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Il segmento testuale Vittorini è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 162Analitici , di cui in selezione 6 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Fortini, Che cosa è stato il Politecnico in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: CHE COSA E' STATO «IL POLITECNICO»
(194519471
Erano i primi d'agosto del '45, stava per sparire Hiroshima, e, da noi, il governo Parri resisteva ancora. Lavoravo ad un nuovo « indipendente di sinistra », che Vittorini diresse per due o tre giorni. I linotipisti del Corriere guardavano con simpatia e commiserazione quei giornalisti improvvisati, che eravamo noi, prendersi confidenza con piombi e banconi. Allora Vinorini era ardente e alato, parlava per ellissi; leggevamo « Uomini e No », stam
pato su una grigia carta di guerra; e quella Nota scomparsa dalle più
recenti edizioni ch'era tanto chiara, per chi avesse saputo leggervi: « Cer
care in arte il progresso dell'umanità è tutt'altro che lottare per tale progresso sul terreno politico e sociale. In arte non conta la volontà, non conta la coscienza ast[...]

[...]o dell'umanità è tutt'altro che lottare per tale progresso sul terreno politico e sociale. In arte non conta la volontà, non conta la coscienza astratta, non contano le persuasioni razionali... La mia appartenenza al Partito Comunista indica dunque quello che voglio essere mentre il mio libro pub indicare soltanto quello che in effetti io sono ». Era già una difesa, una recinzione di territori. Restava la parola « progresso ». Di qui, in realtà, Vittorini non s'è mosso: troppo forte in lui il sentimento del «progresso» tecnico nella letteratura, della avanguardia degli scrittori e delle sue proprie invenzioni e ricerche; e, a un tempo, troppo forte l'antipatia per le intenzioni e la volontà. Voler essere un comunista significa: « non lo sono». La « debolezza d'uomo », cui la Nota attribuiva tutti i demeriti del libro, doveva ben presto diventare la cittadella da difendere contro la coscienza astratta, le persuasioni razionali. Ma, per me, allora, quelle distinzioni parevano molto più ovvie di quanto non siano oggi. Non sapevo quasi nulla del m[...]

[...] Ma, per me, allora, quelle distinzioni parevano molto più ovvie di quanto non siano oggi. Non sapevo quasi nulla del mondo milanese, dei rapporti esistenti fra la gente che volteggiava intorno alla stampa e alle riviste di allora. Cercavo avidamente di sapere e di capire più che potevo di quel ch'era stata, a Milano, la Resistenza; e intanto facevo fatica a distinguere facce e idee. In quell'estate andavo ricopiando certe mie poesie. Le detti a Vittorini e lui in cambia mi fece leggere dei fogli dattiloscritti: il programma di una rivista. Partecipai ad alcune riunioni. Si cominciò a preparare il primo numero del Politecnico. Perché credo opportuno ricor
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FRANCO FORTINI

darlo, oggi? Perché fu l'occasionale teatro di alçune delle contraddizioni mag giori che ci hanno condotti fin qui.
Nel programma, il « settimanale dei lavoratori » prevedeva per ogni numero un articolo di « agitazione culturale »: «La cultura deve partecipare alla rigenerazione della società italiana. Come? »; «Che cosa ha inteso dire Ehrenburg quando ha scritt[...]

[...]tà di riconoscere i suoi uomini di cultura ».
Appena cominciò il lavoro redazionale (e poi, durante tutto il primo periodo di vita del Politecnico, che va dalla fine di settembre del 1945 al
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO )) 183
6 aprile 47, vigilia delle elezioni municipali di Milano) si fecero sentire le voci contraddittorie dei diversi redattori. Era un lavoro appassionante e lo
ricordo con piacere. « Per fare il Politecnico — diceva Vittorini ci vogliono
le fiamme al didietro, come i carabinieri ». Non era l'ardore a mancarci. Ma ci si avvide subito che la vita del settimanale subiva influenze difficili a decifrare, contraccolpi dei rapporti personali del direttore e dell'editore col Partito Comunista. Credo, anzi che questa, a me ignota, storia dei rapporti fra la direzione culturale del P. C. e il «settimanale di cultura» sia un'altra storia del periodico. Non ero iscritto al Partito e molto, quindi, mi restava celato.
Il Politecnico, almeno in un primo momento, si propose di rivolgere agli intellettuali dell'antifascismo, all[...]

[...]l'accento fu posto prevalentemente su formule marxiste. Certo é invece che ii Politecnico non si sottrasse in parte e in quella sua prima fase alla pretesa di presentare come obbligato passaggio alla cultura dei suoi lettori, quelle che erano state le letture, le simpatie, gli itinerari biografici del direttore e dei redattori: di non aver saputo distinguere fra necessario e accessorio.
E che cos'era questa cultura rivoluzionaria? L'articolo di Vittorini sul primo numero della rivista (che per molti, frettolosi e interessati, bastò a qualificare per sempre, o a squalificare, il settimanale) augurava un pensiero che governasse e non solo consolasse la società civile. Ossia un pensiero, una
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cultura che fossero identici per la classe politica e per quella tradizionalmente «intellettuale ». (L'assenza di precisione su questo punto di partenza è all'origine di tutte le seguenti incertezze). Si chiedeva una cultura che «prendesse il potere ». E in forma volutamente ingenua si esprimeva così quella certa unione di pragmatismo e [...]

[...]scista come possibile punto di partenza: di qui il richiamo, fin dal primo numero, della guerra di Spagna, per il suo grande patetico di rivoluzione tradita dov'era confluito tutto l'antifascismo mondiale. Il romanza di Hemingway sulla guerra di Spagna cominciava ad esser pubblicato a puntate fra le sbarre rosse e nere, come una bandiera di anarchici, del settimanale; però i tagli operati allora nel testo del romanzo, se non valsero a scagionare Vittorini di fronte ai suoi dirigenti di partito dall'accusa di eccessiva amore per quel « decadente » scrittore americano, stanno a dimostrare come non si volesse guardar troppo da vicino a quella guerra di Spagna, che, pur era stata la drammatica prova dell'Intelligenza di sinistra.
Ma subito, al secondo numero, una citazione di Lenin sconsigliava i politici dal distrarre uno specialista culturale con immediati compiti politici; come se il giornale avvertisse subito il pericolo di essere impiegato come bruto strumento di propaganda. La si vide, in redazione, alle proteste violente suscitate da una a[...]

[...]ero, una citazione di Lenin sconsigliava i politici dal distrarre uno specialista culturale con immediati compiti politici; come se il giornale avvertisse subito il pericolo di essere impiegato come bruto strumento di propaganda. La si vide, in redazione, alle proteste violente suscitate da una assai infelice interpretazione classista dell'opera del Manzoni, pubblicata anonima, (e dovuta, si disse, a E. Sereni). Si discuteva molto, in redazione; Vittorini, poco amante delle dispute e temperamento insofferente di critiche, ne evitava le sedute. Si dovette ottenere che le discussioni fossero stenografate per costringerlo a intendere, almeno per iscritto, le nostre critiche.
Al terzo numero si iniziava la conversazione con i cattolici; ma, almeno apparentemente, la correzione di Balbo alla formula dell'editoriale di apertura, non veniva ripresa o rilevata, né dal settimanale né da Bo (« Cristo non è cultura») che, poco dopo, si apprestava a replicare a Vittorini. Si può cogliere intanto la nascita di quella polemica sulle arti figurative che si [...]

[...]di critiche, ne evitava le sedute. Si dovette ottenere che le discussioni fossero stenografate per costringerlo a intendere, almeno per iscritto, le nostre critiche.
Al terzo numero si iniziava la conversazione con i cattolici; ma, almeno apparentemente, la correzione di Balbo alla formula dell'editoriale di apertura, non veniva ripresa o rilevata, né dal settimanale né da Bo (« Cristo non è cultura») che, poco dopo, si apprestava a replicare a Vittorini. Si può cogliere intanto la nascita di quella polemica sulle arti figurative che si tra scina tuttora: Guttuso parla d'una nuova epoca «eroica» che si apre per la pittura, ma già una didascalia posta sotto un manifesto di guerra giapponese afferma in modo perentorio quella che sarà uno dei punti centrali (mai però affrontato e risolto criticamente) del periodico: l'identità fra «arte
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vera » e « arte rivoluzionaria ». Vedi (n. 4) il frammento di Malraux (di prima della guerra, naturalmente): «Non sono né Claudel né Proust che significano la borghesia, [...]

[...]ffatto rinnovare la cultura italiana, ma vuole soltanto mostrare che sarebbe una buona cosa rinnovarla ». « Ogni rivoluzione è stata un tentativo più a meno riuscito della cultura viva di strappare il potere a Cesare e alla cultura morta che sempre è serva di Cesare e di instaurar, il «regno dei cieli», cioè il suo regno, sulla terra... Lenin era tipicamente uomo di cultura...» (n. 6). Sono appena passati due mesi dall'uscita del settimanale, e Vittorini, rispondendo a Bo, e ad altri critici del suo primo editoriale, accetta la traduzione del conflitto nella semplicistica contrapposizione di «via di fuori» e «via di dentro », di salvezza di tutti e di salvezza individuale, di storia e antistoria; un conflitto che ai giorni nostri continua ad essere volgarizzato a favore di scelte sentimentali e, in verità, ipocritamente interessate 1:
Tu parli di due vie, Carlo Bo, una che è dentro a noi e una che è fuori di noi. Io non voglio neanche dire che la via è una sola. Ma tu dici che
1 Nei numeri della rivista [e precisamente negli scritti « Legge[...]

[...]a via fuori di noi e la più breve quella dentro di noi. Io invece dico che é il contrario: che più breve é la via di fuori. È la via più umile, Carlo Bo, la più umana e terrena: per questo più breve. E quando tu indichi l'altra, da seguire, sei anche tu uno orgoglioso com'è Mila ed ogni idealista: mostri lo stesso orgoglio loro. Che cosa credi? Di potere mai compiere dentro a te solo quella «più grande e più vera rivoluzione »
cui pur aspiri?
Vittorini non vi sostiene (e non potrebbe, tanto vive in lui sono le vene nietzschiane e roussoiane di adorazione della vita e del presente, immuni da contaminazioni di pessimismo esistenziale, di angoscia storica) le tesi d'uno storicismo integrale; ma gli altri polemizzano con lui come se quelle tesi fossero le sue. Sopra la sua testa, si discute coi comunisti, anzi con la
Iunga bestemmia» del pensiero moderno, dalla Riforma ai giorni nostri. Né sono sufficienti gli esempi di indipendenza di fronte all'ortodossia cul turale sovietica, che il settimanale continua a moltiplicare, pubblicando Olescia o[...]

[...]e analoghe formazioni di quel tempo, portavoce di comodo del Partita Comunista e firmatari di manifesti. Il Partita Comunista stava passando ad una fase di consolidamento delle proprie attività, assumendo gran parte dei compiti che nell'Italia prefascista erano stati del Partita Socialista; e, fra questi, compiti di vera e propria divulgazione culturale. Pensarono, quei dirigenti, di poter impiegare a questi fini la popolarità del settimanale di Vittorini? Vi fu un momento nel quale lo pensarono; ma la composizione politicamente eterogenea della redazione e la stessa personalità del direttore dovettore presto dissuaderli. Il Politecnico non poteva diventare quello che, proprio in quel tempo, cominciava ad essere il Calendario del Popolo.
Si moltiplicano d'altra parte i punti di frizione fra le posizioni del settimanale e quelle del Partita Comunista; come i ripetuti atteggiamenti anticlericali di Vittarini (vedi posizione in favore del divorzio, in nota ad un
articolo di A. C. Jemolo, nel n. 9); come la pubblicazione (n. 16) di un passo di S[...]

[...]ziativa culturale dei comunisti francese (« Per una enciclopedia»). La stessa polemica iniziale — che è il motivo centrale della rivista continua a trascinarsi di numero in numero, con scritti di Balbo, Giolitti, Fortini, Ferrata, .finché comincia a farsi chiaro che essa non è altro che il problema della posizione del marxismo nel mondo moderno. Contro le interpretazioni socialdemocratiche di Karl Renner e contro la tentazione idealistica (e di Vittorini) dei «furori
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO )) 189
culturali » c'è (n. 26) una messa a punto di Balbo, (love è contenuto un accenno importante, che è già una critica al linguaggio del settimanale:
Questo successivo e strenuo «riemergere» della purezza, della tensione umana dalla formula che non serve più, che è insufficiente per costruire le nuove formule, la più larga e più comprensiva cultura tecnicamente sempre più articolata, . non si può certo definire con la parola "amministrazione", ma non si può nemmeno definire con la parola « furore culturale ». Tale parola non comprende abba[...]

[...] non si può nemmeno definire con la parola « furore culturale ». Tale parola non comprende abbastanza il senso del dato, della condizione obbiettiva e quindi la necessità dell'inserzione funzionale, del mordente preciso.
E non combatte il grave male dell'« eterna illusione »: credere che senza illusione l'uomo non si muova più.
Contro le tendenze e le pressioni rivolte a far del Politecnico uno stru mento di ordinaria amministrazione politica, Vittorini, nel n. 27, scriveva parole che ancora echeggiavano i ricordi mitici della Cultura Popular della repubblica spagnuola e che sarebbero suonate in contraddizione con quelle sue di pochi mesi dopo:
Le grandi affermazioni della cultura, i suoi rivolgimenti, le sue svolte, si hanno proprio nei momenti in cui sembrerebbe più saggio (agli stolti) lasciarli da parte. Quando, per esempio, un nemico sovrasta con le armi; quando manca il pane: quando occorre ricostruire tutto in un paese. È allora, é nell'emergenza, che può formarsi una nuova cultura.
Ma questo appello all'entusiasmo suonava come i pr[...]

[...]ffrontare le difficili prove degli anni seguenti. De Gasperi è da alcuni mesi capo del governo, e si capisce che vi resterà a lungo. Matura la svolta della politica americana. S'era fatto un gran discorrere di «partito nuovo », in quel tempo. Il V Congresso del P. C. affermava, nel nuovo statuto, la possibilità di appartenere al partito indipendentemente dalle proprie convinzioni filosofiche e religiose. Vedremo come il Politecnico, per bocca di Vittorini, interpreterà questa affermazione come la possibilità
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO» 191
di rimettere in discussione gli stessi principi del marxismoleninismo; quando (e bastava aver letto, a questo proposito, gli scritti di Lenin sulla religione) l'unità nei fini politici più immediati era considerata solo propedeutica a quella ideologica. Tuttavia, quella « apertura » del Partito Comunista pareva fin da allora contraddetta dalla progressiva « chiusura » della situazione politica. Si doveva provvedere ad organizzare la difesa. Ecco perché l'affermazione contenuta nell'ultimo numero de[...]

[...] pubblico di lettori appartenente a cate gorie che l'attività del Partito prevedeva oggetto di una scrupolosa disciplina ideologica. Il pensiero e l'arte della tradizione rivoluzionaria non possono più esser presentati per una mozione degli affetti, ma debbono esser ripensati criticamente; è necessario vedere che cosa, in realtà, consegua alle generiche istanze di rinnovamento. Ma questa ricerca, (faranno capire i dirigenti culturali del P. C. a Vittorini), non pub esser compiuta portando lo smarrimento e l'incertezza fra i « compagni di base ». Ecco perché la rivista si preoccupa subito di definirsi « indipendente di sinistra », e di riaffermare che non è una rivista comunista.
Precauzioni insufficienti. Il nome di Vittorini, in qualche modo, impe gna il Partito. A nessun livello si possono ammettere « deviazioni a. Di qui il conflitto; che si è creduto evitare ritirandosi in una pubblicazione per specialisti ma che si conduderà solo con la fine della rivista.
A leggere ora tutta l'intricata rete di lettere, risposte, repliche si ha, come spesso avviene in questi casi, l'impressione che la parte più importante della discussione non si sia svolta per iscritto, ma nelle conversazioni e nei rapporti personali. Il linguaggio della polemica è in genere, molto cortese, con qualche occasionale e intenzionale durezza. M[...]

[...] » non è cultura, ad ogni tentativo di sto
192 FRANCO FORTINS
lui Togliatti, che su «Rinascita» (ottobre 1946) dichiara esplicitamente di averne ispirata la nota, rimproverano una « ricerca astratta del nuovo, del diverso, del sorprendente ». Ora é , davvero sorprendente che queste critiche paiono riferirsi al settimanale, ai più scoperti difetti del settimanale, fingendo di ignorare le ragioni del passaggio a rivista e l'autocritica compiuta. Vittorini lo farà ben notare in una prima nota alla lettera di Togliatti (n. 3334). Gli scritti di Luporini, Alicata, Togliatti, hanno insomma un falso scopo — la critica al confusionarismo del Politecnico settimanale — ed uno scopo reale: mettere in guardia i lettori comunisti contro i pericoli deviazionistici dell'« approfondimento » nella rivista mensile; e, al tempo stesso, provocare una decisiva autocritica del direttore della rivista. Il risultato sarà, naturalmente, che le critiche alla rivista come tale passeranno in second'ordine e il centro della discussione diventerà quello dei rapporti fra [...]

[...]imento » nella rivista mensile; e, al tempo stesso, provocare una decisiva autocritica del direttore della rivista. Il risultato sarà, naturalmente, che le critiche alla rivista come tale passeranno in second'ordine e il centro della discussione diventerà quello dei rapporti fra attività (o autorità) culturale e attività (o autorità) politica.
Non c'è dubbio che, da un punto di vista tanto politico quanto filosofico, le repliche di Ferrata e di Vittorini agli scritti di Luporini, Alicata e Togliatti sono evasive e manifestamente insufficienti. Finché si tratta di pubblicare Hemingway o Sartre o Reed, di mostrare simpatie per la narrativa sovietica, di difendere Gide`contro i «codini» o di parlar di «psicanalisi progressiva », tutto questo, almeno nel 1946, e in Italia, non sarebbe sufficiente a mettere in difficoltà disciplinari Vittorini e la sua rivista. Piuttosto, dietro gli scritti di Cantoni su Burnham, di Preti su Dewey e sull'Antiduering, di Leontiev sul pensiero economico sovietico; dietro le citazioni di Gramsci (che appunto in quei mesi cominciava ad esser pubblicato 4), si delinea la possibilità di un dibattito di fondo sui motivi essenziali del marxismo, e attraverso quello, della costituziond di un gruppo, di un nucleo di studio 5. O, in altri termini si forma la possibilità di un luogo di incon
ricizzare l'eterno gioco dell'anima non può concludersi che in una capitolazione di fronte al « Principe di questo mond[...]

[...]i partiti operai, in tutto il mondo, nell'ultimo mezzo secolo; che la guerra di Spagna aveva pur avuto, in questo senso, una sua storia; che la storia degli intellettuali comunisti e non comunisti in Unione sovietica, in Germania, in Cina, aveva pur qualcosa da insegnare. Gli uni e gli altri paiono invece preoccupatissimi di non estendere la discussione là dove solo avrebbe un senso, cioè sul terreno storicopolitico. E poi sembra impossibile che Vittorini, nelle righe più appassionate della sua Lettera a Togliatti ((pando discorre della rivoluzione che ha come fine l'individuo, quando dice di sperare in una rivoluzione straordinaria, o parla dell'occhio vitreo del Partito, o rifiuta di suonare il piffero per la rivoluzione o definisce i compiti dello scrittore rivoluzionario) non si rendesse conto che, pur nella
nano o su quello deliberativo della Terza Internazionale... è necessario che pongano una dialettica concreta delle varie situazioni nazionali... lo spirito del marxismo è nel superamento effettivo del contrasto non nella rinuncia a po[...]

[...]nze v.
194 FIANCO Fôa tP r
apparente confusione del suo dettato, egli chiedeva non solo un mutamento della politica culturale del P. C., ma una nuova teoria politica, una nuova filosofia. E, prima cosa, non tanto si trattava di rivendicare una autonomia teorica ma proprio l'autonomia pratica di poter continuare la rivista senza quegli ostacoli (ben «pratici ») che una sconfessione avrebbe portato con sé.
Le obiezioni di Onofri — che replica a Vittorini nel n. 36 della rivi
sta tutte in sé validissime (egli ricorda, fra l'altro, che l'attività politica è, non diversamente da quella « culturale », una attività superstrutturale) e di più evidente vicinanza al pensiero di Gramsci, spingono il problema al loro punto cruciale. Dice Onofri a Vittorini:
Forse che, quando tu hai scritto quelle tue lettere, non ;,svolgevi un lavoro culturale in connessione con la politica, non volevi appunto una politica in un certo modo per avere una cultura in un certo modo?
Nella sua breve risposta, Vittorini non raccoglie quella decisiva obiezione per limitarsi a' ribattere il suo rifiuto di una politica che ricorra alla forza contro la cultura, e di una alienazione «par la politique ». Infatti la rivendicazione di autonomia culturale, la richiesta di poter continuare senza scomuniche un certo lavoro di indagine culturale, era una richiesta politica; equivaleva a chiedere che il Partita Comunista cominciasse a considerare parte necessaria, elemento indispensabile al progresso della causa del socialismo, il lavoro critico dei « compagni di strada» e di tutti coloro che condividendo le finalità rin[...]

[...]tà culturale, quali che ne fossero i riflessi politici, ad una integra autonomia critica. Era — o meglio avrebbe dovuto essere e non fu — la rivendicazione della pluralità necessaria contro la teoria della pluralitàminor male, destinata a naufragare nella unitàunanimità.
Nella primavera del 1947, dopo la pubblicazione della Lettera a Togliatti (la rivista era uscita, sino allora, in cinque fascicoli), non poche persone e motivi volevano indurre Vittorini ad interrompere subito il periodico. Nella sede di via Filodrammatici, lugubre come un circolo filologico, non esisteva più una vera e propria redazione. Fra i collaboratori ci furono discussioni a tempesta. Chi voleva la fine immediata della rivista, con o senza un manifesto conclusivo, chi ne voleva la continuazione, con o senza il medesimo editore, accettando eventualmente di diminuire il numero delle pagine
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO )) 195
e la periodicità; chi ancora avrebbe voluto tornare al settimanale. In una lettera, cercai di chiarire la mia opinione. E, rileggendomi, cre[...]

[...] di uomini di cultura
e seguirla fino in fondo dicendo le proprie verità, anche a costo dello scandalo...
Intanto, in Francia e in Italia, i comunisti venivano estromessi dai governi. Della rivista, uscirono ancora quattro numeri di trentadue pagine ciascuno. L'ultimo (dicembre 1947) chiedeva: « Aiutate il Politecnico con un nuovo abbonamento ». Un numero di commiato — che avrebbe dovuto spiegare le ragioni dell'interruzione — non venne mai 6. Vittorini ci disse
e Ho copia d'una lettera che mandai, il 22 gennaio del '48, a Vittorini. Vi é detto,
fra l'altro:
« A poco a poco abbiamo capita che non potevamo pretendere di insegnare quel
196 FRANCO FORTIN!
d'aver avuto contatti con altri editori, desiderosi di assumere la rivista, ma di avervi rinunciato perché sarebbero stati inevitabili controlli e limitazioni, politici, di natura opposta a quelli che rendevano ormai impossibile la continuazione della rivista. Lo credo senz'altro; ma, a questo scrupolo politico, si aggiungeva un motivo personale, l'esaurimento dei motivi di interesse e di avventura, la stanchezza di un lavoro dispersivo, i dubbi medesimi nati da nuove [...]

[...]si di assumere la rivista, ma di avervi rinunciato perché sarebbero stati inevitabili controlli e limitazioni, politici, di natura opposta a quelli che rendevano ormai impossibile la continuazione della rivista. Lo credo senz'altro; ma, a questo scrupolo politico, si aggiungeva un motivo personale, l'esaurimento dei motivi di interesse e di avventura, la stanchezza di un lavoro dispersivo, i dubbi medesimi nati da nuove letture e nuovi contatti (Vittorini era tornato a Parigi alla fine del giugno 1947, dove i suoi libri e la sua persona avevano avuto un grande successo, dopo essere stato, l'autunno precedente, ospite del Comité des Ecrivains); e soprattutto il desiderio di tornare al proprio lavoro di narratore, interrotto, meno la parentesi del Sempione, dal 1945. Con la primavera del 1948 finiva il dopoguerra; molti andavano sempre piú rapidamente perdendo le consuetudini, le amicizie e i ricordi che erano stati della dandestinità e delle speranze; per quanto apparisse precaria la pace, subentrava un naturale desiderio di sistemazione e di r[...]

[...] a fondo certe premesse e di concretare
un gruppo di buoni libri; e — questo un po' per colpa o per virtù tua, un po' per
viltà altrui non aver saputo legare cinque o dieci persone, strettamente, alle sorti della rivista ed al suo significato. Se questo fosse stato, oggi tu potresti affidare ad altri, almeno temporaneamente, la conduzione della rivista. E invece... oggi, se il Poli deve scomparire, sembra scomparire come l'organo personale di Vittorini e per i casi polrtici e ideologici personali di Vittorini.
...mi chiedo se è bene o male che il Poli muoia; male è certo... soprattutto perché il discorso del Poli è a metà, a metà il suo tentativo di accordare marxismo politico e 'altro', critica alla religione e fede religiosa, cultura e politica, il suo tentativo di parlare politica, senza essere 'politica'. E finalmente perché rappresenta una esigenza di comunisti o diciamo di rivoluzionari che non ha nulla a che fare con la terza forza o altre scempiaggini, ma che non deve accontentarsi della politica culturale del P. C. e nemmeno delle sue semplificazioni propagandistiche su gli U.S.A., l'U.R[...]

[...]latori. E non mancavano, anzi crescevano ogni giorno coloro che in tutto questo vedevano solo una conferma del loro cattolico pessimismo, coltivando amorevolmente quella cattiva coscienza che, negli ultimi anni, par diventata per molti un titolo d'onore.
Così dunque finiva il Politecnico. Pochi mesi più tardi, spento l'ottimismo elettorale del convegno fiorentino promosso dall'Alleanza della Cultura, dopo il 18 aprile e l'attentato a Togliatti, Vittorini, di ritorno dal congresso di Wroclaw, leggeva a Ginevra, alle Rencontres Internationales, una memoria sulla letteratura engagée 7 dov'era riaffermato l'equivoco del quale era morto il Politecnico; e ne forniva così la conclusione. Invece di andare innanzi, riprendere l'osservazione di Onofri ed affermare che, sì, la richiesta di indipendenza della ricerca letteraria é una richiesta politica, la richiesta di una certa politica culturale da imporre ai dirigenti politici, il contenuto della Lettera a Togliatti viene ridotto, dalla distinzione di cultura e politica qual era, alla distinzione di l[...]

[...]iduzione all'immediato propagandistico e insomma dalla critica delle armi, dalle soluzioni di forza dei comitati centrali, tutta la cultura, tutta la ricerca, anche quella di più immediate risultanze politiche (come quella storica, filosofica, economica) e quindi implicitamente proporre al suo partito, restandovi o uscendone, e più in genere agli organismi della «sinistra» italiana, con le armi della critica, nuove soluzioni teoriche e pratiche, Vittorini finiva col formulare la richiesta «corporativa» della libertà della letteratura. Il periodico, che s'era aperto chiedendo una « cultura che prendesse il potere» si chiudeva con una istanza assai meno preoccupante per i nostri uomini di governo. Sarebbe invece stato possibile dar battaglia sulla breccia aperta dalla Lettera a Togliatti, assumere intero il compito di ripensamento delle ideologie rivoluzionarie che, proprio in quei mesi, gli scritti di Gramsci stavano riproponendo agli intellettuali italiani? Ma, per far questo, sarebbe stato necessario ottenere dai collaboratori della rivista u[...]

[...]te che, malgrado i lunghi scritti storici e filosofici, il secondo Politecnico é una .rivista per immagini liriche, una rivista letteraria nel senso migliore (o peggiore) di questa parola. Questo avvertivano bene i collaboratori: i Balbo, i Cantoni, i Preti e molti altri (Giulio Preti vi era certo l'uomo dalle idee più chiare e più ricche, dal polso capace di condurre avanti l'impresa) non parteciparono mai o quasi mai alla vita della redazione, Vittorini non sapeva celare la sua insofferenza nei confronti di uomini avvezzi al rigore logico e metodico; né, d'altra parte, le critiche filistee dei professori arrivavano a capire come, sotto apparenze discutibili e personaggi e forme improprie, imposte dalle circostanze, si andassero dibattendo questioni che andavano ben oltre l'episodio e l'importanza della rivista. Non solo: ma era proprio alla schiera degli uomini di lettere tradizionali, i quali avevano lungamente ignorata e disprezzata la rivista (e aspettavano a braccia aperte il ritorno del figliuol prodigo) che, fra '46 e '47, essa andava [...]

[...]a '46 e '47, essa andava sempre più, e naturalmente, rivolgendosi.
Bisogna tuttavia aggiungere che probabilmente era impossibile, nell'aria del 1948, tentar su di una nuova disciplina e rigore una ripresa della rivista; essa avrebbe richiesto inevitabilmente una immediata rottura con il Partito Comunista e un lungo, forse definitivo, periodo di isolamento. Ora, il '48 fu anno di battaglie aperte, di situazione ancora fluida. Forse nessuno di
8 Vittorini pensò ad una serie di volumidialogo. Ma non se ne fece poi nulla.
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO )) 199
coloro che più tardi sarebbero usciti dal P. C. o dai quali — come ebbe a dire, in un pauroso accesso d'orgoglio, un di costoro — il P. C. sarebbe uscito, era preparato alla serietà del compito. Così, quando, quattro anni più tardi, su La Stampa, Vittorini farà la sua prima dichiarazione pubblica dopo il suo allontanamento dal comunismo, gli antichi collaboratori saranno dispersi ai quattro venti, restituiti per la maggior parte a quella « spontaneità » culturale così cara ai politici delle restaurazioni, che è quasi esattamente l'inverso della libertà.
Nato da una forse ingenua e irresponsabile fiducia nel garibaldinismo culturale; cresciuto fino ad intravvedere quale avrebbe dovuto essere il lavoro di gruppo di intellettuali che intendessero operare al rinnovamento del proprio paese; finito quando, all'avvicinarsi di un lavoro difficile, osc[...]



da a.n.[Anna Nozzoli], scheda sintetica «Il Politecnico» (1945-1947) in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: ti Politecnico (19451947)
1~ Serie (29 settembre 19456 aprile 1946),
periodico settimanale diretto da E. Vittorini,
redattori: F. Calamandrei, F. Fortini, V. Pandolfi, A. Steiner,
S. Terra.
Casa editrice G. Einaudi, Torino,
formato: cm. 58x42.
IIa Serie (maggio 1946dicembre 1947),
periodico mensile diretto da E. Vittorini,
segretario di redazione G. Trevisani.
Casa editrice G. Einaudi, Torino,
formato: cm. 29x20.
Periodico di cultura fondato a Milano da Elio Vittorini, ha svolto la sua attività in un arco di tempo che va dal settembre del '45 al dicembre del '47, articolandosi in due distinte serie, con diversa periodicità. La prima serie (in tutto 28 numeri) iniziò le sue pubblicazioni come « Settimanale di cultura » il 29 settembre 1945, sotto la direzione di Elio Vittorini affiancato dai redattori F. Calamandrei, F. Fortini, V. Pandolfi, A. Steiner, S. Terra. Trasformato in « Mensile di cultura contemporanea » con il n. 29 uscito il 1° maggio 1946, Il Politecnico terminò la sua attività nel dicembre del 1947. Stampato come la prima serie dall'editore Einaudi di Torino, il mensile fu diretto dallo stesso Vittorini con la collaborazione di G. Trevisani segretario di redazione.
Nato nel clima culturale e politico immediatamente successivo alla Liberazione, Il Politecnico esprime la complessa situazione in cui vennero a trovarsi gli intellettuali italiani usciti dalla guerra e dal fascismo, desiderosi di realizzare anche sul piano ideologicoculturale un'apertura ed un adeguamento agli eventi contemporanei. Così, facendosi portavoce dell'ansia di rinnovamento di molti intellettuali che avevano partecipato alla Resistenza, Vittorini e gli altri redattori del Politecnico intesero dar vita ad una rivista che[...]

[...]ato nel clima culturale e politico immediatamente successivo alla Liberazione, Il Politecnico esprime la complessa situazione in cui vennero a trovarsi gli intellettuali italiani usciti dalla guerra e dal fascismo, desiderosi di realizzare anche sul piano ideologicoculturale un'apertura ed un adeguamento agli eventi contemporanei. Così, facendosi portavoce dell'ansia di rinnovamento di molti intellettuali che avevano partecipato alla Resistenza, Vittorini e gli altri redattori del Politecnico intesero dar vita ad una rivista che affiancasse, in un'unica fisionomia, molteplici e spesso distanti esigenze, dalla politica alla cultura, dall'economia alla letteratura, dal pensiero scientifico alle istanze umanistiche. La formazione di una cultura profondamente rinnovata, attiva nei confronti dell'uomo e della società venne a costituire l'obiettivo principale della rivista, che assunse un atteggiamento polemico nei confronti della letteratura e della cultura italiana dell'anteguerra, accusata di aver permesso, estraniandosi dal contesto sociale, il [...]

[...]ro scientifico alle istanze umanistiche. La formazione di una cultura profondamente rinnovata, attiva nei confronti dell'uomo e della società venne a costituire l'obiettivo principale della rivista, che assunse un atteggiamento polemico nei confronti della letteratura e della cultura italiana dell'anteguerra, accusata di aver permesso, estraniandosi dal contesto sociale, il consolidamento della dittatura fascista. (Si veda il primo editoriale di Vittorini, « Una nuova cultura » pubblicato il 29 settembre 1945). Ed è proprio sul tema della « nuova cultura » che si andò sviluppando il dibattito ideologico della rivista, che accolse sulle sue pagine le teorie vittoriniane sul ruolo dell'intellettuale nella società, sui rapporti tra cultura e politica, mentre si venivano elaborando nuove linee culturali, talvolta viziate da un astratto cosmopolitismo e da una incondizionata adesione alla cosiddetta cultura operaia e d'avanguardia. Da questi presupposti trassero origine anche le prime polemiche nate intorno all'attività della rivista, a cui parteciparono sia le forze cattoliche sia gli intellettuali marxisti militanti nel Pci. (Basti ricordare gli interventi di C. Luporini in Società n. 5 e di M. Alicata in Rinascita mag.giu. 1946, che preannunziavano la succ[...]

[...]ura operaia e d'avanguardia. Da questi presupposti trassero origine anche le prime polemiche nate intorno all'attività della rivista, a cui parteciparono sia le forze cattoliche sia gli intellettuali marxisti militanti nel Pci. (Basti ricordare gli interventi di C. Luporini in Società n. 5 e di M. Alicata in Rinascita mag.giu. 1946, che preannunziavano la successiva e notissima presa di posizione di Togliatti). Al di là del dibattito critico che Vittorini e gli altri (Ferrata, Balbo, Fortini) condussero sui rapporti fra politica e cultura, la prima serie del Politecnico svolse una funzione eminentemente divulgativa, tesa ad informare il lettore dei maggiori eventi contemporanei, sia in campo ideologicopolitico sia in campo letterario. Lo stesso Vittorini, del resto, riconoscerà i limiti di tale impostazione, quando nell'autocritica premessa al 1° numero del Politecnico mensile dichiarerà di non aver svolto sino ad allora « una funzione propriamente creativa, o comunque, formativa », proponendo per il futuro « una azione che sia azione per se stessa, com'è, quando è vera, l'azione culturale ».
La nuova serie si aprì alla collaborazione di un numero molto più ampio di intellettuali, da Cantoni a Bo, da Bontempelli a Bonsanti, a Gatto, a Sereni, a Calvino, mentre l'editoriale andava spostando i suoi interessi dal dibattito su politica e cultura[...]

[...]nerali. Insieme furono presenti sul mensile pagine di poesia, di narrativa, di saggistica, indagini sulle città e i paesi del mondo, e in chiusura, al posto delle tradizionali recensioni, una serie di interventi su libri, riviste, problemi, a cura di Calamandrei, Fottini, Rago, Rodano, Serra. Nel frattempo si faceva tuttavia più esplicita la polemica con il partito comunista che confutava alla rivista lo spirito « pionieristico », la distinzione vittoriniana tra i fini della politica e i fini della cultura, la sempre maggiore indipendenza che veniva mostrando nei confronti delle posizioni ideologiche del partito. Con lo scambio di lettere, formalmente pacate ma nella sostanza profondamente polemiche, tra Vittorini e Togliatti si può dire che si chiuda l'attività del Politecnico, anche se le sue pubblicazioni continueranno fino al dicembre del '47, sempre più scopertamente orientate nel settore letterario. Le
cause della fine del periodico andranno, comunque, ricercate ben oltre la nota polemica, in fattori e ragioni assai complesse, non ultima, la difficoltà di Vittorini e degli altri ad adeguare i mezzi di espressione e di linguaggio alla vastità del compito che si erano proposti. La crisi del Politecnico d'altra parte esprime anche la crisi di un momento storico, in cui contingenze interne ed internazionali dovevano rendere difficile la saldatura tra esigenze e posizioni diverse, mentre si andava smembrando Io spirito unitario della Resistenza. Pur nelle difficoltà e negli equivoci, in cui venne spesso a trovarsi, Il Politecnico condusse un'importante battaglia culturale, impegnandosi su tutti i fronti della realtà contemporanea, pubblicando importanti docu[...]



da m.m.[M. Marchi], scheda sintetica di «Il Menabò» (1959-1967) in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: II Menabò (19591967)
Rivista di letteratura diretta da Elio Vittorini e Italo Calvino. Giulio Einaudi editore, Torino, formato: cm. 22x13,5.
La rivista fu fondata a Torino nel 1959 da Elio Vittorini e Italo Calvino, che la condiressero fino al 1966, anno della morte di Vittorini. L'iniziativa fu continuata ad opera del solo Calvino, per concludersi l'anno successivo con l'uscita del fascicolo n. 10.
Il Menabò, di cui uscivano a periodicità irregolare uno o due numeri l'anno, intese svolgere la propria funzione politicoculturale inserendosi nel vivo di una crisi della letteratura e della cultura in genere venutasi a creare, in area non limitatamente italiana, sotto il concorso di fattori eterogenei, ma le cui manifestazioni apparivano riconducibili ad un unico significato di fondo: il venir meno di un « discorso di rapporto dell'uomo col mondo ». La rivista alternò l[...]

[...]dell'uomo col mondo ». La rivista alternò la pubblicazione di testi poetici e narrativi (versi di Fortini, Leonetti, Pasolini, Sanguineti, Isgrò, romanzi di Mastronardi, Palladino, Faggiani, ecc.) a saggi critici e prese di posizione che da essi prendevano spunto: nel primo numero, ad esempio, Il calzolaio dz Vigevano introduceva al problema del dialetto nella letteratura fornendo a sua volta un'integrazione documentaria agli interventi di Rago, Vittorini e Crovi. Passarono attraverso Il Menabò i dibattiti di maggior rilievo sviluppatisi nella cultura italiana all'inizio degli anni sessanta: la discussione promossa da Vittorini sul tema « Industria e letteratura », con le partecipazioni di varia natura di Sereni, Ottieri, Pignotti, Bragantin; Calvino, Ferrata, Forti, Fortini e Leonetti; il dibattito su lingua e dialetto cui si accennava in precedenza; i ripetuti attacchi di Calvino (ma anche le risposte di A. Guglielmi) all'école du regard e alle tesi della neoavanguardia nostrana in difesa di un più impegnativo rapporto dialettico fra coscienza e mondo oggettivo (« Il mare dell'oggettività », « La sfida al labirinto »). Nell'ambito di quest'ultima scottante polemica si manifestano forse meglio che altrove gli indir[...]

[...]ista si ricordi il n. 7, con sotto
titolo Gulliver, a formula internazionale, con interventi saggistici e testi creativi di tre distinte compagini culturali: per fare dei nomi, parteciparono H. M. Enzensberger, U. Johnson, H. Heissenbüttel e G. Grass per il gruppo tedesco; R. Barthes, J. Genet e J. Starobinski per quello francese; e fra gli italiani, oltre ai direttori della rivista, Leonetti, Pasolini e Villa. L'ultimo fascicolo, in memoria di Vittorini, accolse invece esclusivamente testi e documenti fotografici del letterato scomparso e una serie di contributi in suo onore « Progettazione e letteratura » di I. Calvino, « Storia non è storicismo » di G. Guglielmi, « La conversazione con Vittorini », di F. Leonetti, « La battaglia di Vittorini nella politica culturale della sinistra italiana » di M. Rago). (m. m.)



da g.c.[G. Castellani], scheda sintetica di «Ideologie» in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: [...]ologiche, sui condizionamenti sociali e le loro manifestazioni patologiche. Gli stessi interventi di carattere letterario pubblicati da Ideologie esaminano gli aspetti e le personalità dei vari operatori di cultura sotto un profilo critico che si allontana dalle impostazioni tradizionali, privilegiando le componenti ideologiche ed il concreto rapporto con la situazione storicopolitica di volta in volta contingente. Di questi saggi si ricordano « Vittorini e l'alienazione degli anni trenta » di A. Panicali, « Il Politecnico di Forlini » di M. Tancredi, e le trattazioni di R. Luperini e G. C. Ferretti sul trasformismo degli intellettuali. Oltre agli interventi regolari dei redattori, collaborano alla rivista anche U. Segre, E. Pagliarano (« Difficoltà ideologiche del lavoro poetico »), G. Parise, A. Moravia (« L'eclissi dell'ideologia di sinistra in Italia ») e sono apparsi testi di E. Guevara, C. Vallejo, L. Goldmann.
Il numero 5/6 del 1968 è un quaderno speciale dedicato alle radici storiche della rivoluzione cubana, con testi di Fidel Castro[...]



da Romano Bilenchi, Ancora sul romanzo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...] parere scrivere in dialetto costituisce un'autentica evasione dalla realtà attuale. Il dialetto é immobile, insufficiente ad affrontare la molteplicità della vita moderna. Tutto al più può servire a fotografare frammenti e rende impossibili quelle operazioni di sintesi che sostengono le grandi opere di questi ultimi tempi: Doctor Faustus, L'uomo senza qualità, Il dottor Zivago, Il gattopardo e in un certo senso anche Conversazione in Sicilia di Vittorini.
Nessuno, del resto, fino ad oggi é riuscito ad autentificare con la sua necessarietà il dialetto come fece Gioacchino Belli, tanto per citare il nome più spesso invocato a giustificazione. Ma il Belli espresse dialettalmente una realtà dialettale, mentre l'uso del dialetto oggi é proposto come soluzione linguistica generale. Ci sarebbe inoltre da osservare che mentre il dialetto trovò la sua sanzione nell'ideologia romantica e nel suo miraggio di una espressione immediata e anteriore alla cultura, il caso di scrittori in lingua, colti, dedicatisi all'apprendimento di uno o più dia
42 ROMAN[...]



da Giacinto Spagnoletti, Carlo Bernari in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]a. Sullo sfondo si disegnano le città meridionali, in particolare Napoli, vista senza alcuna concessione di simpatia, solo attraverso delle grigie periferie: un quadro fisico e morale che la nostra narrativa non conosceva prima, fatto di rughe e di miserie proletarie, di situazioni senza speranza vissute in ambienti squallidi. Questa nuova realtà rimbalza in una scrittura opaca, volutamente gremita di parole « matte » — secondo la definizione di Vittorini, che le contrapponeva a quelle « lucide » della letteratura solariana allora in voga —, di frasi elementari che volgono le spalle alla tradizione narrativa italiana piú vicina. Con questo stile insieme asciutto e raziocinante, Bernari lasciava un biglietto da visita al realismo italiano. Si parlerà infatti di lui
178 GIACINTO SPAGNOLETTI
come di uno dei promotori del neorealismo, quando il fenomeno avrà la sua crescita nel dopoguerra.
Da Tre operai in poi, tutti i motivi che contano nella narrativa dello scrittore napoletano recano sempre qualcosa che li accomuna, come l'ansia o il tentati[...]

[...]ione non scoppierà, Milano 1976; Napoli silenzio e grida, Roma 1977; 26 cose in versi, Milano 1978.
SCRITTI SU CARLO BERNARI. — R. RADICE, « L'Ambrosiano », 27 febbraio 1934; L. ANCESCHI, « Camminare », marzo 1934; S. BENCO, « Piccolo della Sera », 8 marzo 1934; F. BERNARDELLI, « La Stampa », 27 marzo 1934; G. BELLONCI, « Giornale d'Italia », 29 marzo 1934; G. PIOVENE, « Pan », aprile 1934; ARISTARCO, « L'Italia letteraria », 14 aprile 1934; E. VITTORINI, « Il Bargello », 22 luglio 1934; E. DE MICHELIS, « La Nuova Italia », settembre 1940; M. STEFANILE, « Il Mattino », 2 aprile 1940 (poi in Labirinto napoletano, Napoli 1958); A. NOMELLINI, « Incontro », 25 aprile 1940; A. SILIPO, « Primato », 1 maggio 1940; A. MELE, « Meridiano di Roma », 10 novembre 1940 (poi in Sei narratori del Novecento, Napoli 1971); L. BIGIARETTI, « Avanti! », 9 marzo 1946; U. BARBARO, « l'Unità », 26 aprile 1946; E. FALQUI, « Risorgimento liberale », 12 maggio 1946 (poi in Tra racconti e romanzi del Novecento, Messina 1950); E. EMANUELLI, « L'Europeo », 17 agosto 1947;[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Vittorini, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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