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Il segmento testuale Seneca è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 90Analitici , di cui in selezione 5 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]restati alla monarchia e poi al regime fascista o della sua permanenza nel rettorato dell'Università di Padova sotto la repubblica fascista, è lodevole ricorrere a for
* A. LA PENNA, Concetto Marchesi: la critica letteraria come scoperta dell'uomo; con un saggio su Tommaso Fiore, Firenze, La Nuova Italia (« Biblioteca di cultura », 152), 1980, pp. 138.
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zature per giustificare tutto: guardiamo Marchesi come egli guardò Seneca, cercando di capire, non di condannare o giustificare tutte le sue debolezze. Chiunque discute di queste cose, dovrebbe prima leggersi il suo saggio su Seneca.
Ogni studio critico, ma piú che mai uno studio su una personalità di questa natura, esige da parte dell'autore la compresenza di due doti e di due atteggiamenti: da un lato quel distacco che impedisce di cadere nell'agiografia (e di agiografia, a proposito di. Marchesi, se ne è fatta troppa, da parte cattolica e da parte comunista, anche se, per esempio, l'amore di un Ezio Franceschini per la memoria del maestro è cosí caldo . e puro da rendere degne di rispetto certe evidenti forzature); dall'altro una convinzione che, al di là di aspetti caduchi, il personaggio preso in esame ci abbia las[...]

[...]í dire, meramente « contenutistiche » e analogie di espressione formale, le sole, queste seconde, che dimostrerebbero un effettivo rapporto di dipendenza (SM, in, p. 1234 s.; tale distinzione era stata enunciata anche in scritti precedenti, cfr. per es. SM, III, p. 1113: « sono solo le affinità formali gl'indizi imponenti delle derivazioni »). Ma è uno spunto che rimane inutilizzato o male utilizzato: lo studio del 1908 sulle fonti del Tieste di Seneca (SM, II, p. 493 ss.) prende in esame, sí, analogie di espressione, ma giustamente il La Penna (p. 23) lo giudica « poco piú che un elenco arido »; migliore è qualche altra ricerca (La Penna, p. 23 s.); ma Marchesi, critico pur non privo di senso stilistico, era piú capace di caratterizzare globalmente lo stile di uno scrittore che di analizzarlo puntualmente (egli cita quasi sempre passi tradotti, non testi in latino; e quanto anche la piú bella traduzione sia inadeguata a sostituire l'interpretazione non fu mai del tutto chiaro a lui, mentre fu chiaro, fin da Filologia e storia, a Giorgio Pa[...]

[...]ina 1939, p. v.). Su Marchesi mediocre traduttore in versi, ottimo in prosa (e ben presto egli predilesse la prosa, discostandosi dalla linea RomagnoliBignone), cfr. LA PENNA, p. 37 s. e, piú ampiamente, E. PIANEZZOLA nel vol. collettivo La traduzione dei classici a Padova, Padova, Antenore, 1976, p. 23 ss. Fra le poche traduzioni in versi riuscite, giustamente il Pianezzola (pp. 3638) cita e riporta la monodia di Tieste nell'omonima tragedia di Seneca e una parte del coro delle Troades sulla morte come annullamento.
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incomprensione, credo anche antipatia personale. Forse l'unica allusione a Pasquali (finora, che io sappia, non notata) si trova appunto in Filologia e filologismo, e riguarda ancora quella che a Marchesi sembrava una stortura nella moderna ricerca delle fonti, il voler rintracciare fonti diverse dalle poche dichiarate e confessate dagli stessi autori antichi: « Cosí non è creduto Orazio quando dichiara che i suoi ispiratori sono fra i lirici classici della Grecia » (SM, III, p. 1236). L'Orazio lirico[...]

[...]bbassata al vegetare di quel « volgo » verso cui, come abbiamo visto e ancora vedremo, il socialista e comunista Marchesi non riuscí mai a superare un aristocratico disprezzo. Nella conferenza su Lucrezio, dopo aver detto le parole già da noi riportate, che la scienza non potrà mai svelare l'arcano della vita, aggiungeva: « Perché se lo potesse un giorno, sarebbe morta la poesia »: una cosa, dunque, da non auspicare. E nella seconda edizione del Seneca (MessinaMilano 1934', p. 404) dichiarava: « Solo lo smarrimento e il dubbio aprono le porte dell'infinito allo spirito umano che la certezza costringerebbe nell'angustia e nell'inerzia di una immobile contemplazione ». Nell'atto stesso in cui condanna la certezza filosoficoscientifica, Marchesi sembra rifiutare anche la certezza religiosa. E nel capitolo del Seneca dedicato al problema della morte, Marchesi non considera, pare, come un progresso il passaggio del suo autore dall'immanentismo stoico, privo di fede nell'immortalità individuale, alla fede platonica: insiste piuttosto sul convincimento, co m u n e alle due concezioni, della morte come liberatrice dai dolori e dalle ansie della vita. Un pensiero analogo aveva già espresso nel saggio del 1910 sul Dubbio sull'anima immortale in due luoghi di
e pubblica rendono inamabile il volto della Chiesa impedendo alle rette coscienze di aderire ad una Verità che essi disonorano, questo libro è con infinit[...]

[...]fato greco », della religiosità siciliana di Marchesi), di M. VALGIMIGLI (ivi, p. 722 s.) e di A. CAsSARÀ (xIII, 1958, pp. 220222). Nel postumo Diario di una donna di SIBILLA ALERAMO, cosí irrimediabilmente e pietosamente egocentrico (Milano, Feltrinelli, 1978), le pagine su Marchesi (per es. 199, 309, 321, 428) sono tra le poche che dimostrano capacità di comprendere il dolore, la solitudine, l'ansia di un a 1 t r o .
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Seneca (in SM, ir, p. 719 ss.): qui, in modo ancor piú esplicito, dichiarava « immenso » il fascino della dottrina epicurea sulla morte, « la virtú consolatrice dell'annullamento mortale »; e mostrava, citando l'epistola 54 a Lucilio, come neanche negli ultimi anni Seneca fosse diventato un fermo credente nell'immortalità. E non a caso l'autore cristiano da lui piú amato (cfr. Voci di antichi, p. 159 ss.) è Arnobio, un retore pessimista e materialista, piú lucreziano che cristiano, negatore dell'immortalità dell'anima.
4. L'« antiromanità » della letteratura latina. — Ci siamo, senza volerlo, discostati alquanto dal tema dell'« homo » et « civis »: dobbiamo adesso ritornarvi. Fin dai profili anteriori alle opere di maggior mole (i profili formigginiani di Marziale, Petronio, Giovenale, ai quali La Penna, con piena ragione, attribuisce importanza decisiva per [...]

[...], sia ammirato da Marchesi per ragioni che puntano sull'homo e non sul civis: l'aristocratico disprezzo per il volgo, ma soprattutto il pessimismo storico e morale (cap. x); e come anche in Giovenale il critico sia affascinato, piú che dal rimpianto moralistico per i valori dell'età repubblicana, dalla capacità d'indagare, con indignata ma lucida amarezza, aspetti torbidi della psicologia umana che appartengono ad « ogni tempo » (p. 35). E anche Seneca, l'autore prediletto da Marchesi, è da lui, forse troppo, umanamente compreso per le sue incoerenze e debolezze politiche ed è poi esaltato per la sua tormentata interiorità morale da un lato, per il suo « cosmopolitismo » dall'altro: due fermenti entrambi dissolutori del nazionalismo romano.
Per quante riserve si debbano fare sul concetto marchesiano di « umanità eterna », è indubbio che la contrapposizione homocivis ha dato al critico una chiave preziosa per comprendere i valori piú profondi della letteratura latina, che non nascono dall'adesione al patriottismo e all'imperialismo romano, [...]

[...]moralità Marchesi ha tutte le ragioni; ma anche l'irrisione dell'oscenità è una forma fastidiosa di moralismo; il giudizio di Paratore su Marziale sarà troppo duro, ma ha la sua parte di verità). E d'altra parte non ci ha detto nulla neanche su quell'aspetto di vitalità sorgiva, « al di qua del bene e del male », che è un carattere di alcuni tra i piú vivi epigrammi, messo piú tardi in evidenza dal La Penna (« Maia » vut, 1955, p. 137). Anche al Seneca (il libro a cui probabilmente Marchesi teneva di piú, come dimostra la dedica alla memoria della persona da lui piú amata, sua madre) nuoce talvolta un eccesso di autobiografismo che è, insieme, un eccesso di psicologismo, di quella predilezione per le « anime tormentate » a cui già s'è accennato. L'ammirazione per Seneca passa ogni limite: da molti passi sembra chiaro che Marchesi lo consideri l'autore piú grande di tutta l'antichità, se non di tutta l'umanità. Nella
5 In un saggio giovanile su un volgarizzamento medievale della Pharsalia (SM, i, p. 247, segnalato brevemente dal LA PENNA, p. 21) Marchesi sembra aver intuito, attraverso il Fortleben di Lucano nel Medioevo, i due principali motivi ispiratori — strettamente legati l'uno all'altro — di questo poeta: l'esasperato e disperato libertarismo e la negazione della provvidenza divina. Ma nella Storia questa intuizione ha scarso sviluppo; e il capitolo s[...]

[...]e la negazione della provvidenza divina. Ma nella Storia questa intuizione ha scarso sviluppo; e il capitolo su Lucano è oscillante e scialbo.
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 645
prima edizione (Messina, Principato, 1920) tale è l'identificazione del critico col suo autore, che la parte sulle opere viene ad essere costituita in misura preponderante da lunghissimi brani tradotti, quasiché non vi fosse pressoché nulla da aggiungere a ciò che Seneca disse (questa caratteristica si attenua nella seconda edizione, che reca il segno di un faticoso rifacimento, anche se il giudizio complessivo su Seneca non muta).
Quanto a Tacito, il La Penna ha, come si è visto, indicato le ragioni per cui questo patriota, imperialista, conservatore in politica interna ha tuttavia profondamente interessato Marchesi. Oserei dire che, per alcuni aspetti (soprattutto per l'acutezza di certi giudizi politici, cfr. La Penna, p. 65 s.), il Tacito è superiore al Seneca proprio perché l'identificazione fra il critico e il suo autore è meno immediata. Forse, però, Marchesi ha visto troppo poco in Tacito la coscienza (ad un livello piú profondo del livello « patriottico ») dell'iniquità dell'imperialismo romano e del suo avviarsi alla decadenza,, nonostante l'età « aurea » di Nerva e di Traiano. Egli accenna — ed è vero — che Tacito narra senza un moto di pietà i massacri di barbari compiuti dai soldati romani; soltanto tardi, negli Annali, si farebbe strada talvolta un moto di « ammirazione e di riverenza a quei barbari eroici » (p. 165, 2a ed. p. 158); ma an[...]

[...]a » espresso dall'arte, quale Marchesi ritrovava nei suoi amati Petronio e Marziale, un'altra è il vitalismo affermatosi tra fine Ottocento e prime) Novecento. « Volontà di potenza », « slancio vitale » sono concetti e sentimenti estranei a chi sentiva tutta la propria vita dominata da « ansietà e sazietà », a chi diceva: « le cose, appena le tocco, mi diventano vecchie » (cfr. Franceschini, op. cit., p. 21), a chi si identificava soprattutto in Seneca (in quel Seneca cosí poco amato da Nietzsche), ossia in un « preparatore alla morte ». Con molte riserve parlerei anche di estetismo, perché Marchesi non ha mai pregiato l'arte per l'arte, ma ha visto in essa, come s'è detto, un modo di rappresentare il dramma umano e di consolare (parzialmente) dall'infelicità. Chiamerei estetizzanti solo alcune prose meno felici di Marchesi, quelle (frequenti soprattutto nel Libro di Tersite) in cui l'autore si rivolge a una non meglio identificata signora, con un tono fra il galante e lo gnomico. Ma queste pagine non aggiungono alla figura di Marchesi nessun tratto import[...]

[...]onografie », erano aspetti della sua personalità che — uso una felice espressione del La Penna, p. 78, a proposito della Storia della letteratura latina — « convergevano con una certa impostazione idealistica ». E infatti, come ricorda ancora il La Penna, la Storia fu lodata da Croce (cfr. Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, ir, Bari 19473, p. 197) ed ebbe ottima accoglienza nella cultura italiana degli anni Trenta. Prima ancora, il Seneca era stato accolto da Gentile nella collana di « Studi filosofici » da lui diretta presso Principato, ed era stato recensito assai favorevolmente da Adolfo Omodeo (Tradizioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929, pp. 107117). A sua volta, Marchesi, pur non desistendo mai dalle sue puntate contro la filosofia « incapace di consolare », non s'impegnò mai in polemiche esplicite contro l'idealismo crociano e gentiliano e contro l'estetica crociana 10; non è improbabile che,
Io Una sua replica a Croce di argomento politico, assai rispettosa e tendente a conciliare piú che ad accentuare[...]

[...]ibro di La Penna, vorremmo dire qualcosa è l'attività di Marchesi come filologo classico, e più precisamente come critico testuale. Il La Penna (cap. III) valuta, in complesso, severamente le edizioni critiche o semicritiche (chiamo cosi i commenti scolastici muniti di piú o meno sporadici contributi criticotestuali: un genere ibrido, ma nel quale dettero alcune buone prove il Terzaghi, il Galante ed altri) dell'Orator di Cicerone, del Tieste di Seneca, del De magia di Apuleio, dell'Ars amatoria di Ovidio; .considera con maggiore benevolenza alcune ricerche su codici di autori antichi (molte di piú, e piú fruttuose, il Marchesi ne compi su codici di autori medievali e umanistici) e in particolare mette in risalto il valore degli studi sugli scolii a Persio (SM, II, pp. 907983); sottolinea che un progresso criticotestuale assai notevole fu compiuto dal Marchesi con l'edizione di Arnobio (Torino 1934, 19532). Tuttavia anche riguardo a quest'ultima il La Penna ammonisce che « va lodata con misura », e vi ravvisa il difetto di tutta la critica [...]

[...] suoi interessi era altrove.
Su due punti, tuttavia, mi sembra necessaria una precisazione. Per quel che riguarda il primo periodo dell'attività criticotestuale di Marchesi (cioè fino all'Arnobio escluso), mentre le edizioni dell'Orator, del De magia e dell'Ars amatoria vanno abbandonate senza rimpianti al giudizio negativo del La Penna — si potrà sempre discutere su qualche singolo passo, ma il quadro d'insieme non muta —, quella del Tieste di Seneca è un'edizione che presenta alcune imprecisioni di metodo nella trattazione sui codici, alcune scelte di varianti erronee o discutibili, purtroppo anche un terribile manes in fine di trimetro giambico (al v. 93: fra i « guasti » segnalati dal La Penna a p. 27 manca questo, che è certamente il piú spiacevole, tanto più in quanto rappresenta l'unica congettura che il Marchesi, critico conservatore, introdusse nel testo: magari fosse stato, questa volta, conservatore, e avesse lasciato stare manus, che va benissimo!); e tuttavia, in confronto alle edizioni del Leo e di PeiperRichter che allora er[...]

[...]stizione, fino a considerare tutte le varianti della numerosissima famiglia A come frutto di con gettura, e a far tutto il possibile per non accoglierle nel testo nemmeno come congetture, e a introdurre molte congetture sue e del Wilamowitz, quasi tutte infelici (il Leo piú tardi eccelse anche nella critica testuale, come editore di Plauto; ma buon congetturatore non fu mai; e il Wilamowitz non era buon critico di testi latini, e meno che mai di Seneca). Il Peiper e il Richter nell'edizione del 1902 (dovuta principalmente al Richter, per la prematura morte del Peiper) si accorsero che i codici A, accanto a numerosissime banalizzazioni e alterazioni arbitrarie (altre, del resto, ne aveva anche E, benché in molto minor misura), presentavano lezioni sicuramente giuste e non congetturali; e cercarono di districare la genealogia dei codici A. Ma questa operazione doveva riuscire soltanto assai piú tardi (e pur sempre imperfettamente: gli studiosi piú recenti, certo molto meritevoli, ostentano tuttavia troppa baldanza); e le lezioni di A accolte [...]

[...]recenti, certo molto meritevoli, ostentano tuttavia troppa baldanza); e le lezioni di A accolte dal Richter erano ancora, di gran lunga, troppo poche, e troppe le congetture, non piú felici di quelle del Leo. Perché apparisse chiaro quanto di buono si poteva ancora ricavare da A (anche senza affrontare il problema dei rapporti genealogici all'interno di questa famiglia) e di quante congetture inutili andasse sbarazzato il testo delle tragedie di Seneca, dovevano venire, dal 1926 in poi, gli studi di Gunnar Carlsson, che rimangono fondamentali, sebbene in alcuni casi il Carlsson si sia spinto troppo oltre.
Marchesi non aveva nel 1908 e non ebbe nemmeno piú tardi l'attitudine ad affrontare complessi problemi di genealogia dei codici (non la ebbero nemmeno, è bene ricordarlo, filologi suoi coetanei o suoi predecessori della forza di Cornparetti, Piccolomini, Vitelli, Sabbadini, Castiglioni; il gusto per problemi stemmatici si fece strada lentamente in Italia); è doveroso aggiungere che, anche se avesse avuto interessi di questo tipo, non avre[...]

[...]vo della possibilità di lunghi soggiorni all'estero e basandosi sul solo Tieste, dare un contributo alla stemmatica dei piú di 300 codici della classe A; e non si può nemmeno deplorare che egli abbia rinunciato alla sua vocazione fondamentale di critico letterario per ingolfarsi in un lavoro specialistico che, anche a saperlo fare, avrebbe richiesto anni e anni. L'immagine complessiva che egli aveva della tradizione manoscritta delle tragedie di Seneca (cfr. p. 28 s.) è quella che prevaleva quando egli compi la sua edizione, con un'accentuazione maggiore di quella del Richter a favore di A (e qui, già prima del Carlsson, egli vedeva giusto), ma senza smarrire la consapevolezza della superiorità di E. Volendo, comunque, dare un contributo alla conoscenza di alcuni codici A piú o meno contaminati, egli dette una sommaria notizia dei manoscritti fiorentini, soffermandosi con particolare predilezione sul Riccardiano 526 (sec. xiii: cfr. pp. 29, 3337). A proposito delle lodi che il Marchesi tributa a questo codice, il La Penna fa un'osservazione[...]

[...]itate). Al v. 715 tantum scelus di A (preferito dal Marchesi contro saevum scelus di E e degli editori) non è sicuro, tuttavia ha, nella sua indeterminatezza, maggior forza enfatica, e l'ipotesi del Marchesi sulla genesi dell'altra lezione non è trascurabile. Al v. 563
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 665
concordo col La Penna (e con tutti gli editori tranne Marchesi) nel ritenere che l'ordine delle parole di E sia piú consono allo stile di Seneca; eppure il confronto addotto da Marchesi con l'ordine delle parole nel modello virgiliano non è privo di finezza, e la lezione che egli preferisce non è tramandata dal solo Riccardiano, ma dall'intera classe A.
Questa mia difesa dell'edizione del Tieste va considerata, intendiamoci, come una difesa ben delimitata: i grossi difetti a cui già abbiamo accennato restano, e l'edizione rimane il lavoro di uno studioso non privo di qualità anche in critica testuale, ma immaturo.
Diverso è il caso dell'edizione di Arnobio. Su essa il La Penna si sofferma ampiamente, mostrandosi ottimo conoscitore d[...]

[...]all'italiana », che in gran parte era rinuncia a interpretare il testo, tendenza a giustificare tutto in ossequio alla « tradizione », rivendicazione grottescamente patriottica di una sorta di « buon senso italico » contro le folli audacie dei filologi tedeschi. Di questo tipo era stato il conservatorismo di Marchesi nelle edizioni anteriori a quella di Arnobio (il che non esclude, come si è visto, che in parecchi casi, a proposito del Tieste di Seneca, egli avesse ragione): sia pure con minore virulenza di un Romagnoli, aveva anch'egli accolto la connotazione patriottica del proprio indirizzo criticotestuale: nell'introduzione al Tieste il Leo e il Richter sono chiamati, in contesti polemici, « gli studiosi tedeschi », « gli editori tedeschi » (pp. 29, 38), e di « pernicioso influsso germanico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filol[...]



da Arnaldo Pizzorusso, Lahontan e gli argomenti del selvaggio in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...] nel campo delle ipotesi, può sembrare significativo il fatto che l'interlocutore di Lahontan sia stato, nella realtà, un capo indiano ben noto, che ebbe effettivamente relazioni amichevoli con i Francesi.
7 Cfr. G. ATKINSON, Les Relations de voyages du XVile siècle et l'évolution des idées [...], Genève, 1972, p. 63 ss.
LAHONTAN E GLI ARGOMENTI DEL SELVAGGIO 129
Ma l'inclinazione naturale a fare il bene è propriamente un'inclinazione morale? Seneca vedeva nelle età primitive un'immagine dell'innocenza ma non della virtù: Non enim dat natura virtutem: ars est bonum fieri (ad Lucilium, xiv, 90, 44). Secondo questa concezione la natura non può sostituirsi all'arte, e cioè alla saggezza: giustizia, prudenza, forza d'animo. Tuttavia l'Adario di Lahontan non attribuisce la saggezza morale all'uomo, ma alla Natura che lo ispira: « Nous vivons simplement sous les Loix de l'instinct, et de la conduite innocente que la Nature sage nous a imprimée dès le berceau » (DL, 188). Segnato dall'impronta della Natura fino dalla culla, il selvaggio non si [...]

[...] e attori delle nostre colonie »1°. L'opposizione è assoluta. La comunità dei beni implica ch'essi debbano essere disponibili per chiunque, in qualsiasi circostanza, ne abbia reale necessità. Non si tratta di un concetto astrattamente economico (soddisfazione dei bisogni), ma della descrizione di una prassi, che i Dialogues mettono a confronto con quella delle società civili. Desierunt enim omnia possidere, dum volunt propria. Questo il detto di Seneca (ad Lucilium, xiv, 90, 3): Adario sottolinea e critica le conseguenze della proprietà nelle relazioni intersoggettive. Si vedano le sue considerazioni sulle vesti che, nella società civile, sono ostentazione di ricchezza e non espressione della persona. Abiti dorati, parrucche ed altri artefatti non manifestano ma occultano l'uomo nella sua corporeità, in quelle parti o proporzioni del corpo che, in particolare, possono rendere piú o meno desiderabile il commercio sessuale. Adario espone, con ingenuità libertina, i vantaggi della nudità.
Tutto ciò sfocia in una critica generale delle società[...]



da Carlo Ferdinando Russo, Dietro le quinte della parola in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]Gail D. LANZA La democrazia degli antichi e dei moderni di M. I. Finley. Il suddito e la scienza.
1973: G. VITELLI Il pupazzetto del Pasquali [lettera a Luigi Russo del 1926]
G. PASQUALI Gli studi di greco in Italia, 19001925 [1926] B. HEMMERDINGER Lampéduse et Vitelli. Le début de Thucydide. Proletarius/serous A. TRAINA Presenze antiche in Pascoli L. CANFORA Forme della tradizione storiografica R. RONCALI Partizione scenica della satira di Seneca M. VEGETTI Nascita dello scienziato C. F. Russo Primizie di poetica matematica S. TIMPANARO Giorgio Pasquali
Nelle 27 annate precedenti ALBERTI [a cura di E. Garin] AXELSON BIANCHI BANDINELLI BRELICH COMPARETTI DEVOTO DIANO EHRENBERG JACHMANN MAAS MARCHESI PASQUALI ROSTAGNI TERZAGHI TIMPANARO CARDINI VALGIMIGLI



da Giorgio Valgimigli, Concetto Marchesi, amico di casa Valgimigli in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]mi anni della sua vita trascorreva l'estate con noi a Vilminore. Nelle sue lente passeggiate con il babbo, quelle passeggiate dei vecchi che si interrompono ogni tre passi, Cazzaniga ricordava tutto di Messina. E sembrava fosse stato (e forse era veramente stato) l'anno piú bello della loro vita. « ... il Barbi, ti ricordi il Barbi?... e Marchesi? quella volta che lo accompagnaste tutti a fare l'esame di medicina legale e parlammo di Tacito e di Seneca e fini che gli diedi la lode... ».
Luigi Russo in un Ricordo di Concetto Marchesi (« l'Unità » 15257) parla dell'amicizia fra Marchesi e il sor Attilio, oste in Trastevere. Ed io potrei ricordare il sor Gino, oste toscano a Padova, dove per anni Marchesi prese i pasti quotidiani e dove molte volte con il babbo o anche da solo io fui attento commensale davanti al fiasco di ottimo Chianti. E potrei ricordare il suo tratto con la gente semplice, lo stradino, il portiere, il bidello del Liviano, Attilio Agostini che tanta parte ebbe nel periodo del rettorato tenuto sotto il tallone tedesco.
VAR[...]



da [Gli interventi] Gilbert Moget in Studi gramsciani

Brano: [...]oncepisce lo spirito umano come punto di partenza, la filosofia della prassi lo concepisce come una conquista e un punto di arrivo.

In Gramsci dunque, l’avversario non è negato, non è annientato, ma deve essere superato. Non si distruggono le filosofie del passato che costituiscono la storia del pensiero, la storia della cultura, e quando Bukharin chiama Platone « il maggiore filosofo fautore della schiavitù, reazionario ad oltranza », oppure Seneca « filosofo riccone », è come se non avesse detto nulla, anzi peggio. Non si devono negare le filosofie o i filosofi, nello stesso modo che non si possono distruggere le idee che si sono fatte senso comune, occorre superarle: Marx ha superato Hegel, il che vuol dire che Marx non è possibile se non con Hegel, cosi come Gramsci non è possibile senza Croce, il quale quasi « monopolizzava » la cultura italiana.

Comunque la lotta per l’egemonia cultura non è unilaterale, è un rapporto^ dialettico fra filosofia della prassi e avversari, nello stesso modo che ce un rapporto dialettico fra educator[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Seneca, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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