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da Paolo Alatri, Il Governo Nitti e la questione adriatica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: IL GOVERNO NITTI E LA QUESTIONE ADRIATICA (*)
Nelle sue Rivelazioni, Nitti scrisse molti anni piú tardi che quando il suo Ministero fu rovesciato, i delegati jugoslavi stavano per riprendere contatto con quelli italiani per riallacciare le trattative, interrotte esattamente un mese prima dalla crisi ministeriale italiana (1). Non pare che ciò sia de tutto esatto: il nuovo incontro non era stato ancora fissato; tuttavia é certo che se nel giugno 1920 Nitti avesse superato la crisi e fosse restato al goveron, i negoziati diretti per la soluzione della questione adriatica sarebbero stati ripresi entro breve tempo e, con ogni probabilità, portati a compimento. Giolitti, che gli succedette a capo del governo, lasciò invece passare qualche tempo prima di riprendere le trattative, che furono poi concluse il 12 novembre 1920 con la firma del Trattato di Rapallo.
L'accordo concluso da Giolitti e Sforza a Rapallo fu lievemente migliore, per l'Italia, di quello che Nitti e Scialoja stavano per raggiungere Pallanza e che avrebbero probabilmente realizzato dopo il giugno se fossero rimasti al po[...]

[...]mente qualcosa alla celerità
(*) Il presente articolo riproduce alcune pagine conclusive di un ampio lavoro dallo stesso titolo di prossima pubblicazione presso l'editore Feltrinelli.
(1) FRANCESCO SAVERIO NITTI, Rivelazioni. Dramatis personae, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1948, pp. 34041.
(2) Non pare perciò fondata l'affermazione di F. S. NIrri (ibid., p. 343): « Al trattato di Rapallo segui l'accordo con la Jugoslavia: nulla era stato ottenuto che io non avessi ottenuto; anzi la situazione era stata di molto peggiorata D. Più aderente al vero RENÉ ALBRECHTCARRIÉ, Italy at Me Peace Conference, New York, Columbia University Press, 1938, p. 289, che scrive: « C'è ogni ragione di ritenere che la lunga disputa [italojugoslava] sarebbe stata portata a conclusione a Pallanza, e che, se così fosse stato, gli jugoslavi si sarebbero asicurate condizioni migliori di quelle che avrebbero ottenute di lì a qualche mese in condizioni che, sotto qualche aspetto, poterono sembrare meno favorevoli ad essi s.
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della conclusione dell'accordo con la Jugoslavia per essere in grado di dare rapida attuazione al programma di smobilitazione militare, politica e psicologica del Paese, in vista di una politica di riduzione delle spese, di concentrazione interna, di ricostruzione economica, mentre Giolitti, tornato al potere con l'appoggio di una maggioranza assai p[...]

[...]igidezze e astrattismi ideologici e quanto a influenze finanziarie. Certo, i due elementi dovettero intrecciarsi, e il secondo non dovette mancare. Si disse insistentemente, allora, che gli americani avessero particolari mire sul porto di Fiume come elemento di una più vasta penetrazione nell'Europa centrale, che essi attendessero dagli jugoslavi un'arrendevolezza che non avrebbero trovato negli italiani (7); più tardi, nel periodo di vita dello Stato libero creato dal Trattato di Rapallo, gli americani progettarono l'acquisto di una parte importante del porto fiumano, su cui avrebbe dovuto esercitare la sua giurisdizione la « Standard Oil Company » (8), e in ciò si vide una specie di dimostrazione a posteriori dei motivi che avevano reso la diplomazia wilsoniana così dura, rigida, intransigente. Per contro, il banchiere americano Guggenheim, intervistato da un giornale italiano (9), dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero dovuto preferire una soluzione italiana del problema di Fiume, perché gli jugoslavi ne avrebbero dato il,controllo agli inglesi (Wilson ormai conta poco, aggiunse Guggenheim, e « non potrà impedire ai banchieri e agli industriali di aiutare il vostro Paese in cui essi hanno piena fiducia »); e di interessi della « Cunard Line » britannica a Fiume parlò Harold Spencer, ex corrispondente del New York Herald (10).
Se sulla diplomazia americana poté esercitare influenza la pressione di gruppi economici e finanziari, non si creda[...]

[...]mati da un istintivo nazionalismo — da Tittoni a Scialoja, da Badoglio a Caviglia, da Mosconi
(17) « Sono qui — dichiarò una volta quando era ministro degli Esteri — per vedere che, almeno in politica estera, non facciamo troppe fesserie » (DANIELE VARL IZ diplomatico sorridente, ediz. inglese, citato da GORDON A. CRAIG and FELIX GORDON, The Diplomats. 19191939, Princeton University Press, 1953, p. 212). Cfr. anche ARTURO CARLO JEMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi, 1948, p. 653.
(18) CARLO SFORZA, L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Milano, Mondadori, 1946, p. 89.`
(19) F. S. NITTI, Rivelazioni cit., pp. 5, 53 e 340.
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a Salata (20) — tanto che più tardi molti di essi dovevano passare armi e bagagli alla collaborazione col fascismo. Bisogna pur sottolineare il fatto che a contatto con la situazione qual era, specialmente quando si trattava di misurarsi con gli Alleati nelle trattative diplomatiche, quegli uomini erano costretti ad acquistare un re[...]

[...]zione col fascismo. Bisogna pur sottolineare il fatto che a contatto con la situazione qual era, specialmente quando si trattava di misurarsi con gli Alleati nelle trattative diplomatiche, quegli uomini erano costretti ad acquistare un realismo che era il naturale nemico di ogni atteggiamento nazionalistico. Uno di essi, Salvatore Barzilai, parlando al Senato il 15 dicembre 1920 sul Trattato di Rapallo, diede un riconoscimento prezioso di questo stato di cose: «Chi ebbe l'occasione di trovarsi a Parigi nel 1919 non può, in sua coscienza, moltiplicare le esigenze e accrescere le censure verso i negoziatori del Trattato di Rapallo. Non può per senso di onestà! »; e dopo aver indicato il carattere contraddittorio delle richieste italiane (Patto di Londra più Fiume): « Allora io ebbi il fondato dubbio che la pace italiana non si sarebbe potuta stringere senza una formula di compromesso: ogni più sincero sforzo da molti, da troppi fu fatto, ma era fatale che un compromesso dovesse suggellare la pace »;
(20) Per quanto riguarda Badoglio, vi è u[...]

[...]gi, 1946), PIETRO BADOGLIO, nel clima politico mutato, diede della propria posizione di fronte a D'Annnuzio una immagine sensibilmente deformata.
Per quanto si riferisce a ENRICO CAVIGLIA, basta leggere il suo libro su Il conflitto di Fiume (Milano, Garzanti, 1948) per rilevare la debolezza del suo pensiero politico, le contraddizioni fra le tendenze nazionaliste e l'avversione contro ogni atto disgregatore della compagine dell'esercito e dello Stato costituzionale.
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sicché il nazionalista Barzilai finiva per adoperare a proposito di D'Annunzio parole che avrebbero potuto essere pronunciate da Nitti: « Non vi é nessuno, per quanto illustrato dalle gesta più nobili, che possa imporsi alla volontà della Nazione »; e ricordava la necessità del pane e della ricostruzione economica.
In Nitti, se tenace fu sempre il perseguimento di fini coerenti con le premesse della sua azione politica antinazionalista, non sempre vi furono, nell'attuazione quotidiana, quella fermezza e quella abilità che sarebbero state necessarie. Lo vedi[...]

[...]di sopra della maggior parte degli uomini politici e dei militari del suo tempo e del suo ambiente, ma, con ciò stesso, gli faceva talvolta smarrire il senso delle necessarie cautele da prendere con essi.
Anche nella laboriosa ricerca di una soluzione del problema fiumano, nella scelta tra i vari progetti che furono avanzati durante quei mesi, quasi accavallandosi, Nitti dimostrò talvolta qualche oscillazione (per esempio, sulla creazione dello Stato libero, che egli di volta in volta considerò vantaggioso perché sgradito a Belgrado in quanto sottraeva alla diretta sovranità serba un largo territorio a popolazione slava, e svantaggioso proprio perché essendo abitato prevalentemente da slavi rischiava di soffocare l'italianità della città di Fiume). In verità, a Nitti premeva soprattutto di chiudere la vertenza adriatica: egli non si sentiva di sostenere a spada tratta questa o quella soluzione, ad una o all'altra subor
(23) « Mi sembrò, e mi sembra tuttora — scrisse ancora C. SFORZA, O. cit., p. 84 — che Nitti fu soprattutto attaccato pe[...]

[...]ventura di D'Annunzio a Fiume non fu che della politica interna) furono in massima parte l'effetto di alcune lacune della sua personalità ».
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dinando la conclusione dell'accordo, poiché gli sembrava che scarsa importanza avessero i dettagli che distinguevano l'una dall'altra le diverse soluzioni prospettate. E in ciò entrò anche, senza dubbio, la sopravalutazione del fattore economico rispetto a quello politico nella vita dello Stato e della società, che fu una delle sue caratteristiche salienti.
Anche se tardi epigoni delle infiammate passioni di quel tempo possono ancor oggi trovare motivo di scandalo nella sollecitudine di Nitti a concludere l'accordo adriatico e nella scarsa importanza ch'egli attribuiva ai dettagli territoriali, a noi sembra — in base a una concezione che siamo convinti essere al tempo stesso più idealistica e più realistica — che non solo lo sviluppo successivo degli avvenimenti internazionali che ha tanto superato i termini di quella contesa rendendoli obsoleti e mostrandone quindi al fondo il car[...]

[...]OrlandoSonnino di cui facevano parte sia Bissolati che Nitti, delle condizioni di pace, i criteri antinazionalisti esposti dal primo erano stati condivisi da
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pretesto ai nazionalisti, che in lui vedevano uno dei loro veri e maggiori avversari, per lanciare contra di lui una furiosa campagna denigratoria, senza esclusione di colpi. Tuttavia la tesi sostenuta dai nazionalisti e ribadita da Caviglia (27) che l'esercito si mise in stato di sedizione e di virtuale colpo di Stato per reagire alle provocazioni tollerate da Nitti non regge: la sedizione era già in atto prima ancora che Orlando cadesse, e semmai, durante i suoi dodici mesi di governo, Nitti riuscì a riportare un po' d'ordine, utilizzando uomini che godevano di largo prestigio sia nell'esercito che tra i nazionalisti, come Badoglio e lo stesso Caviglia. Ma non si valuterà mai abbastanza i1 peso che ebbe la vasta mobilitazione, anzi la vera e propria congiura nazionalista e militarista contro la quale Nitti si adoperò: già nel '19 fu fatta una specie di prova generale di quella che tre anni dopo, quando fu[...]

[...]traendo la contesa e con essa la mobilitazione, e di conseguenza ostacolando la ricostruzione economica su basi di normalità, i nazionalisti facevano gli interessi di cento grandi industriali contro quelli della grande maggioranza del Paese. Ma intanto diffondevano un veleno destinato a mettersi in circolazione nell'organismo nazionale per non più uscirne e dare i suoi frutti tossici negli anni seguenti. Per tutto il 1919, intanto, la vita dello Stato costituzionale, rappresentativo, parlamentare si svolse come sopra un vulcano, pronto ad esplodere in un terremoto da un momenta all'altro: il colpo di Stato era nell'aria, era una minaccia concreta; la « marcia di Ronchi » poteva benissimo trasformarsi in una « marcia su Roma », e più di una volta sembrò che cosí stesse per avvenire.
Nitti era agli antipodi di ogni atteggiamento nazionalistico e di ogni velleità eversiva delle istituzioni e ciò era sufficiente perché le destre lo accusassero di « disfattismo ». L'Idea Nazionale giunse ad imputargli, non appena ebbe assunto il potere, di essere « l'anti combattente » (29), ciò che era ben difficile dire dell'unico uomo politico italiano che, pur non essendosi abbandonato a demagogiche promesse co[...]

[...] tono fra la dichiarazione alla Camera del 13 settembre e quella di tre giorni dopo; e bisogna riconoscere che la linea ben presto stabilita di fronte ai « legionari » fu il risultato più delle osservazioni fatte sul luogo e delle indicazioni mandate da Badoglio che delle inclinazioni di Nitti. Comunque, il presidente del Consiglio ebbe l'avvedutezza di non pretendere di sovrapporre quelle inclinazioni ai suggerimenti che gli venivano da chi era stato mandato proprio per studiare direttamente la situazione; e dalla collaborazione tra Nitti e Badoglio nacque e si sviluppò la linea di condotta intesa a svuotare e isolare il movimento dannunziano. Questa linea produsse i suoi effetti, dapprima sdrammatizzando tutta la situazione e riportando alle sue proporzioni il movimento dannunziano che in un primo momento sembrò diffondersi come un'epidemia, poi rendendo possibile la stipulazione di un accordo con la Jugoslavia e la conseguente forzata uscita dei « legionari » da Fiume; giacché non vi é dubbio che su questo terreno Giolitti poté valersi [...]

[...]unì la Costituente eletta il 24 aprile, nella quale gli autonomisti di Zanellà erano in grande maggioranza, sicché il 3 marzo 1922 gli estremisti ricorsero a un nuovo colpo di forza, alla rivolta armata: il palazzo del Governatore, ove risiedeva Zanella, fu preso d'assalto mentre un mas comandato da Giunta sparava su di esso 31 colpi di cannone. Zanella dovette capitolare nelle mani di Attilio Prodam e abbandonare Fiume; ma, se da quel giorno lo Stato libero fu virtualmente soppresso, la città continuò ad essere teatro di lotte tra gruppi di fascisti e di legionari in concorrenza tra loro (33).
Nel quadro generale della storia politica d'Italia e d'Europa nel dopoguerra, la vicenda di Fiume ha un'incidenza che trascende di molto i suoi propri termini, modesti se strettamente considerati: ed é perciò che abbiamo creduto, utilizzando una vasta documentazione inedita, di dedicare a quella vicenda un lavoro d'una certa ampiezza. « Alla Conferenza della Pace — leggiamo nell'AlbrechtCarrié (34) — la lotta per Fiume, tema di contestazione in se[...]

[...]opri termini, modesti se strettamente considerati: ed é perciò che abbiamo creduto, utilizzando una vasta documentazione inedita, di dedicare a quella vicenda un lavoro d'una certa ampiezza. « Alla Conferenza della Pace — leggiamo nell'AlbrechtCarrié (34) — la lotta per Fiume, tema di contestazione in se stesso insignificante, si indurì in una battaglia diplomatica di prestigio che in ultima analisi non diede la vittoria a nessuno. Se non fosse stato
(30) ARTURO MARPICATI, Fiume, Firenze, Casa Editrice « Nemi », 1931, p. 80. « Vittoria sicura — scrive con tipico linguaggio retorico G. BENEDETTI, Op. cit., pp. 9596 — auspicavano da ogni parte gli italiani di fede ferma; vittoria sicura era ritenuta quella del Blocco Nazionale. Ma come é possibile soltanto nei momenti più critici di un'epoca travagliata, la materialità del corpo si sovrappose alla gloria dello spirito: prevalsero il malessere, la sfiducia, la stanchezza, il desiderio del nuovo, l'allettamento, l'intravisto paradiso in terra, tutto ciò che sembrava più facile e accessibile [...]

[...]sia, dice Treves nel discorso parlamentare del 30 marzo 1920 rivolto al presidente del Consiglio; e riconosce: « Voi avete fatto quanto meglio e più nobilmente potevate fare a Parigi e a Londra
(37) « Non posso parlare senza imbarazzo — disse Nitti alla Camera il 21 dicembre 1919 — della questione adriatica. L'Italia ha una istituzione, fra le altre, che è la più importante di tutte, che è al di sopra di qualunque istituzione fondamentale dello Stato, della magistratura, del Parlamento; un'istituzione alla quale tutti s'inchinano: la retorica. E una forza che non ho mai posseduto. Noi abbiamo parlato tanti anni in tono superlativo e comparativo, che abbiamo persino dimenticato il tono positivo ».
(38) Non solo II Secolo, giornale radicale di Milano, ma anche il Corriere della Sera, conservatore ma avverso al programma annessionista dei nazionalisti e dei dannunziani, commentarono la caduta del ministero Orlando, nei loro editoriali del 21 giugno 1919, con parole aspre verso il « presidente della Vittoria » e auspicando un nuovo Ministero[...]

[...]a fiducia che questi non si sarebbero uniti ai primi nel tentativo di rovesciarlo (40). Quando ciò avvenne, fu la fine del suo esperimento radicale.
Si è molto insistito sulle agitazioni sociali che caratterizzarono l'anno 1919: in realtà potrebbe a più forte ragione applicarsi al Governo Nitti ciò che Frassati osservò a proposito del Governo Giolitti, che cioè reca meraviglia come il grande fatto storico del dopoguerra, l'immissione del quarto stato" nella vita pubblica italiana, abbia potuto compiersi con incidenti relativamente così trascurabili (41). Del resto le agitazioni sociali non furono un fatto solo italiano ma travagliarono, in misura maggiore o minore, tutti i Paesi che aveva partecipato alla guerra.
Nitti stesso vide chiaramente quali forze Io fecero cadere: « Furono i grandi banchieri della Banca Commerciale, i grandi arricchiti di guerra che più si agitarono per evitare un piccolo aumento del prezzo del pane che essi stessi avevano proposto e che richiesero subito dopo le mie dimissioni » (42). « Io ero nella strana
(40)[...]

[...]o. Alla fine di maggio, di fronte al rilancio di accuse di illecite operazioni finanziarie, Nitti nominò una commissione di inchiesta « sui fatti d'accaparramento di azioni e di aumento di capitale di quelle società anonime i titoli delle quali subirono notevoli e rapide fluttuazioni di prezzo con turbamento del mercato dei valori e con danno degli azionisti a (cfr. Il Messaggero del 30 maggio). Della commissione facevano parte il consigliere di Stato Federico Brofferio (presidente), il consigliere di Cassazione Girolamo Biscaro, il direttore generale delle imposte dirette Pasquale d'Aroma, il direttore del commercio Angelo di Nola e l'economista prof. Giorgio Mortara. Si noti che mentre le grandi imprese, l'Ansaldo, l'Ilva, la Terni ecc., chiedevano la liberalizzazione completa del commercio estero, che costituiva uno dei punti del programma della Confederazione Generale degli Industriali fondata ' il 9 aprile 1919, Nitti era l'uomo politico che, nella sua veste di ministro del Tesoro, aveva creato, al contrario, l'Istituto dei Cambi, poi[...]

[...]ertis verbis o larvatamente, nel programma di Nitti. In realtà, quindi, il vero continuatore del giolittismo fu Nitti, che afferrò lui solo la sostanza del problema dell'ora: il passaggio dal liberalismo alla democrazia. Il suo tentativo falli, e quella fu veramente l'ora tragica per l'Italia. Quando Giolitti tornò al governo era ormai un revenant: il tentativo suo, inattuale, era destinato a fallire. Le masse popolari premevano alle porte dello stato .e solo un programma spregiudicatamente democratico aveva qualche speranza di recuperarle. Ma Giolitti questo non lo poteva e non lo voleva offrire: era contro i suoi principi, contro il suo metodo, contro la sua sostanziale sfiducia nelle masse, che egli stimava meritevoli di essere governate umanamente, ma non capaci di esercitare esse stesse il potere. Naturale quindi che pensasse all'imbarco dei fascisti,. per cogliere i tradizionali due piccioni: riassorbire (e possibilmente... digerire) il movimento fascista trasformandolo in una corrente conservatrice un po' zotica ma di tipo tradizion[...]

[...]ento di governo di Nitti, che sarebbe tornato al potere con i più preparati uomini del socialismo, realizzandone postulati e principi.
Certo, quando, dopo le elezioni del '21, più di una volta in breve spazio di tempo fu tentata da parte degli schieramenti e degli uomini politici della democrazia liberale la formazione di un fronte unico che non si pub definire antifascista, ma almeno di resistenza al fascismo nelle sue mire sovversive verso lo Stato costituzionale, il candidato delle sinistre, che volevano sfociare in una forma statuale in cui il potere del Parlamento si affermasse incontrastato, anche contro alcune tradizionali prerogative della Corona, fu proprio Nitti. Ciò si dové alla prova che egli aveva dato durante i dodici mesi del suo governo nel 191920, quando la questione adriatica, anche per i suoi addentellati con la vita politica interna, era stata la più grave che egli avesse dovuto affrontare. E se su Nitti si appuntò l'odio di tutte le forze conservatrici e reazionarie e quell'esperimento fu reso impossibile, con ciò la democrazia borghese si precluse l'ultima possibilità di conservare le forme storiche dello Stato costituzionale, ed apri definitivamente la porta al [...]

[...]lla prova che egli aveva dato durante i dodici mesi del suo governo nel 191920, quando la questione adriatica, anche per i suoi addentellati con la vita politica interna, era stata la più grave che egli avesse dovuto affrontare. E se su Nitti si appuntò l'odio di tutte le forze conservatrici e reazionarie e quell'esperimento fu reso impossibile, con ciò la democrazia borghese si precluse l'ultima possibilità di conservare le forme storiche dello Stato costituzionale, ed apri definitivamente la porta al fascismo, al sovvertimento delle istituzioni liberali e parlamentari e alla ventennale dittatura.
PAOLO ALATRI



da Enrica Pischel, Considerazioni sulla nuova fase della politica asiatica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]ovietica di aiuti ai paesi sottosviluppati e l'intensificazione dell'aiuto cinese in questo senso, sono le forze interne ed il loro dinamismo a rappresentare l'elemento decisivo e non l'azione compiuta sull'Asia dall'esterno dall'URSS o da altri paesi a governo comunista.
Proprio sul piano interno ed economico si é verificata dalla conferenza di Bandung in poi l'evoluzione della situazione asiatica: il mero anticolonialismo politico e formale é stato sostituito dal tentativo di risolvere il problema dello sviluppo come principale movente di interesse comune nei paesi asiatici. Questa sostituzione fu l'elemento innovatore e stimolatore suscitato dalla conferenza di Bandung che mostrò, attraverso il confronto della situazione che si veniva creando nei paesi socialmente più progrediti con quella sussistente negli altri, la gravità delle conseguenze implicite nella stasi economica, nell'acquiescenza al permanere del dominio economico imperialistico e nel mantenimento (soprattutto nel regime di proprietà della terra) di residui di una struttur[...]

[...]residui feudali e contro le infiltrazioni e le minacce esterne. In questo senso avevano operato la riforma agraria nella prima fase (spartizione della terra ai contadini) la politica di ricostruzione industriale, il primo piano quinquennale per l'industrializzazione « di base », la collaborazione tra le forze rivoluzionarie e la borghesia « nazionale », la formulazione della Costituzione.
Dal 1955 in poi il principale problema cinese non é più stato quello del consolidamento della rivoluzione come fattore permanente nella società cinese e nella politica mondiale: questo era un dato acquisito già nel 1955 e proprio la conferenza di Bandung offri a tutti i paesi asiatici e africani la dimostrazione che la Cina nuova non aveva più ragione di dubitare della sua capacità di difendere la propria sicurezza e la propria stabilità. Il nuovo problema della Cina divenne quello di accelerare il ritmo delle trasformazioni economiche e sociali, di elaborare la linea e le soluzioni particóIari per il trapasso della Cina alla fase socialista (e non più [...]

[...] essi furono concepiti quale sostegno "sT btt rmäñcñte dei regimi oltranzisti anticomunisti incapaci di reggersi da soli (Kuomintang a Formosa, Syngn n Rhee in Corea), ma ritenuti, in quel periodo, il più solido e utile strumento della politica statunitense in Asia e ridotti invece ora ad essere pericolosi ed inutili parassiti dell'economia americana e paralizzante causa di remore *e di discredito a tutta l'azioñe«diplomatica del Dipartimento di Stato.
CONSIDERAZIONI SULLA NUOVA FASE DELLA POLITICA ASIATICA 25
I rigidi patti difensivi con Seul e Taipeh e la presenza di solidi interessi statunitensi organizzati a favore di Chiang e di Rhee espongono qualsiasi azione diplomatica americana al ricatto di questi regimi che sono tenuti dagli aiuti statunitensi in uno stato di fittizia solidità, sufficiente a far si che rappresentino una minaccia contro il mantenimento dello statu quo in Asia, mentre non sono più un reale e stabile avamposto delle linee strategiche americane. Essi hanno infatti dimostrato negli ultimi anni, con una ripresa di nazionalismo antistatunitense, di non essere disposti a rimanere per sempre le abbandonate sentinelle avanzate di quella politica di immediata aggressione anticinese che avevano sperato di veder giungere rapidamente al successo con il rovesciamento di Mao ed una generale guerra anticomunista, ma che ora é stata accantonata [...]

[...]plomatico ed economico. Inoltre due dei membri più importanti del SEATO, la Francia e la Gran Bretagna, hanno cessato di avere un'importanza reale in Asia: la prima ha perduto tutti i suoi territori e la sua influenza nell'Asia sudorientale; la seconda controlla ancora Singapore e il Borneo settentrionale, ma ha dimostrato in occasione della concessione dell'indipendenza alla Malesia e della conclusione di un patto militare bilaterale con questo Stato, che gli sviluppi nuovi nella zona avvengono al di fuori dell'apparato del SEATO.
Sussiste così soltanto l'altro aspetto del SEATO: esso fu considerato dai tre membri asiatici (Pakistan, Filippine e Thailandia), o piuttosto dalle classi dirigenti di questi paesi, come una garanzia al mantenimento della loro situazione sociale interna contro qualsiasi evoluzione democratica e progressiva, anche non
:1
28 ENRICA PISCHEL
violenta o comunque non effettuata attraverso la sovversione. Né la casta militare thailandese, né i proprietari fondiari spagnoleschi delle Filippine, né i grossi latifond[...]

[...] loro confronti dalla Cina e dall'URSS per persuaderli della «scarsa convenienza » pratica della politica da loro seguita a paragone dei vantaggi ottenuti dai neutrali: si tratta di argomenti che, nelle attuali condizioni, possono avere una presa assai maggiore che all'epoca di Bandung, e non soltanto sui gruppi di opposizione o sulla opinione pubblica generica.
Le incertezze che hanno cartterizzato le elezioni filippine del 1957 ed il colpo di Stato in Thailandia contro Pibul possono essere interpretati in questo senso. Ma ancor più profondo é lo sfaldamento del regime politico pakistano: nel Pakistan la mancata trasformazione democratica del paese su linee parallele á quella dell'India ha portato al potere una casta legata ai più retrivi interessi terrieri, presentati come un baluardo a difesa della religione islamica e come un elemento a favore della politica occidentale, Negli ultimi mesi tuttavia l'aumento delle difficoltà politiche ed economiche ha scatenato in tutti i gruppi politici un'ondata di risentimenti antioccidentali, tanto[...]

[...]HEL
il precipitare della guerra fredda), né come forza politica tuttora valida e consolidata nella propria area, anche se non più nuova e tale da attirare attenzione e polemiche.
In particolare é necessario precisare che il nuovo carattere economico dato al neutralismo dell'ingresso dell'URSS nella gara con gli Stati Uniti per lo sviluppo delle aere depresse non ha affatto modificato i principi base della politica dei neutrali asiatici (come é stato affermato da alcuni osservatori statunitensi), bensì li ha confermati. I paesi neutrali avevano infatti chiesto fin dall'inizio a tutte le grandi potenze industriali aiuti per il loro sviluppo, purché non condizionati a concessioni politiche e non cóhtr'ollàti dall'esterno in modo tale da minare l'indipendenza economica delle nazioni riceventi. Alcuni dei paesi che oggi accettano ed apprezzano la politica degli aiuti sovietici (che in sostanza dal 1955 in poi sono giunti a controbilanciare globalmente — cioè compresi gli utili del commercio — gli aiuti americani all'Asia sudorientale) avevan[...]

[...]onomico che bruci le tappe ed assottigliprimä che diventi incolmabile, il fossato che separa l'Asia dalle potenze industriali.
Proprio sul problema dei metodi e dei ritmi dello sviluppo e sui riflessi di esso sull'órgánizzazioñe sociale e politica si é manifestata da Bandung in poi la più profonda trasformazione nei paesi asiatici neutrali. Dal punto di vista politico il corso verificatosi negli ultimi tre anni in India, Indonesia e Birmania é stato caratterizzato soprattutto dallo sfaldamento del _gruppo_ socialmente eterogeneo che, guidò la lo ta per indipendenza e che ora si trova, per procedere alle scelte necessarie per*`Ic`sviluppo, a mettere a nudo le componenti sociali contrastanti che la lotta per la mera indipendenza politica aveva invece fuso e fatto apparire affini. D'altra parte — fenomeno parallelo ma non meno decisivo — i partitiicomurústi di uestiy Eaesi vanno mutando loro posizioni, e cercano di inserirsi, come rttore indispensabile ar proseguimento della politica di indipendenza e sviluppo, nella dialettica in corso ne[...]

[...]si sarebbe potuto sabotare in pratica la continuazione (e ciò vale soprattutto per i grandi proprietari terrieri e le altre forze sopravvissute del passato semifeudale).
In particolare va notato chela litica di sviluppo non é
di per sé in India in contraddizione con gli interessi della borg hesiä ma anzi é favorevole ad essi ed inoltre che, àrrieTña—fino a che la borghesia controlla esclusivamente l'apparato economico ed amministrativo dello Stato, essa può anche vedere con favore una certa misura di pianificazione e di estensione dell'economia statale, per coprire i settori di minor reddito e di più gravosi investimenti nello sforzo di sviluppo. Con ciò si spiega l'adesione di forti gruppi della borghesia alla politica di pianificazione di Nehru ed anche l'adozione — per quanto paradossale ciò possa parere — di « principi socialisti » per lo sviluppo della società indiana, deliberata dal partito del Congresso nel 1955.
Ma in questi tre anni la situazione si é trasformata sotto più di un aspetto: il secondo piano quinquennale orientat[...]

[...]aradossale ciò possa parere — di « principi socialisti » per lo sviluppo della società indiana, deliberata dal partito del Congresso nel 1955.
Ma in questi tre anni la situazione si é trasformata sotto più di un aspetto: il secondo piano quinquennale orientato sull'industria e non più, come il primo, sull'agricoltura ed i lavori pubblici, ha incontrato presso il settore finanziario e industriale della borghesia assai minor favore del primo ed é stato accettato
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soltanto da una parte della classe dirigente, cioè da quei gruppi che possono trarre ancora dal piano vantaggi superiori al nocumento loro arrecato dall'espansione del settore statale nell'industria. Benché accettato in teoria, pur essendo formulato su basi sostanzialmente modeste e comunque tali da non sovvertire il carattere della società indiana, in pratica il piano è stato in gran parte ed in modo sempre più evidente sabotato dalle classi abbienti: la resistenza ad ogni modifica radicale della politica fiscale (tuttora la grande maggioranza degli introiti statali deriva da dogane, dazi ed altre imposte indirette mentre_ le imposte sulle entrate e sul patrilboniä, Y sóltänto leggermente progressive
e frequentemente q esente evase, non danno che un gettito secondario), il rallentamento della formazione del risparmio o comunque del suo incanalamento a scopi produttivi, l'intensificarsi della speculazione sui beni di prima necessità, con la richiesta di assegnare[...]

[...]rare i dirigenti del suo stesso partito nei casi di più grave scandalo, quando le posizioni del Congresso stavano già per precipitare sotto i colpi delle opposizioni e di personalità uscite dal Congresso proprio per denunciarne la corruzione su base locale. Nella maggior parte delle situazioni però, il primo ministro non ha potuto — per ovvie esigenze di lotta politica e per salvaguardare il suo partito contro gli avversari — porre argine ad uno stato di cose che, senza raggiungere l'aperta violazione della legge, mina la efficienza del partito di governo e lo mette comunque fuori gioco come strumento progressivo. Il gruppo di sinistra del Congresso, al quale grosso modo fa capo Nehru, pur controllando in una certa misura la politica del governo centrale, si trova cosí a dipendere su base locale da gruppi e consorterie che sono quanto mai lontani, per i loro interessi sociali diretti, dalla linea sostenuta dal primo ministro, che risulta quindi inevitabilmente compromessa e legata da queste connivenze.
Una situazione di questo tipo implic[...]

[...]senza porre condizioni di ordine interno. Indubbiamente la storia del partito comunista indiano é stata delle più agitate ed incerte e, nei primi anni susseguenti all'indipendenza, la lotta estremista contro il regime di Nehru
e la tattica insurrezionale (delle quali non si saprebbe dire facilmente se sia stata ispiratrice una generale linea politica adottata da tutti i partiti comunisti asiatici o piuttosto un'incauta adesione del partito allo stato d'animo esasperato di masse povere
e primitive) contribuirono certamente ad isolare il partito, ad indebolire le forze progressive in India, ivi compreso il gruppo di Nehru, ed ha mettere in difficoltà la politica estera generale del blocco socialista.
Ora comunque quest'atteggiamento é stato completamente rivisto e, al termine di un processo durato parecchi anni, il par tito comunista indiano ha adottato nel suo recente congresso dell'aprile scorso, una linea politica basata sull'attuazione pacifica
e democratica del socialismo, attraverso la conquista della maggioranza parlamentare alla periferia ed al centro. Contemporaneamente esso ha deciso di appoggiare con sempre maggiore energia le misure progressive, lo sforzo di industrializzazione ed i tentativi di aprire in senso socialista la società indiana, pur continuando a denunciare i casi di involuzione conservatrice del
CONSI[...]

[...]r un governo non comunista attuare una politica di trasformazione senza dover ricorrere a quelli co o io,. e c n i._,comunisti c1 carats erizzó l'Europa uscita dalla Resistenza e che poi fu accantonata n ll'E„~ u paa occidentale proprio çöñtemporaneamente alla politica di rinnovaeenfö áperta—dalla Resistenza stessa.
D'altro lato il caso dell'India è nuovo nei rapporti tra il movimento comunista considerato come fenomeno mondiale generale ed uno Stato nazionale particolare. Benché i comunisti indiani siano all'opposizione e comunque esclusi dall'elaborazione attiva della politica del paese, l'URSS ha collaborato dal 1955 in poi con Nehru rafforzandone la posizione e, quali che siano le obiettive conseguenze sociali dello sviluppo in India, l'aiuto sovietico non è mai stato criticato da alcuno come un contributo alle mire del partito comunista indiano, né mai sono risultate particolari « connivenze sovversive » tra l'URSS ed i comunisti indiani. Lo stesso sembra valere per la Cina e, se vi sono stati in India timori e diffidenze verso Pechino, essi si sono sempre concentrati più sull'eventualità di pressioni ed interferenze esterne dello Stato cinese su quello indiano, che su infiltrazioni dell'influenza cinese attraverso i comunisti indiani.
48 ENRICA PISCHE'L
!tra lo Stato sovietico ed uno Stato estero siano sostanzialmente (e non solo formalmente) separati dai rapporti tra il partita comunista dell'URSS ed il partito comunista dello Stato stesso. È proi babile che a determinare questo fatto contribuiscano fino ad un certo punto elementi tattici e come tali non duraturi, tuttavia sembra esservi da parte sovietica una certa considerazione della particolarità dei rapporti con l'India quale principale potenza del mondo afroasiatico. Così pure è certo che l'attacco al neutralismo di Tito non vuole essere da parte sovietica (anche se vi possono essere e vi sono stati riflessi politici negativi da parte di Nehru) un attacco al neutralismo indiano, perché è evidente che la denuncia del « revisionismo » riguarda il movimento jugoslavo [...]

[...]ismo viene consi derato rientrante nel fenomeno dell'antimperialismo dei paesi che furono soggetti a dominazione coloniale. Mentre Tito viene accusato quale transfuga dal blocco dei paesi ad organizzazione socialista, Nehru viene giudicato come un fenomeno « obiettivamente positivo » di incrinazione del mondo borghese, attraverso la lotta anticolonialista. Almeno questa è la situazione finché Nehru non vuole veramente presentare l'India come uno Stato socialista, per quanto « diverso ». Né i comunisti indiani né quelli sovietici o cinesi sembrano, tuttavia, aver mai dato molto peso alle tesi socialiste del Congresso e non ne daranno finché esse non saranno state attuate.
***
Diverso è il processo che caratterizza lo sfaldamento della unità delle compagini nazionalisteborghesi in Indonesia ed in Birmania. La borghesia di questi paesi è stata ed è assai più debole di quella indiana, soprattutto ne è debole il settore capitalistico finanziario. Manca un capitale nazionale privato, mancano i ceti inferiori della borghesia mercantile o commer[...]

[...]ressione sulle masse contadine; infine il settore moderno dell'economia che non é sotto il controllo straniero ha un certo carattere collettivisticostatalista, che sarebbe difficile definire « socialista », anche assumendo il termine nel senso più generico, e che ha invece affinità con un dominio burocratico. A differenza dell'India inoltre lo sforzo di sviluppo in questi paesi non si é ancora avviato in modo deciso e continuo ed in certi casi é stato stroncato sia da quelle forze retrive che ora lo minacciano in India sia dalle interferenze straniere.
Tuttavia l'Indonesia e la Birmania non sono neppure nelle condizioni dei paesi dell'Asia dominati da classi reazionarie, disposte a scendere a qualsiasi compromesso con gli Stati Uniti pur di conservare il loro dominio semifeudale sulla terra o il loro monopolio sul modesto settore di economia moderna. L'attuale gruppo dirigente nei due paesi, quello che ha guidato la lotta per l'indipendenza politica, collaborando con i comunisti fino al 1948 e rompendo poi con essi attraverso una repressi[...]

[...]ica, la conseguente instabilità politica, la mancanza di chiarezza _ sulle soluzioni da dare ai problemi pressanti, il prevalere degli aspetti politici su quelli economici nel processo storico, la priorità al gioco dei partiti, delle frazioni e dei compromessi rispetto al tenace e concreto sforzo
per risolvere le questioni pendenti.
r
f Questo « politicismo » si spiega del resto anche tenendo con
to che la vita politica ed il controllo dello Stato sono per la classe borghese di questi due paesi il mezzo di detenere una. fonte di potere, non soltanto politico ma anche economico. Lo Stato, con le sue strutture semicollettivistiche e burocratiche, il « mezzo di produzione » che questa classe controlla, così come altre borghesie controllano il capitale e le imprese private. Ma proprio sul piano politico si sono recentemente create le diflicol tà per i nazionalisti progressivi indonesiani e birmani: per salvarsi dall'attacco dei loro avversari di destra, che riel caso della.
CONSIDERAZIONI SULLA NUOVA FASE DELLA POLITICA ASIATICA 52
Indonesia sono forze confessionali legate ad interessi particolaristici e semifeudali e nel caso della Birmania sono semplicemente il settore più a[...]

[...]e tali sono le forze della Lega antifascista per la libertà del popolo, nonostante le loro professioni di fede in un socialismo più o meno fabiano). La rottura del gruppo, che fin qui resse la Birmania con un regime che in sostanza potrebbe essere definito di partito unico, é stata consumata soltanto all'inizio di giugno e solo allora, fratturatosi il potere monopolizzato in precedenza dalla Lega e dalla rete delle sue organizzazioni di massa, é stato necessario per i nazionalisti progressivi ricorrere ai voti dei filocomunisti fino allora tenuti al bando. L'aspetto principale della nuova situazione consisterà probabilmente nella definitiva liquidazione della lotta armata infierita dal 1948 in poi tra governo e partito comunista ufficiale, nel ritorno del partito comunista stesso alla legalità e nella sua fusione con le forze filocomuniste rimaste nella legalità ed ora alleatesi con i nazionalisti progressivi.
Questo mutamento nelle posizioni dei comunisti birmani,
54 ENRICA PISCHEL
nonostante la scarsa entità che l'evento riveste rispe[...]

[...]d ora alleatesi con i nazionalisti progressivi.
Questo mutamento nelle posizioni dei comunisti birmani,
54 ENRICA PISCHEL
nonostante la scarsa entità che l'evento riveste rispetto alla situazione mondiale, è il più recente e sintomatico coronamento del processo svoltosi in Asia da Bandung in poi attraverso il prevalere degli sviluppi e degli interessi interni sulle ripercussioni di fatti e situazioni verificatisi fuori dello spazio di ciascun Stato asiatico. La rivolta dei comunisti birmani e la guerra ci vile da essi mossa al regime nazionalista progressivo di . Rangoon non era i atti giustificata dalla situazione interna, né dalla polihca estera del governo birmano: ma rappresentò il tentativo estremo e più irrazionale di risolvere con la violenza e ëonfidandö in~úñ `ä ütö esterno (che nel caso della Birmania 'non fu concesso ai comunisti locali né dell'URSS né della Cina proprio per salvaguardare la loro collaborazione con i neutrali) i problemi sociali ed economici di un paese asiatico e di rompere fa collaborazione tra i Comunisti [...]



da Alberto Caracciolo, A proposito di controllo e democrazia operaia in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]concentrazione, organizzazione, pianificazione di tutti i processi della produzione e della vita sociale, non è forse priva di senso e contraria allo sviluppo storico reale la ricerca di forme di controllo e di gestione sorgenti dal basso? ». Un quesito, come si vede, molto serio, che parte da una corretta valutazione delle tendenze generali dell'economia industriale contemporanea, sia nei paesi capitalistici, sia nei paesi dove il capitalismo è stato abbattuto, ed ha innumerevoli implicazioni sul terreno della scienza economica, della elaborazione giuridica, delle teorie politiche. Ha inoltre radici lontane nelle dispute sul mercantilismo, sulla democrazia, sull'interventismo economico dello Stato, e conseguenze complesse in tutto l'ampio discorso oggi in atto sui problemi di un piano economico centralizzato.
La prima risposta che si potrebbe dare su questo terreno è di ordine puramente ideologico, e come tale non varrebbe conto di menzionarla se non fòsse valida, peraltro, almeno a far riflettere quanti ritengono di dover scegliere le soluzioni politiche sulla base di un criteria di cosiddetta «fedeltà ai principi ». Tale risposta è in sostanza che il socialismo non sarebbe tale se non contenesse precisamente una valorizzazione di tutti gli elementi di autogoverno contra le forme dem[...]

[...]ltava sul piano teorico il sistema in atto come massima espansione di democrazia diretta, egli economisti spiegava, in un famoso scritto, non doversi ricercare la caratteristica del socialismo nella pianificazione, che non ha di per sé alcun significato rivoluzionario. Come ci ammoniva Antonio Gramsci, potere socialista significa anzitutto valorizzazione di tutti gli istituti e le istanze di democrazia dal luogo della produzione al vertice dello Stato. E al limite, troppo dimenticata dai comunisti « ortodossi », sta precisamente la estinzione dello Stato, e una società nella quale, per dirla con Lenin, « tutti avranno imparato ad amministrare ed amministreranno essi stessi la produzione sociale ».
3. Si potrebbe a lungo continuare nella citazione dei luoghi e degli autori in cui l'idea socialista si afferma come massima liberazione delle energie produttive e umane, come sistema nel quale lo Stato, l'esecutivo, la pubblica amministrazione, perdono la loro qualità accentratrice e oppressiva, e si crea il più vero governo di popolo. Ma non faremmo che ripetere cose ovvie, rischieremmo di cadere nella banalità. Non é forse in questa rivendicazione libertaria, del resto, una delle ragioni della grande forza morale acquistata dal movimento operaio in questo secolo di alienazioni e di tirannidi?
Le risposte decisive si devono dare, invece, non sul piano di una interpretazione di idee generalissime, né sul piano di una esegesi di testi. Siamo di fronte a un preciso quesito scientifico, che v[...]

[...]nza almeno una constatazione: che cioé la pianificazione socialista, nel momento stesso della sua evidente efficacia in un sistema di produzione sempre più sociale com'è quello generato dall'industrialismo contemporaneo, è soggetta a degenarazioni qualora non venga accompagnata da un sistema di controlli democratici. In campo marxista, la polemica condotta dai trotskisti contro il cosidetto K centralismo burocratico », contro il « capitalismo di Stato », contra i regimi di apparato, aveva mostrato da qualche decennio una certa sensibilità a questo ordine di problemi. Un paese importante, come la Jugoslavia, ha successivamen
A PROPOSITO DI CONTROLLO E DEMOCRAZIA OPERAIA 83
te sviluppato sul proprio corpo una critica dello stesso genere, rivoluzionando il sistema di pianificazione, i poteri di gestione diretta, i modi di intervento politico della classe operaia. Le più recenti riforme in Unione Sovietica dimostrano se non altro che anche i successi di edificazione economica li registrati durante quarant'anni non eliminano un problema di me[...]

[...]roduzione, bensì quello del soddisfacimento dei bisogni crescenti degli uomini. Perché è anche vero come ricordava Luciano Cafagna in un articolo su Passato e Presente che si può avere talvolta in economia molto « dinamismo », ma « cattivo dinamismo », cioé in definitiva né tecnicamente efficiente né realmente socialista.
4. Analogo, parallelo discorso, può esser fatto, ci sembra, sul terreno degli istituti politici. Si dice che la logica dello Stato moderno sia quella dell'accentramento massimo, in rapporto alle crescenti esigenze della vita associata. Ricorderò fra i tanti uno scrittore francese di un secolo fa, il Dupont White, che affermava perentoriamente: « Le progrés developpe la vie...A' plus de vie il faut plus d'organisations, á plus de force, plus de règle; or, la règle et l'organ d'une société c'est l'Etat ». E utopisti e retrogradi, apparivano fin da allora i critici, pur numerosi, di questo processo, gli esaltatori dell'individualismo contra lo strapotere dello Stato. A
84 ALBERTO CARACCIOLO
maggior ragione sociologi, giur[...]

[...]lla vita associata. Ricorderò fra i tanti uno scrittore francese di un secolo fa, il Dupont White, che affermava perentoriamente: « Le progrés developpe la vie...A' plus de vie il faut plus d'organisations, á plus de force, plus de règle; or, la règle et l'organ d'une société c'est l'Etat ». E utopisti e retrogradi, apparivano fin da allora i critici, pur numerosi, di questo processo, gli esaltatori dell'individualismo contra lo strapotere dello Stato. A
84 ALBERTO CARACCIOLO
maggior ragione sociologi, giuristi, filosofi si trovano oggi a fare i conti con questa problematica: talora accettandolo, più spesso forse deplorandolo, essi sono costretti a riconoscere il crescente accentramento di poteri nelle mani di pochi « tecnici » o burocrati o specialisti della politica.
Ma anche rispetto a questa legge di tendenza emergono nello stesso tempo limiti e contraddizioni. E lasciando stare, per quanto diffuse, le deplorazioni moralistiche, almeno uno di questi limiti vogliamo segnalare, che risiede nella crescente emancipazione delle idee e de[...]

[...]i o specialisti della politica.
Ma anche rispetto a questa legge di tendenza emergono nello stesso tempo limiti e contraddizioni. E lasciando stare, per quanto diffuse, le deplorazioni moralistiche, almeno uno di questi limiti vogliamo segnalare, che risiede nella crescente emancipazione delle idee e delle capacità politiche creata dall'assetto democraticobor ghese e dalle stesse istanze ché la vita industriale moderna comporta. Il centro dello Stato si trova continuamente a fare i conti, proprio nei paesi più evoluti, con le esigenze di autodecisione di strati importanti di cittadini, fino a ieri politicamente e socialmente assenti. Per la classe dirigente il problema del consenso diventa pressante come forse non era mai stato, a causa dell'estensione che deve raggiungere e dei tentativi di autonomia con cui si scontra. E siamo all'immenso sforzo di.propaganda, di orientamento psico logico, di « human relations », di mobilitazione delle idee attraverso ogni forma di scrittura e di spettacolo, di cui l'America ha oggi il primato: sforzo non soltanto odioso, ma probabilmente inetto a controllare la situazione a lunga scadenza, di fronte alla esigenza del cittadino di trovare logica spiegazione ad ogni sviluppo dei fatti nei quali si trovi implicato.
In questo senso hanno ancora posto, dinanzi a un mostro tentacolare[...]

[...]ogico, di « human relations », di mobilitazione delle idee attraverso ogni forma di scrittura e di spettacolo, di cui l'America ha oggi il primato: sforzo non soltanto odioso, ma probabilmente inetto a controllare la situazione a lunga scadenza, di fronte alla esigenza del cittadino di trovare logica spiegazione ad ogni sviluppo dei fatti nei quali si trovi implicato.
In questo senso hanno ancora posto, dinanzi a un mostro tentacolare quai ê lo Stato moderno, istanze di autonomia e di autogoverni, cheparrebbero a tutta prima anacronistiche. Esse diventano anzi, a nostro avviso, una importanteleva rivoluzionaria nei paesi ad alto accentramento politico su base burocraticoparlamentare, tra cui`"l'ffátia stessa. "Nei q taiirc"tanto più facilmente strati so áTf diiftusi partecipano alla rivolta contro il sistema, quanto piú questa si presenta non come portatrice di possibili nuove deleghe di potere, bensì come apertura di una età di massima espasione civile: di una eta, per dirla con una espressione che ha ormai molto corso, la quale dia luog[...]

[...]vimento operaio. E qui ci limiteremo a richiamare la attenzione su alcuni istituti e momenti non ancora lontani alla nostra esperienza.
Cose molto importanti ci può dire per esempio la Resistenza antifascista e l'esperienza dei Comitati di liberazione dove, malgrado le interpretazioni strumentali e « diplomatiche » talvolta date dai partiti, si esprime un momento di eccezionale capacità creativa di popolo. In essa la rofonditá della crisi dello Stato pone all'or
dine del giorno edificazione di un sistema originale, d iverso da
un semplice ritorno al prefascismo. L'apporto unitario di masse ingenti, al di là delle divisioni di colore politico, si fa suscitatore di forme di democrazia diretta. Persino le forti inclinazioni alla partitocrazia in senso stalinista, presenti specialmente tra i comu
88 ALBERTO CARACCIOLO
nisti, di fronte alla magnifica espansione popolare si sperdono in gran parte, se non a Salerno e a Roma, certo nel vivo della battaglia partigiana.
Non ci interessa qui tanto il problema della solidarietà fra i partiti ant[...]

[...]ia tradizionale, largito dall'alto ed estraneo alle esigenze di autogoverno espresse dalla lotta armata, che
A PROPOSITO DI CONTROLLO E DEMOCRAZIA OPERAIA 89
si vede proporre da Roma. La polemica delle « cinque lettere » fra i partiti del CLNAI, nell'inverno 194445, ci dà il senso di quanto una simile spinta dal basso si facesse sentire in tutte le formazioni socialiste. Fú primo il Partito d'Azione a lanciare il richiamo alla creazione di uno Stato nuovo, retto su istituti nati non da rapporti fra partiti, ma dalla democrazia diretta. Il Partito comunista si mostrò sensibile a queste idee, respingendo la possibilità di prolungare una sorta di « monopolio dei partiti » sui C.L.N. E i socialisti poterono egualmente far valere, su questo terreno, le loro tradizionali posizioni non conformiste. Ognuno avvertiva di non godere di « deleghe » permanenti, ma doversi fondare sul consenso e il controllo ininterrotto delle grandi masse: di dover rispondere al genuino spirito della resistenza.
8. Ancora di li, da quello spirito e da quella realtà,[...]

[...]arsi di una ripresa. I Consigli di gestione si trovarono di conseguenza risospinti ad una prevalente azione di vigilanza sugli interessi della maestranza, o di rappresentanza della volontà politica dei lavoratori di fronte al potere industriale, confondendosi con gli altri organismi di fabbrica: sindacato, cellula, commissione interna. E si trovarono poi indeboliti e disorientati quando l'economia cominciò a ristabilire la propria dinamica, e lo Stato apparve rinsaldato, fuori della fabbrica, nelle sue strutture tradizionali.
I partiti, anche quelli di sinistra, non mostravano malta attenzione verso il movimento, tutto concentrando in altri settori e in altre battaglie. Il principio estremo dell'autogestione, del quale del resto è lecito discutere il significato in una fase di permanenza della proprietà privata dei mezzi di produzione, era affermato quasi soltanto dal Partito d'Azione, debole fra gli operai, e da Lelio Basso sulla rivista « Socialismo ». I'l Partito comunista oscillava fra una concezione tecnicistica ed una più estesament[...]

[...]Saraceno al congresso del 1946 — è per noi principalmente l'organo di base, l'organo periferico del controllo democratico della produzione. Ma un controllo periferico presuppone necessariamente un controllo centrale, un'economia regolata, un minima di pianificazione. Dobbiamo quindi concepire i Consigli di gestione come organi di sburocratizzazione periferica contro i pe
A PROPOSITO DI CONTROLLO E DEMOCRAZIA OPERAIA 91
ricoli del socialismo di Stato, burocratico e centralizzato e in sostanza antidemocratico ».
La situazione spinse i Consigli, piuttosto che a diventare organi di sburocratizzazione, a burocratizzarsi essi stessi. Una seria responsabilità hanno in questo i partiti, e in primo luogo il Partita comunista, incline a considerarli più che altro come strumento accessorio di un'azione che si sarebbe decisa senza toccare la fabbrica, in sede politicoparlamentare o di generali movimenti di masse. Il colpo di grazia, come si ricorderà, fu dato al momento del « Fronte democraticopopolare » del 1948. I Consigli di gestione vennero con[...]



da La barbarie prussiana nel giudizio di Marx ed Engels in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 2 - luglio

Brano: [...]desca, il popolo è caduto sotto l' influenza e sotto il potere della reazione'? Perchè i problemi nazionali decisivi per la Germania sono stati così spesso decisi dalla reazione contro gli interessi del popolo tedesco, e non dagli elementi progressivi della società e a favore del popolo stesso? La risposta a questa domanda assume un interesse particolare nel momento presente, in cui l' hiderismo ha risuscitato quanto di più odioso ed infame vi è stato nella storia della Germania, ha fatto propri e spinto all'estremo i tratti più reazionari del prussianesimo e dato libero corso agli istinti più feroci della cricca militare tedesca. Ed è per noi particolarmente interessante trovare questa risposta negli scritti di Marx e di Engels, i quali non soltanto hanno sempre flagellato spietatamente tutte le manifestazioni del prussianismo reazionario, ma ne hanno messo a nudo le origini, indicando la via originale e contraddittoria della evoluzione storica della Germania.
Particolaritá dello sviluppo
storico della Germania
Sin dall' inizio della s[...]

[...]el 1848, nel corso della unificazione nazionale, le classi reazionarie finirono sempre per avere il sopravvento. E per quali motivi ? Mentre gli altri paesi dell'Europa oce'i dentale si erano impegnati da tempo sulla via dello sviluppò capitalistico e della formazione di Stati borghesi moderni, la Germania rimaneva un paese nazionalmente diviso ed economicamente arretrato. Nelle sue note sulla storia della Germania tra il
L II presente studio è stato fatto servendosi di scritti di Marx ed Engels per la maggior parte inediti, custoditi negli archivi dell'Istituto MarxEngelsLenin di Mosca. II confronto 'tra la ricchezza e profondità dell'analisi storica dei due grandi fondatori del marxismo scientifico e la banalità grandiloquente delle considerazioni che dedicano allo stesso tema i pontefici della scuola idealistico nostrana non mancherà di essere istruttivo. N. d. R.
K. MARX e F. ENGELs, Opere complete, Sezione 1 vol. 1°, parte 1 , pag. 608609.
1500 e il 17.89 Engels scriveva : c La Germania si viene sempre più spezzettando e il suo cen[...]

[...]aesi, ad alcune forme insignificanti da una borghesia potente e ricca, concentrata in grandi città
e specialmente nella capitale, la nobiltà feudale in Germania aveva conservato una grande parte dei suoi vecchi privilegi. Il sistema terriero feudale dominava quasi dappertutto s z
A questo spezzettamento degli interessi economici, all'assenza di grandi centri economici e alla debolezza politica della borghesia corrispose lo sbriciolamento dello Stato, l'esistenza di numerosi piccoli Stati e principati, che formavano un solo c impero solo in apparenza. E d'altra parte c da che parte avrebbe potuto venire., — domanda Marx, — la concentrazione politica in un paese in cui tutte le condizioni economiche di questa concentrazione facevano difetto ? s 8. Ma questo spezzettamento economico e politico del paese impedì lo sviluppo' dei movimenti di massa, dei movimenti sociali delle classi progressive.
Il carattere reazionario degli Stati tedeschi venne ancora accentuato dalla forma originale che rivestì in Germania l'assolutismo. Mentre in Inghilt[...]

[...]oncentrazione facevano difetto ? s 8. Ma questo spezzettamento economico e politico del paese impedì lo sviluppo' dei movimenti di massa, dei movimenti sociali delle classi progressive.
Il carattere reazionario degli Stati tedeschi venne ancora accentuato dalla forma originale che rivestì in Germania l'assolutismo. Mentre in Inghilterra
e in Francia la monarchia assoluta aveva una funzione centralizzatrice, e contribuiva alla formazione di uno Stato nazionale unitario e al progresso borghese, l'assolutismo degenerava in Germania in puro despotismo. I principi tedeschi, governanti di Stati piccoli o nani, fecero una politica che rifletteva gli interessi di classi reazionarie. Estraneo ad ogni compito progressivo di interesse nazionale, l'assolutismo diventò una tirannide che soffocò ogni manifestazione di iniziativa e di attività delle masse, una tutela meschina e ringhiosa che incatenò le forze vive del popolo. Esso creò una burocrazia estesissima di funzionari, il cui potere sulla vita della nazione venne sempre più aumentando. Sorse c[...]

[...]gio e la violenza furono per i lanzichenecchi tedeschi metodi ordinari di guerra, del tutto legali, costituenti una specie di retribuzione supplementare dei loro servizi, e i signori tedeschi li incoraggiavano a questi misfatti, vedendo in essi un mezzo di migliorare la loro situazione finanziaria. Il sistema finì per penetrare di sè il militarismo tedesco, il quale si è fatto nei secoli una triste faina per i mostruosi atti di barbarie di cui è stato l autore. L' odierno vandalismo degli eserciti hitleriani ha fatto rivivere i lineamenti più odiosi e repugnanti dei lanzi dell'età media, esagerandone ancora la crudeltà e le infamie.
La disfatta del popolo tedesco nella guerra dei contadini e la devastazione del paese nella guerra dei trent' anni tolsero per secoli ogni energia ri
K. MARX e F. ENGEis, Etudes philosophiques, p. 65. Paris 1935.
s F. ENGEIS. Note varie sulla Germania.
3 La nuova enciclopedia americana, Vol. IX, 1860 a Fan
teria >, pag. 5.18. voluzionaria al popolo tedesco. La guerra dei trent' anni c finì per cancellare p[...]

[...]tta del popolo nel primo suo tentativo di assolvere una funzione nazionale determinò in gran parte il carattere dello sviluppo ulteriore della Germania. La Prussia, uno degli Stati tedeschi più reazionari, diventò uno dei principali appoggi di tutta la reazione tedesca, l'inesrnazione di essa, ed è nella sua itoria che devono essere cercati i motivi della preponderanza delle classi reazionarie in tutta la successiva storia tedesca.
La Prussia : Stato reazionario
La guerra dei trent'anni aveva reso ancora più deboli i legami che univano i numerosi piccoli principati tedeschi. < Ognuno di questi mille principi era un monarca assoluto; da questi farabutti grossolani e ignoranti non ci si poteva attendere nessuna azione comune, ma solo dei capricci a sazietà... Il più infame dei loro delitti, però, era il fatto stesso della loro esistenza s °. Questo stato di sfacelo e di caos fu oltre ogni dire favorevole alla elevazione del reame prussiano brandeburghese. I principi prussiani, — gli Hohenzollern, — invece di portare un elemento di unità e di ordine nel caos tedesco, lo sfruttarono e sfruttarono nel loro interesse l'impotenza degli altri Stati tedeschi. c Ormai,—scriveva Marx,—questo Stato che non fa parte della Germania, (perchè tale è la Prussia nelle mani degli Hohenzollern), serve agli Hohenzollern come punto di appoggio per le loro usurpazioni nella Germania stessa s `. La Prussia, originariamente regione non tedesca, era infatti stata il campo d'azione dei Cavalieri dell' Ordine teutonico, chè vi avevano condotto delle guerre di sterminio contro la popolazione indigena, tanto che c alla fine del secolo XIII questo paese fiorente non era più che un deserto; al posto dei villaggi e dei campi non vi erano più che foreste e paludi ; e quanto agli abitanti, in parte erano stat[...]

[...]s, .peg. 113.
Ernst, 5 giugno 1890.
Germania.
Russia.
Quaderno primo.
12 LA RINASCITA
rono di estendere la loro espansione verso la Russia, fino a che, nel 1242, per opera di S. Alessandro Nievskii c questi mascalzoni vennero respinti al di là della frontiera russa ) (Marx), e in seguito, nel secolo XV, . schiacciati dai popoli slavi e dai lituani a Grünwald.
In seguito a queste sconfitte storiche dell'Ordine teutonico la Prussia' diventò Stato vassallo della Polonia ; i principi del Brandeburgo prestarono giuramento di fedeltà ai re polacchi, preparando però in pari tempo il distacco della Prussia per annetterla ai domini degli Hohenzollern. c E, unicamente corrompendo dei polacchi traditori della loro patria, sfruttando i favori di re polacchi e in qualità di rassalli della repubblica polacca a cui avevano prestato giuramento di vassallaggio che i principi del Brandeburgo hanno potuto impadronirsi del ducato di Prussia. In questo modo è nato il feudo BrandeburgoPrussia ! ,.In uno scritto inedito intitolato : < 1 prussiani (le canafilie) , Marx smaschera e bolla il sistema di intrighi, di astuzie e di perfidie col quale gli Hohenzollern arrivarono ai loro fini. Nel 1648 il principe di Brandeburgo Federico Guglielmo sostenne Gian Casimiro per l' elezione al trono polacco ; in cambio la Prussia venne liberata da Gian Casimiro del legame di vassallaggio alla Polonia e passata al principe di Brandeburgo. Ciò[...]

[...]non fu la storia della formazione di una nazione, perche questo paese, sorto come colonia militare, conservò questo carattere per tutto il corso del suo sviluppo. La nobiltà prus
siana, casta militare di c alta nascita obbligava i
suoi contadini a servir nell'esercito pur continuando a sfruttarli col sistema feudale, e non di altro si preoccupava che di far ricadere sui contadini stessi i fardelli fiscali e le spese della macchina militare. Lo Stato dava a questa casta un potere illimitato sui contadini, mentre l' accrescimento dell'esercito contribuiva a renderli sempre più forti. Fu questa casta che, per avere un esercito di soldati docili, senz'anima, ciechi esecutori di qualsiasi ordine, introdusse nell'esercito. reclutato tra le masse di straccioni prodotte dalle stesse guerre devastatrici, il sistema del bastone. Appoggiandosi su questo esercito e su questi ufficiali, e su uno Stato specifica
K. M.+Rx, Polonia, Prussia e Russia..
X Neue Rheinische Zeitung, n. 294. 10 maggio 1849.
3 K. MARX e F. ENGt:Is, Opere complete, parte 1. , vol. IV,
p. 487. mente militare, gli Hohenzollern furono in grado di attuare la loro politica di conquiste diretta principalmente contro la Germania stessa.
< Il piccolo margravio, — diceva Marx di Federico Guglielmo I,—che cercava di accrescere e consolidare il suo potere indipendentemente dalla Stato tedesco e contro di esso. non poteva agire come una dinastia alla testa di una nazione, allo stesso modo di un re di Francia o d'Inghilterra[...]

[...]cifica
K. M.+Rx, Polonia, Prussia e Russia..
X Neue Rheinische Zeitung, n. 294. 10 maggio 1849.
3 K. MARX e F. ENGt:Is, Opere complete, parte 1. , vol. IV,
p. 487. mente militare, gli Hohenzollern furono in grado di attuare la loro politica di conquiste diretta principalmente contro la Germania stessa.
< Il piccolo margravio, — diceva Marx di Federico Guglielmo I,—che cercava di accrescere e consolidare il suo potere indipendentemente dalla Stato tedesco e contro di esso. non poteva agire come una dinastia alla testa di una nazione, allo stesso modo di un re di Francia o d'Inghilterra. Per arrivare ai suoi fini doveva aver ricorso a ogni sorta di astuzie, e anche quando gli interessi brandeburghesi coincidevano con gli interessi tedeschi, essi. erano sempre 'applicati da un punto di vista strettamente brandeburghese e 'non tedesco, con dei mezzi brandeburghesi e non tedeschi e, di conseguenza, in modo tale che, qualunque fossero i vantaggi locali, recava pregiudizio agli interessi veri, generali e permanenti della Germania x `. La ste[...]

[...]tta contro questo paese
e ricevendone in cambio Thorn, Danzica e Posen. La germanizzazione di questi paesi si fece coi metodi tradizionali degli Hohenzollern. c La paterna benevolenza prussiana per i polacchi si manifestò prima di tutto con la confisca dei beni della corona e del clero... Avventurieri, favóriti delle amanti del re, creature di ministri, complici da tacitare vennero gratificati dei più ricchi e considerevoli domini del paese devastato. Così si impiantarono gli cinteressi tedeschi > e la c proprietà fondiaria tedesca predominante tra i polacchi . Infine, nel 1795, un nuovo pezzo di Polonia venne attribuito ai prussiani. c Così, scrive Marx, — lo Stato prussiano deve la sua esistenza alla decadenza della Polonia
e al tradimento di questo paese da parte degli Hohenzollern, che fino ad oggi nutrono contro di esso un odio inestinguibile di rinnegati » °..E nell'articolo c I prussiani (le canaglie) , aggiunge: (Le eccezionali bassezze della Prussia verso la Polonia derivano dal fatto che la Prussia è un servo' di ventato padrone, e non può cancellare il ricordo del sub vecchio, stato se non con la bassezza ,.
In pari tempo Marx sottolinea con forza che i veri interessi della Germania nei confronti della Polonia non possono in nessun modo essere identificati con gli interessi da predoni degli Hohenzollern. c La Germania non è la Prussia e la Prussia non è la Germania. Prussia è soltanto un appellativo diverso del dominio della casa di Hohenzol, lern sopra un amalgama di regioni tedesche e polacche, ed è facile comprendere che le condizioni sotto le quali la casa degli Hohenzollern mantiene soggetta una parte della Germania e della Polonia non sono per niente le condizion[...]

[...]una Germania indipendente e potente , °.
1 Schizzo di articolo sulla Polonia (1863). ! K. MARI, I prussiani (le canaglie).
J Schizzo di articolo sulla Polonia (1863).
Neue Rheinische Zeitunt, n. 285, 29 aprile 1849. a Schizzo di articolo sulla Polonia (1863).
K. MARC, Polonia, Prussia e Russia.
Queste parole di Marx possono servire di epigrafe a tutta la storia della Prussia. L'avvento della Prussia non fu il processo di formazione di uno Stato nazionale, il processo di consolidamento di un popolo per risolvere i problemi della nazione; esso fu unicamente il processo di consolidamento della dinastia degli Hohenzollern ai danni del popolo tedesco e a prezzo di ogni sorta di meschinerie, bassezze e intrighi. c Piccole truffe, corruzione, subornazione diretta, corsa alle eredità,—scrive Marx,—è a queste cose abominevoli che si riduce la storia prussiana. Tutto ciò che vi è di inxeressante nella storia feudale,—conflitti tra sovrani e vassalli, mercanteggiamenti con le città, ecc ,—tutto ciò si presenta qui in forma grottesca e caricatu[...]

[...]orma grottesca e caricaturale, perchè le città sono delle più fastidiose, i feudali dei mi serabili mascalzoni, e il sovrano stesso una nullità... Oltre a ciò, nella lista dei governanti non si trovano che tre tipi caratteristici, i quali si succedono come la. notte al giorno, con delle irregolarità che riguardano 1' ordine di successione, ma non riguardano mai l'apparizione di un tipo nuovo: bigotto, caporale e buffone. Ciò che ha permesso allo Stato di mantenersi è stata la mediocrità, una contabilità molto esatta, nessun estremo, la puntualità..nell' applicazione dei regolamenti militari, una certa bassezza di carattere coltivata in casa e c gli statuti della chiesa >,. C'est dégoûtant .
Reazionario di sua natura, lo Stato prussiano.fu naturalmente una forza di_ repressione non solo in Germania, ma verso tutti i movimenti progressivi europei.
(Continua)
K MARX e F. ENGELS, Opere complete, parte 3", vol. II, p. 158.



da Luigi Salvatorelli, L'azione cattolica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: L'AZIONE CATTOLICA
Pio XI é stato chiamato il Papa dell'Azione cattolica, ch'egli diceva « pupilla dei suoi occhi ». Acquista, dunque, un valore particolare la definizione che di essa egli ebbe a dare: «la partecipazione dei laici all'apostolato gerarchico della Chiesa » Questa definizione il pontefice riteneva di averla formulata «non senza divina ispirazione»; e precisò di essersi ispirato «ai testi della Sacra Scrittura », cioè a un passo dell'epistola di San Paolo ai Filippesi (IV, 3): «aiuta quelle che lavorano con me nel Vangelo ». Come si vede, San Paolo parlava di donne. La partecipazione dei laici all'apostolato si e[...]

[...]sta » laico, dunque, particolarmente portato (si doveva credere) a metter l'accento sull'attività «temporale» dell'Azione cattolica. Egli disse che l'apostolato laico postula la instaurazione di un ordine sociale rispondente alle esigenze cristiane. Questo nuovo ordine tanto più si sarebbe potuto dire cristiano quanto maggiormente riuscisse a promuovere, nella giustizia, il bene degli individui e della collettività.
Credo, dunque, di non essere stato interprete infedele di queste affermazioni del cardinal Caggiano e del signor Flory — e più in generale dello spirito dominante nel congresso allorquando, nella Stampa del 14 ottobre 1951, scrissi che da queste affermazioni l'ordine sociale cristiano appariva tt non come costruzione,
L'AZIONE CATTOLICA 87
dal di fuori e dall'alto, di forze confessionali, ma come il prodotto organico di una società penetrata dello spirito cristiano ». Seguitavo: «Una concezione simile non richiede, anzi esclude, politiche confessionali, privilegi ecclesiastici, invocazioni o aspirazioni verso un «braccio se[...]

[...]i tc laica » impugnata dal Pontefice: in quanto che precisamente quel «prender rango» del laicato successe a un'attività più varia, più disordinata se si vuole, ma anche più libera, del popolo cristiano nelle età anteriori.
Ma dove il pontefice entrò nel vivo dell'argomento, e individuò efficacemente uno svolgimento fondamentale per il cattalicismá, fu nel tratto seguente. Prima della rivoluzione francese — disse Pio XII — esisteva fra Chiesa e Stato una stretta unione, sul terreno comune della vita pubblica. Grazie a ciò, e alla generale atmosfera cristiana risultante, non occorreva allora tutto il lavoro odierno del clero e dei laici per la salvaguardia e il valore pratico della fede. Alla fine del secolo XVIII, la costituzione degli Stati Uniti d'America e la rivoluzione francese concorsero, per vie diverse, a porre fra Chiesa e Stato un distacco che — anche quando non ha portato a un regime istituzionalmente separatistico —, ha posto la Chiesa nella necessità di «provvedere con mezzi propri ad assicurare la sua azione, l'adempimento della sua missione, la difesa dei suoi diritti e della sua libertà ». Questa fu l'origine di quelli che si chiamano i movimenti cattolici, i quali, sotto la condotta di preti e di laici, trascinano, con la forza dei loro effettivi compatti e della loro fedeltà sincera, la gran massa dei credenti al combattimento e alla vittoria.
Il tracciato storico é esatto: la prospettiva ricavatane dal Pon[...]

[...]tica... Sul terreno politico si dibattono e si dettano le leggi di più alta portata, come quelle riguardanti il matrimonio, la famiglia, il fan ciullo, la scuola... Possono esse lasciare indifferente, apatico, un apostolo? ». E qui, richiamando dichiarazioni sue precedenti, Pio XI giunge ad affermare che pur non dovendo entrare l'A. C. nella lizza dei partiti, « sarebbe biasimevole di lasciare libero il campo, per la direzione degli affari dello stato, agli indegni e agli incapaci D.
Qui, evidentemente, siamo al di là — molto al di là — di quelle idee di influenza consequenziale, di penetrazione morale, per la modificazione in meglio e la trasformazione della società civile e politica, di cui abbiamo inteso parlare al Congresso. All'efficacia indiretta, al risultato obbiettivo terreno dell'opera soprannaturale — il « soprappiù "» data, secondo il Vangelo, a chi cerca il regno di Dio — subentra qui l'azione diretta, il proposito preventivo, 1'« interventismo» politicosociale; anche se, prudentemente, il pontefice aggiunge che «é difficile [...]

[...]tta, il proposito preventivo, 1'« interventismo» politicosociale; anche se, prudentemente, il pontefice aggiunge che «é difficile formulare su questo punto una regala uniforme per tutti ».
Questi ammonimenti del pontefice sui pericoli di ogni concezione (( puramente religiosa » dell'Azione cattolica, non erano sulla
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sua bocca cosa nuova. Già quattro anni innnanzi, per due volte nel corso di otto mesi, Pio XII aveva manifestato la stessa preoccupazione. Parlando il 22 gennaio 1947 ad alcune centinaia di signore e signorine aderenti ai gruppi di « rinascita cristiana» — un movimento o una organizzazione cattolica italiana di cui non ci é accaduto in seguito di sentir menzione — egli aveva affermato risolutamente che «il voler tirare una netta linea di separazione tra religione e vita, tra soprannaturale e naturale, tra Chiesa e mondo, come se non avessero nulla a che fare tra loro, come se i diritti di Dio non avessero valore in tutta la multiforme realtà della vita quotidiana, umana e sociale, é completamente alieno[...]

[...]ili affermazioni di papa Pacelli sono sulla linea tradizionale del cattolicismo romano (per quello grecoortodosso é un altro affare: e ciò spiega la facilità con cui la Chiesa russa ha fatto pace e alleanza col governo sovietico). All'indomani dei patti lateranensi io ebbi ad avvertire (cito da La Chiesa e il Mondo, Roma, 1948, p. 163 s.) « i termini errati nei quali é posto generalmente il problema delle relazioni fra la Chiesa (Cattolica) e lo Stato. Quasi tutti (comprendendo in questi «tutti» anche gli specialisti) sono ipnotizzati dalla visione di due entità di natura non soltanto diversa, ma opposta. La coppia Chiesa Stato viene identificata con quelle religionepolitica, coscienza intima e legge, spirito e materia. Ma la Chiesa cattolica romana ha ricusato sempre, e continua oggi a ricusare più energicamente che mai, di essere considerata come spirito puro; essa crede che questa condizione angelica convenga al mondo celeste, ma non a quello di quaggiù; essa vuol essere un'organizzazione materiale, giuridica, né più né meno dello Stato, mentre al tempo stesso si presenta come l'unica depositaria autorizzata del così eroicamente antigiu ridico Discorso della Montagna ».
Abbiamo inteso Pio XII ricollegare l'Azione cattolica al Regno di Cristo. In ciò egli continuava direttamente Pio XI, il quale precisamente aveva concepito l'Azione cattolica, da lui riorganizzata, come lo strumento di attuazione della regalità di Cristo e del supremo governo della Chiesa sulla società cristiana. La «regalità di Cristo» é stata una delle iniziative più caratteristiche di papa Ratti: non già ch'egli inventasse l'idea, ma fu lui a trarla in lu[...]

[...]ni, e in particolar modo dato il carattere del pontificato romano. Significa invece, quella distinzione, che il papa religioso si comporterà, toccando il terreno dei rapporti con l'autorità civile, in modo diverso dal papa o politico ». La diversità potrà anche sboccare in una maggiore decisione, in una più spiccata intransigenza, in una «totalitarietà ». Ci potrà essere, sotto il papa «religioso », maggiore probabilità di conflitto fra Chiesa e Stato; e, ove i conflitti manchino, una preparazione bellicosa per i conflitti futuri. Con il pontificato di Pio X ci fu l'uno e l'altro: i contrasti con la. Francia, con la Spagna, con la Germania: ,e l'affermazione più risoluta che mai, in fatto e in diritto, del potere assoluto papale, così da potersi parlare di rinnovate impostazioni teocratiche. Ricordiamo le parole rivolte ai pellegrini francesi nel 1909: «Chi si ribella all'autorità della Chiesa, sotto l'ingiusto pretesto che essa invade i termini dello Stato, impone dei termini alla verità. La Chiesa domina il mondo perché é la sposa di Ges[...]

[...] i conflitti futuri. Con il pontificato di Pio X ci fu l'uno e l'altro: i contrasti con la. Francia, con la Spagna, con la Germania: ,e l'affermazione più risoluta che mai, in fatto e in diritto, del potere assoluto papale, così da potersi parlare di rinnovate impostazioni teocratiche. Ricordiamo le parole rivolte ai pellegrini francesi nel 1909: «Chi si ribella all'autorità della Chiesa, sotto l'ingiusto pretesto che essa invade i termini dello Stato, impone dei termini alla verità. La Chiesa domina il mondo perché é la sposa di Gesù Cristo ». Come si vede, Pio X anticipa qui la dottrina di Pio XI sulla regalità di Cristo esercitantesi attraverso la Chiesa.
Pio X è una figura estremamente interessante, e l'opera sua di pontefice fu di grande importanza, non soltanto per la Chiesa. La figura attende ancora chi la ritragga «in piedi », come l'opera non ha ancora avuto il suo storico. Leone XIII aveva mirato a
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rimettere in contatto la Chiesa col mondo mediante un'opera paziente e pieghevole di adattamento; aveva volu[...]

[...]prendere
al papato la partecipazione — egli, anzi, aveva sognato: la dire zione — nella vita internazionale. Pio X fece opera tutta contraria: lavorò a concentrare, a raccogliere in se stesso, ad isolare (potremmo dire) il cattolicesimo. Concentration et défense catholiques: con queste parole fu esattamente definita l'opera sua.
A Leone XIII non meno che a Pio XI spetterebbe il titolo di papa dell'Azione Cattolica. Potremmo dire che il primo é stato il fondatore, il secondo il restauratore (e il terzo, papa Pacelli, il trasformatore). L'« Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici rappresenta la prima organizzazione dell'Azione cattolica: si può in proposito consultare con profitto il libro del De Rosa, presso Laterza, L'Azione cattolica. Storia politica dal 1874 al 1904. L'a Opera dei Congressi » rispondeva piuttosto al principio, vigorosamente riaffermato adesso da Pio XII, dell'espansione della Chiesa dal santuario nel mondo civile, che non a quello dell'« apostolato laico» quale abbiamo visto predominare nel congresso omonimo. L'a [...]

[...]ociale e in quello amministrativo, permessi e anzi additati ai cattolici dallo stesso pontefice che teneva in piedi rigorosamente il « non expedit» per le elezioni politiche.
Alla fine del pontificato di Leone XIII intervenne a compli care le cose la democrazia cristiana, alla cui avanguardia era Don Romolo Murri. Partendo da principi teocratici, Murri arrivava alla democrazia sociale, che la Chiesa avrebbe dovuto far sua rivolgendola contro lo stato liberalelaico. L'urto con la direzione (Paganuzzi) della vecchia « Opera » fu fortissimo; ma Leone XIII riuscì ancora a cavarsela, prima di scomparire, con il suo metodo di dare o un colpo al cerchio e uno alla botte ». Un metodo simile era inconcepibile per Papa Sarto, e per il suo alto consigliere ed esecutore, Merry del Val. Di fronte alla penetrazione democristiana nell'o Opera », largamente effettuatasi sotto il successore di Paganuzzi, il Grosoli, Papa e Segretario di Stato impugnarono la
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spada recidente i nodi gordiani. L'Opera dei Congressi nel luglio 1904 fu s[...]

[...]direzione (Paganuzzi) della vecchia « Opera » fu fortissimo; ma Leone XIII riuscì ancora a cavarsela, prima di scomparire, con il suo metodo di dare o un colpo al cerchio e uno alla botte ». Un metodo simile era inconcepibile per Papa Sarto, e per il suo alto consigliere ed esecutore, Merry del Val. Di fronte alla penetrazione democristiana nell'o Opera », largamente effettuatasi sotto il successore di Paganuzzi, il Grosoli, Papa e Segretario di Stato impugnarono la
L'AZIONE CATTOLICA 95
spada recidente i nodi gordiani. L'Opera dei Congressi nel luglio 1904 fu sciolta, e sostituita da tre organizzazioni separate, facenti tutte capo direttamente alla Curia romana e da essa rigidamente controllate; Unione popolare (aspirante a imitare il « Volksverein della Germania cattolica); Unione economicosociale; Unione elettorale cattolica. Guardando alla situazione di oggi, potremmo dire che alle tre corrispondono rispettivamente l'Azione cattolica propriamente detta, le ACLI, i Comitati civici.
Il concetto direttivo della demolizione e ricostruzi[...]

[...]ttolici ». La situazione cambia con Pio XI, concorrendovi in uguale o disuguale misura le tendenze del nuovo pontefice e gli avvenimenti politici italiani.
Pio XI, per mentalità e per carattere, aveva più di una affinità con Pio X; era tuttavia più «politico» e più colto di lui, e soprattutto al posto del pessimismo «contrattile» di papa Sarto portava un ottimistico espansionismo: rassomigliando piuttosto, per questo lato, a Leone XIII. Un tale stato di spirito ci sembra di ritrovare nella sua enciclica sulla Regalità di Cristo, che era potenzialmente (come si é accennato) tutto un programma di politica ecclesiastica.
Se per Benedetto XV l'Azione cattolica doveva mantenersi
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nettamente distinta dal P.P., ma senza nessuna, ostilità, per Pio XI questo partito sembra aver fatto figura di «terzo incomodo ». Gli interessi cristiani, l'espansione cattolica dovevano essere tutelati e promossi dall'Azione cattolica, cioè dalla Santa Sede e dall'episco pato, e da questi soltanto. I concorsi necessari sul terreno politico pr[...]

[...]erra, avviata e impiantata la riorganizzazione del paese, la scena cambia. Nel gennaio '46 una commissione episcopale, con a capo il patriarca di Venezia, card. Piazza, viene nominata dal Santo Padre per una nuova revisione degli statuti, che possiamo dire in senso inverso di quella del '39. Una circolare della Direzione generale del 14 aprile 1946 indica una serie di postulati dell'A.C. in rapporto con la preannunciata nuova co stituzione dello stato italiano: la posizione del cattolicismo nella nazione, le relazioni fra Chiesa e Stato, la famiglia e la scuola, la politica sociale, quella internazionale, formano la materia di questi postulati. E alla fine si avverte che nella gara dei program
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mi politici «é doveroso dare la preferenza alla corrente che per il contenuto del suo programma e per le persone che lo sostengono offre le migliori garanzie di attuare una costituzione coerente con i principi cattolici ». Era con ciò stabilito il rapporto di appoggio e di controllo fra A.C. e D.C.
Il 12 ottobre 1946 — istituita già la repubblica, eletta ed entrata in funzione la Costituente — Pio XII nominò l[...]

[...]sieme il corpo unitario dell'A.C. italiana, mantennero anche sotto Pio XII (se non andiamo errati), e anche dopo la riorganizzazione ultima del 1946, un grado notevole di autonomia (ciò vale ancora di p,iù per la A.C. degli altri paesi, come si è già accennato). La Presidenza Generale,. cioè, sotto il Veronese, si poteva ancora considerare un organo di collegamento e coordinamento superiori, piuttosto che di suprema direzione autoritaria. Questo stato di cose appare notevolmente cambiato da quando al Veronese è successo, al principio del 1952, il Gedda. Il cambiamento avvenne, come si vede, appena qualche mese dopo il Congresso internazionale dell'Apostolato laico su cui ci siamo fermati al principio di quello studio. Mostrammo già una certa differenza di orientamento fra il Congresso medesimo (o almeno la sua maggioranza) e il discorso del Pontefice nell'udienza finale ai congressisti. Il Gedda dovette esser giudicato dal pontefice più vicino del Veronese alla sua propria concezione, più adatto di lui ad incarnarla: e probabilmente tale g[...]

[...] conosciamo con esattezza la situazione di diritto, sempre per quella certa « ombra » dopo il primo
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turno delle amministrative, censurando aspramente la « crisirimpasto» del luglio 1951, affermò: «I Comitati Civici non sono un partito e tutti lo sanno. Ma sono un'associazione di attività politica che hanno il diritto di esprimersi sui fenomeni che avvengono nel settore civico ». Tale diritto, seguitava il Gedda, sarebbe stato esercitato in futuro più di quel che fosse stato in passato, perché di veniva sempre più un dovere. Era il programma esplicito di un superpartito politico confessionale.
Questa manifestazione del Gedda — divenuto solo pochi mesi dopo capo dell'A.C. — e quanto l'ha seguita fino ad oggi nel campo di Azione cattolica, rappresentano attualmente la fase acuta di due questioni politicoreligiose fondamentali. Con la loro formulazione termineremo, avvertendo che si tratta di questioni permanenti, là dove il cattolicismo é la religione predominante: e cioè, non solubili in maniera definitiva, e che a nulla servirebbe affrontare con semplici espedie[...]

[...] Con la loro formulazione termineremo, avvertendo che si tratta di questioni permanenti, là dove il cattolicismo é la religione predominante: e cioè, non solubili in maniera definitiva, e che a nulla servirebbe affrontare con semplici espedienti, giuridici, o esaminare con disposizioni di spirito iconoclastiche, anche se di fronte a una di esse la società civile non possa adottare la politica dello struzzo.
La prima è quella delle relazioni fra Stato e Chiesa, in, regime di democrazia; e cioè, la questione dell'equilibrio fra i principi di libertà e indipendenza civile — a cui la società moderna, nell'interesse stesso della normale vita religiosa, non può rinunziare — e l'azione sociale nel più ampio senso (e cioè anche politico) della parola, che la Chiesa cattolica ha sempre esercitato ed intende continuare ad esercitare.
La seconda è quella di un altro equilibrio, fra cc Marta e Maria », cioè fra l'azione esterna, sociale, pubblica, del cattolico credente, e la sua vita personale, intima, spirituale: rischiando la prima, col suo sempr[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Tamburrano, Gramsci e l'egemonia del proletariato in Studi gramsciani

Brano: Giuseppe Tamburrano
GRAMSCI E L'EGEMONIA DEL PROLETARIATO
Un aspetto del pensiero politico di Gramsci che non è stato sufficientemente studiato ed approfondito è la concezione dell'egemonia. Eppure tale concezione rappresenta un originale contributo allo sviluppo del marxismo ed è la chiave di volta per comprendere le tesi gramsciane sugli intellettuali ed il partito. Coloro che si sono occupati del problema o hanno allineato acriticamente la concezione gramsciana alle tesi di Marx, Lenin, Stalin, Zdanov, oppure, al contrario, hanno genericamente sottolineato l'esigenza democratica del concetto di egemonia.
Il punto di partenza della concezione gramsciana è nella critica alla interpretazione meccanicistica [...]

[...]ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato ». Ma essi, prosegue, « vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e materialistiche ». A pagina 32 di M. S. afferma l'identità tra filosofia e politica, tra pensiero ed azione e soggiunge: « la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da Ilici è stato anche un grande avvenimento metafisico » .
Sul piano piú strettamente politico, cioè strategico, Gramsci aderisce alle tesi leniniste negli anni successivi alle conferenze di Zimmerwald e Kienthal. Tutta la sua azione politica, tutto il suo pensiero dell'Ordine
Giuseppe Tamburrano 279
Nuovo è ispirato profondamente alla strategia leninista dl preparazione della rivoluzione per la conquista violenta del potere. Egli sosteneva che la situazione italiana era analoga a quella della Russia di Kerenski (Avanti! di Torino, 26 giugno 1919), che bisognava organizzare l'avanguardia rivolùzionaria de[...]

[...], cioè una realtà effettuale, ed inoltre non concernono i rapporti tipici tra capitalismo e proletariato ma i rapporti concreti tra classe dirigente nazionale e proletariato. Da ciò prende le mosse l'analisi del come la classe dirigente si è formata, del come riesce a mantenere il suo potere, inizia cioè finalmente (finalmente perché per la prima volta vengono affrontati questi problemi dalla letteratura marxista) lo studio della società e dello Stato,
19.
280 1 documenti del convegno
del loro dinamismo interiore, cioè della politica tout court. Questi problemi, infatti, erano stati sempre risolti dai marxisti con generici riferi
menti alla violenza della classe dominante, alla coercizione dell'apparato statale, alla dittatura di classe. Gramsci non nega il carattere coercitiva
dell'apparato statale ma rileva che non basta affermare che una società si regge sulla coercizione delle leggi e sulla forza materiale degli organi di repressione per comprendere le ragioni per cui una classe normalmente esercita il predominio. In effetti quand[...]

[...]ro essere sociale spetta agli intellettuali organici della classe subalterna ed al partito. Da questa proposizione scaturiscono conseguenze assai importanti. Partendo dalla constatazione che il dominio di una classe normalmente non si fonda solo sulla forza coercitiva, Gramsci distingue la società civile dalla società politica: nella prima la classe dominante cerca il consenso, nella seconda attua la coercizione. Nelle Lettere egli scrive che lo Stato « di solito è inteso come società politica (o dittatura o apparato coercitivo per conformare la massa popolare secondo il tipo di produzione e l'economia di un momento dato) e non come un equilibrio della società politica con la società civile (o egemonia di un gruppo sociale sull'intera società nazionale esercitata attraverso le organizzazioni cosiddette private, come la Chiesa, i sindacati, le scuole ecc.). E appunto nella società civile specialmente operano gli intellettuali » I. Ne Gli intellettuali... afferma: « si possono... fissare due grandi " piani " superstrutturali, quello che si p[...]

[...]intera società nazionale esercitata attraverso le organizzazioni cosiddette private, come la Chiesa, i sindacati, le scuole ecc.). E appunto nella società civile specialmente operano gli intellettuali » I. Ne Gli intellettuali... afferma: « si possono... fissare due grandi " piani " superstrutturali, quello che si può chiamare della "società civile ", cioè dell'insieme di organismi volgarmente detti "privati " e quello della " società politica o Stato " e che corrispondono alla funzione di " egemonia " che il gruppo dominante esercita in tutta la società e a quella di " dominio diretto " o di comando che si esprime nello Stato e nel governo "giuridico " » 2. « La supremazia di un gruppo sociale », rileva nel Risorgimento, « si manifesta in due modi, come " dominio" e come " direzione intellettuale e morale " » 3. La distinzione non significa separazione tra due settori della società ma significa che il dominio di una classe non si esprime soltanto come coercizione ma è consenso dei governati corazzato di coercizione, che cioè la classe dominante plasma attraverso i suoi intellettuali e le istituzioni culturali, educative e religiose i diretti ma nello stesso tempo organizza la forza che garantisce la stabilità soci[...]

[...] elezioni, come banco di prova della effettiva egemonia di un gruppo sociale, non si nasconde che il successo elettorale può essere un rapporto effimero ed occasionale, frutto di un boom, di uno scoppio emotivo, « di panico o di entusiasmo fittizio »1. I1 consenso deve essere espressione di un rapporto organico, di direzione intellettuale e morale, per cui le masse si sentono permanentemente legate alla ideologia e alla leadership politica dello Stato come espressione delle loro concezioni e delle loro aspirazioni. Con le parole di Renan possiamo dire che il « consenso che costituisce la coscienza nazionale è un plebiscito di tutti i giorni, una continuità silenziosa di opere ».
L'obiettivo, quindi, che devono porsi la filosofia della prassi e l'avan
guardia del proletariato è di criticare la concezione del mondo borghese, dal senso comune fino alle piú alte espressioni filosofiche, sviluppando
quanto in essa è di progressivo, diffondendo la nuova concezione in tutti
gli strati della società, tra tutti coloro la cui attività pratica ed[...]

[...]vittoriosamente in Oriente nel '17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente... Solo the Ilici non ebbe il tempo di approfondire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno ed una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagi elementi di società civile, ecc. In Oriente, lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell'Occidente, tra Stato e società civile c'era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte » j.
È un rilievo acutissimo che colpisce la sostanza delle cose. La società zarista russa era circoscritta alle sfere elevate dei ceti feudali e borghesi di Mosca e di Pietroburgo; il popolo russo era in grandissima maggioranza allo stato primitivo ed amorfo. Nelle società occidentali la direzione intellettuale e morale della borghesia, l'egemonia borghese, ha raggiunto e conformizzato masse enormi di cittadini. La società russa non era borghese sia perché era poco sviluppato l'apparato produttivo capitalistico e mancavano le istituzioni politiche borghesi, sia perché, di conseguenza, le masse non erano plasmate secondo un tipo di vita e di pensiero borghesi. Perciò la Rivoluzione russa dovette porsi il compito di creare coattivamente un apparato produttivo ed una società civile di uomini coscienti ed evoluti. Nelle diverse co[...]

[...]ca, tra dominio ed egemonia, con l'altra distinzione tra società arretrate e società evolute, il cui criterio discretivo è sempre dato dal riferimento alla esistenza di una società civile sviluppata, si potrà comprendere pienamente l'importanza delle note gramsciane: « per alcuni gruppi sociali che prima dell'ascesa alla vita statale autonoma non hanno avuto un lungo periodo di sviluppo culturale e morale proprio ed indipendente... un periodo di statolatria è necessario e anzi opportuno; questa "statolatria" non è altro che la normale di " vita statale ", d'iniziazione, almeno, alla vita statale autonoma e alla creazione di una " società civile" che non fu possibile storicamente creare prima dell'ascesa alla vita statale indipendente. Tuttavia questa tale " statolatria " non deve essere abbandonata a sé, non deve, specialmente, diventare fanatismo teorico ed essere concepita come " perpetua ": deve essere criticata appunto perché si sviluppi e produca nuove forme di vita statale, in cui l'iniziativa degli individui e dei gruppi sia " statale", anche se non dovuta al " governo dei funzionari" (far diventare "spontanea" la vita statale)» 2.
noto che la funzione egemonica secondo Gramsci spetta al partito ed agli intellettuali. Egli è stato accusato di avere del partito un concetto totalitario. Per Gramsci il partito è il moderno Principe, cioè lo strum[...]

[...]donata a sé, non deve, specialmente, diventare fanatismo teorico ed essere concepita come " perpetua ": deve essere criticata appunto perché si sviluppi e produca nuove forme di vita statale, in cui l'iniziativa degli individui e dei gruppi sia " statale", anche se non dovuta al " governo dei funzionari" (far diventare "spontanea" la vita statale)» 2.
noto che la funzione egemonica secondo Gramsci spetta al partito ed agli intellettuali. Egli è stato accusato di avere del partito un concetto totalitario. Per Gramsci il partito è il moderno Principe, cioè lo strumento politico non piú individuale ma collettivo. La funzione del partito si collega alla realizzazione dell'egemonia. In alcune pagine 3 egli
1 R., p. 70.
2
P., p. 166.
3 M. S., p. 5 sgg.
Giuseppe Tamburrano 285
precisa che il partito moderno ha il compito di unificare la teoria e la pratica intesa come processo storico reale, cioè di creare quel blocco culturalesociale che consiste nel dare alla massa dei lavoratori la coscienza della loro funzione storica, una concezione d[...]

[...]ne realmente democratica e segna un ritorno al marxismo classico. La strategia socialista nel mondo occidentale non può consistere nell'azione rivoluzionaria di una minoranza per rovesciare il potere del gruppo dominante ed avviare con l'esercizio dittatoriale del potere l'organizzazione della vita statale. Questa strategia riguarda i paesi arretrati. Le società occidentali sono altamente industrializzate e le masse dei cittadini non vivono allo stato primordiale ed amorfo. A causa dello sviluppo dei rapporti sociali di produzione e della diffusione della ideologia della classe
1 P., p. 175.
2 Mach., p. 156,
286 I documenti del convegno
dominante, in Occidente la grande maggioranza dei cittadini è matura per un'azione autonoma e responsabile nella direzione del socialismo poiché essi per l'attività pratica che svolgono nei rapporti sociali — gli operai, .i salariati agricoli, i dipendenti delle aziende agricole, i piccoli proprietari, gli artigiani, i commercianti, i tecnici, il ceto medio impiegatizio ed intellettuale — sono interessa[...]

[...]n quelle masse di cittadini interessate al socialismo ma non ancora conquistate ideologicamente all'azione socialista. L'azione socialista deve tendere, aderendo alle condizioni materiali ed intellettuali proprie di ciascun paese, ad unificare politicamente ed ideologicamente tutte le masse interessate al socialismo, cioè ad instaurare la direzione culturale e morale, l'egemonia socialista, creando il nuovo blocco storico socialista. Svuotato lo Stato borghese della sua sostanza civile, ridotto a puro apparato di coercizione politica, ad una forma senza contenuto, la conquista del potere, violenta o pacifica a seconda dell'atteggiamento della classe ancora dominante politicamente, è l'atto conclusivo del processo, la realizzazione della democrazia per eccellenza, l'unificazione organica tra società civile e società politica. La società socialista sorge cosí come società realmente democratica in cui il consenso delle masse è assicurato oltre che dalle verifiche elettorali e dalla partecipazione effettiva dei lavoratori alla vita degli organ[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] S. Cambareri, Il concetto di egemonia nel pensiero di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]marxistaleninista, mentre dimostra, nel contempo, come il marxismo, da concezione universale del mondo, abbia in sé la capacità di articolarsi, particolarizzarsi per divenire espressione conseguente di nuclei nazionali storicamente e diversamente configurati pur rimanendo identico a se stesso. E questa la novità, la originalità del pensiero di Gramsci ed è questo quanto, a nostro avviso, in questi ultimi dodici anni di battaglie culturali, non è stato posto sufficientemente in risalto talché si è discusso con passione,. si è confutato seriamente il problema, per es., del dogmatismo, dell'ortodossismo nella concezione marxiana, laddove si trattava di pure celie, di « trastulli piccoloborghesi ». Che il marxismo rettamente inteso possegga una interna difesa contro l'astratto dogmatismo, in quanto non può significare nulla come teoria, né può in alcun modo funzionare come metodo, se non nella piú stretta aderenza alla storia dalla quale nasce ed alla quale deve in ogni momenta ripetere la validità di una verifica scientifica, in funzione dell[...]

[...]rato come l'espressione « italiana » della filosofia classica tedesca, l'altro come momento simbolico del politicismo francese, onde pervenire ad « una nuova sintesi organica i cui elementi anche se universali siano profondamente nazionali... tale sintesi era necessaria per un superiore sviluppo della filosofia della prassi, in quanto rendeva possibile,
Serafino Cambareri 89
nella filosofia della prassi quanto di piú progredito ed avanzato era stato raggiunto dal pensiero europeo, ed in particolar modo dal pensiero italiano, rende nel Nostro il medesimo concetto assai piú ricco e complesso rispetto al concetto leninista ed è questo, a nostro avviso, uno degli aspetti fondamentali del pensiero di Gramsci, le cui impostazioni critiche, peraltro, si presentano sempre con una personale, feconda problematica. Il problema generalissimo che Gramsci ha ereditato da Lenin è stato quello della rivalutazione costruttiva, positiva del partito politico del proletariato, in quanto espressione della classe che « rappresenta costantemente l'interesse del movimento complessivo che spinge sempre avanti la rivoluzione » 1 per modo che questa classe da una posizione subalterna possa divenire « egemone » e dalle semplici rivendicazioni economicocorporative possa affermarsi come portatrice di un proprio ordine
e di una propria civiltà avente valore universale. È il concetto di direzione culturale e politica, cioè il concetto che è entrato nel marxismo sotto la denominazione di « [...]

[...]ci rivendicazioni economicocorporative possa affermarsi come portatrice di un proprio ordine
e di una propria civiltà avente valore universale. È il concetto di direzione culturale e politica, cioè il concetto che è entrato nel marxismo sotto la denominazione di « egemonia » appunto: alla egemonia che tentano di mantenere le vecchie classi, si contrappone con la sua lotta politica ed ideologica la classe operaia fino alla fondazione di un nuovo Stato
e di una nuova egemonia. Perché la classe operaia possa affermare, sviluppare, potenziare la sua egemonia come forza nuova nella storia moderna, deve possedere le armi ideologiche piú raffinate e decisive, deve assumere una posizione di lotta politica ed ideologica di contro alla classe borghese tutta tesa al mantenimento, alla conservazione del suo dominio politico e quindi al mantenimento della sua egemonia. Di qui la funzione degli intellettuali « organici » ai quali è commesso il compito di lottare per la assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali tradizionali e per la «[...]

[...]logica di contro alla classe borghese tutta tesa al mantenimento, alla conservazione del suo dominio politico e quindi al mantenimento della sua egemonia. Di qui la funzione degli intellettuali « organici » ai quali è commesso il compito di lottare per la assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali tradizionali e per la « egemonia » della loro classe, organizzando la classe stessa nella lotta politica e nella fondazione del nuovo Stato 2. Di qui si
con la eliminazione di ogni forma di materialismo volgare o di marxismo deteriore, un reale superamento delle forme piú alte della cultura italiana » (op. cit., p. 19). Tesi assai suggestiva che contesta essere stato il linguaggio di Gramsci un mero espediente per sfuggire alla censura ecc., tesi che richiede, a nostro avviso, ulteriori approfondimenti, anche se l'autore ha creduto di collocare il pensiero gramsciano nell'alveo del pensiero di B. Croce.
1 K. Mnxx e F. ENGELS, Manifesto del Partito comunista, trad. Togliatti, Roma, Ediz. Rinascita, 1947.
2 I., pp. 3, 7 passim.
90 I documenti del convegno
evince come i problemi del partito politico della classe operaia e della fondazione dello Stato socialista abbiano avuto nel pensiero di Gramsci un posto preminente; e chi ricorda la lotta intransigent[...]

[...]iente per sfuggire alla censura ecc., tesi che richiede, a nostro avviso, ulteriori approfondimenti, anche se l'autore ha creduto di collocare il pensiero gramsciano nell'alveo del pensiero di B. Croce.
1 K. Mnxx e F. ENGELS, Manifesto del Partito comunista, trad. Togliatti, Roma, Ediz. Rinascita, 1947.
2 I., pp. 3, 7 passim.
90 I documenti del convegno
evince come i problemi del partito politico della classe operaia e della fondazione dello Stato socialista abbiano avuto nel pensiero di Gramsci un posto preminente; e chi ricorda la lotta intransigente combattuta da Lenin contro le concezioni che vedevano la rivoluzione socialista svolgersi in modo spontaneo, senza la necessità della guida di un partito e di un programma che desse sicuri e realistici obiettivi di lotta, non può non registrare la straordinaria analogia con la posizione assunta da Gramsci nei confronti delle ideologie soreliane « che non potevano giungere alla comprensione del partito politico in quanto fondate sull'impulso irrazionale, arbitrario, spontaneo delle masse [...]

[...]erienza teorica ulteriore e quindi storicamente piú avanzata di marxismo rivoluzionario. Di Lenin cosí parla Gramsci: « piú grande teorico moderno della filosofia della prassi, nel terreno della lotta e della organizzazione politica, con terminologia politica, ha in opposizione alle diverse tendenze "economistiche ", rivalutato il fronte della lotta culturale e costruito la teoria della egemonia come complemento [cors. nostro) della teoria dello Statoforza » 3. Il problema è questo: il concetto della direzione politica del proléta
1 ,LENIN, Che fare?, in Opere scelte, 1948, Mosca, vol. I, p. 142, ed anche STALIN, Les Questions du Léninisme, Moscou, Editions en langues étrangères, 1949. Vedi A. GRAMSCI, I, pp. 45.
2 D'accordo con Matteucci (op. cit., p. 76), che in Lenin il concetto di egemonia è piú una « intuizione » che una esperienza storiografica o una problematica filosofica.
3 M. S., p. 201.
Serafino Cambareri 91
riato, senza dubbio, viene sviluppato per la prima volta da Lenin; troviamo già nelle opere di Marx implicito un tale[...]

[...]te attraverso l'« egemonia politicoculturale ». Essa classe dovrà essere la guida, quali che siano i raggruppamenti politici nei quali si incarnano le sue aspirazioni; essendo il marxismo l'ideologia tipica, conseguente, di questa classe, solo i partiti che si richiamano al marxismo inteso nella sua piú genuina essenza rivoluzionaria possono essere considerati gli strumenti efficaci che conducono al rovesciamento delle fondamenta classiste dello Stato borghese. È chiaro che la classe esiste solo dove e quando ha la coscienza di agire come tale e questa coscienza deve e può esprimersi in un partito o in piú partiti, a seconda delle condizioni storiche oggettive e soggettive nelle quali la classe è costretta ad operare. Ma di questo, cioè del rapporto classepartitopartistiStato, tratteremo in seguito. Rileviamo ora come Gramsci, partendo dalla premessa che la classe operaia crea le condizioni per la conquista del potere, ponendosi come guida delle piú grandi masse della propria nazione, come forza sociale e politica la cui ideologia, il marxismo, riesce ad influenzare e ad attrarre la stessa intellettualità borghese, marxisticamente, vede la possibilità dello sviluppo della cultura, quindi la possibilità del supera
Soprattutto nel Manifesto, là dove il partito è presentato come « coscienza » della classe capace di intendere non solo gli interessi immediati di quest[...]

[...] della classe, in quanto coscienza storica operante concretamente. Invero egli si trovava di fronte ad un partito socialista dilaniato da contrasti non sempre di fondo, dominato dalla socialdemocrazia, dalla cor
1 R., pp. 70, 71.
2 I., p. 7.
I documenti del convegno
ruzione, dall'opportunismo, e che certamente non poteva essere lo strumento piú adatto per una rivoluzione culturale e morale, e tanto meno per la fondazione di un nuovo tipo di Stato. Talché la classe, in quella congiuntura storica, e sotto il fascismo, si identificò in un solo partito, anche se altri gruppi sociali si trovarono sulle medesime posizioni di latta; oggi, le condizioni sono mutate e la classe, in Italia, si esprime in due partiti in funzione di avanguardia e in altri gruppi sociali, talché « non esiste nessun principio che escluda la pluralità dei partiti nel paese e al potere durante la costruzione di una società socialista, e il libero confronto tra le differenti ideologie » 1. Il problema è che si pensi in termini di classe e si operi in termini di partit[...]

[...] in funzione di avanguardia e in altri gruppi sociali, talché « non esiste nessun principio che escluda la pluralità dei partiti nel paese e al potere durante la costruzione di una società socialista, e il libero confronto tra le differenti ideologie » 1. Il problema è che si pensi in termini di classe e si operi in termini di partito, cioè che il partito sia mezzo e non fine, efficace strumento appunto di quella classe che intende sopprimere lo Stato borghese come sistema di violenza dei pochi (capitalisti) contro i molti (proletari) e strappi il possesso dei mezzi di produzione ai loro privati detentori. Non si tratta qui della assunzione di pieni poteri da parte dell'avanguardia per reprimere i molti, ma al contrario della grande maggioranza per restituire alla comunità il dominio e l'uso dei mezzi di produzione indebitamente e contradditoriamente accaparrati dai pochi. È questo il senso della democrazia di nuovo conio di cui parla Lenin, è questo lo sforzo che perseguono gli intellettuali « organici » , quello cioè di chiarire, per la [...]

[...]nte e contradditoriamente accaparrati dai pochi. È questo il senso della democrazia di nuovo conio di cui parla Lenin, è questo lo sforzo che perseguono gli intellettuali « organici » , quello cioè di chiarire, per la azione rivoluzionaria, il significato del rapporto democraziasocialismo e tutte le questioni generali connesse al termine « democrazia moderna » 2.
1 Vedi « Dichiarazione Programmatica » dell'VIII Congresso nazionale deI PCI. Cfr. Stato e Rivoluzione di Lenin, ed. cit.
2 A questo proposito vedi: G. DELLA VOLPE, Rousseau e Marx, Roma, Ed. Riuniti, 1957, là dove si dimostra, tra l'altro, il nesso storico Rousseau socialismo e la continuità della genuina problematica egualitaria russoiana nel socialismo scientifico.



da Asiaticus, Due tesi sull'evoluzione dei paesi ex-coloniali. [sopratitolo: "democrazia nazionale" e "Nuova democrazia"] [sottotitolo: Diverse vie di sviluppo per i popoli del Terzo mondo - Dalla democrazia al socialismo. Le prime esperienze storiche in Mongolia, Cina e Turchia - Il ruolo dirigente del proletariato] in KBD-Periodici: Rinascita 1963 - 1 - 26 - numero 4

Brano: [...]ta pag. 14 26 gennaio 1903 g oiitica internazionaie
"Democrazia nazionale" e "NIova democrazia ",
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Il termine « democrazia nazionale » è stato ufficialmente formulato per la prima volta nella dichiarazione conclusiva della Conferenza degli 81 partiti comunisti e operai, nel novembre del 1960. Questa dichiarazione, dopo avere analizzato l'evoluzione dei paesi coloniali e dipendenti dopo la seconda guerra mondiale, affermava:
« Nella situazione storica attuale si vengono a creare in molti paesi condizioni interne e internazionali favorevoli alla costituzione di uno Stato indipendente a democrazia nazionale, cioè di uno Stato che difenda coerentemente la propria indipendenza politica ed economica, lotti contro l'imperialismo e i suoi blocchi militari, contro le basi militari sul proprio territorio. Si tratta di uno Stato che lotta contro le nuove forme di colonialismo e contro la penetrazione del capitale imperialistico, che ripudia i metodi di governo dittatoriali e dispotici, uno Stato in cui vengono garantiti al popolo ampi diritti e libertà democratiche (di parola, di stampa, di riunione, di manifestazione, di organizzazione in partiti politici e in associazioni). Entro tale Stato il popolo deve avere la possibilità di ottenere l'applicazione della riforma agraria e l'accoglimento di altre rivendicazioni nel campo delle trasformazio_ ni democratiche e sociali, la possibilità di partecipare alla determinazione del la politica statale. Ponendosi sulla via della democrazia nazionale, questi Stati hanno la possibilità di svilupparsi speditamente sulla via del progresso sociale, di assolvere una funzione.attiva nella lotta dei popoli per la pace, contro la politica aggressiva del cam po imperialista,, per la liquidazione completa del giogo coloniale. . I ,par titi comunisti[...]

[...]mocrazia nazionale, questi Stati hanno la possibilità di svilupparsi speditamente sulla via del progresso sociale, di assolvere una funzione.attiva nella lotta dei popoli per la pace, contro la politica aggressiva del cam po imperialista,, per la liquidazione completa del giogo coloniale. . I ,par titi comunisti conducono una lotta attiva per portare a fondo coerentemente la rivoluzione antimperialista, antifeudale e democratica, per fondare uno Stato a democrazia nazionale, per migliorare decisamente il tenore di vita delle masse popolari ».
Il significato di questo concetto cosi ricco e così nuovo merita di essere precisato.
La lotta per l'indipendenza e per la democrazia
In primo luogo, si tratta di una via aperta, di una possibilità offerta ai paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina (il « terzo mondo ») che stanno per staccarsi dall'imperialismo. I due elementi fondamentali e strettamente complementari che caratterizzano questa via sono la lotta per l'indipendenza nazionale e la lotta per la democrazia. Il paragrafo della[...]

[...]o borghese e tende piuttosto ad associare al potere forze vitali della nazione come i sindacati e i movimenti giovanili e femminili. Sussiste tuttavia un importante settore privato, e non sono i. partiti comunisti nè il marxismoleninismo che dirigono effettivamente questi paesi; non si tratta dunque di una variante afroasiatica delle « democrazie popolari » dell'Europa orientale.
Si tratta infine di una via, di una tendenza, e non di un tipo di Stato stabilito una volta per tutte, e definito con criteri rigidi e statici. Cercare di fare l'elenco degli Stati a democrazia nazionale, come lo si può fare degli Stati a democrazia popolare, sarebbe incompatibile col concetto stesso di democrazia nazionale. Ciò che si osserva è che le misure prese in un certo numero di paesi tendono a consolidare la loro indipendenza nazionale e la loro vita democratica (come sottolinea con esempi concreti la dichiarazione degli 81 nel paragrafo sopra citato). Si dice in tal caso che quei paesi, come il Mali, l'Indonesia, Ceylon, la Guinea, sono orientati verso [...]

[...]mocrazia nazionale non ha niente di comune con le posizioni di un Nehru o di Senghor, che cercano di definire per l'Asia e per l'Africa un avvenire radicalmente e definitivamente opposto a quello dei paesi del mondo socialista, per esempio del Vietnam, della Gina, della Mongolia.
L'originalità e la novità del concetto di democrazia nazionale appaiono dunque chiaramente. Ma vale egualmente la pena, ci pare, di precisare il contesto in cui esso è stato elaborato e formulato.
Questo concetto si inserisce innanzitutto, molto nettamente, nella linea generale del XX Congresso del Partito comunista sovietico. Questo congresso si è vigorosamente pronunciato contro gli atteggiamenti settari nei confronti delle borghesie nazionali dei paesi coloniali e dipendenti e nei confronti dei movimenti nazionalisti a direzione non comunista in questi paesi. La dichiarazione degli 81 insiste molto sul fatto che i partiti comunisti di questi paesi accettano, per un periodo che può essere lungo, un regime che non è socialista, e che essi lottano oggi per l'ist[...]

[...]rze del campo socialista, nè quelle dei movimenti di liberazione nazionale permettevano d'imporre la coesistenza pacifica. Perciò questi episodi si collocavano tutti in tin contesto di guerre civili e di guerre internazionali.
Ma esiste, a nostro avviso, un pre cedente ancora più importante e interessante, per lo studio delle origini teoriche e pratiche della democrazia nazionale: il concetto di « nuova democrazia » (Xin Minzhou zhouyi) quale è stato formulato nel 1940 da Mao Tsetung in un'opera teorica rimasta giustamente celebre.
Fra la « nuova democrazia » definita nel 1940 da Mao e la « democrazia nazionale » definita nel 1960 dagli 81 partiti, esiste tin parallelismo che non si può passare sotto silenzio. Nei due casi, l'accento è messo sull'unità della lotta antiimperialista (della lotta contro il Giappone per la Cina del 1940) e della Iotta democratica (cioè, sempre per la Cina del 1940, della lotta contro il comportamento autoritario e dispotico del Kuo Mintang). Mao fece appello a partire dal 1940 al fronte unito di tutti coloro[...]

[...]a duplice esigenza.
Il parallelismo può anche essere spinto più lontano, poiché, nello spirito di Mao, la « nuova democrazia » è una soluzione che non interessa solo la Cina ma che può presentarsi a tutti i paesi coloniali e dipendenti dell'Africa e dell'Asia. Opponendo la « nuova democrazia » alle vecchie democrazie borghesi da una parte e all'URSS dall'altra, egli dichiara in effetti che si tratta di « un terzo tipo, una forma transitoria dì Stato creata dalle rivoluzioni nei paesi coloniali e semicoloniali ». La parola transitoria indica bene che si tratta di una fase, non di un'opposizione definitiva della
« nuova democrazia » al socialismo; ma anche che questa formula ha i suoi caratteri specifici e originali, inerenti alle esigenze dei paesi dell'Africa e deIl'Asia nel loro insieme.
Il parallelismo fra la « nuova democrazia » e la « democrazia nazionale » è rafforzato ancora dal fatto che questi due concetti hanno suscitato a suo tempo gli stessi sospetti e motivato gli stessi silenzi. La stampa e il pubblico sovietici ignoravano[...]

[...]he specifiche della rivoluzione cinese, il partito comunista ha svolto — in modo indiscutibile e con l'accordo dei suoi sostenitori della borghesia e della piccola borghesia — Studenti mongoli in un'aula della Università di Ulan Bator
questo ruolo dirigente, sia prima sia dopo la liberazione del 1949.
Il compagno Ponomariov è meno preciso su questa questione — come lo è d'altronde la stessa dichiarazione degli 81. Egli nota soltanto che, nello Stato a democrazia nazionale, il potere si trova nelle mani « dei rappresentanti delle forze progressive della nazione ». Egli oppone le forze reazionarie alle masse popolari nel loro insieme e definisce la classe operaia soltanto come il « combattente più conseguente », senza attribuirle esplicitamente un ruolo dirigente. Egli qualifica l'alleanza fra operai e conta dini come « essenziale », e indica che da essa « dipende il grado di partecipazione delta borghesia nazionale alla lotta di liberazione ». Egli evita cioè di pronunciarsi sulla questione specifica della direzione di classe. del movimen[...]

[...]licata alla via della a democrazia nazionale » aperta ai paesi del terzo mondo dalla dichiarazione degli 81. In primo luogo, la struttura di classe di questi paesi è spesso motto più fluida che non nella Cina del 1940; esistono grandi differenze da zona a zona: i contadini negri, ad esempio, sono molto diversi dal proletariato delle piantagioni di Cuba, e molto diversi anche dai contadini dell'Estremo Oriente ancora recentemente sottoposti a uno stato di servitù feudale. In secondo luogo, esistono grandi ineguaglianze nell'acutezza delle contraddizioni di classe in seno alle diverse società africane e asiatiche. Anche tra due paesi vicini, come ad esempio ìl Vietnam e la Cambogia, queste differenze sono considerevoli. Infine l'esperienza politica del proletariato, al quale la formula cinese del 1940 assegnava uniformemente un ruolo dirigente, può essere molto diversa da paese a paese. Il partito comunista può essere legale oppure clandestino, forte o in fase embrionale di sviluppo; possono esistere o non esistere autentici sindacati operai[...]



da [Le relazioni] P. Togliatti, Gramsci e il leninismo in Studi gramsciani

Brano: [...]la, se necessario, in qualche caso. Egli stesso dice, infatti, in queste osservazioni, che alcune delle affermazioni da lui fatte sono forse persino da intendere in modo contrario a come egli le ha esposte. È difficile pensare un più esplicito invito all’esame critico.

Il professor Garin, però, giustamente ha sottolineato che il ritmo del pensiero in isviluppo è più importante delle singole formulazioni. Nel trattare, però, il tema che a me è stato assegnato, « Gramsci e il leninismo », non so se questa norma sia pienamente applicabile, perché la questione si presenta, in questo caso, in un modo del tutto particolare. Anche qui esiste ed è da ricercarsi, atraverso le singole formulazioni, un ritmo del pensiero, ma questo è direttamente accompagnato, misurato, dal ritmo dell’azione, e vi è una prova pratica, che viene dal fatto che l’azione è stata compiuta, ha dato dei risultati, ha lasciato delle tracce,420

Le relazioni

e su queste tracce, che sono molto profonde, una parte della società italiana continua a lavorare. Esse non ha[...]

[...]ierlo dalla scena ed essere tranquilli?

1 P., p. 3.422

Le relazioni

La ricerca è assai ampia, né vi è dubbio che da essa risulta che una grande parte deve essere fatta alla tradizione politica e culturale italiane. Gramsci è un politico italiano. Si collega alle più vitali correnti del pensiero politico e deH’azione politica del nostro paese. Però questo non basta! La sola tradizione italiana non avrebbe fatto di Gramsci ciò che egli è stato come politico, e come politico nel quale non vi è più traccia del provincialismo nostrano. Alla tradizione del pensiero italiano si accompagnarono lo studio del marxismo, il contatto con la classe operaia e con la realtà della vita internazionale e nazionale quale gli apparve dai primi anni della esistenza e poi, via via, gli episodi di una lotta che si faceva sempre più aspra. In questo quadro spetta un posto a parte come fattore, io credo, decisivo, di sviluppo ideale e pratico, a Lenin e al leninismo.

Riconoscono oggi anche coloro che non aderiscono al giudizio nostro, che l’opera di Le[...]

[...]e prima ancora non si era riusciti.

Ora, che cosa vi è in Lenin di fondamentalmente nuovo? Scusate se a questo punto l’esposizione, per esser rapida, dovrà essere per forzaPalmiro Togliatti

423

alquanto schematica. Vi sono in Lenin almeno tre capitoli principali, che determinano tutto lo sviluppo della azione e del pensiero : una dottrina deirimperialismo, come fase suprema del capitalismo; una dottrina della rivoluzione e quindi dello Stato, del potere e una dottrina del partito. Sono tre capitoli strettamente uniti, fusi quasi 'l’uno nell’altro, e ciascuno di essi contiene una teoria e una pratica, è il momento di una realtà effettuale in isviluppo, una dottrina, cioè, che non solo viene formulata, ma messa alla prova dei fatti, dell’esperienza storica e che nella prova dell’esperienza storica si sviluppa, abbandona posizioni che dovevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni ma[...]

[...]vevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni materialistiche, economicistiche, positivistiche delle dottrine di Carlo Marx, fa del marxismo, in questo modo, ciò che deve essere: la guida di un’azione rivoluzionaria.

Ritengo che l’apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla scena mondiale sia stato il fattore decisivo di tutta la evoluzione di Gramsci come pensatore e come uomo politico di azione. È il fattore che determina il ritmo del movimento, dà un carattere lineare agli sviluppi ideali e pratici, consente di giustamente valutare anche gli errori, il loro valore e la critica di essi, e di inserirli in un complesso unitario.

Negli scritti giovanili di Gramsci — che è da dolere non abbiamo potuto essere pubblicati, come sarebbe stato desiderabile, prima di questa riunione 1 — è evidente una ricerca che ha un carattere ansioso e non esclude una certa confusione. L’influenza idealistica è evidente, basta prendere il numero unico La città futura, del 1917, scritto tutto da Gramsci per la parte originale, con ampie citazioni di quelli che erano allora i Maestri della filosofia idealistica. L’influenza idealistica qui non si può negare. In questo periodo dello sviluppo del pensiero di Gramsci e già — direi — precedentemente, negli anni universitari, la efficacia del pensiero idealistico si manifesta però essenzialmente in una [...]

[...]e, di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche ». Anche questa è una affermazione da noi oggi non accettabile. Non in Marx era avvenuta la contaminazione, ma nei trattatelli e opuscoli di propaganda quintessenziale, dove il pensiero marxista era stato ridotto a ciò che non era e non poteva essere.

« Questo pensiero — continua Gramsci — pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà... Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuto la durata e gli effetti che [...]

[...]ganizzative, ideologiche, ecc.), giunge a individuare quello che egli chiama il « blocco storico », le forze che lo dirigono e i contrasti interiori che ne determinano il movimento.

Nella prima giornata di questo Convegno si è svolto un interessante dibattito circa le affermazioni e la critica di Gramsci alle forze motrici del Rinascimento italiano per l’assenza di giacobinismo. Mi sembra però che un momento particolarmente importante non sia stato messo nellaPaimiro Togliatti

431

giusta luce da chi è intervenuto su questa questione. Non è che Gramsci incolpasse i ceti borghesi di non aver fatto quello che potevano fare. Esulava dalla sua metodologia questo modo di intendere la storia. Quello che egli cerca è invece un’esatta definizione di ciò che questi ceti hanno fatto, il che gli deve servire per dare una definizione esatta della struttura della società italiana, quale esce dalla rivoluzione nazionale. Né si può negare che, nei momenti critici della storia, le classi dirigenti possono fare cose diverse. Lenin applicò questo c[...]

[...] corrisponde un certo sviluppo di tutti i rapporti sociali, la classe operaia oppone la sua alleanza con le masse contadine per lottare sia contro l’autocrazia, sia contro il capitalismo e crea cosi le condizioni della sua vittoria rivoluzionaria. In questo modo si sviluppano l’analisi storica e l’azione di Lenin, e il pensiero di Gramsci si colloca sullo stesso piano.

La borghesia italiana ha preso il potere ed ha organizzato la società e lo Stato alleandosi a determinate forze e non a determinate altre. Ciò è stato conseguenza della sua natura ed è il fatto di cui bisogna tener conto. Perciò la società italiana, del Risorgimento e postrisorgimentale, ha assunto quel particolare suo carattere. Si è creato un « blocco storico », e quindi particolari condizioni in cui la classe operaia incomincia a organizzarsi, combatte, acquista coscienza di se stessa e della propria funzione e attua questa sua funzione attraverso l’azione politica del partito che la dirige. È questo processo che Gramsci cerca di definire nel modo più esatto con tutta la sua indagine politica e storica, la quale muove dalle condizioni co[...]

[...]sentarono, nel loro germe, in quel periodo lontano.

Risale a quegli anni l’inizio della decomposizione del vecchio blocco politico risorgimentale. E la crisi venne dalle cose, dagli sviluppi economici che spingono il capitalismo italiano sulla via déH’imperialismo, e dal movimento delle masse. La opposizione contadina, che la Chiesa cattolica aveva cercato di organizzare, mantenere viva e dirigere, per farne la propria base di lotta contro lo Stato risorgimentale, e la nuova opposizione operaia tendono a confluire in una generale ribellione ai vecchi ordinamenti politici. Il vecchio modo di muoversi dei gruppi dirigenti borghesi, liberali di nome, di fatto conservatori e reazionari, non è più valido in questa situazione nuova e non è più valida nemmeno la formula dell’opposizione cattolica allo Stato liberale. È una formula che può rivelarsi assai pericolosa, di fronte all’avanzata del socialismo tra le masse sia operaie che contadine. Non soltanto, quindi, sono costretti a cambiar strada quelli che erano stati fino ad allora i gruppi dirigenti borghesi, ma anche i loro oppositori di parte cattolica e clericale, borghesi e reazionari anch’essi, e oramai costretti a porre al di sopra di ogni altra cosa la difesa dell’ordinamento capitalistico.

Una consapevolezza di questa crisi vi fu certamente in alcuni uomini della classe dirigente e in questo è da ricercare quell’elemento positivo ne[...]

[...]quanto l’esaltazione nazionalistica alla quale stavano attingendo nuovo alimento ideologico i gruppi dirigenti reazionari. Nella indagine sulla storia, sulla struttura, sulla realtà attuale della società italiana il suo pensiero si ricollega invece piuttosto ad elementi che sgorgano dalle correnti razionalistiche del pensiero politico italiano dell’Ottocento.

Dei principali esponenti di queste correnti nelle relazioni e in alcuni interventi è stato fatto il nome. Sono uomini nelle cui opere regna ancora, si deve riconoscerlo, una grande confusione per quanto riguarda l’indagine sui temi più generali, sui problemi della conoscenza, della filosofia, della metodologia della storia. Si riflette in questa confusione il carattere stentato dell’illuminismo e razionalismo italiano di quel tempo. Da alcuni, almeno, di questi pensatori era però partito un impulso, efficace e potente, alla ricerca della realtà economica e delle forme di organizzazione della società italiana, come si era storicamente formata attraverso i secoli e come si presentava[...]

[...]di qualità. Vi è in Gramsci il confluire di una visione della storia, che gli veniva dallo sviluppo della filosofia italiana nel momento in cui essa si ricollegava alle grandi scuole filosofiche tedesche del secolo precedente, ma che assorbiva una nuova linfa vitale dalla migliore tradizione delle indagini economiche e storiche dei maestri della storiografia razionalistica e positivistica. Privo di questa linfa vitale il suo pensiero non sarebbe stato quello che è; non avrebbe potuto elaborare la sua dottrina dell’alleanza della classe operaia del Nord con le masse contadine italiane, particolarmente dell’Italia meridionale, per risolvere il problema della unità del nostro paese; non avrebbe potuto dare una nuova e cosi profonda interpretazione del rapporto tra la città e la campagna nello sviluppo della storia d’Italia. Tutto il suo pensiero storiografico e politico non avrebbe potuto avere quel rigoglioso sviluppo che noi sappiamo, se non vi fosse inizialmente stata in lui la efficacia di quel filone di pensiero che abbiamo indicato, e s[...]

[...]È necessario però osservare, a questo punto, che relativamente ad uno degli aspetti fondamentali dell’applicazione e dello sviluppo dei leninismo, che Gramsci fece in relazione con la storia italiana e con la situazione del nostro paese, cioè nella formulazione della necessità di un’alleanza tra la classe operaia e le grandi masse lavoratrici contadine del Meridione nella lotta contro il loro nemico comune, che è il regime capitalistico e il suo Stato accentratore e tiranno, Gramsci prende le mosse dalla polemica salveminiana, ma decisamente se ne stacca nelle conclusioni. Il concetto di alleanza elaborato da Gramsci è qualitativamente diPaimiro Togliatti

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verso, dal punto cui anche Salvemini era giunto nella sua agitazione politica. Non si tratta più, infatti, di qualche cosa di strumentale. Non è che l’operaio attenda un aiuto dal contadino, e il contadino, a sua volta, dall’operaio, per combattere quel sopruso o realizzare quella rivendicazione. No, si tratta di una alleanza di classe secondo il concetto leninista, cioè di un [...]

[...]ssa, afferma se stesso come forza dirigente nazionale.

In questa luce e soltanto in questa luce credo possa oggi essere considerata l’azione svolta da Gramsci a Torino negli anni 1919 e 1920. È infatti assurdo pensare che mentre Gramsci, come egli stesso dice nelle sue Note sulla quistione meridionale, già nel 1919 era giunto a questa nuova concezione dell’alleanza di classe tra gli operai e le masse contadine per risolvere la questione dello Stato e della sua unità, è assurdo ritenere che in questo stesso momento egli avesse una visione della funzione della classe operaia che escludesse la organizzazione del partito politico e la lotta politica come forma più alta della lotta di classe e desse un valore esclusivo per giungere alla conquista del potere, al fatto che l’operaio si impadronisse, nella fabbrica, del processo produttivo e di una posizione di dominio nei confronti del padrone.

È vero, si possono trovare in questo o quello scritto di Gramsci, di quegli anni, espressioni staccate che possono suscitare il dubbio che egli pens[...]

[...]i del padrone.

È vero, si possono trovare in questo o quello scritto di Gramsci, di quegli anni, espressioni staccate che possono suscitare il dubbio che egli pensasse in questo modo; ma queste espressioni hanno essenzialmente un valore esortativo. Esse vogliono portare la classe operaia a prendere coscienza della funzione che essa ha nel processo della produzione e quindi nella fabbrica; ma dalla fabbrica Gramsci risaliva non a un fantastico Stato di « produttori » fuori della storia, bensì al concreto Stato italiano e alla lotta politica che in esso doveva esser condotta.436

Le relazioni

Gramsci ha del resto vivamente criticato, giungendo persino, in qualche momento, a esagerare in questa critica, la tendenza a considerare lo sviluppo economico come risultato delle pure modificazioni dello strumento tecnico. Effettivamente anche le modificazioni dello strumento tecnico hanno un valore che non è soltanto materiale. Esse stesse sono il risultato di una evoluzione che ha luogo anche nelle sovrastrutture, sono il portato di una ricerca, di uno studio, di una azione educativa, possono persino [...]

[...]inoranza doveva giungere a conquistare il potere, e conquistando il potere abbia realizzato quel progresso che quella società in quel momento poteva e doveva compiere.

Anc^he la dottrina del partito fa parte di quello sviluppo creativo del marxismo che da Lenin ha ricevuto un impulso fondamentale. Anche questa dottrina respinge le pedantesche e fatalistiche concezioni dello sviluppo storico attraverso le quali il genuino pensiero marxista era stato contraffatto, reso inerte, impotente alla creazione storica.

Al prof. Mondolfo si potrebbe ricordare ciò che già gli faceva osservare Gramsci nel 1919, recensendo un opuscolo dello stesso Mondolfo dedicato alla Rivoluzione russa. « Si racconta — scrive Gramsci — che un professore tedesco di scuole medie, riuscito stranamente a innamorarsi, cosi combinasse insieme la pedagogia e la tenerezza: —Mi ami tu, tesoretto mio? — Si. — No, nella risposta deve essere sempre ripetuta la domanda, in questo modo: Si, ti amo, topolino mio! ».

Nella risposta che Lenin ha dato ai problemi della Rivoluzi[...]

[...] Gramsci, soprattutto nelle primepagine delle Note sul Machiavelli, affermazioni che, staccate dal loro contesto, possono spaventare un ignaro. Sono invece affermazioni dei tutto comprensibili, logiche, giuste, quando la dottrina del partito è intesa come Lenin e Gramsci la intesero.

Gramsci affronta questo problema in modo assai vario e complesso,, perché riconosce che il pericolo può esserci. Egli ne aveva avuto esperienza nel modo come era stato diretto il suo partito, il Partito comunista italiano nei primi anni della sua esistenza, trasformandolo in una sèttar in una organizzazione di tipo pseudomilitaresco, privo di una propria vita, vivacità e dialettica interna, e quindi incapace anche di adempiere a quelle funzioni cui deve adempiere il partito nel contatto con le masse che hanno bisogno della sua direzione.

Di qui le indicazioni assai interessanti, — anche se forse non siano in grado di cogliere tutte le sfumature coloro che non abbiano pratica di vita politica, — che egli dà, soprattutto nelle note di Passato e presente,, [...]

[...] conquistare il potere politico.

In questo ambito deve essere considerata l’azione che tende a conquistare a questa classe delle alleanze e quindi il consenso della mag
1 P., p. 65.442

Le relazioni

gioranza della popolazione; a neutralizzare altre forze politiche e sociali; a preparare quel rivolgimento culturale che sempre accompagna i rivolgimenti economici e politici; e la stessa azione educativa, che appartiene essenzialmente allo Stato, ma appartiene anche al partito politico, in quanto il partito politico già anticipa alcune delle funzioni dirigenti che domani apparterranno alla classe oggi ancora subalterna.

Come si vede, molteplici sono i mezzi attraverso i quali la classe che tende alla conquista del potere si sforza di creare le condizioni della sua egemonia.

Per approfondire questo tema sarebbe necessario addentrarsi nel campo della concreta attività politica attuale, il che non mi pare sia opportuno in questo momento. Vorrei soltanto accennare alla distinzione, assai interessante e, quando venga esplorata a fon[...]

[...]diretta.

Punto di partenza e fondamento di tutte queste ricerche è l’affermazione che sono possibili e necessarie diverse vie di sviluppo del movimento rivoluzionario della classe operaia, in differenti situazioni storiche. Anche qui, la guida è Lenin. Colui che è andato più avanti e si è mosso con più coraggio, nella individuazione delle diversità storiche444

Le relazioni

oggettive e nell’affermare la necessità di adeguarsi ad esse, è stato proprio il Capo della Rivoluzione bolscevica. Basta ricordare come scrivendo, nel 1921, ai comunisti georgiani, cioè di un paese che era parte della Russia, ma diverso per la struttura economica e politica, egli raccomandava di non attenersi allo schema russo, ma di seguire una diversa via per risolvere i problemi dell’organizzazione della produzione, dei rapporti con la piccola e media borghesia produttrice e con le sue formazioni politiche. Basta ricordare come Lenin giungeva a parlare di variazioni nelle forme del potere, quando fossero entrate in azione le grandi masse umane deirOriente, [...]

[...]per risolvere i problemi dell’organizzazione della produzione, dei rapporti con la piccola e media borghesia produttrice e con le sue formazioni politiche. Basta ricordare come Lenin giungeva a parlare di variazioni nelle forme del potere, quando fossero entrate in azione le grandi masse umane deirOriente, come oggi sta avvenendo.

Il pensiero di Gramsci si è mosso per questa via, che è la via dello sviluppo creativo del marxismo. Su di essa è stato guidato da Lenin. Noi cerchiamo e troviamo nel suo pensiero non delle formule, ma una guida per comprendere i problemi del mondo d’oggi, per lavorare a risolvere le contraddizioni che oggi si presentano sulla scena economica e politica, e che sorgono anche là dove il potere è già nelle mani della classe operaia, dovendo allora essere trattate e portate a soluzione con metodi particolari, diversi da quelli con cui si risolvono le contraddizioni antagonistiche del mondo capitalistico.

Ma giunti a questo punto è necessario fermarsi. L’esame delle questioni nuove, che oggi nella lotta politica[...]



da Tibor Mende, Riflessioni in margine agli avvenimenti indonesiani in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]mata quasi esclusivamente tramite agenzie controllate dall'Americä. Le Autorità ii dòñësiane non hanno a loro disposizione alcuna organizzazione paragonabile per presentare il Ioro caso. Per di più, un certo numero di questioni interdipendenti hanno confuso il problema oppure hanno indotto fin dal principio il lettore di giornali occidentali a svalutare il punto di vista Indonesiano.
Fin da quando, nel 1950, l'Indonesia fu riconosciuta come uno Stato Sovrano e indipendente, una endemica guerra civile ne sta distruggendo la struttura. Questa non é una novità. Ciò che é nuovo ora é che, per la prima volta sembra che ci sia un intervento dall'esterno diretto a portare su un piano internazionale il problema interno. Questa ripercussione sul piano internazionale é avvenuta dopo due fatti importanti.
Il primo consiste nell'attività del Governo _Indonesiano rivolta a modificare il tipo occidentale di democrazia parlamentare ei
paese e sostituirlo con un sistema più ameta strada
tra le istituzioni occidentali e quelle comuniste. Il secondo co[...]

[...]sul piano internazionale é avvenuta dopo due fatti importanti.
Il primo consiste nell'attività del Governo _Indonesiano rivolta a modificare il tipo occidentale di democrazia parlamentare ei
paese e sostituirlo con un sistema più ameta strada
tra le istituzioni occidentali e quelle comuniste. Il secondo consiste
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nel rifiuto dell'Olanda a riprendere le trattative riguardanti il futuro déTlá Nuova Guinea Occidentale — come era stato richiesto dalTé Näziáni Unite — il che ha provocato in Indonesia un'ondata di dimostrazioni antiolandesi nonché rappresaglie economiche contro i locali interessi olandesi. In seguito a questi due fatti, l'endemica guerra civile si è trasformata in un problema internazionale e la S.E.A.T.O. — una organizzazione regionale, legata alla rete militare anticomunista dell'Occidente — lo ha considerato di sua competenza.
Ma per comprendere come il problema di uno Stato Sovrano si sia trasformato in una questione internazionale riguardo alla quale una organizzazione militare regionale poteva prendere[...]

[...]alTé Näziáni Unite — il che ha provocato in Indonesia un'ondata di dimostrazioni antiolandesi nonché rappresaglie economiche contro i locali interessi olandesi. In seguito a questi due fatti, l'endemica guerra civile si è trasformata in un problema internazionale e la S.E.A.T.O. — una organizzazione regionale, legata alla rete militare anticomunista dell'Occidente — lo ha considerato di sua competenza.
Ma per comprendere come il problema di uno Stato Sovrano si sia trasformato in una questione internazionale riguardo alla quale una organizzazione militare regionale poteva prendere posizione, é bene analizzare gli elementi decisivi di questa situazione, capace di diventare una seria minaccia per la pace mondiale.
***
Il poeta olandese Multatuli descrisse una volta le Indie Olandesi come « una cintura di smeraldi intorno all'equatore ». La pittoresca metafora non dava, comunque, la minima idea sulle dimensioni della preziosa cintura. Per essere più precisi, essa é composta di almeno tremila smeraldi. Circa un terzo sono disabitati. Uno, B[...]

[...]ostituiscono il resto del paese: Sumatra, Borneo, Celebe in primo luogo, e poi centinaia di altre. È comprensibile quindi come questo solo fatto farà si che un abitante di Sumatra.
o di Celebe veda il mondo e i suoi problemi con occhi molto differenti da quelli di un Giavanese. Inoltre un numero di altri fattori — non ultimo fra questi la stessa politica del passato regime coloniale è intervenuto ad accentuare questa differenza. Il risultato è stato una netta distinzione tra l'Indonesia « affollata » e quella « vuota » — fatto basilare, che spiega la storia del movimento nazionalista del paese e anche il ruolo preponderante di Giava. nel suo sviluppo.
L'Indonesia « affollata » — soprattutto Giava — è abitata da persone consapevoli di una eredità comune, appartenenti in gran parte alla stessa razza. Nell'Indonesia « vuota », invece, accanto a una minoranza di immigrati di origine Giavanese, vivono più di una dozzina di razze che parlano moltissime lingue e dialetti differenti. Per di piú, mentre la produzione di riso di Giava è insuffici[...]

[...]autorità olandese, queste forze centrifughe avrebbero chiesto una autorità federale meno forte, che lasciasse alle « altre isole » la loro autonomia. Così, durante la guerra contro i guerriglieri Indonesia
ni, l'Olanda cosa comprensibilissima — incoraggiò le tendenze
separatiste, di modo che il Governo dell'Indonesia indipendente si vide costretto ad esercitare una autorità centrale anche più forte per contrastare queste tendenze. E il forte « Stato Unitario », sotto ,l'influenza del capo del movimento di indipendenza, il Presidente Sukarno stesso, non fece che accentuare la rivolta regionale contro la preminenza accentratrice e « parassitica » dell'inesperta Giava.
Fin dal principio questa resistenza assunse una forma militare. La più importante era un'organizzazione ortodossa Musulmana, la DarulIslam, opposta alla Stato secolare e decisa ad organizzare l'Indonesia sulla base delle prescrizioni Coraniche. In un paese Musulmano al 90% non poteva mancare di avere una considerevole influenza. Già nei primi anni dell'indipendenza essa si era insediata in vaste zone occidentali di Giava, e aveva simpatizzanti a Borneo, Celebe e nel Nord di Sumatra. Ma accanto alla DarulIslam, c'erano anche capi locali che, profittando della debolezza del Governo centrale, cominciavano ad assumere il ruolo che, in passato, avevano in Cina i « Signori della guerra»; imponevano le loro tasse, amministravano importanti regioni e ricon[...]

[...]me pure le pressioni dei partiti politici sorte dietro i loro nomi, in diverse occasioni hanno messo a dura prova la difficile collaborazione tra loro. A Giacarta erano frequenti le voci di un conflitto tra il Presidente e il VicePresidente, e nessuno in realtà fu sorpreso quando, dopo le ultime elezioni generali, essi furono costretti a separarsi. Il dott. Hatta dette le dimissioni e Sukarno rimase da solo al timone. Tuttavia, il potere incontrastato aggiun to all'inevitabile aumento delle difficoltà politiche ed economiche non poteva non far crescere le critiche a Sukarno. Come in tanti altri paesi Asiatici di recente indipendenza, la corruzione crebbe, ci furono scandali pubblici e, per la prima volta, lo stesso Sukarno fu violentemente attaccato. Durante la sua visita in Cina e nell'Unione Sovietica egli fu ricevuto regalmente e tornò apparentemente entusiasta di ciò che aveva visto; le critiche, fino a quel mamento vaghe e saltuarie, si fecero più forti e puntarono a riunire i Capi Musulmani e l'opinione pubblica contra il Presidente.[...]

[...]trà mai andare incontro aIlë reälí necessità del popolo ed è destinato a soccombere sotto il peso crescente dei prablemi economici. Nella maggior parte di questi paesi asiatici excoloniali ii progresso è possibile solo sotto un Governo forte, capace di prendere decisioni rapide e, se è necessario, anche impopolari. Un Governo eletto dal popolo è difficilmente in grado di prendere queste decisioni inevitabilmente impopolari. Con eguale fermezza è stato osservato che il sistema occidentale dei . partiti automaticamente esclude dal Governo degli elementi costruttivi la cui capacità ed esperienza dovrebbe essere a disposizione del Governo esistente.
Sotto questa aspetto, si deve riconoscere che l'esperimento di Sukarno ha rappresentato almeno un tentativo nella direzione giusta. In effetti, potrebbe essere nell'interesse stesso dell'Occidente in coraggiare attualmente in Asia la nascita di un sistema di Governo a metà strada fra la democrazia di tipo occidentale e l'autoritarismo degli Stati Comunisti. Se la democrazia parlamentare desse prov[...]

[...]ppio dei voti dei Nazionalisti, Masjumi e Nabdatul Ulama insieme.
Contro voglia, il mondo prese nota che la stella rossa stava sorgendo sulla popolosa Giava. Gli osservatori si affrettarono a predire che nelle prossime elezioni generali, nel 1960, l'Indonesia potrebbe votare per un regime comunista. Nella stesso tempo, il preesistente contrasto economico tra Giava e le altre isole fu messo ancor più in evidenza da questo sviluppo politico e uno stato di allarme all'estero si accompagnò con l'intensificazione di rivalità interne tra Giava
RIFLESSIONI IN MARGINE AGLI AVVENIMENTI INDONESIANI 67
e le altre isole;. tra gli elementi progressivi e quelli conservatori della vita politica indonesiana; e, infine, ma non ultimi, tra Sukarno e Hatta stessi. Evidentemente la situazione era matura per ulteriori e decisivi sviluppi. La scintilla che li provocò fu fornita dalla vecchia disputa sull'avvenire della Nuova Guinea Occidentale.
La Nuova Guinea é l'isola più a est tra quelle che formano le Indie Olandesi. E anche di gran lunga la più vasta. [...]

[...]a la più vasta. È stata divisa in due parti; quella orientale che appartiene all'Australia, e quella occidentale che appartiene all'Olanda. La Nuova Guinea Occidentale (la parte che appartiene all'Olanda) ha da sola la superficie della Francia, ma con una popolazione di un solo milione, formata principalmente da semplici Papuani. La maggior parte der terreno é ricoperta da giungla impenetrabile e paludi malariche, e il suo valore economico, allo stato attuale, non è grande. Qualunque materia prima esista sotto la giungla, sarebbe difficile utilizzarla e richiederebbe enormi investimenti che né l'Australia, né l'Olanda sono disposte a impiegare. L'unica eccezione è il petrolio.
Per la prima volta nel 1935 si scoprì l'esistenza del petrolio nella parte occidentale dell'isola e si costituì una Società per lo sfruttamento commerciale. La «Dutch Petroleum Company for New Guinea » con la partecipazione delle « Standard Oil » e « Pacific Oil », aventi rispettivamente un interesse del 40 e del 20%. La Società ottenne il diritto di esplorare un'ar[...]

[...]ressoché nullo. Ha invece una certa importanza la posizione geografica della Nuova Guinea. Trovandosi proprio alle porte dell'Australia, essa é considerata la prima linea di, difesa di quel continente e la sola prospettiva di vederla cadere sotto gli indonesiani o, addirittura sotto un governo indonesiano filocomunista, riempie gli australiani di spavento.
Quando l'Olanda cedette la sovranità sulle Indie Orientali
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olandesi allo Stato Indipendente di Indonesia, l'articolo primo della Carta di Trasferimento specificava che essa cedeva « senza condizioni e irrevocabilmente la sovranità totale » su tutti i territori che una volta formavano le Indie Orientali Olandesi. Si stipule), comunque, che l'avvenire della Nuova Guinea Olandese (la parte occidentale) sarebbe stato deciso per trattative « un anno dopo il trasferimento della sovranità ». L'opinione pubblica olandese, scossa per la perdita del suo lontano impero orientale, pare che abbia trovato qualche conforto nel sapere che la presenza olandese nell'isola manteneva la finzione che l'Olanda, in Oriente, fosse ancora una potenza. In ogni caso rendeva più facile la ratifica del trasferimento da parte del Parlamento olandese. Tutto questo, tuttavia, era solo per un anno.
Da allora è diventata abbastanza evidente che gli olandesi non hanno intenzione di lasciare l'isola. Uno dei loro argomenti é che, dal p[...]

[...]llo stesso modo la richiesta sarà sembrata inopportuna, dato che le difficoltà economiche del governo indonesiano rendevano già estremamente arduo sfruttare e conservare il preesistente apparato economico del paese. Almeno formalmente, l'Indonesia non ha ancora fatto richieste per l'immediato trasferimento della Nuova Guinea Occidentale. Essa insisteva semplicemente che l'Olanda doveva tener fede alla parola data e riprendere le trattative sullo stato dell'Irian Occidentale. La pretesa era strettamente legale, in considerazione dell'impegno assunto dagli olandesi di farlo entro un anno dal riconoscimento dell'indipendenza indanesiana.
Nel novembre del 1957, il Comitato Politico delle Nazioni Unite approvò con una notevole maggioranza una proposta che in vitava l'Indonesia e l'Olanda a trattare la futura condizione dell'Irian Occidentale con l'assistenza di Hammerskjold. Quando la proposta giunse all"Assemblea Generale ottenne di nuovo una maggioranza di 41 voti contro 29, ma per passare all'Assemblea aveva bisogno di una maggioranza dei d[...]

[...]un quinto di tutto ciò che l'Indonesia era in grado di vendere all'estero. Il risultato degli avvenimenti fu che le considerevoli fonti di ricchezza degli olandesi in Indonesia corsero seri rischi, mentre gli indonesiani misero in pericolo le basi stesse della loro economia nazionale. Il caos che segui, la mancanza di moneta straniera e l'indebolimento di tutta la struttura
RIFLESSIONI IN MARGINE AGLI AVVENIMENTI INDONESIANI 71
economica dello Stato, preannunciarono il pericolo dell'ascesa dell'organizzatissimo partita Comunista e il graduale scivolamento del paese nell'orbita dell'Asia comunista.
È stato a questo punto che, all'inizio di quest'anno, la solita rivolta regionale di capi militari assunse un aspetto totalmente nuovo e un gruppo di uomini politici e leaders militari formarono un Governo ribelle.
Le trattative tra Sukarno e Hatta — la cui ascesa al pasta di Primo Ministro era la condizione posta dai ribelli per abbandonare la lotta — fallirono. Sukarno e il Governo legale proclamarono che
Governo dei ribelli era sostenuto dall'estera e rappresentava l'intrusione straniera negli affari interni del Paese; che riceveva aiuti militari e che era stato formato con l'intenzione di porta[...]

[...]totalmente nuovo e un gruppo di uomini politici e leaders militari formarono un Governo ribelle.
Le trattative tra Sukarno e Hatta — la cui ascesa al pasta di Primo Ministro era la condizione posta dai ribelli per abbandonare la lotta — fallirono. Sukarno e il Governo legale proclamarono che
Governo dei ribelli era sostenuto dall'estera e rappresentava l'intrusione straniera negli affari interni del Paese; che riceveva aiuti militari e che era stato formato con l'intenzione di portare, in prosieguo di tempo, l'Indonesia verso il blocco americano anticomunista. I ribelli, dal canto loro, sostenevano che il Governo centrale, con la sua violenta lotta antiolandese, metteva in pericolo il futuro economico del Paese, che subiva l'influenza dei Comunisti preparando l'assorbimento nel blocco comunista, che riceveva aiuti militari sovietici e che, comunque, aveva perso il controllo e la fiducia della maggior parte del paese.
Il Governo ribelle si installò nella centrale Sumatra, in una regione nota per i suoi forti sentimenti antigiavanesi. I s[...]

[...] sia morale che materiale. In realtà, sembrerebbe che la decisione finale debba esser presa alla recente Conferenza di Manilla della « SouthEast Asia Treaty Organization ».
Non c'é dubbio che la questione dell'Indonesia sia stata discussa tra le Potenze Occidentali, che sono i membri più importanti di questa inefficiente organizzazione regionale. Si trattava di un vero e proprio dilemma. Il non riuscire ad aiutare il Governo dei ribelli sarebbe stato interpretato come una incoraggiante e rapida crescita del prestigio comunista sia in Indonesia che in quella parte dell'Asia che guarda con simpatia la lotta del Governo Indonesiano, considerandola una manifestazione anticolonialista da parte di un regime neutrale minacciato. Un aperto intervento da parte dell'Occidente, d'altra parte, sarebbe stato considerato causa di ulteriori scissioni tra gli asiatici non comunisti, dividendo ancor più coloro che affidavano la loro sorte all'Occidente dagli altri che pensavano fosse più conveniente assumere un atteggiamento non impegnativo tra l'Occidente e il blocco comunista. Ma due altre considerazioni pesarono sulla bilancia. Un aperto intervento Occidentale in Indonesia sarebbe stato probabilmente impopolare a Malaya — paese che, pur non essendo geograficamente vicino a Sumatra, ha con essa legami culturali, etnici e linguistici — e avrebbe potuto scuotere l'intenzione di collaborare coll'Impero britannico manifestata dallo Stato di Malaya di recente indipendenza. In secondo luogo, e questa fu la sorpresa maggiore, il Giappone prese energicamente posizione. Secondo ben informati servizi giornalistici, un messaggio giapponese avrebbe dichiarato che se gli Stati Uniti avessero mandato aiuti al governo ribelle di Sumatra, essi non avrebbero mancato di mandare armi al governo di Giacarta.
RIFLESSIONI IN MARGINE AGLI AVVENIMENTI INDONESIANI 73
Ci si ricorderà che il Giappone aveva già rifornito Giacarta di un. certo numero di navi quando, in seguito alle manifestazioni antiolandesi dello scorso anno, le navi olandesi che[...]

[...] non vede ancora chiaramente i pericoli di un intervento suscettibile di essere interpretato come una forma modificata di imperialismo, i_ giapponesi, al contrario, li vedono. E sembra che il loro atteggiamento abbia avuto un'influenza decisiva sulle segrete conversazioni di Manila.
Benché sembra che alcuni bimotori abbiano paracadutato armi al Governo ribelle di Sumatra (probabilmente venivano da Formosa), per il momento un aperto intervento é stato evitato. Navi sovietiche davanti a Singapore osservano i movimenti dei loro avversari Occidentali. Nei limiti di un accordo di aiuto firmato in precedenza, alcune navi sovietiche sono state trasferite al governo di Giacarta. Tuttavia, per il momento, entrambe le parti esitano a compiere un passo fatale che potrebbe portare a un'altra Corea, ma questa volta avente come posta un paese molto piú ricco e situato in una zona strategica, dove sarebbero immediatamente e direttamente coinvolte diverse grandi potenze.
Se non riceverà aiuti, la nuova fase della guerra civile indonesiana può ancora imp[...]

[...]o di essi e aderire al richiamo di Giacarta di unirsi contro ciò che viene chiamato, l'intervento straniero. E chiaro, comunque, che un grosso cambiamento può venire solo da un aperto e massiccio intervento straniero. Il che, d'altra parte, rappresenta chiaramente per le grandi potenze il pericolo di esser coinvolte e, in ultima analisi, perfino di una guerra termonucleare.
Ì Dove sono stati sbagliati i calcoli ?
Che il governo dei ribelli sia stato formato con l'incoraggiamento dell'Occidente é assolutamente chiaro sia a causa di coloro che lo compongono, sia per gli articoli della stampa occidentale, sia per le dichiarazioni pubbliche. Storicamente esso rientra nella serie dei tentativi fatti sotto la responsabilità occidentale per eliminare i governi asiatici che facevano resistenza ad allinearsi con i paesi filooccidentali, come il Pakistan, il Siam, il Viet Nam del Sud, le Filippine e l'isola di Ciangkaishek. Il più spettacolare e il primo di questa serie di interventi fu l'insurrezione delle truppe cinesi nazionaliste a Burma quand[...]

[...]tata — come l'opposizione dell'Occidente a un governo che cercava di modificare le sue inadatte istituzioni democratiche, si da incrementare le sue probabilità di essere efficiente; che cercava di ridurre la forza dei precedenti interessi economici coloniali che ancora dominavano il paese; opposizione a un paese che, in libere elezioni, aveva visto la minoranza comunista avanzare tanto da diventare un partito con voce in capitolo negli affari di Stato.
Discutendo gli avvenimenti indonesiani in connessione con la Conferenza della S.E.A.T.O. a Manilla, il giornale indiano « Tribune » (18 marzo 1958) ha riassunto il problema in termini che indubbiamente conquisteranno l'approvazione della maggior parte degli intellettuali dei paesi asiatici non comunisti. L'importanza che la S.E.A.T.O. dà alle misure militari contro il comunismo internazionale fa si che l'aiuto militare diventi più efficiente di quello economico per migliorare il tenore di vita », dice l'articolo... «La politica di esercitare pressioni su nazioni libere si da indurle a cambi[...]

[...]ta tentata (in Media Oriente) e ha prodotto effetti che sono esattamente l'opposto di quelli che si desideravano. È un peccato che alcuni uomini politici occidentali non comprendano neppure la natura dei problemi che sono stati chiamati a risolvere e commettano incredibili errori, che non possono portare che danno alla causa che essi pretendono di patrocinare ».
Benché nel caso dell'Indonesia il pericolo di una conflagrazione internazionale sia stato, forse, evitato all'ultimo minuto, il male é stato già fatto.
Quanto grave esso sia sarà forse palese nel 1960, alle prossime elezioni generali. Potrebbe apparire che esso é maggiore del costo di una sistemazione della Nuova Guinea o anche dell'entità di un
76 TIBOR MENDE
aiuto economico che avrebbe potuto fortificare il regime legale di Giacarta si da immunizzare il governo neutrale contro la tentazione comunista.
TIBOR MENDE
(Trad. Paola Boccardt)
Pos TILLA
L'imprevisto ritardo nella pubblicazione di questo articolo consente oggi di considerare gli avvenimenti in una nuova prospettiva..
L'Indonesia non può esser più considerata una [...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Stato, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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