammasetta.
Comprai i diversi giornali e l'inviai a Casamicciola, e in una busta gl'inviai un cartoncino stampato in oro del menù. Sapevo, ed ero certo, dato il temperamento di mio zio analfabeta e molto vanitoso, che avrebbero fatto su lui un piacere, che mai in vita sua aveva ricevuto.
Al ritorno di mio zio e mia zia da Casamicciola, vi fu una festa in famiglia, e di me non poteva soddisfarsi di complimentarmi, ed elogiarsi. E dal giorno che tornarono mi chiamarono in disparte e mi dissero queste testuali parole: — Da questo momento, cediamo a te le redini dell'azienda, vogliamo lavorare [...]

[...]la, vi fu una festa in famiglia, e di me non poteva soddisfarsi di complimentarmi, ed elogiarsi. E dal giorno che tornarono mi chiamarono in disparte e mi dissero queste testuali parole: — Da questo momento, cediamo a te le redini dell'azienda, vogliamo lavorare lo stesso, ma sarai tu responsabile, direttore —. Perciò nei pochi righi qui avanti vi dicevo che debbo la mia fortuna alle circostanze del pranzo, che cementarono l'affetto tra me e mio zio Sabino, che nel 1907 fece il testamento a mio favore, mercè sempre l'interessamento del compare Ciro Fusco.
Lascio a voi descrivere la mia gioia e quella di Vincenzina mia moglie, che vedevamo sicuro coronato il premio dei nostri sacrificii, del nostro lavoro, e perché no? delle nostre privazioni. E dico privazioni, perché non ho voluto descrivere minuziosamente qualche difetto di mio zio Sabino, difetto sopportato da me e dalla povera mia Vincenzina con francescana rassegnazione, poiché mentre ai clienti che non pagavano gli si dava da mangiare, bere, dormire, sigarette e servitù, a noi veniva lesinato un poco di caffè nél latte per i bambini, Amato e Sabino, e che la madre doveva mandare a comprare 4 soldi per volta, dal padre di Esterina, Nicola Magliaro, che aveva negozio ad Atripalda. E quanti pianti a tavola, perché i piccoli Amato e Sabina non gli piaceva il formaggio (mentre oggi ne vogliono una grattugia) e dovevano mangiarselo per forza. La carne la mia povera zia ce lo dov[...]

[...]ice. Ricevevo solo dei rimproveri dalla mia povera Vincenzina
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mia moglie, perché lavoravo troppo e tutte le sere mi ritiravo pieno di sudore, anche nei mesi freddi. Pensavo tra me e dicevo a me stesso: — Con questa vita che faccio, morirò presto —. Invece il destino, la Provvidenza non mi abbandonava: al momento che scrivo ho sessantasette anni, seguito a lavorare, seguito a vivere.
Intanto la salute di mio zio Sabino peggiorava giorno per giorno per la malattia di gotta che soffriva, e il 18 febbraio del 1909 morì, lasciando nel dolore la moglie zia Angelarosa, noi tutti e tutti coloro che lo avevano conosciuto, e che a tutti aveva beneficato. Effettuai dei solenni funerali, e ottenni, previo pagamento, il permesso di sotterrarlo in una tomba della famiglia Labruna, e siccome detta tomba era di diversi eredi, il 2 novembre dello stesso anno poco ci mancò di prendere a schiaffi una signora condomina di tale tomba, che non voleva permettere che mettessi fiori e accendessi dei ceri. Non mancai comprare una n[...]

[...]che a quell'epoca (date le mie condizioni finanziarie) era già una cosa di lusso, accarezzando sempre un sogno, che poi divenne realtà, di far riposare le sue ossa eternamente in una nicchia di una nostra cappella gentilizia.
Da quell'epoca incominciò una vita nuova per me; piena di sacrificii e piena di responsabilità. Fu necessario trasferirmi dal palazzo Alvino alla casa da poco fabricata, e precisamente nella camera n. 8 abitata dal defunto zio Sabino, e alla stanzetta attigua n. 7 si trasferì la zia Angelarosa, con i miei due figli Amato e Sabino, mentre nel basso, dove attualmente esiste la trattoria di Melella Giordano, abitava mio padre, mia madre, e le mie due sorelle, tornate da S. Giorgio del Sannio.
Il lavoro del buffet era di molto aumentato: poco per volta pagai tutti i debiti lasciati dal mio povero zio, fino all'ultimo centesimo, perché non volevo che si parlasse male di mio zio defunto. Posso garantirvi che la mia felicità era completa, lavoravo con la mia povera moglie Vincenzina senza limiti.
Nel novembre del 1909 avvenne [...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Zio Sabino, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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