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Il segmento testuale Sulla è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Giovanni Mari, Ritratti critici contemporanei. Louis Althusser in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]miche e discussioni che sono andate ben oltre gli ambienti culturali francesi (interessando anche aree regionali in cui il marxismo ed il movimento operaio sono tradizionalmente assai deboli), occorre partire, come del resto il filosofo francese ha piú volte ripetuto, dal momento storico in cui tale ricerca si è svolta'. D'altra parte l'opera di Althusser si colloca consapevolmente in questo momento: essa infatti prevede una serie di riflessioni sulla « congiuntura politica » in cui il movimento comunista si è trovato in questi anni, e rappresenta la scelta di scrivere dei testi filosofici per produrre determinati effetti teoricopolitici in tale congiuntura 2. La quale inizia, secondo Althus
1 Nel corso del testo ho usato le seguenti sigle che rimandano alle opere cit. in bibliografia (la p. si riferisce, ad eccezione che per l'Avantpropos a Duménil, alla trad. it. cit.): FL, per Freud et Lacan, tr. it. in n. 66; PM, per Pour Marx, n. 21; LC, per Lire le Capital, n. 23; Lettere, per M. L. Maciocchi, Lettere dall'interno del PCI a L.A., n.[...]

[...]ntales del materialismo histórico, Mexico, Siglo xxi, 1979°°, a p. 152, definisce in questo modo la « congiuntura politica »: « La congiuntura politica è il `momento attuale' della lotta delle classi in una formazione sociale o sistema di formazioni sociali ». Althusser non concettualizza direttamente la nozione di « congiuntura », che pure ricorre abbastanza frequentemente nei suoi scritti. Egli individua questa nozione mediante una riflessione sulla « pratica politica marxista », in particolare su quella di Lenin (dr. PM, pp. 154160), ed oltre all'espressione di « congiuntura » e di « congiuntura politica », usa anche quella di « congiuntura teorica e ideologica ». La « congiuntura » sembra quindi designare l'unità (strutturata) delle contraddizioni di diversi livelli della formazione sociale nel « momento attuale » (cfr. To my english readers, prefazione a For Marx, London, New Left Books, 1971).
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ser, con la denuncia del « culto della personalità » e delle « violazioni » della « legalità socialista » compiute dal xx [...]

[...]pitale (che comprendono entrambi scritti degli anni 196065). La ricerca di Althusser si presenta quindi nettamente periodizzata in almeno due fasi principali, il cui anno di separazione può essere agevolmente identificato nel 1970.
La « rettifica » consiste essenzialmente nell'assunzione da parte della problematica di Althusser di un nuovo tipo di rapporto tra politica e teoria, precisamente nella proposta della tesi del « primato della pratica sulla teoria », cioè del « primato della lotta di classe nell'economia e nella politica sulla lotta di classe nella teoria » (EA, p. 5). La lotta di classe nella teoria è la filosofia, precedentemente (Per Marx e Leggere il Capitale) definita come « teoria della pratica teorica ». Qui mi interessa soprattutto notare come, sia la congiuntura politica in cui Althusser « interviene », sia la sua stessa ricerca filosofica presentano una svolta: la prima nel '68, la seconda nel '70. E la cronologia di queste due svolte è tale da porre immediatamente il problema del primato della politica sulla svolta teorica di Althusser (la quale, d'altra parte, come vedremo, è indissolubilmente intreccia[...]

[...]lotta di classe nella teoria è la filosofia, precedentemente (Per Marx e Leggere il Capitale) definita come « teoria della pratica teorica ». Qui mi interessa soprattutto notare come, sia la congiuntura politica in cui Althusser « interviene », sia la sua stessa ricerca filosofica presentano una svolta: la prima nel '68, la seconda nel '70. E la cronologia di queste due svolte è tale da porre immediatamente il problema del primato della politica sulla svolta teorica di Althusser (la quale, d'altra parte, come vedremo, è indissolubilmente intrecciata all'interpretazione che Althusser compie di un'altra svolta, avvenuta piú di cento anni prima, quella che nel 1845 è compiuta dal giovane Marx).
Di questo primato occorrerebbe ricostruire le specifiche forme di presenza nelle grandi questioni teoriche e politiche sollevate in questi ultimi anni dal filosofo francese (a cominciare dalla nuova definizione della filosofia), di esso tuttavia già conosciamo la forma generale: la dichiarazione della « crisi generale del marxismo ». Questa infatti si[...]

[...] e di interpretazione storica della ricerca althusseriana, possono essere ritrovate anche a partire dall'« autocritica », purché si assuma il ragionamento di Althusser con tutto il rigore e la serietà che merita. L'« autocritica » in verità ci pone di fronte ad un fatto abbastanza sconcertante. Infatti Althusser, dopo essersi criticato per aver sostenuto negli anni Sessanta posizioni idealistiche (« Teoricismo vuol dire qui: primato della teoria sulla pratica, insistenza unilaterale sulla teoria; ma piú precisamente: razionalismo speculativo », EA, p. 22, nota 20), difende senza alcuna esitazione gli effetti politici ed ideologici ottenuti da questa filosofia « speculativa »: « Ma, e questo è certamente piú importante, alcune tesi che noi attaccavamo hanno dovuto fare marcia indietro: cioè le tesi umaniste, storiciste, ecc. » (EA, p. 40). Ora la difficoltà è tutta qui perché Althusser, dopo aver rivendicato il primato della pratica sulla teoria (in Elementi di autocritica questo primato è rivendicato anche quando si definisce « principale » la giusta tendenza politica dei prim[...]

[...]oria; ma piú precisamente: razionalismo speculativo », EA, p. 22, nota 20), difende senza alcuna esitazione gli effetti politici ed ideologici ottenuti da questa filosofia « speculativa »: « Ma, e questo è certamente piú importante, alcune tesi che noi attaccavamo hanno dovuto fare marcia indietro: cioè le tesi umaniste, storiciste, ecc. » (EA, p. 40). Ora la difficoltà è tutta qui perché Althusser, dopo aver rivendicato il primato della pratica sulla teoria (in Elementi di autocritica questo primato è rivendicato anche quando si definisce « principale » la giusta tendenza politica dei primi saggi, rivolti contro le « pseudospiegazioni » del xx Congresso e contro gli assalti dell'ideologia borghese, e « secondaria » la loro « deviazione » filosofica), e dopo aver riconosciuto che nei saggi degli anni '60'65 egli ha sostenuto una filosofia razionalista e speculativa, conclude difendendo gli effetti politici ed ideologici determinati dall'inter
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vento di questa filosofia nella congiuntura, quindi ristabilendo un nuovo tipo[...]

[...]le separazione non impedisce di veder il nesso che intercorre tra la congiuntura e la tendenza « principale » e giusta della riflessione degli anni '60'65, impedisce di vedere solo quello che intercorre tra la stessa congiuntura e la « deviazione ». E questa separazione che permane tra filosofia e politica sul piano della « deviazione », cioè del « secondario », non solo impedisce di pensare la possibilità di un primato non giusto della politica sulla teoria (su cui invece Althusser si era molto acutamente soffermato nella Introduzione al Per Marx), ma finisce per caratterizzare teoreticamente la filosofia dei primi saggi soltanto per i suoi aspetti negativi: un « secondario » quindi che diviene esaustivo. Ovvero un'« autocritica », per un verso (sul lato del politico) incompleta (assenza della ricerca del rapporto tra idealismo filosofico e pratica politica degli anni Sessanta), e per l'altro (sul lato del filosofico) forse anche eccessiva. Vedremo in seguito come è forse possibile colmare questa incompletezza, questa assenza.
3. Uno dei[...]

[...]tinuò, e continua da parecchio tempo, ad andare avanti indisturbato, nelle sue basi, nella sua `linea' e in alcune delle sue pratiche — ma proprio la teoria di Marx e di Lenin » (RJL, p. 103).
Che Althusser possa stabilire questo tipo di connessione tra due aspetti essenziali della congiuntura politica (il xx Congresso e la questione del « giovane Marx »), connessione in cui tra l'altro già opera evidentemente l'idea di un primato della pratica sulla teoria, si spiega con due elementi, uno politico ed uno teorico. Quello politico, su cui non ci soffermeremo, riguarda il tipo di critica che Althusser compie dello stalinismo: perché se per un verso egli non esita a denunciare l'« ammorbante e implacabile sistema di governo e di pensiero » di Stalin, per l'altro non intende ridurre né Stalin né la III Internazionale alla « deviazione staliniana », ed ammette l'esistenza di « meriti » storici di Stalin. Una posizione, in altre parole, che non intende fare, come invece fanno certi umanisti marxisti, tabula rasa di una complessa esperienza del [...]

[...]del xx Congresso ed i fondamenti ideologici della « critica di destra » dello stalinismo, e, dall'altro, come una « difesa » della « specificità » e della « radicale diversità » del marxismo nei confronti delle forme essenziali della ideologia e della filosofia borghese, nonché, a partire dal 1970, anche nei confronti della scienza (tesi della specificità del marxismo come scienza rivoluzionaria). Tali interventi, oltre ad aprire una riflessione sulla ideologia in generale, ed in particolare sulla struttura di quella borghese sorretta dalla « filosofia classica » su cui dovremo ritornare, approdano a due ordini di risultati specifici, di carattere storiografico e teorico, di grande importanza: 1) la periodizzazione dell'evoluzione del giovane Marx e la spiegazione del significato teorico della fondamentale tappa di questa evoluzione rappresentata dagli scritti del 1845 (Tesi su Feuerbach e Ideologia tedesca) mediante la categoria filosofica di « rottura epistemologica »; 2) la definizione della deviazione staliniana come « recrudescenza » e « vendetta postuma » della tendenza fondament[...]

[...]'« autocritica » la ricerca althusseriana: all'inizio di ognuno di questi due periodi si trovano infatti due interpretazioni diverse della storia di Marx (e di Engels). La seconda per segnalare che la definizione della
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deviazione staliniana come economicismo coperto dall'umanismo è conquistata da Althusser solamente nel secondo periodo della propria ricerca, precisamente nel 1972 (Réponse à J. Lewis). Mi soffermerò soltanto sulla prima questione. Althusser mantiene ferme nei due periodi della propria ricerca, sia la periodizzazione dell'itinerario politico teorico del giovane Marx (momento liberale e razionalistico hegeliano fino al 1842; momento umanistico comunitario di stampo feuerbachiano fino al 1845; passaggio al comunismo ed al materialismo rivoluzionario a partire dal 1845). Sia il concetto di
« rottura epistemologica », per designare un fatto interno a tale itinerario (la discontinuità teorica tra la scienza marxista della storia e la sua preistoria hegeliana e, soprattutto, feuerbachiana) ed insieme per sot[...]

[...]a epistemologica ».
Il limite speculativo del primo periodo si manifesta quindi, sia nella interpretazione teoricista della « rottura epistemologica » (« Ecco ciò che mancava d'essenziale ai miei primi saggi: la lotta di classe e i suoi effetti nella teoria », EA, p. 41), sia nella contrapposizione razionalista, « in generale », tra la scienza (« la verità ») e la ideologia (« l'errore »), sia, infine nell'appiattimento della filosofia marxista sulla scienza (la filosofia come « Teoria della pratica teorica ») e della scienza marxista (che è invece « rivoluzionaria ») sulla scienza in generale. Nel secondo periodo (cioè a partire dallo scritto Sull'evoluzione del giovane Marx, del 1970, e soprattutto nella Réponse à J. Lewis ed in Elementi d'autocritica, entrambi del 1972), Althusser si pone il problema delle « condizioni » della « rottura epistemologica », individuandole essenzialmente nel « cambiamento di posizione teorica di classe dell"individuo' storico MarxEngels » (EA, p. 42). In questi
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scritti la « rottura epistemologica » è quindi preceduta e « comandata » dal passaggio di Marx (e di Engels) a posizioni politiche e ideologiche di cla[...]

[...]riflessione (non piú l'uomo, il soggetto, ecc., ma le forze produttive, i rapporti sociali di produzione, ecc.): « è la posizione politica (di classe) a occupare il posto determinante, ma è la posizione filosofica che occupa il posto centrale, poiché è essa che assicura il rapporto teorico tra la posizione politica e l'oggetto della riflessione » (sEJM, p. 50). Ovvero la « filosofia come lotta di classe nella teoria », il « primato della pratica sulla teoria » scoperto e verificato nella storia del giovane Marx.
Occorrerebbe poter avere lo spazio per tentare di svolgere alcune osservazioni. Vorrei comunque cercare di tematizzarne almeno due, entrambe connesse all'introduzione ed all'uso che Althusser compie della coppia rupture/coupure che riassume per molti versi, mi sembra, le novità essenziali della svolta teorica rappresentata dall'« autocritica ». Innanzitutto occorrerebbe rilevare con precisione il significato teorico dell'introduzione di questa coppia di concetti: essa rompe definitivamente con l'epistemologia (speculativa, di stam[...]

[...]1977 all'opera di G. Duménil, Le concept de loi économique dans `Le Capital', cinque anni, cioè, dopo l'« autocritica »: « La teoria marxista non è di diritto universale, né arbitrariamente estendibile ad ogni fenomeno che appartiene al campo dei `fatti' sociali ed umani... Ecco ciò che forse scoraggerà i metafisici marxisti dall'impegnarsi nell'avventura d'estendere d'autorità la teoria marxista a degli oggetti che essa esclude dal suo campo, o sulla cui sorte mantiene il silenzio » (Ap, p. 20).
5. Althusser inizia la propria riflessione sulla filosofia di Marx a partire da determinati « vuoti » e « punti di fragilità teorica » del ragionamento marxiano, e perviene, nella seconda metà degli anni Sessanta, all'esplicita affermazione che l'attuale « crisi generale del marxismo » va spiegata anche con le « difficoltà, contraddizioni e lacune » del pensiero di Marx. In generale i risultati piú significativi della ricerca althusseriana sono sempre connessi all'individuazione di alcuni punti precisi di difficoltà e di insufficiente od assente elaborazione teorica rintracciabili in Marx e nel marxismo. Tuttavia dietro questa continuità di[...]

[...]lesso (e non solo in alcuni punti: es. la « causalità strutturale ») e non si limita piú a rilevare « lacune » e
« manchevolezze » filosofiche i cui effetti rimarrebbero comunque estrinsechi alla forma del ragionamento scientifico di Marx. Questo tipo di rilievi filosofici ha perciò un significato assai diverso da quello sostenuto negli anni Sessanta e permette attualmente ad Althusser di fondare teoricamente la
« crisi generale del marxismo » sulla sua « crisi teorica ».
Ma vediamo, anche se molto schematicamente, i principali risultati a cui Althusser perviene a partire dalle « difficoltà » e dai « punti di fragilità teorica » del ragionamento di Marx. Come Althusser indica in E facile essere marxisti in filosofia? questi risultati possono essere raggruppati attorno a due grandi temi: quello della « determinazione in ultima istanza » (della sovrastruttura da parte dell'economia) e quello del « processo di conoscenza ». La prima questione, che Althusser affronta in relazione al problema del rapporto tra Marx ed Hegel, è trattata in par[...]

[...]me Althusser indica in E facile essere marxisti in filosofia? questi risultati possono essere raggruppati attorno a due grandi temi: quello della « determinazione in ultima istanza » (della sovrastruttura da parte dell'economia) e quello del « processo di conoscenza ». La prima questione, che Althusser affronta in relazione al problema del rapporto tra Marx ed Hegel, è trattata in particolare nei saggi Contraddizione e surdeterminazione (1962) e Sulla dialettica materialistica (1963), entrambi compresi nel Per Marx, oltreché nella seconda parte del saggio L'oggetto del « Capitale » (1965), compreso in Leggere « Il Capitale ».
Il ragionamento di Althusser, in Per Marx, inizia con la constatazione dell'« equivocità » della « formula del `rovesciamento' » contenuta nel Po
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scritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale (« La dialettica, in Hegel, è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale dentro il guscio mistico »): questa formula ad Althusser appare solo « indicativa, anzi me[...]

[...]ione in ultima istanza dell'economia » (« Con il cambiamento della base economica si sconvolge piú o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura », Marx, Prefazione a Per la critica dell'economia politica), dall'altro afferma che la « lotta di classe è il motore della storia ». A questo proposito Althusser introduce una distinzione (compiuta anche in base al concetto di « legge primaria della disuguaglianza » tratto dallo scritto di Mao, Sulla contraddizione) tra « contraddizione dominante » (l'« invariante » strutturale del tutto complesso che presenta sempre una tale contraddizione) e « determinazione in ultima istanza ». Questo proprio in senso opposto all'economicismo che invece stabilisce « in anticipo e per sempre » che il « ruolo » della contraddizione dominante è svolto dalla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione.
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Tuttavia Althusser non si limita a compiere questa distinzione e ad utilizzare la « grande legge » del disuguale sviluppo delle contraddizioni (« spostamento », « condens[...]

[...]del Per Marx. A questo proposito si può infatti leggere in Elementi di autocritica: « Ma non si può neppure `mettere le mani' su questa contraddizione `in ultima istanza', come su la causa. Non si può afferrarla ed aver presa su di essa se non nelle forme della lotta di classe, che è, in senso forte, la sua esistenza storica. Dire che `la causa è assente' significa dunque... che la `contraddizione in ultima istanza' non è mai presente di persona sulla scena della storia... » (EA, p. 24).
La seconda questione, il « processo di conoscenza », già presente nel Per Marx, è trattata in modo particolare nel saggio introduttivo di Leggere il Capitale, Dal `Capitale' alla filosofia di Marx (1965), e ritorna in numerosi scritti successivi, tra i quali faremo brevi riferimenti ad Elementi di autocritica (1972), È facile essere marxista in filosofia? (1975), l'Avantpropos al libro di Duménil già ricordata, Marxismo oggi (1978). Questa questione è legata all'interpretazione dell'Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica, in cui Mar[...]

[...]uomini », Marx, Poscritto alla seconda edizione del r libro del Capitale). Come interpretare questa priorità dell'astrazione ed insieme del materiale, del reale ed insieme dell'ideale? La novità della riflessione di Althusser consiste nel suo rifiuto della soluzione storicista, cioè di quella posizione che pensa di risolvere questa difficoltà mediante una dottrina delle « astrazioni reali » o delle « astrazioni storicamente determinate », basata sulla tesi della esistenza di una « corrispondenza biunivoca » tra pensiero e realtà, tra sviluppo logico del pensiero e sviluppo della storia. E ciò, sia per la forma, perché alle categorie ed agli oggetti reali competerebbe ugualmente il « mutamento », sia per il contenuto, perché a determinati concetti corrisponderebbe un determinato stadio dello sviluppo storico: « La storia avrebbe in qualche modo raggiunto questo punto, prodotto questo presente specifico eccezionale in cui le astrazioni scientifiche esistono allo stato di realtà empiriche, dove la scienza, i concetti scientifici esistono nell[...]

[...]i storicismo senza storia?
Seconda osservazione. L'idea, in generale, di conoscenza scientifica che Althusser propone non è altro (a parte quelle che Althusser definisce le proprie « aggiunte ») che il modo in cui il Capitale permette di conoscere la formazione sociale capitalistica, il modo in cui il Capitale, funziona a questo scopo conoscitivo. In particolare la nozione di « meccanismo » dell'« effetto di conoscenza » è interamente elaborata sulla base dell'analisi del « modo di esposizione » (Darstellungsweise) del Capitale, del modo cioè in
3 L. ALTHUS SER, prefazione a D. LECOURT, Lenin e la crisi delle scienze, Roma, 1974, p. 8.
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cui il Capitale sviluppa le forme astratte del valore, plusvalore, ecc. per risalire verso il concreto (di pensiero) del processo complessivo della produzione capitalistica (iii libro). Ora, a parte la generalizzazione di un processo di conoscenza che Marx pratica solo nella critica dell'economia politica, il ragionamento di Althusser si basa sul presupposto dell'unità e della necess[...]

[...]cetti e metafore tratti dalla psicoanalisi: surdeterminazione, lettura sintomale, causalità metonimica, condensazione, spostamento, immaginario. Ma non si tratta soltanto
o semplicemente di un debito teorico. $ presente in Althusser il preciso intento di stabilire un rapporto positivo tra marxismo e psicoanalisi (la
« psicoanalisi, tra i comunisti, non era `in odore di santità' nel 1964, quando
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pubblicai Freud e Lacan »), sulla base del convincimento che « nel campo delle `scienze umane', due scoperte imprevedibili e sconcertanti hanno sconvolto l'universo dei valori dominanti: le opere di Marx e di Freud » (MF, p. 129).
Alla scoperta dell'inconscio e piú in generale al pensiero di Freud, Althusser dedica due scritti specifici, Freud e Lacan (1964) e Marx e Freud (1976). Ma frequenti riferimenti all'opera di Freud sono rintracciabili anche in altri scritti. Nel saggio del '64 Althusser si sofferma soprattutto ad illustrare il significato dell'opera di Lacan, ma già sottolinea quello che gli appare come l'effetto te[...]

[...]etto alla filosofia tradizionale, quando sostiene che la filosofia classica borghese riflette nelle proprie categorie il soggetto giuridicopolitico dell'ideologia borghese, in particolare quando essa definisce i termini del « problema della conoscenza », cioè delle garanzie e delle condizioni per cui un soggetto entra in rapporto ad un oggetto nell'atto conoscitivo. In questa ottica la filosofia classica appare caratterizzata e dalla riflessione sulla scienza moderna (i due tipi di causalità già ricordati), e dalla riflessione sull'ideologia del soggetto (il problema gnoseologico). In relazione alla scienza ed agli operatori scientifici, quando elabora le nozioni di « conoscenza come
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produzione », di « rottura epistemologica », di « filosofia spontanea degli scienziati » (temi che vedremo subito). Sul piano politico e della lotta di classe, quando parla di « ideologia dominante », di « ideologia piccolo borghese », di « ideologia proletaria ». Infine, ed è ciò su cui soprattutto mi soffermerò, sul piano della società[...]

[...]la « ideologica »: il marxismo è quindi anche, e non secondariamente, « ideologia marxista ». In questo scritto Althusser si pone dal punto di vista della fusione della teoria marxista e del movimento operaio. Fin dall'inizio il marxismo, il « pensiero di Marx », non è separabile dalle esperienze, dalle lotte, dalle posizioni ideologiche della classe operaia: « il pensiero di Marx si è formato e si è sviluppato all'interno del movimento operaio, sulla sua base e sulle sue posizioni » (Mo, p. 112). Questo punto di vista è comunque già operante in alcuni scritti attorno al 1970, quando ormai il concetto di filosofia è definito dal filosofo francese a partire dal significato politico della sua funzione in seno alla teoria (già in Lenin e la filosofia, 1968) e la funzione dell'ideologia proletaria, dell'istinto di classe, è connessa positivamente alla fondazione del materialismo storico mediante la posizione centrale della filosofia posta tra la politica e la teoria (Sull'evoluzione del giovane Marx, 1970).
Di questi anni immediatamente prece[...]

[...]i dei meccanismi di riproduzione dei soggetti nella scuola e, piú in generale, la crisi dell'ideologia della classe dominante nell'intera società. Non si può infine non ricordare che in un recente scritto, Quel che deve cambiare nel partito comunista (1978), Althusser affronta il problema del funzionamento ideologico di un altro apparato ideologico di stato, il partito comunista, il quale costituisce i suoi iscritti in soggetti, i « militanti », sulla base di una ideologia che ne
garantisce l'omogeneità e l'unità. GIOVANNI MARI
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Louis Althusser è nato il 16 ottobre 1918 a Birmandreïs, vicino ad Algeri. Compie gli studi elementari in questa città e quelli secondari (193036) a Marsiglia. Nel 1937, sempre a Marsiglia, fonda la sezione della Jeunesse Etudiante Chrétienne du Lycée du Parc. Due anni piú tardi è promosso al concorso dell'Ecole Normale Supérieure, Lettere. Nel 1940 è fatto prigioniero a Vannes in Bretagna; tradotto in Germania vi rimane prigioniero fino al maggio 1945. Durante gli anni 194548 è allievo all'[...]

[...]93036) a Marsiglia. Nel 1937, sempre a Marsiglia, fonda la sezione della Jeunesse Etudiante Chrétienne du Lycée du Parc. Due anni piú tardi è promosso al concorso dell'Ecole Normale Supérieure, Lettere. Nel 1940 è fatto prigioniero a Vannes in Bretagna; tradotto in Germania vi rimane prigioniero fino al maggio 1945. Durante gli anni 194548 è allievo all'E.N.s., rue d'Ulm a Parigi. Si diploma, sotto la direzione di Gaston Bachelard, con un lavoro sulla Notion de contenu dans la philosophie de Hegel. Nel 1948 è agrégé di filosofia. Nello stesso anno si iscrive al Partito Comunista Francese, a cui tuttora aderisce. Nel 1950 è agrégé répétiteur e segretario dell'E.N.s., nel 1962 Maîtreassistant e segretario dell'E.N.S.
OPERE DI L. ALTHUSSER (19511978)
1. Contributo nella discussione sulla sessione Journées nationales d'études pedagogiques des professeurs de philosophie (1950), « Revue de l'enseignement philoso
phique », I, 1951, n. 1/2, p. 12. 2. A propos du marxisme, ivi, III, 1953, n. 4,
pp. 1519. 3. Note sur le matérialisme dialectique, ivi, III, 1953, n. 5, pp. 11
17. 4. Sur l'objectivité de l'histoire (Lettre à Paul Ricoeur), ivi, v, 1955, n. 4,
pp. 315. 5. Despote et monarque chez Montesquieu, « Esprit », xxvi, 1958,
n. 11, pp. 595614 (poi riprodotto nel n. 6). 6. Montesquieu. La politique et
l'histoire, Paris, P.U.F., 1959, 127 pp. (tr. it. a cura di B. Menato, Ro[...]



da Renato Mieli, La constrata evoluzione della sicilia in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: LA CONTRASTATA EVOLUZIONE DELLA SICILIA
Se ci fosse un po' di proporzione tra quanto viene diffuso dalla stampa e dalla radio e quanto resta nell'opinione pubblica, a quest'ora si dovrebbe sapere molto di più sulla Sicilia. Viceversa, nonostante iI gran parlare che se ne è fatto in questi ultimi tempi, se ne sa, in fondo, quanto prima. L'isola con i suoi assillanti problemi continua ad essere vista e giudicata, in generale, secondo gli schemi mentali del passato: pittoresca, geniale ma ingovernabile, per chi la guarda dall'esterno, tormentata e incompresa per chi la sente dall'interno. Ed è inutile, a questo punto, alimentare con nuovi miti il dialogo dei sordi tra « siciliani che non si danno pace per le antiche ingiustizie di cui scontano ancora le conseguenze e « settentrionali » che sono stanchi di [...]

[...]rto tra popolazione attiva e popolazione residente, era pari al 33,3%. Alla stessa data, le forze di lavoro in Italia ammontavano a 20562.000 su una popolazione di 49.779.000 abitanti. Dunque il livello di occupazione nazionale era pari al 41,3%. Dal confronto di questi due dati risulta un dislivello dell'8%, che rappresenta la frazione di popolazione siciliana che dovrebbe diventare attiva per raggiungere la media nazionale. Naturalmente poiché sulla media italiana incide la minore occupazione delle regioni meridionali, il dislivello sarebbe ancor più accentuato se si paragonasse la Sicilia al Nord. Ma già da questo primo confronto si ha una misura del divario esistente. Per colmarlo occorrerebbe che l'8% dei siciliani, ossia circa 380.000 persone, cessassero di essere « inoccupati ». È una cifra forte, che dà un'idea della mole del problema da risolvere. Per:, non vi é da lasciarsi impressionare. Intanto va detto che il livello di occupazione non può essere preso come un indice assoluto di progresso. In una determinata comunità che avess[...]

[...]liano é qualitivamente superiore a quello tenero del Nord. Ma a conti fatti il bilancio granario dell'isola è largamente deficitario, giacché le sue esportazioni di « duro » non bastano a compensare le importazioni di « tenero ». Occorre migliorare le tecniche di coltura, riducendo l'area investita a cereali sia per effettuare rotazioni più lunghe sia per far posto a colture più redditizie. Per passare dall'agricoltura estensiva, che si sviluppa sulla maggior parte della superficie dell'isola, soprattutto all'interno, a quella intensiva, che viene praticata lungo la fascia costiera (con un maggiore assorbimento di manodopera sebbene non ancora con un livello di produttività pari a quello della concorrenza straniera), bisognerebbe investire ingenti capitali, allo scopo di modificare non solo le condizioni di lavoro ma anche quelle di vita della popolazione agricola. Si tratta di costruire vie di comunicazione, di sistemare i corsi d'acqua, di procurare acqua potabile e per irrigazione, di bonificare il terreno, di costruire case, stalle, sc[...]

[...] periodi di tempo è da appurare. Ma se tosi fosse — come sembra probabile — bisognerebbe piuttosto che invocare una legge per giustificarsi, individuare un rimedio per correggere uno stato di cose svantaggioso per l'isola. E sarebbe il modo più persuasivo per dimostrare che l'autonomia non è soltanto necessaria ma anche operante in Sicilia.
***
Tutte queste considerazioni non sono che un preambolo al discorso .che più ci interessa: il discorso sulla industrializzazione. Questa è la spina dorsale del problema siciliano. Argomento, dunque, che va affrontato con la massima chiarezza se si vuol vedere sul serio quali sono gli impedimenti e quali potrebbero essere i rimedi per il progresso economico dell'isola. Ma non è facile. A volerne parlare con assoluta sincerità ci si scontra non solo contro una serie di preconcetti e di opinioni belle e fatte, che rispecchiano interessi di parte, bensì contro una quasi inestricabile rete di informazioni contrastanti e di lacune incomprensibili. Con tutta la buona volontà riesce pressocché impossibile, [...]

[...]ratori in rapporto agli investimenti occorrenti. Sarebbe un po' troppo semplicistico. In realtà senza un'industria di base non si sviluppa un'industria manifatturiera sana. Bisogna incominciare con creare quel tronco vitale che è l'industria pesante perché si possa formare attorno tutta la ramificazione dell'industria leggera. Questo è il frutto dell'esperienza fatta non solo nei paesi occidentali, ma anche e soprattutto in quelli che si muovono sulla scia dell'esempio sovietico.
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Per giudicare quale sia stato lo sviluppo dell'industria di base in Sicilia, durante il periodo 19551959, il primo settore su cui è opportuno soffermarci è quello elettrico. Dai dati fin qui pubblicati risulta che la produzione complessiva — termoelettrica ed idroelettrica — è salita da
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809 milioni di kWh nel 1955 a 1.145 milioni di kWh nel 1958. Con la costruzione di due dei tre gruppi della centrale Tifeo di Augusta, la disponibilità di energia elettrica nel 1959 ha raggiunto quasi i due miliardi di kWh. Un progresso c'è, dunque, stato i[...]

[...]e possibilità esistenti. Se alla testa di quell'Ente ci fosse stato un uomo come Mattei si dice — a quest'ora la centrale dell'E.S.E. sarebbe già entrata in funzione da un pezzo. Bastava che non si respingesse l'offerta di credito di un'impresa appaltatrice (offerta che sarebbe stata integrata e garantita dai fondi della Regione), per il timore di insinuazioni o sospetti.
Chi ha ragione? Il dirigente dell'E.S.E. o gli uomini politici che hanno sulla coscienza il rimorso di averlo collocato a quel posto? È difficile dirlo; bisognerebbe saperne molto di piú. In mancanza di una inchiesta che permetta di accertare come siano andate le cose, è più saggio sospendere qualsiasi giudizio sul passato e concentrare l'attenzione sul presente. Perché non si provvede ora a procurare il finanziamento necessario per completare l'opera intrapresa e restata a metà? Chi lo impedisce? Qui non c'entrano più i «monopoli ». Il problema, a quanto è dato capire, riguarda invece i rapporti tra Stato e Regione. Nel corso del dibattito sul bilancio all'Assemblea Re[...]

[...]pondere sulle quantità estratte siano adeguate alla qualità e ai costi di produzione ». La prima di queste due condizioni trova il suo adempimento precisamente nel progetto dell'E.N.I. di cui si é detto. La seconda implica la riduzione ed eventualmente abolizione delle royalties che l'E.N.I. si era impegnata a versare alla Regione in base all'accordo che disciplinava la ricerca e lo sfruttamento di idrocarburi nell'area di Gela. Si può convenire sulla legittimità della richiesta di una forte riduzione delle royalties, tenuto conto appunto della qualità del greggio; ma non si può ignorare che, accogliendola, la Regione rinuncerà a quegli introiti su cui poteva contare e darà un pretesto alla a Gulf Italia.» per chiedere, anch'essa, un trattamento di favore. Comunque il
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minor introito significherà una minore disponibilità di quei fondi che dovrebbero essere destinati a nuovi investimenti produttivi, su cui si 'faceva assegnamento in Sicilia per sviluppare un'azione propulsiva (13). Analogamente, anche le prospetti[...]

[...] Regione, é piuttosto ardito pensare che lo faranno nel prossimo avvenire, perché sorretti dalla Sofis. La Cavera che di questo problema si sente investito con il fervore passionale di chi crede di avere una missione da compiere, non si nasconde affatto quanto sia arduo creare una mentalità imprenditoriale tra i siciliani. È come — egli pensa — vo ler dare da mangiare a chi é digiuno da secoli; occorre abituarlo gradualmente. Né si può fare leva sulla sete di ricchezza che in altre parti ha tanta presa sugli uomini. Con i siciliani — afferma La Cavera — bisogna far leva sul senso di giustizia e di dignità. Bisogna ricordarsi che preferiscono restare poveri come sono, piuttosto che essere umiliati da altri. A questo prezzo rinuncerebbero a qualsiasi ricchezza, pur di non vergognarsi di se stessi. Non si deve quindi interpretare l'insufficiente sviluppo industriale della Sicilia come un segno di
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inferiorità congenita dei siciliani. Chi giudica così sbaglia, e non contribuisce certo a promuovere quello sviluppo della Region[...]

[...] massimo le risorse di cui è dotata, potrebbe mobilitare un capitale considerevole in investimenti industriali, ai quali parteciperebbe, come si è detto, con una quota anche superiore al 25%. Se, tanto per fare un'ipotesi, la Sofis promuovesse un'attività industriale, impiegando tutte le sue disponibilità in imprese ove partecipasse in media con un 50% del capitale si avrebbe un investimento complessivo che si aggirerebbe attorno ai 280 milioni. Sulla base di quanto risulta dall'esperienza della zona industriale di Catania, stimando che occorrano circa due milioni per la creazione di un posto di lavoro, si potrebbe prevedere un assorbimento globale di 140.000 persone. Questa cifra va però corretta, tenendo presente che l'incremento di occupazione sarebbe superiore per gli effetti moltiplicatori che lo sviluppo industriale esplicherebbe nel mercato siciliano, e va al tempo stesso riferita ad un periodo minimo di tre anni, occorrenti per realizzare un programma di tale portata. Anche così, nella ipotesi di un pieno impiego delle disponibilit[...]

[...]rze occorrenti per venirne a capo. Ora, la prima riforma da operare è quella della stessa mentalità con cui si affrontano questi problemi e del costume. L'individualismo spinto agli estremi, come in Sicilia, non permette nemmeno che attorno ad un programma si formi una maggioranza stabile e coerente. Il prevalere delle ambizioni personali sulle idee insidia i partiti, perennemente in crisi, e impedisce il raggrupparsi di forze politiche omogenee sulla base di un chiaro indirizzo che si intende perseguire. Cosi non si risolve nulla. Cosi la stessa autonomia regionale finisce per isterilirsi e corrompersi. Contro questa tendenza i siciliani debbono trovare in se stessi la forza di reagire. E inutile che ci si venga a dire che il loro temperamento non lo consente; o che si scomodi la storia per giustificare una mentalità che non riesce ad adeguarsi alle esigenze di una società moderna produttiva, la quale ha bisogno di un forte spirito organizzativo e associativo. Con assoluta sincerità dobbiamo rispondere che non crediamo ad un vero progress[...]

[...]iciliana, contro il quale bisogna stare in guardia.
Conclusione: dietro la facciata dell'autonomismo siciliano si nasconde un equivoco. Nella coalizione di forze e di interessi che ha consentito a Milazzo di dar vita ad un esperimento, ricco di tante promesse, vi era una contraddizione che i comunisti cinesi definirebbero di tipo antagonistico. Tra l'ala destra e l'ala sinistra dello schieramento autonomistico non vi è mai stata una vera intesa sulla via da seguire per il rimodernamento economico e sociale dell'isola; vi é stata una serie di compromessi, avvolti spesso da un trasparente velo di ambiguità. Ci hanno insegnato a scuola che non si sommano addendi che non siano fra di loro dello stesso tipo. Così è anche nella vita. Si possono mettere
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insieme voti eterogenei; ma ció non basta a formare una maggioranza capace di realizzare una politica coerente ed efficace.
L'autonomismo, se si riduce alla ricerca affannosa di un quarantaseiesimo voto qualsiasi pur di raggiungere la maggioranza nell'Assemblea regionale, dive[...]

[...]ma e con i fatti, che intendeva assumere il significato concreto di progresso. Ora è venuto il momento di lasciare da parte i miti e di cercare nella realtà siciliana gli elementi di una maggioranza omogenea, che voglia sul seriosuperare l'arretratezza economica e sociale dell'isola. Questa maggioranza c'è nella popolazione e, pur con tutte le riserve, nella sua classe dirigente; occorre avere l'onestà di individuarla e la capacità di ricomporla sulla base di un programma che non consenta equivoci. Non è
più tempo da surrogati. RENATO MIELI



da Renzo Rosso, Gli apologhi della medusa in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]venuto senza i soliti sconquassi, semplicemente con un attutito tonfo sotterraneo. Quella notte, nel nido, era trascorsa immobile e tiepida come sempre, un occhio solo del maschio sbarrato nell'oscurità a captare le incertezze e gli sbandamenti del bianco baricentro. Da allora il buio si era rimpicciolito, ed era venuto nove volte lo stretto spazio del giorno.
Nell'aria pervasa da gelidi soffi, sotto un sole bianchiccio, il maschio volava lento sulla superficie grinzosa dell'Atlantico. Senza emozioni piombava su piccole, rare prede, che inghiottiva ancor prima di volgere il becco in alto. Uno strido che gli giunse da dietro l'iceberg gli fece mutar rotta: su un branco di foche la femmina stava compiendo evoluzioni bizzarre, cioè impennate improvvise e corse radenti, finquando, emerse che quelle furono due volte con le loro teste ingrugnite, non scomparvero; la femmina allora si ricongiunse al maschio che aveva proseguito attento la posta. Ora sul mare il riverbero del sole toccava la piastra inferiore delle ali, e tra le piume la pelle se[...]

[...]ucanti, gravidi ventri, e allo sguardo di fra' Luis de Sotomayor che lo mirava in preda a una negligente stupefazione, perfino una gonfia medusa, tanto più marina quanto più margine d'azzurro le si faceva d'intorno. Sul selciato brillante, la dove le pietre lavate della piazza si affossavano in scoli, scorreva ancora dell'acqua, cui il sole uscito da poco dava aspetto di polle sorgive più che di retroguardia piovana.
Fra' Luis riportò gli occhi sulla piazza, al palco che nell'ombra bigia del crepuscolo avanzante appariva di dimensioni enormi: il vertice del palo, dal punto in cui egli si trovava, toccava il centro del rosone della facciata della cattedrale. Dal brulicante rumore dietro le sue spalle, che gli diceva che dietro le transenne c'era tutta Cuerta in attesa, la sua mente fu spinta con disappunto prima al vicario che lo aveva fatto accompagnare cola con notevole anticipo sull'ora della cerimonia, poi al lungo viaggio di trasferimento che lo attendeva l'indomani attraverso la Sierra. Quando un mormorio più intenso di quello genera[...]

[...]dovuto farsi non meno di una ventina di viaggi, a
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Cuerta; ma a nulla erano approdati i suoi consigli e i suoi amorosi suggerimenti).
Dopo che le guardie ebbero sistemato ogni cosa secondo le consuetudini del cerimoniale, il frate con un cenno fece attaccare il coro del capitolo che intonò: « Gloria per il mondo intero al Signore degli umili », e, afferrato con la mano destra il crocefisso d'argento che gli pendeva sulla coscia, si mosse in direzione del palco. Sulla sommità di questo egli pronunciò le formule di rito, e non avendo ricevuto altra risposta alla sua esortazione al pentimento e alla confessione della eresia che un sordo belato, siglò l'aria con un ampio simbolo di croce e tornò al suo posto. Mentre il capoguardia si avvicinava alle fascine reggendo una torcia accesa che rendeva intensamente azzurra l'aria circostante e tutta la scena, fra' Luis cadde in ginocchio e chiuse gli occhi, nell'atteggiamento cioè in cui meglio gli pareva di attenuare il dolore e di aumentarne il decoro edificante. Lo sfrigolio scoppiettante degli arbusti secchi che[...]

[...]8 RENZO ROSSO
tentativo di non lasciar corrompere gli antichi orari, la laboriosa alacre e calma precisione dell'istinto interrotto; cominciò invece a serpeggiare tra tutte un inconsueto eccitamento che aveva aspetti assai simili alla frenesia precedente il volo nuziale (alcune ad esempio, una volta all'aperto si bloccavano improvvisamente e compivano un lento giro su se stesse, provocando in quelle che venivano dietro l'illusione di essere già sulla strada del ritorno), e il disordine, anche se confinato in settori marginali dell'organizzazione, si insinuò stabilmente nel formicaio.
Un giorno, era l'epoca del letargo alla sesta generazione dal crollo interno, un nubifragio si abbatté sulla zona: in breve la struttura superficiale del terreno cedette e l'argilla trasformatasi in fango cominciò a slittare. Quando l'allarme si sparse era ormai troppo tardi: la melma penetrata in ogni angolo trascinò con sé a valle i mille cadaveri delle formiche. Da questo disastro sei sole formiche riuscirono a salvarsi, arrampicandosi in tempo sul tronco di un vicino abete. Passato il cattivo tempo esse tornarono a terra e dopo una meticolosa esplorazione stabilirono di fermarsi vicino allo stagno, al riparo delle radici di una vecchia quercia.
Lo spavento provato e la catastrofe le aveva scoss[...]

[...]so al traino delle impalcature mobili; tutto e solo
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questo gli piaceva, anche perché il sonno alla fine della giornata gli girava per le membra con un dolce sussurro come di premio, prima di ghermirlo.
A. era nato là, al cantiere, venti anni prima, e dal cantiere non si era mai mosso. Al massimo, da bambino, si era spinto fin sulle sponde del fiume a osservare i bassi e silenziosi velieri, e a giocare con coetanei sulla sabbia della riva. Ma da quando sua madre lo aveva incaricato di portare il paniere al padre e ai fratelli maggiori, non si era più staccato dalla porta del recinto, calamitato come si sentiva dal meraviglioso lavoro degli adulti, finché un giorno il caposquadra lo chiamó e lo fece entrare.
Il padre di suo padre era stato un prigioniero di guerra, e la sua famiglia e lui stesso erano ancora considerati tali. La cosa per A. non aveva alcuna importanza, anche per il fatto che l'unico elemento che li faceva distinguere in pratica dagli altri operai, era che quando essi morivano venivano inumati[...]

[...] arco concavo a occidente, che si era formato per un assestamento sotterraneo, e sul quale ora premeva e franava l'intera strato di terriccio; un masso di granito glaciale a mezzogiorno, cher, assieme alla base della montagna di fronte (che guardava il campo da settentrione) pareva serrarlo in una mastodontica forcella; e infine l'aper
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to pendio di levante, dietro il confine del quale scorreva I'antico affluente, e sulla cui sommità si alzavano due ontani.
Il suo colore fondamentale restò a lungo tra il bruno e il cenere, un colore minerale, acido e sterile. Il primo preludio di verde, se si esclude il fogliame dei due alberi, comparve all'ombra del masso erratico, perché ivi era il massimo grado di staticità, e i materiali rocciosi avendo tempo e modo di macinarsi e di accogliere residui organici, divennero argilla e questa fu capace di ospitare radici. Attecchì il trifoglio selvatico e dopo molte morti e rinascite, la ginestra, che trasformò quell'angolo del campo in un fertile fazzoletto. Uno smunto, gial[...]

[...], se si esclude il fogliame dei due alberi, comparve all'ombra del masso erratico, perché ivi era il massimo grado di staticità, e i materiali rocciosi avendo tempo e modo di macinarsi e di accogliere residui organici, divennero argilla e questa fu capace di ospitare radici. Attecchì il trifoglio selvatico e dopo molte morti e rinascite, la ginestra, che trasformò quell'angolo del campo in un fertile fazzoletto. Uno smunto, giallo lichene spuntò sulla superficie rimanente, perché solo questa pianta magra e discreta poteva allignare su un terreno sabbioso, succube dell'aria torrida di luglio e delle gelide brine di febbraio. Qua e II inoltre, nelle marmitte dove un tempo il fiume usava ingorgarsi e ammulinare le sue acque, e dove ora la terra si macerava nell'umidità stantia della trattenuta acqua piovana, comparve una asfissiata peluria di pallida erba, che il lento smottamento trascinava verso il costone occidentale.
Questo era il campo e tosi viveva ormai da innumerevoli stagioni nel suo gramo equilibrio, quando un giorno — era un mese [...]

[...]trale, chiara nella luce di un sole tranquillo che faceva brillare con un diafano sudore le foglie dei due alberi. Il crepitio degli spari, molto tempo dopo la sepoltura dei cadaveri, risuonava ancora della secca pienezza del loro eco, perché l'atmosfera era elastica e rimandava il loro peso sonoro tra la montagna e il masso indefinitamente, con un lentissimo moto decrescente.
Nella fossa, per la compressione cementante che era stata esercitata sulla terra di copertura e lo strato impermeabile del fondo, il calore dei corpi si mantenne alto e favori la decomposizione. Batteri, muffe e funghi si svilupparono e agirono con rapidità : nell'attiva demolizione mineralizzante, dei materiali originari di quella cessione eccezionale non rimasero col tempo neppure dei frammenti d'ossa. Attraverso i lati
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della fossa il liquame sanioso poté espandersi, ed entrare, umificato, nella soluzione circolante.
Per la prima volta nella sua storia il campo fruì di una fermentante vitalità: nella stagione successiva esso poté dare asilo a una[...]

[...]so, specie nel lato di nordest, davanti allo squero grande e al mercato del pesce, dove si apriva il varco della porta di S. Brigida sotto il cui arco tetro e umido egli transitava di frequente, sia per recarsi alle trisettimanali lezioni di logica del regio ginnasio nella zona nuova oltre il porto, sia per compiere le passeggiate vespertine « della tranquillità », come egli le chiamava, sul molo del sale, o quelle più rare « della riflessione » sulla diga settentrionale.
Più rare perché piú intense qui, le sue gite, e più intense perché per giungervi c'era bisogno di una buona camminata e per restarvi di una disposizione d'animo piuttosto forte, dato che il posto era deserto e a causa della sua conformazione ad angolo acuto, che faceva della diga un gomito spinto dentro il mare, di aspetto tra audace e sinistro. Inoltre, il coraggio stesso di cui gli pareva di dar prova ponendosi solo, in fondo, contro il mare, colà sempre inquieto, e i venti del Baltico, lo metteva in uno stato di abbrivo mentale che se era stato sovente fertile di chia[...]

[...]i cordiali, dolci al suo orecchio come per anime comuni il frinire delle cicale durante i sereni giorni d'estate nelle brughiere dietro la città. Un insignificante episodio occorsogli quella mattina, aveva dato l'avvio a una catena di ragionamenti che lo avevano colpito in maniera straordinaria : nel raccogliere una matita cadutagli dallo scrittoio, si era fissato per un istante sulle leggi dei gravi, e riflettendo sull'astrattezza della norma e sulla sua invasione nel campo di ogni possibile verificazione concreta, gli sembrò di intravedere come conseguenza di ciel una sottrazione al fatto dell'aspetto storico del suo reale accadimento, e quindi la preclusione della possibilità di riconoscere in quel fatto il suo probabile valore finalistico. La « meccanica teleologica »: Vulpius aveva avuto l'impressione che una raggera di deduzioni fondamentali si celasse in quest'ultima parte dei suoi pensieri, ma poiché dalla stanza accanto gli si era sovrapposto il fracasso dei bambini e poi subito dopo l'entrata della moglie nello studio e quindi l'[...]

[...]i di credere di vederla addirittura avvolta in uno scialle azzurro, punti neri in bianche focose occhiaie, un rosso acceso sulle labbra, e mani che lo chiamavano. « Mi chiamo Welda, si può sapere cosa vuoi da me, allora vieni più vicino, ancora, ancora più vicino; ti piace il seno, ma adesso cosa fai, sei intraprendente (rideva, dolcemente sguaiata), vuoi proprio che allarghi le gambe, così? così ti piace? ».
Vulpius aveva gli occhi imbambolati sulla visione, pieni di passeggera febbre, il membro ritto, le mani irrigidite sotto la sognata sensazione della pelle spennata di pollastra e dei peli ricciuti della offerta apertura, quando una ondata, più delle altre vigorosa, si spezzò con forza contro la diga e gettando gelidi schizzi sui suoi calzoni e sul collo, lo svegliò di soprassalto. Rimase stranito, preda di uno di quegli sbalzi di livello cui va soggetta la mente usa a fantasticare allorché, esaurito o troncato il materiale dell'illusione, e creatasi per tal modo una rarefazione degli spiriti interni, la realtà si precipita con fracas[...]



da Saverio Tutino, Lettera da Cuba. All'Avana o in provincia il romanzo della rivoluzione? in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1964 - - ottobre - 18

Brano: [...], sia pure In sordina rispetto ad altre questioni pratiche di peso più immediato ed evidente. Le due anime: quella volontaristica, un po' ingenua, che crede di poter risolvere ogni problema con decisioni e proclami, e quella liberale, portata qualche volta all'opportunismo, che lascia spesso i problemi ad una soluzione spontanea, la quale può anche non venire. La polemica continua, ma dal cinema si è spostata sul piano letterario, in particolare sulla narrativa: Il romanzo della rivoluzione verrà scritto all'Avana o in provincia? Su questo curioso tema, davvero poco comune, si sono affrontati a base di articoli su giornali letterari, José A. Portuando, critico e rettore della Università di Santiago, e Ambrosio Fornet, giovane scrittore habanero.
José A. Portuondo ritiene che, la narrativa giovane cubana stia seguendo una falsa r strada, quella dell'imitazione di formule estranee a Cuba, e quindi perda di vista il compito di ricostruire realisticamente una vicenda nazionale tuttora insufficientemente esplorata. Portuondo segnala alcune op[...]

[...]«un terreno secondario, quello di un preteso contrasto fra la provincia, sana e rivoluzionaria,simbolzzata da Santiago di Cuba e dagli scrittori di Santiago, e la capitale, corrotta e quasi controrlvduzionaria, dove vanno di moda le formule straniere, il «nouveau roman» o «l'ultimo tartamudeo mentale di Sathalie Sarraute o di Alain Robbe Grillet». Così la polemica ha cominciato a deviare verso falsi scopi.
La replica è venuta da Ambrogio Fornet, sulla «Gazeta de Cuba» — un foglio letterario che si pubblica nella capitale. Da «provinciale a provinciale» il giovane Fornet rimprovera a Portuondo di voler suggerire — temi che non è compito del critico —, di non capire il valore della nuova versione della realtà contenuta nella esperienza del nuovo romanzo francese, di essere troppo vecchio per capire I giovani e di lasciarsi trascinare dalla irritazione del provinciale contro la capitale in una polemica
«complessata» priva di giustificazioni profonde e pregnata da un manichesimo (da un lato tutta la purezza rivoluzionaria, dall'altro tutta l[...]

[...]a in Portuondo, là dove sottolinea una problematica di profonda attualità — la borghesia cubana ha espresso valori nazionali? — e in Fornet, quando polemizza sul concetto di provincia e accenna alla questìone politica del superamento dell'arretratezza e delle disuguaglianze regionali, segnalando la prospettiva della nuova rivoluzione sociale che sarà rappresentata dall'avvento di una nuova classe dirigente cubana, uscita dalle scuole socialiste.
Sulla borghesia cubana degli ultimi anni del dominio imperialista, i pareri sono diversi e qui non è un discorso storico e sociologico che anche a Cuba, tra i competenti è appena iniziato. Rimanendo fermi all'oggetto detta polemica di Portuondo, c'è da riferire semmai l'opinione di altri intellettuali cubani: Raul Gutierrez Serrao ritiene che il romanzo di Lisandro Otero La Situacion riflette il comportamento della borghesia negli ultimi anni della tirannia batistlana. E il maggiore scrittore cubano vivente Alejo Carpentier che sta terminando un romanzo sull'anno del trionfo della rivoluzione, cent[...]

[...]ompetenti è appena iniziato. Rimanendo fermi all'oggetto detta polemica di Portuondo, c'è da riferire semmai l'opinione di altri intellettuali cubani: Raul Gutierrez Serrao ritiene che il romanzo di Lisandro Otero La Situacion riflette il comportamento della borghesia negli ultimi anni della tirannia batistlana. E il maggiore scrittore cubano vivente Alejo Carpentier che sta terminando un romanzo sull'anno del trionfo della rivoluzione, centrato sulla borghesia, pensa che nella descrizione di Lisandro Otero l'ambiente borghese — tutto ricevimenti e chiacchiere, tra un whisky e l'altro sia visto con occhio perfino troppo benevolo.
Lisandro Otero medesimo pensa di essere stato obbiettivo e ricorda che effettivamente, come sostiene Portuondo, negli ultimi anni prima della rivoluzione, si era formata una certa corrente nazionalista anche all'interno delle più rapaci famiglie di «zuccherieri». La figlia di Julio Lobo si era dedicata a studiare il folclore nazionale. Lauriano Batista Falla riuniva nella sua casa gli intellettuali per discuter[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Zangheri, La mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e i problemi economici dell'unità in Studi gramsciani

Brano: Renato Zangheri

LA MANCATA RIVOLUZIONE AGRARIA NEL RISORGIMENTO E I PROBLEMI ECONOMICI DELL’UNITA

È opinione diffusa, e Mia ribadita di recente Rosario Romeo1, che Il pensiero storiografico di Gramsci sia incentrato sulla tesi del Risorgimento « come rivoluzione agraria mancata ». In Gramsci non è veramente proposta nessuna interpretazione semplicemente negativa del movimento unitario nazionale; ed è, mi sembra, solo un idolo polemico questo di una visione gramsciana del Risorgimento come tradimento o fallimento: anche se era legittimo che Gramsci cercasse di definire, rispetto alle società borghesi moderne, le particolarità della formazione storica costituitasi nel corso del moto nazionale.

Si è scritto che l’interesse politico pratico portò Gramsci a cercare nel Risorgimento le origini e il significato de[...]

[...] la rendita, capitale potenziale, non si converte spontaneamente in capitale produttivo. Il problema è appunto di spiegare come avvenga che il danaro esistente nel

1 F. S. NITTI, La ricchezza dell’Italia, TorinoRoma, 1905, p. 152.

2 G. LUZZATTO, Storia economica dell’età moderna e contemporanea, IL L’età contemporanea, Padova, 1955, p. 379.

3 G. LUZZATTO, « L’economia italiana nel primo decennio dell’Unità », c., p. 272.

4 S. GOLZIO, Sulla misura delle variazioni del reddito Torino, 1951, p. 58.

s NITTI, Il capitale finanziario in Italia, Bari, 1915, p. 17.

6 Romeo, l. c., p. 24.378

I documenti del convegno

Mezzogiorno, grande o meno che ne sia il volume, stenti a trasformarsi in capitale produttivo. È da tener presente, naturalmente, il rastrellamento operato dallo Stato dei capitali monetari formatisi nel Mezzogiorno. Si deve tuttavia considerare, in proposito, che la rendita pubblica posseduta nell'Italia meridionale e insulare non tocca alia fine deH’800 il 18 % del totale, mentre la proporzione del risparmio a[...]

[...]i. IX, n. 36 (1956), p. 275 sgg.

2 A. Gerschenkron, « Notes on thè rate of industriai growth in Italy. 18811913», in The Journal of economie history, voi. XV, n. 4 (dee. 1955), pp. 360375, ed ora, con aggiunte, in Moneta e credito, voi. IX, n. 3334 (1956), pp. 5063.380

I documenti del convegno

espressione di un accordo fra industriali settentrionali, tessili e siderurgici, e latifondisti meridionali1. Un accordo che può anche apparire, sulla scorta di un astratto schema di sviluppo, « incongruo » alle esigenze dell’industrializzazione, ma che fu in effetti la forma imposta a quel tipo di industrializzazione, stentato e distorto come esso riuscì. E del resto, il prezzo dell’espansione industriale, di cui sarebbe assurdo negare la portata positiva nella storia d’Italia, fu non soltanto l’inferiorità economica, e si deve aggiungere civile, del Mezzogiorno, ma ancora l’emigrazione di massa, la disoccupazione cronica, ecc. Un bilancio del capitalismo italiano non può prescindere correttamente da queste voci e voglio dire anche un bila[...]

[...]ò valere anche per l’agricoltura inglese, che ha avuto fra il 700 e l’800 il suo travolgente sviluppo, ma anche, in epoca più vicina, la sua paralisi e la sua rovina, per il sopravvento di altre forme di attività economica e speculativa, sicché nel 1946 la Gran Bretagna dipendeva per la metà del suo fabbisogno alimentare dai rifornimenti esteri 2.

Per scendere poi ad una verificazione statistica della tesi del Romeo, e fatte le debite riserve sulla omogeneità dei dati disponibili, è evidente che l’agricoltura francese e italiana presentano un andamento pressoché concorde fino agli anni precedenti la prima guerra mondiale, che sono gli anni sui quali è lecito istituire qualche confronto. Secondo gli indici « a popolazione costante » calcolati dal Dessirier, fatti pari a cento la produzione del 1913, la produzione italiana era nel 1880 di 77 e quella francese di 80. A volersi spingere fino alla vigilia della grande

1 È del resto dubbio che il nuovo assetto fondiario non abbia avuto, dopo la rivoluzione, alcun effetto di progresso sull’[...]

[...]uction industrielle et de la production agricole en divers pays de 1870 à 1928 », in Bulletin de la statistique générale de la Trance et du service d’observation des prix, t. XVIII, fase. I (oct.déc. 1928), p. 105.

2 G. Medici G. Orlando, Agricoltura e disoccupazione, I. I braccianti della Valle padana, Bologna, 1952, p. 14, e cfr. F. Coppola D’Anna, « Le forze di lavoro e il loro impiego in Italia », in Commissione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione, La disoccupazione in Italia, Studi speciali, voi. IV, t. 2, Roma, 1953, p. 38 sgg.

3 Parenti Bloch, l. c., pp. 261288.

4 E. Sereni, Vecchio e nuovo nelle campagne italiane, Roma, 1956, pp. 24950; Atti del Convegno nazionale sulla meccanizzazione dell’agricoltura nelreconomia italiana (Cremona, 20 settembre 1953), Bologna s. d., p. 172.Renato Zangheri

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Quanto poi alla credenza del Romeo che l’inferiorità economica del Mezzogiorno sia stata una condizione « temporanea » dello sviluppo industriale del nord, « destinata ad essere rovesciata dallo stesso sviluppo interno dell’industrialismo settentrionale», si deve dire che ciò è vero solo nel senso che l’inferiorità meridionale nasce nel corso dello sviluppo della società capitalistica, che è una formazione storica, instabile, non permanente, e nel proprio seno [...]



da Roberto Longhi, Proposte per una critica d'arte in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]Anche la citazione della Madonna di Giotto che aveva in casa, non mostra che deferenza per sentito dire e si ammanta di retorica antica, inefficiente.

Boccaccio, Sacchetti? Essi non riflettono che opinioni degli studi sul peso civile della pittura circostante. Semplici dichiarazioni di voto favorevole, e non più. Alla fine del secolo, Villani vorrebbe fare qualcosa di meglio, ma finisce per modellare i caratteri dei grandi pittori trecentisti sulla falsariga di Plinio. Comincia la parte meno brillante dell’umanismo.

Così, dopo il supremo accenno di Dante, in tutta la critica del Trecento non trovo di schietto, per l’antologia, che il nome di Bruno Datini, figlio di un mercante pratese. Si era alla fine del secolo quando Niccolò di Pietro Gerini, pittore di Firenze, gli andava vantando un suo Crocefisso ‘che, se venisse Giotto, non potrebbe megliorarlo’. Secco secco gli risponde Bruno: ‘Tu di’ vero? A me sembra di legno’. E perchè anche oggi, conoscendo bene il Gerini, sappiamo che Bruno aveva ragioni da venPROPOSTE PER UNA CRITICA D[...]

[...] dopo e conservare soltanto quel primo stupendo riflesso, per esser certi che il Vasari aveva bene inteso anche l’odiatissima pittura veneziana.

Qui pertanto tocca alPantologia anche il nome dell5 Aretino; e cioè non dove si prova nella innocua dialettica di comporre assieme pittura e scultura sotto Castrazione misticoplatonica del ‘disegno5 ‘da quando esso apparve in tavola o in sassi5 ; ma dove, fingendo di descrivere un drammatico tramonto sulla laguna, rende da grande prosatore (e perchè non anche da critico?) il caos coloratissimo della pittura di Tiziano.

Venuti al Seicento e a veder che strazio anche maggiore qui si faccia della verità, verrebbe voglia di rovesciare il tavolo e parlare addirittura dalla parte del cuore, che sta a sinistra. Così! Il Bellori, il Félibien e i loro adepti, gli uomini che hanno oppresso e spregiato tutti i grandi rivoluzionari fondatori della pittura moderna, Caravaggio, Rembrandt, Velazquez e, poco manca, anche Rubens,PROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

Bernini, Cortona e Borromini, son questi su [...]

[...]étouffé de Weber’. Inserzione tanto meditata da proseguirsi perfino nel commento, a chiave esplicativa, che tutti rammentano. Ed oggi si potrà limitare la validità poetica della quartina e quella critica del commento, ma resta che, nella forma più ingenua, primitiva, qui è il programma di tutto un discorso critico che sia insieme di contatto diretto con l’opera e di evocazione di un gusto circolante attorno ad essa. E si può anche domandarsi se, sulla pittura di Delacroix, sia stato mai scritto di più illuminante che quella quartina.

Già previsto dallo stesso Baudelaire, e non tanto nella deboluccia ‘Lola de Valence’ quanto nelle ‘beautés météorologiques’ avvertite inBoudin, ecco l’impressionismo: ed è significante che, chi ne voglia trovar riflessi naturali e tuttavia invincibilmente critici (come altrimenti chiamarli?), li debba, piuttosto che nei critici ‘attitrés ’, ancora poeticamente impreparati, cercare e trovare nei poeti veri lì come Verlaine e il primissimo Rimbaud; ma queste cose le ha già mostrate, or ora, un giovane critico[...]

[...]i trascina nelle perorazioni spesso indiscriminate delle ‘gens du Louvre’. E, anche passando

lPROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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all’altro estremo, non mi sentirei di riporre in una classe diversa (e perciò di accogliere nelPantologia) nè le spiegazioni accomodate di un pur vero poeta come Apollinaire nel libro sui suoi cubistici amici, nè le c poesie di servizio 5 dedicate ai pittori surrealisti, e in primis a Picasso, da Paul Eluard. Sulla buona linea citerei invece, nell’ultimo ventennio, soltanto gli apologhi di Jean Paulhan su Braque e le trascrizioni intime, allucinanti, da Gerolamo Bosch negli ‘Insectes’ di Henri Michaux, e cioè ancora un vero poeta ma fuori dei programmi e dei manifesti.

Qui finiscono ad oggi le mie proposte per un’antologia della critica d’arte immediata, dove, come s’è visto, i nomi dei poeti e dei prosatori (e qui occorrerebbe aggiungere Ruskin giustamente tenuto dagli inglesi per uno scrittore classico) hanno tanto e più spazio che quelli dei critici ‘attitrés ’ e degli storici più creduti, ma non [...]



da Romano Ledda (a cura di), Dossier NATO in KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 5 - 9 - numero 19

Brano: [...]Esteri Nenni. Ma può la NATO trovare questa vocazione? La sua natura, le sue ragioni di nascita e di esisten
I paesi europei membri del
za lo consentono? Che cosa è in realtà la NATO? Rispondere a questi interrogativi vuol dire ripercorrere le scelte fondamentali e la storia della NATO, descriverne i meccanismi, mettere in luce i suoi più autentici significati, rivelarne la poliedrica funzione. Ed è cosa agevole. Perchè la NATO si è presentata sulla scena politica mondiale
Patto atlantico. Basi NATO
con alcuni precisi e irrefutabili connotati. E' stata strumento, da un lato, di una lotta aperta al mondo socialista, e di una repressione crescente verso le aree del « terzo mondo ». E' stata, dall'altro lato, la struttura portante della difesa e del consolidamento dei regimi capitalistici dell'occidente europeo. Elemento unificatore di questi due aspet ti sono state la politica dei blocchi voluta dall'imperialismo e la supremazia americana sull'Europa.
La NATO ha simboleggiato per l'Europa e per il mondo tutto ciò. Per cui volere un mut[...]

[...]di contenimento e di intervento ». Di lì, con una logica obbligata, sarebbero discesi poi i patti militari e le alleanze regionali del CENTO, SEATO, ANZUS, la Dottrina Eisenhower per « proteggere » gli arabi dal comunismo, e, infine, la risoluzione del Golfo del Tonchino, che autorizzò il presidente a intervenire nel Sudest asiatico: in breve, più di un milione di soldati americani all'estero, più di 3.000 basi militari sparse in tutto il mondo (sulla base di un rapporto del Pentagono il New York Times dell'li aprile 1969 afferma che le basi sono 3.491), quattro alleanze di « difesa », 42 trattati di mutua assistenza militare, aiuti militari a oltre settanta paesi. « Impegni i cui eguali — ha scritto James Reston — nessuna nazione sovrana ha mai preso nella storia del mondo ». L'Alleanza atlantica fu il primo anello della catena perche l'Europa era l'epicentro dello scontro.
Si è parlato molto, con l'assunzione da parte degli USA di responsabilità mondiali, di fine completa dell'isolazionismo tradizionale, grazie a uno slancio morale immu[...]

[...]smo da parte di un popolo tormentato dai demoni ».
La seconda motivazione, più nota, è derivata da quella militare ed economica: supporto di quelle operazioni non potevano che essere regimi politici fedeli, omogenei, disponibili.
Nel discorso che il generale Marshall pronunciò a Harvard il 5 giugno 1947 per lanciare il suo «Piano di aiuti », tutte queste componenti sono presenti: la necessità per l'economia USA di avere un'Europa capitalistica sulla base di una espansione e penetrazione del capitale americano, la lotta a quei partiti e gruppi politici che vi si oppongono (la estromissione dei partiti comunisti dai governi),
La commissione Harriman aveva già del resto, nel suo rapporto a Truman sugli aiuti, affermato che « gli interessi degli USA in Europa non possono essere valutati semplicemente in termini economici, essi sono anche strategici e politici ». « L'Alleanza atlantica — ha scritto di recente un altro studioso americano — è la componente politicomilitare di una operazione di cui il Piano Marshall è l'ingrediente basilare », [...]

[...]traverso di essa che si è stabilito il vero rapporto fra gli USA e l'Europa
Partendo da un preambolo in cui si fa riferimento alla « civiltà » comune dei paesi atlantici, il Trattato dell'Alleanza definisce un duplice ordine di accordi: cooperazione politica ed economica tra i suoi membri e mutua difesa militare. Nel dibattito attualmente in corso sull'Alleanza e la necessità di un suo riadeguamento, si tende a separare i due termini e si punta sulla definizione del Trattato come momento di una collaborazione comunitaria atlantica, sul terreno politico ed economico. Non a caso si parla di « distorsione » militare dovuta a fattori internazionali, esterni alla volontà dei suoi promotori. E' una tesi difficilmente accettabile. George Kennan che fu uno degli ispiratori del trattato aveva, in effetti, solennemente affermato che esso intendeva « istaurare un ordine internazionale diverso, un nuovo modello di relazioni tra gli Stati che superano le regole e i metodi della politica di potenza ». Ma immediatamente dopo aggiungeva che essendo impos[...]

[...]le parti, e in caso di
attacco armato » contro una o più di esse. La vaghezza delle definizioni (cos'è un attacco armato? un incidente di frontiera o una invasione? cosa si intende per minaccia alla sicurezza? un mutamento di regime interno vi rientra?) conferma il carattere militare del Trattato. « Proprio per la presenza di termini tanto vaghi e così poco obbliganti — scriveva tempo fa il settimanale delle ACLI Azione sociale in una inchiesta sulla NATO — solo un meccanismo militare precostituito » può dare « un contenuto e una certezza di garanzia » a quegli articoli.
Non si può certo negare che alcuni fautori dell'Alleanza avessero in mente qualche cosa di più di un patto militare. Sta di fatto però che l'Alleanza si è concretizzata « tutta e soltanto in una struttura militare », ed è attraverso di essa che si è stabilito il vero rapporto tra gli Stati Uniti e l'Europa sul terreno politico ed economico: un rapporto di subordinazione dell'Europa agli, USA.
In uno studio sui problemi della NATO apparso su Lo Spettatore internazionale [...]

[...]iedersi attraverso quale meccanismo si è potuto arrivare a ciò? Ma non è così. Lo Spettatore coglie una verità parzialissima. All'interno dell'Alleanza non si sono verificati alcuni accidenti ne una dolorosa ma necessaria separazione tra obiettivi politici e militari. L'impronta militare è stata data dalla sua stessa natura, perchè: 1) l'Alleanza voleva essere uno strumento di pressione della potenza americana nei confronti dei paesi socialisti, sulla base della politica äi contenimento; 2) la struttura militare era l'unica che garantisse, grazie al rapporto di forza, un naturale dominio statunitense; 3) la « paura » dell'aggressione e la protezione americana erano l'unico cemento unitario degli alleati europei.
Verificare nella storia dell'Alleanza tutto ciò, e ricostruire il processo che ne ha fatto un'appendice dell'imperialismo americano può essere perciò di qualche interesse_ Vediamo prima di tutto gli aspetti specificamente militari e il modo con cui hanno inciso sugli indirizzi politici. Essi possono essere esaminati sotto diversi [...]

[...]di di dollari, nel 1950 salirono a 20,4 miliardi, nei 1951 a 42,2 miliardi, nel 1952 a 59,9, nel 1953 a 64 miliardi. E un terzo di queste spese veniva sostenuto dagli alleati europei.
Tuttavia vi era un altro aspetto del problema che ten
(disegno di Gal) deva a emergere fino a divenire, negli anni immediata
mente successivi, dominante. Gli USA chiedevano un potenziamento delle forze tradizionali europee in virtù di una loro strategia (fondata sulla invulnerabilità, allora, del territorio americano) che faceva dell'Europa lo scudo di un attacco nemico sino al «momento in cui la spada del SAC sarebbe sopravvenuta a stroncarlo ».
L'Europa in altri termini avrebbe dovuto servire come prima lineacuscinetto. Nella sua Histoire diplomatique de l'Europe René AlbrechtCarrié, osserva che in fondo «il desiderio di non divenire un campo di battaglia era comprensibilmente forte tra gli europei, che non trovavano ragione di rallegrarsi della prospettiva di un'eventuale liberazione che avrebbe liberato poco più di un cimitero », mentre gli americani [...]

[...] sua natura « da una parte uno strumento di indirizzi strategici del tutto autonomi, quelli del Pentagono» scrive il generale Beaufre su Politique étrangère (n. 3, 1965) — « dall'altra lo strumento attraverso il quale si subordinano a quegli indirizzi gli obiettivi e le scelte militari dei governi europei». Appare quindi assai chiaro che l'integrazione militare è il perno su cui gli Stati Uniti hanno stabilito il loro dominio e il loro controllo sulla politica europea.
p. 14 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO


Due strategie
di sterminio
nucleare
Le gravissime implicazioni della teoria di Foster Dulles basata sul sostegno atomico della politica del « rischio calcolato ». Le forze di pace danno scacco alla NATO e la capacità militare del Patto di Varsavia impone la revisione strategica culminata con la « teoria » di Mac Namara: nascono i piani dell'escalation
ti », essi « sarebbero stati, comunque schiacciati ».
L'equilibrio militare, in cui si era cercata la prima :giustificazione della NATO, ¡era quindi raggiunto[...]

[...]etica. I regimi capitalistici erano! restaurati.
Fu in questo clima che il 16 dicembre 1967 la Conferenza di Parigi dei capi di governo dei paesi appartenenti alla NATO venne investita dal problema della istallazione di missili a medio raggio in Europa. Si trattava degli IRBM (Intermedie Range Ballistic Missiles), che per le loro caratteristiche non erano da rappresaglia ma offensivi: « Il loro effetto è potente, — scrisse allora A. Wohlstetter sulla rivista Foreign Af fairs — solo in caso di attacco a sorpresa ». Il 10 dicembre, avendo già Dulles reso pubblica la proposta americana, il governo sovietico aveva proposto la denuclearizzazione della Polonia, della Cecoslovacchia e della Germania orientale, a condizione che i missili non venissero istallati nella Germania federale.
Il Dipartimento di Stato americano liquidò la nota sovietica « come un tentativo di seminare discordia tra gli alleati ». Non così fecero alcuni alleati europei. A Parigi, il primo ministro norvewese Gerhardsen affermò che « la Norvegia non intendeva ospitare depo[...]

[...]plicazioni.
Bisogna dire che i governi europei, o almeno una parte di essi, cominciarono a comprendere i pericoli di quelle implicazioni, e a vivere in una reale contraddizione. Cominciarono a comprendere, ad esempio, che gli USA non si limitavano più a una politica di contenimento, ma puntavano oramai a una politica di controllo e intervento mondiale (il 1953 e il 1954 furono dominati dalla tentazione di Dulles di usare l'atomica in Indocina), sulla base di quella che Federico Artusio nel 1965 chiamava « una prefigurazione ideologica omogenea del mondo », a tutela dei loro interessi. Per cui sentivano, quei governi, l'esigenza di un distacco, di una separazione,
o per lo meno di una manifestazione di automia, per la sproporzione che veniva a crearsi tra gli interessi europei e quelli americani. La contraddizione non fu sciolta per molti anni (e non lo è ancora oggi) perché tutto ruotava intorno all'accettazione dell'egemonia americana.
In realtà i processi che venivano alla luce erano profondi e drammatici. Nell'ottobre del 1951 la NAT[...]

[...]ato, e che segnarono uno dei momenti più travagliati della vita dell'occidente europeo (basti ricordare il fallimento della CED). Ciò che interessa vedere è invece il modo con cui la NATO impostò la questione tedesca e le conseguenze che ne derivarono allora, di cui l'Europa porta ancora oggi il segno.
La rivista Il Mulino (n. 1, 1949), non certo sospetta di antiatlantismo, riconosce che «le contraddizioni e gli equivoci che l'Alleanza accumulò sulla questione tedesca furono tali .e tanti che finirono per costituire un ostacolo al
la definizione di una ef f etti
va politica distensiva ». In realtà non vi furono equivoci. Il taglio dato fu uno e univoco: l'identificazione degli interessi della NATO, e quindi quelli dell'Europa occidentale, con gli interessi e le rivendicazioni della Repubblica federale tedesca. Ciò era voluto dagli Stati Uniti ed era nella logica naturale della politica di contenimento, costruita su quelle che George Kennan chiamava le « situazioni di forza » per imporre, « dispiegando tutta la potenza militare », all'UR[...]

[...] ricordarne
due cha, se accolte, avrebbero improntato diversamente la vita europea. Nel 1952 l'URSS avanzò un progetto di riunificazione della Germania per mezzo « di elezioni sottoposte a controllo internazionale » e di ritiro di tutte le truppe (sovietiche, francesi, inglesi e americane) chiedendo in cambio la garanzia che la Germania riunificata non sarebbe stata inserita in nessuna alleanza militare. James Warburg in un suo importante libro sulla Germania, ha osservato come la proposta sovietica fosse decisiva per tutta l'Europa e offrisse persino la prospettiva di « una Germania democratica e unita nel senso occidentale del termine ». La linea adottata dalla RFT, diretta allora da Adenauer, e fatta subito propria dalla NATO perchè coincidente con quella statunitense, fu quella di « evitare ogni negoziato in attesa che l'occidente potesse opporre a Mosca, come fait accompli, una Germania riarmata nel quadro di una Europa organizzata ». Il secondo momento cruciale fu dato quando nel 1954 il Consiglio atlantico di Parigi, fallita la CED[...]

[...]nse, fu quella di « evitare ogni negoziato in attesa che l'occidente potesse opporre a Mosca, come fait accompli, una Germania riarmata nel quadro di una Europa organizzata ». Il secondo momento cruciale fu dato quando nel 1954 il Consiglio atlantico di Parigi, fallita la CED, decise l'ingresso della Germania federale nella NATO. L'URSS avanzò allora una nuova proposta per la neutralizzazione e riunificazione della Germania, e per una conferenza sulla sicurezza europea. André Fontaine — in un recente articolo sulla rivista Affari Esteri — riconosce «la volontà dei sovietici di fare agli occidentali concessioni suscettibili di rovesciare la situazione ».
Eisenhower rispose che « una Germania riunificata deve avere la possibilità di esercitare il suo inerente diritto all'autodifesa collettiva » il che significava una Germania unita nella NATO. Con tardiva resipiscenza George Kennan commentava che così si cacciava l'URSS in « una porta chiusa ». Pochi mesi dopo infatti nasceva il Patto di Varsavia. Il fatto era che la politica del contenimento, coincidente con quella di Adenauer, puntava sulla presunta po[...]

[...]zione ».
Eisenhower rispose che « una Germania riunificata deve avere la possibilità di esercitare il suo inerente diritto all'autodifesa collettiva » il che significava una Germania unita nella NATO. Con tardiva resipiscenza George Kennan commentava che così si cacciava l'URSS in « una porta chiusa ». Pochi mesi dopo infatti nasceva il Patto di Varsavia. Il fatto era che la politica del contenimento, coincidente con quella di Adenauer, puntava sulla presunta possibilità di ottenere — attraverso un duro confronto di forza — lo sgretolamento e lo assorbimento della Repubblica democratica tedesca, come primo passo della disgregazione del campo socialista.
Nel quadro di questa politica era naturale che la Germania federale divenisse il mo.. tore _trainante della NATO, e si stabilisse tra NATO e Germania un gioco di influenze e di ricatti reciproci densi di tragiché conseguenze per la
p. 16 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO
Europa. Nota acutamente lo storico Enzo Collotti che la ambizione di Adenauer di fare della RFT « la potenza[...]

[...] sapere chi è il padrone ».
Ma vi è anche l'altro aspetto: è proprio sull'altare della NATO che l'Europa perde la sua possibilità d'iniziativa autonoma « soffocando tutti gli spunti che potevano manifestarsi in una simile direzione » (Collotti). Basta pensare al modo con cui l'aggressione americana al Vietnam e la solidarietà che ha richiesto
e ottenuto, in nome dell'Alleanza, abbiano congelato il dialogo con l'Est ed elevato continue muraglie sulla via di una reale distensione europea.
Basterà ancora pensare al peso determinante avuto dal la NATO nel provocare non solo rapporti mondiali, ma rapporti specifici tra Europa
e Africa all'ombra del colonialismo e del neocolonialismo. In realtà tutto il disegno europeistico perseguito dalle vecchie classi dominanti europee, e vantato come possibile anzi inevitabile all'interno delle strutture dell'Alleanza atlantica, si è rivelato marcio e suicida per l'Europa. « Sulla via dell'atlantismo e della integrazione monopolistica — si scriveva su Rinascita solo qualche anno fa — l'occidente europeo[...]

[...]stensione europea.
Basterà ancora pensare al peso determinante avuto dal la NATO nel provocare non solo rapporti mondiali, ma rapporti specifici tra Europa
e Africa all'ombra del colonialismo e del neocolonialismo. In realtà tutto il disegno europeistico perseguito dalle vecchie classi dominanti europee, e vantato come possibile anzi inevitabile all'interno delle strutture dell'Alleanza atlantica, si è rivelato marcio e suicida per l'Europa. « Sulla via dell'atlantismo e della integrazione monopolistica — si scriveva su Rinascita solo qualche anno fa — l'occidente europeo si trova oggi stretto dall'invadenza economica americana, paralizzata nel suo dialogo con i paesi socialisti e nei rapporti col terzo mondo, posto di fronte al riesplodere di focolai revancïtisti ».
Nè si pub dimenticare quello che provocarono il prezzo che esigettero la nascita della NATO e la logica dei blocchi nella stessa Europa orientale. Gli studi storici più seri hanno oramai liquidato la leggenda churchilliana della « cortina di ferro ». In realtà l'Unione Sovi[...]

[...]elineandosi con grande chiarezza nel corso del ventennio — rimettere in piedi un capitalismo nettamente subordinato alla divisione internazionale del lavoro predisposta dall'imperialismo statunitense. Intorno al 1950 venne imposta, attraverso la NATO, una vera e propria rete di vincoli e di veti economici e commerciali all'intiera Europa occidentale (basti ricordare il commercio con l'Est) che assicurarono da un lato il pieno controllo americano sulla destinazione degli « aiuti » e quindi su tutte le tendenze e le scelte della restaurazione capitalistica, e dall'altro lato aprirono le porte della Europa all'invasione commerciale, di prodotti bellici e no, degli Stati Uniti E' su questa base che è venuta costruendosi l'espansione in Europa — una volta rimesso in piedi il sistema capitalistico — del capitale americano. Nel numero citato di Critica marxista si scrive che « le conquiste di posizioni di predominio da parte dei grandi gruppi monopolistici americani in setto ri economici fondamentali, la subordinazione tecnologica, la penetrazion[...]

[...]dustrie della NATO, nonchè per l'esame delle politiche e dei metodi NATO in fatto di studio, di ricerca e di produzione, entro i limiti in cui tali aspetti interessano l'industria ». Ricucendo molte di queste notizie si può ricavare un quadro molto preciso in cui si vede emergere un fenomeno assai significativo: le commesse NATO all'industria europea non riguardano mai i prodotti completi dalla progettazione alla produzione finita. Tutto avviene sulla base della ricerca statunitense, lasciando agli europei il ruolo di « terminali » di un centro creativo e di direzione collocato oltre Atlantico.
Il condizionamento industriale e sulle prospettive di sviluppo economico di questa linea, è evidente. Da un lato si riducono i margini di scelta degli orientamenti produttivi e di ricerca dell'Europa, dall'altro lato se ne condiziona la vita, e quindi si determina un forte lobby industriale europeo legato visceralmente alla NATO.
Ma vi è un altro aspetto da vedere. Sempre dal bollettino della NATO risulta che vi è uno staff internazionale di piani[...]

[...]i questa linea, è evidente. Da un lato si riducono i margini di scelta degli orientamenti produttivi e di ricerca dell'Europa, dall'altro lato se ne condiziona la vita, e quindi si determina un forte lobby industriale europeo legato visceralmente alla NATO.
Ma vi è un altro aspetto da vedere. Sempre dal bollettino della NATO risulta che vi è uno staff internazionale di pianificazione militare. Non è del tutto bizzarro che, con i grandi discorsi sulla sovranazionalità, l'unico terreno in cui essa operi effettivamente è quello militare. Il primo piano pluriennale di produzione bellica della NATO arriva al 1972, prescindendo già quindi da ogni possibile recessione di questo o quello alleato a partire dal 1969.
In altri termini la NATO è diventata un enorme apparato economico, militare, politico che invade la vita di ogni paese alleato fin nei suoi aspetti più interni.
Cade qui il discorso sugli « accordi segreti » e bilaterali che ogni paese alleato ha firmato con gli USA. La Francia, uscendo dal comando militare integrato, ha sollevato un[...]

[...]a ogni possibile recessione di questo o quello alleato a partire dal 1969.
In altri termini la NATO è diventata un enorme apparato economico, militare, politico che invade la vita di ogni paese alleato fin nei suoi aspetti più interni.
Cade qui il discorso sugli « accordi segreti » e bilaterali che ogni paese alleato ha firmato con gli USA. La Francia, uscendo dal comando militare integrato, ha sollevato un velo — ancora modesto e incompleto — sulla natura di questi accordi e sullo stretto rapporto esistente tra lo atlantismo e la democrazia interna di ogni paese alleato. Il colpo di Stato in Grecia ha sollevato un velo più consistente e ci ha fatto comprendere da un lato, e ancora una volta, la netta subordinazione della NATO agli interessi statunitensi, e dall'altro la
to la sua presenza effettiva
e per molti versi ricattatoria
e condizionante su tutta la vita interna dei paesi della Europa occidentale. Su questo stesso settimanale si scriveva alcune settimane orsono: « Si tratta die vedere (per ogni paese alleato) quale potente gru[...]

[...]corgimenti che gli europei hanno avanzato e adottato in questi venti anni, per avere un maggiore « peso » nell'Alleanza sono miseramente falliti. Dai « tre saggi » del 1956 al piano Duynster, dalla proposta del direttorio « a tre » avanzata da De Gaulle al piano Harmel, una per una le proposte sono cadute di fronte all'intoccabilità dei dominio statunitense. Nel già citato saggio di Luisa Calogero La Malfa si conviene, con una punta di amarezza, sulla « scarsa disposizione degli USA a cedere parte della loro leadership non solo strategica . ma anche politica in seno alla NATO e quindi a capire quale sia il ruolo dell'Europa nell'Alleanza atlantica ». Le stesse controproposte americane, di cui rimane emblematico il grande disegno kennediano di una
minimo », il quale sarebbe tuttavia largamente sufficiente a distruggere almeno i tre quarti dell'Italia. I cerchi indicano le zone di effetto diretto delle bombe (termico, meccanico, radioattivo); il quadro nero la zona di espansione dell'effetto radioattivo intenso a seguito dell'esplosione
At[...]

[...]nativa a essa. Gli USA hanno ancora bisogno della NATO qualunque forma possa assumere, poichè in essa è lo strumento « di controllo e di unità », di condizionamento di ogni istanza realmente autonoma e di ogni forza centrifuga, ed è anche la « garanzia » di conservazione del sistema capitalistico nell'Europa occidentale. Da qualunque parte si guardi al problema, questo è il risultato. Perchè tutta la strategia mondiale americana è ancora fondata sulla politica dei blocchi, sull'equilibrio delle forze militari o del terrore e sulla visione bipolare, diarchica della condotta degli affari mondiali. La stessa accettazione della « distensione » in Europa si fonda su questi rigidi presupposti. Da essi la NATO appare per molti versi esaltata, come un fattore pregiudiziale all'attuazione di quella politica. La « fedeltà attraverso le mutazioni », l'ordine statico fondato sulla egemonia americana, « distensiva » o no divenga l'azione della NATO, sono due connotati intrinseci alla sua natura, alle sue funzioni, alle sue origini. Perciò ogni riammodernamento o revisione che non metta in discussione la realtà dei rapporti USAEuropa, ogni atto politico che rimanga i
alla logica del blocchi imposta dall'imperialismo americano, è destinato a restare lettera morta, pura velleità, e a consacrare quello strapotere americano in Europa che nella NATO ha trovato la sua istituzionalizzazione e le vie del suo progressivo consolidamento.
Non esistono una Alleanza atlantica o una[...]

[...] a consacrare quello strapotere americano in Europa che nella NATO ha trovato la sua istituzionalizzazione e le vie del suo progressivo consolidamento.
Non esistono una Alleanza atlantica o una NATO pulite, fatte di eguali tra gli eguali. In quest'ambito e con quella politica non vi è spazio per la sovranità, l'autonomia nazionale; non vi è spazio per l'Europa; non vi è spazio per il pieno dispiegamento della libertà e della democrazia, fondate sulla libera dialettica delle classi e delle forze politiche, all'interno dei paesi alleatisubalterni degli USA.
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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Trevisani, Gramsci e il teatro italiano in Studi gramsciani

Brano: [...]de in istrada con gli atti unici di tardo verismo.
I futuristi non avevano portato nel teatro che clownesche stramberie; e, d'altronde, non tarderanno a rivelarsi, in tutta la loro attività, quel « gruppo — come Gramsci disse — di scolaretti, che, scappati da un collegio di gesuiti, hanno fatto un po' di baccano nel bosco vicino e sono stati ricondotti sotto la ferula della guardia campestre ».
In contrapposizione al salottierismo erano sorte, sulla scia benelliana, opere intese ad evadere dalla povertà presente, risalendo al passato nella storia e nei miti. Benelli aveva sconfessato D'Annunzio, ma la discendenza era innegabile. Ora la Cena — che Gramsci definisce « castelletto di cartapesta », con personaggi che erano maschere « dalla gioia canora e dall'anima di legno », — Il Beffardo di Nino Berrini, il Glauco di Ercole Morselli hanno momenti di clamorosa fortuna tra le platee, e non solo italiane — « meteore », postilla Gramsci —; ma per queste opere valeva il giudizio già dato da lui sulla letteratura italiana del tempo: « il passat[...]

[...] nei miti. Benelli aveva sconfessato D'Annunzio, ma la discendenza era innegabile. Ora la Cena — che Gramsci definisce « castelletto di cartapesta », con personaggi che erano maschere « dalla gioia canora e dall'anima di legno », — Il Beffardo di Nino Berrini, il Glauco di Ercole Morselli hanno momenti di clamorosa fortuna tra le platee, e non solo italiane — « meteore », postilla Gramsci —; ma per queste opere valeva il giudizio già dato da lui sulla letteratura italiana del tempo: « il passato non vive del presente, non è elemento essenziale del presente... non è elemento di vita ma solo di cultura libresca e scolastica ». Perciò esse non erano poesia.
Solo importante tentativo di rinnovamento della scena italiana fu, in quegli anni, il teatro del « grottesco », nel tempo stesso in cui sorgeva l'astro pirandelliano.
Del grottesco dice Gramsci: « Questi giovani adempiono pure a un compito: rendere intollerante la vecchia moda del teatro romantico da appendice » e riescono anche a quello di portare ad un tono piú elevato la recitazione, [...]

[...]ordito per lumeggiare le sublimi facoltà d'intuizione critica di un poliziotto dilettante dello spirito, ovverossia della psiche umana » . L'originalità degli aspiranti rinnovatori non nasce dalla fantasia ma dall'artificio. $, infatti, dice Gramsci, recensendo L'uccello del paradiso di Cavacchioli, « una fantasia legnosamente arida, che scoppietta e frigge per una goccetta d'olio rovesciata dalla lucerna, alla quale si compulsarono gli articoli sulla filosofia delle dame. Una fantasia matematica, una fantasia di ingegneri che sanno il fatto loro, una fantasia da curiosi di sapere come la fantasia era fatta, i quali pertanto l'hanno recisa per notomizzarla
e veder com'era fatta ». Non è originalità, quindi, ma solo bizzarria; la quale è solo un sottoprodotto della originalità. E l'involucro della bizzarria avvolgerà o il vuoto o della vecchia merce scadente. Il primo è, per esempio, il caso del pur quotatissimo Rosso di San Secondo, ii cui ingegno, dice Gramsci, gli permette con Marionette, che passione! di « portare sui teatro la formula[...]

[...]o che Gramsci ricorderà piú tardi, con compiacimento (lettera alla cognata del 19 marzo 1927) come in quel tempo in cui Pirandello era « amabilmente sopportato o apertamente deriso » , egli, dal 1915 al 1920, avesse scritto tanto (e lo ricorderà nei Quaderni del carcere) « da mettere insieme un volumetto da 200 pagine ». In quella lettera famosa di opere da compiere, egli includeva tra queste, come è noto, « uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato ed ha contribuito a determinare».
Il capolavoro del periodo precedente ai Sei personaggi, è, indubbiamente, Liolà, che egli giudica « una delle piú belle commedie moderne » : il contadino siciliano in cui Gramsci vede « l'uomo della vita pagana, pieno di robustezza morale e fisica, perché uomo, perché se stesso, semplice umanità vigorosa », « efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia o[...]

[...] ed attori, si formò, 1'11 ottobre 1917, presieduta da Zacconi, l'Associazione dei capocomici. La Lega degli Attori Drammatici, e cioè dei salariati dell'industria capocomicale, dette ai suoi datori di lavoro tutta la sua solidarietà nella lotta da essi impegnata contro il Consorzio: l'Argante fu per molto tempo l'organo ufficioso di Zacconi e per molto tempo fu tessuto l'idillio della collaborazione fra attori e capocomici, salariati e padroni. Sulla validità e continuità di tale collaborazione, gli attori ebbero possibilità di meditare lungamente, allorché, un paio d'anni dopo, nel 1919, gli attori si fecero a chiedere all'Associazione dei capocomici miglioramenti economici. Zacconi disconobbe la Lega el'ingiuriò, ma dové piegarsi innanzi ad uno sciopero compatto.
Ad altro sciopero gli attori furono costretti in Milano nel gennaio 1922: durò circa un mese e fu sorretto dalla solidarietà di tutti i lavoratori del teatro della città; ma fini con la sconfitta degli attori, perché i capocomici si allearono, questa volta, con i proprietari d[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Salvucci, Sul concetto gramasciano di storia della filosofia in Studi gramsciani

Brano: Pasquale Salvucci
SUL CONCETTO GRAMSCIANO DI STORIA DELLA FILOSOFIA
Sulla problematica che la storia della filosofia pone allo storicofilosofo o al filosofo in senso stretto, c'è stata, in questi ultimi tempi, tutta una let teratura caratterizzata, a volte, da contributi notevoli. Da respingere, certamente, come vuota questione scolastica il problema se la storia della filosofia sia possibile, perché che lo sia è provato dal fatto stesso del suo esserci. Il problema è essenzialmente sul come essa sia possibile 1.
In che senso le annotazioni dedicate dal Gramsci al tema possono aiutarci a chiarire la problematica relativa alla storia della filosofia ed in che misur[...]



da N. Talenskii (Maggior generale dell'esercito rosso), La battaglia di Stalingrado (parte prima) in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 1 - giugno

Brano: [...]onesg, ma qui furono arrestate dall'accanita, resistenza sovietica e costrette a passare alla difensiva. Allora il Comando tedesco spostò il suo sforzo principale in direzione di Stalingrado, e grazie a un notevole sopravvento di forze, soprattutto d'aviazione, riuscì, all'inizio d'agosto, a portare le sue truppe sino alla riva occidentale del Don, pure tra montagne di cadaveri. Le unità dell'Esercito rosso sostennero l'accanita pressione nemica sulla riva occidentale e nell'ansa del Don, guadagnando un tempo prezioso, che fu sfruttato per rafforzare le difese di Stalingrado.
A metà agosto 1942 però, dopo lotte accanite, le truppe sovietiche furono costrette a' ritirarsi sulla riva orientale del Don, ad abbandonare la zona di Kotielnicovo. e prendere posizione lungo il fiume Niscovca e lungo i laghi a sud di Stalingrado. Da questo momento il comando tedesco cercò di
LA RINASCITA 23
spezzare la difesa sovietica cond ue cunei : — il primo a nord, con un gruppo d'attacco di due divisioni carrate, due moto
rizzate e sei di fanteria, in direzione di Vertiaci e dei sobborghi settentrionali di Stalingrado ; il secondo a sud, con un gruppo d'attacco di due divisioni carrate, una motqrizzata e tre di fanteria dalla zona a occidente di Abganerovo in direzione dei sobborgh[...]

[...]cunei : — il primo a nord, con un gruppo d'attacco di due divisioni carrate, due moto
rizzate e sei di fanteria, in direzione di Vertiaci e dei sobborghi settentrionali di Stalingrado ; il secondo a sud, con un gruppo d'attacco di due divisioni carrate, una motqrizzata e tre di fanteria dalla zona a occidente di Abganerovo in direzione dei sobborghi meridionali. Tra questi due grandi cunei, uno più piccolo doveva avanzare da Kalatc direttamente sulla città (tre divisioni di fanteria). Negli altri settori del fronte di Stalingrado dovevano operare quindici divisioni di fanteria. Il piano era costruito secondo il solito schema applicato dai tedeschi dall'inizio della guerra.
Le forze sovietiche erano allora, su tutto il settore, relativamente limitate. Esse si riducevano all'eroica G2.ma Armata
e ad una serie di altre unità poco numerose. Queste forze avevano però dalla loro l' esperienza di molte lotte offensive
e difensive ; il loro armamento era in via di miglioramento continuo e da poco si era arricchito di un ottimo fucile anticarro[...]

[...]sperienza di molte lotte offensive
e difensive ; il loro armamento era in via di miglioramento continuo e da poco si era arricchito di un ottimo fucile anticarro. Dalla parte dell'Esercito rosso vi era, inoltre, l'eroismo impareggiabile e la incrollabile volontà dei suoi soldati, decisi a morire pur di assolvere il compito posto loro da Stalin : — difendere Stalingrado e schiacciare il nemico.
Il 17 agosto incominciò il combattimento difensivo sulla riva orientale del Don. Il gruppo tedesco settentrionale riuscì, con l'appoggio di numerosa aviazione, e a prezzo di gravi perdite, a forzare il Don e a spezzare la linea di difesa sovietica nella zona di Vertiaci. Il 23 agosto, dopo lotte accanite, i tedeschi arrivarono sul Volga tra Rinok e Iersovca. Questo ingente successo tattico del nemico rese più complicata la difesa di Stalingrado, essendo costretto il Comando sovietico a rifornire la città e il suo fronte esclusivamente da oriente, attraverso il Volga. In pari tempo continuavano senza interruzione gli attacchi del gruppo tedesco di K[...]

[...]ta riceviamo l' ordine di prender d' assalto la biforcazione ferroviaria. Questa volta la prendiamo o moriremo. Se muoio, vogliate considerarmi membro del Partito comunista. Fate sapere al compagna Stalin, che dò la mia vita per la nostra causa e che la db con gioia. Se avessi cinque vite, tutte e cinque gliele offrirei senza esitare. Tanto egli mi è caro s.
L' ammirazione di tutto il popolo suscitarono trentatre combattenti della 62.ma Armata. Sulla posizione difesa da loro ai getto la fanteria tedesca appoggiata da decine di tank. Essi non tremarono. Col fuoco delle loro armi anticarro, con granate e bottiglie incendiarie misero fuori combattimento 27 tank nemici, e uccisero dia di 150 hitleriani. Il nemico fu costretto a indietreggiare davanti a questo pugno di eroi.
Quattro combattenti della Guardia respinsero un attacco di 30 tank e ne distrussero 15.
Una squadra di combattenti armati di fucili automatici, al comando del sottotenente Kalasnikov, venue attaccata da due compagnie di mitraglieri hitleriani, appoggiati da intenso fuoco[...]

[...]vane Repubblica dei Soviet.
Il 23 agosto 1942 la città fu bombardata per la prima volta, mentre i carri armati nemici si avvicinavano ai suoi sobborghi. Il Comitato cittadino di difesa, diretto dal segretario della organizzazione di partito compagno Ciuianov, si rivolse alla popolazione con questo appello
( Compagni, amici stalingradesi! Di nuovo, come 24 anni fa, la nostra città attraversa giornate dure. I sanguinari hitleriani si precipitano sulla nostra soleggiata Stalingrado, vogliono arrivare al grande fiume russo, — al Volga. Stalingra desi ! Non lasciamo che la nostra cara città sia insozzata dai tedeschi. Sorgiamo tutti, come un sol uomo, in difesa della città che amiamo, della nostra casa. della aestra.famiehs. Co priamo tutte le strade di barricate iasorrnontahili. Facciamo di ogni casa, di ogni quartiere, di ogni strada, una fortezz$ inespugnabile. Tutu a costruire le barricare ! Nessuna 30044 senza barricate Nel 1918 i nostri padri difesero Zarizin. P'. fendiamo noi nel 1942 Stalingrado. Chiunque è capace di par tare un' arma[...]

[...] di difesa
e d'attacco. Quando, iI 23 agosto, i tank tedeschi riuscirono a infiltrarsi nei sobborghi settentrionali, nei pressi del quartiere industriale, furono questi battaglioni che, lasciando le macchine, sbarrarono loro la strada. Nelle officine vi arena, in riparazione, 60 tank, e gli operai, saliti su di essi insieme ai tankisti, passarono all'attacco. L'infiltrazione tedesca venne arginata.
E così la lotta continuo, senza posa, eroica, sulla scarsa striscia di territorio lungo il Volga dove è costruita la città, mentre giorno e notte, sotto il fuoco continuo, drappelli di eroici marinai c genieri assicuravano i rifornimenti, attraverso il fiume, ai valorosi che, difendendo Stalingrado, decidevano delle sorti di questa guerra.
Si arrivò al male di novembre. Le acque del Volga incominciarono a trascinare ghiacci nel loro corso lento e maestoso. Tutte le date prestabilite dai tedeschi erano passate. La battaglia per il tempo era stata guadagnata. Gli accessi a Stalingrado erano coperti da montagne di cadaveri tedeschi. Il 14 novemb[...]

[...]a il nemico, mentre nelle file delle sue truppe si spargevano la sfiducia, la delusione, la stanchezza. Nelle file sovietiche, invece, si rafforzava di giorno in giorno la volonté di vincere. La città di Stalin non cedeva. Essa preparava la tomba al nemico che si era gettato su di essa.
Il sette novembre 1943 si diffondevano da Mosca le parole sicure e minacciose di Stalin : ( Il nemico é stato arrestato sotto Stalingrado.,. Esso ha già provato sulla sea pelle la forza di resistenza dell'Esercito rosso. Esso deve ancora conoscere la forza dei suoi colpi distruttivi s.
Stalingrado si preparava al decisivo contrattacco.
N. Twtzwsnt
Maggior generale dell'Esercito rosso
(Continuazione e fine al prossimo numero)


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Sulla, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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