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da Franco Lucentini, La porta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]ole la grande passione, eh? la grande speranza! Si sa, a tutti gli ci vuole, pure a me, ma io la commedia, se la devo fare, me la faccio da me; non ci vado a mettere dentro, con l'imbroglio, uno che non c'entra ».
Mi scuserai, eh? » dissi dopo. « T'ho detto quello che ti dovevo dire. Te l'avrei detto prima, se l'avessi capito prima D.
Adriana si abbassò la veste, si infilò le pantofole. Venne vicino a me, accanto al tavolo, e mi dette un bacio sulla faccia.
«Tu sei sempre acuto» disse ridendo, «capisci tutto. Ma pensi sempre troppo a te, sei un pochetto presuntuoso, e allora qualche volta capisci tutto, ma non capisci il resto ».
« Che vuoi dire? » dissi smontato. Lei rideva, era molto bella, e si vedeva chiaro che in quel momenta se ne fregava di me, ci aveva qualche altra cosa che l'interessava. Non era la prima volta che ci facevo una figura così con una donna.
« Come sei caro! » disse tenendomi abbracciato. « Come , ti voglio bene! ».
« Adesso ti spiego » disse. « Tu hai capito bene, hai capita che non bastava. Non ti sbagli mai,[...]

[...]tto, per te, ma quello che aspetto qui dentro non sei tu. Io pure, la commedia me la faccio da sola, non credere che sono tanto cretina. Anzi me la volevo fare tanto da sola che non volevo nemmeno starti a spiegare, perché tu non credessi che ti ci volevo tirare dentro ».
«Vedi come ti sei sbagliato? E perché non mi vuoi bene! » disse baciandomi di nuovo. « È vero pure che non lo sapevi, tu, che qui c'è un'altra porta ».
Avevo i capelli di lei sulla faccia, brillavano alla luce del lume. « Che porta? » dissi di soprassalto.
« Quella lá » disse.
Si staccò da me e girò intorno al tavolo, andò in mezzo alla cantina.
« Questa » disse.
ß8 FRANCO LUCENTINI
A meta del muro di sinistra, da dove stavo io, si vedevano delle macchie scure che prima non avevo visto. Ma non sembrava una porta. Presi il lume e mi volevo avvicinare.
« No » strillò. « Il lume lascialo la ».
Lasciai il lume e mi avvicinai.
« Che cos'è? » dissi.
Dietro quattro tavole, inchiodate al muro di traverso, si vedeva il vano nero di una porta. La voce risuonava forte dav[...]

[...]n la testa chinata, i capelli biondi sul viso, nel cerchio bianco del lume. Portava un abito grigio, morbido, con una camicetta bianca. Per la prima valta pensai a quando sarebbe rimasta sola, seduta davanti al tavolo, aspettando.
Tornò con un coltello da cucina a un apriscatole.
«Puoi fare con uno di questi? » disse.
Presi il coltello ma non era forte abbastanza, si piegava.
« Dammi quell'altro » dissi.
Lei mi tese l'apriscatole, alzandosi sulla punta dei piedi. Nell'ombra, sembrava ancora piú morbida, con la sua faccia chiara e i capelli sciolti sulle spalle. Il lume brillava in fondo alla cantina.
LA PORTA 89
« Come sei elegante » dissi. « Come sei bella ».
« Che ti prende? » rise.
L'apriscatole non era molto adatto, ma riuscii lo stesso a schiodare
la tavola in alto. Le altre vennero via facilmente. Scesi dada cassa per
schiodare l'ultima.
Dalla porta veniva un odore di muffa. Una scala di legno, senza
ringhiera, portava in basso; si vedevano i primi gradini.
« Questo legno dev'essere fradicio» dissi. « Non possiamo mica [...]

[...]etto.
« Così la grande passione era questa? » dissi. « La paura? Quello
che deve spazzare via tutto, ripulire tutto, é la paura? ».
« Non ho trovato altro » disse. « Io non ho saputo trovare altro ».
Mi prese una mano e la carezzava, poi la lasciò.
«Non credi che ce ne sia abbastanza di sopra, di paura? » dissi.
« Ma é sporca » disse. « È diversa. Quella che aspetto qui é un'altra ».
Lei aspettava la paura bianca, assoluta. Ce l'aveva già sulla pelle.
«Non so che dire » dissi. « Per il gusto mio é un po' forte. Mi sem
bra pure un po' inutile. Non capisco che cosa speri».
« Spero una cosa » disse. « Aspetto qualche cosa ».
« Ma che cosa? » dissi.
« Qualcuno » disse.
« Come? ».
« Aspetto qualcuno » disse.
« Ma tu mi vuoi fare diventare scemo » dissi. « Che é adesso que
sta novità? Chi aspetti? ».
« Oddìo » si lamentò, « non ti posso spiegare, non te lo so spiegare.
Sono così stanca. Stanotte non ho dormito per niente. Vorrei dormire ».
«Oh! e dormi! » dissi. «Mettiti a letto e fatti una bella dormita.
Dopo discorriamo ». [...]

[...] Perché vedi» disse, « io credo che lá sotto... ».
(( Niente, niente» dissi, «adesso non voglio sapere niente. Mettiti
a letto e dormi. Ci abbiamo tutto il tempo per discorrere dopo. Va be
ne? Ti metti a letto? ».
«Va bene» sorrise, sollevandosi sui gomiti. «Mi fai alzare? ».
Mi tolsi dal letto perché potesse mettere giù le gambe, l'aiutai ad
alzarsi.
« Come sono stanca! » disse, cominciando a spogliarsi. Sistemò la
giacca e la camicetta sulla sedia, con cura. La sottana e le calze le mise
ripiegate sulla spalliera del letto.
« Mi dài la camicia? » disse. « Sta nell'armadio, in basso ».
Stava per togliersi la biancheria, poi mi guardò. Prese la camicia e
andò dietro la tenda.
92 FRANCO LUCENTINI
La sentivo muovere i barattoli della cipria, della crema per la notte.
Mise fuori un braccio perché le dessi un asciugamano, che stava nell'ar
madio. Poi volle il pettine, che stava nella borsa.
Mi sedetti sul tavolo, aspettando.
« Ah! » strillò. « Lo sapevo che m'ero scordata qualche cosa! ».
« Lo spazzolino da denti » dissi. « No? ».
« SI» rise.
« Te lo posso andare a comprare » dissi, « [...]

[...]l petto e la sentivo che tremava.
« Appòggiati così » dissi, sistemandola con la testa e le spalle appoggiate a me. «Non avere paura ».
Seguitava a tremare. Ogni tanto pareva che si calmasse, poi all'improvviso tremava più forte.
«Mi sono sognata...» disse.
«Non parlare» dissi, «stai calma. Adesso stai calma, tesoro, non parlare».
La camicia le era scesa dalle spalle, la ricoprii. .Le carezzavo le braccia, i capelli, il viso. Masse una mano sulla coperta, cercando la mia. Prendendole la mano pensai a tutta la vita che aveva fatto, alla vita che avevo fatto io. Alla vita che facevamo tutti. Le tenni la mano stretta, senza parlare, mentre lei tremava sempre più piano.
Alla fine si calmò, girò la testa e mi guardò, sorrise.
« Povera me » disse, .« quanto sono stupida. Che sorella stupida che ci hai ».
LA PORTA 95
«Non sei stupida » dissi. « Sei un amore. A tutti gli può succedere
di credersi chi sa che, di volere fare chi sa che, e poi dopo si vede
che non si può fare, che non gli si fa, che é meglio fare come tutti.
Anche a te ti[...]

[...]iggio; li faceva un com
missariocapo.
« Tu lo sai che stanotte hanno ammazzato uno? » disse.
M'ero immaginato una cosa del genere; se no, non ci avrebbero
sprecato un commissariocapo.
« Tutte le notti ammazzano qualcuno » dissi.
« Stai attento a come rispondi » disse. « Dunque, di quello di sta
notte tu ne dovresti sapere qualche cosa, lo dovresti almeno conoscere,
perché era un pederasta conosciuto ».
«Perché? » dissi. «Adesso sto pure sulla lista dei pederasti? ».
«Sulla lista delle persone per bene...» disse alzandosi dalla sedia
e allungadomi due schiaffi, « certo che non ci stai », disse rimettendosi
a sedere.
too FRANCO LUCENTINI
Doveva essere uno scherzo in voga, perché me l'avevano già fatto
altre due volte.
Dopo volle sapere che cosa avevo fatto io quella notte, e natural
mente ci ebbi delle altre difficoltà. Alla fine, sebbene m'era riuscito di
inventare una storia verosimile, ci avevo la faccia gonfia.
« Tu, o ne sai qualche cosa di questo » disse in conclusione, prima
di telefonare all'ufficio accettazione del carcere, « o ne sai qualche c[...]

[...]
metà. Un altro paio le volle quello che mi accompagnò al Braccio,
prima di lasciarmi al piede della scala.
« Viene uno! » disse.
« Manda sempre » disse quello di sopra.
«Che hai fatto? » disse quello di sopra quando arrivai.
«Ho rubato» dissi. Quello doveva stare seduto sopra una sedia
tutta la notte, e gli andava di discorrere, se gli capitava. Ma io ce
n'avevo abbastanza delle domande.
«Allora, perché t'hanno messo isolato? » disse.
Sulla porta c'era scritto "isolato", infatti.
« Non lo so » dissi. « Non mi va di discorrere. Ho sonno ».
« Ah, come ti pare...» disse. Richiuse la porta.
Dopo un po' riapri lo sportello, disse che non dovevo fumare.
Disse che con quelli come me ci volevano le nerbate.
La mattina appresso mi riportarono in Questura per gli accertamen
LA PORTA 101
ti, poi un'altra vota due giorni dopo, poi per una settimana di seguito, tutti i giorni. Alla fine si calmarono, cominciarono a cercare da un'altra parte. A me mi lasciarono in aspettativa, sempre « isolato».
Dopo quattro mesi dovettero fare posto [...]

[...]i aveva pure parecchi soldi sul libretto. Quando veniva lo spesino, la mattina, ordinava una quantità di roba, ma non ci dette mai niente. Quell'altro mi faceva un mucchio di domande e dopo qualche giorno andò via. Credo che gli accertamenti non li dovevano fare a lui, ma che lui era venuto a farli a me.
Io ci avevo ancora la febbre di quando era stato alla punizione, ma in infermeria non mi ci vollero più rimandare. Tutto il giorno stavo steso sulla branda e guardavo l'ombra dell'inferriata che camminava sulla parete di sinistra, poi verso le tre passava sulla porta e la sera piano piano, a destra, finiva. La sera, strillava qualcuno dalle finestre dell'altro Braccio: «Scassa, cancelliere », e tutti rispondevano. Poi suonava la campanella e nella cella s'accendeva la lampadina sopra la porta. Quello della truffa piegava bene i calzoni e si metteva a letto. La mattina veniva lo spesino che era ancora buio, apriva lo sportello.
« Giovanotto » chiamava.
Chiamava quell'altro; io, lo sapeva che non ci avevo niente sul libretto.
« Giovanotto » diceva, « c'é la marmellata Cirio, la volete? ».
Quello voleva la marmellata Cirio, la mozzarella, il vino, [...]

[...]to e guardavo i gatti, di sotto. Non faceva freddo. Mi sarebbe piaciuto di andare ancora un po' a spasso per le strade, aspettare ancora un po', ma oramai ci avevo impazienza. Entrai in un caffè e presi un cognac, poi andai difilato alla casa, entrai nel secondo cortile, davanti alla porta mi fermai senza sapere che fare. La porta era chiusa, come l'avevo lasciata l'anno prima; non c'era nessun segno per capire se Adriana era uscita o no. Tornai sulla strada e mi fermai sul portone a pensare, mi accesi una sigaretta. Dopo tornai e bussai forte con un pezzo di mattone, tre volte. Poi bussai ancora, ma più forte non potevo bussare, sarebbe venuta gente. Aspettai una mezz'ora, con l'orecchio alla porta, ma non si senti nessun rumore. Cercavo di ricordarmi la lunghezza della scala, della cantina, per capire se lei avrebbe potuto sentire o no. Poi ricominciai a bussare ogni tanto, più forte, approfittando del rumore di qualche camion, delle saracinesche che si chiudevano, nella strada. Prima che chiudessero il portone me ne andai. Tornai a casa[...]

[...]one c'era una macelleria, si vedevano i manzi appesi, la segatura per terra, una che stava alla cassa e ogni tanto rispondeva al telefono. Più in lá c'era una latteria, usci una ragazza in grembiule, senza ombrello e corse rasente al muro fino alla macelleria. Aveva cominciato a piovere così forte che le gocce rimbalzavano dentro al portone; mi tirai più indietro. Attraverso l'acqua, il negozio di fronte non si vedeva quasi piú, la ragazza stava sulla porta
106 FRANCO LUCENTINI
aspettando che la pioggia rallentasse. Poi traversò la strada di corsa, infilò a testa bassa il portone, si fermò di colpo.
« Sei tu! » disse.
Restai a guardarla nel buio del portone, senza potere parlare. Pareva dimagrita e ci aveva tutti i capelli bagnati, incollati alla faccia.
« Sei tu » disse. « Come stai? Franco. Che... Come stai, tu? Franco? Eh... Bene. Io... Franco ».
Portava un grembiule bianco legato sul davanti, macchiato, con una blusetta stinta. Teneva in mano un pacchetto involtato in carta di giornale.
«Franco, Franco » diceva. « Franco ».
Mi [...]

[...] La invito, in ogni modo, a valersi di modi più civili. Per ogni altra cosa, se é parente dell'Adriana, può rivolgersi qui al signor Commissario ».
LA PORTA 111
Niente da dire, l'avevano messa in mezzo per bene. Il signor Commissario era uno di quegli altri tre.
«A disposizione» disse. «Vicecommissario di polizia Borino. Lei non mi sembra una faccia nuova ».
« Se é per la questione della residenza » dissi, « non vi credete di mettermi paura. Sulla lista di quelli da rimpatriare non ci sto più».
« Sulla lista delle persone per bene » disse alzandosi e allungandomi due schiaffi, « ancora "non ci stai ».
Adriana approfittò dello scatto che feci e tirò via la mano, corse dall'altra parte della cantina. Altri due mi tennero per le spalle e il dottor Micheli, che s'era alzato un'altra volta per scappare, si rimise a sedere.
« Questo resta a disposizione per gli accertamenti » disse il commissario a quelli che mi tenevano.
Disse il prete: «Sia indulgente, sa, signor Commissario. Se é per quello che ha fatto a me, che per poco mi strozzava, e credo che l'intenzione di strozzarmi veramente ci fos[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Zanardo, Il «manuale» di Bukharin visto dai comunisti tedeschi e da Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]arxismo filosofico europeo occidentale {westeuropàisch) si può trovare in un articolo di Alexander Schifrin del 1927 4. I segni caratteristici del marxismo sovietico sono indicati nello sviluppo del lato filosofico implicito nel marxismo,, nello sviluppo del marxismo a sistema totale, neiraffermazione che il materialismo filosofico è la filosofia specifica del marxismo, nell’unità fra posizione politica e posizione filosofica, nell’accento posto sulla filosofia più che su altre parti più concrete della dottrina, nell’ingerenza dell’autorità politica nelle questioni di filosofia. Al marxismo europeo,, più politico, meno dottrinario, legato con fili molteplici alle posizioni ideali più moderne, il materialismo filosofico e l’« indivisibilità » di politica e filosofia appaiono grossolani, semplicistici, infondati. Sempre nel ’27, nella Die materialistiche Geschichtsauffassung, Kautsky giudica il Manuale di Bukharin una delle espressioni più grossolane di materialismo economico5, e osserva che quasi tutti i socialisti russi, sono materialisti6[...]

[...]etico e marxismo europeo, come viene elaborata dai socialdemocratici, non è semplicemente la riorganizzazione di alcuni motivi teorici, non è il diventare esplicita e consistente di tutta una tradizione. Non si tratta di essere presenti, con caratteristiche proprie, nella articolata unità del marxismo.

Essa è un aspetto della totale interruzione di continuità fra due parti del movimento operaio. La socialdemocrazia tedesca si trovava poi già. sulla via di diventare un movimento strettamente politico afilosofico..

1 VICTOR Adler, Brìefwechsel mìt August unà Karl Kautsky, Wien,. Verlag der Wiener Volksbuchhandlung, 1954, p. 289 Lettera del 3 marzo 1899342

I documenti del convegno

Perciò rimasero in ombra gli evidenti elementi teorici comuni, in genere di natura positivistica, che si incontrano per esempio in Plekhanov, in Kautsky e in Bukharin. Anzi, come si è visto, si tese più a sottolineare il « filosofismo », il « dottrinarismo » del marxismo sovietico, e non soltanto un particolare contenuto dottrinale.

Per la socialdemo[...]

[...]azia la frattura non significò una riorganizzazione teorica, bensì l’accelerazione del processo, già iniziato, di accantonamento delle concezioni generali. I giovani intellettuali diventavano comunisti; i vecchi quadri intellettuali, prima quelli positivistici e poi quelli neokantiani, scomparivano senza essere capaci di rinnovarsi e neppure di riprodursi; la filosofia era considerata una specie di Primtmeimmg; e, soprattutto, invece di avanzare sulla strada della democratizzazione e della socializzazione, si andò a finire nella catastrofe.

Non era molto e non era certo qualcosa di coerente e di concentrato ciò che, sul piano filosofico, si poteva utilmente trattenere del marxismo socialdemocratico tedesco, ma qualcosa, specialmente dagli ultimi tentativi di combinazione col kantismo e da una giusta interpretazione del problema della Erganzung, si poteva cavare e poteva essere fatto valere contro il marxismo sovietico. Non è vero che, fra la concezione del socialismo come completamento di un processo e quella del socialismo che deve in [...]

[...]zionaria, ma anche opere teoriche magistrali. Duncker tuttavia mette in risalto alcuni punti, presenti si nel Manuale, ma non certo sviluppati: il materialismo di Marx non è meccanicistico; l’ideologia non è pura apparenza; c’è reciprocità fra base e soprastruttura; materialismo non significa fatalismo.

In parte diversa, ma solo in parte, è la recensione di Fritz Riickert nella Jugendinternationale*. Riickert fa perno non sul materialismo, ma sulla dialettica, sul secondo dei due temi che servirono alla polemica filosofica contro la socialdemocrazia. È la dialettica, l’ammissione che nella società e nella natura esistono salti, rivoluzioni, a distinguere il comuniSmo dalla socialdemocrazia. « Il marxismo è una dottrina della realtà, della vita vivente, dell’azione » : l’uomo non è cieco strumento della sorte, ma elemento attivo nel processo necessario di sviluppo della società. Ma questi motivi vengono sviluppati in continuità col testo di Bukharin, senza svolgerne l’implicita concezione diversa, l’implicita critica al determinismo.

[...]

[...]ovolgare, è il fatto che Bukharin affermi la tecnica come determinante dei rapporti di lavoro. È invece l’economia,

1 Archiv f. Geschkhte des Sozialismus u. der Arbeiterbewegung, XI, 1923, pp. 216224.348

I documenti del convegno

la struttura economica della società, cioè i rapporti sociali degli uomini fra loro nel processo produttivo, l’elemento ultimo e decisivo delle trasformazioni tecniche, e solo secondariamente queste influiscono sulla struttura. L’argomentazione si vale del noto capitolo sul feticismo della merce, un testo essenziale allora per Lukàcs (e non solo per lui), e che egli interpreta come negazione delloggettività storica, apparente, del tipo della merce, e delloggettività più generale propria del materialismo filosofico. Altro motivo centrale della posizione di Lukàcs (come di quella di Gramsci) è la critica della dottrina della previsione. Afferma, fondandosi su alcuni testi di Lenin, che esiste una impossibilità metodologica di prevedere un fatto con assoluta certezza: la struttura della realtà non è l’esatte[...]

[...]rialismo dialettico, applica il metodo di quelle scienze, il materialismo volgare, allo studio della società.

Alcuni concetti di queste due recensioni hanno un risalto immediato : il proletariato tedesco ed europeo come qualcosa di specifico, l’esclusione di Bukharin dalla tradizione maestra del marxismo, la sottolineatura sociologica, materialisticostorica, non gnoseologica e non economicistica che ha il marxismo (insistenza sul relativismo, sulla correlazione dei fenomeni, sulla « totalità », non sul condizionamento dell’economia), il legame con la grande cultura. Ma ci sono anche altri punti importanti: la struttura di possibilità della realtà e tutto ciò che essa comporta, la dialettica, l’attività umana, la posizione verso le scienze della natura, l’accento umanistico.

Questi motivi teorici e quei rilievi critici verso Bukharin, in Lukàcs, si inquadrano ormai in una elaborazione sistematica, in una ideologia articolata. Anche di Korsch si può forse dire che motivi analoghi mettano capo a un organismo intellettuale analogo. Non si tratta insomma di qualcosa di f[...]

[...]e i rapporti fra classi e concezioni ideali, con la sensibilità storica con cui Gramsci analizza lo sviluppo e i nessi reali delle ideologie. Del marxismo si vedono solo gli aspetti fondamentali e si interpretano come assoluti. È attraverso lo sforzo di capire la concreta realtà politica che questo mondo intellettuale si complica, si raffina, assimila veramente la dialettica. Si veda l’articolo del ’22 2 a proposito dell’opuscolo della Luxemburg sulla Rivoluzione russa. Si veda soprattutto il lavoro su Lenin del ’24 3 : è qui, nel dibattito sulla natura del leninismo, nella distinzione fra marxismo e leninismo, fra weltgeschichtliche Perspektive e Tagesfrage che esce fuori chiaramente il rapporto dialettico fra essenza e fenomeno, è qui che si forma l’ossatura categoriale relativamente ricca che sostiene, fino a oggi, il lavoro intellettuale di Lukàcs.

Ma questo sviluppo fu bloccato. Fu una delle tante conseguenze della mancanza di una rivoluzione proletaria tedesca. Questi intellettuali, nati per essere gli ideologi della rivoluzione tedesca ed europea, si trovarono a disagio in seno alla Terza Internazionale, e finirono nelle Uni[...]

[...]cienze perché l'adesione a una causa ha da essere individuale e convinta. Si tratta di « riformare intellettualmente e moralmente strati sociali culturalmente arretrati » 5. Non bisogna trattare i semplici come « persone rozze e impreparate che si convincono 66 autoritativamente ” o per via emozionale ” » 6. Soltanto ciò che è interiormente educativo è ispiratore di vere energie7. Infine (si

1 Theorie des hìstonschen Materialìsmus, p. V.

2 Sulla teoria ancella della pratica, vedi M. S., p. 12,

3 M. S., p. 11.

4 AL S. p. 137.

5 M. S., p. 68.

6 M. S., p. 137.

^ M. S., pp. 1456.354

I documenti del convegno

pensi ai due termini cultura e masse indicati prima) il marxismo è « risultato e coronamento di tutta la storia precedente » 1; e per l’altro verso, le masse popolari organizzate in partiti hanno il compito di costruire una nuova società, di produrre una trasformazione materiale e intellettuale paragonabile ai grandi movimenti con cui le altre classi hanno conquistato l’egemonia.

Sempre nel quadro di questa co[...]

[...]mento di un’opera di civiltà. Ma questa civiltà non è concepita come un alto grado di sviluppo economico o come un lontano punto

1 Si veda in particolare la lettera a Gorki del 7 febbr. 1908 {Opere, Roma, voi. 34, 1955, p. 295) : « Si può, si deve legare la filosofia con l'orientamento del lavoro di partito? con il bolscevismo? Penso che ora questo non si possa fare. Lasciamo che i nostri filosofi di partito lavorino ancora per un certo tempo sulla teoria, che discutano e... arrivino a mettersi d’accordo. Per ora propenderei a tenere queste discussioni filosofiche fra materialisti e “ empirio99 lontane dal vero lavoro di partito ».

2 M. S., p. 18.

3 Meno chiaro mi sembra è il nesso fra l’autonomia 'filosofica del marxismo (intesa certo con tutta l’ampiezza che si sa) e il marxismo che ha per obiettivo di « vivificare una integrale organizzazione pratica della società, ... diventare una totale, integrale civiltà» (M. S., p. 157). È da vedere se per Gramsci solo il marxismo è l’ideologia della classe operaia (cosa pensa per es. de[...]

[...]a, del positivismo, dello scientismo, e, di conseguenza, uno sforzo cosi notevole di mediazione fra idee e cose. Non pare che il marxismo russo o tedesco o francese abbiano vissuto un’esperienza storicistica cosi intensa.. È noto che nell’Unione Sovietica il termine sociologia non ha in genere l’accezione negativa che può avere in italiano5. Certo in Lukàcs si

1 M. S., p. 126.

2 M. S., pp. 6162.

3 M. S., p. 127.

4 M. S., p. 100.

5 Sulla singolarissima storia della sociologia in Russia vedi l’articolo « Die russische Soziologie im zwanzigsten Jahrhundert » di P. SOROKIN in Jahrbuch fùr Soziologie, 1926, p. 462 sgg. Racconta fra l’altro: « Fino al 1909 nelle Università e nei colleges russi la sociologia non era ancora insegnata come una disciplina358

I documenti del convegno

trovano gli stessi motivi antiscientistici e umanistici di Gramsci, ma lo svolgimento sembra diverso. Si pensi al percorso intellettuale della maturità di Lukàcs: ha respinto la sociologia di Bukharin e di Kautsky ed ha assimilato quella di Lenin. L[...]

[...]lle masse, della vita della realtà; la sua strada è stata più facile, ma accanto al vantaggio di essere rimasto a contatto col filone centrale, classico, della teoria del movimento operaio, va indicato lo svantaggio che spesso le categorie con cui lavora hanno il sapore dell’applicazione rigida, dell’estrinseco. In Gramsci il contatto col filone classico del marxismo teorico, forse anche col leninismo formale, è meno visibile. Le cose che scrive sulla sociologia echeggiano posizioni idealistiche e sembrano generalizzare esperienze di ricerca limitate alla sfera politica. Di fatto però la sua percezione della realtà si coordina in analisi in cui confluiscono gli elementi prospettiva, periodo, economia. Sono impostazioni leniniste che nascono dal basso.

A questa forte accentuazione storicistica non fa tuttavia riscontro, come forse si potrebbe pensare, una elaborazione teorica manchevole della generalizzazione. Non è insomma che in Gramsci non riceva trat
scientifica autonoma. La causa principale di questo era di natura politica, il gove[...]

[...] sia più verosimile e più feconda di convinzioni e di educazione. È certo che, quando si applica il principio di correlazione agli atti di un individuo o anche di un gruppo, c’è sempre il rischio di cadere nell’arbitrio : gli individui e anche i gruppi non operano sempre ” logicamente ”, ” coerentemente ”, “ consequenziariamente ”, ecc.; ma è sempre utile partire dalla premessa che cosi operino... ». Si veda anche (AL S., p. 165, n.) cosa scrive sulla teleologia e il concetto di missione storica.

4 M. S., p. 161.

5 M. S., p. 61.

6 M. Sp. 133.

24.360

I documenti del convegno

disgiunzione dell’essere dal pensare, dell'uomo dalla natura, dell’attività dalla materia, del soggetto dall’oggetto : « se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso » \ Sotto altri aspetti essa è l’assorbimento del punto di vista superficiale delle scienze naturali2; l’accoglimento della «concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica, senza neanche s[...]

[...]tro che la sua fase economicocorporativa 5, è « una deviazione infantile » 6, « significa che si attraversa una fase storica relativamente primitiva » 7. Essa è stata « 1’44 aroma ” ideologico immediato della filosofia della prassi, una forma di religione e di eccitante... resa necessaria e giustificata storicamente dal carattere subalterno di determinati strati sociali » 8; è il « rivestimento da deboli di una volontà attiva

1 M. S., p. 140. Sulla creatività vedi M. S., p. 23, sulla dialettica M. S., p. 32.

2 M. S., p. 139.

3 Oggi si tende da molte parti (per es. dagli studiosi che fanno capo ai Marxismusstudien di Tubinga) a cercare elementi di continuità fra Kautsky e più in generale il kautskysmo e la dogmatica dell’ultimo periodo della Terza Internazionale. Durante la Terza Internazionale però la polemica con Kautsky teorico fu fino a un certo tempo abbastanza viva e si alimentò della tesi che il materialismo storico non ha nulla a vedere con la trasposizione nella storia delle leggi biologiche (anche Bukharin accenna a questo motivo : « le leggi di Darvin non [...]



da Ernesto De Martino, Perdita della presenza e crisi del cordoglio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]per frantumare le barriere che li trattengono, e per fondersi e confondersi in caotiche coinonie. Gli oggetti che « non sono più nel loro quadro » non si presentano più in questo caso con la valenza della artificialità e della lontananza, e come vulnerati da una perdita di prospettiva e di rapporto, ma si configurano piuttosto in atto di agire come potenze cieche ed estranee, che si scaricano disarticolando il reale, e incombendo minacciosamente sulla presenza: alla lontananza astrale si oppone, in una vicenda irrisolvente, la prossimità irrelativa degli oggetti fra di loro e del mondo oggettivo rispetto alla presenza, onde crolla la stessa possibilità di mantenere gli oggetti distinti gli uni dagli altri, e di contrapporre sé al mondo. Si ha allora la terrificante esperienza dell’universo in tensione, sul punto di annientarsi in una immane catastrofe. Racconta la malata di A. Sechehaye: « Chiamavo [la follia] il paese dell’illuminazione a causa della luce vivissima, abbagliante e fredda, astrale, e dello stato di tensione estrema in cui s[...]

[...] e oggetto sono scomparsi». «L’angoscia è il pericolo supremo, cioè il profilarsi di quella situazione finale in cui l’organismo non può adattarsi all’ambiente, e si trova minacciato nella sua stessa esistenza » : queste proposizioni di Kurt Goldstein (9), sebbene inadeguate, tro
(9) Kurt Goldstein, Zum Problem der Angst in Allg. àrtzliche Zeitschrift fiir Psychotherapie und Psychische Hygiene, Bd. II (1929) Heft 7, pp. 409 sgg. Per un panorama sulla concezione dell’angoscia nella moderna psichiatria (e neiresistenzialismo) è da vedere il libro di Juìiette Boutonier, L’angoisse, Paris 1949.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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vano la loro elucidazione e la loro verifica nella teoria dell’angoscia come reazione totale al rischio radicale della perdita della presenza. Che cosa infatti può significare la perdita della distinzione fra soggetto e oggetto, l’essere immediatamente l’angoscia, il rovesciamento indicibile che comporta il pericolo supremo di non potersi adattare all’ambiente, che cosa può essere il sentirsi « in s[...]

[...]hiosa possibilità di compiere un atto nocivo o inefficace, e pertanto questo malato, dominato dall’angoscia, preferiva non mangiare, non vestirsi, non lavarsi, per ridursi infine alla immobilità assoluta dello stupore catatonico (10). Il carattere estremamente contradditorio e irrisolvente di tale reazione è che l’assenza delle esperienze estatiche connesse alla vita magicoreligiosa della storia culturale umana: l’assenza dello stupore è infatti sulla linea di quella stessa perdita della presenza che costituisce il rischio della malattia, e la clamorosa contradizione del «farsi assente per terrore dell’azione» può metter capo soltanto al nuovo e più grave sintomo morboso del blocco spasmodico della volontà. Il secondo modo della destorificazione irrelativa della crisi è costituito dal ritualismo dell’agire. Mentre nella reazione stuporosa il conato si dirige verso l’assenza totale dalla realtà storica attuale, nelle stereotipie e nei manierismi dell’agire soltanto determinati settori più o meno ampi e prolungati dell’agire vengono sottratt[...]

[...]ere l’azione anticipandone il corso in un mondo a sè, non vulnerato dalla decisione personale, rappresentano, al pari del ritualismo dell’agire, un modo di « stare nella storia senza starci», e un disperato tentativo di rischiudersi

— attraverso questa miserabile frode — all’azione. Un altro malato di Arieti quando usciva di casa era indotto a dare interpretazioni di qualsiasi cosa scorgesse per via, al fine di trarne indicazioni rassicuranti sulla non rischiosità della direzione da seguire. Se vedeva una luce rossa all’incrocio stradale la interpretava come un avvertimento occulto a non procedere più oltre nella direzione corrispondente, se invece gli cadeva sotto gli occhi una qualsiasi freccia stradale credeva trattarsi di un avvertimento del buon Dio per indurlo ad imboccare la direzione non rischiosa. Questa ricerca di simboli protettivi del fare non gli riusciva tuttavia di nessun giovamento, e al colmo dell’angoscia tornava a casa, dove cercava rifugio nella reazione stuporosa. Internato nell’ospedale psichiatrico il terrore dell[...]

[...]a culturale, dalla economia aH’ordinamento sociale, giuridico e politico, al costume, all’arte e alla scienza.

Il concetto di sacro come tecnica miticorituale che protegge la presenza dal rischio di non esserci nella storia e media il ridischiudersi di determinati orizzonti umanistici consente di considerare sotto una nuova luce la vexata quaestio del rapporto fra magia e religione. Senza dubbio ogni forma di vita religiosa, in quanto fondata sulla destorificazione miticorituale, comporta un momento tecnico insopprimibile, che ne costituisce la sfera più propriamente magica; d’altra parte la tecnica magica più rudimentale, quando sia dotata di vitalità storica e organicità culturale, non si esaurisce mai nel semplice tecnicismo, ma media e dischiude un determinato orizzonte umanistico, più o meno angusto. In tal guisa l’opportunità di considerare come magica o come religiosa una particolare forma storica del sacro dipende soltanto dal grado relativo di sviluppo e di complessità del processo di mediazione dei valori che in quella forma h[...]

[...] apriorv. il tentativo di R. Otto di completare le tre critiche kantiane con una quarta attinente al ' sacro ' deve considerarsi fallito. Apriori però è certamente la potenza tecnica dell’uomo, sia che si volga al dominio della natura con la produzione dei beni economici, con la fabbricazione di strumenti materiali e mentali del pratico agire, sia che invece si volga ad impedire alla presenza di naufragare in ciò che passa senza e contro l’uomo. Sulla linea di questo secondo impiego della potenza tecnica si trova la religione, che resta definita dal carattere particolare del suo tecnicismo, cioè dalla ripresa e dalla reintegrazione umanistica dei rischi di alienazione, mediante la destorificazione miticorituale. La risoluzione tecnica della vita religiosa non è certamente nuova, se già Platone in un passo famoso del Fedone non esitava a considerare il mito delle anime dopo morte come un incantesimo per rassicurare il fanciullino che in ciascuno di noi si angoscia davanti alla morte. Tale risoluzione tecnica presenta il vantaggio di orienta[...]

[...]ne s’en pasment contre teré) (13).

(13) Cfr. O. Zimmermann, Die Toten\lage in den altfranzasischen Chanson de geste, Berlin 1899, p. 9 sgg.70

ERNESTO DE MARTINO

L’assenza totale rappresenta il limite estremo della crisi del cordoglio: ma al di qua di tale limite stanno tuttavia determinate inautenticità esistenziali della presenza, caratterizzate dal recedere verso l’assenza, e dall’irrisolvente patire e dibattersi per questo recedere. Sulla linea di tale recessione, ma al di qua del suo termine estremo, si trova uno stato psichico che in concreto può manifestarsi con varie sfumature individuali, ma che tipologicamente resta definito da una ebetudine stuporosa senza parola e senza gesto, e senza anamnesi della situazione luttuosa: uno stato simile, designato dal comune linguaggio con la espressione « impietrito (o folgorato o raggelato) dal dolore », si riflette — com’è noto — nel mito di Niobe. Si tratta però di una calma inautentica, funesta e minacciosa, e di una instabile smemoratezza, che da un momento all’altro può diromper[...]

[...]uale, in un ambiente storico dal quale direttamente proveniamo o che ci siamo appena lasciati alle spalle, la dispersione e la follia che minacciano l’uomo colpito da lutto furono istituzionalmente moderate nel rito, ridischiuse alle figurazioni del mito, e drammaticamente redente nel vario operare umano, cioè nell’ethos delle memorie e degli effetti, nei significati sociali, politici e giuridici, nell’autonomia della poesia e dei gravi pensieri sulla vita e sulla morte:PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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finché, compiuto il suo ciclo storico, il pagano lamento cedette il luogo ad un nuovo e diverso modello culturale di comportamento davanti alla morte, il modello di Maria.

6. Maria come modello del cordoglio cristiano

In perfetta coerenza con la solenne affermazione della vittoria di Cristo sulla morte e con la polemica contro la lamentazione pagana, il Nuovo Testamento non conosce un pianto di Maria. In Giovanni 19. 2527 Maria appare alla croce come muta spettatrice, e l’evangelista non pone sulla sua bocca nessuna espressione di dolore: Maria madre di Gesù, Maria di Cleopha e Maria Maddalena vi sono rappresentate in atto di stare davanti alla croce, chiuse in un patire interiore e raccolto, che guadagna in singolare efficacia etica proprio per il fatto che non appena scorgiamo nello scenario della Passione il disegnarsi di queste tre ombre silenziose e immobili. Tutta una tradizione si ricollega a questo interiore patire, cui Ambrogio contendeva anche lo sfogo delle lacrime (stantem illam lego, flentem non lego) (35), e che nella sequenza dello Stabat Mater si ravviva e umanizza in un[...]

[...]este tre ombre silenziose e immobili. Tutta una tradizione si ricollega a questo interiore patire, cui Ambrogio contendeva anche lo sfogo delle lacrime (stantem illam lego, flentem non lego) (35), e che nella sequenza dello Stabat Mater si ravviva e umanizza in un contemplare velato di lacrime: Stabat Mater dolorosa / iuxta crucem lacrymosa / dum pendebat filius: / cuius animam gementem, / contristatam et dolentem / pertransivit gladius (36).

Sulla linea di questa tradizione non troverebbe posto, a stretto rigore, la rappresentazione drammatica del dolore di Maria secondo una mimica definita e un discorso contesto di moduli, ma soltanto il lirismo religiosamente impegnato del credente che alla Mater Dolorosa chiede la mediazione per aprirsi alla passione di Cristo e per morire con Cristo al peccato: fac me tecum piangere, fac ut portem Christi mortem, come si legge nella sequenza dello Stabat. Ma questo altissimo modello del dolore cristiano non poteva operare realmente nella storia e svolgervi la sua effettiva pedagogia dell’umano cord[...]



da Alfonso Paolella, Varietà e documenti. Semiologia, narratologia e retorica. Una rassegna bibliografica 1975-1979 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]iversità, nasce un Centro Internazionale di Linguistica e Semiotica che organizza da allora convegni annuali, in luglio, su temi prefissati. Nello stesso anno Eco fonda « VS: Quaderni di studi semiotici »: il n. 8/9 (1974) della rivista è dedicato interamente alla bibliografia semiotica italiana e straniera, cui naturalmente rinviamo chiunque voglia informarsi sui contributi scientifici fino a quell'anno.
È oltremodo difficile « fare il punto » sulla situazione attuale degli studi di semiotica e per la varietà di interessi e per le numerose aree di ricerca: per rendersene conto sarà sufficiente sapere che l'ultimo Congresso internazionale di Vienna (26 luglio 1979) si è dovuto organizzare in ben 23 gruppi di lavoro con interessi diversi. Nel compilare la presente rassegna mi sono assunto l'ingrato compito di dover trascurare, per motivi di spazio e per l'ampiezza del materiale, alcuni settori e/o alcuni lavori magari importanti. Non è perciò mia intenzione essere esauriente (esistono ottime bibliografie e riviste che annoterò in seguito);[...]

[...]nato; infine è da ricordare quello di Marchese (1978), piuttosto insoddisfacente e lacunoso in molti lemmi.
Da quando Peirce e Saussure, ciascuno per conto proprio, scoprivano il valore « segnico » degli oggetti, questa disciplina, chiamata ormai indifferentemente, dopo varie polemiche e proposte, semiologia o semiotica, si è sviluppata
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ed allargata fino al punto che gli stessi semiologi non sono concordi all'unanimità sulla sua definizione. Essa è straripata dagli originari margini strettamente filosofici
o linguistici per andare ad indagare, prima con strumenti strutturali e poi più specificamente semiotici, altri oggetti come l'antropologia (LeviStrauss), le pratiche culinarie e la moda (Barthes), l'araldica (Mounin), il fumetto (FresnaultDeruelle), la musica (Pagnini, Stefani), l'architettura (De Fusco, Scalvini), la comunicazione animale (Sebeok), il cinema (Metz, Bettetini), il teatro (Ruffini), la psicanalisi (Lacan, Verdiglione) ecc.
La semiotica, come è considerata da qualche decennio, riconosce come p[...]

[...] codici linguistici della propria comunità investendo in tal modo tutto lo spazio del biologico, del sociale e del culturale dell'artista. Quello della Kristeva si può perciò considerare come un tentativo di sintesi di linguistica, marxismo e psicanalisi: sintesi che arriva a volte a risultati apprezzabili, anche se non priva di contraddizioni e di qualche superficialità, che si aggiungono al difetto di un'esposizione spesso oscura.
Il discorso sulla Kristeva ci conduce cosí in un altro ambito della semiotica che si occupa della letterarietà e dei testi poetici. Uno dei punti di riferimento piú costanti è stato il concetto di « funzione poetica » di Jakobson (1963, tr. it. 1966, cap. 11), che costituirebbe la « messa a punto rispetto al messaggio in quanto tale, cioè l'accento posto sul messaggio stesso » (p. 191). Il linguaggio letterario sarebbe quindi il linguaggio in cui la funzione poetica è predominante sulle altre funzioni, ma su questo argomento si rimanda al volume di Di Girolamo (1978). Questo settore di interessi è giustificato[...]

[...]a loro articolazione e complessità perché « occorrerà tener conto... che ogni lettura è una forma di `esecuzione' e che nessuna lettura è esente dall'intervento dei codici, linguistici e culturali, del lettore » (p. 37). Coerente al principio della verifica sul testo delle posizioni teoriche, Segre inserisce in tutti i suoi volumi, da I segni e la critica (1969) a Le strutture e il tempo (1974), una elaborazione teorica ed una parte applicativa. Sulla stessa linea di fusione dei modelli culturali con l'opera letteraria, ma a carattere esclusivamente teorico, si pone anche Semiotica, storia e cultura (1977)
Altri lavori di applicazione alla letteratura dei metodi semiologici sono quelli di Avalle datati fin dagli anni Sessanta: critico acuto, Avalle applica con rigore sistematico le tecniche semiotiche soprattutto a testi medievali (1975 e 1977); mentre la Corti nei Principi della comunicazione letteraria (1976) presenta un accurato discorso di sintesi sul fenomeno del funzionamento del linguaggio letterario inserito nel sistema sociocultu[...]

[...] testo è un segno polisemico e dinamico suscettibile di letture diverse), propone, con la metafora del Viaggio testuale (1978) un'indagine del testo come « viaggio dell'autore verso il testo e quello del testo verso il profondo della propria legge costruttiva; e poi viaggio di ogni lettore nel testo e del testo nella realtà o nella storia » (p. 5): in questo modo saggi su Dante e su Bonvesin da la Riva si trovano accanto a saggi sul neorealismo, sulla neoavanguardia e su Calvino. Sul concetto di letteratura e letterarietà si veda anche il buon manualetto di Coletti (1978); a parte si colloca Di Girolamo (1978), che nel criticare il punto di vista formalistico e neoformalistico del letterario, arriva a un allargamento teorico del concetto di letterarietà e a una ridefinizione del fatto letterario, in termini marxisti, come divisione del lavoro linguistico e delega da parte dei destinatari dell'uso estetico del linguaggio.
Un tentativo di fondazione epistemologica della semiotica di ascendenza neokantiana, ma con riferimenti anche a Hjelmsl[...]

[...]ica, sintassi e pragmatica), ma « è ben piú che una parte della semiotica, essa ne costituisce piuttosto la fondazione teorica » (p. 19): ed è sul problema del significato che Garroni sviluppa il suo discorso fino a postulare una semantica trascendentale che dia conto di tutte le possibili forme di significazione.
Un altro grosso filone della semiotica fa capo al formalismo russo degli anni Venti e si è sviluppato per conto proprio. Il discorso sulla tradizione sovietica, scoperta in Italia solo negli anni Sessanta, si fa piú complesso, poiché queste
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ricerche abbracciano ambiti e settori di indagine tra i piú disparati, come la filosofia del linguaggio, la tipologia della cultura, la metrica, la narratologia, l'analisi letteraria, il folklore ecc. Si possono, in ogni caso, distinguere almeno due fasi: il formalismo degli anni 19151930, in cui studiosi di diversa estrazione, ma con prevalenti interessi letterari, si raccolgono intorno al Circolo di Mosca
e all'oPoJAz di Leningrado. I maggiori rappresentanti di qu[...]

[...]ersa estrazione, ma con prevalenti interessi letterari, si raccolgono intorno al Circolo di Mosca
e all'oPoJAz di Leningrado. I maggiori rappresentanti di questo periodo sono Sklovskij, il giovane Jakobson, Ejchenbaum, Tomasevskij, Tynianov che cercano di analizzare, in ambiti diversi, i procedimenti della « Jetterarietà » indipendentemente dai fattori esterni ed ambientali che la determinano. In una seconda fase, il formalismo russo si innesta sulla nascente scuola dello strutturalismo praghese, anche grazie alla mediazione di alcune figure di primo piano, presenti a Praga nel '29, come Jakobson e Trubeckoj (lo strutturalismo praghese sopravvisse al Circolo di Praga con l'opera di Mukarovskÿ). In parte erede del formalismo slavo può essere considerato il gruppo di semiologi che fanno capo alla cosiddetta scuola di Tartu (Lotman, Uspenskij) che si occupa principalmente dell'elaborazione di modelli culturali. Per una informazione completa, si rinvia all'ottimo lavoro della FerrariBravo (1978) che informa il lettore su tutto ciò che è stato[...]

[...]rso di una fondazione scientifica della retorica sta proprio nello stabilire lo statuto di una figura e se essa debba essere considerata in termini di scarto da una norma. Su questo punto si è cominciato a discutere, una volta consacrato il già citato sopravvento della « elocutio », fin da Du Marsais, Fontaniér e poi, piú recentemente, ma per altri fini, con Sklovskij (ostranenie: « straniamento ») e con le ricerche di Toma"sevskij e di Tynianov sulla norma e sullo scarto. Spesso si è creduto di poter risolvere il problema operando una equazione tra norma = linguaggio denotativo e scarto = linguaggio connotativo (Barthes, 1957, tr. it. 1974; 1964, tr. it. 1966 e van Dijk, 1972, tr. it. 1976), ma questo si è rivelato scarsamente operativo (Todorov, 1972, tr. it. 1972, p. 301 e Di Girolamo, 1978, pp. 1123) proprio perché bisognerà definire cosa sia una norma, né essa può essere intesa, formalisticamente, come la ricerca delle invarianti del linguaggio. Ricerche sulla metonimia e sulla metafora sono state condotte anche da Henry (1971, tr. it[...]

[...]lema operando una equazione tra norma = linguaggio denotativo e scarto = linguaggio connotativo (Barthes, 1957, tr. it. 1974; 1964, tr. it. 1966 e van Dijk, 1972, tr. it. 1976), ma questo si è rivelato scarsamente operativo (Todorov, 1972, tr. it. 1972, p. 301 e Di Girolamo, 1978, pp. 1123) proprio perché bisognerà definire cosa sia una norma, né essa può essere intesa, formalisticamente, come la ricerca delle invarianti del linguaggio. Ricerche sulla metonimia e sulla metafora sono state condotte anche da Henry (1971, tr. it. 1975).
Nel 1979 è stato riproposto, aggiornato solo nella bibliografia un vecchio saggio di Barthes apparso nel n. 16 di « Communications » (1970, tr. it. 1972 e 1979). L'autore vede nella retorica, intesa come metalinguaggio, un incrociarsi di 6 pratiche diverse: una tecnica, un insegnamento, una scienza, una morale, una pratica sociale « che permette alle classi dirigenti di assicurarsi la proprietà
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della parola » e una pratica ludica. Il riconoscimento di tutte queste pratiche nella retorica ha costituito[...]

[...]entio » e la « dispositio » come parti imprescindibili di un discorso persuasivo. Recentemente sono apparsi degli stessi Retorica e filosofia (1952, tr. it. 1979) e, quasi contemporaneamente, Il campo dell'argomentazione (1970, tr. it. 1979) che costituiscono l'uno un abbozzo, l'altro un parziale sviluppo delle tesi del Trattato. Un'applicazione al comico dello stesso Trattato è il Comico del discorso della OlbrechtsTyteca (1977, tr. it. 1977).
Sulla stessa scia della neoretorica di Perelman, ossia della rivalutazione di tutte le parti della retorica si pone Barilli (1979) che, dopo un lungo excursus storico della retorica, appoggia le tesi del Perelman in quanto la retorica « è l'occasione in cui si usa il discorso nel modo piú pieno e totale, dove cioè le componenti fisiche del parlare non cedono rispetto a quelle intellettuali » (p. 1): e per « componenti fisiche vanno intese anche le modalità del porgere, gli atti di pronuncia, la mimica facciale, i gesti» (ibid.). Interessante è l'ultimo lavoro di Ducrot apparso in Italia (1979) che [...]

[...]te sulle tecniche della memoria è quello della Yates (1966, tr. it. 1972). In Italia, per gli studi di retorica, è molto attivo il Circolo filologico linguistico padovano diretto da G. Folena, che ha dedicato, in alcuni dei convegni che tiene ogni anno a Bressanone, molto spazio
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a questa scienza: Attualità della retorica (1973), Retorica e politica (1974), Retorica e poetica (1975), Simbolo, metafora, allegoria (1976).
Sulla linea di connessione tra retorica e linguaggio esiste il lavoro di Fonzi & Sancipriano (1975) che studia la metafora nella dimensione della psicolinguistica, RitterSantini & Raimondi (1978), in cui si trovano interessanti contributi di studiosi italiani e stranieri in onore di Lausberg; si consulti inoltre l'ultimo volume della s LI: Retorica e scienze del linguaggio (1979). Si veda inoltre Weinrich (1976) e i numeri monografici di alcune riviste, come l'ormai classico n. 16 di « Communications » (1970), il n. 18 di « Littérature » (1975) dedicato alle Frontières de la Rhétorique, il n. 23 di[...]

[...]o italotedesco, Bressanone, 1974. Padova, Liviana, 1977; AA.VV. 1975: Retorica e poetica. Atti del in Convegno italotedesco, Bressanone, 1975. Padova, Liviana, 1979; AA.VV. 1976: Retorica e scienze del linguaggio. Atti del x Congresso internazionale della Società Linguistica Italiana, Pisa, 1976. Roma, Bulzoni, 1979; AVALLE, d'Arco Silvio 1975: Modelli semiologici nella Commedia di Dante, Milano, Bompiani; 1977: Ai luoghi di delizia pieni. Saggi sulla lirica italiana del XIII secolo, MilanoNapoli, Ricciardi; 1977a vedi VeselovskijSade; BAcwrrN, Michail 1975: Voprosy literatury i estetiki, Moskva, Izdatelstvo « Chudo%estvennaja Ljteratura », tr. it. Estetica e romanzo. Un contributo fondamentale alla «Scienza della letteratura», a cura di C. Strada Janovic, Torino, 1979; BARILLI, Renato 1979: Retorica. Milano, ISEDI; BARTHES, Roland 1957: Mythologies, Paris, Seuil, tr. it. Miti d'oggi, trad. di L. Lonzi, Milano, Lerici, 1962, e Torino, Einaudi, 1974'; 1964: Eléments de sémiologie, « Communications » 4 (1964), 91135, tr. it. Elementi di semi[...]



da Onofrio Vox, Varietà e documenti. Esiodo fra Beozia e Pieria in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]etae: cosí non a caso, anzi parafrasando una famosa osservazione ciceroniana relativa ad Omero (e il titolo di un noto articolo di E. Diehl del 1940), si concludeva una nota di Peter Von der Mühll dedicata al proemio innodico della Teogonia esiodea; cioè di un pezzo in cui piú che altrove è necessario e fruttuoso cercare ascendenze e allusioni poetiche, sebbene la conclusione di Von der Mühll, pur illuminante, suonasse allora quanto mai scettica sulla possibilità di risultati plausibili. Predecessori di Esiodo? I biografi antichi rispondono genealogicamente, esibendo una galleria di mitici antenati, la maggior parte puri fantasmi I. Eppure tra questi almeno alcuni furono certo avi non di sangue ma di mestiere. Qui tenterò di rintracciarne taluni: i modelli esiodei per la poesia innodica.
1. Muse indigene e straniere. — Nel proemio della Teogonia stupisce, accanto al duplice attacco innodico (1 Cominciamo a cantare dalle Muse Eliconie; 36 [Ehi tu!,] cominciamo dalle Muse, che...), anche la duplice contemporanea qualifica delle Muse: Elicon[...]

[...]impronta omerica; e da allora tutti gli hanno fatto eco, benché nel frattempo sia definitivamente tramontata l'illusione dell'omerocentrismo (e panomerismo) epico'.
Eppure, credo, alcune esplicite testimonianze antiche possono giovarci. Ché il tentativo sincretistico peculiare del proemio della Teogonia non risulta isolato: Strabone e Pausania conoscono appunto tale situazione per la Beozia ar
caica. Strabone, è vero, avanza solo caute ipotesi sulla base di semplici comparazioni toponomastiche:
Qui [presso l'Elicona] c'è il tempio delle Muse e la fonte di Ippo e l'antro delle Ninfe Leibetridi; in base a ciò si potrebbe indurre che erano Traci coloro i quali consacrarono l'Elicona alle Muse, gli stessi che dedicarono alle stesse dee e la Piena e Leibetro e la Pimpleia, ed erano chiamati Pieri. Scomparsi costoro, ora queste zone sono occupate dai Macedoni. Ho già detto [401] che questa parte della Beozia un tempo fu colonizzata dai Traci, sopraffatti i Beoti, insieme ai Pelasgi e ad altri barbari (410, cfr. 471).
Pausania invece si fonda[...]

[...]a a Mnemosine.
9 Lo notava già VAN GRONINGEN, pp. 2878 e 28990. L'aspetto liricocorale delle nove Muse è enfatizzato da H. KOLLER, Musik und Dichtung im alten Griechenland, Bern/München 1963, soprattutto pp. 3648. ALLEN, p. 91, su altre basi ipotizzava che la poesia melicolirica fosse caratteristica delle Muse tracie. Per le specializzazioni trasparenti dai diversi nomi delle Muse, vedi MAYER, coll. 6847.
10 Fr. 157 Wehrli, citato nel trattato Sulla musica 3 del falso Plutarco. Sulla poesia di Piero vedi anche PAVESE, p. 233.
11 Si è infatti supposto che la Beozia sia stata regione specialista di cataloghi, cfr. D. PAGE, History and the Homeric Iliad, Berkeley and Los Angeles 1959, p. 152, e la discussione di R. HOPE SIMPSONJ. F. LAZENBY, The Catalogue of the Ships in Homer's Iliad, Oxford 1970, pp. 1689.
12 P. FRIEDLAENDER, recensione a Hesiodi Carmina, rec. F. Jacoby (1931), in Hesiod, pp. 1145; SNELL, pp. 989 [= Entdeckung, pp. 667].
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l'onomastica individuale risulta dunque accuratamente preparata. b. I nomi individuali qui presenti sono asse[...]

[...]ssa esperienza di scontro vano e duramente represso
dalle Muse.
Viceversa una teogonia completa, catalogicamente memorizzata e presentata — e una teologia complessa — sembrerebbe estranea all'ambiente poetico pierio, se si prestasse fede alla paradossale testimonianza dell'Inno omerico ad Ermes: Apollo, pur proclamandosi fedele seguace delle Muse Olimpie, vi si mostra vivacemente impressionato e stupito dell'originale poesia teogonica esibita sulla lira dal truffaldino Ermes 1fi
4. I poeti divini. — L'affermazione dei versi 945 (= Inno omerico xxv 23) è controversa:
x riQ tot Movoéwv xaì Êziij óXov 'AtóXXwvoç
ivBQEç t8o1 iaYty gal xíaóva xai xt&apLOEta(.
Ma se si intende in senso stretto: « dalle Muse e dal lungisaettante Apollo disc e n d o n o aedi e citaristi » 17, il riferimento non può che essere a poeti quali: Orfeo, preteso figlio di Calliope o Clio; Lino, figlio di Urania o Terpsicore o di Apollo e Calliope; Tamiri, figlio di Erato o Melpomene; lo stesso Piero, figlio di Apollo in alcune versioni 18. Il riferimento — una lus[...]

[...] des Geistes, Hamburg 1955, pp. 65 ss.] e pp. 117124 (discussione); W. J. VERDENIUS, Notes on the Proem of Hesiod's «Theogony », « Mnemosyne » Iv, 25, 1972, pp. 22560; PETER VON DER MUEHLL, Hesiods helikonische Musen, «Museum Helveticum » 27, 1970, pp. 1957; INGOMAR WEILER, Der Agon im Mythos, Darmstadt 1974; MARTIN L. WEST, Hesiod. Theogony, Oxford 1966.
ls Titanomachia di Museo: scolio ad Apollonio Rodio III 1177 b; di Tamiri: pseudoPlutarco, Sulla musica 3. Per i documenti letterari e figurativi delle Gigantomachie arcaiche vedi F. VIAN, La guerre des Géants, Paris 1952 (che però spiega diversamente la nozione dei Giganti presso Esiodo, pp. 1803); le contese degli aedi di scuola piena con gli Olimpi sono discusse da WEILER, pp. 6372.
16 Inno omerico Iv 42433 e 43955, dr. MINTON, p. 368 n. 22.
17 Cosí intendono ad esempio KAMBYLIS, p. 12 e WEST al v. 94; contra almeno VERDENIUS, p. 256. Ma l'interpretazione può essere confortata dalla pur metaforica imitazione di Teocrito, Idillio vii 44: äx OLàs iQvoç (e si veda già l'Inno omerico ad[...]



da Liliana Magrini, Il silenzio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]ro che la maglietta e i calzoncini di Michele. Via via che Marco e Nino, rivestendosi, avevano cautamente sfilato di sotto i loro indumenti, la maglietta s'era arrotolata e i pantaloni erano scivolati di traverso sugli steli. Un limone succhiato, scuro di liquerizia, era sfuggito di tasca. Marco rimase un attimo a guardarlo, con una contrazione della gola arsa. Le tre paja di scarpe erano ancora lá, in fila: quelle di Michele un po' più piccole, sulla sinistra il bordo di gomma era in parte staccato dalla tela, e Marco ricordò come ciò impacciasse talvolta Michele, nella corsa.
Il riverbero della costa lo feriva negli occhi: li chiuse, continuando a stringere tra le dita un bottone che gli sfuggiva. Uno, poi un altro, un terzo. La blusa era abbottonata. Riaperse gli occhi, e la luce li ferì di nuovo, aridi di sale. Le sue mani s'agitavano intorno alla fibbia della cintura, cercavano d'affrettarsi: eppure sapeva che quando avesse finito avrebbe dovuto muoversi, lasciare quel riparo che in qualche modo gli faceva davanti il calore della roc[...]

[...]lla roccia : un calore pesante e denso come un muro. Ecco, era fatto. Sentì che Nino si muoveva, andava verso l'acqua. Anche lui, per la prima volta, si girò. Il mare era immobile e, come il cielo divorato dal calore, bianco. Sospese contro una lontana foschia, si delineavano le sagome di qualche vapore e della diga irta di gru. Le cancellò subito, ai suoi occhi abbagliati, un dilatarsi di cerchi incandescenti. Quel riverbero duro gli pesava ora sulla nuca. Lentamente, la vibrazione luminosa si fermò, come al limite di una sfera vuota, nel biancore inerte del cielo e delle acque.
Guardò un attimo verso Nino: cercava con gli occhi tra i bassi scogli che verso il mare interrompevano il greto. Il ciuffo di capelli incollati di sale gli stava ritto sulla fronte, e faceva più sfuggente il suo profilo. Anche Marco guardò da quella parte: nient'altro che pietre piatte contro un orizzonte vuoto.
Improvvisamente, s'accorse che sulla distesa bianca posava, non molto lontano, una barca, rilevata come se l'acqua avesse avuto una
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durezza di cemento. C'era un uomo, dentro : la sua figura si stagliava precisa, e il braccio teso, e la lenza che teneva in mano: ma non si poteva distinguergli il volto, né capire da che parte guardasse. Anche Nino l'aveva scorto, lo vide trasalire:
«
C'era? »
Per un attimo la chiglia oscillò propagando sull'acqua una vibrazione d'ombra.
Avremmo dovuto sapere... », disse Marco.
Nino si cacciò indietro i capelli.
«Dopo tutto... ». Le sue labbra ebbero una smorfia, parve [...]

[...]uella sua espressione grave, Costanza serbava uno sguardo infantilmente curioso, attirato dai passanti, dalle vetrine, dalla strada. Un ragazzo che passava in bicicletta lasciò cadere un pane rotondo dal cesto cigolante sul manubrio: Costanza corse a raccoglierlo, divertendosi a fermarlo mentre rotolava. Un lampo di riso le apparve negli occhi quando li posò su di un ometto dalle braccia corte e dal viso roseo, che stava parlando con una vecchia sulla soglia di una pasticceria. « Bisogna avere... ecco, il senso delle proporzioni... », diceva, cercando le parole e agitando con cura quelle sue mani che il contatto decennale con paste intrise di burro e di zucchero aveva fatto pallidissime e morbide. « Bisogna... ». « Farsi una ragione! », continuò Costanza passandogli accanto, con un inchina burlesco.
Filippo Bertolli, il piccolo pasticcere, si voltò sconcertato, mentre Antonio lo salutava trattenendo a stento una risata. Era la frase, quella,
che ricorreva più sovente nei discorsi sentenziosi del loro vicino. Quante volte l'aveva sentita [...]

[...]olo tra il tavolaccio e la finestra, la schiena curva del padre lo proteggeva dallo sguardo di Teresa. Del resto, la donna aveva troppo da fare per occuparsi di lui.
C'era ombra nella stanza, e fumo. I suoi occhi ancora abbagliati distinguevano appena la madre: ma sarebbe bastata la memoria a fargli riconoscere i suoi gesti, quelli di sempre. Come se non fosse stato vero. Ma poteva essere vero? Forse Michele, chissà come, era risalito più in là sulla costa. Forse era a casa, adesso, e rideva dello scherzo che aveva fatto a lui e a Nino...
Antonio scelse fra le asticciole che coprivano il tavolaccio un pezzo di legno greggio e cominciò ad assottigliarlo. Ad ogni colpo di pialla, indugiava a lisciarlo con la palma. Spontaneamente, Marco tese la mano a raccogliere uno dei riccioli chiari che cadevano a lato: ma quando l'ebbe preso non osò carezzarlo col dito svolgendolo, come faceva sempre: lo gettò, e senti dentro una specie di singulto.
Ora Teresa si era messa a parlare, con veloce monotonia appena rallentata dai gesti che stava compiend[...]

[...]esa irritata. Marco portò la mano alla chiavetta. Ora, si disse, lo avrebbero guardato e si sarebbero accorti. Lo dirò, si disse. Sia quello che si vuole ma lo dirò. Con risolutezza, girò la chiavetta.
« Lo vedi! » gridò Teresa voltandosi verso la padella. « Con quella tua pigrizia, mi hai fatto bruciare le ultime sardine! ».
Antonio alzava il pezzo di legno per guardarlo alla luce.
Nella strada, Marco vide passare Giacomo Cataldo, oscillante sulla sua gamba di legno. S'avviava a vedere se Michele tornasse? Camminava a testa china, senza guardare avanti. Non pareva attendere nessuno. Forse veramente, in qualche modo inspiegabile, Michele era in casa? Se era tornato, anche Nino doveva saperlo, ormai, e facevano apposta a lasciarlo in quell'ansia. L'ira lo stava prendendo di nuovo, come sul greto: ma non solamente contro Nino, adesso, anche contro Michele. Era colpa sua se aveva accettato la gara che Nino aveva proposto, pur essendo più piccolo e avendo meno forza di loro. E perché, ma perché li aveva sfidati, Nino, sicuro com'era di vinc[...]

[...]o sul colle, e dove la terra si scopriva rossa e polverosa, dei ragazzi giocavano. Non lo videro.
Dall'entrata venne un rumore di passi, e la voce di Teresa gli gridò di non allontanarsi, che era quasi pronto. Non si mosse. Del pianterreno dei Cataldo non scorgeva che un lembo di parete illuminata. Nella terza casa, dove abitavano i Bertolli, vide la testa di Nino sporgersi a una finestra, e subito rientrare. Dopo un momento, il ragazzo apparve sulla porta e gli fece cenno d'avvicinarsi, guardando con prudenza intorno. Poi fece rapidamente un altro gesto per fermarlo, e scomparve.
Del resto, non aveva nessuna voglia di vederlo. Non desiderava sentirgli ripetere la sua ingiunzione di tacere: né dovergli rispondere, se lo avesse interrogato, che in realtà aveva taciuto.
Filippo Bertolli, il padre di Nino, gli era arrivato vicino senza che l'avesse udito. Veniva dalla città. « Come va, giovanotto? » chiese con giovialità un po' enfatica, battendogli una mano sulla spalla. Minuto di corpo, il pasticcere serbava, di un'originaria pinguedine,[...]

[...]o. Poi fece rapidamente un altro gesto per fermarlo, e scomparve.
Del resto, non aveva nessuna voglia di vederlo. Non desiderava sentirgli ripetere la sua ingiunzione di tacere: né dovergli rispondere, se lo avesse interrogato, che in realtà aveva taciuto.
Filippo Bertolli, il padre di Nino, gli era arrivato vicino senza che l'avesse udito. Veniva dalla città. « Come va, giovanotto? » chiese con giovialità un po' enfatica, battendogli una mano sulla spalla. Minuto di corpo, il pasticcere serbava, di un'originaria pinguedine, gli occhi sottili, le fossette sul mento e sulle guance, le estremità delicate, e l'affannata lentezza. « Eh, siete nella bella età, voi... Tredici anni Nino, tu dodici: che cosa si può volere di più? »
Non se ne andava. Aveva cominciato uno dei suoi soliti racconti sul tempo che anche lui era ragazzo, e metteva da parte tutti i soldi, e che poi s'era comperato un orologio. Marco s'accorse che parlando non cessava di sorvegliare la strada, sulla quale Giacomo Cataldo stava venendo lentamente verso casa. Quando fu vi[...]

[...]ine, gli occhi sottili, le fossette sul mento e sulle guance, le estremità delicate, e l'affannata lentezza. « Eh, siete nella bella età, voi... Tredici anni Nino, tu dodici: che cosa si può volere di più? »
Non se ne andava. Aveva cominciato uno dei suoi soliti racconti sul tempo che anche lui era ragazzo, e metteva da parte tutti i soldi, e che poi s'era comperato un orologio. Marco s'accorse che parlando non cessava di sorvegliare la strada, sulla quale Giacomo Cataldo stava venendo lentamente verso casa. Quando fu vicino, Filippo si voltò verso di lui con un largo sorriso, come preparandosi a fermarlo.
Giacomo camminava con aria assente. Scorse Filippo all'ultimo momento: gli fece appena un cenno di saluto, e distolse subito lo sguardo, con quella sospettosa e schiva umiltà che gli era apparsa sul volto dopo la disgrazia, e s'accentuava ogni volta che l'ubbriachezza lo aveva spinto a qualche violenza.
«Lo hai visto l'altro ieri? » sussurrò Filippo a Marco, assottigliando la fessura degli occhietti curiosi. Marco fece cenno di no. « [...]

[...]o, con quella sospettosa e schiva umiltà che gli era apparsa sul volto dopo la disgrazia, e s'accentuava ogni volta che l'ubbriachezza lo aveva spinto a qualche violenza.
«Lo hai visto l'altro ieri? » sussurrò Filippo a Marco, assottigliando la fessura degli occhietti curiosi. Marco fece cenno di no. « Me l'ha raccontato Nino », riprese Filippo. « Voleva bastonare Costanza... ».
Se aveva visto! Con gli occhi come ciechi, Giacomo alzava la mano sulla moglie. All'improvviso, Michele aveva preso un fiasco e l'aveva levato contro il padre: pallido, pronto a colpire. Giacomo s'era accasciato sul letto. Più tardi, sul colle, lui aveva visto Michele singhiozzare, il viso premuto a terra. Ma udendo Marco avvicinarsi — le erbe scricchiolavano sotto il piede come sterpi : « Va via! » aveva gridato,
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fuggendo subito più in lá. Quando era riapparso, dopo, s'era messo a giocare al pallone con lui senza dir niente.
Costanza Cataldo usci, venne vivacemente incontro a Giacomo, e lo prese a braccio. A Filippo Bertolli gettò un « Buo[...]

[...] poi si mise a parlare con Giacomo : aveva un viso scherzoso, ma il suo sorriso era così in contrasto con l'aria tetra del suo compagno che finiva col sembrare forzato.
« Come fa, poi... Eccola lá. Sempre allegra! » disse Filippo, con un tono di untuosa e stupita riprovazione, quando furono scomparsi.
Sempre allegra. Anche Teresa lo diceva spesso, di Costanza, e con la stessa aria di biasimo. Un tempo, la domenica mattina, partivano tutt'e due sulla bicicletta di Giacomo, Costanza seduta sul ferro. I bambini li aspettavano sulla strada: ogni volta, ne portavano uno giù di volata per la discesa, a freni sciolti. Come rideva, Costanza! Quando passavano, Antonio si faceva alla finestra : appena raso, con quell'aria linda delle mattine di domenica. Si, era allegra, Costanza. E non stava mai in casa, adesso : anche questo lo diceva sempre, Teresa, e che quel mestiere di vendere sigarette giù al porto una donna onesta non l'avrebbe fatto, lo aveva scelto solo perché le piaceva stare in giro. E così, nessuno sapeva mai dove fosse Michele. Rientrava quando voleva, anche a sera, talvolta. Del resto, lo faceva apposta a star f[...]

[...]l suo posto.
Dietro a Marco, ogni tanto, la porta s'apriva per lasciar entrare un nuovo arrivato. E se qualcuno fosse venuto a cercarlo fin là? Almeno avesse potuto raggiungere suo padre. Non era ancora riuscito a scor
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gerlo: non voleva farsi troppo avanti. Improvvisamente, l'idea che Antonio potesse cantare anche lui gli diede una specie d'inquietudine. In casa, non l'aveva mai udito neppure canticchiare.
Gli occhi fissi sulla parte della sala che s'apriva al suo sguardo, cominciò ad attenderlo con crescente ansia. Passava sempre un po' di tempo fra il momento in cui uno tornava al suo posto e quello in cui un altro, con una certa impacciata risolutezza, s'alzava e, senza guardare gli altri, veniva in mezzo alla stanza. Fu prima un ometto segaligno dai lunghi baffi spioventi, il quale modulò con diligenza una complicata melodia, corrugando di tanto in tanto la fronte. Poi un balbuziente, che stava vicino a Marco (nelle pause, lo aveva visto lottare, scarlatto, contro quell'incepparsi del suono sui denti). Cantò inv[...]

[...]uni bambini, fermi sul ciglio della strada, guardavano verso la casa di Filippo Bertolli.
Erano appena rientrati, quando udirono dei passi.
Apparvero Giacomo e Costanza, Filippo Bertolli, e dietro a lui Nino. Per primo si fece avanti Giacomo, scusandosi di disturbare a quell'ora. Quella dimessa cerimoniosità, in lui abituale, colpi Marco come un fatto inatteso.
Attento a non incontrare gli occhi di Marco, a non guardare nessuno, Nino rimaneva sulla soglia, quasi nascondendosi dietro il padre, con lo stesso volto che aveva sul greto, il ciuffo ritto e il mento un po' rientrante. Una smorfia convulsa gli tendeva all'indietro fra i denti aguzzi il labbro inferiore.
Fu il pasticcere a parlare, a quel suo modo accurato e circostanziato. Michele non era rientrato, Giacomo e Costanza cominciavano ad essere inquieti... Era la scena che Marco attendeva: ma tutto si stava svolgendo in un modo così stranamente diverso! Non osava alzare gli occhi' su Costanza, che gli stava di fianco, vicino al muro. Per quanto si dicesse che non era possibile, le[...]

[...] se n'erano andati, e non aveva quasi visto come.
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« ... Non esser tosi inquieto ». Gli accarezzò piano la testa. « Deve tornare », aggiunse con forza.
Teresa alzò le spalle. Sarebbe ben tornato, disse, non c'era da stupirsi se stava a girovagare anche di notte, quel povero ragazzo, con un padre che sapeva solo ubbriacarsi, e quella... Lasciò la frase in sospeso con un gesto sprezzante, e si mise a riporre i piatti rimasti sulla credenza.
Antonio andò verso il tavolaccio. Alzò l'asticciola che aveva cominciato a incidere, prese un ferro, poi posò di nuovo l'una e l'altro e si mise a disporre tutto in ordine. Metteva da parte le asticciole finite, allineava pazientemente gli arnesi. Tolse anche, una a una, le schegge di legno cadute mentre piallava. Quando ebbe finito, si mise a rifare la punta della matita, poi s'alzò e fece un giro per la stanza, e sedette ancora.
« ...Si potrebbe andare a vedere se c'è niente di nuovo », disse infine senza voltarsi. « Vedere che cosa? » ribatté Teresa. Se n'erano andati da neppur[...]

[...]ento, quella voce rassegnata. Ma almeno oggi, che si trattava di Michele, avrebbe potuto non mentire. Che cosa li faceva dunque tacere, tutti, per paura o per pietá? che cosa nascondevano?
Teresa gettò con violenza le posate in un cassetto.
Finirono per andare. Marco pensare che avrebbe pianto, quando fosse rimasto solo. Ma non poté. Chiuse gli occhi: non sopportava più di vedere le cose, e la cucina, e il bricco del caffè, e gli ultimi piatti sulla credenza, e i rigidi fiori intagliati sulle asticciole, né se stesso, quelle mani che stringevano le ginocchia e poi s'alzavano inquiete.
Si sdraiò sul letto senza svestirsi. Gli pareva che si sarebbe assopito subito, stordito com'era. Ma appena ebbe posata la testa sul cuscino, si senti lucido e desto, col peso degli occhi brucianti contro il bianco delle palpebre chiuse. Tremava. Inutilmente cercava d'irrigidirsi, esasperato da quel tremito che gli faceva avvertire il proprio corpo svuotato, e si propagava al letto malfermo. La testiera, vibrando lieve
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mente, colpiva a tr[...]

[...]co; e piú scura, una svelta figura d'uomo. Riconobbe il fratello, dopo qualche momento, alla risata un po' brusca; e subito Maria, la sua ragazza: leggera nei movimenti, mentre salivano a fianco il pendio.
Si fermarono abbastanza vicino. Pensò di scappare, ma avrebbe fatto rumore; del resto, cosí fermo contro il colle, i due non potevano vederlo. Luigi si voltò verso la ragazza, nascondendola al suo sguardo. Li udì mormorare, poi all'improvviso sulla schiena scura del fratello, appena profilata contro la notte, vide apparire due braccia pallide, e scorrere inquiete. « Si abbracciano », disse per tranquillizzarsi: ma quasi lo sbigottivano, quelle mani separate e come spaurite. Non sapeva staccarne gli occhi: sembravano cercare a tentoni un appoggio, premevano con le dita divaricate, s'avvinghiavano, scorrevano ancora a quel modo cieco e ansioso, si rizzavano come a schermo di un colpo. Finalmente si staccarono, e sedettero vicini.
Li scorgeva nitidamente, ora. Tacevano. Quante volte aveva visto delle coppie come quella, sedute sul colle p[...]

[...]come faceva ora Luigi. Gli poteva distinguere il volto, girato di profilo : aveva la fronte corrugata e la smorfia testarda della bocca che gli conosceva in certi momenti di mutismo, quando anche Teresa evitava di andargli vicino.
Maria teneva la testa appoggiata alla sua spalla. Poi alza il viso. « A cosa pensi? » la udì mormorare.
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Luigi si riscosse. « A niente ».
Poi Marco vide di nuovo quelle mani; e subito quelle di Luigi sulla veste chiara. Dure, come ostinate a far presa.
La stretta lama di un riflettore si fermò un attimo sulla lontana oscurità del mare: apparve una breve superficie, scialba e ,vuota.
Fu in quel momento che s'udì il grido di Caterina. Alto, ininterrotto. Un grido d'appello che non lasciava modo a risposta alcuna.
Seguì un rumore lontano di porte chiuse, un mormorio di voci. Giuseppe Spinola doveva aver chiamato la vicina per l'iniezione. Il grido continuava acuto, ancora più acuto, come svincolandosi da un rantolo. Marco l'ascoltava come se lo riconoscesse.
Terminò e si ruppe su un nitido: No!
Tornò per primo Luigi, che venne a lavarsi all'acquaio. Vide che Marco era sveglio.
« Hai sentito di M[...]

[...] quando si coricarono, sentire il calore del corpo di sua madre sotto il lenzuolo.
Dopo qualche tempo, il levarsi della luna gli fece scorgere il viso di Antonio, di una rigidezza senz'abbandono. Pensò che anche lui non dormiva, fingeva soltanto.
Teresa s'alzò un momento sul gomito per vedere, al di lá di Marco, il marito. Si lasciò ricadere con un sospiro. Doveva aver creduto al suo sonno. S'avvicinò a Marco, la sua mano ruvida lo toccò piano sulla fronte. Un movimento involontario per cacciare una ciocca di capelli della madre che gli vellicava il collo lo tradì. «Dormi?» chiese piano Teresa. Trattenne il respiro. Teresa gli accostò iI viso alla guancia. La senti umida. Mormorava piano, in modo sommesso e tenero: con la voce, forse, si disse Marco, con cui gli parlava quando lui non poteva ancora capire. A lui non poteva accadere, diceva Teresa; non era vero, che non poteva accadere? Lei gli stava attenta, Marco lo sapeva che era sempre attenta. Gli voleva troppo bene, perché potesse accadergli la cosa che era accaduta a Michele, Non e[...]

[...]la casa dei Cataldo. « Non avranno di sicuro la testa per pre
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pararsi da mangiare, oggi ». Quando vide che Marco s'avviava ad uscire, gli raccomandò con aria inquieta di non allontanarsi.
Dall'andito, udì dei passi nella strada, e la voce di Filippo Bertolli. Si nascose dietro la porta. « Porto Nino a fare la comunione », diceva Filippo. « Che almeno ci sia chi prega per quel povero figioeu... ».
S'allontanarono.
Più in alto sulla . strada, due suoi compagni, seduti sul ciglio, giocavano a palline, altri stavano intorno. Avevano un'aria distratta e svogliata. I più piccoli seguivano con lo sguardo Nino e Filippo che scendevano lungo la strada. Nino camminava rigido, il padre lo seguiva con quel suo passo saltellante sui piedi troppo piccoli. La giacca scura faceva sembrare ancora più rosea la pelle che traspariva sotto i rari capelli impomatati.
Senza guardare verso il gruppo dei ragazzi, Marco svoltò giù per il colle. Scese, poi s'addentrò nella città, e girò a lungo in uno stato di vago stordimento, scegliendo le vi[...]

[...]i, sembravano imporsi a vi
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f
tenda il gesto che avrebbe permesso di gettare la colpa addosso a qualcuno : come uno schiaffo o uno sputo.
La gola stretta, Marco si ritirò lentamente. Risalì i vicoli che parevano ancora più scuri, adesso. Le mura altissime fra cui erano serrati s'incurvavano in alto, sostenute l'una all'altra da sbarre di pietra cosparse di polvere. Dappertutto, la stessa dura pazienza di donne a cucire sulla porta dei loro antri, la stessa muta pigrizia di ragazzini che giocavano tra le immondizie dei rigagnoli. Qua e là, su scialbi muri squarciati dalle bombe, s'aprivano solitari lembi di cielo.
A un tratto, Marco udì una voce soffocata e insieme stridula, interrotta da ansiti. Avanzò lentamente fino all'imboccatura del vicolo da cui questa proveniva. C'era un gruppo di persone davanti alla porta di un pianterreno : sulla soglia, un uomo giovane, pallidissimo, si torceva le mani. Al movimento d'uno degli spettatori, Marco vide chi gridava, una grossa donna dal viso livido; un'altra, bruna e sottile, le stava davanti, e la guardava senza una parola, con occhi dilatati. Giovani, l'una e l'altra. Improvvisamente, quella che gridava s'avventò: la bruna precipitò a terra e l'altra le cadde sopra, accosciata, senza lasciar presa. S'era sentito un colpo sordo. Ansimando, la donna continuò a scrollare per le spalle quel corpo prostrato. La sottana risalita fino all'inguine, essa serrava tra le cosce pesanti il corpo d[...]

[...]s'avventò: la bruna precipitò a terra e l'altra le cadde sopra, accosciata, senza lasciar presa. S'era sentito un colpo sordo. Ansimando, la donna continuò a scrollare per le spalle quel corpo prostrato. La sottana risalita fino all'inguine, essa serrava tra le cosce pesanti il corpo della sua vittima, come un cavaliere impazzito che spronasse una bestia esanime.
Nessuno si mosse, come se una ignota condanna impedisse a chiunque d'intervenire. Sulla porta, l'uomo continuava a torcersi le mani.
Riuscì a voltarsi. Corse a lungo. Non aveva che un pensiero : salire, lasciare quelle strade precipitanti tutte verso il mare, che ogni tanto balenava in fondo ai crocevia. Ma a mano a mano che saliva, il mare si dilatava sempre più tra le scure fessure dei tetti d'ardesia, fino ad abbracciare, abbacinante, tutta la costa.
i

«Ma che cosa, dunque, che cosa? » diceva la voce di Costanza. « Una macchina? Ma si sarebbe saputo. E neppure il mare. Era calmo, ieri, e Michele sa nuotare. E chi avrebbe potuto volergli fare del male? Ma no, é assurd[...]

[...]. Chiedeva sempre dell'elicottero di celluloide che lui faceva volare un giorno sotto le finestre degli Spinola. Caterina s'alzava ancora dal letto, allora. S'era affacciata al davanzale, ed era rimasta a guardare: l'elica rossa, ruotando, brillava al sole, si spegneva, tornava a brillare, librata.
« Si », rispose come sempre, esitando. Caterina aveva chiuso gli occhi. La cornea e la pupilla s'intravvedevano, ugualmente chiare, tra le palpebre. Sulla facciata di fronte, dei panni stesi s'agitavano sotto lievi raffiche. Era lo stesso vento di quel giorno, ma più molle, estenuato. Sarebbe andato bene ugualmente l'elicottero, si disse Marco. Poi si vergognò di averci pensato : e lo stupì che potesse venire in mente a Caterina.
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Non capiva più che cosa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, la porta del pianerottolo s'aperse piano. Qualcuno si avvicinava, si fermava incerto sulla soglia : poi entrò. Antonio. Evitando di gua[...]

[...]iorno, ma più molle, estenuato. Sarebbe andato bene ugualmente l'elicottero, si disse Marco. Poi si vergognò di averci pensato : e lo stupì che potesse venire in mente a Caterina.
IL SILENZIO 187
Non capiva più che cosa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, la porta del pianerottolo s'aperse piano. Qualcuno si avvicinava, si fermava incerto sulla soglia : poi entrò. Antonio. Evitando di guardare Marco, si diresse verso la seggiola accanto al letto. Sedette con pesante lentezza.
« Ecco », disse questa volta Caterina.
Per un attimo, il respiro di lei parve più rapido. Una lieve contrazione degli zigomi fece risaltare più duramente, nel viso scarno, il suo naso affilato. Poi si rilassò.
« Fa lo stesso », disse.
Antonio gettò di sfuggita sul figlio uno sguardo quasi timoroso. Si coperse gli occhi con la mano, il gomito appoggiato al ginocchio: le sue dita tormentavaño piano le tempie. Lentamente, posò l'altra mano su quella della mala[...]

[...]ato la testa : Marco gli vide le orbite peste e gli occhi arrossati. Anche lui, ora, fissava la malata; poi rivolse di nuovo a Marco quello sguardo rapido e timoroso.
« Fa lo stesso » ripeté Caterina. E Marco udì un no sommesso ma violento, e stranamente rauco, come se a stento Antonio avesse trattenuto un grido.
Il viso di Caterina rimase immutato, quasi essa non avesse udito.
Antonio s'alzò, venne verso Marco, e con una pressione della mano sulla spalla gli indicò che uscisse. Ma come accennando a parlare, le labbra della morente vibrarono di un lieve tremito, denudando le gengive pallide.
«Si sta bene sul Righi », disse infine con un tremito più forte delle labbra, che abbozzarono faticosamente un sorriso. Si voltò adagio verso la finestra. « Tira a piovere », disse ancora, lo sguardo alla foschia livida che pesava sull'orizzonte. « $ buono... quando sa tutto di pioggia ».
« ...E di sale » prosegui piano Antonio. « La terra, i capelli... ».
Marco aveva indietreggiato, scostandosi dal letto, come avesse voluto fuggire. Guardava fis[...]

[...]lla foschia livida che pesava sull'orizzonte. « $ buono... quando sa tutto di pioggia ».
« ...E di sale » prosegui piano Antonio. « La terra, i capelli... ».
Marco aveva indietreggiato, scostandosi dal letto, come avesse voluto fuggire. Guardava fisso la morente.
C'era quell'odore di pioggia e di sale, ricordò a un tratto, un giorno
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che lui e Michele correvano su una striscia sabbiosa lambita dal mare. I piedi lasciavano sulla sabbia bagnata un'orma chiara che poi un velo d'acqua, lentamente trapelando, faceva quasi nera, e traslucida... Aveva sperato di parlare a Caterina, si disse, quand'era corso da lei: ma adesso avrebbe dovuto farlo in altro modo, e non sapeva come. Erano felici, quel giorno, lui e Michele: di questo, appena, avrebbe parlato. O forse, di come gli ronzava il sangue negli orecchi, mentre nuotava : perciò, non si potevano udire gli altri. E avrebbe voluto dire che sapeva molte cose di Michele : sapeva che quando serrava i denti, e gli apparivano sulle guance due chiazze livide, era che non poteva[...]

[...]trovarlo.
Caterina aveva lo sguardo fisso alla cresta del Righi. Si vedevano ora lassù, nitide, lontanissime, due persone : una delle tante coppie che salivano con la funivia e vagavano per il colle.
La mano d'Antonio gli premeva di nuovo la spalla, guidandolo verso la porta. Lo segui.
Gli parve, mentre scendevano le scale, che il padre cercasse le parole per dirgli qualche cosa. « Dio, Dio, Dio... » si limitò a borbottare tra i denti.
C'era sulla strada un assembramento di gente, appena fuori del quartiere. Guardò, attraverso la finestra aperta, nel pianterreno dei Cataldo : deserto. Capi che qualcuno della questura doveva essere arrivato. « Ora m'interrogheranno », si disse « e sarà finita ».
Nino era tra altri ragazzi che, dietro agli adulti, si serravano per vedere: pallidissimo, ma avevano tutti un'aria così spaurita. L'agente, un uomo dal viso bruno e pigro e dalle palpehre pesanti sugli occhi molto neri, sembrava sorridere mentre parlava : ma forse era solo un'im
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pressione che veniva dall'atteggiamento natural[...]

[...], sembrava sorridere mentre parlava : ma forse era solo un'im
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pressione che veniva dall'atteggiamento naturale delle sue lunghe labbra sinuose. Si rivolgeva a Giacomo, che stava seduto su di un paracarro; ma più di lui rispondeva Filippo Bertolli, l'aria premurosa e perfettamente a suo agio, agitando con più circospezione del solito quelle sue caute mani. L'agente teneva in mano un taccuino, e ogni tanto vi scriveva, inumidendo sulla punta della lingua la matita, che vi lasciava una piccola traccia violacea.
Antonio era rimasto un po' indietro, e guardava Costanza che stava a lato del marito, una mano posata sulla sua spalla. Così accasciato, Giacomo pareva piegare sotto quel peso, eppure Costanza non si appoggiava : lo guardava ritta e pallida, tosi tesa che, sembrò a Marco, un colpo l'avrebbe trovata dura come il macigno, o rovesciata di schianto
come un'antenna.
« Ora chiamerà noi », pensò Marco. Invece l'agente si voltò verso Costanza. Di profilo, il suo viso mutava stranamente. L'orecchio piatto e allungato, come stirato dal basso verso l'alto, gli dava, a contrasto con la pigrizia dei lineamenti, una bizzarra espressione di vigilanza animale. Marco capi che faceva delle domande sul mestiere di[...]

[...]ondeggiava. Camminava rigida, il corpo inclinato in avanti, tra i due pescatori che le si erano messi a fianco. Egli distingueva anche Antonio, adesso, che procedeva rapido come per raggiungerla;. e Giacomo. Gli altri seguivano più lentamente. Per un poco Antonio continuò da solo con dietro Giacomo che arrancava. Poi si fermò ad aspettarlo, e prosegui con lui. Andavano più adagio dei tre che precedevano: eppure Giacomo, oscillando scompostamente sulla gamba di legno, sembrava il solo a correre.
Costanza e i due pescatori erano già nascosti dalle prime case, che ancora i due avanzavano lentamente a metà strada, tra i colli nudi.
A un certo momento, Antonio passò la mano sotto il braccio di Giacomo, cercando di sorreggerlo: ma riuscì soltanto a dare intralcio al suo lungo passo rigido. Quando Antonio si staccò, Giacomo rimase qualche istante immobile, a testa china; poi riprese a camminare, e infine scomparvero anche loro.
C'era una cavità nel terreno, vicino a Marco. Era una delle trincee che lui stesso, molti mesi prima, aveva scavato c[...]

[...]igato dall'acqua.
Un aroma forte saliva intorno, insieme a un leggero crepitio, dalle erbe corte e dure. Più tardi si levò il vento: il cielo sembrò indurirsi.
Già impallidiva, quando Marco senti venire di lontano il solito grido: « All'erta! ». S'alzò, aggrappandosi con le mani all'orlo della trincea. Il grido s'avvicinava, meno fitto del solito: così isolata, ogni voce sembrava chiara, e fragile, in quella cerchia nuda. Non c'era più nessuno sulla strada. In fondo, tra le facciate scialbe, i vetri chiusi di Caterina mandavano un riflesso verdastro. Il grido si fermi). Una lunga lunga pausa : le trincee vicine dovevano essere vuote, certo mancavano tutti i ragazzi d'Oregina. L'eco del grido pareva essersi fissata nell'aria. Attese, trattenendo il respiro, che qualcuno lo continuasse; come sperso in quel vuoto in cui la catena si spezzava. All'improvviso — e quasi non riconobbe la propria voce — si senti rispondere: «All'erta! ». Lo ripeté ancora, una, due, tre volte, alto, nitidissimo: «All'erta! All'erta! ».
Lontano, un'altra voce ris[...]



da (Mito e civiltà moderna) Diego Carpitella, I «primitivi» e la musica contemporanea in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]nel cui ambito rientrerebbe naturalmente anche la musica contemporanea.
In tal senso un'analisi del « primitivo » assume un valore notevole: sia perché data l'asemanticità dell'espressione musicale il valore dei « simboli » prende più rilievo; sia perché attraverso l'esame di alcuni dati sociologici, psicologici, etnologici, è possibile arrivare all'esplicazio ne di alcuni motivi della musica contemporanea. Uno studio, comunque, che va condotto sulla struttura « essenziale » del linguaggio.
Premesse necessarie queste per chiarire, ad esempio, che dal « primitivo » nella musica contemporanea sono automaticamente escluse le esperienze folkloriche romantiche (le cui determinanti storiche sono state, in gran parte, di carattere nazionalepolitico), e per distinguere, nella musica popolare, l'utilizzazione organica (a cui appartengono Bartók, Janacek, ecc.) da quella meccanica (cioè della « citazione » su una struttura lessicale definita) (6). Eguale distinzione è necessario fare nella
(4) Cfr. S. FREUD, Totem e Tabù. Alcune concordanze nella[...]

[...] S. FREUD, Totem e Tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici. (Ed. it. Bari, Laterza, 1953).
(5) Cfr. Cu. R. ALDRICH, Mente primitiva e civiltà moderna (ed. it. Torino, Einaudi, 1949; C. G. JUNG, L'Io e l'inconscio (ed. it. Torino, Einaudi, 19481954); L. LÉVYBRUHL, L'anima primitiva (ed. it. Torino, Einaudi, 1948); B. MALINOWSKI, Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi (id. 1950).
(6) Cfr. B. BART6K, Scritti sulla musica popolare (ed it. Torino, Einaudi, 1955); e Tn. W. AnoRNo, Philosophie der neuen Musik (Tübingen, 1949). Trad. It. di G. Manzoni (Torino, Einaudi, 1959) con un saggio introduttivo di L. Rognoni.. A pag. 43 (note): « Dove la tendenza evolutiva della musica occidentale non si è imposta del tutto, come in alcuni territori agrari dell'Europa del sudest, si è potuto impiegare senza disonore fino al più recente passato un materiale tonale. Basta pensare all'arte di carattere etnico ma grandiosa nella sua coerenza di Janacek, e anche a buona parte della musica di Bartok che, con tutta l'inclin[...]

[...]tica » di scale cinesi, giapponesi, giavanesi, indios e di spirituals negri, e relativa orchestrazione cfr. Mosco GARNER, The exotic element in Puccini in The Musical Quarterly (January, 1936, pp. 4567). Per il funzionamento «orientale» di Messiaen, vedi Le rythme chez Messiaen (in Poliphonie nn. 12, pp. 5864) e l'utilizzazione di alcuni principi ritmici (il virama) della musica popolare indù nella tecnica etereometrica della variazione ritmica. Sulla utilizzazione di una pseudolingua immaginaria indù vedi in Notes (Juin, 1950, p. 435) la recensione di A. W. Locke, ai Cinq Rechants, in cui é riportato l'inizio di uno dei canti: «Hayo kapritana lalilalilalila ssareno les amoureux s'envolent Brangien dans l'espace tu souffles amoureux s'envolent vers les étoiles de la mor tktkt (parlé percuté) hahahahahaha soif ».
(8) V. NErrL, Music in primitive culture, op. cit. Cfr. R. LEYDI, Musica popolare e musica primitiva ne L'Approdo Musicale (nn. 1234, gennaiodicembre 1958, anche la discografia sull'argomento.
(9) Le sacre du printemps. Tableaux [...]

[...], Ricordi della mia infanzia, Berçeuses du chat, Soucoupes, Storie per bambini, Quattro canti russi, Le rossignol, Renard, L'Histoire du soldat, Mavra, Le nozze. A proposito di quest'ultime cfr. R. VLAD, Strawinsky (Torino, Einaudi, 1958) le scene delle Nozze sono così divise: La treccia, La benedizione dei genitori, Partenza della sposa e lamento dei genitori, Banchetto nuziale e veglia dei genitori dinanzi alla camera dei giovani. Scrive Vlad, sulla partitura: « Questa si basa sull'impiego di quattro pianoforti e su di un nutrito gruppo di batteria comprendente: quattro timpani, xilofono, campane, due casse rullanti, due tamburi militari, tamburo basco, grancassa, piatti, triangolo e due crotali... Ma questa trascinante, festosa, a volte orgiastica esuberanza non nasconde, ma rivela per contrasto un sottofondo tragico. E come se gli uomini che partecipano a quei riti cantassero, anzi, gridassero così forte per sopraffare il senso di dolore e di angoscia che essi provano in fondo al cuore » (p. 87).
I « PRIMITIVI » E LA MUSICA CONTEMPORA[...]

[...]ti cantassero, anzi, gridassero così forte per sopraffare il senso di dolore e di angoscia che essi provano in fondo al cuore » (p. 87).
I « PRIMITIVI » E LA MUSICA CONTEMPORANEA 117
anche a quella di Totem e tabù. Non si voleva affatto in Francia contrapporre in tal modo al progresso il mondo preistorico: ma piuttosto si "indagava" questo distacco positivistico assai adatto alla distanza che la musica di S. conserva dagli orrori che avvengono sulla scena e che essa accompagna senza commenti: "Ces hommes crédules — scriveva Cocteau con buone intenzioni illuministiche e con una certa benignità a proposito della gioventù preistorica del Sacre — s'imaginent que le sacrifice d'une jeune fille élue entre toutes est necessaire à ce que le printemps recommence". La musica dice: cosi stanno le cose e come Flaubert nella Madame Bovary non prende posizione. L'orrore viene osservato con un certo compiacimento, non trasfigurato, ma rappresentato senza mitigazioni... » (12).
Ancora sulla struttura di alcuni passi del Sacre:
p. 150 ... « A volte si[...]

[...]au con buone intenzioni illuministiche e con una certa benignità a proposito della gioventù preistorica del Sacre — s'imaginent que le sacrifice d'une jeune fille élue entre toutes est necessaire à ce que le printemps recommence". La musica dice: cosi stanno le cose e come Flaubert nella Madame Bovary non prende posizione. L'orrore viene osservato con un certo compiacimento, non trasfigurato, ma rappresentato senza mitigazioni... » (12).
Ancora sulla struttura di alcuni passi del Sacre:
p. 150 ... « A volte si tratta di una scelta limitata dai dodici suoni, all'incirca come nella pentatonia, quasi che gli altri suoni fossero un tabù e non potessero esser toccati: si può ben pensare, nel caso del Sacre, a quel délire de toucher che Freud riconduce al tabù dell'incesto... ».
Da questo senso di tabù deriva « una certa torbidità sia nel colorito generale che nei singoli caratteri musicali
Ed ecco che l'Adorno passa gradualmente dal primitivismo generico ad un più preciso primitivismo psicologico:
p. 159 ...« Egli esaspera talmente la tens[...]

[...]la prassi, cadeva in disgrazia. La barbarie tedesca — era forse stata questa l'idea di Nietzsche — avrebbe, senza menzogne, sradicato insieme con l'ideologia, la barbarie stessa. Nonostante ciò l'affinità del Sacre con il suo modello é incontestabile, e così il suo gauguinismo, le simpatie del suo autore che, come riferisce Cocteau, sbalordiva i giocatori di Montecarlo mettendosi i gioielli di un sovrano negro » (Le coq et l'Arlequin, op. cit.). Sulla degenerazione del primitivismo in barbarie cfr. l'introdu clone di R. Bianchi Bandinelli a Frobenius, Storia delle civiltà africane (Torino, Einaudi, 1958, 2a ediz.).
(13) S. FREUD, Totem e tabù, op. cit.
118 DIEGO CARPITELLA
ciò di cui l'esperienza dell'arte moderna è sicura, cioè a quell'arcaicità che costituisce lo strato profondo dell'individuo e che si affaccia nuovamente nella sua decomposizione, incontraffatto e attuale. Le opere che stanno tra il Sacre e la virata neoclassica imitano il gesto della regressione, tipico della dissociazione dell'identità individuale, e se ne aspettano[...]

[...]smo di Strawinsky sa di dover pagare questo scotto. Egli disdegna l'illusione sentimentale O wüsst ich doch den Weg zurück (17) e si mette artificialmente dal punto di vista della malattia mentale per rendere manifesto il mondo primitivo attuale. Mentre i borghesi accusano la scuola di Schoenberg di pazzia per il fatto che non fa loro alcuna concessione, e trovano Strawinsky spiritoso e normale, la costituzione della sua musica è stata modellata sulla neurosi ossessiva, e ancor più sullo sconfinamento psicotico di questa, la schizofrenia a.
(14) C. G. JUNG, op. Cit.
(15) Vedi le composizioni infantili a nota 11.
(16) J. PIAGET, La rappresentazione del mondo nel fanciullo (Torino, Einaudi, 1955. Cap. IV, pp. 135165.
(17) E la seconda parte di Heimweh, Lied di Brahms su testo di Klaus Groth (a Oh, potessi conoscere la via del ritorno! », nota del traduttore di Adorno, op. cit., p. 166).
I « PRIMITIVI » E LA MUSICA CONTEMPORANEA 119
Nonostante le affermazioni dell'Adorno risentano continuamente di un tono polemico, tuttavia non c'è dubb[...]

[...]ivi.
In effetti i primi interessi verso la musica extraoccidentale si ebbero ad opera di missionari, come quelli spagnoli che durante il sec. XVII si occuparono della musica delle alte culture indios (24). Fu poi durante l'illuminismo che l'interesse verso la musica primitiva e orientale prese rilievo nelle opere di Rousseau, Amiot, Jones (25) che si occuparono di musica cinese e indiana, e quindi alla metà dell'800 con gli studi di Kiesewetter sulla musica araba (26).
L'interesse verso il folklore delle scuole nazionali romantiche sem
(23) Cfr. NETTL, op. cit., per definizione di « etnomusicologia ».
(24) R. STEVENSON, Music in Mexico (N. Y. 1953) in Nnrrr., op. cit. Nella presente bibliografia sono citati soltanto alcuni studi particolarmente utili alla nostra tesi. Per una bibliografia completa, v. B. NETT., op. cit., « Annotated Bibliography », pp. 145166, e « Notes », pp. 167174. Cfr. inoltre: J. CHAILLEY, Précis de musicologie, Presses Universitaires de France, 1958: cap. « L'ethnomusicologie » (par C. Brailoiu), pp. 3152; cap. «[...]

[...] della musica araba (AlKindi) e constatando la presenza di intervalli inferiori al semitono (quarti di tono) tipici delle scale orientali (28). Accanto a Stumpf, il nome più importante é quello di Erich M. von Hornbostel, i cui studi si indirizzarono agli aspetti fisicoacustici della musica: intervalli, sistemi tonali, altezza e timbro, ritmo, ecc. (29). Con il perfezionamento del fonografo, intorno al 1890, si ebbe una più valida documentazione sulla musica primitiva e orientale (Indios, Africa, Melanesia, Turchia, Giappone, Tunisia, ecc.) e in tal senso gli Archivi dell'Istituto Psicologico di Berlino ebbero un grande rilievo. Hornbostel lavorò nelle sue ricerche sulla musica primitiva con un fisico, l'Abraham (29). Da Stumpf e da Hornbostel deriva tutta la scuola tedesca i cui maggiori rappresentanti furono Lachmann, Fischer, Schneider, Kolinski, Sachs, Lach, Herzog (30) con i quali sono stati praticamente trattati quasi tutti gli aspetti strutturali della musica primitiva e orientale. Bartók, che si occupò del folklore dell'Europa sudorientale e della musica del nordAfrica (constatando che la linea di demarcazione tra folklore arcaico e musica primitiva é molto labile) segui in gran parte i metodi della scuola tedesca (31). Da questo approfondimento della[...]

[...]tyles in North America, « Proceedings of the twentythird International Congress of Americanists », 1928, pp. 455458; B. NETTi., Stylistic Variety in North American Indian Music, « Journal of the American Musicological Society », vol. 6, n. 2, 1953; R. LACHMANN, Musik der aussereuropäischen NaturundKulturvölker, in « Handbuch der Musikwissenschaft », 1929; C. SACHS, The Rise of Music in the Ancient World (New York, 1943).
(31) B. BARTÓK, Scritti sulla musica popolare, Torino, Einaudi, 1955.
I «PRIMITIVI» E LA MUSICA CONTEMPORANEA 125
ricerca e le origini della musica, di cui si occuparono Wallaschek, Sachs, Lach, Lachinann, i quali trattarono anche alcuni problemi relativi alla musica primitiva e quella occidentale (32).
Con la fusione di alcuni studiosi anglosassoni e di rappresentanti della musicologia comparata tedesca — Fillmore, Flechter, Boas, Densmore, Roberts, Herzog, Metfessel ed altri — nacque la scuola americana
i cui scopi, fin dall'inizio, furono l'esame degli aspetti antropologici e della pratica musicale dei « primitivi [...]

[...]i riportare questi sistemi musicali nel tradizionale pentagramma. L'oscillografo di Jones, di Densmore, di Gilman (34); il metodo fonemico di Stumpf e Hornbostel, quello fonetico di Herzog (35), unitamente alla pratica ormai acquisita da tutti gli studiosi di « registrare » con mezzi meccanici la musica primitiva e popolare, non fecero che sottolineare le crisi della scrittura, e quindi del sistema, occidentale.
In tempi più recenti le ricerche sulla musica primitiva, orientale e folklorica arcaica si sono talmente approfondite, che allo stato attuale é possibile documentare alcune analogie con il « primitivo » nella musica occidentale.
Tra le osservazioni piú interessanti che si possono fare sulla musica
primitiva » utili al nostro discorso, e in base a questa tradizione di studi, vi sono: le scale (che sono in fondo una definizione colta a posteriori) sono delle successioni di suoni (quasi delle serie) in cui, generalmente, manca un'accentuata funzione « tonica » contrariamente all'armonia tonale tradizionale eurobianca. Prevale in gran parte la modalità, e anche quando vi sono scale tonali molto vicine a quelle bianche, il risultato fonico é completamente diverso, in quanto intervengono nell'ese
(32) R. WALLASCHEK, Anfänge der Tonkunst.
(33) A. P. MERRIAM, The use of music in the [...]

[...]la melodia tradizionale eurobianca. Quanto al ritmo esso si presenta in una molteplicità di aspetti (anche perché strettamente legato alla parola) (38), asimmetrici (soprattutto nella musica orientale) e isometrici (nella musica africana). Il ritmo costruttivo é quindi determinante nel
la costituzione delle forme strofiche, anti f onali e responsoriali, nelle
formelitanie e in quelle varianti. Ma uno dei risultati più importanti delle ricerche sulla musica primitiva, é stata certamente la polifonia, che per lungo tempo è stata ritenuta una prerogativa civile eurobianca tra gli studiosi più importanti, l'Helmholtz e Schneider (39). A quest'ultimo si deve una precisa documentazione sulla divisione in quattro aree della polifonia primitiva secondo due criteri: la simiglianza e la diversità tra l'organizzazione tonale delle parti individuali; l'analogia
o la diversità dell'importanza delle parti individuali. Per cui si é arrivati nella polifonia primitiva, alla individuazione dell'etero f onia, agli intervalli paralleli, all'imitazione, al canone, all'ostinato, al bordone. Si aggiunga a tutto ciò le particolari tecniche di esecuzione che comprendono grida, richiami, melodieparlate,. ecc.
Nonostante questa nostra rapida rassegna ci costringa ad osservazioni di carattere genera[...]

[...]elementi etnici, sociali, religiosi, psicanalitici. Solo così è possibile stabilire la presenza del « primitivo » nella musica contemporanea, non solo « seria » ma anche leggera », anzi attraverso quest'ultima — dalle migliori espressioni jazz fino alle più spurie colonne sonore — è possibile chiarire fino a che punto il « primitivismo » si sia commercializzato (50). Perché poi il « primitivismo » della musica jazz e « leggera » faccia più presa sulla massa, di quanto non il primitivo nella musica « seria », ciò dipende da un processo di destorificazione intellettualistica che il materiale primitivo subisce. Cioè : il primitivismo psicologico della musica « seria » che non viene accettato dalla porta, entra invece dalla finestra, con il primitivismo psicologico e di struttura della musica jazz e «'leggera »: viene anzi usato come un mezzo di rimozione e un simbolo di feticismo nella musica (51). Forse da quando esiste il dualismo musica « seria » e musica « leggera » non si è mai avuto un comune denominatore così unitario, ma con risultati[...]



da Armanda Guiducci, La morte grande in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]za bella ». Come a tutti gli spazi capaci di sprigionare un fascino potente, alla Piazza Rossa non si capita, si accede. Si arriva, cioè, con una preparazione. Che si provenga, infatti, dalla via Gorki e dalla piazza della Rivoluzione, che si giunga dalla piazza Manejnaïa, ad essa si sale. (Una fatalità da leggenda? Anche Mosca è costruita su sette colline). L'immensa spianata si apre allora all'occhio, con la grandezza di una cosa conquistata.
Sulla fiumana dell'asfalto, risorge improvviso ciel che da secoli sta: le mura merlate, le torri e le guglie, le chiese e i bulbi sfavillanti del Cremlino. A Sud, le zucche che si bilicano sulle torri della chiesa del Beato Basilio, a girotondo, esasperandone i lobi, gli occhi, le verruche di maiolica splendente, distaccano il cielo dal dorso della piazza. Dietro quelle cupole tortili, il pesante cielo moscovita dirada e sprofonda. Le nuvole galleggiano, portate al largo e lontane.
La prima acutissima sensazione che l'esserci nella Piazza Rossa, dà, è di respirare un tempo remoto.
Sopra la cintur[...]

[...]a pas
(1) Questi versi, e i seguenti citad nel testo, sono di Majakowskj.
LA MORTE GRANDE 59
sare nelle vicinanze si ferma sui due piedi. La sentinella saluta, un gerarca in divisa varca spedito la soglia, una grossa macchina nera gli scivola incontro. Qualcun altro in divisa scende dalla vettura, apre lo sportello, si inchina. Il gerarca si curva, monta. L'automobile parte veloce sull'asfalto, aumenta di velocità, scompare al di là del ponte sulla Moscova.
Sul semaforo scatta il verde. Di colpo, la gente riprende a camminare, il traffico si scongela.
Sulla Piazza Rossa l'andirivieni umano obbedisce a due ossessioni precise: della vita, della morte.
Dalla parte dei grandi magazzini, il formicolio é intenso. Donne e uomini marciano incessantemente verso gli ingressi, con reti strette nei grossi pugni. Questa rete che vedete pendere in mano a ogni cittadino moscovita, nella quale v'imbattete continuamente (non solo all'entrata e all'uscita dei magazzini, ma lungo ogni percorso cittadino) — flaccida, o gonfiata di pacchi di ogni sorta — é qualcosa di più di un oggetto standardizzato e d'uso normale. Diventa un simbolo della ricerca e della conquis[...]

[...]tà architettonica) deve il suo fascino sinistro al fatto di poterli vedere, i morti. (« Io temo / che le processioni / ed i mausolei / il regolamento fisso / dell'amministrazione / anneghino / nell'incenso dolciastro / la semplicità / di Lenin. / Per lui tremo, come per la pupilla dell'occhio, / che non sia / falsato / dall'ideale dei pasticceri »).
Non so quanto questo fascino, che é quello arcaico ed irresistibile di una rivincita ingannevole sulla distruzione dell'essere umano, possa giocare molti dei pellegrini che giungono fin dalle repubbliche più lontane per sfilare davanti alle salme, sostare dinanzi a loro un attimo
LA MORTE GRANDE 61
solo, e uscire con quella visione impressa negli occhi per tutta la vita. Dubito che possa mancare la sua presa; anche una coscienza preparata può difficilmente esorcizzarlo. Osservando nel corteo molte facce fisse e ottuse, arrivate chissà da quali campagne, vien fatto di pensare che, inevitabilmente, quel fascino si fisserà nella venerazione, nella superstizione, in un culto mistico della potenz[...]

[...] possa mancare la sua presa; anche una coscienza preparata può difficilmente esorcizzarlo. Osservando nel corteo molte facce fisse e ottuse, arrivate chissà da quali campagne, vien fatto di pensare che, inevitabilmente, quel fascino si fisserà nella venerazione, nella superstizione, in un culto mistico della potenza dei propri capi e del proprio paese.
Che la regia del corteo miri a questo, é indubbio. La gente si assiepa fin dal mattino presto sulla Piazza Manejnaïa per aspettare il momento di essere ammessa al corteo, e di risalire in quello fino alla Piazza Rossa. Si tratta di una calca vera e propria, che si stringe ventre contro schiena, paziente e intollerante com'è sempre la folla in attesa, capace di una resistenza incredibile, viperinamente attenta a impedire ogni minima varco. I poliziotti la smistano, la inquadrano in ordine di precedenza. Alla coda del corteo vengono aggiunte due persone per volta. Subito, con passi lentissimi, esse si adeguano, diventano processione.
È rigidamente proibito camminare per tre. Un poliziotto in[...]

[...]Lo vogliono la lunghezza, il ritmo.
La regolarità con cui al corteo, continuamente mozzato della testa, viene rinnovata la coda, fa si che la serpentina non appaia un solo momento più breve, più rada. L'effetto è schiacciante; francamente — senza paragone. Tutti i visitatori dell'Urss non hanno esitato a definirlo
grandioso ». Con quest'aggettivo si liquida l'impressione soggiogante del numero che si moltiplica all'infinito. Un'impressione che sulla Piazza Rossa diventa un'esperienza visiva, un'emozione tanto più forte se, estendendo al tempo quella moltiplicazione nello spazio, si pensa che é da più di trenta anni che attraverso la piazza il gran serpe si snoda, si segmenta, e ricresce.
Altra cosa intollerata: che si parli. Ho veduto un vecchio dall'aspetto pezzente cacciato brutalmente fuori dalla fila per questa ragione, e rinserito solo dopo una contestazione concitata con un gruppo di poliziotti. II silenzio aiuta la lentezza, è un elemento indispensabile del rituale. In silenzio procedono giovani, vecchi, uomini, ragazzi, giovanet[...]

[...]ze e donne, ucraini, kazakistani, usbechi, armeni, cittadini d'ogni repubblica, contadini, operai e militari, sovietici e cinesi, stranieri. Molti cinesi nel corteo, militari e intere famigliole, le donne con in collo i loro bimbi dagli occhi di mandorla immensi.
62 ARMANDA GUIDUCCI
A passi brevi e in silenzio, in un funerale eterno, finalmente si raggiunge la facciata del Mausoleo.
Quasi sotto la torre Spasskaïa, la più grande e la più bella sulla cinta del Cremlino, il Mausoleo discende per forti gradienti di granito rosa intenso dal tempietto, che lo corona, fino al livello della piazza. Benché opera dello Schoussev, un professore d'accademia, le sue proporzioni rifuggono dalla statura retorica. Certamente, gli giova il rapporto con l'alto muro del Cremlino che lo sovrasta alle spalle. Allorché Lenin vi fu ospitato, nel 1924, era di legno. (Lo Schoussev si era ispirato ai monumenti funerari dell'età preistorica). Cinque anni dopo, fu tradotto nella fastosità regale del marmo.
La rigida angolatura della scalea che balza verso il bass[...]

[...]lle spalle. Allorché Lenin vi fu ospitato, nel 1924, era di legno. (Lo Schoussev si era ispirato ai monumenti funerari dell'età preistorica). Cinque anni dopo, fu tradotto nella fastosità regale del marmo.
La rigida angolatura della scalea che balza verso il basso per blocchi parallelepipedi, impone l'idea della discesa sotterranea, della camera riposta della morte.
Con la sua mole tranquilla, con il suo orologio rotondo, con la stella librata sulla punta, la torre Spasskaïa domina quest'idea, impassibilmente.
(« Come scattano / folli / le lancette sulla Spasskaïa, / dall'inizio del minuto / all'ultimo quarto è uno scatto »). Questo fu il giorno il cui la torre scandì l'ora della morte di Lenin.
Guardo il corteo che si snoda, ordinato in mestizia e rigore dalla polizia (« la polizia, / faccia di culo ») e ripenso a quel vivo tempo di morte cantato da Maiakowski, quando sulla Piazza Rossa sembrò che nuovamente la Russia fosse diventata nomade. (« La diga delle strade / si spacca in mezzo / e cantando / gli uomini / si precipitano alla morte »).
Silenziosi, ordinati, a pascetti, gli uomini guadagnano il Mausoleo. Oltre il basso portale e il presentat'arm pietrificato delle sentinelle, la scalinata esterna del monumento si fa naturalmente scala interna, per la discesa alla cella. I marmi più preziosi che l'Unione Sovietica possegga sono stati impiegati per la facciata: il granito rosa proviene dall'Ucraina, dalla Carelia il porfido rosso che mensola il tempietto;. [...]

[...]scaglie e di riflessi argentei. Gelido e ardente, pulito e ricco — si intona benissimo a tutto, il clima del Mausoleo.
Mentre scendete, il silenzio che da tempo vi accompagna, si fa op
LA MORTE GRANDE 63
pressivo, terribile. Si presenta e si paventa, in quest'ultimo scorcio dell'attesa, avvicinandosi la meta, e quale che sia il motivo che vi ha spinto quaggiù, il mistero sempre rinnovantesi della morte dell'uomo. Terminata la scala, si svolta sulla destra. Subito, come svoltate, sentite che siete ormai fra i defunti. L'ingresso alla cella è in faccia, fluttua un barbaglio rossastro. Entrate e, senza poter ancora discernere forme umane, scorgete dal retro i sarcofaghi, sopraelevati. Per passarvi davanti occorrerà salire una breve scala, discenderne una uguale per guadagnare l'uscita. Nella stanza, di proporzioni rispettose, una penombra rossa, una luce che vi gela le dita. Vi rendete conto che siete in una cella frigorifera.
« Fine; / fine, / fine. / Chi / convincere? / Un vetro, / e sotto vedete...» fino al petto, parallele a pochi met[...]

[...]la civiltà umana.
Sforzandosi di cancellarla, e stravolgendola, cerca di ristabilire nell'individuo la specie, di rodere i segni più trionfanti della ribellione. Nei minuti in cui, passando e ripassando, preparando in silenzio il viso dell'uomo al distacco, la spugna lo lava nel nulla, la metamorfosi é in atto. Alcuni muscoli vengono tesi, altri rilassati. Il viso, giacendo in una solitudine insostenibile, é contratto a metà. Per metà l'uómo dà sulla vita, per metà sull'ombra. È un processo che avviene per strappi insensibili ma rapidi. Nel tempo dell'agonia, questa plastica oscura ha modo di esercitarsi liberamente, di sbizzarrirsi. Viene alterato, sciupato, tutto ciò in cui abitò il meglio dell'uomo — il meglio senza più aggettivi morali: la fiammata unica della sua esistenza. I suoi occhi per primi, e quella zona palpitante di significati che li circonda — luogo prediletto di scavo; e quell'altra area di palpito alla radice del naso, vicino alla bocca; e la bocca stessa, pozzo misterioso e superbo dell'articolazione; e quella plaga int[...]

[...]l'eternità.
Ad Assisi, è naturale, vogliono che si ammiri la tecnica del miracolo. A Mosca, il viceversa. Appunto per questo, risalire alla piazza Rossa — splendente di tutti gli smalti dell'esistenza — con la turgida meraviglia della mummificazione conficcata negli occhi, é tutt'uno col chiedersene il perché.
Possibile che l'alto Egitto, le tecniche segrete con cui si pietrificano i corpi, che — sopra ogni altra cosa — la vendetta primordiale sulla dissoluzione abbiano preso piede proprio qui, nel paese dove la carne dovrebbe essere «Fine; / fine, / fine? »
Che cosa pensano della morte i cittadini sovietici che attraversano indaffarati la piazza, che si ammassano all'entrate del Gum? Destinati, loro, alla macinatura nei grandi campi di seppellimento urbani? O li rende sufficientemente tranquilli l'idea che all'intero costo del funerale civile provvederà senz'altro lo Stato?
Della morte sovietica non ne sappiamo nulla. In tutti i libri che abbiamo interrogato sull'Urss, la morte é citata solo come « mortalità »: « coefficiente di », o [...]



da Ernesto De Martino, Apocalissi culturali e Apocalissi Psicopatologiche in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]te, si costituiscono tutte come tentativi, variamente efficaci e produttivi, di mediata reintegrazione in un progetto comunitario di essercinelmondo (5). Affinché sia chiaro il valore euristico del documento psicopatologico nel quadro di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi, occorre in via preliminare chiarire che cosa propriamente si intende per «apocalisse psicopatologica », tanto più che si possono avanzare seri dubbi sulla opportunità di considerare unitariamente, sotto questa denominazione, stati psichici morbosi cui la psichiatria attribuisce un diverso significato clinico. I vissuti di depersonalizzazione e di derealizzazione a carattere semplicemente psicastenico (nel senso di Janet), i vissuti deliranti primari di un oscuro mutamento di senso della realtà nella schizofrenia incipiente, il vero e proprio delirio schizofrenico di fine del mondo, il delirio di negazione nella melancolia, la fine del mondo come elemento allucinatorio di uno stato crepuscolare epilettico o come pensiero dominante in una psicone[...]

[...]i Sansone» (6). Eppure nella prospettiva di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi culturali il problema di una valutazione unitaria delle apocalissi pSicopatalogiche é imposta dal carattere stesso della ricerca. Nella prospettiva strettamente psichiatrica si tratta di individuare entità nosografiche e nessi eziologici ai fini della diagnosi e della terapia: si comprende quindi come la psichiatria tenda a mettere l'accento sulla distinzione dei diversi modi psicotici di rapportarsi alla catastrofe del mondano, e a ordinare questi modi secondo malattie psichiche diverse o, quanto meno, secondo diverse declinazioni abnormi dell'inderWeltsein e del Mitsein. Ma nella prospettiva storicoculturale e antropologica si tratta di conquistare criteri definiti per distinguere le apocalissi culturalmente produttive da quelle psicopatologiche, o più esattamente per valutare le apo
(6) Nella casistica psichiatrica il tema delirante della « fine del mondo », in quanto esplicito contenuto della coscienza, non è molto frequente, ment[...]

[...]ria misura la diverse apocalittiche culturali. Nel quadro di una bibliografia essenziale sulle apocalissi psicopatologiche — nel senso ampio che qui è stato chiarito — sono innanzi tutto da ricordare i dati relativi alla « perdita della funzione del reale », al « senso di stranezza del reale » e ai « sentimenti di vuoto » contenuti nelle due opere di P. JANET, Les obsessions et la psychastenie, Parigi 1903 e De l'angoisse à l'extase Parigi 1928. Sulla più recente impostazione dei problemi relativi alla depersonalizzatione (e alla derealizzazione) e per la relativa bibliografia sull'argomento, cfr. G. ZANocco, Aspetti strutturali del fenomeno della depersonalizzazione, ' Rivista sperim. freniatr.', suppl. vol. 83 (1959), pp. 343519, e G. VELLA, Il concetto di depersonalizzazione, Roma 1960. In prospettiva psicoanalitica: M. BOUVET, Dépersonalisation et relation d'objet, Parigi 1960 e N. PERROTTI, Aperçu théorique de la dépersonalisation, Parigi 1960 (entrambi estratti dal 21° congresso degli psicoanalisti di lingue romanze). Sui vissuti del[...]

[...]eno della depersonalizzazione, ' Rivista sperim. freniatr.', suppl. vol. 83 (1959), pp. 343519, e G. VELLA, Il concetto di depersonalizzazione, Roma 1960. In prospettiva psicoanalitica: M. BOUVET, Dépersonalisation et relation d'objet, Parigi 1960 e N. PERROTTI, Aperçu théorique de la dépersonalisation, Parigi 1960 (entrambi estratti dal 21° congresso degli psicoanalisti di lingue romanze). Sui vissuti deliranti primari (primäre Wahnerlebnisse), sulla disposizione delirante (Wahnstimmung) e sulla percezione delirante (Wahnwahrnehmung) si veda K. JASPERS, Allgemeine Psychopatologie, Heidelberg 1959 (7' ed.: 1' ed. 1913), pp. 82 sgg. e B. CALLIERm, Aspetti piscopatologiciclinici della Wahnstimmung, in H. Kranz (ed.) Psychopatologie heute, Stuttgart 1962, pp. 72 sgg. Sul «mutamento pauroso » nella schizofrenia: C. F. COPPOLA, I limiti della schizofrenia, in ' Ospedale psichiatrico ', 25 (1957), pp. 259 sgg. e A. RUBINO e S. Pmo, Il mutamento pauroso nella schizofrenia, ' Il Pisani' 83 (1959), pp. 527 sgg. Per quel che concerne più propriamente il Weltuntergangserlebnis schizofrenico sono[...]

[...]KONRAD, Die beginnende Schizophrenie, Stuttgart 1958. Per il vissuto catastrofico negli stati epilettici v. R. H. STAUDER, Zur Kenntnis des Weltuntergangserlebnisses in den epileptischen Ausnahmezuständen, Arch. f. Psych., 101 (1934), pp. 762 sgg. Per
il delirio di negazione » (sindrome di Cotard degli autori francesi) negli stati depressivi si
veda il testo e i dati bibliografici in H. EY, Etudes psychiatriques, II, Parigi, 1950, pp. 427 sgg. Sulla cosiddetta areazione di Sansone » vedi P. SCHIFF, La paranoia de destruction: réaction de Samson et phantasme de la fin du monde, 'Annal. Méd.Psychol.', 104 (1946), pp. 279 sgg. Ovviamente il tema delle apocalissi psicopatologiche appare variamente nella letteratura psicoanalitica, anzi la prima compiuta descrizione di un delirio di fine del mondo è quella che già nel 1913 FREUD dette nel suo contributo Psychoanalytische Bemerkungen über einen autobiographisch beschriebenen Fall von Paranoia (Dementia paranoides), Ges. Werke, VIII. Si veda, in particolare, Mme SsCHEHAYE, Journal d'une schizop[...]

[...]tratti patologici nella biografia di personaggi di rilievo (Hölderlin, Nietzsche, Van Gogh, Verlaine etc.), e oltre ai tentativi di determinare il rapporto fra malattia e creazione culturale, o di individuare i modi con i quali la malattia mentale viene rappresentata nell'arte (p. es. la melanconia in Dürer), la moderna psicopatologia si è venuta aprendo a tutta una serie di comparazioni interculturali. Si sono così venute istituendo ricerche a) sulla assenza o presenza di malattie mentali presso i cosiddetti popoli primitivi e in generale presso culture extraocci
dentali, b) sul modellamenti dei quadri nosografici — soprattutto delle nevrosi in rela
zione ai diversi contesti culturali, alle varie epoche di una stessa cultura, alle diverse classi di una stessa società, ai momenti critici salienti di una determinata vita comunitaria; c) sul confronto interculturale delle tecniche modificatrici degli stati di coscienza (tecniche psicoanalitiche, sciamanistiche, mistiche etc.). In generale è da osservare che la verstehende Psychopathologie [...]

[...]ti non si sarebbe verificato nulla. Ne guardavo più che potevo, il selciato, le case, i fanali a gas; .i miei occhi andavano rapidamente dagli uni agli altri per coglierli di sorpresa e arrestarli nel mezzo delle loro trasformazioni. Non avevano un'aria troppo naturale ma io continuavo a dirmi con forza: è un fanale a gas, è una fontanella, e con potenza dello sguardo cercavo di ridurli al loro aspetto quotidiano. Più volte ho incontrato dei bar sulla mia strada: il Caffè dei Bretoni, il Bar della Marna. Mi fermavo, esitavo un poco dinanzi alle tendine di tulle rosa: forse questi caffè ben tappati erano stati risparmiati, forse racchiudevano ancora una particella del mondo di ieri, isolata, dimenticata. Ma avrei dovuto spingere la porta, entrare. Non osavo. Temevo s'aprissero da sole. Ho finito col camminare in mezzo alla strada...
Il mondo familiare, appaesato, dell'utilizzabile, appare dunque, nell'apocalisse vissuta da Roquentin, recedere verso l'assurdo. Questa recessione é inaugurata in modo improvviso e indominabile, a proposito di [...]

[...]e. Ho finito col camminare in mezzo alla strada...
Il mondo familiare, appaesato, dell'utilizzabile, appare dunque, nell'apocalisse vissuta da Roquentin, recedere verso l'assurdo. Questa recessione é inaugurata in modo improvviso e indominabile, a proposito di occasioni estielnamente banali. L'avventura esistenziale di Roquentin, iniziatasi d'un tratto, in un certo giorno del gennaio 1932, a proposito di episodi minuti come quello del sassolino sulla spiaggia, prosegue con episodi altrettanto minuti e occasionali, come l'incontro con l'autodidatta, col bicchiere di birra, con le bretelle di Adolfo e con i libri della biblioteca pubblica di Bouville. Come dice Albert Camus in Le mythe de Sisyphe, la sensibilità assurda ha «un inizio derisorio », «una nascita miserabile », esplodendo senza nessuna preparazione apparente nella più comune quotidianità della vita: (( La sentiment de l'absurdité au detour de n'importe quelle rue peut frapper à la face de n'importe quel homme» (11). In modo analogo si configura la «noia» di Moravia, salvo la div[...]

[...]o una forza oscura e perversa che ora li deforma e li sospinge verso il mostruoso, e ora li trasforma in altro e in altro ancora, in una
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vicenda inarrestabile di assurde coinonie. Alla possibilità di una esperienza del genere si riferisce Roquentin nelle sue annotazioni diaristiche a proposito del sedile del tram, sul quale si trova seduto:
Appoggio la mano sul sedile, ma la ritiro precipitosamente. Questa cosa sulla quale sono seduto, sulla quale appoggiavo la mano si chiama sedile. L'hanno fatta apposta perché uno possa sedersi, hanno preso dei cuoi, delle molle, delle stoffe, e si son messi al lavoro con l'idea di fare un sedile, e quando l'hanno fatto era questo che avevano fatto. L'hanno portato qui, in questa scatola, e adesso la scatola rotola e traballa, coi vetri che tremano, e porta nei suoi fianchi questa cosa rossa. Mormoro: è un sedile, un pò come un esorcismo. Ma la parole mi resta sulle labbra; rifiuta di andarsi a posare sulla cosa. Questa rimane quella che è, con la sua felpa rossa, con migliaia di striscette ros[...]

[...]a apposta perché uno possa sedersi, hanno preso dei cuoi, delle molle, delle stoffe, e si son messi al lavoro con l'idea di fare un sedile, e quando l'hanno fatto era questo che avevano fatto. L'hanno portato qui, in questa scatola, e adesso la scatola rotola e traballa, coi vetri che tremano, e porta nei suoi fianchi questa cosa rossa. Mormoro: è un sedile, un pò come un esorcismo. Ma la parole mi resta sulle labbra; rifiuta di andarsi a posare sulla cosa. Questa rimane quella che è, con la sua felpa rossa, con migliaia di striscette rosse, tutte rigide, che sembrano zampette morte. Questo enorme ventre che fluttua in questa scatola, nel cielo grigio, non è un sedile. Potrebbe essere altrettanto bene un asino morto, per esempio, gonfiato dall'acqua, e che fluttua alla deriva, a pancia all'aria, in un gran fiume d'inondazione: ed io sarei seduto sul ventre dell'asino, ed i miei piedi sarebbero a bagno nell'acqua chiara... Il bigliettaio mi sbarra la strada: « Aspettate la fermata! ». Ma .lo respingo e salto giù dal tram. Non ne potevo più.[...]

[...](18) P. JANET, 1928, II, p. 63; cfr. 1903, pp. 289290, 294, 297, 314 (e perte de la fonction du réel » e « sentiment d'étrangeté » ).
(19) C. G. REDA, Perdita della visione mentale e depersonalizzazione nella psicosi depressiva, in Atti del Symposium di Rapallo, 1960, citato da Vella, 1960, p. 56. Per la «banalità» degli ambiti percettivi coinvolti nel vissuto di mutamento e di spaesamento (p.es. alcune sedie messe in fila, il riflesso del sole sulla strada, tre tavole bianche in un caffè), cfr. MEYERGRoss, Clinical Psychiatry, London 1958, p. 238.
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tocca, con un certo compiacimento, la scrivania, la macchina da scrivere, il tavolo, ne descrive la materia. Poi prende in mano un portacenere e dice: « Adesso lo sento vivo nelle mie mani, so chi è di maiolica: prima sembrava finto ».
L'inizio della crisi di spaesamento, oltre che repentino, é — per riprendere la notazione di Camus — «derisorio », «miserabile »: tutto pub cominciare dal più ovvio e dal più banale, dai pomodori del mercato come — nell'avventura di Roqu[...]

[...]e le cose stiano per scomparire, che presto non vedrò più nulla e che sono sempre sul punto di diventare completamente cieca ». Qui la «malattia degli oggetti » (si ricordi il passo della Noia più sopra riportato: «La noia per me era simile a una specie di nebbia... ») accenna già ad una malattia del vedere, ad una sorta di cecità affettiva interiore. Se questo ritorno su di sé diventa dominante, l'accento dell'accadere psicotico cadrà non tanto sulla perdita degli oggetti quanto sulla propria miseria esistenziale. « Io non ho più cuore morale, c'è un velo fra me e gli oggetti», dichiarava un'altra malata di 'Lauret (24): nel contesto di questa notificazione la perdita del « cuore morale» non sta come una semplice metafora, ma propria come pregnante esplicitazione del mutamento di segno della stessa energia presentificante. Nel cosiddetto delirio di negazione il vissuto di annientamento esistenziale concerne innanzi tutto la propria personalità morale e intellettuale, per inve stire poi il proprio corpo, gli 'altri, il mondo. Non si ha più pensiero, cuore, sentimenti, nome,[...]

[...]egni », cioè le varie intenzioni, che stanno come appoggio latente e come fedeltà implicita di una particolare esplicita problematiz
(31) CAMUS, Op. dt., p. 28.
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zazione e di un particolare esplicito impegno operativo secondo valore: quando cioè viene meno, o recede, o si destruttura, la stessa potenza della vita culturale, lo stesso ethos primordiale che, novello Atlante, sostiene il cielo e gli impedisce di precipitare sulla terra. L'artificio di cui parla Camus non è che la stessa possibilità della cultura umana: e la confessione che ormai ci mancano le forze per adoperarlo pub acquistare il pericoloso senso che la cultura è ormai irrevocabilmente ridotta ad essere la secondante notificazione di una realtà in cui l'assurdo si espande irresistibilmente e senza sosta, al pari di lebbra. Per questa via si corre però il rischio di approssimarsi a quel limite della semplice notificazione psicotica che rappresenta il naufragio della cultura. All'uomo è dato problematizzare e rimettere in causa determinate sfere di ovv[...]



da Orazio Pizzigoni, Alle ore 16 funerale di Di Vittorio. Da Milano a Roma centinaia di migliaia di persone piangendo l'hanno visto passare per l'ultima volta. Da Milano a Roma in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1957 - - novembre - 6

Brano: [...]lli gin bianchi, accarezza ntatername►tte le assi del vagone che porta ht salma eli c Peppino s. Su un altro marciapiedi. siletsziosi, le braccia incrociate, sono schierati una decina di ferrovieri. Non piangono, ama i loro visi tredisco►to ¡c1 tempesta dei sentimenti.
Fiorenzuola. ore 11,45 —ll treno sosta solo per alcuni istanti. Ancora fiori.
Fidenza, ore 11.50 — Fra lu folla che attende il passaggio del treno vi r un jolM gruppo di operai. Sulla tutu, ricamato in rosso. il
►tonte di tosa fabbrica: Massenza. Un rerehio contadino, avroltn nrl tabarro. (lee0 r.pcutna per 1555 fratto. Ittnno il marciapiede il treno. Da lontano lo si vede ancora ;;rtlistare con la etano: c Addis), Di Vittorio n. lin carabiniere, sull'attenti, saluta.
Sulla campagna emiliano. di tanto in tanto si fa largo, fra le nubi il sole. Da ogni parte si stendono i ccnnpi di grano appena seminati. i (lari delle viti eli un rosso cupo. dove l'autunno sta rosicchiando le ultime macchie di verde. Quanto amava I)i Vittorio questa terra. ricca. ordinata. pettinata fist nei suuoi lembi pi!t lontani. dal lavoro; questa terra d'Emilia che i braccianti e i mezzadri hanno riscattato con le loro lotte dalla palude e cite. con altre battaglie, essi intendono riscattare dallo sfruttamento dei padroni. L'amava questa terra. come le sue Puglie a etti andava sempre, con t[...]

[...]tti u!la linea. nel tratto BolognctFirenze, al passaggio del treno sospendono un attimo il lavoro e lentamente si tr►1gono il berretto. Prato viene incontro a Di Vittorio con le sue bandiere rosse e tricolori e tanti garofani rossi che vengono depositati nel catione che segue il feretro. Un compagno (il se(rctario della C.d.L.) prima che il treno riprenda la corsa pronuncia un breve discorso. Anche a Firenze, come a Bologna. dalle case a balcone sulla ferrovia, la gente saluta. alcune donne si segnato. Poi, gente e ancora gente lungo il percorso. Anche dove it treno non sosta, nelle piccole sta ioni. un gruppo di lavoratori con Lina bandiera sosta iii attesa, saluta eon il pugno alzato.
Firenze, ore 14.45 — Tanta e tanta folla alla stazione. La gente. operai delle fobbriche della città che sotto giunti in delegazioni e che si distinguono per le tute azzurre, donne, giovani affollavano per u►► lungo tratto il nturciapiedi. Il segretario della Camera del lavoro fiorentina, Bitossi, esprime parole di cordoglio a 7101ite :11 tutti i lavorat[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Sulla, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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