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Il segmento testuale Studi è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 261Analitici , di cui in selezione 10 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Fido, Saggi e studi. Giacinta nel paese degli uomini: interpretazioni delle «villeggiature» in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: P . î'hriLtaZ
Ill
11 L'iVZL
SAGGI E STUDI
GIACINTA NEL PAESE DEGLI UOMINI:
INTERPRETAZIONE DELLE « VILLEGGIATURE »
Non sarà un caso che le interpretazioni piú penetranti delle tre Villeggiature di Goldoni siano venute da lettori che non sono critici di professione: un uomo di teatro come Giorgio Strehler, una scrittrice come Anna Banti; o ancora da studiosi non italiani, esperti di tradizioni teatrali piú ricche e varie della nostra, come Jacques Joly. Le tre commedie del 1761 rappresentano probabilmente il maggiore sforzo compiuto da Goldoni per esporre sulla scena le contraddizioni di quella società veneziana che egli era sul punto di abbandonare. Proprio l'ambizione di tale progetto e la complessità della sua esecuzione sembrano aver dissuaso i goldonisti italiani da un lavoro esegetico sulla trilogia paragonabile per estensione e qualità a quello compiuto sugli altri capolavori del veneziano, dalla Locandiera e dagli Innamorati ai Rustegh[...]

[...]città »/« campagna », come alibi da una motivata scelta nel tempo, del presente contro il passato dei rusteghi, o contro il futuro assurdamente prolungato e pianificato dal vecchio Todero, incautamente ipotecato da Giacinta 4.
In parecchie di tali commedie l'interesse dell'autore per una situazione ricca di sfumature e suscettibile di interpretazioni contrastanti provoca un impegno e una sperimentazione tecnica senza precedenti: nei Rusteghi lo studio dello stesso vizio in quattro personaggi, nel Todero l'analisi di tre (o quattro) vizi in un personaggio solo, nella trilogia la rappresentazione di un « disordine » in tre commedie, e di conseguenza la « continuazione di caratteri sostenuti in tre differenti azioni »5.
Questo ci porta al secondo contesto in cui è opportuno inquadrare le Villeggiature, e cioè a quella struttura ciclica di cui l'autore sottolinea la peculiarità fin dalla prefazione delle Smanie (« Ho concepita nel medesimo tempo l'idea di tre commedie consecutive... » Opere, vii 1007), ma che non è unica nella storia del suo[...]

[...]mbio di complimenti, recitazioni d'avventure di viaggio o galanti, bons mots, pungenti malignità, ma anche teatro segreto dei sentimenti, secondo le teorie dell'amore clandestino, o « alla parigina », professate da don Paoluccio. Come un diplomatico che decida di mentire al suo interlocutore perché questi, scartata l'ipotesi troppo ovvia della menzogna, si aspetta da lui la verità, cosí i discreti amanti della Villeggiatura dovrebbero scambiarsi studiate attenzioni solo per evitare che la loro pubblica indifferenza sia interpretata come « occulta parzialità » (III, 13).
Tra la brutale franchezza di don Ciccio e di don Gasparo da un lato, gli allusivi ed elusivi silenzi di don Paoluccio dall'altro, il linguaggio della passione che Lavinia vorrebbe ascoltare e impiegare non ha piú corso. Troppo borghese in fondo per l'atmosfera di edonistica disponibilità in cui sono perfettamente a loro agio gli altri nobili e le contadine, la dama riparte per la città senza aver conseguito i suoi fini, e senza aver convinto il pubblico di meritare miglior[...]

[...] l'inflessibile zio Bernardino (Ritorno, rr, 6).
Da questo punto di vista, la trilogia si potrebbe leggere come un vero e proprio manuale di etichetta sceneggiato, e il libro da cui Giacinta spera di cavar la forza per guarire dalla sua passione, Rimedi per le malattie dello spirito 16 (Ritorno, II, 2) fa pensare a tutta una ricchissima letteratura, specialmente francese, sul protocollo e sulle buone maniere, dai prontuari (di un secolo prima!) studiati recentemente da Philippe Ariès a quelli anche piú numerosi del Settecento (uno dello stesso anno delle Villeggiature: PonsAugustin Alletz, Manuel de l'homme du monde..., Parigi 1761) 17.
In questa diffusa e assillante preoccupazione dei nostri villeggianti per le convenienze si inserisce come caso particolare la mania vestimentaria: seguire la moda non è un semplice capriccio o segno di frivolezza, ma un altro modo di « sentirsi in regola ». Di qui i tanti elenchi declamati o mormorati come giaculatorie: « mantiglie ... mantiglioni ... cuffie da giorno ... cuffie da notte ... forniture di[...]

[...]empo stesso, la palese inadeguatezza del padre e dei due innamorati lascia sgombro il campo, per cosí dire, all'unico contrasto profondo delle Villeggiature, che determina come vedremo la condotta di Giacinta, fra la ragazza e il vecchio amico di casa Fulgenzio.
3. Giacinta, che si definisce esattamente una « fanciulla saggia e civile » (Avventure, in, 3), appartiene al gruppo delle borghesi goldoniane piú evolute, come Giannina, la spigliata e studiosa olandese dei Mercatanti (1753); d'altra parte l'autore poteva contare sul « temperamento » della Bresciani, l'attrice destinata a interpretarla sulla scena, perché una plausibile emotività venisse a insidiarne la canonica e lodevole flemma. Cosí si potrebbe dire che la protagonista della trilogia è una GianninaIrcana mise en situation, cioè immersa in una realtà equidistante dagli estremi ugualmente f avolosi della schiavitú persiana e dell'emancipazione nordica.
L'arma principale di Giacinta è l'intelligenza, un'intelligenza che gli esegeti delle Villeggiature hanno rilevato specialmente[...]

[...]ario di ciò che aveva deciso, lasciandolo per di piú pieno di ammirazione per la logica e il buon senso della figliola (n, 10). Ma il tratto veramente distintivo di questa intelligenza, rispetto a quella di altre donne goldoniane, è la lucidità introspettiva: per cui, ad esempio, quando Brigida cui Giacinta si è confidata osserva che la colpa è di Filippo, che ha invitato Guglielmo a villeggiare con loro, la padroncina risponde: « Sí, è vero, vo studiando anch'io di dar la colpa a mio padre », ma insiste che se si è esposta alla tentazione la colpa è sua, per « la maledetta ambizione di non voler dipendere » (Avventure, ii, 1).
Di fatto, la storia di Giacinta è un tessuto di comprensibili errori e di riflessioni autocritiche, in cui l'eroina si fa di volta in volta storica severa del proprio dramma: « Ho avuto fretta di maritarmi, piú per uscire di sog
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gezione, che per volontà di marito. Ho creduto, che quel poco d'amore ch'io sentia per Leonardo, bastasse per un matrimonio civile ... » (Avventure, III, 2). A questo prim[...]

[...]sta in Italia nel
18 Per la possibilità di rompere senza scandalo un impegno matrimoniale a Venezia si veda quanto scrive il BARETTI nel suo Account of the Manners and Customs of Italy di certe nozze fra una Barbarigo e uno Zen disdette all'ultimo momento « for no other reason but because the bride took a disgust to the young man... » (London, T. Davies & L. Davis, 1768, I, 9495).
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secolo dei lumi si trova nel capitolo Gli studi delle donne nel Settecento di Giulio Natali dal quale risulta tra l'altro la precocità e l'abbondanza degli interventi veneziani rispetto, poniamo, a quelli milanesi (che vanno dall'anonima e notevole Difesa delle donne nel i tomo del « Caffè » — 1765 — all'ode pariniana La laurea), o a quelli europei in genere, culminati in quell'Essai sur le caractère, les moeurs et l'esprit des femmes dans tous les siècles di AntoineLéonard Thomas che provocherà nel 1772 l'abate Galiani a buttar giú il suo breve e misogino Dialogue sur les f emmes 19.
Ma quel che colpisce a Venezia è la varietà e la veeme[...]

[...]nne (pubblicando tra l'altro nel 1773 una importante raccolta di Rime di Donne illustri che meriterebbe una ristampa), Gasparo rimane profondamente convinto di una disuguaglianza fra i sessi voluta dalla natura, la quale — come egli scrive in una Diceria fatta paradossalmente in difesa delle donne — « non potea, verbigrazia, metter nell'uomo forza virile e dilicata bellezza, ed ella compose un uomo forte e una donna bella ... ella fa un uomo che studia, ed una donna che danza con leggiadria »2°.
Lo stesso ideale femminile tutto debolezza e frivola grazia torna nelle pagine della « Gazzetta veneta » (176061) e dell'« Osservatore » (176162) 21: mentre nel sermone a Pietro Fabri sulle villeggiature la moglie borghese smaniosa di imitare la nobiltà è paragonata a « ... debil rozza, che sdegnosa / L'animoso corsier andarsi avanti / Vede, ne sbuffa, e trottar vuole anch'essa / Spallata e bolsa; e tu che la cavalchi, / Ti rompi intanto il codrione e il dosso » zz
Si potrà osservare di passaggio che nei vagheggiamenti e nelle idiosincrasie di Go[...]

[...]le del tema): vedilo in MADAME ROLAND, Une éducation bourgeoise au XVIIIeme siècle, Paris, Union générale d'éditions, 1964, pp. 15981.
400 FRANCO FIDO

NOTA BIBLIOGRAFICA
PHILIPPE ARIÈS 1960 = L'enfant et la vie familiale sous l'ancien régime, Paris, Plon; ANNA BANTI 1961 = Goldoniana e Goldoni e la commedia borghese, in Opinioni, Milano, Il Saggiatore, pp. 2437; MARIO BARATTO 1964 = « Mondo » e «Teatro » nella poetica del Goldoni, in Tre studi sul teatro, Venezia, Neri Pozza, pp. 159227; 1970 = Il sistema dei « Rusteghi », « Rassegna lucchese », 50, pp. 12837; 1974 = Per una rilettura degli « Innamorati », in AA.VV., Studi in memoria di Luigi Russo, Pisa, Nistri Lischi, pp. 7599; 1977 = Lettura del «Todero », « Rivista italiana di drammaturgia », 3/4, pp. 331 dell'estratto; MARINO BERENGO 1962 = Introduzione a Giornali veneziani del Settecento da lui curati, Milano, Feltrinelli, pp. IXLXV; WALTER BINNI 1963 = Interventi goldoniani (al Congresso di Venezia, 1957) in Classicismo e Neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze, La Nuova Italia, pp. 293300; 1978 = Settecento maggiore: Goldoni, Parini, Alfieri, Milano, Garzanti; LUIGI FERRANTE 1961 = I comici goldoniani (17211960), Bologna, Cappelli; FRAN[...]

[...]ecento, Torino, Einaudi; Illuministi italiani 1962 = Tomo v: Riformatori napoletani, a cura di Franco Venturi, MilanoNapoli, Ricciardi; 1975 = Tomo vI: Opere di Ferdinando Galiani, a cura di Furio Diaz e Luciano Guerci, ivi; JACQUES JOLY 1978 = Le désir et l'utopie. Etudes sur le théâtre d'Alfieri et de Goldoni, ClermontFerrand, Faculté des Lettres et Sciences humaines; NORBERT JONARD 1976 = I rapporti familiari nel teatro borghese di Goldoni, « Studi goldoniani », 4, pp. 4865; LUIGI LUNARI 1976 = Le regie goldoniane di Giorgio Strehler, « Studi goldoniani », 4, pp. 12333; NICOLA MANGINI 1959 = Introduzione e commento a C. G., Le smanie per la villeggiatura, Roma, Barjes; 1965 = Il tema della villeggiatura nel teatro goldoniano, in La fortuna di Carlo Goldoni e altri saggi goldoniani, Firenze, Le Monnier, pp. 89135; 1969 = Goldoni, Paris, Seghers; ROBERT MAUZI 1960 = L'idée du bonheur dans la littérature et la pensée française au XVIIIe siècle, Paris, Colin; POMPEO MOLMENTI 1926 = La storia di Venezia nella vita privata, Bergamo, Ist. d'arti grafiche, vi edizione. Parte terza: Il decadimento; SERGIO MORANDO 1960 = Rappresentazioni go[...]

[...]arlo Goldoni e altri saggi goldoniani, Firenze, Le Monnier, pp. 89135; 1969 = Goldoni, Paris, Seghers; ROBERT MAUZI 1960 = L'idée du bonheur dans la littérature et la pensée française au XVIIIe siècle, Paris, Colin; POMPEO MOLMENTI 1926 = La storia di Venezia nella vita privata, Bergamo, Ist. d'arti grafiche, vi edizione. Parte terza: Il decadimento; SERGIO MORANDO 1960 = Rappresentazioni goldoniane al «Piccolo Teatro della città di Milano », in Studi goldoniani, pp. 81315; GIULIO NATALI 1955 = Il Settecento, Milano, Vallardi, iv edizione; ACHILLE NERI 1899 = Giuseppe Baretti e i Gesuiti, « Giornale storico della letteratura italiana », Supplemento n. 2, pp. 10629; GUIDO NICASTRO 1974 = Goldoni e il teatro del secondo Settecento, Bari, Laterza; GIUSEPPE ORTOLANI 1962 = Goldoni e Shakespeare. Appunti e note, in La riforma del teatro nel Settecento e altri scritti, a cura di Gino Damerini, VeneziaRoma, Ist. per la collaborazione culturale, pp. 11940; MARIO PETRINI 1976 = Le commedie popolari del Goldoni, Padova, Liviana Editrice; GIUSEPPE PE[...]

[...]di Gino Damerini, VeneziaRoma, Ist. per la collaborazione culturale, pp. 11940; MARIO PETRINI 1976 = Le commedie popolari del Goldoni, Padova, Liviana Editrice; GIUSEPPE PETRONIO 1962 = Introduzione a Goldoni, in Dall'Illuminismo al Verismo. Saggi e proposte, Palermo, Manfredi, pp. 540; KURT RINGGER 1965 = Ambienti ed intrecci nelle commedie di Carlo Goldoni, Berna, A. Francke; 1970 = Riflessi della drammaturgia goldoniana nella « Casa nova », « Studi goldoniani », 2, pp. 16879; GIANFRANCESCO SOMMI PICENARDI 1902 = Un rivale del Goldoni. L'abate Chiari e il suo teatro comico, Milano, Di Mondami; GIORGIO STREHLER 1974 = La «Trilogia della villeggiatura », in Per un teatro umano. Pensieri scritti, parlati e attuati, a cura di Sinah Kessler, Milano, Feltrinelli, pp. 23639; Studi goldoniani 1960 = Atti del Convegno internazionale di Studi goldoniani (Venezia 1957), a cura di Vittore Branca e Nicola Mangini, VeneziaRoma, Ist. per la collaborazione culturale; « Studi goldoniani », Quaderni nrr. 14, a cura di Nicola Mangini, Venezia, 1968, 1970, 1973, 1976; ALBERTO VECCHI 1960 = La vita spirituale, in AA.VV. La civiltà veneziana del Settecento, Firenze, Sansoni, pp. 13352; LUDOVICO ZORZI 1972 = Sul tema degli «Innamorati », Introduzione a C. G., Gl'Innamorati, Torino, Einaudi, pp. 526, poi anche in « Studi goldoniani », 3, pp. 85105.



da Alfonso Paolella, Varietà e documenti. Semiologia, narratologia e retorica. Una rassegna bibliografica 1975-1979 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]) diffondevano in Italia alcuni pezzi classici del formalismo (e con la raccolta di Faccani e Eco, 1969, dei loro continuatori). Unica eccezione a questa ritardata apertura verso macroscopici fenomeni della cultura internazionale è la precoce traduzione, nel 1956, di Theory of Literature di Wellek e Warren (prima ed. 1949), solo di recente scoperta in Francia.
Gli anni Settanta hanno assistito ad una vera esplosione e quasi ad una inflazione di studi di linguistica e semiotica, che tuttavia trovano sensibile solo una piccola fetta del mondo accademico. Nel 1974 si tiene il primo Congresso internazionale dell'IAss (International Association for Semiotics Studies) a Milano; gli editori cominciano a trovare un mercato piú sensibile a questo tipo di ricerche, e cosí la Bompiani affida ad Eco la direzione di una collana, « Il campo semiotico », inaugurata proprio nel 1974 e nello stesso anno anche il Mulino inaugura « Studi linguistici e semiologici »; nel 1975 nasce presso FeltrinelliBocca la collana « Semiotica e pratica sociale » diretta da T. Maldonado, L. Prieto, F. RossiLandi e A. Schaff, la cui ultima creatura è stato un volume di Sebeok (1979). In questi anni prosperano anche due grosse riviste, fondate nel decennio precedente, « Lingua e stile » e « Strumenti critici », che si impongono a livello internazionale nella pubblicazione di studi di linguistica, critica e semiotica letteraria. Nel 1970 viene fondata, affiliata all'IAs s, l'Associazione italiana di Studi semiotici (Ars s), che tiene annualmente i suoi Congressi e ne pubblica gli Atti.
308 VARIETÀ E DOCUMENTI
Nel 1971 a Urbino, annesso all'Università, nasce un Centro Internazionale di Linguistica e Semiotica che organizza da allora convegni annuali, in luglio, su temi prefissati. Nello stesso anno Eco fonda « VS: Quaderni di studi semiotici »: il n. 8/9 (1974) della rivista è dedicato interamente alla bibliografia semiotica italiana e straniera, cui naturalmente rinviamo chiunque voglia informarsi sui contributi scientifici fino a quell'anno.
È oltremodo difficile « fare il punto » sulla situazione attuale degli studi di semiotica e per la varietà di interessi e per le numerose aree di ricerca: per rendersene conto sarà sufficiente sapere che l'ultimo Congresso internazionale di Vienna (26 luglio 1979) si è dovuto organizzare in ben 23 gruppi di lavoro con interessi diversi. Nel compilare la presente rassegna mi sono assunto l'ingrato compito di dover trascurare, per motivi di spazio e per l'ampiezza del materiale, alcuni settori e/o alcuni lavori magari importanti. Non è perciò mia intenzione essere esauriente (esistono ottime bibliografie e riviste che annoterò in seguito); ma vorrei solo offrire una vel[...]

[...]bliografie e riviste che annoterò in seguito); ma vorrei solo offrire una veloce panoramica su alcuni sviluppi di questa disciplina relativamente recente: saranno utilizzate solo le pubblicazioni italiane o straniere apparse in volume in Italia dal 1975 ossia dall'anno successivo al primo Congresso dell'iAss (per il periodo precedente si veda, oltre al già ricordato n. 8/9 di « VS », la Biblioteca di « Strumenti critici » dedicata ai piú recenti studi semiotici).
Lavori di carattere generale e divulgativo sono apparsi anche recentemente: va innanzitutto citata la facile e buona sintesi di Calabrese & Mucci (1975), Caprettini (1976), il volumetto di Casetti (1977), il Segno di Eco (1973), la recente traduzione della Semiologia di J. Martinet (1979); per quanto riguarda la situazione in Italia fino al 1976 (con buona bibliografia) si veda il volume antologico di Ponzio (1976). Notizie bibliografiche abbastanza recenti si trovano pure in Gambarara (1979). Nel 1979 Eco ha inaugurato una nuova collana, « Espresso Strumenti », di divulgazione s[...]

[...] teatro (Ruffini), la psicanalisi (Lacan, Verdiglione) ecc.
La semiotica, come è considerata da qualche decennio, riconosce come propri ascendenti sia Peirce, che sul versante logicofilosofico scopriva, alla fine del secolo scorso, l'esistenza di « una dottrina quasi necessaria o formale dei segni », sia Saussure, che sul versante linguistico, agli inizi di questo secolo, postulava una scienza generale, comprensiva della stessa linguistica, che studiasse la « vita dei segni nel quadro della vita sociale » (p. 26). Le idee di Peirce sono state successivamente sviluppate da Morris (1939, tr. it. 1954 e 1946, tr. it. 1949); eredi della tradizione saussuriana sono il ben noto Circolo fonologico praghese, il Circolo danese (Hjelmslev), Buyssens, Prieto. In Italia, di stretta osservanza saussuriana possono considerarsi Segre, Avalle e Corti; Eco (1975) invece opera, spesso con esiti convincenti, lucidi tentativi di conciliazione e di amalgama delle due tendenze, miranti ad una dottrina unificante del segno.
Oggetto della semiotica è qualsiasi [...]

[...]la Kristeva (1969, tr. it. 1978 e 1974, tr. it. 1979). Nel primo EriµrLwti.xrj, Ricerche per una semanalisi, viene avanzata la proposta di parlare di semanalisi piuttosto che di semiologia. La Kristeva osserva che il lavoro (in senso marxiano) della lingua consiste nel produrre senso e, in questa produzione, subisce un processo di trasformazione che viene, ogni volta, fissato nel testo; l'autrice propone quindi di parlare di una « semanalisi che studia nel testo la significanza e i suoi diversi tipi, [e che] dovrà perciò attraversare il significante con il soggetto e il segno, come pure l'organizzazione grammaticale del discorso per raggiungere la zona dove si adunano i germi di ciò che significherà la presenza della lingua » (p. 20). Per l'autrice il significante assume un valore rilevante perché esso diventa, soprattutto in termini psicanalitici, il luogo di elezione per un'analisi corretta di qualsiasi tipo di linguaggio e di interazione linguistica. Per questo motivo la Kristeva si propone addirittura di tracciare una logica dei signif[...]

[...]. 1966, cap. 11), che costituirebbe la « messa a punto rispetto al messaggio in quanto tale, cioè l'accento posto sul messaggio stesso » (p. 191). Il linguaggio letterario sarebbe quindi il linguaggio in cui la funzione poetica è predominante sulle altre funzioni, ma su questo argomento si rimanda al volume di Di Girolamo (1978). Questo settore di interessi è giustificato dal motivo che compito della semiotica, come abbiamo già detto, è anche lo studio della significazione, del linguaggio come capacità espressiva e, quindi, del codice, dei modelli culturali e sociali che lo determinano. Numerosi sono i lavori teorici ed applicativi in questo ambito di studi: basterà sfogliare qualche numero di « Strumenti critici » per rendersene conto.
Lo studio del testo letterario come oggetto semiotico, ossia come sistema di segni polivalenti, è stato il tema dell'ultimo volume miscellaneo di Segre (1979) che prende a prestito, elaborandoli, alcuni concetti di linguistica testuale, i « modelli culturali secondari » della scuola di Tartu (uxss), sistematizzandoli nel discorso filologico che è l'unico punto di ancoraggio per qualsiasi analisi testuale: « la filologia aiuta a superare il soggettivismo e il solipsismo di certe posizioni moderne della critica e, ahimé, della semiotica » (p. 20). La partita quindi si gioca sul testo, il solo punto di i[...]

[...]prio. Il discorso sulla tradizione sovietica, scoperta in Italia solo negli anni Sessanta, si fa piú complesso, poiché queste
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ricerche abbracciano ambiti e settori di indagine tra i piú disparati, come la filosofia del linguaggio, la tipologia della cultura, la metrica, la narratologia, l'analisi letteraria, il folklore ecc. Si possono, in ogni caso, distinguere almeno due fasi: il formalismo degli anni 19151930, in cui studiosi di diversa estrazione, ma con prevalenti interessi letterari, si raccolgono intorno al Circolo di Mosca
e all'oPoJAz di Leningrado. I maggiori rappresentanti di questo periodo sono Sklovskij, il giovane Jakobson, Ejchenbaum, Tomasevskij, Tynianov che cercano di analizzare, in ambiti diversi, i procedimenti della « Jetterarietà » indipendentemente dai fattori esterni ed ambientali che la determinano. In una seconda fase, il formalismo russo si innesta sulla nascente scuola dello strutturalismo praghese, anche grazie alla mediazione di alcune figure di primo piano, presenti a Praga nel '29,[...]

[...]spositio, elocutio, memoria e actio) fino ad essere in pratica identificata solo con la « elocutio » o diventare sempli
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cemente un'arte del bello scrivere o modo artificioso di parlare. Fin dagli anni Cinquanta però, prima in Germania e poi successivamente in Francia si è assistito ad un recupero della stessa sia come strumento per indagare gli oggetti linguistici nel discorso ed il loro rapporto con la realtà materiale studiando l'ordinamento e la disposizione del materiale linguistico, la sua esposizione a livelli inferiori e/o superiori all'unità della frase (Genette, Cohen, Lausberg), sia come tassonomia, vocazione antica della retorica (Lausberg, Gruppo µ), sia come tecnica della persuasione e dell'argomentazione (Perelman), sia come strumento di controllo (Barthes).
La tendenza a studiare la retorica in funzione della poetica resta ancora intatta, come eredità del passato, fino ai nostri giorni, se ancora gli autori (Gruppo µ) della Retorica generale (1970, tr. it. 1976) ripropongono il concetto formalistico di « scarto » da una norma come misura per cercarvi lo spazio del poetico e del linguaggio letterario. Lo stesso Gruppo µ, fondandosi sulle dicotomie saussuriane significante/significato, sintagma/paradigma, ripropone il medesimo schema tassonomico delle figure retoriche, secondo l'antica consuetudine anche se vestite a nuovo. Le figure (metabole) sono infatti il risult[...]

[...]are, del convincere, del persuadere, non importa se l'oggetto sia vero o falso e, per raggiungere tale fine, si serve anche di pseudoragionamenti (paralogismi): si vedano ad esempio, nella pratica quotidiana gli effetti persuasivi del discorso politico, del discorso pubblicitario, del discorso giudiziario o delle varie tecniche di persuasione dei massmedia. Perelman e OlbrechtsTyteca sostengono che « oggetto della teoria dell'argomentazione è lo studio delle tecniche discorsive atte a provocare o accrescere l'adesione delle menti alle tesi che vengono presentate al loro assenso » (p. 6). Gli autori hanno avuto anche il grande merito di rivalutare l'« inventio » e la « dispositio » come parti imprescindibili di un discorso persuasivo. Recentemente sono apparsi degli stessi Retorica e filosofia (1952, tr. it. 1979) e, quasi contemporaneamente, Il campo dell'argomentazione (1970, tr. it. 1979) che costituiscono l'uno un abbozzo, l'altro un parziale sviluppo delle tesi del Trattato. Un'applicazione al comico dello stesso Trattato è il Comico d[...]

[...]79) che insiste sull'uso delle implicazioni logiche del discorso e sulle strategie comunicative. Di retorica si è interessato anche Eco in alcuni capitoli dei suoi già citati volumi ed insiste sull'uso che si è fatto della retorica sia come mezzo per la manipolazione ideologica sia come pratica di ipercodifica espressiva. L'unico lavoro organico che esiste sulle tecniche della memoria è quello della Yates (1966, tr. it. 1972). In Italia, per gli studi di retorica, è molto attivo il Circolo filologico linguistico padovano diretto da G. Folena, che ha dedicato, in alcuni dei convegni che tiene ogni anno a Bressanone, molto spazio
318 VARIETÀ E DOCUMENTI
a questa scienza: Attualità della retorica (1973), Retorica e politica (1974), Retorica e poetica (1975), Simbolo, metafora, allegoria (1976).
Sulla linea di connessione tra retorica e linguaggio esiste il lavoro di Fonzi & Sancipriano (1975) che studia la metafora nella dimensione della psicolinguistica, RitterSantini & Raimondi (1978), in cui si trovano interessanti contributi di studios[...]

[...]etorica, è molto attivo il Circolo filologico linguistico padovano diretto da G. Folena, che ha dedicato, in alcuni dei convegni che tiene ogni anno a Bressanone, molto spazio
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a questa scienza: Attualità della retorica (1973), Retorica e politica (1974), Retorica e poetica (1975), Simbolo, metafora, allegoria (1976).
Sulla linea di connessione tra retorica e linguaggio esiste il lavoro di Fonzi & Sancipriano (1975) che studia la metafora nella dimensione della psicolinguistica, RitterSantini & Raimondi (1978), in cui si trovano interessanti contributi di studiosi italiani e stranieri in onore di Lausberg; si consulti inoltre l'ultimo volume della s LI: Retorica e scienze del linguaggio (1979). Si veda inoltre Weinrich (1976) e i numeri monografici di alcune riviste, come l'ormai classico n. 16 di « Communications » (1970), il n. 18 di « Littérature » (1975) dedicato alle Frontières de la Rhétorique, il n. 23 di « Poétique » (1975) su Rhétorique et Herméneutique, il n. 1415 di « Poetics » dedicato alla Theory of Metaphor (1975) e, nel n. 54 di « Langages » (1979), La métaphore.
Se ho dovuto, in questa rassegna, trascurare alcuni settori come la mus[...]

[...] (1975) su Rhétorique et Herméneutique, il n. 1415 di « Poetics » dedicato alla Theory of Metaphor (1975) e, nel n. 54 di « Langages » (1979), La métaphore.
Se ho dovuto, in questa rassegna, trascurare alcuni settori come la musica, l'architettura, il cinema, il teatro ecc., o sorvolare su qualche argomento, e se qualche volume non è stato trattato con sufficiente approfondimento, questo è da addebitare proprio alla notevole mole di lavori e di studi che testimoniano la fecondità di questo metodo di analisi. Non é possibile quindi, il lettore mi perdonerà, esaurire nel breve spazio di una bibliografia ragionata tutta la ricchezza di una pratica in continua espansione.
ALFONSO PAOLELLA
BIBLIOGRAFIA
AA.VV. 1966: Analyse du récit, «Communications» 8 (1966). Tr. it. AA.VV. L'analisi del discorso, Milano, Bompiani, 1969; AA.vv. 1975: Intorno al «Codice ». Atti del III Convegno dell'Associazione Italiana di Studi Semiotici, Pavia, 1975. Firenze, La Nuova Italia, 1976; AA.VV. 1976: Aspetti dell'iconismo. Atti del iv Convegno dell'Associazione[...]

[...]ano la fecondità di questo metodo di analisi. Non é possibile quindi, il lettore mi perdonerà, esaurire nel breve spazio di una bibliografia ragionata tutta la ricchezza di una pratica in continua espansione.
ALFONSO PAOLELLA
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da Vittorio Lanternari, Religione, società, politica nell'Africa Nera avanti e dopo l'indipendenza in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...] —, sarebbe vera ironia se l'ultimo atto di una distruzione preparata con tanta cura sebbene inconsciamente dalle potenze coloniali, dovesse venire dagli Africani stessi, per non saper valutare essi la loro immensurabile eredità u (2).
Poiché l'Africa Nera è terreno di uno dei fenomeni più interessanti e attuali dell'antropologia sociale e religiosa — precisamente il fenomeno dei movimenti socialreligiosi —, ed essa offre ampio materiale per lo studio di alcuni problemi fra i più attuali della storia e sociologia religiosa, presentiamo per sommi capi alcuni di questi principali problemi, cioè : 1) i rapporti tra movimenti religiosi e sviluppo socioculturale; 2) il rapporto fra religioni nuove e movimenti politicosociali; 3) i rapporti fra politica e re
nei paesi di recente indipendenza.
La prima parte del nostro discorso riguarda sincretismi
e messianismi. Essa appare a suo modo più agevole e matura, perché la letteratura esistente è cosi vasta, sia per settori etnografici particolari sia per la parte comparativa, che ci sembra giunto [...]

[...]i: non necessariamente si trova in tutti i culti la persona del salvatore divino» (4).
Dunque i due termini non coprono l'intera realtà dei nuovi movimenti religiosi africani. Esistono in realtà tanti sincretismi differenti fra loro, quante sono le nuove religioni, anzi le fasi di sviluppo di ciascun movimento religioso. Quanto ai messianismi, ne esiste un tale numero ed una varietà così grande, ché noi stessi ne abbiamo fatto, altrove (5), uno studio più preciso, e autori come Shepperson, Baeta ecc, distinguono i messianismi « personali » da quelli « impersonali » (6).
(3) BASTIDE 1959, 440.
(4) PAULME, Cah. Et. Afr. 1962, 6.
(5) LANTERNARI, McSSiariiSM.
(6) SHEPPERSON, 1962, 47.
RELIGIONE, SOCIETÀ, POLITICA ECC. 147
Piuttosto ci chiediamo: quali altri movimenti religiosi nuovi, non sincretisti e non messianici, si sono prodotti nell'Africa Nera ? In quale rapporto stanno essi con quelli sincretisti? Ne ricordiamo alcuni a mó d'esempio. Dopo 'il 1900 fra gli Ascianti del Ghana si diffuse una serie di grandi movimenti, dei quali ci [...]

[...]e la lotta attiva antibianchi, vanno posti tutt'insieme in una situazione coloniale caratterizzata, per l'Africa nera, da uno stato di oppressione politicasociale e da uno stato di inferiorità culturale, con il senso di frustrazione che ne consegue.
Talora anche il cristianesimo introdotto dai missionari, per quanto paradossale ciò possa sembrare, ha prodotto un incremento di fiducia nella magia e nei poteri magici. Tra i Fang del Gabon il caso studiato dal Fernandez è eloquente. I bisogni e le aspettative del processo di colonizzazione sono rimasti inappagati. ll cristianesimo, nel nome d'un nuovo organismo universale, la chiesa, ha sfaldato gli aggruppamenti sociali entro i quali ciascun individuo trovava per sé un equilibrio fra diritti e responsabi'l'ità, ma esso non ha sostituito quegli aggruppamenti e quelle solidarietà con altre altrettanto accettabili per i nativi. Disgregati in tal modo i puntelli dell'antica organizzazione sociale, gli indigeni si son dati con rinnovata fiducia ai culti magici, che però assumono una marcata tend[...]

[...]IILME, Cah. Et. Afr., 1962.
RELIGIONE, SOCIETÀ, POLITICA ECC. 157
teriore osservazione: per apprezzare di qual forma concreta di sincretismo volta per volta si tratti (se « formale » « emancipazionista », « autonomista » o altro ancora) non basta considerare e «dosare» soltanto gli elementi del rito e dell'ideologia religiosa. Bisogna considerare tutti gli aspetti della religione, non esclusa p. es. la mitologia. Denise Paulme, in un perspicuo studio sulla religione Deima della Costa d'Avorio, ha mostrato che può coesistere una sostanziale cristianizzazione dell'etica tribale (con richiamo al principio di fraternità universale) e del culto (eliminazione del feticismo, dei sacrifici, di feste orgiastiche ecc.) in sieme con un rinnovamento della mitologia e della concezione del mondo tradizionale. Basti dire che, nella religione Deima, Gesù è ritenuto figlio di Dio e contemporaneamente é reinterpretato come una specie di trickster o eroebuffone, autore di quell'« errore» primordiale che diede origine alla morte e alle malattie, insomma qua[...]

[...]azione presbiteriana della fondatrice, alla sua esperienza personale di «morte» e resurrezione, alla visione di Dio da lei ricevuta (29). Inoltre i movimenti e i profeti possono influenzarsi fra loro: per es. ciò é avvenuto per le (( sette spirituali » del Ghana e della Nigeria (30).
Altre volte noi conosciamo movimenti religiosi che si pre
sentano come effervescenze solitarie: questo può anche dipendere da insufficienza di notizie, se mancano studi storici dettagliati e
locali circa i precedenti e gli eventuali sviluppi. Ignoreremmo
gli importanti precedenti delle attuali chiese separatiste del Nyassa se non avessimo lo studio fondamentale di Shepperson;
ignoravamo i precedenti delle attuali chiese separatiste del Kenya prima che Welbourn non ce ne avesse reso nota in dettaglio la storia.
Come s'è detto e meglio si vedrà oltre, vi sono movimenti sincreti'sti e millenaristi largamente influenzati dal cristianesimo, che seguono un processo di «ripaganizzazione »: essi ritornano a
(29) CHÉRY 1959; ROTBERG 1961; OUR 1962; Rim, 1959; TAYLORLEHMANN 1961, 248270.
(30) BAETA 1961, 130.
160 VITTORIO LANTERNARI
forme tradizionali, spesso riducendo fortemente il loro contenuto cristiano. Questa recrudescenza di forme r[...]

[...]posta delle culture native alla civiltà occidentale, la quarta risposta (54). Alludo ai movimenti d'imitazione indiscriminata della civiltà occidentale da parte indigena, con ripulsa della propria. Questa reazione, la più precaria di tutte, é anche la più perniciosa. Sekou Touré ha parlato, a questo proposito, di una « mentalità da colonizzati (esprit colonisé) e di perdita della personalità (55).
Il caso degli Anang della Nigeria sudorientale, studiato dal Messenger (56), é eloquente. Fra gli Anang (prov. di Calabar) si diffuse nel 1930 il movimento degli Spiritualisti, i quali, ispirati dallo (( Spirito Santo», entravano in convulsione, si rotolavano in terra, parlavano lingue. Lo Spirito Santo derivante dal cristianesimo era reinterpretato magicamente come potenza capace di guarire i malati, di assicurare benessere, longevità e ogni altro bene a chi ne fosse posseduto. E' il medesimo fenomeno che s'é prodotto nella setta Arathé dei Kikuyu, in quella dei «Tremolanti » congolesi (Mpeveyalongo), nelle sette spirituali del Ghana. Ma la sto[...]

[...]ati e privilegiati, e anche per quel che riguarda il «paternalismo politico» delle élites, vedi
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 187
mo a un bisogno d'integrazione di quei valori che finora la civiltá occidentale ha «esportato)) nell'Africa Nera senza riuscire a integrarli nel background culturale delle società indigene.
Vrrroiuo LANTERNARI
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da Andrea Binazzi, Raffaele Pettazzoni in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]attolica e contro l’affermarsi nella vita sociale e politica di un modo di concepire la religione che non lasciava spazi per la storia, ma tutto tendeva a risolvere in termini di autorità. Ernesto De Martino, sul « Mondo » del 14 marzo 1953, dedicò al libro un lungo articolo dove le forti riserve metodologiche e teoriche lasciavano immediatamente il campo all’apprezzamento dell’opera come « documento significativo dello sforzo compiuto da questo studioso per legare le ricerche storicoreligiose alla problematica del mondo moderno » 1. Secondo il De Martino, dagli scritti raccolti nel volume traspare la preoccupazione « che si stiano preparando giorni duri per le sorti dell’idea laica in Italia, e che quindi anche i frutti della sua [del Pettazzoni] fatica di storico delle religioni rischino di andar dispersi, o quanto meno la loro maturazione ritardata ».

Altri, come Piero Calamandrei, da una diversa angolatura, ma per linee convergenti, nel compiacersi di aver trovato nel libro del Pettazzoni la Resistenza collocata tra i momenti della [...]

[...]arire pubblicamente la vicenda delPvm Congresso internazionale di storia delle religioni che la presidenza del Consiglio non giudicava opportuno si svolgesse a Roma. In quella lettera il Pettazzoni, con la consueta misura e con grande spirito di tolleranza, faceva appello alle ragioni della scienza e della cultura, ma anche a quelle del buon senso secondo le quali era ingiustificato, e perfino esagerato, pensare che un congresso intemazionale di studiosi avrebbe potuto mettere in discussione i rapporti tra Stato e Chiesa stabiliti dal Concordato e chiedeva pubblicamente, riprendendo una richiesta di Benedetto Croce, che gli oppositori esponessero le loro ragioni, se ne avevano di valide3. In quelli e negli anni successivi, fino alla morte, il Pettazzoni, oltre a proporre con sempre maggiore insistenza, anche se non senza oscillazioni, una visione storica delle religioni, partecipò attivamente alla battaglia civile per la libertà religiosa: nel 1957 fu relatore al sesto convegno degli Amici del Mondo su Stato e Chiesa, nel 1958 parlò a Roma[...]

[...] in una lunga recensione pubblicata su « Belfagor » del settembre 1953, dove tracciava un profilo del Pettazzoni che riprenderà poi, più ampiamente, nel necrologio apparso nel 1960 sulla « Nuova Rivista Storica »: « Nel secondo saggio della presente raccolta, il Pettazzoni ci offre una novità molto interessante, che metteremmo volentieri, per importanza intrinseca e per il momento che segna nello svolgimento intellettuale di questo nostro grande studioso, accanto alla introduzione alla nuova edizione... di La religione nella Grecia antica. Si tratta di una serie di capitoletti intitolata Momenti della storia religiosa d'Italia »6. L’analisi del Cantimori, rapida, ma ricca di sfumature, tende soprattutto a valorizzare, al contrario di quella di De Martino, la quantità di stimoli e di suggestioni che scaturisce dalle pagine di questi capitoli, mette in guardia dal considerarle, lasciandosi magari trarre in inganno dalla semplicità espositiva, schematiche e superficiali. Coglie infine un carattere essenziale del Pettazzoni quando osserva che [...]

[...]disposizione per caratterizzare, almeno appunto a livello di immagine, l’approdo del Pettazzoni alla storia delle religioni e anche, indirettamente, alcune delle fonti principali da cui egli attinge la materia della sua storia. È vero che spesso si parla di « indirizzo storicista » per designare l’orientamento metodologico del Pettazzoni, ma l’espressione, se non viene adoprata con

6 D. Cantimori, « UItalia religiosa» di R. Pettazzoni, poi in Studi di storia, Torino 1959, p. 793.178

ANDREA BINAZZI

molta cautela e in senso molto generale (per distinguere, per esempio, nettamente il Pettazzoni dalle cosiddette correnti irrazionalistiche) rischia di portare fuori strada e di suggerire la collocazione del Pettazzoni in un’area della quale egli certamente non fece parte.

La sua formazione si svolse lungo linee indipendenti sia dal neoidealismo sia dalle correnti pragmatiste e futuriste che furono all’avanguardia all’inizio del Novecento e dalle quali in vario modo scaturirono gli orientamenti culturali predominanti in tutta la prim[...]

[...]alistiche) rischia di portare fuori strada e di suggerire la collocazione del Pettazzoni in un’area della quale egli certamente non fece parte.

La sua formazione si svolse lungo linee indipendenti sia dal neoidealismo sia dalle correnti pragmatiste e futuriste che furono all’avanguardia all’inizio del Novecento e dalle quali in vario modo scaturirono gli orientamenti culturali predominanti in tutta la prima metà del secolo in Italia. Dopo gli studi della prima giovinezza compiuti a S. Giovanni in Persiceto, dove era nato nel 1883, si laureò nel 1905 con una tesi sui Misteri cabirici di Samotracia presso la facoltà di lettere dell’Università di Bologna, città « degli studi positivi, dove quello che si presentava come rinnovamento idealistico e addirittura ammodernamento della cultura italiana non aveva fatto gran breccia »7. Potremmo proseguire ricordando le riviste alle quali collaborò prima della fondazione dei suoi « Studi e materiali di storia delle religioni », ma sarà sufficiente, per dare un’idea della sua formazione e dei suoi interessi, tener presente che nel 1909 diventò ispettore del Museo preistorico ed etnografico Pigorini di Roma e che, in quella veste, si recò in Sardegna a seguire un’importante campagna di scavi (ne trasse, nel 191011, alcuni brevi saggi rifusi poi, nel 1912, nel libro su La religione primitiva in Sardegna). Gli articoli e gli scritti pubblicati tra il 1910 e il 1912, con un rallentamento tra il 1915 e il 1918 dovuto alla sua partecipazione alla prima guerra mondiale, spesso prepar[...]

[...]est’ultimo, sempre nel 1925, aveva raccomandato a Ernesto Codignola una collezione di «Testi e documenti di tutte le religioni più importanti» progettata dal Pettazzoni. « Ti raccomando », scriveva Gentile, « questo progetto di una collezioncina di Testi religiosi del Pettazzoni. Io credo che Vallecchi dovrebbe accogliere questa proposta perché la materia, come sai, presenta oggi un interesse larghissimo tra le persone colte non meno che tra gli studiosi; e poi il Pettazzoni dà tutte le garanzie di serietà e di coscienza » n. Vallecchi non pubblicò la collana, che uscì poi, alcuni anni dopo, presso Zanichelli di Bologna.

Ma questo interessamento e questa buona disposizione del Gentile non devono trarre in inganno. Non risulta infatti che il filosofo siciliano abbia mai modificato il giudizio che della storia delle religioni e del Pettazzoni aveva formulato in due recensioni pubblicate sulla « Critica » del 1922, una dedicata a Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. I: L’essere celeste nelle credenze[...]

[...]oni, voi. I: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi del Pettazzoni e l’altra alla traduzione italiana della Storia delle religioni del Foot Moore. Opera « insigne » quest’ultima « che con poderoso sforzo abbraccia tutte le religioni storiche dei popoli civili, e ne traccia con discreta larghezza e copia di particolari la storia... », ma storia « da erudito... da critico... da spirito indifferente a quell’umanità, che crede di poter studiare soltanto perché se n’è tratto fuori per mettersela innanzi e poterla guardare meglio... Ma rimane sempre inesplorata quella tale sorgente da cui tutti i problemi derivano, e in cui è il principio di tutti questi fatti ». Manca a una storia delle religioni così concepita « quel senso della vita comune ed eterna più che storica, ideale più che reale o contingente, onde si ha propriamente il diritto di congiungere insieme e riconnettere, per quanto è possibile, tutte le religioni in una sola storia » 12. Segue di poco a

9 Cfr. G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna[...]

[...]comune ed eterna più che storica, ideale più che reale o contingente, onde si ha propriamente il diritto di congiungere insieme e riconnettere, per quanto è possibile, tutte le religioni in una sola storia » 12. Segue di poco a

9 Cfr. G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna 1980, p. 55.

10 Fu una di quelle cattedre, ricorda il Cantimori, istituite « allo scopo di procurare una possibilità di lavoro scientifico a uno studioso che si dedichi ad un tipo di ricerca e di indagine fino a quel momento non preveduto nell’ordinamento generale delle Università » (Conversando di storia, Bari 1967, p. 193).

11 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Giovanni Gentile a Ernesto Codignola. Lettera del 20.V.1925. Ringrazio Franca Gazzarri Santagostino, segretaria del Centro, per avermi segnalato questa lettera.

12 G. Gentile, La storia delle religioni, ora in La religione, Firenze 1965, appendice, pp. 453454.180

ANDREA BINAZZI

questa la recensione al libro sull 'Essere celeste. Il lavoro [...]

[...] di svolgimento » che gli permetteva di porre alla base del suo lavoro « il principio che ogni singolo fatto storicoreligioso è una formazione, e come tale lo sbocco — e quindi l’indice di uno svolgimento anteriore e insieme il punto di partenza di un ulteriore sviluppo, e un fatto storico sarà per noi sufficientemente spiegato solo quando sia debitamente inserito nella sua propria linea di sviluppo » 14. Ugo Casalegno, al quale si deve l’unico studio sistematico sul Pettazzoni finora pubblicato 15, vede in questo testo e nelle opere di questo periodo la « svolta storicista » del Pettazzoni, anche se poi si affretta a segnalare i limiti di una etichettatura di questo genere: ne rimane fuori, se non altro, proprio quell’autonomia della religione che giustifica l’intento di farne una storia a sé, senza ridurla a storia di qualcos’altro, intento che

il Croce non avrebbe mai considerato legittimo. Il filosofo napoletano, che molti anni prima aveva avuto apprezzamenti decisamente positivi per il giovane storico delle religioni quando quest’[...]

[...]do quest’ultimo gli aveva mandato un

13 G. Gentile, ree. a R. Pettazzoni, Dio ecc., in « La Critica », xx (1922), p. 298.

14 Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari 1924, p. 23.

15 U. Casalegno, Dio, esseri supremi, monoteismo nell’itinerario scientifico di Raffaele Pettazzoni, Torino [1979].RAFFAELE PETTAZZONI

181

articolo sul mito 16, reagì duramente alla Lezione inaugurale, affermando categoricamente che gli studi storicoreligiosi non nascevano in Italia « per alcun bisogno né speculativo né morale, ma unicamente per bisogno di erudizione » 17. Il giudizio era aspro e definitivo e riecheggiò spesso, successivamente, nelle posizioni dei crociani a proposito della storia delle religioni e del suo fondatore in Italia.

Particolarmente severa, per esempio di una severità sorprendente, quasi inspiegabile , la recensione, ancora nel 1937, delPOmodeo alla Confessione dei peccati, che finiva con un provocatorio accostamento del Pettazzoni al De Maistre, entrambi responsabili, secondo l’affrettata argomentaz[...]

[...] il lavoro suo e della sua scuola romana. Ne troviamo una testimonianza puntuale nelle lettere indirizzate a Ernesto Codignola in qualità di direttore della « Civiltà moderna ». AlPinizio del 1930, gli spedi un estratto delle voci da lui redatte per la seconda edizione della Religion in Geschichte und Gegenwart, insieme a una lettera dove gli proponeva che i suoi scritti fossero recensiti sulla rivista:

... Io sto battagliando da tempo contro studiosi stranieri intorno al concetto di monoteismo e al suo sviluppo nella storia delle religioni. Recentemente ho avuto modo di far conoscere largamente le mie idee in proposito, avendo avuto Pincarico di scrivere Particolo « Monoteismo » e « Monolatria » per la più diffusa enciclopedia tedesca di scienze religiose, di cui ora si pubblica la seconda edizione. Che all’estero certi problemi trovino maggiore interesse che da noi è noto. Ma che proprio debbano restare inosservati in Italia non è giusto. Per ciò le mando Pestratto contenente il mio articolo con la speranza che « La Civiltà Moderna » [...]

[...]a traduzione francese della seconda parte della Confessione dei peccati, Papera che stava diventando, tra quelle del Pettazzoni, e a ragione, la più nota fuori d’Italia. Nel 1934, in un post scriptum, chiede al Codignola: « Quando uscirà la recensione di Salvatorelli sulla mia Confessione dei peccati nella "Civiltà moderna”? »22. Pettazzoni aveva ormai cinquantanni, da circa dieci era ordinario di storia delle religioni; nel 1925 aveva fondato « Studi e materiali di storia delle religioni », la rivista sua e della sua scuola romana. Sorprende, perciò, che uno studioso come lui, autore di una vasta produzione scientifica, sentisse il bisogno, non soltanto di sollecitare una recensione a una rivista cosa di per se stessa non particolarmente degna di nota ma di farlo lamentandosi dell’indifferenza che circondava i problemi storicoreligiosi in Italia. Il Codignola inviò gli scritti sul monoteismo e poi, Panno successivo, la traduzione

20 L'onniscienza di Dio, Torino 1955, p. x.

21 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Raffaele Pettazzoni a Ernesto Codignola. Lettera del 26.ii.1930.

22 Ivi. Lettera del 29.iu.1934. Il Sal[...]

[...]icale originalità di una viva esperienza prettamente religiosa »23 e dall’altro cogliendo felicemente l’originalità del metodo seguito dal Pettazzoni nel ricostruire un aspetto fondamentale della vita religiosa del popolo giapponese.

Lo scritto del Pettazzoni, ricco di dottrina, limpido nel disegno delle linee fondamentali del processo storico, luminoso ed insieme equilibratissimo e prudente nell’uso del metodo di comparazione è un modello di studio della vita religiosa di un popolo il cui processo è riconosciuto nel suo rapporto allo sviluppo generale della cultura e le cui forme, lungi dall’essere definite secondo astratte e indeterminate categorie della religiosità, sono colte nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi24.

Resta comunque la netta sensazione che il Pettazzoni proceda per conto proprio, in stretta relazione con le grandi fonti della conoscenza dei fatti religiosi, con gli autori classici, con gli storici delle religioni, gli etnologi e gli antropologi stranieri25. Gli interlocutori del suo dia[...]

[...]ssa opera, il Pettazzoni precisa invece che una delle idee generali che gli si sono venute chiarendo nel tempo è che la religione è « una forma della civiltà, e storicamente non s’intende se non nel quadro di quella particolare civiltà di cui fa parte, e in organica connessione con le altre sue forme, quali la poesia, l’arte, il mito, la filosofia, la struttura economica, sociale e politica: concezione ovvia, che fu già variamente applicata allo studio della civiltà europea e, più recentemente, allo studio delle civiltà primitive » (pp. 910). Certo, si tratta di una enunciazione generalissima, ovvia dice l’autore, insoddisfacente anche, potremmo aggiungere noi, perché quell’« organica connessione » indica un orizzonte generale entro cui muoversi, non davvero un modello esplicativo. Ma va tenuto presente da dove si parte, va tenuto conto delle teorie con le quali il Pettazzoni ha dovuto porsi in relazione e anche di un movimento interno che sembra avere caratterizzato sempre il suo pensiero. Evoluzionismo, comparativismo tipologico, teoria del monoteismo originario non consideravano la connessi[...]

[...] ma concorrenti allo stesso fine. Il quale è dunque in primo luogo quello di cacciare, di espellere, di separare, di interporre una distanza, di alzare una barriera; e, quando il mezzo prescelto è la lapidazione, può avvenire che il lapidato resti ucciso; ma non è questo lo scopo originario del lapidare... (ivi, pp. 2223).

Non è importante qui discutere sulla validità o meno della conclusione

28 La «grave mora» (Dante, Purg., 3, 127 sgg.): studio su alcune forme e sopravvivenze della sacralità primitiva, in « Studi e materiali di storia delle religioni », I (1925), p. 8.186

ANDREA BINAZZI

tratta, ma limitarsi a segnalare il tipo di analisi che l’ha resa possibile. Nella prefazione al primo volume della Confessione dei peccati ritorna su alcune questioni generali: « La ricerca, condotta nel senso della storia delle religioni, tende a disegnare lo svolgimento della pratica confessionale in necessaria connessione con lo svolgimento dell’idea religiosa di peccato. Anzi che distribuita in uno schema tipologico, la materia è lasciata entro i quadri naturali del luogo e del tempo... »29. La storia delle[...]

[...]dove il peccato sarebbe connotato esclusivamente in senso etico.

29 La confessione dei peccati, voi. i, Bologna 192936, p. ix.RAFFAELE PETTAZZONI

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Quando scrive, nel 1945, il breve saggio su Monoteismo e « Urmonotheismus » dove riassume con precisione e con chiarezza in quali termini fosse venuta modificandosi Poriginaria impostazione del problema e individua il punto di svolta nelPimportanza crescente che venne assumendo per lui lo studio degli attributi divini (« ... lo studio degli attributi doveva condurmi più lontano »), il Pettazzoni sembra scavare dentro le connessioni della religione con le altre forme della civiltà e con la società riallacciandosi anche al suo primo lavoro sulla religione greca con quella efficace e precorritrice analisi del mito dionisiaco che vi era contenuta. Viene da pensare alle ricchissime descrizioni della Confessione, all’insistenza sulla specificità delle sue diverse forme quando si legge, in Monoteismo e « Urmonotheismus » : « venni persuadendomi sempre più che la identità e l’unicità di natura degli esseri supremi era da abbandon[...]

[...]e e fortuita, ma condizionata essa stessa dall’ambiente culturale in cui ciascun essere supremo si è formato »30. L’etnologia31, parente stretta della storia delle religioni, dovrà assumersi il compito di « verificare e determinare » gli ambienti e le culture da cui si originano gli attributi.

L’opera dove questo punto di vista trova la sua espressione più esauriente è senz’altro L’onniscienza di Dio che vide la luce nel 1955 nella Collana di studi religiosi, etnologici e psicologici dell’editore Einaudi, forse uno di quei « tre titoli in cinque anni » a cui accenna sbrigativamente Pavese nel 1949 in una lettera a Ernesto De Martino, il « padre putativo » della collana (« Con Pettazzoni, saprai che ci siamo intesi. Tre titoli in cinque anni »32). In questo testo l’autore è come se facesse i conti con il suo lavoro precedente e anche con le principali posizioni del secolo nel campo della storia delle religioni, in particolare con quella corrente del

30 Monoteismo e « Urmonotheismus », in « Studi e materiali di storia delle religioni »[...]

[...]» a cui accenna sbrigativamente Pavese nel 1949 in una lettera a Ernesto De Martino, il « padre putativo » della collana (« Con Pettazzoni, saprai che ci siamo intesi. Tre titoli in cinque anni »32). In questo testo l’autore è come se facesse i conti con il suo lavoro precedente e anche con le principali posizioni del secolo nel campo della storia delle religioni, in particolare con quella corrente del

30 Monoteismo e « Urmonotheismus », in « Studi e materiali di storia delle religioni », xixxx (194346), p. 175.

31 II Pettazzoni tenne, dal 1936 al 1938, Pincarico di etnologia a Roma. Venne interessandosi in misura crescente a questo campo di studi in relazione con la storia delle religioni. Nel 1938, su proposta sua, Pvm Convegno Volta fu dedicato all’Africa ed egli vi presentò una relazione sugli Orientamenti attuali dell’africanistica (cfr. Acc. d’Italia, Atti deU’VHI Convegno Volta, Roma 1939, pp. 5360): sarebbe interessante approfondire il significato della partecipazione del Pettazzoni al convegno, non riducibile a puro e semplice momento del consenso degli intellettuali al fascismo, come sembrano invece pensare M. Lospinoso e A. M. Rivera nei loro interventi pubblicati in aa.w., Matrici culturali del fascismo, Bari 1977, pp. 2252[...]

[...]o, sembra insopprimibile, nel campo dell’indagine antropologica ed etnologica, questa tentazione del mettere a confronto le culture e le religioni e le società in modo tanto più appassionato quanto più esse sono lontane tra loro, quasi per un bisogno di sintesi, o forse di possedere una chiave di lettura unica.

La « mitologia comparata » sorta a seguito della rivoluzione copernicana prodotta dall’applicazione, nel 1800, della linguistica allo studio della mitologia, approdava alla conclusione che tutti i popoli della famiglia indoeuropea possiedono un dio del cielo che assume la forma greca, quella indiana, ecc. Di fronte ad essa si eleva l’altrettanto suggestivo universalismo della comparazione estesa a tutti i popoli, indipendentemente dalla famiglia linguistica alla quale appartengono. « Fra queste due posizioni antitetiche, cioè fra il particolarismo della “mitologia comparata”, applicata soltanto a ciò che è linguisticamente comparabile e l’universalismo indiscriminato della comparazione antropologica, estesa a tutto ciò che è form[...]

[...]e differenziata nel suo sviluppo » (ivi, p. 635). E più avanti, sempre più nettamente: « L’idea primitiva dell’Essere supremo non è un assoluto a priori. Essa sorge nel pensiero umano dalle condizioni stesse dell’esistenza umana, e poiché le condizioni variano nelle diverse fasi e forme della civiltà primitiva, varia anche in seno a queste la forma dell’Essere supremo » (ivi, pp. 648649).

Aveva dunque ragione il Pettazzoni ad affermare che lo studio degli attributi divini lo aveva portato lontano e aveva ben visto, moltissimi anni prima, il Banfi quando gli aveva riconosciuto il merito di aver colto le forme della vita religiosa di un popolo « nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi » guardandosi da definirle « secondo

33 Vonniscienza di Dio, cit., pp. 632633.RAFFAELE PETTAZZONI

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astratte e indeterminate categorie della religiosità » M. Perché il problema, alla fine, si riduce a questo, di vedere se e come è possibile mantenere contemporaneamente l’esigenza di ricostruire la genesi storicocultural[...]

[...]o e perfezionamento di linee di ricerca avviate decenni prima, sia il concepimento di nuove prospettive di indagine, sono la testimonianza che, pur nel permanere di una linea fondamentale di continuità, il pensiero del Pettazzoni fu sempre caratterizzato da un notevole movimento. Un esempio molto chiaro è rintracciabile nella struttura dell’O/zniscienza di Dio dove è sensibilmente modificato il progetto concepito negli anni Venti. Si passa dallo studio del monoteismo (la sua « formazione » e il suo « sviluppo ») al progressivo concentrarsi dell’attenzione sugli attributi divini e soprattutto su quello dell’onniscienza con uno spostamento che, se non impedisce di considerare questo lavoro come il « coronamento » della ricerca prima pianificata, tuttavia la concentra « definitivamente... su l’attributo dell’onniscienza divina come complesso ideologico e come esperienza religiosa ».

Come riprova della fecondità di questa direzione assunta dalla ricerca,RAFFAELE PETTAZZONI

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ma anche per spiegare una diffidenza molto accentuata ver[...]

[...]rme e consuetudini » possano essere « entrate nella tradizione religiosa, nel diritto sacro, nella prassi liturgica, semplicemente in virtù di un dato ideologico, cioè della concezione di Giano come dio di ogni cominciamento, ricavata ecc. ecc. »? È necessaria senz’altro qualche correzione. Intanto la « priorità temporale di Giano, difficilmente riconducibile ad un complesso spaziale puntualizzato nel ianus

35 Per l}iconografia di Giano, in « Studi Etruschi», xxiv (195556), p. 89.192

ANDREA BINAZZI

o nella ianua, ci appare in una luce nuova se riferita a Giano come Dio del tempo ». In alcune monete poi del m secolo a.C. la testa di Giano è sostituita da una ruota a raggi (simbolo solare), mentre sull’altra faccia compaiono simboli astrali, « per lo più la mezzaluna accompagnata da una stella, cioè dal pianeta Venere come stella della sera »36. Se poi a tutto questo si aggiunge che presso altre religioni gli esseri solari sono bicefali o tricefali e come tali vedenti davanti e di dietro, cioè da ogni parte, allora si capisce, seco[...]

[...]do di esistenza tranquilla, normale »38. Non si dimentichi che proprio i miti e le leggende avevano occupato moltissimi anni della sua vita di ricercatore e che a contatto di essi gli si era venuta chiarendo quella idea della « verità » del mito (« verità che non è di ordine logico, bensì di ordine sacrale, magico, religioso »39) che è un’altra di quelle scoperte feconde che il Pettazzoni consegnò a chi avrebbe continuato a lavorare nel campo di studi che aveva occupato tutta la sua esistenza.

Andrea Binazzi

38 Gli ultimi appunti, cit., p. 126.

39 forma e verità del mito, cit., p. 52.194

ANDREA BINAZZI

NOTA BIBLIOGRAFICA

La presente sintesi bibliografica è stata desunta dal lavoro di Mario Gandini, II contributo di Raffaele Pettazzoni agli studi storicoreligiosi: appunti per una bibliografia, in Raffaele Pettazzoni e gli studi storicoreligiosi in Italia, scritti di E. De Martino, A. Donini, M. Gandini, Bologna 1969, pp. 145. Del Gandini vedi anche II punto sugli studi pettazzoniani, in idoc internazionale [mensile di documenti e studi in una prospettiva internazionale], xiv (1983), pp. 5458. A questo appassionato studioso del Pettazzoni va il mio ringraziamento per il molto materiale che mi ha generosamente fornito e che ha agevolato il mio lavoro.

Per la bibliografia, ci si deve riferire anche a quella che completa il libro di Ugo Casalegno citato nel testo.

La religione primitiva in Sardegna, Piacenza 1912; La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran, Bologna 1920; La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921 (n ed., Torino 1953); Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. i: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi,[...]



da m.m.[M. Marchi], scheda sintetica di «Studi novecenteschi» in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: Studi novecenteschi
Quadrimestrale di storia della letteratura italiana contemporanea
diretto da Armando Balduino e Cesare De Michelis.
Marsilio Editori, Padova, formato: cm. 21x15.
La rivista, redatta presso l'Istituto di filologia e letteratura italiana dell'Universitä di Padova, nasce ad opera degli attuali condirettori A. Balduino e C. De Michelis nel 1972, fornendo esplicite motivazioni del suo sorgere. L'esigenza avvertita era quella di coprire una lacuna riscontrabile da parte degli studiosi di letteratura italiana contemporanea che non si accontentassero da una parte di sbiadite pubblic[...]

[...]la letteratura italiana contemporanea
diretto da Armando Balduino e Cesare De Michelis.
Marsilio Editori, Padova, formato: cm. 21x15.
La rivista, redatta presso l'Istituto di filologia e letteratura italiana dell'Universitä di Padova, nasce ad opera degli attuali condirettori A. Balduino e C. De Michelis nel 1972, fornendo esplicite motivazioni del suo sorgere. L'esigenza avvertita era quella di coprire una lacuna riscontrabile da parte degli studiosi di letteratura italiana contemporanea che non si accontentassero da una parte di sbiadite pubblicazioni antologicooccasionali, dall'altra di periodici con intenti letterari variamente rappresentati le cui ragioni si esaurivano nella presa di posizione ideologica di impegno militante. L'operazione tradottasi in Studi novecenteschi procede con successo da ormai quattro anni facendo della rivista un valido strumento di lavoro e d'informazione. In Studi novecenteschi gli interessi storicoculturali si bilanciano e spesso si fondono coi modi dell'indagine stilistica: ai collaboratori è concessa ampia facoltà di scelta nel dosaggio delle componenti metodologiche, a seconda della personale formazione critica e della pertinenza di angolatura richiesta dall'argomento trattato.
La rivista si articola in tre momenti. Gli studi e le ricerche vengono pubblicati nelle sezioni Saggi e Note: unico elemento discriminante per l'appartenenza all'una o all'altra sede, il maggiore o minore respiro dei contributi. In Note confluiscono anche i recuperi di testi inediti o sconosciuti (« Una lettera di D'Annunzio » di E. De Michelis, « Una dispersa corona dei mesi di Camillo Sbarbaro » di M. Guglielminetti, « Per un mancato editoriale del Politecnico » di F. Fortini). Segue la rubrica Rassegna di studi, fitta di schede di recensione alle novità librarie concernenti il settore d'intervento che Studi novecenteschi si è ritagliato,[...]

[...]engono pubblicati nelle sezioni Saggi e Note: unico elemento discriminante per l'appartenenza all'una o all'altra sede, il maggiore o minore respiro dei contributi. In Note confluiscono anche i recuperi di testi inediti o sconosciuti (« Una lettera di D'Annunzio » di E. De Michelis, « Una dispersa corona dei mesi di Camillo Sbarbaro » di M. Guglielminetti, « Per un mancato editoriale del Politecnico » di F. Fortini). Segue la rubrica Rassegna di studi, fitta di schede di recensione alle novità librarie concernenti il settore d'intervento che Studi novecenteschi si è ritagliato, e completata da organici spogli di riviste. Di saltuaria presenza la sezione Interventi, in cui è apparso l'interessante « Dialogo sulle Città invisibili » di C. Varese e I. Calvino. Fra i suoi collaboratori Studi novecenteschi annovera M. Guglielminetti, C. Varese, U. Carpi, A. M. Mutterle, A. Jacomuzzi, L. Polato, G. Tellini, D. Puccini, P. Spezzani e G. Pullini. L'ultimo numero uscito è interamente dedicato a Zanzotto. (m. m.)



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]i come critico letterario. Ora la relazione, rielaborata e molto ampliata, è divenuta un saggio d'insieme su Marchesi: un saggio denso ed essenziale, che per la prima volta ci dà un'immagine complessiva e convincente di una personalità cosí tormentata, cosí ricca di fascino e di aspetti sconcertanti.
Precedenti autori di libri e articoli su Marchesi hanno creduto di metterne in piú viva luce il valore negando le contraddizioni dell'uomo e dello studioso. La Penna ci presenta un Marchesi fortemente contraddittorio, quale fu in effetti: socialista (e poi comunista) con una sincera esigenza di giustizia e di elevazione culturale per i diseredati e gli oppressi, eppure legato a una concezione aristocratica della vita e a un senso dell'arte come creazione assolutamente individuale; angosciato dal dubbio esistenziale, dal « mistero », da un bisogno di fede religiosa sempre insoddisfatto e sempre perdurante, eppure non toccato da alcun dubbio di fronte alle atrocità staliniane, nemmeno quando esse, troppo tardi e troppo poco, furono sconfessate [...]

[...] LA PENNA, Concetto Marchesi: la critica letteraria come scoperta dell'uomo; con un saggio su Tommaso Fiore, Firenze, La Nuova Italia (« Biblioteca di cultura », 152), 1980, pp. 138.
632 SEBASTIANO TIMPANARO
zature per giustificare tutto: guardiamo Marchesi come egli guardò Seneca, cercando di capire, non di condannare o giustificare tutte le sue debolezze. Chiunque discute di queste cose, dovrebbe prima leggersi il suo saggio su Seneca.
Ogni studio critico, ma piú che mai uno studio su una personalità di questa natura, esige da parte dell'autore la compresenza di due doti e di due atteggiamenti: da un lato quel distacco che impedisce di cadere nell'agiografia (e di agiografia, a proposito di. Marchesi, se ne è fatta troppa, da parte cattolica e da parte comunista, anche se, per esempio, l'amore di un Ezio Franceschini per la memoria del maestro è cosí caldo . e puro da rendere degne di rispetto certe evidenti forzature); dall'altro una convinzione che, al di là di aspetti caduchi, il personaggio preso in esame ci abbia lasciato insegnamenti importanti, abbia arricchito [...]

[...] di rispetto certe evidenti forzature); dall'altro una convinzione che, al di là di aspetti caduchi, il personaggio preso in esame ci abbia lasciato insegnamenti importanti, abbia arricchito la nostra cultura e la nostra umanità.
A prima vista, chi conosca Antonio La Penna considererà forse piú ovvio e comprensibile il distacco nei riguardi di Marchesi che la capacità di adesione e di valutazione positiva. Gran parte dell'opera di La Penna come studioso della poesia, della cultura, della società antica nasce da una sintesi (sintesi creativa e originale, non eclettismo né giustapposizione) tra la filologia di Wilamowitz, Leo, Norden, Pasquali, mirante a riimmergere l'opera letteraria nell'ambiente e nella tradizione culturale da cui trasse impulso e alimento, di intendere storicamente, non come pure « illuminazioni » prive di antecedenti, anche i valori stilistici, formali della poesia, e l'esigenza marxista di collegare i fatti letterarioculturali e ideologici con la struttura economicosociale e con le istituzioni e le vicende politiche ([...]

[...]di collegare i fatti letterarioculturali e ideologici con la struttura economicosociale e con le istituzioni e le vicende politiche (un marxismo, quello del La Penna, tendente a ridurre al minimo l'eredità hegeliana, ad accentuare l'istanza empirica, senza tuttavia cadere in un empirismo disgregato e agnosticizzante). La Penna stesso ha piú di una volta, fin da anni lontani, battuto l'accento su questa caratteristica della propria personalità di studioso (cfr. ad es. « Belfagor » y, 1950, p. 587 ss.; Testimonianze per un centenario: contributi a una storia della cultura italiana 18731973, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 125127).
Per questo aspetto, si può ben dire che La Penna si trova in una posizione del tutto antitetica a quella di Marchesi. In Marchesi storico del mondo latino c'è una passione politica che dà spesso origine a giudizi acuti, ma non c'è alcuna seria presa di contatto col marxismo (cfr. La Penna, p. 13). Ancor maggiore è l'estraneità a quell'indirizzo filologico « wilamowitziano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marches[...]

[...]la biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
IL « MARCITESI » DI ANTONIO LA PENNA 633
fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discut[...]

[...]ha notevole importanza, tra fonti, per cosí dire, meramente « contenutistiche » e analogie di espressione formale, le sole, queste seconde, che dimostrerebbero un effettivo rapporto di dipendenza (SM, in, p. 1234 s.; tale distinzione era stata enunciata anche in scritti precedenti, cfr. per es. SM, III, p. 1113: « sono solo le affinità formali gl'indizi imponenti delle derivazioni »). Ma è uno spunto che rimane inutilizzato o male utilizzato: lo studio del 1908 sulle fonti del Tieste di Seneca (SM, II, p. 493 ss.) prende in esame, sí, analogie di espressione, ma giustamente il La Penna (p. 23) lo giudica « poco piú che un elenco arido »; migliore è qualche altra ricerca (La Penna, p. 23 s.); ma Marchesi, critico pur non privo di senso stilistico, era piú capace di caratterizzare globalmente lo stile di uno scrittore che di analizzarlo puntualmente (egli cita quasi sempre passi tradotti, non testi in latino; e quanto anche la piú bella traduzione sia inadeguata a sostituire l'interpretazione non fu mai del tutto chiaro a lui, mentre fu chia[...]

[...]mpre passi tradotti, non testi in latino; e quanto anche la piú bella traduzione sia inadeguata a sostituire l'interpretazione non fu mai del tutto chiaro a lui, mentre fu chiaro, fin da Filologia e storia, a Giorgio Pasquali)1; e quindi era poco sensibile a quel rapporto di zêlos, di « citazioneemulazione », che piú tardi Pasquali teorizzerà con la massima limpidezza nel saggio Arte allusiva del 1942, ma che aveva già attratto l'attenzione e lo studio di filologi tedeschi dell'ultimo Ottocento e del primo Novecento, e di Pasquali stesso nell'Orazio lirico. Pasquali fu sempre ostentatamente ignorato da Marchesi, e tra i due studiosi ci fu sempre reciproca
I G. PASQUALI, Filologia e storia (1920), nuova ed. a cura di A. Ronconi, Firenze 1964, capp. vvi. Ma già Moriz Haupt aveva sentenziato con ragione, benché con una certa paradossalità: « Das Ubersetzen ist der Tod des Verständnisses » (in Ch. BELGER, M. Haupt als akademischer Lehrer, Berlin 1879, p. 248). Anche nei commenti scolastici a classici latini — pur pregevoli per molti aspetti: cfr. LA PENNA, p. 82 — una manchevolezza, secondo me, è costituita dal fatto che Marchesi si limita per lo piú a tradurre singole parole o brevi frasi, mentre è molto avaro di altre [...]

[...]tato di cultura, di raffinato senso ritmico, esprimentesi in una lingua piena di espressività e di forza vitale, ma non « volgare ». Si confronti l'accenno a Plauto nella recensione già citata al Leo (SM, in, p.. 1108) con ciò che nella Storia della letteratura latina (i`, p. 75) si dice di Plauto poeta « ellenistico », non « ignorante di genio », ma « grande poeta » e perciò « uomo di grande cultura: perché l'arte si alimenta di conoscenza e di studio: altrimenti è improvvisazione artistica di breve durata »; si vedano ancora, nella Storia (vol. cit., pp. 7375), i paragrafi sulla lingua plautina (che « non è quella del volgo, com'è mala consuetudine ripetere ») e sulla metrica; e si riconoscerà ben chiaro l'influsso del Leo. A proposito dell'origine dei cantica c'è perfino un accenno alle due teorie del Leo e di Eduard Fraenkel (derivazione dalla lirica ellenistica o dai cantica tragici?): dalla lettura del Leo Marchesi era passato, sia pure nei limiti di una rapida e non approfondita informazione, alla conoscenza di lavori plautini della[...]

[...]ze di impostazione metodologica (a cui si aggiungono diversità non meno notevoli di idee politiche e di Weltanschauung), La Penna è portato a simpatizzare con certi aspetti assai significativi della critica letteraria di Marchesi. Ma bisogna tener conto del fatto che la sintesi di filologia tedesca e di marxismo (o, come da qualche tempo egli preferisce dire, di « empiriomaterialismo ») non esaurisce il compito che La Penna si prefigge in quanto studioso del mondo antico (e non di esso soltanto). Egli ritiene che dovere del critico sia anche esprimere giudizi di valore sull'opera d'arte, contribuire a far partecipi gli altri di quella felicità (la felicità, secondo lui, più profonda e intensa concessa all'uomo) che è data appunto dall'arte, pur con la certezza che il giudizio estetico, come tutti i giudizi di valore, è soggettivo e che ufficio del critico non può essere, quando si arriva alla valutazione, quello di « convincere », ma solo quello di « persuadere ». Che la ricostruzione storica (passibile di trattazione « scientifica », alme[...]

[...]i giudizio errato non si può parlare se il giudizio è sempre soggettivo e, come tale, inconfutabile), ma solo per la propria « mi
636 SEBASTIANO TIMPANARO
nore bravura » a difenderlo contro il critico. Ma non è questa la sede per cercar di sviluppare questa mia opinione. Qui si deve rimanere aderenti al tema La PennaMarchesi. E si deve constatare che il vivo amore di La Penna per la poesia, unito al ben giusto fastidio per recenti indirizzi di studio della letteratura che non sono né « scientifici » né « assiologici », ma hanno soltanto delle velleità scientistiche che si riducono a ostentazioni terminologiche dietro le quali non c'è alcuna vera conquista concettuale, ha fortemente contribuito a fargli scorgere i pregi di un criticoartista come Marchesi (diciamo anche di un criticoretore, senza tuttavia dare all'epiteto un significato soltanto svalutativo e senza affatto pretendere di racchiudere in questa definizione una personalità eticamente e psicologicamente cosí complessa). Qualche citazione ci farà meglio capire il fascino che, ma[...]

[...]ista autentico, perché dovremmo rifiutare i nuovi doni delle Muse? (p. 40).
Egli [...] rimane come uno dei maggiori criticiartisti che abbia avuto il Novecento italiano [...1. Per quante differenze ci dividano, nella concezione storica e nel metodo, dalla critica della prima metà del secolo, ricordo Marchesi, Valgimigli, Perrotta come uomini che sapevano ricevere i doni delle Muse con mani delicate; né a quel tempo né prima né dopo sono mancati studiosi delle lettere che fanno pensare ai porci rufolanti tra le perle. Onoriamo questo amico delle Muse con misura e con rispetto della verità; può darsi che, una volta tanto, lo verità sia piú ricca e affascinante dei miti e delle mistificazioni (p. 96: è la chiusa del saggio).
L'esortazione alla « misura » e al « rispetto della verità » non si riferisce soltanto, credo, alla mancanza di interesse storicoculturale e al misticismo estetico a cui abbiamo già accennato. Si riferisce anche, suppongo (e ciò, forse, andava piú messo in rilievo) alla sicurezza assoluta di giudizio che Marchesi ha sem[...]

[...]ntro l'« ideale », per una cultura dell'Italia unita borgheseavanzata con forti cautele « antiutopistiche ». Se nell'immediato dopoguerra si esagerò in « desanctisismo di sinistra », fu perché non si videro i limiti (d'indirizzo politico e, connessi con questi, anche di gusto estetico) di una prospettiva storica e critica che tagliava fuori Cattaneo, Pisacane, la prima scapigliatura, e fondamentalmente non capiva nemmeno Leopardi. Tuttavia nello Studio sul Leopardi, l'ultima opera rimasta incompiuta, c'è un'esigenza di ricerca filologicostorica e addirittura di preparazione bibliografica, di metodo
« tedesco ». Che cosa di tutto ciò ereditò Marchesi? Direi nulla, anche a volersi limitare al « gusto », che In Marchesi è sempre collegato con uno psicologismo, con una predilezione per le « anime tormentate » a cui De Sanctis (anche per
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ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica [...]

[...]a volta, spinte e inquietudini opposte. Da un lato, un incessante « bisogno di Dio » assillò Marchesi per tutta la vita, gli fece ricercare l'amicizia di religiosi, lo spinse piú volte a cercare pace e solitudine in monasteri, pur non facendolo mai deflettere dall'ostilità piú fiera per il cattolicesimo politico, per la Chiesa ufficiale alleata degli oppressori e degli sfruttatori. Di ciò hanno scritto ampiamente, con sostanziale veridicità, due studiosi cattolici, Pietro Ferrarino (Religiosità di Marchesi, ora in appendice a SM, III, p. 1331 ss.) ed Ezio Franceschini (C. Marchesi, Padova, Antenore, 1978, pp. 121 ss., 129 ss.). Ma il Ferrarino, piú sobrio e obiettivo pur nella sua chiara professione di cattolicesimo, si è fermato a tempo, non ha voluto dimostrare l'indimostrabile sugli ultimi istanti di vita di Marchesi; il Franceschini, non per quel meschino spirito di speculazione che ha indotto tanti clericali a inventare conversioni all'ultima ora, ma per una sofferta esigenza di sapere « salvato » il maestro e amico da lui amato con t[...]

[...]empre brani latini tradotti!
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uomo di Stato fu il fondatore dell'impero romano quale organismo politico universale »7. In confronto a Cesare, Augusto, osserva il La Penna (p. 76),
« non riscuote un'ammirazione neppure lontanamente paragonabile ». Ciò mi sembra vero soltanto in parte. Certo Marchesi non ha attribuito ad Augusto la genialità di Cesare, né lo poteva; ma non ha nemmeno accentuato, come altri studiosi, il contrasto fra la mediocrità dell'uno e la grandezza dell'altro. Anche ad Augusto è tributata una viva lode per quel punto che piú importa a Marchesi: « Con uguale risolutezza procede la politica unitaria provinciale che tende ad associare l'Italia alle provincie
e a costituire il grande impero romano al posto di quello Stato cittadino che vedeva nelle provincie un semplice campo di sfruttamento » (Storia, i', p. 356). E in un discorso su Augusto tenuto nel 1938 (l'anno del bimillenario augusteo; edito nella collana di « Opuscoli Accademici » dell'Università di Padova, ripubblicato poi[...]

[...]rispetto a cui il successivo idealismo e spiritualismo rappresentò una frattura e una svolta. E, pur riconoscendo ovviamente che il tardo positivismo ebbe connotati suoi propri, non dimenticherei che certi aspetti che si trovano nella Weltanschauung di Marchesi sono presenti in alcuni notevoli filoni del positivismo fin dall'inizio.
Sarò costretto a ricordare cose che non costituiscono alcuna novità (fra l'altro, c'è attualmente un rifiorire di studi sul positivismo, e il poco che rammenterò apparirà, ad un tempo, scontato e troppo generico); ma il mio scopo è soltanto di dare alcuni punti di riferimento per la collocazione della personalità di Marchesi, e di mostrare come quelle contraddizioni che giustamente, come si è visto, La Penna ha messo in risalto nella figura del suo autore non siano tutte e soltanto contraddizioni « personali », ma si ritrovino appunto nella cultura positivistica.
Certo, se si pensa al positivismo come scientismo o come sia pur parziale ripresa di motivi illuministici e laici dopo l'età romantica, Marchesi app[...]

[...] universo concepito materialisticamente ed evoluzionisticamente postulava il famoso « Inconoscibile » e non negava la religione, e che Emil Du BoysReymond, fautore di un meccanicismo addirittura laplaciano, riconosceva poi l'esistenza dei « sette enigmi del mondo », di fronte ai quali la scienza doveva dire non soltanto ignoramus, ma ignorabimus.
In un settore del tardo positivismo (un settore rappresentato, almeno in Italia, piú da letterati e studiosi di discipline umanistiche che da scien
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ziati della natura) questa concezione dualistica, che in quanto tale, come si è visto, compare già nel primo positivismo, assume una carica di « sgomento cosmico » e di ansia per il destino effimero dell'uomo. Due poeti e studiosi pur molto diversi l'uno dall'altro, Pascoli e Graf, esprimono spesso questo bisogno religioso all'interno di una cultura che è ancora nettamente positivistica; lo stesso si può dire di un autore a cui il Marchesi fu molto vicino nei suoi anni giovanili, Mario Rapisardi (cfr. La Penna, p. 7 s.; si pensi specialmente al Giobbe di Rapisardi; e si tengano presenti le affinità che risultano dal carteggio GrafRapisardi pubblicato da Carmelina Naselli in « Archivio storico per la Sicilia orientale », LVIII, 1962, fasc. 13, LIx, 1963, fasc. 13). Nessuno di essi pensò mai alla possibilità di porre [...]

[...]nquietudine che ti accusa un dolore dominato ma non vinto », parlava di « sgomento dell'infinito », di « pianto compresso », e asseriva che proprio per questa consapevolezza tragica (che tuttavia non menoma in lui il coraggio della verità) Lucrezio è superiore a Epicuro (op. cit., pp. 157, 163 s.). Senza soffermarci in altre citazioni che ci ruberebbero troppo spazio, notiamo che lo stesso motivo dell'Antilucrèce ritorna nel pur sobrio Giussani (Studi lucreziani, rist. Torino 1923, pp. xiir, xxiii) e piú tardi in uno spirito tormentato affine per certi aspetti a Marchesi (anche se di statura assai inferiore) come Carlo Pascal8. Ebbene, nella già citata
s Se si tien conto dei rapporti tra Marchesi giovane e Rapisardi, particolare interesse (ma anche difficoltà di una soluzione schematica) presenta il problema del lucrezismo rapisardiano. Il Rapisardi tradusse Lucrezio (La Natura, Milano 1880, Torino 18822, questa seconda volta con una prefazione di Trezza, in cui si esalta Lucrezio piú come « lirico » che come espositore dell'epicureismo).[...]

[...]ilosofico o teologico.
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parte la « retorica civile » estranea a Marchesi), e meno ancora tutta la schiera degli eruditiletterati carducciani; e non vi si sottrae, malgrado la grande diversità di temperamento dal Carducci, il Graf, uno dei fondatori del severo « Giornale storico della letteratura italiana » e, nello stesso tempo, troppo artista e troppo psicologista come critico letterario. Il Graf è figura ancora poco studiata; quando uscirà il saggio a lui dedicato da Girolamo de Liguori (di cui ho potuto leggere una parte ancora inedita), anche certe caratteristiche e certe contraddizioni di Marchesi ne usciranno, penso, meglio chiarite. E per quel ché riguarda gli italianisti e i medievalisti di fine Ottocento, non si dimentichi che nella produzione giovanile di Marchesi la filologia medievale e umanistica prevalgono, come quantità e anche come valore, sulla filologia classica, seguendo l'esempio di Remigio Sabbadini, anche lui, malgrado le cure date al testo di Virgilio, migliore studioso dell'umanesimo che [...]

[...]che certe caratteristiche e certe contraddizioni di Marchesi ne usciranno, penso, meglio chiarite. E per quel ché riguarda gli italianisti e i medievalisti di fine Ottocento, non si dimentichi che nella produzione giovanile di Marchesi la filologia medievale e umanistica prevalgono, come quantità e anche come valore, sulla filologia classica, seguendo l'esempio di Remigio Sabbadini, anche lui, malgrado le cure date al testo di Virgilio, migliore studioso dell'umanesimo che della letteratura latina antica. Di questa produzione giovanile di Marchesi tratta in modo eccellente il La Penna nel cap. ir del suo saggio, e io non ho nulla da aggiungere; qualcosa, piú oltre, dirò del Marchesi filologo classico.
Con ciò non intendo certo sostenere che Marchesi abbia trascorso la maggior parte della sua vita intellettuale chiuso dentro una corazza tardopositivistica, insensibile ad ogni influsso del neoidealismo e dell'irrazionalismo novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), l[...]

[...]uso una felice espressione del La Penna, p. 78, a proposito della Storia della letteratura latina — « convergevano con una certa impostazione idealistica ». E infatti, come ricorda ancora il La Penna, la Storia fu lodata da Croce (cfr. Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, ir, Bari 19473, p. 197) ed ebbe ottima accoglienza nella cultura italiana degli anni Trenta. Prima ancora, il Seneca era stato accolto da Gentile nella collana di « Studi filosofici » da lui diretta presso Principato, ed era stato recensito assai favorevolmente da Adolfo Omodeo (Tradizioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929, pp. 107117). A sua volta, Marchesi, pur non desistendo mai dalle sue puntate contro la filosofia « incapace di consolare », non s'impegnò mai in polemiche esplicite contro l'idealismo crociano e gentiliano e contro l'estetica crociana 10; non è improbabile che,
Io Una sua replica a Croce di argomento politico, assai rispettosa e tendente a conciliare piú che ad accentuare il dissenso, è in Umanesimo e comunismo, p. 50 ss. (d[...]

[...]oesia nuova che si innalzi un po' al di sopra dell'Inno dei lavoratori è esclusa a priori da Marchesi.
Il 1908 cade in un periodo in cui gran parte dell'intelligencija italiana, che si era accostata al socialismo durante la reazione di Crispi e di Pelloux e ancora nei primissimi anni del nostro secolo, ridiventa « borghese »: c'è chi si spinge al nazionalismo e prepara già un clima prefascista; ma il distacco dal socialismo fu compiuto anche da studiosi seri e onesti come Salvemini, Ciccotti e molti altri. Non è azzardato, credo, supporre che Marchesi, pur rimanendo iscritto al Partito socialista, abbia fortemente risentito dell'atmosfera antisocialista di quegli 'anni.
Quell'articolo del 1908 dette luogo (lo ricorda, anche se fugacemente, Piero Treves, art. cit., pp. 141,146) a una replica di Alessandro D'Ancona, Malinconica visione dell'avvenire (« Giornale d'Italia », 26 luglio 1908 = Ricordi storici del Risorgimento italiano, Firenze [1914], p. 541 s.). Il conservatore, ma non reazionario D'Ancona ebbe buon gioco nell'osservare che, [...]

[...]ltanto contro certi fraintendimenti della dottrina socialista. Dei propri insulti alla « moltitudine » non fece parola (mentre essi occupavano gran parte dell'articolo oraziano); e dopo aver deplorato in quel primo articolo, come si è visto, la prossima fine della fede in Dio, adesso dichiarò che Dio « sta troppo in alto », e introdusse perfino nel suo discorso, lui nemico della scienza, una nota scientistica e laicistica: « Oggi molti uomini di studio volgono l'occhio lassú, in alto, in cielo, solo per indagare e conoscere le leggi della enorme vita planetaria, non già per offrire all'uomo affaticato il premio dell'oltretomba... ». Nella controreplica con cui la polemica si chiuse (« Giornale d'Italia », 1 agosto 1908 = Ricordi storici cit., p. 552 ss.) il D'Ancona ebbe, ancora una volta, facile vittoria, senza nemmeno incalzare troppo il Marchesi. E quanto alla questione di Dio, ribatté: « E sia: ma il mistero della vita, della vita umana ed universale, rimarrà sempre impenetrabile, per quanto si centuplichi il patrimonio del sapere ». E[...]

[...]D'Ancona ebbe, ancora una volta, facile vittoria, senza nemmeno incalzare troppo il Marchesi. E quanto alla questione di Dio, ribatté: « E sia: ma il mistero della vita, della vita umana ed universale, rimarrà sempre impenetrabile, per quanto si centuplichi il patrimonio del sapere ». Era un'asserzione tipicamente marchesiana, che il Marchesi si vedeva ritorcere contro! Ma certo sarebbe interessante (benché non
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facile) studiare il Marchesi socialista dagli inizi del nostro secolo fino alla fondazione del Partito comunista; è questo il periodo del Marchesi politico su cui meno sappiamo.
8. Il critico testuale. — Un ultimo punto sul quale, sempre seguendo e postillando il libro di La Penna, vorremmo dire qualcosa è l'attività di Marchesi come filologo classico, e più precisamente come critico testuale. Il La Penna (cap. III) valuta, in complesso, severamente le edizioni critiche o semicritiche (chiamo cosi i commenti scolastici muniti di piú o meno sporadici contributi criticotestuali: un genere ibrido, ma nel qua[...]

[...]i contributi criticotestuali: un genere ibrido, ma nel quale dettero alcune buone prove il Terzaghi, il Galante ed altri) dell'Orator di Cicerone, del Tieste di Seneca, del De magia di Apuleio, dell'Ars amatoria di Ovidio; .considera con maggiore benevolenza alcune ricerche su codici di autori antichi (molte di piú, e piú fruttuose, il Marchesi ne compi su codici di autori medievali e umanistici) e in particolare mette in risalto il valore degli studi sugli scolii a Persio (SM, II, pp. 907983); sottolinea che un progresso criticotestuale assai notevole fu compiuto dal Marchesi con l'edizione di Arnobio (Torino 1934, 19532). Tuttavia anche riguardo a quest'ultima il La Penna ammonisce che « va lodata con misura », e vi ravvisa il difetto di tutta la critica testuale marchesiana, l'indirizzo troppo conservativo, di cui fornisce (a p. 30 e in un'appendice a pp. 101103) parecchi esempi, discutendo intelligentemente vari passi e proponendo anche qualche suo contributo persuasivo.
Sia la valutazione generale di Marchesi filologo, sia le discuss[...]

[...]el 1902 (dovuta principalmente al Richter, per la prematura morte del Peiper) si accorsero che i codici A, accanto a numerosissime banalizzazioni e alterazioni arbitrarie (altre, del resto, ne aveva anche E, benché in molto minor misura), presentavano lezioni sicuramente giuste e non congetturali; e cercarono di districare la genealogia dei codici A. Ma questa operazione doveva riuscire soltanto assai piú tardi (e pur sempre imperfettamente: gli studiosi piú recenti, certo molto meritevoli, ostentano tuttavia troppa baldanza); e le lezioni di A accolte dal Richter erano ancora, di gran lunga, troppo poche, e troppe le congetture, non piú felici di quelle del Leo. Perché apparisse chiaro quanto di buono si poteva ancora ricavare da A (anche senza affrontare il problema dei rapporti genealogici all'interno di questa famiglia) e di quante congetture inutili andasse sbarazzato il testo delle tragedie di Seneca, dovevano venire, dal 1926 in poi, gli studi di Gunnar Carlsson, che rimangono fondamentali, sebbene in alcuni casi il Carlsson si sia [...]

[...]tavia troppa baldanza); e le lezioni di A accolte dal Richter erano ancora, di gran lunga, troppo poche, e troppe le congetture, non piú felici di quelle del Leo. Perché apparisse chiaro quanto di buono si poteva ancora ricavare da A (anche senza affrontare il problema dei rapporti genealogici all'interno di questa famiglia) e di quante congetture inutili andasse sbarazzato il testo delle tragedie di Seneca, dovevano venire, dal 1926 in poi, gli studi di Gunnar Carlsson, che rimangono fondamentali, sebbene in alcuni casi il Carlsson si sia spinto troppo oltre.
Marchesi non aveva nel 1908 e non ebbe nemmeno piú tardi l'attitudine ad affrontare complessi problemi di genealogia dei codici (non la ebbero nemmeno, è bene ricordarlo, filologi suoi coetanei o suoi predecessori della forza di Cornparetti, Piccolomini, Vitelli, Sabbadini, Castiglioni; il gusto per problemi stemmatici si fece strada lentamente in Italia); è doveroso aggiungere che, anche se avesse avuto interessi di questo tipo, non avrebbe comunque potuto, privo della possibilità [...]

[...]tiamo che in molti passi (vv. 26 nec, 47 fratris, 93 sacra, 110 stetit, 111 qui, 114 latus, 141 tulerat, 255 modum, 302 preces. movebunt, 326 patri cliens, 740 ac, 833 et ignes, 890 implebo patrem, 994 abdidit, 1008 te nosque, 1084 haec) la lezione prescelta dal Marchesi è oggi accolta (cfr. anche i « fartasse recte » del Giardina a 180 e 322). In alcuni casi si tratta di scelte a favore di A, nelle quali il Marchesi precorse il Carlsson o altri studiosi, in uno di scelta a favore di E (v. 26: qui il Leo e il Richter avevano preferito ne di A, e ciò dimostra che Marchesi non aveva pregiudizi uniláterali contro l'Etrusco), in molti altri di conservazione della lezione di tutti i mss. Il La Penna, mentre enumera (p. 27) alcuni passi in cui il Marchesi ha sicuramente o probabilmente torto, non fa cenno (tranne che per il v. 302) dei casi, tutto sommato piú numerosi, in cui ha ragione contro Lea e Richter (talvolta la lezione giusta era stata già prescelta da vecchi filologi; ma è pur sempre un merito del Marchesi l'averla rivalutata contro le[...]

[...]di E sia piú consono allo stile di Seneca; eppure il confronto addotto da Marchesi con l'ordine delle parole nel modello virgiliano non è privo di finezza, e la lezione che egli preferisce non è tramandata dal solo Riccardiano, ma dall'intera classe A.
Questa mia difesa dell'edizione del Tieste va considerata, intendiamoci, come una difesa ben delimitata: i grossi difetti a cui già abbiamo accennato restano, e l'edizione rimane il lavoro di uno studioso non privo di qualità anche in critica testuale, ma immaturo.
Diverso è il caso dell'edizione di Arnobio. Su essa il La Penna si sofferma ampiamente, mostrandosi ottimo conoscitore del testo arnobiano e aggiungendo alle osservazioni sull'edizione di Marchesi propri contributi originali (pp. 29 s., 101103; altri contributi originali il La Penna pubblicherà prossimamente). Egli nota con ragione che,nell'Arnobio « la tendenza conservatrice », che aveva pesato negativamente sulle vecchie edizioni curate da Marchesi, « non è affatto generale e molto raramente è acritica »; aggiunge che « l'edit[...]

[...]tizione » (p. 30). Non mi sento di escludere questa ipotesi; ma confesso che ci credo poco. Le decine e decine di congetture del Castiglioni, tranne forse una o due, erano, diciamo la verità, del tutto inutili, normalizzatrici a sproposito; il Castiglioni, congetturatore spesso troppo analogista come il suo maestro Vitelli, ma quasi sempre ottimo conoscitore dell'usus scribendi degli autori da lui presi in esame, non si era minimamente curato di studiare a fondo la lingua e lo stile di Arnobio, cosí personali pur nell'ambito del latino tardo. Non direi che un simile profluvio di congetturalismo ozioso costituisse il miglior modo di ispirare a un critico conservatore come Marchesi fiducia nelle congetture; e infatti Marchesi relegò pressoché tutte le congetture di Castiglioni nell'apparato critico, e nell'apparato critico stesso le menzionò, è da credere, piú per cortesia verso l'amico che per fiducia in una loro sia pur vaga probabilità, e parecchie ne omise nella seconda edizione (citandone, in cambio, poche altre, a dire il vero non migl[...]

[...] filologi del nostro secolo, certamente superiore a Marchesi come crítico testuale: ma non come critico testuale arnobiano.
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Di un altro impulso, secondo me molto piú valido, ricevuto da Marchesi il La Penna fa menzione: « i grandi progressi fatti nella conoscenza del latino tardo soprattutto grazie al Löfstedt, che proprio ad Arnobio aveva dedicato cure particolari ». Ora, il Löfstedt fu, come è noto (non solo nei suoi studi dedicati ad autori o a fenomeni linguistici singoli, ma nella grande opera Syntactica), un critico testuale conservatore, che molto imparò dal Vahlen e dal Wölfin e formò in Svezia una scuola di alto livello. C'è stato, nell'Ottocento e in buona parte del Novecento, un conservatorismo criticotestuale « all'italiana », che in gran parte era rinuncia a interpretare il testo, tendenza a giustificare tutto in ossequio alla « tradizione », rivendicazione grottescamente patriottica di una sorta di « buon senso italico » contro le folli audacie dei filologi tedeschi. Di questo tipo era stato il cons[...]

[...]hi. Di questo tipo era stato il conservatorismo di Marchesi nelle edizioni anteriori a quella di Arnobio (il che non esclude, come si è visto, che in parecchi casi, a proposito del Tieste di Seneca, egli avesse ragione): sia pure con minore virulenza di un Romagnoli, aveva anch'egli accolto la connotazione patriottica del proprio indirizzo criticotestuale: nell'introduzione al Tieste il Leo e il Richter sono chiamati, in contesti polemici, « gli studiosi tedeschi », « gli editori tedeschi » (pp. 29, 38), e di « pernicioso influsso germanico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filologismo (SM, in, pp. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che [...]

[...]germanico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filologismo (SM, in, pp. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che da un lato anticipavano molti sviluppi delle lingue romanze, dall'altro si riconnettevano al latino arcaico, in parte per consapevole arcaismo, in parte maggiore per riemersione di una ininterrotta corrente di lingua popolare rimasta celata sotto la lingua letteraria degli scrittori dell'età classica. Non si trattava, quindi, da parte del Löfstedt e della sua scuola, di « venerazione » della tradizione manoscritta, ma di lotta contro le congetture normalizzatrici, classicistiche, ciceronianizzanti: lotta che in parte (e senza dubbi[...]

[...]chio conservatorismo « all'italiana » del Marchesi giovane: è una svolta e un'adesione a questo nuovo conservatorismo, particolarmente necessario per un autore come Arnobio, cosí pieno non solo di volgarismi e arcaismi, ma di espressioni personali, di hapax, quasi tutti disconosciuti dal mediocrissimo editore anteriore al
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 667
Marchesi, August Reifferscheid. Per la prima volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parola, facendo i conti con la linguistica e la filologia fiorite fuori d'Italia, abbandonando (non nella concezione generale dei rapporti tra filologia e critica letteraria, ma nella tecnica filologica sí) il provincialismo. E non si limitò a far tesoro dei contributi altrui: notò egli per primo molte particolarità, inconcinnità sintattiche, stranezze individuali del latino di Arnobio (ricordo un solo esempio fra i tanti: l'uso di homo = corpus contrapposto all'anima, cfr. p. 51, 1 della 2a ed., e aggiungi ai passi citati dal Marchesi p. 58, 17 s.). Alcuni casi di cons[...]

[...]aratori, in alcuni punti il Le Bonniec sarà ancor piú conservatore di Marchesi; credo anch'io che, mentre in qualche punto bisognerà emendare dove Marchesi ha conservato, in qualche altro dovrà avvenire il contrario; e molti resteranno i punti dubbi, nei quali, come dice La Penna (p. 101), « non si sa se attribuire la lezione a un errore di scriba o all'estro del retore ». Ma l'edizione di Marchesi rimarrà sempre una tappa molto importante negli studi arnobiani.
Io suppongo che quella che ho chiamato la sprovincializzazione filologica (e linguistica) di Marchesi si debba anche all'influsso degli allievi dell'università di Padova, di uno soprattutto, il solo vero allievo che Marchesi abbia avuto, Ezio Franceschini, che è poi diventato un insigne medievalista. Franceschini ha sempre parlato di Marchesi come di un maestro « irraggiungibile », che, nonostante la grande umanità e la sostanziale modestia, poco o nulla poteva imparare dai suoi scolari. Tuttavia nel suo Marchesi il Franceschini ci ha narrato un episodio significativo (p. xit s.).[...]

[...]opo e gli espone i risultati: quel testo è la versione latina di un'opera araba composta nel 1053; ne esistono anche versioni in altre lingue, ed esistono molti altri codici della versione latina, ignoti a Marchesi. « Mi ascoltò silenzioso, con segni evidenti di stupore e d'interesse. Poi mí chiese: "Ma come ha fatto, scusi, a giungere a questi risultati?". Risposi: "Chiedendomi semplicemente se della questione non si fossero mai interessati gli studiosi tedeschi". Ero partito infatti da quella domanda, avevo fatto ricerche in quella direzione ed ora gli potevo presentare una lunga lista di autori a lui ignoti e le loro conclusioni. ».
Un fatto di questo genere (e non è detto che sia stato l'unico) dovette far riflettere Marchesi, probabilmente piú di quanto appaia dal séguito del racconto di Franceschini, che si preoccupa di ridare subito al maestro, nel colloquio, la funzione di guida, la preminenza. Certo Marchesi aveva già, in altri campi, letto e consultato e recensito molte opere di studiosi tedeschi; ma, come dimostrano proprio le [...]

[...]a gli potevo presentare una lunga lista di autori a lui ignoti e le loro conclusioni. ».
Un fatto di questo genere (e non è detto che sia stato l'unico) dovette far riflettere Marchesi, probabilmente piú di quanto appaia dal séguito del racconto di Franceschini, che si preoccupa di ridare subito al maestro, nel colloquio, la funzione di guida, la preminenza. Certo Marchesi aveva già, in altri campi, letto e consultato e recensito molte opere di studiosi tedeschi; ma, come dimostrano proprio le tante recensioni ora ristampate in SM, quasi sempre con frettolosità e (si ricordino le espressioni già da noi riportate) con la convinzione, piú o meno esplicita, che la forza d'intuizione latina avesse poco di importante da imparare dalla pedanteria teutonica. Sul finire degli anni Venti accadde evidentemente in lui un ripensamento, senza il quale non sarebbe immaginabile l'edizione di Arnobio. Il Franceschini, filologo di prim'ordine ma non disposto a esprimere sul suo Marchesi alcuna riserva e quindi nemmeno a compiere alcuna periodizzazione, ri[...]

[...]ogia di Marchesi ma considera eccellenti anche le edizioni critiche anteriori (op. cit., pp. 267, 308309); tuttavia testimonianze dello stesso Franceschini come: « Ricordo le lunghe discussioni sulla scelta di una variante, le ragioni valide per l'una o per l'altra parola, le ricerche lessicali e stilistiche, e ancora i dubbi e le incertezze, prima della decisione » (p. 94 s.); o: « Quante volte lo incontrai dopo una notte passata insonne per lo studio di una variante! » (p. 130, e ancora p. 167) non possono riferirsi che all'Arnobio (per « varianti » il Franceschini intenderà, insieme alla lezione tramandata, le varie proposte congetturali, ché il codice di Arnobio, come si sa, è uno solo) o forse a esercitazioni di seminario su testi medievali: non certo, per ovvie ragioni cronologiche, alle edizioni degli anni 190418, quando Marchesi non aveva ancora quel gusto per la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcu[...]

[...] medievali: non certo, per ovvie ragioni cronologiche, alle edizioni degli anni 190418, quando Marchesi non aveva ancora quel gusto per la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcuno dei suoi volumi piú tardi la prolusione Filologia e filologismo, e, aggiungo, a fargli apprezzare lavori di filologia « arida » come gli Studi sui Topici del Riposati (dr. Franceschini, p. 44). Ma, detto tutto ciò, vorrei ancora pregare di non frainten
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 669
dermi: anche nell'ultimo Marchesi la filologia, pur tanto meglio apprezzata e praticata, rimase un'attività marginale.
9. Tommaso Fiore e gli « intellettuali disorganici ». — Se ora, dopo essermi soffermato cosí a lungo sul Marchesi di La Penna (mettendo a dura prova la pazienza dell'eventuale lettore), non mi soffermo sul piú breve saggio su Tommaso Fiore interprete di Virgilio (pp. 107131), non è perché non lo consideri degno del precedente[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Zangheri, La mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e i problemi economici dell'unità in Studi gramsciani

Brano: [...]ancesi, non seppe tradurre in atto » 3. Mi sembra che il pensiero di Gramsci sia in proposito meno semplicistico. L’unica possibilità che Gramsci ammette senza riserva è di una « azione sui contadini » da parte delle forze unitaria » 4; per il resto, è circospetto assai. « Nelle Noterelle di G. C. Abba — scrive — ci sono elementi per dimostrare che la quistione agraria era la molla per far entrare in moto le grandi masse » 5. L’accenno è sobrio. Studi posteriori hanno documentato, più che Gramsci forse non pensasse, la

1 D. DEMARCO, «L’economia degli Stati italiani prima deirUnità», in Rassegna storica del Risorgimento, a. XLIV, fase. IIIII (apr.sett. 1957), p. 258. Ma secondo il Luzzatto i progressi compiuti in alcune regioni fra il 1830 e i) 1847 « erano stati annullati dal rapidissimo balzo in avanti che gli Stati più progrediti avevano fatto dopo il 1850 »: G. LUZZATTO, «L’economia italiana nel primo decennio dell’Unità», ibid.9 pp. 2601.

2 R., p. 46.

3 Romeo, l. c., p. 13.

4 JR., p. 68.

5 R., p. 103.372

1 documenti [...]

[...]oro e nel regime fondiario, concerne precisamente lo sviluppo del capitalismo, i problemi economici dell’Italia unita. Di più, intende che alla base dello sviluppo economico moderno è il processo dell’accumulazione del capitale, anche se, come vedremo, non gli sono chiare le condizioni economiche e sociali entro cui l'accumulazione si rende possibile. Si deve dire infine che il Romeo è nel vero quando afferma che, salvo il lavoro del Sereni, gli studiosi marxisti hanno lasciato in ombra la fondamentale problematica del processo di sviluppo capitalistico nell’Italia unita.

Quali dunque le probabili conseguenze sull’economia italiana di una rivoluzione agraria? Essa avrebbe arrestato, a mente del Romeo, l’incipiente sviluppo del capitalismo nelle campagne del nord, colpendo inevitabilmente « anche le forme di più avanzata economia agraria », cioè, se bene intendo, le medie e grandi aziende a salariati, « per sostituirvi un regime di piccola proprietà indipendente » 1. A questo modo si sarebbe contratto « il profitto agrario, che da noi ag[...]

[...] formazione dei capitali e nelle « occasioni » di investimento, cosi costituì, come Gramsci ha indicato, la base principale della nascita e del progressivo aggravamento, nell’Italia unita, di una questione meridionale.

Ma per tornare alle fonti dell’accumulazione, non vi è dubbio che la « molla principale di tutto il processo » è, nei primi decenni dell’Unità*

1 Cfr. A. BERTOLINO, « I fondamenti delle idee economiche di Carlo Cattaneo», in Studi in onore di Armando Sapori, II, Milano, 1957, p. 1443. È interessante, ad esempio, per giudicare dell’orientamento del Cattaneo sui problemi del finanziamento dello sviluppo economico, la posizione assunta verso la costituzione di un istituto di credito fondiario con capitali misti italiani e francesi, proposta da Gioacchino Pepoli. « Cattaneo — notava in proposito il Pepoli — sostiene che questa è una illusione, che non esistono tutti questi capitali disponibili in Francia, ove l’agricoltura è cosi poco sussidiata, cosi poco favorita; che quindi la Francia non può, di ciò di che essa stessa [...]

[...]ievi sul ritmo dello sviluppo. Alexander Gerschenkron, ohe ha costruito un indice della produzione industriale italiana per gli anni 18811913, calcola per questo periodo un tasso di incremento medio annuo del 3,8% con una punta del. 6,7% per gli anni 18961908 di massimo slancio. Tralasciamo in questa sede di esaminare l’attendibilità dell’indice in questione, che in ogni caso non sembra gravemente discordante da misure elaborate in precedenza da studiosi italiani2. Commenta il Gerschenkron: «considerando da un lato il forte ritardo del processo di industrializzazione italiano, e dall’altro lato osservando periodi similari in altri paesi, il saggio di sviluppo industriale in Italia tra il 1896 e il 1908 risulta più basso di quanto ci si sarebbe potuto aspettare ». L’industria svedese registrò fra il 1888 e il 1906 un saggio annuale di incremento di quasi il 12%; quella giapponese fra il 1907 e il 1913 dell’8,5%; quella russa fra il 1880 e il 1890 di più dell’8%. D’altronde lo sviluppo industriale italiano, « mentre fu immune da gravi flessi[...]

[...] divers pays de 1870 à 1928 », in Bulletin de la statistique générale de la Trance et du service d’observation des prix, t. XVIII, fase. I (oct.déc. 1928), p. 105.

2 G. Medici G. Orlando, Agricoltura e disoccupazione, I. I braccianti della Valle padana, Bologna, 1952, p. 14, e cfr. F. Coppola D’Anna, « Le forze di lavoro e il loro impiego in Italia », in Commissione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione, La disoccupazione in Italia, Studi speciali, voi. IV, t. 2, Roma, 1953, p. 38 sgg.

3 Parenti Bloch, l. c., pp. 261288.

4 E. Sereni, Vecchio e nuovo nelle campagne italiane, Roma, 1956, pp. 24950; Atti del Convegno nazionale sulla meccanizzazione dell’agricoltura nelreconomia italiana (Cremona, 20 settembre 1953), Bologna s. d., p. 172.Renato Zangheri

383

Quanto poi alla credenza del Romeo che l’inferiorità economica del Mezzogiorno sia stata una condizione « temporanea » dello sviluppo industriale del nord, « destinata ad essere rovesciata dallo stesso sviluppo interno dell’industrialismo settentrionale», si deve[...]

[...]a che il Romeo ha fatto delle idee gramsciane sul Risorgimento ha una origine pratica. Quel che a lui preme, è dimostrare la razionalità dello svolgimento unitario e, per conseguenza, l’attuale validità dei suoi effetti. In questa confusione del presente col passato sta il limite generale delle sue critiche \

1 Bisogna tuttavia dire che il Romeo, quando abbandona il terreno infido della polemica pratica, non sa sottrarsi, nella sua probità di studioso, ai criteri di indagine che Gramsci ha fatto valere nella storiografia contemporanea. SÌ veda, ad esempio, il bel saggio su La signoria dell’abate di Sant’Ambrogio di Milano sul comune rurale di Origgio nel sec. XIII, che appare ora nella Rivista storica italiana, a. LXIX (1957), fase. IV, particolarmente alle pp. 5045, dove il Romeo osserva che la signoria milanese dei Della Torre non portò a fondo la lotta antifeudale nel contado, per concludere : « La mancanza di un concreto sostegno nel contado — che non si seppe o non si volle trovare nei rustici — rende assai più difficile alla pur p[...]



da Roberto Pertici, Giovanni Amendola: l'esperienza socialista e teosofica (1898-1905) in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]IALISTA E TEOSOFICA (18981905)
I primi scritti di Giovanni Amendola, che ci rimangono, sono i tredici articoli che egli pubblicò diciottenne sul quotidiano romano « La Capitale » dal dicembre 1899 al febbraio 1900 1. In essi frequenti' sono, senza dubbio, le ingenuità e le contraddizioni, dovute sia alla giovane età dell'autore, sia soprattutto al carattere frammentario e, per certi versi, approssimativo della sua formazione culturale, priva di studi regolari in campo filosofico; tuttavia, dal loro esame e sulla base di alcuni riferimenti autobiografici dello stesso Amendola, possiamo individuare certi suoi primi punti di riferimento nel mondo della politica come in quello della cultura. Ne emerge un singolare intreccio di posizioni vagamente positivistiche e socialistiche con suggestioni mistiche e spiritualistiche; analogamente le poche osservazioni autobiografiche amendoliane riguardanti quegli anni serbano il ricordo di ambienti, situazioni ed uomini apparentemente lontani e diversi. In alcune, infatti, egli rievoca gli ambienti ed i [...]

[...]« lo storico della cultura italiana di quel periodo dovrà dare molto maggior importanza che non alle manifestazioni di quella scienza accademica, della filosofia ufficiale e della letteratura che trovò fortuna presso il grande pubblico »3. Piú precisamente due anni dopo, rievo
1 Per un'efficace sintesi della storia de « La Capitale » è da vedere l'ottimo repertorio di V. O. MAJOLO MOLINARI, La stampa periodica romana dell'800, Roma, Istituto di Studi Romani, 1963, I, pp. 189191. Su Edoardo Arbib, allora direttore del quotidiano, cfr. G. DI PEJO, Edoardo Arbib, in Dizionario biografico degli italiani, ad nomen.
2 LORENZO BEDESCHI, Circoli modernizzanti a Roma a cavallo del secolo, « Studi romani », aprilegiugno 1970, n. 2, pp. 189215. Bedeschi si riferisce soprattutto ai gruppi che si riunivano nel mezzanino di via Arenula di Antonietta Giacomelli e successivamente in casa Molajoni in Piazza Rondanini. Sulle inquietudini religiose dell'ultimo decennio dell'800 e su questi ambienti, cfr. anche PIETRO SCOPPOLA, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1961, pp. 88 e ss.
3 Recensione a Uomini ed eroi di ALESSANDRO GHIGNONI, « La Cultura contemporanea », ottobre 1909, n. 10, p. 165.
186 VARIETÀ E DOCUMENTI
cando post mortem Antonio Fogazzaro, aff[...]

[...]sse testimonianze della moglie e del figlio Giorgio non concordano del tutto '. Tuttavia sembra indubitabile, anche sulla base del frammento autobiografico testé citato, che Amendola sia arrivato al socialismo prima del '98; da un accenno contenuto in una lettera inviatagli da Alfred Meebold nel 1904 (Kühn, p. 67), si coglie la notevole influenza che, in tutta questa fase, esercitò il pensiero di Napoleone Colajanni. In verità, a proposito dello studioso siciliano, si può parlare di socialismo solo in senso lato: anche se la sua posizione fu spesso vicina a quella dei socialisti, sul piano teorico egli non giunse mai ad accettare una concezione classista della società. In questo mazzinianesimo rivisitato, il giovane Amendola trovava un naturale sviluppo degli atteggiamenti radicali, ereditati dalla tradizione risorgimentale, tipici della sua famiglia, e soprattutto una
6 Sugli ambienti protestanticomazziniani operanti nel Risorgimento sono ancora da leggere le pagine di GIORGIO SPINI, Risorgimento e protestanti, Napoli, E.S.I., 1956. Per [...]

[...]el secolo scorso. Le idee teosofiche avevano trovato una certa diffusione anche nel nostro paese: dopo i primi contatti col mondo della teosofia francese, che risalivano circa al 1880, nei primi anni Novanta era stata aperta una libreria ed una biblioteca teosofica in via del Corso a Roma, da cui prendeva avvio un certo lavoro di proselitismo. La teosofia, insomma, cominciava ad essere un fenomeno se non proprio alla moda, per lo meno discusso e studiato. Già nel 1896, in un saggio intitolato significativamente Lo « Spirito nuovo », Decio Cortesi, trattando della crisi del movi
mento positivistico e della rinascita dello spiritualismo, discorreva delle sue diverse componenti: fra queste il Cortesi annoverava anche il « teosofismo »,
« forma di cristianesimo filosofico, d'origine protestante, che ha una certa vita
in America ed in Inghilterra », ne accennava alla diffusione in Italia, anche se mostrava di ritenere che essa, « lontana dal nostro carattere fantasioso meri
dionale », avesse poca possibilità di attecchirvi 11. Negli anni su[...]

[...]ovvisoriamente, in guisa certamente fantastica, acquietare le ansie di un diciottenne in preda « alla piú pazza sfuriata di romanticismo che io conosca, dentro e fuori la letteratura che mi è nota », come avrebbe scritto a Papini nel 1906 (Kühn, p. 116).
Questa fase di « teosofia ingenua » durò fin verso la fine del 1901. Furono anni di fervido impegno per il giovane Amendola: fece voto di castità, di rinunzia alla carne, al vino ed al tabacco, studiò il sanscrito per conoscere direttamente le religioni e le filosofie orientali, dell'India in particolare, si interessò alle ricerche che il von Schrön svolgeva sulla vita dei cristalli, iniziò un intenso lavoro di apostolato che lo portò, come conferenziere, nelle logge teosofiche di mezza Italia. Ma i fantasmi della teosofia ortodossa non potevano accontentarlo
a lungo: in un saggio datato 10 gennaio 1902 ed apparso su « Teosofia », le sue inquietudini ed insoddisfazioni cominciavano già chiaramente ad affiorare 12
La cultura contemporanea gli appare afflitta da due piaghe apparentemente [...]

[...]ti pubblicazioni nel campo della teosofia, della ricerca psichica ecc. Ed ecco, dalla sua penna, analisi spesso ingenue ed entusiastiche di libri dei vari Charcot, Flournoy, Figuier, Sidgwick; ma soprattutto egli guardava a coloro (William James, F. Myers) che non solo erano lontani da ogni scientismo, ma che mostravano piú chiaramente la consapevolezza dei risvolti filosofici e religiosi che sottostavano alle loro ricerche. In comune con questi studiosi, Amendola aveva innanzitutto una profonda ostilità verso i rappresentanti della psicologia materialistica e fisiologica, che, con James, egli considera « un verbalismo vuoto perché vorrebbe spiegare l'essenza dei fenomeni di ordine superiore, stabilendo una concomitanza con fenomeni d'ordine nervoso e fisico » 14. Certamente l'investigazione psicologica di James era stata determinante per l'avvicinamento di Amendola a questi problemi; soprattutto la lettura delle Varieties of Religious Experience, avvenuta durante il 1902, dovette aprirgli una nuova scena di pensiero. Essa infatti non solo[...]

[...]ld, legato strettamente all'antroposofia di Rudolph Steiner, che poneva l'accento sugli aspetti morali, di perfezionamento e di sviluppo della personalità umana, inerenti alle dottrine
16 Il problema dell'anima cit., p. 333. Sul concetto di Sé subliminale, cfr. HENRI F. HELLENBERGER, La scoperta dell'inconscio, Torino, Boringhieri, 19762, pp. 36870. Ma è ancora da rileggere con profitto il saggio di PIERO MARTINETTI, Occultismo e divinazione, « Studi filosofici », n, 1941, pp. 235 e segg.
17 EUGENIO GARIN, Giovanni Vailati, in Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Ed. Riuniti, 1974, p. 82.
r
196 VARIETÀ E DOCUMENTI
esoteriche. Il 6 giugno 1904, poteva cosí scrivere ad Eva: « Cette empreinte morale de ma vie s'est faite toujours plus fort et a exercé une influence marquée sur la forme de mes idées théosophiques... A Padova ma tendence vers une simple vie morale s'est faite toujours plus marquée » (Kühn, p. 59), ed il 15 agosto ormai la consapevolezza di aver lasciato alle spalle l'esperienza teosofica era ancora phi lucida: « L'a[...]

[...]» (Kühn, p. 116).
ROBERTO PERTICI
18 GUIDO FERRANDO, La Società Teosofica, n, « La Voce », i, n. 17, 8 aprile 1909, p. 66.
19 Il new thought americano annoverava pensatori oggi dimenticati, allora molto noti come Ralph Waldo Trine, Horatio Dresser, Edward Carpenter, Prentice Mulford ecc.
VARIETÀ E' DOCUMENTI 197
NOTA BIBLIOGRAFICA. — Gli anni dell'adolescenza e della prima giovinezza di Giovanni Amendola sono stati senza alcun dubbio i meno studiati dalla storiografia amendoliana. Questa lacuna si è verificata certamente per la difficile reperibilità dei suoi articoli e saggi giovanili, per la scarsezza delle fonti documentarie e per il fatto che l'attenzione precipua degli studiosi è stata rivolta agli anni delle battaglie antifasciste; ma indubbiamente ha pesato anche il carattere eccentrico, inconsueto dell'esperienza giovanile amendoliana, che si svolse per tanta parte, all'interno della Società Teosofica, tanto che, quando se n'è parlato, lo si è fatto con intenti più o meno sottilmente polemici, come da parte del PAPINI, in quello che è il primo, rapido profilo biografico di Amendola, pubblicato nel febbraio 1919 sulla « Vraie Italie, organe de Liaison Intellectuelle entre l'Italie et les autres Pays ». Anche nel bel saggio di PREZZOLINI, che apparve in edizione[...]

[...]sulla milizia teosofica amendoliana, avvertendo che « in tali manifestazioni giovanilmente approssimative ed elementari non sarebbe stato difficile riconoscere, sia pure in confuso, le precoci preoccupazioni etiche e i segni di un carattere volitivo ed intransigente » (ora in Letteratura italiana del novecento, a cura di P. Citati, Milano, Mondadori, p. 1202). Comunque le pagine migliori dedicate ad Amendola teosofo, prima del recente fiorire di studi amendoliani, sono quelle, bellissime, di GIORGIO LEVI DELLA VIDA nel suo Fantasmi ritrovati, Venezia, Neri Pozza, 1966, p. 175 sgg. Infine, piú recentemente, ALFREDO CAPONE Si è accostato a questa materia e, avendo avuto la possibilità di attingere anche all'archivio della famiglia Amendola, ha potuto tracciare un profilo meno impreciso degli anni 18981905 nel libro Giovanni Amendola e la cultura italiana del Novecento (18991914), Roma, Ed. Elia, 1974. Interessanti precisazioni sono contenute anche in altri due saggi dello stesso CAPONE: Moderatismo e democrazia nel pensiero di Giovanni Amend[...]

[...] del Novecento (18991914), Roma, Ed. Elia, 1974. Interessanti precisazioni sono contenute anche in altri due saggi dello stesso CAPONE: Moderatismo e democrazia nel pensiero di Giovanni Amendola, nel volume collettaneo G. Amendola nel cinquantenario della morte 19261976, Roma, Fondazione Luigi Einaudi, pp. 93144, in particolare a p. 94, e Etica e politica in Giovanni Amendola, in G. Amendola, una battaglia per la democrazia. Atti del convegno di studi con il patrocinio della Regione EmiliaRomagna, Bologna, Forni ed., pp. 4160, in particolare 5960. Si muovono sostanzialmente sullo stesso piano del Capone gli interventi a questo stesso convegno di SANDRO ROGARI, Formazione e pensiero religioso di Giovanni Amendola, pp. 79106 e di ANTIMO NEGRI, Maine de Biran nel pensiero di Amendola, pp. 6177. Recentemente infine è apparso l'articoletto di BEATRICE BISOGNI, Giovanni Amendola teosofo e massone, in AA.VV., La libera muratoria. Massoneria per problemi, Milano, Sugarco, 1978, pp. 109112, opera sostanzialmente apologetica.
Sulle vicende le dottr[...]

[...]tica.
Sulle vicende le dottrine, le figure più rappresentative della Società Teosofica, cfr. RENÉ GUENON, Le théosophisme. Histoire d'une pseudoreligion, Paris, Nouvelle Librairie Nationale, 1921, opera di notevole interesse, fortemente ostile alla teosofia, anche se scritta in un'ottica interna al mondo ed ai problemi dell'esoterismo; MARIO MANLIO ROSSI, Spaccio dei maghi, Roma, Doxa, 1929, opera scritta con acume e ironia dal futuro storico e studioso di filosofia; EMILIO SERVADIO, La ricerca psichica, Roma, Paolo Cremonese ed., 1930, in cui le idee teosofiche sono esposte nel piú ampio quadro della parapsicologia; GIOVANNI BuSNELLI s.J., Manuale di Teosofia, Roma, La Civiltà Cattolica, 1932', in cui è netta .la condanna cattolica della teosofia; H. C. PUECH, Storia delle religioni, XIIEsoterismo, spiriti
smo, massoneria, Bari, Laterza, 1978. Sulle vicende della teosofia italiana si possono vedere: DECIo CALVARI, La teosofia a Roma, « Teosofia » , rI, gennaio 1899, n. 1, pp. 14; GUIDO
FERRANDO, La Società Teosofica, I e n, « La Voce»,[...]



da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]a è in evidente ritardo per quel che concerne la presa di coscienza di una problematica del genere: il lettore potrà agevolmente sincerarsene solo che scorra i dati bibliografici contenuti nel presente fascicolo, poiché raramente gli accadrà di leggere il rinvio a opere italiane o a traduzioni in italiano di opere straniere. Tuttavia, soprattutto in questi ultimi tempi, anche in Italia si manifesta un crescente interesse degli2

PREFAZIONE

studiosi e del pubblico per i problemi relativi al mito, al simbolo, all’arcaico : del che fanno fede, in particolare, alcune collane che hanno assolto una importante funzione culturale in questo senso, e prima di tutte in ordine di tempo la collana di Studi religiosi etnologici e psicologici dell’editore Einaudi. In questo quadro deve essere considerato il presente fascicolo dedicato a « Mito e civiltà moderna », nel quale figurano unicamente contributi italiani. Naturalmente il tentativo presenta qualche menda e qualche lacuna, anche tenendo conto delle forze culturali che erano disponibili: più grave fra tutte la lacuna relativa all’argomento «mito e letteratura moderna» che nel presente fascicolo non trova trattazione. Ci auguriamo che in un prossimo avvenire la nostra rivista possa dedicare la propria attenzione anche a questo importante asp[...]

[...]iderati come antecedenti i fascicoli dell’Archivio di Filosofia diretti dal Castelli (Filosofia della Religione, 1955; Filosofia e Simbolismo, 1956) e la raccolta Umanesimo e Simbolismo, curata dallo stesso Castelli (Padova, 1958). Numerosi sono invece gli antecedenti stranieri, come

— per ricordare i più recenti e i più importanti — i due volumi delYEranos Jahrbuch del 1949 e del 1950 (rispettivamente dedicati al mito e al rito), i numeri di Studium Generale del maggio, giugno e luglio 1955, il Journal of American Folclore del 1955, n. 370, e soprattutto il recentissimo fascicolo di Daedalus, Journal of thè American Academy of Arts and Sciences, che è della primavera del 1959 e che è dedicato interamente al mito e alla mitopoiesi (myth and mythma\ing). Tuttavia anche rispetto ai precedenti stranieri, così numerosi e ricchi, il presente fascicolo di « Nuovi Argomenti », dedicato a « mito e civiltà moderna», ha una propria fisionomia per il suo accentuato legame con i problemi connessi alla crisi e al rinnovamento della civiltà moderna. [...]

[...]ntrano nel movimento, o ne appaiono comunque influenzate, anche tradizioni culturali che, per la loro provenienza e per le loro origini variamente laicizzanti, razionalistiche, idealistiche, materialistiche e positiviste, sembravano più refrattarie ad una problematica del genere. Così, p. es., nel quadro della scuola di Marburgo, tradizionalmente interessata alla ricerca delle condizioni logicotrascendentali della scienza, Ernesto Cassirer dallo studio del simbolo matematico nella scienza passa alla analisi della struttura e della funzione del simbolismo mitico (1); il movimento psicoanalitico che procedeva da presupposti materialistici e positivistici si volge, soprattutto per opera della secessione junghiana, ad una rivalutazione della vita religiosa e del mito; la tradizione epistemologica francese, che già col Bergson accentua le radici esistenziali della funzione fabulatrice (2), palesa con Gastone Bachelard una netta flessione verso il mondo dei « simboli » (3).

Una analoga vicenda è possibile riscontrare nella tradizione sociolog[...]

[...]come si è detto — la crisi dello storicismo tedesco, nel 1920 il fondatore della psicanalisi introduceva la coazione a ripetere e l’istinto di morte nella vita psichica individuale, accanto e oltre al « principio del piacere », che aveva sino allora dominato nella sua concezione teorica. Ma per quel che si attiene più strettamente al nostro argomento ritroviamo nella monografia freudiana l’accenno ad un caso che è di più diretto interesse per lo studioso della vita religiosa e del mito. Un bambino di diciotto mesi cui era stato dato un rocchetto, aveva con esso animato un giuoco che consisteva nel lanciare il rocchetto in modo da nasconderlo alla vista, per poi riprenderlo tirando il filo, e accompagnando con espressioni di disappunto lo scomparire del rocchetto e con espressioni di gioia il suo riapparire: tali espressioni erano le stesse di quelle impiegate dal bambino nella situazione reale quando la madre si assentava o tornava. Qui si ha dunque la ripetizione della situazione traumatica, cioè l’assentarsi della madre a cui seguiva l’a[...]

[...]o miticorituale della vita religiosa. Già nel 1926 il Malinowski, riassumendo i risultati delle sue osservazioni sulla mitologia vivente degli indigeni tobriandesi, sottolineò il fatto che il mito in azione, cioè nella concretezza della esperienza religiosa, significa rivivere, sotto forma di racconto, una realtà dei tempi primordiali (15). Anche un altro etnologo, il Preuss, che era venuto formulando le sue considerazioni sul mito attraverso lo studio della mitologia vivente dei Cora amerindiani, pervenne a conclusioni analoghe (16). Uno studioso del mondo classico, Karl Kerényi, nella Introduzione alla essenza della mitologia — pubblicata in collaborazione con

lo Jung — così ha raffigurato la « vita per citazioni » delPuomo antico :

Prima di agire l’uomo antico avrebbe fatto sempre un passo indietro, alla maniera del torero che si prepara al colpo mortaile. Egli avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro, per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La sua vita ritrovava in questo modo la propria espressione ed il proprio senso (17).

M[...]

[...]a « vita per citazioni » delPuomo antico :

Prima di agire l’uomo antico avrebbe fatto sempre un passo indietro, alla maniera del torero che si prepara al colpo mortaile. Egli avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro, per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La sua vita ritrovava in questo modo la propria espressione ed il proprio senso (17).

Ma lo studioso che più a lungo e con maggiore dovizia di dati storicoreligiosi si è soffermato su questo «passo indietro» del nesso miticorituale è stato senza dubbio Mircea Eliade. Ciò che l’autore chiama « la ontologia arcaica » consisterebbe nella risoluzione del divenire storico nella ripetizione degli archetipi mitici, di eventi primordiali prodottisi una volta per sempre in ilio tempore. Questa ontologia arcaica, dominata dal terrore della storia, investe lo stesso ordine rituale, nel senso che il rito resta definito non soltanto dalla riattualizzazione, dalla iterazione e dal ritorno degli eventi [...]

[...]iamare lo sciamano, il quale si reca alla casa della partoriente e compie la propria opera accovacciandosi sotto l’amaca dove la partoriente giace, impegnata nel suo travaglio senza esito. Ora la struttura di questo incantesimo

(24) C. LeviStrauss, Anthropdogie structurcde, Parigi 1958, p. 199.

(25) Nils M. Holmer e Henry Wasser, Mulgcda or thè Way of Muu, a medicinesong jrom thè Cunas of Panama, Goteborg 1947. I Cuna furono diligentemente studiati dal Nordenskiòld, il quale ebbe modo di formare fra gli indigeni preziosi collaboratori: uno di essi, il vecchio Guillermo Haya, fece pervenire al successore di Nòrdenskiòld, Henry Wasser, il testo in quistione, redatto in lingua originale e accompagnato da una traduzione spagnuola, sottoposta poi ad una accurata revisione da parte dello Holmer.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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mostra un complesso simbolismo, orientato in parte verso la ripresa di una situazione iniziale, e in parte verso il rivivere in termini risolutivi i conflitti e i processi somatici del partorire. L[...]

[...]e rilievo la persua
e scienze religiose può avvalersi delle poche traduzioni comprese nella collana etnologica della casa editrice Boringhieri e della collana Psiche e Coscienza della casa editrice Astrolabio, nonché della recente traduzione del volume di J. Campbell, The Hero with a thousand faces pubblicata nel 1958 dalla casa editrice Feltrinelli.

(41) R. Caillois, L’homme et le sacre, 19502, p. 39 sg.

(42) JungKerényi, Prolegomeni dio studio scientifico della mitologia, trad. ital. Torino 1948, p. 33 sg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sione che il mito, nella concretezza della vita religiosa, affonda le sue radici nel rito e nel culto, e che fuori di questo rapporto il mito non è più tale, ma diventa arte, dramma, letteratura, filosofia, scienza, cioè — in generale — opera umana avviata alla consapevolezza della sua umanità e mondanità (43). Ma il vero e proprio atto di nascita di questo indirizzo è segnato da due symposia editi da S. Hooke, nei quali un gruppo di studiosi sottoponevano ad analisi il rapporto[...]

[...]NA

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sione che il mito, nella concretezza della vita religiosa, affonda le sue radici nel rito e nel culto, e che fuori di questo rapporto il mito non è più tale, ma diventa arte, dramma, letteratura, filosofia, scienza, cioè — in generale — opera umana avviata alla consapevolezza della sua umanità e mondanità (43). Ma il vero e proprio atto di nascita di questo indirizzo è segnato da due symposia editi da S. Hooke, nei quali un gruppo di studiosi sottoponevano ad analisi il rapporto fra mito e rito nel vicino Oriente. Poteva sembrare una disputa fra dotti tendente a rivalutare nella religione di Israele, e in genere nelle civiltà delPoriente vicino, il rituale ed il culto, e a rintracciare i modelli miticorituali che operavano in questa vasta area religiosa, soprattutto in rapporto al tema della « regalità divina»: in realtà — come ha recentemente osservato il Brandon — se si pensa che la maggior parte degli studiosi che promossero questo indirizzo erano vivamente interessati alle sorti della religione cristiana ed erano mossi da i[...]

[...]isi il rapporto fra mito e rito nel vicino Oriente. Poteva sembrare una disputa fra dotti tendente a rivalutare nella religione di Israele, e in genere nelle civiltà delPoriente vicino, il rituale ed il culto, e a rintracciare i modelli miticorituali che operavano in questa vasta area religiosa, soprattutto in rapporto al tema della « regalità divina»: in realtà — come ha recentemente osservato il Brandon — se si pensa che la maggior parte degli studiosi che promossero questo indirizzo erano vivamente interessati alle sorti della religione cristiana ed erano mossi da interessi teologici, e che questa apologia del momento rituale coincideva con il rinnovato interesse — in Inghilterra e nel continente — per l’eredità liturgica delle Chiese Cristiane e con le controversie relative alla revisione del Boo\ of Common Prayer (44), si comprende come anche per questa via si facevano valere nel campo degli studi inquietudini religiose e spunti polemici verso la concezione tradizionale della religione e del mito. In polemica col Frazer, che ancora in[...]

[...]he promossero questo indirizzo erano vivamente interessati alle sorti della religione cristiana ed erano mossi da interessi teologici, e che questa apologia del momento rituale coincideva con il rinnovato interesse — in Inghilterra e nel continente — per l’eredità liturgica delle Chiese Cristiane e con le controversie relative alla revisione del Boo\ of Common Prayer (44), si comprende come anche per questa via si facevano valere nel campo degli studi inquietudini religiose e spunti polemici verso la concezione tradizionale della religione e del mito. In polemica col Frazer, che ancora in Myths of thè Origin of Pire (45) difendeva la interpretazione del mito come conato di risoluzione dei « problemi generali » relativi al mondo e alPuomo, S. H. Hooke ricollega i modelli miticorituali con la loro radice esistenziale:

Quando ci facciamo ad esaminare [i] modi primitivi di comportamento [che sono alila base del mito e del rito del mondo antico] noi troviamo che coloro che dettero origine ad essi non erano occupati con ‘problemi generali’ re[...]

[...] nessi esistenziali, e al tempo stesso rimprovera le interpretazioni psicoanalitiche della prima maniera (Abraham, Rank, Reik, lo stesso Freud) di non aver dato rilievo alla funzione sociale dei simboli miticorituali. Secondo l’autore, il rapporto fra mito e rito è quello di una dinamica interrelazione, e né la teoria dell’origine del mito dal rito, né quella opposta della origine del rito dal mito possono considerarsi pertinenti. In concreto lo studio di determinate società pone in rilievo uno stesso rito e può comportare più orizzonti mitici di autenticazione e di esplicazione, e che i rituali si modificano, acquistano nuovi significati e si trasformano profondamente nella loro struttura in rap
(46) Myth and RituaL 1933, p. 2 c 4.

(47) Un’altra critica mossa all’indirizzo è l’applicazione meccanica dei modelli miticorituali a civiltà religiose diverse, col risultato di non scorgere o di sottovalutare le differenze di struttura, di funzione e soprattutto di significato che i modelli in questione assumono in ciascun concreto contesto c[...]

[...]rminata civiltà. Il comportamento rituale è ripetizione non soltanto nel senso che itera uno stesso mito, ma anche nel senso che uno stesso rito, nella sua mimica, nelle sue parole e nelle sue manipolazioni di oggetti sacri, tende a riprodurre con la maggiore fedeltà possibile una vicenda rituale di fondazione, inaugurata per la prima volta in ilio tempore. Ora già soltanto questo suo carattere internamente iterativo, cicli
(58 bis) Cfr. il mio studio Angoscia territmiale e reintegrazione culturale nel mito Achilpa delle origini, che può leggersi in appendice alla 2a ed. del Mondo Magico, Torino 1958.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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co, prevedibile nel decorso come l’orbita di un pianeta, instaura negli operatori e nei partecipanti un abbassamento della coscienza di veglia, e una condizione favorevole al rapporto con l’inconscio. Questo aspetto di attiva destorificazione della presenza individuale si fa valere nel rito a tal punto che spesso le tecniche riduttive della coscienza stanno per sé, senza avere necessariament[...]



da Paolo Bosisio, La rappresentazione dell'«Ajace» e la tecnica teatrale foscoliana in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: LA RAPPRESENTAZIONE DELL'« AJACE »
E LA TECNICA TEATRALE FOSCOLIANA
Molto si è detto delle tragedie foscoliane, dal momento in cui esse apparvero sulle scene, suscitando vivaci e divergenti reazioni, fino a oggi: attraverso i giudizi ottocenteschi che si assommano nelle posizioni del De Sanctis e del Carducci, le ricerche erudite del primo Novecento, i giudizi della scuola idealistica e gli studi piú aggiornati sullo stile e la poetica foscoliana, confluenti nei lucidi contributi del Binni, del Caretti e del Puppo 1, l'attenzione degli studiosi si è volta soprattutto a cogliere il momento piú squisitamente letterario, per cosí dire poetico, dell'esperienza drammaturgica foscoliana, riscontrando in essa il riflesso della tormentata vicenda biografica dell'autore ovvero la germinazione di idee, sentimenti e stati d'animo da cui aveva o avrebbe preso le mosse la sua maggiore poesia. In sostanza le tragedie del Foscolo sono state giudicate alla stregua di altre opere poetiche dello stesso autore: un lavoro di tal genere era fuor di dubbio necessario ai fini di una completa e soddisfacente analisi della produzione letteraria foscolian[...]

[...]le mosse la sua maggiore poesia. In sostanza le tragedie del Foscolo sono state giudicate alla stregua di altre opere poetiche dello stesso autore: un lavoro di tal genere era fuor di dubbio necessario ai fini di una completa e soddisfacente analisi della produzione letteraria foscoliana, ma escludeva un altro tipo di valutazioni, pos
1 Punto di partenza di questo scritto è una comunicazione tenuta nel febbraio 1979 a Milano per il Congresso di Studi nel bicentenario della nascita del Foscolo. — Non svolgiamo qui naturalmente una rassegna completa della critica foscoliana per quanto attiene le tragedie. Fra gli studiosi ottocenteschi è necessario, tuttavia, ricordare almeno il DE SANCTIS (Ugo Foscolo, in Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari, Laterza, 1952) e il CARDUCCI (Opere, Bologna, Le Monnier, 1934, vol. xix). Fra i novecenteschi, ricorderemo i lavori specifici di E. FLORI, Il teatro di U. Foscolo, Biella, G. Amosso, 1907, F. VIGLIONE, Sul teatro di U. Foscolo, Pisa, Nistri, 1905, S. SCOPEL, Sulla fortuna delle tragedie foscoliane, Valdobbiadene, Sesto Boschiero, 1904 e i contributi di G. CITANNA, La poesia di U. Foscolo, Bari, Laterza, 1920, E. DoNADONI, U. Foscolo, Firenze, Sandron, 1964', M. FU[...]

[...]ivere in lui per lunghi anni a serie difficoltà e forti delusioni, provocate soprattutto da un ambiente culturalmente e politicamente ostile.
Il Foscolo inaugurò ufficialmente la sua attività di drammaturgo con il Tieste, di cui annunciò il compimento al Cesarotti nel 1795, anche se è quasi certo che l'Edipo, scoperto dallo Scotti fra le carte del Pellico, sia da identificarsi con quello « recitabile ma da non istamparsi » nominato nel Piano di studi del 1796 2 e forse composto negli stessi anni del Tieste. Oltre che autore, il Foscolo fu uomo di teatro, come testimonia con sicurezza il suo interessamento continuo e assiduo per il mondo dello spettacolo.
In armonia con gli ideali politici giacobini, il Foscolo volle che il suo nome figurasse fra quelli dei promotori del Teatro Civico di Venezia, in cui avrebbe dovuto prendere forma, almeno in parte, l'ambizioso progetto per la fondazione di un teatro nazionale, messo a punto da F. S. Salfi e da lui pubblicato sul « Termometro politico » il 6 Termidoro (26 luglio) 1796'. Ancora in quegli [...]

[...]be
9 Quanto alla « donna », purtroppo zoppicò (fu prescelta Lucrezia Bettini, moglie di Antonio, seconda attrice della Compagnia Reale e il Foscolo scrisse di suo pugno sul copione: « Dio l'assista ») e forse anche (ma non solo) per questo la tragedia non ebbe lo sperato successo. Alberto Tessari (nato a Verona il 21 giugno 1780 e morto probabilmente dopo il 1845), di famiglia borghese, si distinse fra i filodrammatici veronesi, avendo compiuto studi regolari. Dopo un normale periodo di apprendistato entrò come « tiranno » nella Compagnia Reale (la sua scrittura è conservata presso l'Archivio di Stato in Milano: « Spettacoli Pubblici Parte Moderna », cartella n. 18). Sposò nel 1812 Caterina Cavalletti (che prese il posto di prima attrice sostituendo la Fiorilli Pellandi e fu Ricciarda nelle rappresentazioni bolognesi) e rimase fino al 1824 nella compagnia diretta dal Fabbrichesi, trasferitasi al Teatro dei Fiorentini in Napoli. Alternò il lavoro di attore a quello di capocomico di compagnie
144 PAOLO BOSISIO
egregiamente da Guido che h[...]

[...]ma ancora immaturo proposto dal Fabbrichesi. La preferenza accordata dal Foscolo al Tessari sul Prepiani, e al Bettini sul Lombardi trova, inoltre, un'altra importante motivazione: gli attori prescelti dall'autore come protagonisti, infatti, erano noti soprattutto per la loro capacità di penetrazione ed immedesimazione psicologica nel personaggio. Scrive il Righetti nel suo Teatro italiano:
Ho conosciuto pochi attori, che piú del signor Tessari studiassero di penetrare nel carattere del personaggio che dovevano rappresentare. Uomo colto com'egli è, sapeva benissimo che un attore assennato non deve nella pittura d'un personag
primarie fino a che non si ritirò dalle scene per amministrare il patrimonio del fratello defunto. Di corporatura imponente e dotato di una voce aspra e assai robusta, eccelleva nelle parti di « tiranno », pur riuscendo ottimamente anche in quelle di « padre nobile ». G. B. Prepiani (nato a Venezia e morto nel 1851) fu valente attore tragico, intelligente e colto interprete, versato soprattutto nelle parti di « padre[...]

[...]. cit., p. 144 e S. SCOPEL, op. cit., p. 51. Si ricordi la lettera del protagonista Paolo Belli Blanes che, il 28 settembre 1811, piú di due mesi prima del debutto, scriveva al Foscolo: « ... Ho già ricevuto da Firenze il figurino dell'Ajace e si sta travagliando in adesso nell'elmo, che verrà fatto a tutto scrupolo di verità; insomma io mi lusingo, mercè i tuoi rari e singolari talenti, consolidare quel poco di buon nome che mediante un assiduo studio mi sono fin ora acquistato » (Epistolario, vol. III, p. 523).
p
LA RAPPRESENTAZIONE DELL'« AJACE » E LA TECNICA TEATRALE FOSCOLIANA 147
ancor piú per la Ricciarda: dopo avere manifestato la sua preferenza per il palcoscenico della Canobbiana, piú adatto di quello immenso della Scala all'ambientazione cimiteriale della tragedia, il Foscolo spedí, insieme al testo, « tutti gli avvertimenti sul vestiario, la scena e l'azione » (Epistolario, vol. iv, pp. 318 e 280). Tali indicazioni sono le stesse che si possono leggere su un copione della Ricciarda, conservato presso la Comunale di Bassano: [...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Studi, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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