Brano: [...]
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potevo toccare con le dita l'insegna color sangue di bue, su cui c'era scritto « pane e pasta ». Il quartierino aveva due finestre sul cortile e due sulla strada, erano quattro stanzette in tutto, piccoline e basse, ma io le ammobiliai bene, un po' di mobili li comprammo a Campo di Fiori e un po' li avevamo, di famiglia. La camera da letto era tutta nuova, col letto matrimoniale di metallo dipinto che imitava il legno e le testiere ornate di mazzolini e ghirlande; nel salotto ci misi un bel sofà col riccioloni di legno e la stoffa a fiorami, due poltroncine con la stessa stoffa e gli stessi riccioloni, un tavolo tondo per mangiare, e una credenza per tenerci i piatti, tutti di porcellana fina quest'ultimi, col bordo d'oro e un disegno di frutta e fiori nel fondo. Mio marito scendeva la mattina presto al negozio e io facevo le pulizie. Strofinavo, spazzolavo, lucidavo, spolveravo, pulivo ogni angolo, ogni oggetto : dopo le pulizie la casa era proprio uno specchio e dalle finestre che ci avevano le tendine bianche veni[...]
[...]ni angolo, ogni oggetto : dopo le pulizie la casa era proprio uno specchio e dalle finestre che ci avevano le tendine bianche veniva una luce tranquilla e dolce e io guardavo le stanze e vedendole così ordinate pulite e lucide, con tutta la roba al suo posto, mi veniva non so che gioia nel cuore. Ah, com'è bello avere la casa propria, che nessuno c'entra e nessuno la conosce, e si passerebbe la vita a pulirla e ordinarla. Finite le pulizie, mi vestivo, mi pettinavo con cura, prendevo la sporta e andavo al mercato per fare la spesa. Il mercato era li a pochi passi da casa, e io giravo tra le bancarelle, per piú di un'ora, non tanto per comprare, perché gran parte della roba ce l'avevamo al negozio, ma per guardare. Giravo tra le bancarelle e guardavo tutto, la frutta, le verdure, la carne, il pesce, le uova : me ne intendevo e mi piaceva calcolare i prezzi e i guadagni, valutare la qualità, scoprire gli imbrogli e i trucchi dei venditori. Mi piaceva pure discutere, soppesare la roba, lasciarla li e poi ritornare e discutere ancora e alla [...]
[...] lasciandomi capire che mi avrebbe dato la roba gratis se gli davo retta; ma io gli rispondevo in modo che capiva subito che non aveva a che fare con una di quelle. Sono sempre stata fiera e ci vuol poco a farmi montare il sangue alla testa, allora vedo rosso ed é una fortuna che le donne non portino in saccoccia il coltello come gli uomini perché altrimenti sarei anche
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capace di ammazzare. Ad uno dei venditori che mi dava più fastidio degli altri e s'intignava a farmi delle proposte e voleva regalarmi la roba per forza un giorno gli corsi dietro con uno spillone e per fortuna intervennero le guardie, altrimenti glielo piantavo nella schiena.
Basta, tornavo a casa contenta, e dopo aver messo su l'acqua a bollire per il brodo, con gli odori e qualche osso e qualche pezzetto di carne scendevo subito a bottega. Anche li ero felice. Vendevamo un po' di tutto, pasta, pane, riso, legumi secchi, vino, olio, scatolame e io stavo dietro il banco come una regina, con le braccia nude fino al gomito e il mio medaglione col cammeo a[...]
[...] stati non dico ricchi ma benestanti; ma no, certi disperati che si vedeva lontano un miglio che avevano bisogno di sistemarsi. Ad uno di Napoli, un agente di pubblica sicurezza che più degli altri faceva lo spasimante e cercava di prendermi con l'adulazione, coprendomi di complimenti e chiamandomi perfino, alla maniera napoletana, « donna Cesira », glielo dissi francamente: « Vediamo un po', se non avessi il negozio e l'appartamento, me le verresti a dire queste cose? ». Quello almeno fu sincero. Rispose ridendo : « Ma l'appartamento e il negozio, tu ce l'hai ». È vero, però, che fu sincero perché ormai gli avevo tolto ogni speranza.
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Intanto la guerra continuava, ma io non me ne occupavo e quando alla radio, dopo le canzonette, leggevano il comunicato, dicevo a Rosetta : « Chiudi, chiudi quella radio... li mortacci loro, 'sti figli di mignotte, si scannino tra di loro finché vogliono ma io non voglio sentirli, che ce ne importa a noi delle loro guerre?... loro se le fanno tra di loro senza chiedere il parere della povera gente che deve andarci e allora noialtri che siamo la povera gente, siamo giustificati a non occuparcene ». Però, da un'altra parte, bisogna dire che la guerra mi favoriva : sempre più facevo la borsa nera con prezzi d'affezione, sempre meno vendevo al negozio coi prezzi fissati dal governo. Quando cominciarono i bombardamenti a Napoli e nelle altre città, la gente veniva a dirmi: « Scappiamo che qui ci ammazzano tutti »; e io rispondevo: «A Roma non ci vengono, perché a Roma c'é il Papa... e poi se me ne vado, chi ci pensa al negozio? ». Anche i miei genitori mi scrissero da Vallecorsa invitandomi ad andare da loro, ma rifiutai. Andavamo, Rosetta ed io, sempre più spesso[...]
[...]no perché il governo gliela pagava poco e aspettavano noialtri della borsa nera che gliela pagavamo a prezzo di mercato. Molta roba, oltre che nelle valigie ce la mettevamo addosso : ricordo che una volta tornai a Roma con qualche chilo di salsicce legate intorno la vita, sotto la gonnella, che sembravo incinta. E Rosetta si metteva le uova in seno che poi quando le tirava fuori, erano calde calde, come se fossero uscite allora dalla gallina. Questi viaggi però erano lunghi e pericolosi; e una volta, dalle parti di Frosinone, un aeroplano mitragliò il treno, e il treno si fermò in aperta campagna e io dissi a Rosetta di scendere e di nascondersi dentro il fossato, io però non discesi perché ci avevo le valigie piene di roba e nello scompartimento c'erano certe facce poco rassicuranti e una valigia si fa presto a rubarla. Così mi sdraiai in terra, tra i sedili, con i cuscini dei sedili sul corpo e sulla testa, e Rosina discese con gli altri e si nascose nel fossato. L'aeroplano, dopo averci mitragliato quella prima volta, fatto un giro pe[...]
[...] a Rosetta : « L'importante é che torni dalla guerra... poi per il resto ci penserò io ». Rosetta mi saltò al collo, felice. E io allora potevo veramente dirlo : ci penserò io: avevo l'appartamento, avevo il negozio, avevo del denaro da parte e le guerre si sa, un giorno debbono pure finire e tutto torna a posto. Rosetta mi fece anche leggere l'ultima lettera del suo fidanzato e ricordo soprattutto una frase: «Qui si fa una vita proprio dura. Questi slavi non ci vogliono stare sotto e siamo sempre in stato di allarme ». Io non sapevo niente della Iugoslavia; ma dissi egualmente a Rosetta: « Ma che ci siamo andati a fare in quel paese ? Non potevamo starcene in pace a casa nostra ? Quelli non ci vogliono stare sotto e ci hanno ragione, te lo dico io ».
Nel 1943 feci un affare importante: parecchi prosciutti, una decina, da portare da Sermoneta a Roma. Io trovai il modo di mettermi d'accordo con un camionista che portava cemento a
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Roma, e lui mise i prosciutti sotto i sacchi di cemento e così i prosciutti arrivarono sani [...]
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farina e di fagioli e vasi di confettura e almeno una decina tra prosciutti e salami. Io dissi alla signora: «Signora, lei qui ci ha da mangiare per dieci anni ». Ma lei rispose: « Non si sa mai ». Misi il prosciutto accanto agli altri e il marito li per li mi pagò e mentre toglieva il denaro dal portafogli le mani gli tremavano dalla gioia e non faceva che ripetere: « Appena ci ha qualche cosa di buono, si ricordi di noi... siamo disposti a pagare il venti e anche il trenta per cento più degli altri D.
Insomma tutti volevano roba da mangiare e pagavano senza fiatare qualsiasi prezzo e così fu che io non pensai a fare le provviste, perché mi ero abituata a considerare il denaro come la cosa più preziosa mentre invece il denaro non si può mangiare e quando venne la carestia non ci avevo proprio niente. Nel ñegozio le scansie erano vuote, non era restato che qualche rotolo di pasta e poche scatole di sardine di cattiva qualità. Avevo, si, i soldi e non li tenevo più in banca ma a casa per precauzione perché dicevano che il governo voleva chiudere le banche e prendersi i risparmi della povera gente; ma adesso i soldi non li voleva più nessuno e d'altra parte mi sapeva d'amaro, dopo aver fatto i soldi vendendo in borsa nera, di spenderli in borsa nera coi prezzi che andavano alle stelle. Intanto erano tornati i tedeschi e i fascisti e passando per Piazza Colonna u[...]
[...]che scatole di sardine di cattiva qualità. Avevo, si, i soldi e non li tenevo più in banca ma a casa per precauzione perché dicevano che il governo voleva chiudere le banche e prendersi i risparmi della povera gente; ma adesso i soldi non li voleva più nessuno e d'altra parte mi sapeva d'amaro, dopo aver fatto i soldi vendendo in borsa nera, di spenderli in borsa nera coi prezzi che andavano alle stelle. Intanto erano tornati i tedeschi e i fascisti e passando per Piazza Colonna una mattina vidi il bandierone nero dei fascisti che pendeva dal balcone di un palazzo e tutta la piazza era piena di uomini in camicia nera, armati fino ai denti e tutti quelli che avevano fatto quel fracasso la notte del venticinque luglio, adesso scappavano rasente i muri, come tanti topi quando arriva il gatto. Io dissi allora a Rosetta: « Speriamo che ora vincano presto la guerra e che si possa mangiare di nuovo ». Era il mese di settembre e una mattina mi dissero che c'era una distribuzione di uova dalle parti di via della Vite. Ci andai, e c'erano infatti due camion pieni di uova. Ma non distribuivano niente e c'era un tedesco in mut[...]
[...]ggente, il naso fine che le scendeva un poco sulla bocca e la bocca bella e carnosa che sporgeva però sul mento ripiegato, proprio come quella delle pecore. E i capelli ricordavano il pelo degli agnelli, di un biondo scuro, fitti fitti e ricci, e aveva la pelle bianca, delicata, sparsa di nei biondi, mentre io ci ho i capelli neri e la carnagione scura, come bruciata dal sole. Finalmente per calmarla le dissi: u Tutti dicono che gli inglesi é questione di giorni e poi verranno e non ci sarà più la carestia... intanto sai che facciamo? Ce ne andiamo dai nonni a Vallecorsa e li aspettiamo la fine della guerra. Loro la roba da mangiare ce l'hanno, hanno fagioli, hanno uova, hanno maiali. E poi in campagna qualche cosa si trova sempre ». Lei domandò allora: « E l'appartamento? ». Io risposi: « Figlia mia anche a questo ci ho pensato... lo affittiamo a Giovanni, per modo di dire però... e,quando torniamo, lui ce lo rende tale e quale... il negozio, invece, lo chiudo, tanto non c'é niente dentro e per un pezzo non ci sarà niente da vendere ».
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Bisogna sapere che questo Giovanni era u[...]
[...]e, lo chiudo, tanto non c'é niente dentro e per un pezzo non ci sarà niente da vendere ».
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Bisogna sapere che questo Giovanni era un commerciante di carbone e legna da ardere il quale era stato amico di mio marito. Era un omaccione grande e grosso, calvo, con la faccia rossa, i baffi ispidi e l'occhio dolce. Quando mio marito viveva ancora, lui gli era compagno la sera all'osteria, con altri negozianti del quartiere. Era sempre vestito con certi abiti larghi e rilasciati, un mezzo sigaro spento e freddo stretto tra i denti sotto i baffi e l'ho sempre veduto con un taccuino e un lapis in mano, non faceva che far conti e prendere note e appunti. Aveva le maniere come l'occhio, dolci, affettuose, familiari e quando mi vedeva, ai tempi che Rosetta era piccola, mi domandava sempre: « Come sta la pupa?... che fa la pupa? ». Dirò una cosa ma non ne sono tanto sicura però, perché certe cose quando accadono poi uno dubita che siano accadute, specie se la persona che le ha fatte, come fu il caso, non ne riparla più e si comporta co[...]
[...]eno e alla fine venne a parlare di mio marito. Io credevo che fossero amici e perciò immaginatevi la—raia sorpresa quando, tutto ad un tratto, lo udii dire: «Ma di un po' Cesira, che te ne fai di quella carogna? ». Disse proprio così :
« carogna » e io quasi non credetti alle mie orecchie e mi voltai a guardarlo: stava seduto, dolce, tranquillo, il sigaro spento all'angolo della bocca. Soggiunse poi: « Intanto non si regge in piedi
e uno di questi giorni muore.., e poi a forza di andare con le mignotte, viene la volta che ti attacca qualche brutta malattia ». E io: «E chi lo vede e chi lo sente, mio marito? quando rincasa la sera, si caccia a letto e io mi volto dall'altra parte e buona notte ». Allora lui disse, o mi pare che disse: «Ma tu sei ancora giovane, che, vuoi fare la monaca? sei giovane e hai bisogno di un uomo che ti voglia bene ». Io gli domandai: « A te che te ne importa? Io non ho bisogno di uomini e anche se ne avessi bisogno, tu che c'entri? ». Lui a questo punto si alzò, così mi pare di ricordarmi, mi venne accosto e [...]
[...]quale potessi rivolgermi.
Dunque andai da Giovanni che trovai nel suo seminterrato nero, pieno di fascinotti e di sacchi di carbonella, la sola merce che si trovasse a Roma quell'estate. Gli dissi quello che volevo e lui mi ascoltò in silenzio, strizzando gli occhi sul sigaro semispento. Finalmente disse: « Sta bene... ti terrò d'occhio il negozio e l'appartamento per tutto il tempo che starai fuori... sono grattacapi, e specie in tempi come questi... non so davvero perché lo faccio... mettiamo che lo faccio per la buon'anima ». Io a queste parole ci rimasi male perché mi pareva ancora di udire la sua voce che diceva : « che te ne fai di quella carogna? »; e quasi non credevo alle mie orecchie, ancora una volta. Ad un tratto mi scappò detto : « Spero che lo farai anche per me »; e non so perché lo dissi, forse perché ero convinta che lui mi volesse bene e in quel
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momento difficile mi avrebbe fatto piacere che lui avesse detto che lo faceva per me. Lui mi guardò un momento, quindi si tolse il sigaro di bocca e lo posò su[...]
[...] un momento, quindi si tolse il sigaro di bocca e lo posò sull'orlo della tavola. Poi andò alla porta del seminterrato, sali gli scalini, la chiuse e ci mise la sbarra col chiavistello, così che tutto ad un tratto rimanemmo al buio completo. Io avevo capito adesso e non fiatavo e il cuore mi batteva forte e non posso dire che la cosa mi dispiacesse: mi sentivo tutta turbata. Immagino che fossero le circostanze, con tutta Roma sottosopra e la carestia e la paura e la disperazione di lasciare il negozio e l'appartamento e il sentimento di non aver un uomo nella mia vita, come tutte le altre donne, che in una situazione simile, mi aiutasse e mi facesse coraggio. Fatto sta che per la prima volta in vita mia, mentre lui, al buio, mi veniva incontro, mi sentii come slegare e diventare fiacco e arrendevole il corpo; quando lui mi venne accosto, sempre al buio e mi prese tra le braccia, il mio primo impulso fu di stringermi a lui e di cercare la sua bocca con la mia che ansimava forte. Così lui mi spinse sopra certi sacchi di carbon dolce, e io [...]
[...]volo, come prima, come se niente fosse successo, il sigaro sotto i baffi, l'occhio dolce socchiuso. Io gli dissi avvicinandomi: « Giurami che non dirai mai a nessuno quello che è avvenuto oggi... giuralo ». E lui sorrise e rispose: « Io non so niente... che dici?,Manco ti capisco... sei venuta per questa faccenda della casa e el negozio, no? ». Di nuovo provai quel sentimento che ho già detto, di aver sognato e se non ci avessi avuto ancora le vesti scomposte e i segni del carbone un po' dappertutto,
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per essermi girata e rigirata su quei sacchi, davvero avrei potuto pensare che niente era successo. Balbettai, sconcertata: « Si capisce, hai ragione: sono venuta per la casa e per il negozio ». Lui allora prese un foglio ci scrisse una dichiarazione in cui io dicevo che gli affittavo casa e negozio per la durata di un anno e me la fece firmare. Mise il foglio in un cassetto, andò ad aprire la porta e disse:
« Siamo intesi... oggi vengo per la consegna e domani mattina verrò a prendervi tutte e due e vi accompagnerò all[...]
[...]rvi tutte e due e vi accompagnerò alla stazione ». Stava presso la porta e io gli passai davanti per uscire e lui allora nel momento che passavo mi diede con la palma aperta una manata sul sedere, sorridendo, come per dire: « siamo intesi anche per quest'altra faccenda ». Pensai dentro di me che ormai non avevo più il diritto di protestare, che non ero più una donna onesta
e pensai pure che questo era davvero un effetto della guerra e della carestia, che una donna onesta, ad un certo momento si sente dare una manata sul sedere e non può più protestare perché, appunto, ormai non é più onesta.
Tornai a casa e cominciai subito a fare i preparativi per la partenza. Mi piangeva il cuore di lasciare quella casa in cui avevo passati gli ultimi vent'anni, senza mai allontanarmene, salvo che per i viaggi della borsa nera. Ero convinta, è vero, che gli inglesi sarebbero venuti al più presto, roba di una settimana o due, e mi preparavano infatti per un'assenza di non più di un mese; ma nello stesso tempo avevo non so che presentimento non soltant[...]
[...]mai allontanarmene, salvo che per i viaggi della borsa nera. Ero convinta, è vero, che gli inglesi sarebbero venuti al più presto, roba di una settimana o due, e mi preparavano infatti per un'assenza di non più di un mese; ma nello stesso tempo avevo non so che presentimento non soltanto di un'assenza più lunga ma anche di qualche cosa di triste che mi aspettasse nell'avvenire. Io non mi ero mai occupata di politica
e non sapevo niente dei fascisti, degli inglesi, dei russi e degli americani: tuttavia a forza di sentirne parlare intorno a me, non dico che avessi capito qualche cosa, perché a dire la verità non avevo capito niente, ma avevo capito che non c'era niente di buono per l'aria per la povera gente come noi. Era come in campagna quando il cielo si fa nero per un temporale e le foglie degli alberi si rivoltano tutte dalla stessa parte e le pecore si mettono l'una contro l'altra e con tutto che sia estate, da non so dove viene un vento freddo che soffia rasente terra: avevo paura ma non sapevo di che;
e mi stringeva il cuore al p[...]
[...]ra come in campagna quando il cielo si fa nero per un temporale e le foglie degli alberi si rivoltano tutte dalla stessa parte e le pecore si mettono l'una contro l'altra e con tutto che sia estate, da non so dove viene un vento freddo che soffia rasente terra: avevo paura ma non sapevo di che;
e mi stringeva il cuore al pensiero di lasciare la mia casa e il mio
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negozio cose se avessi saputo di certo che non l'avrei mai più rivisti. Dissi però a Rosetta: a Guarda di non portare tanta roba che saremo fuori non più di due settimane e fa ancora caldo >>. Eravamo infatti verso il quindici di settembre e faceva molto caldo, più degli altri anni.
Così riempimmo due piccole valigie di fibra, per lo più di panni leggeri e ci mettemmo soltanto un paio di maglie per il caso che facesse freddo. Per consolarmi della partenza adesso non facevo che descrivere a Rosetta le accoglienze che mi avrebbero fatto i miei genitori al paese: « Vedrai che ci faranno mangiare fino a scoppiare... ingrasseremo e ci riposeremo... in campagna tutte[...]
[...] ti arrabbi tanto? Tu stessa hai detto che tutto tornerà a posto ». Allora, per ambre di quell'angiolo mi calmai, sebbene con sforzo e risposi: « Si, ma intanto noi dobbiamo andarcene da casa nostra e chissà che cosa succederà ancora ».
Quel giorno soffrii le pene dell'inferno. Non mi pareva più di essere me stessa : ora ripensavo a quello che era successo con Giovanni e al pensiero di avergli ceduto proprio come una zoc cola di strada, tutta vestita, sulle balle di carbone, mi sarei morsa le mani dalla rabbia; ora mi guardavo intorno per la casa che era stata la mia casa per vent'anni e adesso dovevo lasciarla e mi sen
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tivo disperata. In cucina il fuoco era spento, nella camera da letto dove dormivo nel letto matrimoniale insieme con Rosetta, le lenzuola erano rovesciate in disordine e io non mi sentivo la forza di rimettere a posto il letto, in cui sapevo che presto non avrei più dormito né di accendere il fuoco nei fornelli che da domani non sarebbero più stati i miei fornelli e io non ci avrei più cucinato. Mangiamm[...]
[...]re a posto il letto, in cui sapevo che presto non avrei più dormito né di accendere il fuoco nei fornelli che da domani non sarebbero più stati i miei fornelli e io non ci avrei più cucinato. Mangiammo senza tovaglia, sul tavolo, pane e sardine; ogni tanto guardavo a Rosetta, così triste, e allora il boccone mi si fermava in gola perché mi faceva pena e avevo paura per lei e pensavo che non era stata fortunata a nascere e vivere in tempi come questi. Verso le due ci buttammo sul letto, sopra le coperte disfatte, e dormimmo un poco; o meglio dormi Rosetta, tutta acciambellata contro di me e io invece stetti ad occhi aperti pensando tutto il tempo a Giovanni, ai sacchi di carbone e alla manata che lui mi aveva dato sul sedere e alla casa e al negozio che stavo per lasciare. Finalmente suonarono alla porta e io mi sottrassi dolcemente al peso di Rosetta addormentata e andai alla porta. Era Giovanni, sorridente, il sigaro in bocca. Io non lo lasciai neppure rifiatare: « Senti », gli dissi con furore, « quello che é successo é successo e io n[...]
[...]orta e io mi sottrassi dolcemente al peso di Rosetta addormentata e andai alla porta. Era Giovanni, sorridente, il sigaro in bocca. Io non lo lasciai neppure rifiatare: « Senti », gli dissi con furore, « quello che é successo é successo e io non sono più quella che ero prima, lo ammetto, e tu hai ragione a trattarmi cdme una mignotta... ma tu dammi un'altra manata come stamattina, e io, quanto é vero Dio, t'ammazzo... poi vado in galera ma di questi tempi può anche darsi che in galera ci si stia bene e io ci vado volentieri ». Lui inarcò appena appena le sopracciglia per la sorpresa, ma non disse nulla. Passò nell'anticamera pronunziando a fior di labbra : « Allora, facciamo questa consegna ».
Andai in camera da letto e presi un foglio sul quale avevo fatto scrivere a Rosetta tutta la roba che ci avevo nella casa e nel. negozio. Avevo fatto scrivere anche i più piccoli oggetti non tanto perché non mi fidassi di Giovanni ma perché é bene non fidarsi di nessuno. Così prima di cominciare l'inventario dissi a Giovanni, seria seria: « Guarda che questa è tutta roba sudata che io e
mio [...]
[...]eria, di acciaio inossidabile, e gli feci vedere che non mancava nulla né il forno, né lo schiacciapatate, né l'armadietto per le scope né la pattumiera di zinco. Insomma gli feci vedere ogni cosa e quindi scendemmo abbasso e andammo al negozio. L'inventario del negozio fu più breve perché all'infuori degli scaffali, del banco e di qualche seggiola, non c'era rimasto nulla, tutto era stato venduto pulito e spazzolato in quegli ultimi mesi di carestia. Finalmente tornammo di sopra, in casa e io dissi scoraggiata : « A che serve quest'inventario... tanto lo sento, qui non ci tornerò mai più ». Giovanni che si era seduto e fumava, scosse la testa e rispose: « Tra quindici giorni arrivano gli inglesi, persino i fascisti lo ammettono... tu te ne vai in villeggiatura per due settimane e torni e facciamo una bella festa per il tuo ritorno... che ti salta in mente? ». Giovanni, dopo queste parole, ne aggiunse molte altre per consolarci, me e Rosetta e quasi ci riuscì; così che quando se ne andò eravamo molto sollevate, e lui questa volta, con tutto che fossimo soli, nell'anticamera, non ripeté quel gesto della manata, ma si contentò di farmi una carezza al viso, che lui me la faceva spesso anche quando era ancora vivo mio marito e io gliene fui grata e quasi quasi mi parve davvero che nulla fosse successo tra me[...]
[...]ra vivo mio marito e io gliene fui grata e quasi quasi mi parve davvero che nulla fosse successo tra me e lui e io fossi rimasta quella che ero sempre stata.
Il resto di quel giorno lo passai a finire i preparativi. Feci prima di tutto un bel pacco di roba da mangiare, per il viaggio : ci misi un salame, qualche scatola di sardine, una scatola di tonno e un po' di pane. Per mio padre e mia madre feci un pacco a parte, per mio padre ci misi un vestito di mio marito, quasi nuovo, che lui se l'era fatto poco prima di morire e mi aveva chiesto di met
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terglielo addosso dopo morto ma io all'ultimo momento avevo pensato che era un peccato, un vestito così bello di lana blu scura, e così l'avevo avvolto in un lenzuolo vecchio e il vestito l'avevo salvato. Mio padre aveva quasi la stessa statura di mio marito e con il vestito ci misi anche le scarpe, vecchie queste ma ancora buone. A mia madre decisi di portarle uno scialle e una gonnella. Aggiunsi al pacco tutto quello che mi rimaneva di pizzicheria e drogheria, cioè qualche chilo di zucchero e di caffè e qualche scatola e un paio di salami. Tutta questa roba la misi in una terza valigia, in modo che adesso avevamo tre valigie, più un sacco in cui avevo messo una coperta e un guanciale per il caso che fossimo state costrette a dormire in treno. Tutti mi dicevano che i treni ci mettevano anche due giorni ad arrivare a Napoli e noi dovevamo appunto andare a mezza[...]
[...]utti mi dicevano che i treni ci mettevano anche due giorni ad arrivare a Napoli e noi dovevamo appunto andare a mezza strada tra Roma e Napoli, e io pensai che le precauzioni non erano mai troppe.
La sera ci mettemmo a tavola e questa volta avevo fatto un po' di cucina per non rattristarci troppo; ma avevamo appena incominciato che suonò l'allarme e vidi che Rosetta era diventata pallida dalla paura e quasi tremava e capii che lei dopo aver resistito per molto tempo ora non ce la faceva più e aveva i nervi sottosopra e così mi rassegnai a lasciare la cena e a scendere in cantina, una precauzione che in fondo non serviva a niente perché se fosse cascata una bomba quella nostra casa tanto vecchia sarebbe andata in polvere e noi ci saremmo rimaste sotto. Così scendemmo nel rifugio e c'erano tutti quanti gli inquilini della casa e passammo tre quarti d'ora sedute sui banchi, al buio. Tutti parlavano del l'arrivo degli inglesi come di cosa di pochi giorni: erano sbarcati a Salerno che stava vicino a Napoli e da Napoli a Roma ci avrebbero mes[...]
[...]a nostra casa tanto vecchia sarebbe andata in polvere e noi ci saremmo rimaste sotto. Così scendemmo nel rifugio e c'erano tutti quanti gli inquilini della casa e passammo tre quarti d'ora sedute sui banchi, al buio. Tutti parlavano del l'arrivo degli inglesi come di cosa di pochi giorni: erano sbarcati a Salerno che stava vicino a Napoli e da Napoli a Roma ci avrebbero messo forse una settimana anche ad andar piano, perché ormai tedeschi e fascisti_scappavano come lepri e non si sarebbero fermati che alle Alpi. Ma alcuni dicevano che a Roma i tedeschi avrebbero dato battaglia perché Mussolini ci teneva a Roma e lui non gliene importava niente di ridurla una rovina purché gli inglesi non ci entrassero. Io ascoltavo queste cose e pensavo che facevamo bene ad andarcene; Rosetta si stringeva contro di me e io capivo che lei aveva sempre paura ormai, e che non si sarebbe cal
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mata se non quando fossimo andate via da Roma. Ad un certo punto qualcuno disse: « Sai che dicono? Che lanceranno i paracadutisti e quelli entreranno ne[...]
[...]taglia perché Mussolini ci teneva a Roma e lui non gliene importava niente di ridurla una rovina purché gli inglesi non ci entrassero. Io ascoltavo queste cose e pensavo che facevamo bene ad andarcene; Rosetta si stringeva contro di me e io capivo che lei aveva sempre paura ormai, e che non si sarebbe cal
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mata se non quando fossimo andate via da Roma. Ad un certo punto qualcuno disse: « Sai che dicono? Che lanceranno i paracadutisti e quelli entreranno nelle case e ne faranno di tutti i colori ». « Come sarebbe a dire? ». « Beh, la roba e poi le donne ». Allora io dissi: « Voglio vedere chi avrà il coraggio di toccarmi ». Dal buio una voce che era quella di un certo Proietti, fornaio, un uomo stupido da non si dire e sempre molto greve nel linguaggio, che io non avevo mai potuto soffrire, disse con una risata: « A te magari non ti toccheranno perché sei troppo vecchia... ma tua figlia, si ». Risposi: « Guarda come parli... io ci ho trentacinque anni perché mi sono sposata a sedici e troppi ce ne sono che vorrebbero sposa[...]
[...]toccheranno perché sei troppo vecchia... ma tua figlia, si ». Risposi: « Guarda come parli... io ci ho trentacinque anni perché mi sono sposata a sedici e troppi ce ne sono che vorrebbero sposarmi... se non mi sono risposata, é che non ho voluto ». « Si », rispose lui, « la volpe e l'uva ». Io dissi allora, proprio arrabbiata : « Tu pensa piuttosto a quella mignotta di tua moglie... lei le corna te le mette già adesso che non ci sono i paracadutisti... figuriamoci quando ci saranno ». Credevo che la moglie fosse al paese, erano di Sutri e io l'avevo vista andar via qualche giorno prima; invece, guarda combinazione, stava anche lei nel rifugio e io non l'avevo veduta per via del buio. Ma la sentii subito urlare: « Mignotta sarai tu, brutta zozza, vigliacca, disgraziata » e poi sentii che lei acchiappava per i capelli Rosetta credendo che fossi io e Rosetta urlava e quella la menava. Allora, sempre al buio, mi slanciai su di lei e così rotolammo in terra, dandoci le botte e strappandoci i capelli mentre tutti gridavano e Rosetta piangeva e[...]
[...] tutti gridavano e Rosetta piangeva e si raccomandava e mi chiamava. Insomma dovettero dividerci, sempre al buio, e credo che anche ai pacieri toccò qualche botta, perché, tutto ad un tratto, mentre ci dividevano suono la sirena del cessato allarme e allora uno accese la luce e ci trovammo l'una di fronte all'altra, scarmigliate e ansimanti, trattenute per le braccia e quelli che ci tenevano chi aveva la faccia sgraffignata e chi i capelli scomposti. Rosetta, in un angolo, singhiozzava.
Quella notte, dopo questa scenata ce ne andammo a letto mol to presto, senza neanche finire la cena che restò sul tavolo e la mattina dopo c'era ancora. Nel letto, Rosetta si rannicchio contro di me, come faceva quando era piccola e come da molto tempo non faceva più. Le domandai: «Ma che, hai ancora paura? ». Lei ri
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spose : « No, non ho paura, ma è vero mamma che i paracadutisti fanno quelle cose alle donne? ». E io: «Non dargli retta a quello scemo... non sa quello che dice ». « Ma è vero? » insistette lei. E io : « No, non è vero... e poi noi partiamo domani e andiamo in campagna e li non succederà proprio niente, sta tranquilla ». Lei stette zitta ancora un momento e poi disse: « Ma affinché noi possiamo tornare a casa, chi é che deve vincere: i tedeschi o gli inglesi? ». Io a questa domanda ci rimasi male perché come ho detto i giornali non li leggevo e per giunta non mi ero mai interessata di sapere come andasse la guerra. Dissi: « Io non lo so quello che hanno [...]
[...]o ancora più bello con le zinne pesanti
e solide e i capezzoli che si rivoltavano in su come se volessero per forza farsi notare sotto la tela della camicia e subito vidi che
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lui mi guardava al petto e che gli occhi gli si accendevano sotto le sopracciglia come due pezzi di carbonella sotto le ceneri. Capii che lui stava per acchiapparmi le zinne e gli dissi subito, tirandomi indietro: « No, Giovanni, no... per me tu non esisti più e devi dimenticare quello che è successo... se tu non fossi già sposato, ti sposerei... ma sei sposato e tra di noi non deve più esserci niente ». Lui non disse né si né no, ma si vedeva che si sforzava di controllarsi. Alla fine ci riuscì e disse con voce normale: «Hai ragione... ma speriamo che quella schifosa di mia moglie muoia durante questa guerra... così quando torni, io sono vedovo e ci sposiamo... muore tanta gente sotto le bombe, perché non dovrebbe morire lei ? ». E io una volta di più ci rimasi male e fui stupita di sentirgli dire queste cose e quasi non credevo alle mie orecc[...]
[...]to apposta. Quindi raggiunsi Giovanni e Rosetta nella strada.
Alla porta c'era una carrozzella, perché Giovanni non aveva voluto servirsi del camion del carbone per paura che potessero requisirlo. Giovanni ci aiutò a salire e poi sail anche lui. La carrozza si mosse e io non potei fare a meno di voltarmi indietro a guardare verso il quadrivio e verso la mia casa e il mio negozio, perché avevo un presentimento brutto che non li avrei mai piú rivisti. Non era ancora giorno, ma non era più notte, l'aria era grigia e in quest'aria grigia vidi la mia casa che faceva angolo nel quadrivio, con tutte le finestre chiuse e a pianterreno il negozio con le serrande abbassate. Di fronte c'era un'altra casa che faceva angolo anche quella e ci aveva al secondo piano una nicchia a medaglione, con la immagine della Madonna sottovetro, circondata di spade d'oro e con un lumino acceso perpetuamente. Pensai che quel lumino che ardeva anche in tempo di guerra, anche in tempo di carestia, era un pò come la mia speranza di tornare e mi sentii un poco sollevat[...]
[...]t'aria grigia vidi la mia casa che faceva angolo nel quadrivio, con tutte le finestre chiuse e a pianterreno il negozio con le serrande abbassate. Di fronte c'era un'altra casa che faceva angolo anche quella e ci aveva al secondo piano una nicchia a medaglione, con la immagine della Madonna sottovetro, circondata di spade d'oro e con un lumino acceso perpetuamente. Pensai che quel lumino che ardeva anche in tempo di guerra, anche in tempo di carestia, era un pò come la mia speranza di tornare e mi sentii un poco sollevata : quella speranza avrebbe continuato a ricaldarmi una volta che fossi stata lontana. In quella luce grigia si vedeva tutto il quadrivio, come una scena di teatro vuota, dopo che gli attori se ne sono andati; e si vedeva che erano case di povera gente, casucce insomma, un po' storte come se si appoggiassero le une alle altre, un po' scalcinate specie ai pianterreni per via dei carretti e delle macchine, e proprio accanto al mio negozio c'era il negozio di carbone di Giovanni, e intorno la porta era tutta nero come la boc[...]
[...]evere e io mi voltai e non guardai più al quadrivio.
Tutte le strade erano vuote, con l'aria grigia in fondo alle strade che pareva il vapore del bucato quando i panni sono molto sporchi. In terra la guazza faceva luccicare i selci che parevano di ferro. Non passava un cane, anzi passavano soltanto i cani: ne vidi cinque o sei brutti affamati e sporchi che annusavano ai cantoni e poi pisciavano contro i muri dai quali pendevano lacerati i manifesti a colori che incitavano alla guerra. Passammo il Tevere a Ponte Garibaldi, percorremmo via Arenula, passammo l'Argentina e piazza Venezia. Al balcone del palazzo di Mussolini pendeva lo stesso bandierone nero che avevo visto qualche giorno prima a piazza Colonna e due fascisti armati stavano ai due lati della porta. La piazza era deserta, sembrava più grande del solito. Io dapprima non vidi il fascio d'oro nel bandierone nero e mi parve addirittura una bandiera di lutto, tanto più che non c'era vento e pendeva giù, che sembrava davvero uno straccio di quelli che si mettono ai portoni quando c'è un morto nello stabile. Poi vidi il fascio d'oro, tra le pieghe e capii che era la bandiera di Mussolini. Domandai a Giovanni: «Ma che, è tornato Mussolini? ». Lui fumava il mezzo sigaro, e rispose con enfasi: «È tornato e speriamo che ci rimanga per sempre ». Rimasi a bocca[...]
[...]ia. La stazione era piena di gente, in gran parte povera gente come noi, coi loro fagotti, ma c'erano anche molti soldati tedeschi, carichi di armi e di zaini, in piedi, raggruppati gli uni addosso agli altri negli angoli piú scuri. Giovanni andò a comprare i biglietti e ci lasciò li con le valigie nel mezzo della stazione. Mentre aspettavamo, ecco, tutto ad un tratto, con gran fracasso, proprio sotto la pensilina arrivare una decina di motociclisti, tutti vestiti di nero, come diavoli dell'inferno. Dopo il bandierone nero di Piazza Venezia, questi motociclisti vestiti anche loro di nero, mi ispirarono un sentimento di insofferenza, tanto che pensai: « Ma perché nero, perché tutto questo nero? Disgraziati figli di mignotte, con il loro nero maledetto hanno finito davvero per portarci iettatura ». I motociclisti fermarono le motociclette, le addossarono alle colonne dell'ingresso e si misero accanto alle porte, col viso chiuso nei caschi di cuoio nero e le mani sulle pistole che tenevano al cinturone. Tutto ad un tratto mi mancò il respiro dalla paura e prese a battermi forte il cuore perché pen sai che quei motociclisti neri fossero venuti alla stazione per bloccare gli ingressi e arrestare tutti quanti, come spesso facevano e poi portavano via la gente nei loro camion e non se ne sapeva piú nulla. Così mi guardai intorno quasi cercando una via di uscita per scappare. Ma poi vidi che all'ingresso, dalla parte dei treni, arrivava un gruppo di persone mentre altri ripetevano: « largo, largo » e capii che quei motociclisti erano li per l'arrivo di qualche personaggio importante. Non lo vidi perché la folla me l'impediva, ma dopo un poco riudii il fracasso di quelle maledette motociclette e capii che se ne erano andati dietro la macchina di quel personaggio.
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Giovanni venne a prenderci, coi biglietti in mano dicendoci che erano biglietti fino a Itri : di qui poi, per le montagne, avremmo potuto raggiungere il paese. Uscimmo dalla stazione, andammo al treno, sotto la pensilina. Li c'era il sole in tanti raggi che si allungavano sopra i marciapiedi e parevano i raggi di sole che si vedono nelle[...]
[...]i tedeschi, tutti armati, cogli zaini sulle spalle, il casco sugli occhi e il fucile tra le gambe. Ce n'erano non so quanti, passavamo da uno scompartimento all'altro e sempre vedevamo otto soldati tedeschi, con tutta quella roba addosso, fermi e zitti che parevano aver avuto l'ordine di non muoversi e di non parlare. Finalmente in uno scompartimento di terza trovammo gli italiani. Stavano ammucchiati nei corridoi
e negli scompartimenti, come bestie che vengono portate al macello e perciò non importa che stiano comode tanto trappoco debbono morire; anche loro come i tedeschi non dicevano nulla, non si muovevano; ma si capiva che la loro immobilità e il loro silenzio erano dovuti alla stanchezza e alla disperazione mentre i tedeschi si vedeva che si tenevano pronti a saltar fuori del treno
e far subito la guerra. Dissi a Rosetta: « Vedrai che questo viaggio lo facciamo in piedi ». Infatti, dopo aver girato non so quanto, con quel sole che entrava attraverso i verti sporchi del treno e giâ arroventava le vetture, mettemmo anche noi le valigie nel corridoio, davanti la latrina, e ci accoccolammo al[...]
[...]bito la guerra. Dissi a Rosetta: « Vedrai che questo viaggio lo facciamo in piedi ». Infatti, dopo aver girato non so quanto, con quel sole che entrava attraverso i verti sporchi del treno e giâ arroventava le vetture, mettemmo anche noi le valigie nel corridoio, davanti la latrina, e ci accoccolammo alla meglio. Giovanni che ci aveva seguite nel treno, a questo punto disse: « Beh, vi lascio, vedrete che trappoco il treno parte ». Ma un tizio, vestito di nero, seduto anche lui su una valigia lo rimbeccò, cupo, senza alzare gli occhi: « Trappoco un corno... noi siamo tre ore che aspettiamo ».
Insomma Giovanni ci salutò e baciò Rosetta sulle due guance
e me sull'angolo della bocca, forse avrebbe voluto baciarmi sulla bocca ma io stornai in tempo il viso. Partito Giovanni, noi restammo sedute sulle valigie, io più alta e Rosetta più bassa, la testa appoggiata contro le mie ginocchia. Rosetta dopo mezz'ora che
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stavamo così, senza parlare, accovacciate, domandò: « Mamma, quando si parte ? » e io le risposi: « Figlia mia, io[...]
[...]ntassero male, avevano certe voci basse e rauche però intonate ma io che avevo tante volte sentito cantare i soldati nostri, allegramente, come fanno quando sono in treno e viaggiano insieme, mi venne tristezza perché cantavano nella lingua loro qualche cosa che mi sembrava molto triste. Cantavano lentamente e pareva davvero che non ne avessero tanta voglia di andare a far la guerra perché il loro canto era veramente triste. Dissi a quell'uomo vestito di nero vicino a me : « Anche a loro la guerra non piace... sono uomini anche loro dopo tutto... senti come cantano tristemente ». Ma lui, ingrugnato, mi rispose: «Non te ne intendi... è il loro inno... é come da noi la Marcia Reale ». E poi dopo un momento di silenzio : « La tristezza vera ce l'abbiamo noialtri italiani ».
Finalmente il treno si mosse, senza un fischio, senza uno squillo di tromba, senza un rumore, come per caso. Avrei voluto raccomandarmi una ultima volta alla Madonna che proteggesse me e Rosetta da tutti i pericoli ai quali andavamo incontro. Ma mi era venuto un sonno c[...]
[...]da noi la Marcia Reale ». E poi dopo un momento di silenzio : « La tristezza vera ce l'abbiamo noialtri italiani ».
Finalmente il treno si mosse, senza un fischio, senza uno squillo di tromba, senza un rumore, come per caso. Avrei voluto raccomandarmi una ultima volta alla Madonna che proteggesse me e Rosetta da tutti i pericoli ai quali andavamo incontro. Ma mi era venuto un sonno così forte che non ne ebbi neppure la forza. Pensai soltanto: « Sti figli di mignotte... »; e non sapevo se pensavo ai tedeschi o agli inglesi o ai fascisti o agli italiani. Un pò tutti forse. Quindi mi addormentai.
ALBERTO MORAVIA