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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Sei è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 270Analitici , di cui in selezione 12 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]to nemmeno a un atto di fede.
« Settanta! Dice settanta! » Ogni rughetta del viso di César sprizzava allegria. « Settantacinque gradi, amico mio. Settantacinque come è vera che sono qui che ti parlo. Parola di César Borgne ».
« Troppi », disse seccamente Salomone. « Fino a sessanta, a sessantacinque può andare. Settanta é un'esagerazione. Non parliamo di settantacinque. Vuol dire bruciarsi le budella. Troppi. Ne bevo un sorso proprio perché ti sei ficcato in testa di voler festeggiare. Lo bevo perché un amico non lo si abbandona nei momenti difficili. Questo bicchiere e basta. No, non è bene abbandonare un amico nei momenti difficili. E così, eccomi qui che mi brucio le budella perché tu ti devi consolare di aver venduta il tuo prato ».
« Al diavolo », disse César Borgne senza più allegria. « Hai deciso di rovinarmi la festa ».
Per qualche tempo nessuno parlò. César, scrupolosamente imitato dal ragazzo Attilio, beveva a generose, ben intervallate sorsate; Salomone a sorsatine fitte accompagnate da smorfie di disgusto. Stavano come se[...]

[...].
«Torniamo pure al bicchiere », disse Salomone. Portò il bicchiere vicino agli occhi strabici, lo rigirò sulla punta delle dita, sorseggiò un altro po' di grappa. « Mettiamo che non esista un bicchiere uguale a questo. Per sapere se ho fatto un affare buono o cattivo non ho che un mezzo : provo a ricomperare il bicchiere che ti ho venduto ».
« Vorresti dire... ». César adesso sudava. Beveva, sudava e si tirava in dentro la punta del baffo.
« Sei in gamba, César. Hai già capito. Per sapere se hai fatto un affare buono o cattivo non hai che un mezzo : provare a ricomperare
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il tuo prato ». Il ragionamento chiudeva in modo così impeccabile che Salomone si sentì intelligente più di quanto già sapeva di esserlo. Si accorse che il suo bicchiere era quasi vuoto. Non ne fu contrariato. Se bere lo rendeva più intelligente, valeva la pena, una volta tanto, di bere. Scolò il resto della grappa e ruttò con soddisfazione.
« Ricomperare il mio prato? », disse César. « E impossibile ».
« Se le cose stanno così, vuol dire che [...]

[...]se che il suo bicchiere era quasi vuoto. Non ne fu contrariato. Se bere lo rendeva più intelligente, valeva la pena, una volta tanto, di bere. Scolò il resto della grappa e ruttò con soddisfazione.
« Ricomperare il mio prato? », disse César. « E impossibile ».
« Se le cose stanno così, vuol dire che ha fatto non un cattivo, ma un pessimo affare ».
« Non è questo che voglio dire. E che il prato l'ho venduto. Ho già firmato il compromesso ».
« Sei un bel tipo », disse Salomone. « Come potresti ricomperarlo se non lo avessi venduto? ». Rise. Anche il ragazzo Attilio rise. Teneva apertamente per Salomone. Poiché César era troppo impegnato a pensare, Salomone riempì il suo bicchiere e il proprio.
« E a me? », disse il ragazzo Attilio.
Salomone riempì anche il bicchiere del ragazzo Attilio. « In concreto », disse. « Vai a Biella da quel tuo Marconi, o Maltoni che sia, gli metti il mezzo milione sul tavolo e dici: `Vi dò indietro il vostro mezzo milione, voi mi date indietro il mio prato'. Quello è un industriale e i conti li sa fare. Se [...]

[...]retta non è una lepre. È una mucca ». Lasciò ricadere pesantemente il coperchio del cassone. Maledetto uomo. Mille volte maledetto. Aveva sempre un cavillo da tirar fuori al momento opportuno. Lo guidava come un burattino. Lo spingeva in un senso, lo tirava, a suo piacimento, nel senso opposto.
« Sai cosa? », disse Salomone. « Impiccala. Se l'impicchi non c'è né rumore né spargimento di sangue ».
César impallidì. Quando era bambino di cinque o sei anni, sua nonna, la madre di sua madre, era stata trovata appesa a una corda in solaio. Una crisi di malinconia, come se ne registrano, da queste parti, parecchie. Qualcuno s'impicca, altri si buttano nel fiume; ai più anziani basta il lavatoio. Volse gli occhi al soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda intorno al trave. Facile, facilissimo. Tuttavia esitava. Sperava ancora di scoprire un ostacolo per non farne niente.
92 GIOVANNI PIRELLI
«
Cos[...]

[...]
«Facciamo un bel corteo », disse César. Il freddo pungente gli infondeva nuovo vigore e cattiveria. « Tu, Salomone, monta sulla mucca. Tu, Attilio... aspetta, aspettate un momento. Salomone, prendi questa ». Passe, a Salomone la catena della mucca, spari nel vano dell'uscio di casa, ne riemerse dopo pochi istanti reggendo due padelle, di quelle con il manico lungo di legno che s'usano per arrostire le castagne sulla fiamma. « Ecco. Tu Attilio, sei la banda ». Gli mise le padelle, una per mano e disse: « Prova ».
« Non voglio », disse il ragazzo Attilio. « Non mi va ».
« Prova, fagiano ».
Controvoglia, debolmente, Attilio batté le padelle l'una contro l'altra. « Piú forte ».
« Non mi va ».
« Piú forte, ho detto ».
« È inutile, non mi va », disse cocciutamente Attilio.
« Cosi, fagiano! ». César gli si mise alle spalle, gli prese i polsi, gli allargò le braccia, gliele riunì con violenza. Ma Attilio aveva mollato la presa, le padelle finirono a terra e solo le sue mani sbatterono l'una contro l'altra.
« Ahi », fece Attilio, portan[...]

[...]resa, le padelle finirono a terra e solo le sue mani sbatterono l'una contro l'altra.
« Ahi », fece Attilio, portandosi le mani doloranti alla bocca. Quasi piangeva.
« E allora vattene », disse spazientito César. « Va a piangere in braccio a quella vacca di tua madre. Va, va. Salomone, a noi ». S'era già scordato del ragazzo Attilio. « Avanti, monta su ».
« Io? », disse Salomone, guardando la coda inquieta della bestia. « Io? ».
«Proprio tu. Sei il più anziano. La cavalcatura tocca al più anziano ».
« Mmonta tu », disse Salomone. Aveva la lingua impastata e le gambe tremolanti. « La mmucca è tua ».
«Di, non avrai paura? Alla tua età, paura di una _mucca! ».
« Nno », disse Salomone. « È la mmu, è la mmucca che ha paura ».
« Al diavolo », disse César scoraggiato. « Non ho mai conosciuto gente più fagiana di voi due ». Ma non si diede per vinto. « Allora, Attilio, monta tu sulla mucca. Sei leggerino. Sei un cavaliere ideale. E tu, Salomone, sei la banda. Vieni, Attilio, vieni ».
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Il ragazzo Attilio era ancora n,[...]

[...]il più anziano. La cavalcatura tocca al più anziano ».
« Mmonta tu », disse Salomone. Aveva la lingua impastata e le gambe tremolanti. « La mmucca è tua ».
«Di, non avrai paura? Alla tua età, paura di una _mucca! ».
« Nno », disse Salomone. « È la mmu, è la mmucca che ha paura ».
« Al diavolo », disse César scoraggiato. « Non ho mai conosciuto gente più fagiana di voi due ». Ma non si diede per vinto. « Allora, Attilio, monta tu sulla mucca. Sei leggerino. Sei un cavaliere ideale. E tu, Salomone, sei la banda. Vieni, Attilio, vieni ».
94 GIOVANNI PIRELLI
Il ragazzo Attilio era ancora n, le mani dolenti e intirizzite chiuse a pugno sulla bocca. « Non mi va », disse, muovendo all'indietro. « Non mi va di fare il cavaliere. Hai detto che io sono la banda ».
« Ho cambiato idea », disse César.
Attilio fece una giravolta sui tacchi ma scivolò sul ghiaccio finendo gattoni. César gli fu sopra, lo strinse nelle braccia, lo sollevò di peso, lo issò in groppa alla mucca.
« Cado, cado », gemette Attilio.
a Attaccati alle corna. Nessuno é ancora morto per aver cavalcato una mucca. Beh, Salomone,[...]

[...] sollevò, illuminò l'intero poligono della piazzetta con il lungo lavatoio in pietra, l'antico pioppo cipressino ac canto al campanile, la facciata della chiesa, le case schierate fra gli sbocchi dei vicoli.
Allora si udì la voce di Salomone. Era quasi nel mezzo della piazza, seduto sulla neve gelata e diceva: « Che chiaro di luna, che bellissimo chiaro di luna ». Era completamente svanito.
« Brava, brava Claretta », disse a sua volta César. « Sei una mucca
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in gamba. Ti faranno accademico del CAI ». Per Attilio nemmeno una parola. Lasciò che la mucca bevesse un paio di minuti, quindi ordinò: « Basta. Se ti gonfi come un'otre, chi ti porta piú su? ».
« Non lo fare, César, non lo fare », supplicò il ragazzo Attilio, sollevandosi fino a mettersi in ginocchio. Non aveva la più pallida idea sulle intenzioni di César. César aveva intenzioni e tanto bastava per terrorizzare Attilio. « Torniamo a casa, ti prego, andiamo a letto a.
« Vacci tu », disse Cesar. « Va a farti una s... ».
IX
Il campanile ha una porta che dà [...]

[...]espicare e rompersi una gamba. La mucca, infatti, una volta infilatasi in quel budello oscuro, sembrava avere un unico pensiero: uscirne. Aveva il fiato grosso, ansimava, procedeva a strappi, eppure non si fermava.
« In giù non andrà, te lo dico io », si lamentò il ragazzo Attilio.
« In ggiù! In ggiù! », rise Salomone. E indicò la corda della campana.
« Non é vero », si lamentò il ragazzo Attilio. « Non ci credo. César non lo farà ».
«Quando sei sbronzo sei intelligente », disse César a Salomone. Ma aveva dispetto che Salomone avesse indovinato il suo piano. « E poi, dimmi, poi che si fa? ».
« Poi, poi, poi », canticchiò Salomone.
« Vedi, non sai niente. Oh, oh Claretta, oh » disse César dando la voce alla mucca che procedeva sempre più a strappi. Se si rompeva
98 GIOVANNI PIRELLI
una gamba, guastava tutto. « Poi si suona a martello. Compito tuo, Salomone. Tutto ciò che è rumore è compito tuo ».
« Non ci credo », disse il ragazzo Attilio. « Fate i furbi. Io so che fate i furbi ».
« Quando tutto il paese è riunito », seguitò César, « caliam[...]

[...]RATI 105
Tra campanile e piazzetta c'era ormai tutto il paese; come, sul litorale, tutt'un paese di pescatori quando c'è in mare una barca sorpresa dalla burrasca. Mancavano alcuni vecchi di quelli che non escono più, alcuni ammalati. Mancava Augusta, la levatrice, e un paio di donne corse sin dal primo allarme in casa di César per trattenervi, con storie e pretesti, la moglie e le bimbe. Specialmente la moglie, povera deana, che era incinta di sei mesi.
XII
La campana taceva e César non gridava più. Sapeva, adesso, di dover morire. Tra poco si sarebbe voltato a guardare giù. Allora le sue mani avrebbero abbandonato la presa. Non si era ancora voltato ma sentiva un brusio di voci montare dalla piazza. Sapeva cosa significava. Significava che tutto il paese era li ad assistere alla sua morte, che l'attendeva. Perciò gli toccava morire. Al mattino di quello stesso giorno era ad Aosta, nello studio del dottore commercialista, e firmava il compromesso per la vendita del prato; a mezzoggiorno era in un'osteria a far chiacchiere con i cugin[...]

[...] salire davanti alla mucca? Certo. Bastava dirglielo. Invece a Salomone capitavano tutte le fortune. A che scopo? Per morire ottantenne nel suo letto, solo come un cane, con un patrimonio di prati e di mucche che non sapeva a chi lasciare? Non si diceva, in paese, che Salomone era iettatore? Lo era, lo era. Diceva: `Vedete questa bottiglia piena di grappa? Ebbene, è vuota'. E la bottiglia era vuota. `Ne hai un'altra?', diceva `Se ne hai un'altra sei a posto'. Nemmeno il tempo di dirlo che l'altra bottiglia finiva a terra in frantumi. Quel Maltoni, industriale di Biella, non poteva mettere gli occhi sul prato di Salomone, proprio accanto e quasi identico al suo? Nossignori, ignorava il prato di Salomone Croux e insisteva, insisteva, aumentava la cifra, la raddoppiava, la triplicava finché César Borgne mollava, vendeva il suo prato. Torna dall'aver firmato il compromesso: con chi si scontra proprio davanti
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all'uscio di casa? Con Salomone Croux. Non lo aveva nemmeno riconosciuto perché annottava e Salomone aveva la sc[...]

[...]sloggiare la paura. Tornava ad essere l'uomo diffidente e calcolatore di sempre. « Io te lo avevo detto di non fare pazzie. Ti avevo detto che finiva male ».
« Male. Oh si. Male », si lamentò César. « Bevi, Salomone, bevi alla salvezza della mia povera anima ». Apri un occhio. « Bevi, ti dico ».
Salomone non poté fare a meno di portare la bottiglia alle labbra. Il solo odore della grappa lo nauseava. « Su, bevi », disse César. « Ancora. Bravo. Sei un amico. Adesso fa bere me ». Bevve e disse: « Anche tu, Attilio, povero ragazzo, bevi anche tu ». Attilio scoppiò in singhiozzi. « Bevi, fagiano ». Attilio bevve un sorso e all'istante vomitò. « Su, fatemi bere. Ah, amici miei, chi lo avrebbe mai detto? ».
Fu portato il fazzoletto pulito. Luigino Brunod se lo fece dare e si chinò su César per pulirgli la bocca. César, con un gesto della mano, lo respinse. Disse: « Salomone ».
«Si?».
« Hanno ammazzato la mia mucca? ».
« Si ».
« Non dovevano. Non dovevano ammazzare la mia mucca. Povera moglie mia. Senza uomo. Senza prato. Senza mucca ». [...]

[...]ché il danaro a me? », disse Salomone.
« Bevi, Salomone, bevi. Tu fingi di bere. Tu non bevi. Oh, bravo. Quel prato, sai?, che mi volevi dare, sai? Ci ho ripensato ».
«Quale prato? ».
« Quello sotto il canale, accanto al mio. L'altro no, non è un buon prato. Per quello accanto al mio ti dò quattrocentomila. Te li dò in contanti, subito ».
« Impossibile », disse Salomone. « Per quella cifra posso darti il prato sopra il canale. Proprio perché sei tu che me lo chiedi ».
« Ah », si lamentò César. « Ah, la mia schiena ». Fece un'orribile smorfia. « Da bere ». Bevve e scosse la testa. « L'altro no, non è un buon prato, no. Per il prato accanto al mio, quattrocentomila in contanti. Non sarai come l'industriale di Biella, vero ? Non sarai così crudele... ». Aveva alzato la voce. Tossi. Tossendo fece ancora quell'orribile smorfia.
« Impossibile. Impossibile », disse Salomone. « Quel prato, a dire poco, ne vale seicentomila ».
« Seicentomila », si lamentò César. « Hai sentito, Attilio? Prende per il collo un moribondo. Vuole seicentomila »[...]

[...]i ».
« Ah », si lamentò César. « Ah, la mia schiena ». Fece un'orribile smorfia. « Da bere ». Bevve e scosse la testa. « L'altro no, non è un buon prato, no. Per il prato accanto al mio, quattrocentomila in contanti. Non sarai come l'industriale di Biella, vero ? Non sarai così crudele... ». Aveva alzato la voce. Tossi. Tossendo fece ancora quell'orribile smorfia.
« Impossibile. Impossibile », disse Salomone. « Quel prato, a dire poco, ne vale seicentomila ».
« Seicentomila », si lamentò César. « Hai sentito, Attilio? Prende per il collo un moribondo. Vuole seicentomila ».
«Seicentomila », piagnucolò il ragazzo Attilio. Si volse alla cerchia di coloro che assistevano in silenzio e disse, come chiedendo aiuto : « Vuole seicentomila. Prende per il collo un moribondo ». Un mormorio ostile fece eco all'implorazione di Attilio.
« Facciamo cinquecento e ottanta », disse indispettito Salomone.
« Ahi, ahi », si lamentò César con voce straziante. « Salomone? Sei li? Ahi la mia schiena. Ahi. Facciamo settecentomila dei due prati. Settecentomila in contanti. È un affare, Salomone. Sei fortunato. Settecentomila non te le sognavi nemmeno... ».
Due prati? Io devo dare due prati? Perché devo dare due prati? Se si è ridotto così », disse, volgendosi intorno, « la colpa è sua. Tutta
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GIOVANNI PIRELLI

sua. Perché devo rimetterci io? ». Non incontrò che volti chiusi, sguardi nemici. « Perché », gridò in uno scatto d'ira, « non date voi i vostri. prati? Perché devo darli io? Ve li paga, non avete sentito?, ve li paga in contanti. Avanti, perché non gli fate una offerta? ».
Nessuno parlò. Se qualcuno fece una mossa, fu per ritrarsi, per defilarsi dietro le spalle di [...]

[...]n contanti. Avanti, perché non gli fate una offerta? ».
Nessuno parlò. Se qualcuno fece una mossa, fu per ritrarsi, per defilarsi dietro le spalle di un altro. Se c'era chi doveva accontentare il povero César, chi doveva rinunciare a un prato, era giusto fosse Salomone Croux. Se non altro perché era antipatico.
« Non parliamone più », disse César. « Bevi, Salomone. Bevi e non parliamone più. Attilio, vieni ragazzo, vieni vicino a me. Bravo. Tu sei bravo. Adesso metti la mano sotto la giacca. Trovato? Tira, tira fuori ».
La mano tremante del ragazzo Attilio estrasse da sotto la giacca di César un pacco di banconote ancora legato con lo spago. Erano banconote da diecimila tutte nuove fiammanti. Era un grosso pacco. Un mormorio di stupore corse fra i paesani. Salomone Croux spalancò gli occhi. Settecentomila? Di più? Più di settecentomila?
César disse: «Ragazzo, porta questo pacco a mia moglie. Le dirai che comperi prati e mucche. Comperi da chi le pare, non da Salomone Croux. Capito bene? Nemmeno se Salomone le dà prati e mucche per qu[...]

[...]azzo Attilio con un nuovo scroscio di singhiozzi.
« E smettila di piangere, fagiano », disse César.
« César », disse Salomone. Si sentiva maledettamente solo e infelice. Avrebbe avuto bisogno di tutta la freddezza e l'astuzia di cui solitamente disponeva, ma il supplemento di grappa che era stato costretto a bere gli stagnava nella testa come fango. « Ragiona, César. Non posso dare via due prati. Non darei via nessun prato. Se tratto, é perché sei. tu, perché tu, poveretto... ».
« Ottocentomila », disse César.
« Novecento. Per novecento te li do. Hai vinto, vedi? Per novecento ti dò due prati. Sei contento adesso? ».
Sta bene novecento », disse César. ' « Per novecentomila in contanti, i due prati più una mucca e una manza dalla tua stalla. Su, Attilio, contagli sul naso novecentomila lire. Ahi. Ahi la mia schiena. Fa presto, Attilio...».
« No!, no! », disse Salomone. « Non posso. E un ricatto. Non posso ».
QUESTIONE DI PRATI 1=1
César Borgne ebbe un colpo di tosse. « Muoio », disse. « Mia moglie. Dov'è mia moglie? Povera donna, sola con quattro creature e una in seno ». La commozione gli sali alla gola. Poiché detestava i sentimenti, s'incattivì. « Chiamatela. Glielo voglio dire i[...]

[...]i fu una lunga pausa mentre il ragazzo Attilio ricontava il denaro. « Mi sono lasciato prendere per il collo », si lamentava Salomone la mano ancora premuta sul cranio come uno che abbia preso una botta in testa e tema di prenderne altre. « Per il collo, per il collo ». Quando Attilio ebbe finito di contare, Salomone cessò di lamentarsi. « E quelle? », disse. Aveva preso il malloppo delle banconote ma si era accorto che Attilio ne aveva cinque o sei ancora in mano. « E quelle? ». Poteva rassegnarsi al fatto di aver concluso un cattivo affare. Poteva giustificarsi dicendo di averlo fatto per pietà. Ma che César, ad affare con
112 GIOVANNI PIRELLI
cluso, avanzasse ancora soldi, era una truffa, una truffa intollerabile. «E quelle? a, gridò.
César apri un occhio, fece una smorfia, puntò i gomiti sulla neve, apri l'altro occhio, sollevò il busto. «Avaro», disse. Raccolse le ginocchia, vi spostò sopra il peso del bacino e del busto. « Avaro », ripeté. « Avaro, avaro, avaro », disse con voce sempre più forte, levandosi in piedi. «E il funera[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte seconda: Dichiarazione sull'operato della polizia in Orgosolo [testimoni Maria Antonia Filindeu (27 anni), Maria Antonia Rubano (21 anni), Teresa Piras fu Pietro(70 anni), Giovanna Vedele di Carlo in Sini(60 anni), Maria Corbeddu di Giuseppe e di Corrias Maria (49 anni),Maria Floris in Menneas(52 anni),Giuseppina Fogu in Murgia(43 anni), Pietro Sorighe fu Giuseppe(72 anni),Giuseppe Moscau fu Andrea(45 anni,pastore),Natale Davoli fu Leopoldo(48 anni,bracciant... in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]tre ritornava in paese con le pecore. Era rientrato appena in casa e lo arrestano. Lo accusano di essere il « cugino di Pasquale Tanteddu ». Lo tengono un mese in cella a Nuoro. Poi alla Commissione di confino: 3 anni. Un anno glie lo hanno tolto con l'Appello. Ritorna appena, ed il 28 dicembre 1953 in paese uccidono a Demurto Francesco. Fanno una battuta i carabinieri. Mio fratello stava in campagna e lo arrestano : « Non hai fatto niente... Ma sei il cugino di Pasquale Tanteddu ». Lo portano a Nuoro, lo tengono un mese in cella. Poi alla Commissione di confino : 5 anni, ad Ustica.
PI una rovina. A noi, a me e mia sorella ci hanno rovinato. Dovevamo pagare 100 mila lire per gli avvocati e poi spese di viaggio, e pacchi. Ne abbiamo date 30 mila con i sacrifici che sappiamo, perché non ne abbiamo in piú. E intanto dobbiamo tirare avanti: i sacrifici che facciamo non li diciamo, perché la famiglia non deve avere dispiaceri in più. Siamo demoralizzate. Tutta la nostra famiglia é stata distrutta, completamente. Primo: mio fratello, poi: mia[...]

[...]ella mia famiglia.
Mio figlio Fedele, 25 anni, la prima volta fu cercato il 15 di febbraio 1954 dicendo che era appoggiatore di banditi solo perché vicino di casa a Tanteddu, senza che si conoscevano. Il 26 non si era presentato. Allora i carabinieri vengono e prendono un altro fratello, Giuseppe, di 20 anni. Era servo. Sono andati a prenderlo all'ovile, dal padrone. Lo portano nel paese, poi a Nuoro, e lo hanno tenuto al carcere otto giorni. « Sei fratello del latitante ». Non sapeva niente. Lo hanno rilasciato. E dopo venti giorni vengono a casa a prendere me, la madre. Vengo in casa e trovo l'avviso della Questura. « Che c'è? ». « Ti vogliono parlare ». Vado là e mi hanno preso senza una parola. Mi portano al carcere a Nuoro. Non mi hanno lasciato neppure avvisare la famiglia. È rimasta sola una mia figliuccia di tre anni. « Siete la madre del latitante » dicevano. Mi hanno tenuta 32 giorni. Poi mi hanno passata alla Commissione di confino perché non facevo la spia al mio caro figlio. Mi hanno dato due anni per ammonita.
Il giorno c[...]

[...]. È un vecchio di 73 anni ed all'ovile ha lasciate sole 150 capre. E hanno preso pure il nostro bam
INCHIESTA SU ORGOSOLO 185
bino, Andrea, di 13 anni. « Siete il padre e il fratello del latitante ». Poi li hanno rilasciati dopo otto giorni che era a Nuoro.
Vengono a casa lo stesso giorno e prendono mio figlio Giuseppe, un'altra volta. Il 14 marzo, mentre stava a presentarsi per il servizio militare, lo arrestano sul postale, dicendogli: « Tu sei il fratello del latitante ». Tenuto un mese lo passano alla Commissione di confino. E gli hanno dato due anni di ammonizione.
Allora il fratello Fedele, mentre era in carcere Giuseppe, si é costituito. Prendevano tutta la famiglia, piccoli e grandi. Un commissario che metteva il bollo veniva in buon umore e mi dice che prendeva tutti, anche la bambina di 3 anni. Presentato Fedele il 31 di maggio 1954 lo hanno messo ° un mese in carcere e lo hanno passato alla Commissione di confino. Due anni di confino — lo ho saputo oggi — e non sappiamo dove!
Tutti abbiamo provato che é il carcere. Per ta[...]

[...], Menneas Giuseppe, 1927, e Menneas Domenico, 1929. Per colpa dei carabinieri li ho come persi tutti e due. Almeno sino a che non mi sarà tolta tanta ingiustizia.
186 FRANCO CAGNETTA
Dunque, Giuseppe il 26 novembre 1953, giorno della morte dell'ingegner Capra, era in campagna in località « Costa 'e turris » a pascolare. All'alba, due ore prima di succedere il conflitto vanno i carabinieri, lo prendono e lo legano. « Perché stai qui e non te ne sei andato prima? ». « Non ne ho nessun motivo ». Esce il conflitto. Il padre stava in « Viriddi » a guidare i maiali con l'altro bambino, del 1934, Onorato. Passano i carabinieri e arrestano a tutti. Il padre ha saputo che il nostro Giuseppe era stato il primo e innocente. Li mandano a Nuoro e gli fanno fare 20 giorni. Poi lo lasciano, senza verbale. Il verbale se lo hanno fatto dopo, come piaceva a loro.
Prendono a Giuseppe: « Tu sei pregiudicato. Ci hai una condanna per tassa del carro agricolo ». « Nossignore ». « E anche un paio di binocoli abusivi ». « Non è vero! ». « Taci! ». Mettono a verbale. Giuseppe si spaventa. Vado io dal Commissario: « Per la contravvenzione si deve trattare di Menneas Giuseppe di Pietro ma la madre è Vedele Carola non Floris Maria, sottoscritta. È un suo cugino di Mamojada... ». «Beh, può essere ». «E i binocoli? ». Vado e mi metto a cercare. Il giorno dopo ritorno. « I binocoli non sono i nostri. Si tratta di Menneas Giuseppe di Nicole) non di Pietro. E di Devaddis Carola non Floris Maria, [...]

[...]. « Aspettate. Non avrà niente. È di buona condotta ». Si fa la Commissione.
Che è, e non è? In verbale c'erano i binocoli. «È un errore, è un errore, state tranquilla ». Gli hanno dato 3 anni di confino ad Ustica.
È un'impostura. Si hanno dimenticato di cancellare.
Domenico lo avverte invece la pubblica sicurezza. Va alla Giustizia. Era il 28 di febbraio 1954. Due giorni prima avevano ammazzato a Buscarino, l'industriale. Va, e gli dicono: « Sei fratello di un delinquente. Ti daremo due anni di ammonizione ». Lo portano alla commissione. Qui gli danno un anno di confino. Senza nessuna colpa. Fratello di un delinquente? Chi ci aveva a dire? Hanno scaricato sulle nostre spalle, senza averci nessuna colpa. Le cose sono mal fatte ad Orgosolo, non c'è da dire che sono fatte bene. Ma deve pagarle chi non le fa?
INCHIESTA SU ORGOSOLO 187
Che succede? Menneas Giuseppe lo arrestano perché si stancano a cancellare e Menneas Domenico perché é fratello di Giuseppe. Li ho persi dal lavoro senza far male a nessuno. Io e mio marito siamo sposati [...]

[...]rovano prima a mio figlio Maureddu di 15 anni: « Alzati. Tuo padre dobbiamo prenderlo e sep
188 FRANCO CAGNETTA
pellirlo alla galera ». Dicevano che gli voleva parlare il Commissario, ma senza imputazioni. Lo prendono e lo portano subito alla caserma. Con Muscau Giuseppe e l'ex fidanzata di Tanteddu, Mariantonia Rubano. La prima cosa che gli chiedono é se è il segretario del P. C. I. « Sissignore ». Allora gli hanno detto subito : « Per questo sei appoggiatore di banditi, ricattatore, fomentatore di scioperi, disposto alla rapina, capace di uccisioni ». Mio marito é un galantuomo. Ha fatto solo il confino, e sempre per politica. Avevano paura che uscisse subito perché non ha mai fatto niente. Allora lo hanno imputato di sette carichi, una per ogni anno che era stato il segretario del partito. Quattro volte lo avevano arrestato :
1) per rapina, assolto
2) per confino, 2 anni
3) per confino, 3 anni (fatti due).
Ora al confino per due anni. Ad Ustica. La colpa è di essere comunista. E comunista io e due figli di 15 e 12 anni. Un terzo[...]

[...]Uno ne pigliano e, ingiustamente lo condannano, dieci capiscono come stantio le cose. Lavorano per noi. Perché noi stiamo con la vera giustizia, lottiamo e lotteremo. Sparendo l'ingiustizia spariranno i delitti, il banditismo ».
8
SORIGHE PIETRO fu Giuseppe, di anni 72:
« Di tre miei figli vi racconto il calvario.
Antonio, pastore, di anni 33, il 1947 è imputato per una rapina che non ha fatto contro uno di Mamojada da un proprietario di Lanusei. Lo arrestano, lo processano e gli danno sei anni di carcere. Si fa tutti i carceri di Lanusei, Cagliari, Civitavecchia, Asinara. Rilasciato, il 26 dicembre 1953, torna in paese e se ne va in campagna. Per il solo fatto
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della condanna precedente, gli dicono subito, infamemente, che é appoggiatore di banditi. Me lo arrestano di nuovo, senza accusa precisa: i mese di carcere a Nuoro, 1 anno di confino a Terraferma. È la prima croce.
Raimondo, pastore, di anni 23, incensurato. Aveva 21 anni la prima volta che lo prendevano perché soltanto stava in campagna — dopo il fatto del fratello — e infamemente lo accusano di appoggiatore di banditi : 3 mesi di carcere, [...]

[...]che vogliono? ». Più di cinquanta metri non erano: non voglio esagerare. Stavo li, come si può pensare, e dall'altra parte della strada un fregio di carabiniere, un cristo armato. « Questo ha paura. Chi sa che cosa mi fa » ho pensato. E avevo, anche, una giubba di velluto troppo chiara, un buon bersaglio. Quando ho visto dietro al carabiniere tanti animalacci di uomini ho pensato: « Carabinieri! bisogna salutarli ». Mi alzo e a poca distanza, di sei o sette metri, dico: « Buonasera! ». A quella voce il carabiniere si gira e mi mette il mitra sul petto: «Fermo! » dice. Porco di un cane: tenevo i pantaloni nelle mani e gli ho detto: « Piú fermo di così non si può stare ». « Che state facendo? ». Beh, di qui non si discute: « A cacare », gli ho detto. « A cacare, dice, mani in alto! eri nascosto ». « Nossignore, non ero nascosto ». « E allora perché stavi 11? ». « Per la decenza, e per non sporcare la strada che mi faccio ogni giorno ». « Mani in alto, dice (ero sempre a mani in alto coi pantaloni in basso e lo strumento in faccia a loro ch[...]

[...]può stare ». « Che state facendo? ». Beh, di qui non si discute: « A cacare », gli ho detto. « A cacare, dice, mani in alto! eri nascosto ». « Nossignore, non ero nascosto ». « E allora perché stavi 11? ». « Per la decenza, e per non sporcare la strada che mi faccio ogni giorno ». « Mani in alto, dice (ero sempre a mani in alto coi pantaloni in basso e lo strumento in faccia a loro che prendeva aria) puoi ringraziare il cielo che a quest'ora non sei morto ». «E perché? Vi debbo qualche cosa? Io vi ho detto solo buonasera. E non mi avete
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neppure intimato il fermo ». « In tutti i modi — dice il carabiniere — tu puoi fare il conto che sei morto. Perché io ho tirato per ucciderti. Si é inceppato il mitra ». E me lo ha fatto vedere. Allora, porco iddio, ci siamo attaccati. « A tutti gli orgolesi può capitare così. Mi avevate ammazzato, fatto a grattuggia col mitra, buttato nelle frasche, e poi dicevate che sono i latitanti ». Se ne sono andati senza chiedere il nome. E mi hanno lasciato così, in fretta e in furia. Che portino almeno dei carabinieri seri, alti .e grossi, e non di quelle burbe che tremano solo a vedere l'ombra che caca e sono così composti che (se non piangessimo per loro) ci fanno ridere ».
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GARIPPA LUIGI di [...]

[...]sa una sera, stanco, ero entrato al bar Supramonte. Entra un brigadiere: « Prendi a bere ». Lui aveva bevuto. Mi offre e continua a bere. A un tratto se ne é andato.
Esco anch'io e vado a casa. In casa mi resto con Muscau Angelino e Crisantu Giovanni. Un altro mio compagno, Floris Giuseppe, incontra il brigadiere in strada. « Dove é quello che gli ho dato da bere ». « In casa sua ». « Andiamo, andiamo a cercarlo ». Vengono in casa e chiamano: « Sei tu Garippa ? ». « Si ». Allora mi ha dato uno schiaffo. Io gli ho detto: « Scusa, brigadiere, fermo, io lo ho offeso a lei? ». Mi ha detto: « Stai zitto cretino. Sei un orgolese e così un delinquente » — la solita parola di un brigadiere — « ed io che ti ho pagato pure da bere! ». Io sono incensurato, un onesto lavoratore. E non ho mai avuto a che fare con la giustizia. Siamo andati per la strada sino alla bettola di Canavedda io sempre dicendo: « Ma scusa, lo ho offeso io? » e lui: « Stai zitto cretino. Ed io che ti ho pagato pure per bere. Sei un orgolese e così un delinquente ». Allora, sentito questo tre o quattro carabinieri mi hanno circondato sulla strada, e stavano per battermi. Me la sono vista brutta. Ma sono riuscito a scappare.
Vado in questura per denunciare il fatto e lo ho detto al commissario. Mi ha fatto. « Quel brigadiere era ubriaco. Adesso lo arrangio io ». Non gli ha fatto niente. Non ha fatto neanche il verbale ».
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MONARI EMILIO di Carlo, bracciante, di anni 19:
« Stavo lavorando in località « Nabrushé » in marzo quando sono passati cinque carabinieri. All'improvviso mi hanno chiamato:[...]

[...] come è stato e quello che poi mi sta venendo.
Mi trovavo in zona di Tempio il 5 ottobhe 1952 per comprare qualche branco di maiali, passavo stanco da Ozieri e seguiva coi maiali mio fratello Giuseppe, quando a 60 km. da dove stavo; sulla strada PattadaOzieri, fermano delle corriere e gli hanno fatto una rapina. Un carabiniere ed un agente in borghese fermano mio fratello e gli domandano: « Che ne sai della rapina ? ». « Niente ». « Non é vero. Sei un orgolese e per obbligo sai tutto ». Doveva sapere come quelle donne pedicure che si mettono a fare l'indovine. Basta. Non lo hanno potuto incriminare e, presto presto, lo rilasciano. Io stavo ora all'albergo: vengono a trovarmi e mi fanno le stesse domande. «Io non so nulla ». Mi prendono otto giorni nel carcere di Ozieri, mi tengono senza mangiare, mi danno lavoro con tre o quattro interrogatori al giorno; poi al carcere di Sassari quindici giorni, a riposare. Non avevo nessun precedente penale. Si informano coi telegrammi: qualche piccola contravvenzione, venti o venticinque anni fa, man[...]

[...]amente un diecimila lire con tanto lavoro. Sto ad Orgosolo ma lavoro a provincia di Sassari: qui ho il bestiame a ingrasso. Chiedo il permesso di andare là alla Questura di Orgosolo e mi dicono: « Per te comanda Sassari. Il commissario di Orgosolo ha scritto a Nuoro e il Questore ha saputo che tu dipendi da Sassari. Non possiamo fare nulla ». Scrivo a Sassari, in carta bollata — quanti soldi sudati — e mi rispondono: « Di te non ci interessa. Tu sei di Orgosolo e sono loro che ti devono guardare. Piuttosto dicano e si accusino che si sono sbagliati ». Così il giudice Masula. Chiedo a febbraio un permesso per andare a vedere i porci miei, e questi, senza commuoversi, me l'hanno rifiutato. Per questo solo ho perduto 150 mila lire, che avevo a venderli, e può giurarlo un negoziante che li acquistava, Melis Antonio di Salargios. Rifaccio la domanda in carta da bollo e me l'hanno rifiutato. Avevo una cavalla in prossimità di SassariPattada, S. Nicolò, e mi hanno negato pure di andare a trovarla, ossia fare una visitina. La cavalla, soletta, s[...]

[...]fficiale se ne é andato. Il 3 di aprile l'ufficiale giudiziale di Orgosolo, Puligheddu, raduna 2 carabinieri e la guardia comunale Tessoni, ora uccisa. Mi chiamano in casa mentre stavo a bermi un bicchierino di vino con un compagno. mio, un certo Bassu. « Entrate, — ho detto all'uso orgolese — bevete con noi ». «Altro che bere! Noi non vogliamo entrare: vogliamo i tuoi maiali ». «I maiali non sono i miei, son di Giuseppe, il mio fratello ». « Tu sei un imbecille! ». « Imbecille sarai tu. E non lo dire in casa mia. Se volete prendetemi, ma i maiali non ci sono ». La stalla era chiusa, e non avevo neppure la chiave. Hanno pigliato a gridare e
Tessoni sfodera una pistola, a 9 colpi: « Si nun fudi stadu gai », dice. « Se non fossi a casa tua ti avrei sparato ». Sfodera la rivoltella e allora io scappo subito in caserma, a denunziarlo.
Il maresciallo voleva dare tutta la ragione a Tessoni: io contavo e non voleva sentire. Quel maresciallo (se lei lo vuole lo mette) é sempre imbriago. Andiamo in casa e Puligheddu va a chiamare il nostro sind[...]

[...]esta parola non la dire) perché é venuto in casa mia e ha tirato fuori la pistola ». Chiama l'esattore Puligheddu e gli dice: « A Mereu lo perdoni? ». «Non ci ho niente da perdonare. Non ha fatto niente ». « Maresciallo, perché fa così », dico io. « Faccia il capostazione, e basta ». Il capostazione dei carabinieri, naturalmente. Come dovevo dire? «Io so tutto ad Orgosolo — dice allora il maresciallo. — Sono 4 giorni che sto ad Orgosolo e so che sei un delinquente, un assassino ». Basta. Penso di prendere il postale per Nuoro, per andare a denunziarlo, ma perché sono ammonito mi ci "vuole un permessino. Volevo andare a Nuoro, al Questore, perché ad Orgosolo la mia denuncia non partiva. Erano le 11. Me lo hanno negato.
Così finisce la prima parte del fatticino.
Verso le 11, il 3 di aprile, dicevo, appena tornato stavo in casa mia e sento che si gridava: « Mereu! Mereu! ». Stavo a dormire giá con mio fratello a terra e lui era ammalato. Ho capito che era per
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una vendetta, forse di chi stava in caserma. Mi sono alzat[...]

[...]in terra : « Giuseppe, alzati! Io ho paura. Esci fuori e vedi chi sono. Io non so chi é venuto ». Mio fratello si leva, apre la porta e: «Mani in alto! » gli fanno. Eccolo a mani in alto e i carabinieri in casa. « Sono io Mereu Giuseppe ». E stavo anch'io in un angolo, senza scarpe. «No. Vogliamo quello ». E mi hanno detto che mi prendevano scalzo, senza scarpe. « Abbiate un poco di pazienza. Che mi metto le scarpe almeno ». « No! ». Mi prendono sei carabinieri armati e mi portano in caserma. Quando ero in caserma c'erano almeno 30, 40 carabinieri armati. Sembrava che avevano trovato quello che ammazza in Orgosolo. Ed ero io, invece. Il maresciallo mi sembrava ancora mezzo succo e al momenta di parlare non attaccava una parola. Si alza in piedi e mi dice a bocca aperta: ((Ti mangio! Ti mangio! Sei tu che hai ammazzato tutti in Orgosolo, assassino. Ho saputo tutto. Sei tu, sanguinario, criminale! ». Io gli ho risposto: «Non ho ammazzato mai a nessuno ». « La guardia Tessoni é stata morta alle 11, stamattina ». « E alle 11 io stavo a chiedervi il permesso per andare a Nuoro ». Mi hanno mandato in camera di sicurezza e mi hanno fatto vedere spuntare il giorno 4 volte. Mio fratello era andato a parlare ed a dire che stavo in casa tutto il giorno. « E noi gli diamo l'ergastolo. Ed a te pure ». « Se aveva ucciso era latitante, e non in
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casa ». « Guarda che baffi grossi che ho — dice il maresciallo. — Ci ho dei baffi così grossi che ti[...]

[...] Il giudice Garedda mi ha fatto dire tutto quello che é successo in parole, poi si mette a scrivere e a raccontare quanto ho detto. « Guardate, giudice, non fate una ingiustizia contro di me. Sono innocente! Lo sanno tutti a Orgosolo e lo ha detto la madre del Tessoni ». Il giudice mi ha detto: « Io non ti tiro in inganno » ed era serio, senza voce, non come il maresciallo che gridava, che dava in pugni. Ha letto quanto ha scritto e domandava: « Sei contento? ». « Si, sono contento ». E allora ha detto: « Pensateci su per firmare ». Era stanco e dopo un sonno poco dopo é tornato con altre due persone. « Lo volete rileggere? E se volete poi, firmate ». « No — ho detto — ho visto la vostra maniera e mi basta. Non mi ingannate certamente. E voi non siete come il maresciallo ».
Nel verbale questo aveva messo un bugia, che avevo minacciato Tessoni. «E vero che avete minacciato, durante il sequestro dei porci? ». « Nossignore » gli ho detto e dopo, ancora : « Non mi lasciate ora 2 anni in carcere prima della sentenza. Voi sapete che di Orgoso[...]

[...] » gli ho detto e dopo, ancora : « Non mi lasciate ora 2 anni in carcere prima della sentenza. Voi sapete che di Orgosolo sono piene le carceri. E si aspetta a volte un anno, due anni: innocente ». Il giudice aveva già capito che ero innocente: era troppo pratico, intelligente.
Poi é andato ad Orgosolo, ha raccolto le testimonianze, e il giorno dopo é venuta, subito, la scarcerazione. L'avvocato che mi ha difeso non mi ha preso un solo soldo: « Sei un innocente ». Ma ad Orgosolo per fatti come il mio ce ne stanno dentro con 25, 30 anni. Basta un maresciallo cattivo, che pensa : « Orgolese. E così delinquente », vendicativo.
Ed ecco quello che noi orgolesi, passiamo di ingiustizie ».
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22 maggio 1954:
« CARTA GONARIO fu Pietro di anni 24 espone quanto segue: Il giorno 22 corrente mese mi trovavo in località "Monteraso" poco distante dal paese assieme ad un vicino di casa Luppu Raimondo di Giuseppe, andati per mangiarci fave e riposarci e dare attenzione. Circa le ore 16 passava la pattuglia dei carabinieri, ci c[...]

[...] é a Ustica: rovinato lui ed io, il padre.
Se era colpevole dovevano punire pure me, come lui. Stavamo insieme in quel momento. Perché io non ho fatto niente e lui si?
Non si deve poter stare tranquilli nella propria casa; e non si deve andare onestamente a lavorare in campagna! Così, pare, che vogliono.
E questa si chiama giustizia a terra di Orgosolo! ».
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« Mi chiamo PASQUALE MESINA di Antonio nato ad Orgosolo il 30 di gennaio 1939 e da sei anni faccio il pastorello al Supramonte. Perché devo guardare le pecore di famiglia non sono potuto andare a scuola che due o tre mesi e non so scrivere: per questo detto quello che mi é avvenuto ad Orgosolo il 1° di gennaio 1954. Partivamo in campagna di notte verso le 5 io ed il piccolo compagno Mancone Pasquale di Santino, quando arrivati alla periferia del paese, in località su 'unzaiddu i carabinieri ci hanno subito fermato. Faceva freddo e a terra stavano tre pastori a braccia in alto e senza cappotto : Pisano Pasquale, Podda Narciso, e Castangia Graziano. I carabinieri erano tanti come[...]

[...] subito a scappare.
Io mi firmo e sono
Mesina Pasquale di Antonio di anni 14 ».
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PODDA NARCISO di Antonio, pastore, di anni 27:
« Il primo dell'anno andavo in campagna sulle 4 e mezza. Sono stato il primo a giungere all'uscita del paese ed a trovare i carabinieri. Ce n'erano due. Mi hanno subito gridato : « Mani in alto! », con il mitra. Poi mi hanno messo, senza giustificarlo, i ferri ai polsi. Avevo un cappotto buono, quasi nuovo. « Non sei degno di portare un cappotto », dice un çarabiniere. Ma l'hanno preso e gettato nel fango. Avevo una sacca con il pane. L'hanno presa e pestata sotto i piedi. Che colpa aveva quel pane, la grazia di Dio? Subito dopo mi hanno
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messo a sedere in quel fango: dalle 5 alle 7 e col mitra spianato. Dicevano parolacce. Appena uno per terra stendeva le gambe che facevano male a stare fermi bastonavano alle ginocchia con il calcio del moschetto. Poi ci hanno portati al caseggiato scolastico e, dopo un po' di tempo, ci hanno mandati via. Non ho sporto denunzia a questo abuso per qui[...]

[...]lo, di anni 12:
« Il primo dell'anno, appena fatta l'alba, il mio babbo mi aveva mandato in campagna a guidare le pecorelle. Esce un carabiniere — ci ho avuto tanta paura — e non mi ha voluto far passare. «Fermo! ». « Io sto fermo ». « Dove vai? ». « A guardare le pecorelle ». Allora mi ha dato un cazzotto e una pedata. Mi fanno la perquisizione e ci avevo una tasca piena di aranci, che me li ha dato la mamma perché era il capodanno. « Anche tu sei uno che mangia gli aranci », dice un altro carabiniere. Me ne ha preso uno e buttato addosso, e un altro me lo ha schiacciato sulla faccia. Poi si é messo a pestare tutti a terra, e non ne è rimasto neppure uno. « Tu sarai certamente il figlio di qualche latitante », mi ha detto il primo. Io mi sono messo a piangere e a tremare. E allora, sempre a cazzotti e a calci, mi hanno cacciato »..
Confermo il racconto di mio figlio : Davoli Carmine, pastore.



da Vasco Pratolini, Una promessa di matrimonio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]conversazione.
«Una brutta nottata, in gattabuja, vero? ».
«In cinque anni di ferma che ho fatto, da soldato, ne ho macinata di cella. Ci hanno perfino lasciato i lacci e le cinture ».
Era suonata la sirena, in fretta si salutarono.
Presto, Metello si sarebbe dimenticato perfino il nome di Ersilia. Egli aveva sì «la testa alla politica» (tuttavia ce lo dovevano tirare le circostanze, e il fatto che su dodici mesi se ne lavorava ormai meno di sei) ma anche all'amore. Né poteva dire di essersi impegnato, appunto perché gli piaceva prendere e lasciare, «una per cantonata ». Era un bel giovane operaio, e non gli mancava la parlantina.
***
Fu per lui un brutto inverno, con nemmeno mezzo toscano nel corso di una giornata; e una primavera in cui s'incominciò e
116 VASCO PRATOLINI

si lasciò in tronco un lavoro in Villamnagna. Quindi, erano accaduti i moti di quel maggio del '98 ai quali, sempre cosí fino da allora, Metello si trovò in mezzo e ne avrebbe fatto volentieri a meno. Ma uscire di casa, il martedì 6, e approvare chi gridav[...]

[...], erano le più eccitate, Miranda le capeggiava. Era una sua amica, Ersilia non si stupì di vederla: dacché le avevano mandato il padre al domicilio coatto, Miranda era stata «morsa dalla tarantola », come si diceva in Sanfrediano. Tale adesso le appariva, un fazzoletto rosso le fasciava la fronte, aveva le maniche della camicetta rimboccate.
« Miranda », ella chiamò.
120 VASCO PRATOLINI
Il Roini la spinse dentro l'atrio dov'erano riparati. cc Sei pazza ? », le chiese. « Era da tanto che covavano questa uscita. Delinquenti! », egli commentò.
« Non è vero », ella disse. « Hanno ragione ».
«Io sono un uomo che ama la pace, e tu, bambina, dimenticati l'ambiente in cui sei cresciuta, siamo intesi? D.
Ella non gli poté rispondere. Alle loro spalle era sopraggiunto un uomo che intendeva chiudere il portone. « È il '48, cinquant'anni giusti, non ve n'accorgete? Prego, prego », diceva. Aveva la barba brizzolata, un tocchetto nero in testa, era alto e un po' curvo. « Via, via », li sollecitò. La strada era improvvisamente deserta, coi negozi serrati, e le finestre chiuse; all'orizzonte, là dove cominciava Ponte Vecchio, in quella luce e in quel silenzio, si potevano immaginare delle barricate. Sbucò un landeau da via delle Terme, coi cavalli sferzati dal cocchiere,[...]

[...]sione... Non sono ancora sicura di volerti bene perdavvero ».
« Ogni tua parola ti sbugiarda. Tu mi vuoi lo stesso bene che ti voglio io. Siamo fatti su misura, mi bastò sentire la tua voce... Più i giorni passano, e sono lunghi qua dentro quarantott'ore, più me ne persuado. Arrenditi all'evidenza, é come quando si é coperto il tetto, e uno volesse sostenere che siamo arrivati appena al prima piano ».
«L'evidenza é proprio questa, che tu sei costà dentro e io a malapena mi ricordo il tua viso ».
Era un dialogo, con lettere scritte poi anche di più lontano, mezza Italia e una striscia di mare, siccome egli dové scontare il domicilio coatto a cui lo avevano assegnato. Ella aveva lasciato il Laboratorio di fiori finti per staccarsi definitivamente dal Roini, era entrata come «faticante» all'Ospedale.
Così trascorsero mesi e mesi, tanti perché ella compisse vent'anni, e una mattina, era la vigilia dell'Epifania, il 5 gennaio del 1900, una data impossibile da dimenticare, Ersilia aveva fatto il turno di.
s.

122 VASCO[...]

[...]asso, prima di pronunciare il suo nome. Ersilia gli sorrideva, e il suo affanno si era improvvisamente placato, aveva voglia di piangere tanto le cantava il cuore. Si dettero la mano, fu come se lui la volesse aiutare a scendere i tre gradini del portone, e allorché si parlarono, sembrò riprendessero un colloquio appena allora interrotto.
« Sono sorprese da fare? ».
« Arrivavo prima io della lettera, anche se te lo scrivevo. Mi hanno condonato sei mesi, era Santo Stefano quando arrivò la comunicazione, per fortuna il giorno 30 c'era il postale ».
« Sicché sei a Firenze... ».
« Da tre giorni, ma mi hanno lasciato libero soltanto un'ora fa. Il tempo di arrivare in Sanfrediano e sapere da tua madre che facevi il turno di notte ».
Camminavano fianco a fianco, e lui disse: «Dunque, ora che mi hai visto in viso, ti sei decisa? ».
« Sei dimagrito », ella disse. « Sei bianco che fai paura, non ti sei nemmeno fatta la barba ».
E spontaneamente, un gesto tuttavia ardito, ella lo prese a braccetto.
Egli disse: ((Ti accompagno, debbo tornare comunque in Sanfrediano, ho da portare notizie a più di una famiglia. Alla moglie e alla figliola di Fioravanti in particolare. E ammalato grave e con l'età che ha, chissà se lo rivedono D.
Ma prima entrarono nel caffè di Piazza Piattellina; lei prese un « corretto », lui un grappino. Gli mancava un centesimo, e lei lo soccorse. Uscendo, egli disse:
ÚNA FROMESSA DI MATRIMONIO 123
« Ho un bel coraggio a chiederti di sposarmi. Ma tu devi avere fiducia.[...]



da Franco Lucentini, La porta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]sentire la puzza. Va bene? I viaggetti, eh? Brutta maledetta impunita! ».
Quello che a mia madre gli scocciava di piú, di tutta la faccenda di Adriana, erano i viaggetti, specialmente per il fatto che quando la figlia stava fuori lei si doveva sfogare da sola. Inoltre sospettava, con fondamento, che da questi viaggetti mia sorella ci ricavasse parecchio, e non si dava pace che a casa non si fosse mai visto un soldo.
«Insomma si può sapere dove sei stata tutto questo mese? » urlò attraverso il tramezzo a mia sorella, che s'era alzata e si sentiva muovere dall'altra parte.
Secondo i calcoli di mia madre, contando tre o quattro mila lire a notte, l'ultimo viaggetto di Adriana doveva avere fruttato sopra centomila lire. Invece non aveva fruttato niente, perché questa volta lei era finita subito a San Gallicano. Ma mia madre non lo sapeva.
«Allora andiamo? » disse mia sorella entrando in cucina con le valigie.
Mia madre, quando vide le valigie, quasi soffocava.
« Ah! Ahé! » disse.
« Troia! Mignottona! » urlò. « Ma che? Hai sentito quel[...]

[...]riana doveva avere fruttato sopra centomila lire. Invece non aveva fruttato niente, perché questa volta lei era finita subito a San Gallicano. Ma mia madre non lo sapeva.
«Allora andiamo? » disse mia sorella entrando in cucina con le valigie.
Mia madre, quando vide le valigie, quasi soffocava.
« Ah! Ahé! » disse.
« Troia! Mignottona! » urlò. « Ma che? Hai sentito quello che gli ho detto adesso a tuo fratello? E rivai via, adesso, che nemmeno sei tornata? E ti credi di ritornare un'altra volta, che io ti faccio tornare? Uh, sporcacciona, vattene, vattene, vattene che t'ammazzo ».
LA PORTA 81
« Io l'ammazzo, a questa. L'ammazzo! » urlava.
«Ma non gliel'hai detto che andavo via? », disse mia sorella.
« Non m'ha fatto parlare » dissi. «Non m'ha dato il tempo ».
« Vado via» disse mia sorella. «Forse torno, tra... tra qualche anno;
forse non torno. Qui ci stanno un po' di soldi. La roba mia che ho
lasciato qui te la puoi vendere ».
Uscimmo prima che riprendesse fiato. Dalle scale la sentimmo che
strillava:
«Non ti crederai di ave[...]

[...]immo prima che riprendesse fiato. Dalle scale la sentimmo che
strillava:
«Non ti crederai di avermi fatto l'elemosina, eh? Non ti credere
che ci ho bisogno dei soldi tuoi! Se me lo dicevi prima, che te ne an
davi, io avevo già trovato da affittare lo stanzino, avevo trovato! Ci
posso fare quattromila lire con lo stanzino... ».
Per strada pioveva. Camminavamo rasente al muro. Mia sorella
avanti, con la valigia piccola, io dietro.
« Almeno sei guarita bene? » dissi. « Se ti si complica, mentre stai
chiusa là dentro, come fai? ».
« No, ho fatto l'analisi » disse seguitando a camminare. « Dice che
sono guarita bene ».
Camminava svelta sui tacchi alti, saltando le pozzanghere. Ogni
tanto rallentava davanti a una vetrina.
« Penso se mi sono scordata di comprare niente » disse.
« Possiamo vedere quando stiamo là » dissi. « Caso mai te lo vado
a comprare io ».
« A proposito » dissi, « ti volevo comprare qualche cosa, ma questi
giorni ci ho avuto delle spese... così non ho potuto ».
« Qualche cosa? » disse Adriana. « Che cosa? [...]

[...]llora... non é che io ti stia a fare ancora delle proposte, delle dichiarazioni... ma allora il mantenuto mio non lo potresti fare? A te che ti costa? Di, non lo potresti fare? ».
Quando lei ricominciava con quella faccenda io non ci avevo altro argomento che quello, fondamentale, che non mi andava. Ma era difficile starglielo a sbattere in faccia ogni volta.
«E il progetto? » dissi goffo. «La vita in cantina? Volevi comin
ciare oggi e già ti sei stufata? ».
« Ah, quella é una scemenza » disse. « E una scemenza ».
« Sarà una scemenza » dissi, « ma ci sei stata appresso tanto tempo!
Ci tenevi tanto. Poi, pub essere pure che non sia una scemenza, che
ne so? In ogni modo...».
« In ogni modo » disse mia sorella, « lo sai che per averti a te pian
terei tutto, in qualunque momento ».
LA PORTA 83
Si accorse di avere detto male e si morse le labbra. Batté il bicchiere col cucchiaino per chiamare il cameriere, page,.
« Franco, sei scocciato? » disse.
«Non sono scocciato» dissi, «ma non ne parliamo più. Non è meglio? ».
« Va bene » disse.
« Amore mio » disse.
Pioveva ancora, ma più piano. La casa era poco dopo il Pantheon, ci arrivammo in pochi minuti.
« Non c'è portiere » disse mia sorella. « È uno strazio di meno. La porta sta nel secondo cortile ».
Nel secondo cortile c'era quella porta sola, e i muri erano senza finestre. C'erano solo, uno per piano, dei finestrini che dovevano essere quelli dei cessi.
« L'ho affittata come magazzino » disse, cercando le chiavi nella borsetta. « Ho pagato tutto anticipato. Cr[...]

[...]apre la porta di sopra, apre anche quella? » dissi. « Sì » disse.
« E ce n'é una sola? ».
« Si » disse.
«E chi la terrà? ».
« Tu » disse. «Per tre anni. Non importa che siano tre anni precisi. Mese piú, mese meno. Tre anni circa. Poi vieni .e mi apri. Non ti pare combinato bene? ».
86 FRANCO LUCENTINI
« Ah, benone » dissi. « Solo che, mettiamo, se io domani mi rimettessero dentro, e se invece di tre anni circa mi dessero cinque anni circa, sei anni circa, sette anni e tre mesi, senza condizionale, circa? Tu ci avresti tutto il tempo di stirare le gambe, non ti pare? ».
« Che c'entra » disse. « Puoi sempre mandare qualcuno, avvertire che mi vengano a tirare fuori ».
« Ma non ti mischiare in cose pericolose » disse pure. « Non ti fare più mettere dentro! Ti tocca di stare insieme con quelli che stanno dentro, che non puzzano meno di quelli che stanno fiori, e poi con i questurini, che puzzano ancora di più. Che gusto? Stai attenta! ».
« Va bene » dissi, « ma se per esempio le gambe le stirassi io, prima di potere avvertire qualcun[...]

[...]che io apprezzo lo spirito di sacrificio, eh? Non ti crederai di fare con me la scena madre, il finale spettacoloso, con me che arrivo in capo a tre anni, con la chiave in mano, innamorato pazzo? Non ti crederai di mettermi a me in una fesseria simile? La chiave,
LA PORTA 87
cara Adriana, te la tieni tu, e io in questa storia non ci voglio più entrare. Dovevo capirlo prima, che tutta la faccenda non reggeva, che ci mancava qualche cosa. Tu non sei il tipo che vive staccata, che se ne frega, che gli piace di starsene tranquilla. A te ti ci vuole la grande passione, eh? la grande speranza! Si sa, a tutti gli ci vuole, pure a me, ma io la commedia, se la devo fare, me la faccio da me; non ci vado a mettere dentro, con l'imbroglio, uno che non c'entra ».
Mi scuserai, eh? » dissi dopo. « T'ho detto quello che ti dovevo dire. Te l'avrei detto prima, se l'avessi capito prima D.
Adriana si abbassò la veste, si infilò le pantofole. Venne vicino a me, accanto al tavolo, e mi dette un bacio sulla faccia.
«Tu sei sempre acuto» disse ridendo, «c[...]

[...]one, eh? la grande speranza! Si sa, a tutti gli ci vuole, pure a me, ma io la commedia, se la devo fare, me la faccio da me; non ci vado a mettere dentro, con l'imbroglio, uno che non c'entra ».
Mi scuserai, eh? » dissi dopo. « T'ho detto quello che ti dovevo dire. Te l'avrei detto prima, se l'avessi capito prima D.
Adriana si abbassò la veste, si infilò le pantofole. Venne vicino a me, accanto al tavolo, e mi dette un bacio sulla faccia.
«Tu sei sempre acuto» disse ridendo, «capisci tutto. Ma pensi sempre troppo a te, sei un pochetto presuntuoso, e allora qualche volta capisci tutto, ma non capisci il resto ».
« Che vuoi dire? » dissi smontato. Lei rideva, era molto bella, e si vedeva chiaro che in quel momenta se ne fregava di me, ci aveva qualche altra cosa che l'interessava. Non era la prima volta che ci facevo una figura così con una donna.
« Come sei caro! » disse tenendomi abbracciato. « Come , ti voglio bene! ».
« Adesso ti spiego » disse. « Tu hai capito bene, hai capita che non bastava. Non ti sbagli mai, tu! È vero che ci ho la grande passione, la grande speranza. Ma non sei tu. Pianterei ancora tutto, per te, ma quello che aspetto qui dentro non sei tu. Io pure, la commedia me la faccio da sola, non credere che sono tanto cretina. Anzi me la volevo fare tanto da sola che non volevo nemmeno starti a spiegare, perché tu non credessi che ti ci volevo tirare dentro ».
«Vedi come ti sei sbagliato? E perché non mi vuoi bene! » disse baciandomi di nuovo. « È vero pure che non lo sapevi, tu, che qui c'è un'altra porta ».
Avevo i capelli di lei sulla faccia, brillavano alla luce del lume. « Che porta? » dissi di soprassalto.
« Quella lá » disse.
Si staccò da me e girò intorno al tavolo, andò in mezzo alla cantina.
« Questa » disse.
ß8 FRANCO LUCENTINI
A meta del muro di sinistra, da dove stavo io, si vedevano delle macchie scure che prima non avevo visto. Ma non sembrava una porta. Presi il lume e mi volevo avvicinare.
« No » strillò. « Il lume lascialo la ».
Lasciai il [...]

[...]ta sola, seduta davanti al tavolo, aspettando.
Tornò con un coltello da cucina a un apriscatole.
«Puoi fare con uno di questi? » disse.
Presi il coltello ma non era forte abbastanza, si piegava.
« Dammi quell'altro » dissi.
Lei mi tese l'apriscatole, alzandosi sulla punta dei piedi. Nell'ombra, sembrava ancora piú morbida, con la sua faccia chiara e i capelli sciolti sulle spalle. Il lume brillava in fondo alla cantina.
LA PORTA 89
« Come sei elegante » dissi. « Come sei bella ».
« Che ti prende? » rise.
L'apriscatole non era molto adatto, ma riuscii lo stesso a schiodare
la tavola in alto. Le altre vennero via facilmente. Scesi dada cassa per
schiodare l'ultima.
Dalla porta veniva un odore di muffa. Una scala di legno, senza
ringhiera, portava in basso; si vedevano i primi gradini.
« Questo legno dev'essere fradicio» dissi. « Non possiamo mica scen
dere. Qui si rompe, caschiamo di sotto ».
« Ma mica dobbiamo scendere » disse mia sorella.
Rimasi fermo, con l'apriscatole in mano, a guardarla.
« Ma che vuoi fare? » dissi. « Ci vuoi scendere dopo, da[...]

[...]i... Di un po', perché, prima, non m'hai fatto portare il lume? Non ridere, stupida! Che c'é, là sotto? ».
« Non lo so » disse. « Non ci voglio scendere e non lo voglio sapere. Non ci voglio nemmeno guardare col lume e non voglio che ci guardi tu ».
Mi cominciai a impaurire. Non credevo che fosse proprio matta, ma pensavo per forza che ci avesse qualche brutta intenzione. Guardai il coltello che teneva in mano.
Lei si mise a ridere.
« Quanto sei stupido! Che, hai paura che ti voglio ammazzare? » rise.
Non pareva isterica, ma non mi sentivo per niente sicuro. «Perché m'hai fatto levare le tavole? » dissi.
Seguitò a ridere, però non era più un riso allegro.
«Perché m'hai fatto levare le tavole?» dissi ancora.
« Vieni qui » disse, « mettiamoci a sedere ».
Tornammo verso il tavolo. Lei ripose coltello e apriscatole, poi si mise a sedere sul letto. Io la guardavo continuamente. Sapevo che se ne sarebbe accorta, ma le tenni lo stesso gli occhi sulle mani, attento a tutto quello che faceva.
« Puoi guardare sotto il cuscino » disse sco[...]

[...]
« Te lo posso andare a comprare » dissi, « ma a quest'ora dovrebbe
essere chiuso ».
Venne fuori dalla tenda.
« Puoi prenderlo alla farmacia notturna » disse. « Io intanto vado
a letto. Tu puoi stare fuori, mentre io dormo, puoi andare a un caffè.
Dormirò un paio d'ore ».
« Oppure...» disse. « Se vuoi che t'aspetto alzata... Tu torni subito
e ci salutiamo, non ne parliamo piú... Ne riparleremo quando tornerai,
tra.., tre anni ».
« Ma tu sei scema» dissi. « Mettiti a letto. Torno tra un quarto
d'ora, tu vedi di dormire subito ».
« Comprane dieci » disse.
« Come dieci? ».
«Eh...! ».
« Ah » dissi.
Si infilò sotto le coperte, con la faccia verso il muro.
« Ciao » dissi carezzandola. « Dormi ».
« Ciao ».
Per la scala mi accorsi di avere finito i fiammiferi. Tornai indietro
e cercai di ritrovare la cassetta dei « Safety Matches » che avevo visto
prima. Mia sorella pareva che giá dormisse. Presi i fiammiferi e tornai
su, aprii la porta. Attaccata alla chiave della porta c'era un'altra chiave,
che doveva essere quella del p[...]

[...]i. .Le carezzavo le braccia, i capelli, il viso. Masse una mano sulla coperta, cercando la mia. Prendendole la mano pensai a tutta la vita che aveva fatto, alla vita che avevo fatto io. Alla vita che facevamo tutti. Le tenni la mano stretta, senza parlare, mentre lei tremava sempre più piano.
Alla fine si calmò, girò la testa e mi guardò, sorrise.
« Povera me » disse, .« quanto sono stupida. Che sorella stupida che ci hai ».
LA PORTA 95
«Non sei stupida » dissi. « Sei un amore. A tutti gli può succedere
di credersi chi sa che, di volere fare chi sa che, e poi dopo si vede
che non si può fare, che non gli si fa, che é meglio fare come tutti.
Anche a te ti può succedere, hai visto? Queste non sono cose per te...
Tu sei piccola... carina... ».
Si mise a ridere.
« Non sono mica piccola. Sono alta » disse.
« Va bene » dissi, « sei alta. Ma adesso ce ne andiamo via, torniamo
a casa. Tutta questa roba la vendiamo e ti prendi una casetta in cam
pagna. Ti piacerebbe, no? E il sogno di tutte le... di tutte le ragazze
di farsi la casetta in campagna, e tu invece viene qui a farti questi
sognacci ».
Rise e mi carezzò la faccia.
« Che amore che sei! » disse.
« Ma che t'eri sognata? » dissi.
Ricominciò a tremare, ma si calmò subito.
« Ho sognato uno » disse. « Che entrava uno ».
« Ma chi? » dissi.
« Uno...» disse. « Quello che... T'ho detto, prima, che aspettavo
qualcuno... Qualcuno che deve entrare...».
« Qualcuno che deve entrare da quella porta? » dissi.
(' Si » disse.
« Ma se là sotto è chiuso » dissi, « se è tutto chiuso. Non l'hai detto
tu che é chiuso? ».
« Si » disse.
« E allora, se é chiuso, chi deve venire! O forse credi che ci sia
già? È qualcuno che ci sta già, là sotto? ».
« Non so » disse. « Non credo che ci [...]

[...]a allora chi è? Come può venire? E un mostro? ».
« Si » disse. « Così. Più o meno. Sai, in tre anni, credo che mi
verrà una paura così grande... aspetterò così forte... che qualcuno dovrà
venire, anche se non c'è nessuno, adesso ».
« Uh » dissi baciandola, « scema! ».
« Cosi » dissi, « quando torno, ti trovo a letto con un orribile mo
stro, e magari madre di qualche mostricciattolo ».
Mi guardò ridendo.
96
FRANCO LUCENTINI

« Tu sei sempre cosh » rise. « Con te non si pub parlare. Perché poi dovrebbe essere orribile? Potrebbe essere un bellissimo giovane! ». Giusto » dissi. « Ma allora a che ti serve che sia uno spettro, un mostro? Non ne puoi trovare uno che non é mostro, senza stare a girare tanto? Senza..., senza stare a... aspettare tanto? ».
Seguitò a ridere e risi io pure, ma ridevo stonato. Lei . se ne accorse e non rise piú. Voltò piano la faccia in sú, con gli occhi azzurri spalancati, guardandomi senza espressione. Respirava appena, con la bocca sotto la mia.
Bestemmiai e mi volli alzare, ma non mi potevo muo[...]

[...]i a sentire i passi . che scendevano.
Tornai al Caffè Notturno. Ma anche gli altri caffè, ormai, stavano aprendo.
« Mi fa un caffè doppio » dissi.
a Corretto? »..
LA PORTA
99

« Si » dissi. « Mistrá ».
C'era un tizio, all'altro capo del banco, che mi guardava. Mi venne
vicino, mettendosi tra me e la porta.
«A te non ti avevamo detto di sgombrare?» disse.
Ci avevo talmente sonno che non capii subito.
« A me? » dissi. « Ma tu chi sei, che vai cercando? ».
« Andiamo » disse, prendendomi per un braccio.
Al barista disse: «A questo, il caffè glie lo diamo noi! ».
In Questura mi fecero aspettare tutta la mattina, poi mi fecero
passare da un vicecommissario.
«Quanto tempo è che sei tornato?» disse.
«Perché? » dissi.
« Non mi fare perdere tempo » disse. « Ti abbiamo rimpatriato
due mesi fa, ti abbiamo diffidato a tornare. Allora? ».
« Ma io la famiglia ce l'ho qui » dissi.
«E la residenza pure ce l'hai qui? ».
« Ho fatto domanda » dissi.
« Beh » disse, « se non ci hai altro da dire, adesso ti prendi un
mese e poi ti rimpatriamo un'altra volta. Dopo, se ci vuoi provare a
tornare, sempre a disposizione ».
Si voltò al poliziotto che m'aveva accompagnato.
« Questo resta a disposizione per gli accertamenti » disse.
Gli accertamenti cominciarono il pomeriggio; li f[...]

[...] la guardia che batteva i ferri. Una volta, quando vennero, io stavo ancora a letto.
« Che é successo? » disse il sottocapo. « Stai male? ».
LA PORTA 103
«Sì» dissi.
«Allora perché non hai chiesto visita? ».
« Eh... eh... » dissi.
« Uh... » urlai. « Uhà... uhà... » urlavo.
Quelli mi guardavano incuriositi, perché io prima ero stato sempre calmo.
« Adesso calmati » dissero. « Noi ripassiamo dopo ».
Quando ripassarono m'ero calmato.
((Ti sei calmato? » dissero.
« Sì » dissi.
((Ti serve qualche cosa? ».
« No » dissi. « Grazie, non mi serve niente ».
Quello della truffa mi offri un bicchiere di vino.
« Grazie » dissi. « Non bevo ».
Tutto quel giorno e il giorno appresso pensai a Adriana. Alla paura di sopra e a quella di sotto. All'idea che ci aveva avuto lei di andarsi a mettere là sotto. Alla porta che guardava lei e alla porta che guardavo io. Dalla porta che guardavo io adesso, ci entravano gli scopini, il sottocapo, le guardie, il prete, il barbiere; quelli per truffa, per politica, per furto, per ammazzamento. Poi sareb[...]

[...]nte da farci qualche bella conversazione, tanto da riaggiustarsi i coglioni un momento; qualcuno che sarebbe entrato contento di trovare un amico, ma che poi non avrebbe saputo che dire, nemmeno lui. Alla fine, poi, non sarebbe entrato più nessuno. Ma io non ci avrei avuto la soddisfazione di vederlo.
Dalla porta che guardava Adriana, già adesso nessuno ci entrava più.
« Cara Adriana » scrissi, « ti scrivo a casa nel caso che fossi tornata. Se sei tornata credo che hai fatto male, credo che ci avevi avuta una buona idea, anche senza la paura, anche senza la speranza di qualcuno che doveva venire e di tutta quella faccenda della crepa, della cosa che si poteva rompere. Non mi pare che ci sia un'altra rottura possibile, oltre a quella dei... Pere) non sono più tanto sicuro. Credo che ci avevi
104 FRANCO LUCENTINI
ragione quando dicevi del coraggio, che nessuno ce l'ha. Credo che tu ce l'hai avuto, e pure se sei tornata ce l'hai avuto lo stesso. Credo che se qualcuno si merita qualche cosa, sei tu. Adesso solo ho capito quello che volev[...]

[...]ai fatto male, credo che ci avevi avuta una buona idea, anche senza la paura, anche senza la speranza di qualcuno che doveva venire e di tutta quella faccenda della crepa, della cosa che si poteva rompere. Non mi pare che ci sia un'altra rottura possibile, oltre a quella dei... Pere) non sono più tanto sicuro. Credo che ci avevi
104 FRANCO LUCENTINI
ragione quando dicevi del coraggio, che nessuno ce l'ha. Credo che tu ce l'hai avuto, e pure se sei tornata ce l'hai avuto lo stesso. Credo che se qualcuno si merita qualche cosa, sei tu. Adesso solo ho capito quello che volevi dire, col fatto del mostro. Ma se per te qualcuno verrà, non sarà perché avrai avuto paura. Sara. perché sei come io non t'ho saputo vedere in tempo, perché sei così calma e gentile, così leggera, così an gelo. Oramai, per volerti bene da vicino é tardi. Tu, oramai, per me non ci puoi avere che pieta. Io non so che farò, ma non m'importa. Di averti incontrata a te, un momento, mi deve bastare ».
Ci vollero altri tre mesi prima che trovassero quello che aveva sistemato il pederasta. Anzi, pare che non era nemmeno sicuro che era quello, ma a me in ogni modo pensarono di darmi il cambio, visto che c'ero stato quasi un anno. Mi dettero il foglio di via e mi misero sul treno. « Stai attento a non tornare » dissero. « Hai visto che succede a tornare. E p[...]

[...]messa al principio. Adesso me la sognavo, la notte, che ci stavo a letto. Il giorno ci ripensavo. Tutto il giorno e la notte, alla fine, ci stavo a pensare. Ma c'erano di mezzo quelle due porte chiuse. Poi, non sapevo nemmeno se lei stesse ancora là dentro. Poteva essere che se ne fosse andata, senza tornare .a casa. Poteva essere capitata qualche altra cosa.
Non aspettai che la febbre mi fosse passata. Mi alzai una sera verso
LA PORTA 105
le sei, andai in cucina a farmi la barba. Ci avevo le gambe deboli, ma la testa non mi faceva male, anzi mi sentivo leggero.
« Che, mi dái una stirata ai calzoni? » dissi a mia madre.
« Che, stai meglio? Esci? ».
« Vado a fare due passi » dissi.
Per la strada non ci avevo fretta, mi fermavo a guardare le vetrine. Al Pantheon mi misi a sedere sul muretto e guardavo i gatti, di sotto. Non faceva freddo. Mi sarebbe piaciuto di andare ancora un po' a spasso per le strade, aspettare ancora un po', ma oramai ci avevo impazienza. Entrai in un caffè e presi un cognac, poi andai difilato alla casa, entra[...]

[...]teria, usci una ragazza in grembiule, senza ombrello e corse rasente al muro fino alla macelleria. Aveva cominciato a piovere così forte che le gocce rimbalzavano dentro al portone; mi tirai più indietro. Attraverso l'acqua, il negozio di fronte non si vedeva quasi piú, la ragazza stava sulla porta
106 FRANCO LUCENTINI
aspettando che la pioggia rallentasse. Poi traversò la strada di corsa, infilò a testa bassa il portone, si fermò di colpo.
« Sei tu! » disse.
Restai a guardarla nel buio del portone, senza potere parlare. Pareva dimagrita e ci aveva tutti i capelli bagnati, incollati alla faccia.
« Sei tu » disse. « Come stai? Franco. Che... Come stai, tu? Franco? Eh... Bene. Io... Franco ».
Portava un grembiule bianco legato sul davanti, macchiato, con una blusetta stinta. Teneva in mano un pacchetto involtato in carta di giornale.
«Franco, Franco » diceva. « Franco ».
Mi prese un braccio e lo stringeva forte, tirando la manica. Inghiottivo e non potevo parlare. Le carezzai la mano che teneva il pacchetto, fredda e bagnata, le aggiustai la manica del grembiule, che s'era appiccicata intorno al polso. Stesi la mano per carezzarle la faccia e lei si accostò di piú, mi strinse convulsa men[...]

[...]endere. Poi doveva averla presa all'improvviso e sbattuta, sfasciata del tutto. M'ero immaginato una cosa così fino dal principio. Ma non m'ero immaginato che lei al momento dello sfascio avrebbe chiamato il prete... Il prete e quegli altri... Adesso ci stava in mezzo. Lei, che per quanto avesse fatto e girato, in una merda simile non c'era stata mai.
« Adriana », dissi carezzandola. « È stata la paura, no? E per la paura che stai crisi? Che ti sei ridotta a stare con quelli? ».
« Perché? » disse. « Che ci hanno, quelli? ».
« Non sono come gli altri? » disse.
« Come gli altri? » dissi. « Come gli altri? Si. Si, ma...».
« Tu ci hai di meglio? » disse. « Conosci qualcuno meglio, da mandarmelo qua? ».
Volevo ancora rispondere, mi pareva che ci dovesse essere qualche cosa da rispondere, ma non c'era. C'era una cosa sola, forse ci avrei avuto ancora la faccia di dirla, ma lei lo disse prima.
« Che, tu ti credi... » disse. « Tu ti credi di essere meglio, tu? ». Cominciai a risalire per andarmene. Poi mi fermai, dissi:
« Non mi volere m[...]

[...]la forza di dirti le altre case che ti volevo dire. Ci ho la febbre, mi sento male. Tornerò quando stare, meglio. Adesso ti volevo dire che io... si, hai ragione, non sono meglio, forse non sono meglio. Ma se ti ricordi come eri tu quando ti ho lasciata qui, quando aspettavi qualcuno da quella porta... Tu, allora, eri meglio. Aspettare che qualcuno entrasse di là sotto era da pazzi, forse era pure stupido, ma era sempre meglio di adesso, di come sei ridotta adesso... tu ».
Ricominciai a salire e la lasciai in basso che rideva. Mano mano che saliva era una risata sempre più forte, quando fui in cima era un urlo che riempiva tutta la scala. Poi fini e sentii la porta che si richiuse.
Per la strada faceva freddo, tutti i negozi erano chiusi. Camminai un pezzo per le strade intorno al Pantheon, poi mi pare che voltai per l'Argentina e andai verso il fiume. Poi tornai indietro e non so dove
110 FRANCO LUCENTINI
andai, fino quasi alla mattina. Al primo caffè che trovai aperto entrai, chiesi un caffè doppio.
Mi accorsi che era il Caffè Not[...]



da Vasco Pratolini, Firenze, marzo del ventuno in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]deo Gaddi, dicono, ma il Longhi lo nega, dopo che la gran piena del Tre Tre Tre una volta di più lo aveva scancellato, portandosi come relitti d'un naufragio i legni della sua armatura. Già da un secolo prima, in un'altra notte e di agguati e di fazioni, su quelle tavole, Buondelmonte ci aveva lasciato la vita.
Il terzo é ponte a Santa Trinita, costruito a spese dei Frescobaldi che in quel punto del fiume, ma di là, avevano le loro case. Crollò sei volte, e sei volte lo si rimise in piedi, dopo che fra Sisto e fra Ristoro domenicani l'ebbero progettato, come per dar tempo, diciamo, all'Ammannati, di rilanciare sulle acque dell'Arno il più bel ponte che mai fiume al mondo abbia lambito.
L'ultimo è il ponte alla Carraja. Lo stesso Ammannati disegnò la sua struttura, e senza i suggerimenti di Michelangelo, se ci sono stati, come per Santa Trinita. In origine, ancora nel secolo XIII, lo chiamavano ponte Nuovo: per distinguerlo dal Vecchio, é naturale. Se l'erano pagati gli Umiliati d'Ognissanti, bisognosi di uno scalo per le stoffe che uscivano dal lor[...]

[...]orie né i Granducati. Ma sempre si conquista qualcosa, che si è pagato sempre troppo caro. È per questo che ogni volta c'é qualcosa di cambiato.
Firenze medesima, al di là della sua terza cerchia, non può non essere mutata. Essa non si é estesa soltanto nei suoi entroterra, rispetto al fiume, ma si é allungata. Quartieri operai hanno fatto corpo con le antiche Mura. Ora l'Arno entra in città alla Nave a Rovezzano dove c'è un traghetto, percorre sei chilometri non uno, per trovare l'altro traghetto, al di là delle Cascine. E ai due estremi della città, da un secolo o quasi, ci sono due ponti nuovi.
Sono due ponti provvisori che da novant'anni servono all'uso cui sono destinati. Li progettarono degli ingegneri di cui s'é perso il nome, ma sono belli come gli antichi: provvisori e ormai secolari come l'età che rappresentano. Non hanno una struttura originale, ma ardita. Sono di ferro; e sono sospesi, quello a valle. Nessuna pigna lo regge, nessuna arcata, bensì degli alti piloni, infissi sulle due rive. Il pavimento è ancora di legno; e i[...]

[...] che é scoppiata », si ripeteva, e appuntava il lapis per darsi daffare. Di lato al suo stabbiolo, come di sentinella ai due piloni, stavano i due carabinieri in tenuta di campagna e coi moschetti infilati alla spalla. Il suo stabbiolo era all'ingresso del ponte, dalla parte delle Cascine: il pedaggio si pagava una volta soltanto, per entrare; uscire dal Pignone si poteva anche se vi si era entrati da tutt'altra parte; e dalle dieci di sera alle sei del mattino il traffico era libero in entrambe le direzioni. Durante le altre sedici ore, c'era il Masi dentro il suo stabbiolo, e gli si doveva il saldino. L'Impresa non si fidava che di lui; siccome non si rilasciano né contromarche né scontrini. "Ad essere disonesti in trent'anni si sarebbe potuto farsi d'oro". Soltanto un giorno al mese, ch'egli andava a trovare sua moglie a Trespiano, lo sostituiva uno dei due impiegati dell'Impresa, gli stessi che venivano a ritirare l'incasso a una cert'ora. Ma per poco, ci si poteva giurare. Presto il ponte sarebbe stato riscattato dal Comune, com'era[...]

[...] la pensione », lo pigliavano in giro quelli del Pignone. « Sarà una delle prime cose, non appena saremo al potere ».
Questo fino a un anno fa, che s'erano barricati dentro la Fonderia e uno di loro stava di guardia sul ponte, al largo dai carabinieri, e se venivano dei rinforzi il Masi gli faceva cenno fingendo di togliersi il berretto e grattarsi dietro l'orecchio. Ora, invece, gli dicevano, ma tra i denti e mentre gli versavano il soldino: « Sei una carogna, Masi, ma bada, i capelli bianchi non ti salvano, prima o poi, da una libecciata ». Egli era come il ponte affidato alla sua custodia, preso tra due fuochi. I fascisti gli passavano davanti, sui camion, come se lui fosse li a far la statuina. Il ponte è stretto: ha novant'anni, é sospeso, ai veicoli é proibito transitare. «Diglielo a un altro! » al massimo gli rispondevano. E come se fosse un cane, per mettergli paura: «Pulsa via! ». Se non usciva dalla garritta, lo appestavano di fumo. Oppure veni
8 VASCO PRATOLINI
vano appiedati: « È tornato a casa il tale ? L'hai visto passar[...]

[...] ve lo raccomando star chiuso dentro questa prigione! Col caldo le tavole del ponte scricchiolano che sembra da un momento all'altro si debbano schiantare; se tira il vento forte, allora pare che tutto il ponte sia sul punto di partire. Si balla ch'è un piacere ». Un anno dopo l'altro, "cocendo l'uovo sul fornellino", riscaldandovi il latte quando si sentiva costipato. « Il vino, no, il vino, sembrerà una bestemmia, non mi è mai piaciuto. Perciò sei un falso! mi hanno incominciato col dire ». Il veggio in mezzo ai piedi; il ventaglio d'estate; ora se Dio vuole era un'altra volta primavera. « Ed eccomi qui, non so ancora chi è che mi dovrà dare lo sborso o la pensione; so soltanto che tra poco il ponte si chiude, anzi si apre, e io mi ritrovo coi capelli bianchi e preso tra due fuochi, in queste storie che non mi riguardano nemmeno come prossimo. E una bella situazione! ».
Era la situazione, dopo tutto, di chi sta su un ponte che unisce le due rive. Egli non avrebbe fatto onore ai suoi capelli bianchi, quella sera.
« Ce l'hanno anche co[...]

[...]ioni, ci dissero: Tornate a casa, non è ancora l'ora ».
« Spartaco era calmo, ma si capiva avrebbe dato la testa nel
muro ».
<c Disse: questo ci ridimostra chi sono i socialisti, bisognerà
crescere e togliere di mezzo anche loro ».
« E siccome noi siamo con queste idee e non ci si può mutare ».
« Ci si muta la faccia? ».
« Ci si muta il cognome? ».
« Ci si possono tagliare i coglioni ? ».
c< E il bolscevismo è come il sangue che esce se sei ferito ».
r
18 VASCO PRATOLINI
« Se stasera tornano, stasera non passino il ponte perché ci
trovano vestiti ».
« E la sera che le pagano tutte ».
«
E la sera che si mandano noi all'ospedale ».
« Finora ci siamo sempre difesi male ».
« Siamo troppo dolci ».
«Ci hanno preso sempre alla sprovvista ».
« Ma stasera, che non passino il ponte stasera ».
Quei garofani e quei gerani ci stavano per figura, ai davanzali. Di fronte ai loro occhi, ma lontano, di lá dal ponte su cui si fissavano i loro sguardi, il gran verde delle Cascine, avvolto nell'incendio del cielo, era un orizzonte tutt[...]

[...]noi siamo qui
e non vi lasciamo passare ».
« Quant'è vero Iddio, per il vostro bene, non lo passate ».
« Scordatevi che esiste il Pignone ».
« Folco dacci retta ».
« Se lo attraversate, trovate noi di qua che vi aspettiamo ».
« Siamo di più che se si fosse fatta la chiama ».
« E le donne sono più avvelenate di noi ».
« Bolli bolli la pentola si è scoperchiata ».
« Per piacere, stasera non passate il ponte ».
« Malesci tu ci conosci. Tu sei del Pignone, lo sai chi siamo ».
« Se stasera passate il ponte, è la sera che si fa festa finita ».
« Spartaco Gavagnini per noi è più vivo ora di stamattina ».
« Spartaco era l'idea in persona ».
« Era come me e come te, Gava ».
« Era il meglio che si avesse ».
« Era il più intelligente, era il più capace ».
« Era il nostro piccolo Lenin: ti misurava uno schiaffo quan
do glielo dicevi ».
« Mi disse: bisogna far muro e contarsi, sapere con chi si
cammina ».
« Mi disse: Non si è comunisti se non ci si sa sacrificare.
Ma non farci sacrificare; mettere sotto loro, avanti che il piede[...]

[...]ne perdevano le parole. «Non v'azzardate! Non v'azzardate! D.
C'era stato un movimento, ma la folla non era venuta avanti; si era come rimescolata dentro le proprie grida. Quindi, una sassaiola si era abbattuta a metà del ponte, contro le fiancate, era ricaduta in Arno. Qualche pietra più piccola, o meglio o più fortemente diretta, era rotolata ai piedi dei fascisti. Come una salve. E di nuovo il silenzio; di nuovo quella voce:
« Malesci se ci sei, fatti sentire da cotesti delinquenti. Portali via D.
Ora Falco si era drizzato in tutta la persona, "gli sporgeva la bazza, tanto doveva essere infuriato". Tuttavia era calmo, la rivoltella in mano, si rivolse al Masi, spiaccicato di spalle contro il suo stabbiolo: « Chi è questo? » gli chiese. «Mah », il vecchio disse, un po' balbettava, un po' si dava coraggio: « O non é il Santini? Mi pare, non lo so ». Poi, rivolto ai suoi amici, Falco gli ordinò: « Non mi venite dietro. Muovetevi quando vi chiamo ». E avanzò sul ponte, si fermò dieci passi lontano.
« Ci sono, eccomi qui », gridò. « Tu[...]

[...]o". Tuttavia era calmo, la rivoltella in mano, si rivolse al Masi, spiaccicato di spalle contro il suo stabbiolo: « Chi è questo? » gli chiese. «Mah », il vecchio disse, un po' balbettava, un po' si dava coraggio: « O non é il Santini? Mi pare, non lo so ». Poi, rivolto ai suoi amici, Falco gli ordinò: « Non mi venite dietro. Muovetevi quando vi chiamo ». E avanzò sul ponte, si fermò dieci passi lontano.
« Ci sono, eccomi qui », gridò. « Tu chi sei? Sei quella carogna del Santini? D.
Dalla parte del Pignone, lo videro avanti ch'egli aprisse bocca, e le urla, i gridi che si levarono dalla folla, copersero le sue parole. Egli era abbagliato dal riflesso, scorgeva come una fiumana nera, colorata, agitarsi +a capo del ponte, e come ondulare, trattenuta in se stessa, e contemporaneamente, una figura d'uomo, una figura di donna, un'altra donna un altro uomo, ora pareva un ragazzo, cinque, dieci figure avanzare di qualche metro, prenderlo di mira e rientrare di corsa tra la folla. Dei sassi, dei pillori, gli caddero vicino, uno gli sfiorò la testa[...]

[...]O DEL VENTUNO 29
« Ma intanto scappi ».
« Qui non siamo sul ponte di una nave, Tarbé, siamo su un ponte d'Arno ».
«Ma scappi. Scappi davanti a delle pecore ».
«Non sono delle pecore, Tarbé. Sono dei delinquenti. Se ora gli si va incontro, succede una carneficina ».
« Perciò tu li prendi isolati. In tre, in dieci contra una pecora. Così fate la rivoluzione ».
« Basta Tarbé! », urlò Folco. « Se per via del tuo nome tu sei qualcuno, anch'io sono qualcuno, anche mio padre. E la sua roba ce l'ha al Pignone, non alle Cure, capito ? ».
« Io con mio padre non ho rapporti. Ho fatto cinque anni di marina apposta, senza gradi ».
«E io ho fatto... ».
« Ma scappi ». Guardava Folco con quei suoi occhi che sembravano non vedere, grigi ora, fermi, lo derideva. « Davanti a delle pecore. Se gli fai un bercio, scompaiono. Non l'hai visto dianzi? E tu sei tanto vigliacco, tutti voialtri sareste tanto vigliacchi, da scappare davanti a chi é più vigliacco di voi? Li affronto io solo ».
« Ti sei appena congedato, Tarbé. Questa é la tua prima azione. Non puoi sapere come stanno le cose », disse Folco.
Tarbé sembrò non sentirlo. Sorrise, " ma con la faccia amara che li disprezzava ". Disse:
« Voglio vedere tra voialtri e loro chi ha più paura ».
Cavò di tasca la pistola e avanti che Folco potesse impedirglielo, sparò due colpi in aria. Fece eco, ai due spari, come un tuono. Essi si voltarono: quella gente era ferma a metâ del ponte. Tanti più di prima, davvero una fiumana. Ora, tra i vestiti delle donne, le giacche, le tute, e giâ il cielo si era come di più illimpidito [...]

[...]ti, trenta passi li dividevano. Egli si trovava a un terzo del Ponte, nemmeno, e nel punto in cui
i cavi si flettevano per risalire, dopo la meta giusta, verso gli altri piloni e l'altra riva. Il ponte, come una lunghissima cuna, si stendeva, cosí sospeso ed aereo, in quella luce vespertina, oscillando
32 VASCO PRATOLINI
appena dove il peso della folla lo gravava e dove più basse, e nella misura d'uomo, erano le grate che lo cintavano.
« Chi sei? Te non ti si conosce, va' via ».
Egli si era fermata, la rivoltella in pugno. Li vedeva distintamente ora, tutti e nessuno nello stesso tempo. Quelle donne che vedeva, quel ragazzo con la testa fasciata e la benda arrossata di sangue, loro che erano nelle prime file, le donne come gli uomini, più la insultavano e più facevano forza con le spalle per trattenere la massa su cui si agitavano le spranghe di ferro, i pugni chiusi, le mazze, i bastoni. Era una folla inferocita, e spaventata,
e vigliacca, lui pensava. Così, lui faceva un passo, ed essa arretrava. Più lo insultavano, più egli muov[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Trevisani, Gramsci e il teatro italiano in Studi gramsciani

Brano: Giulio Trevisani
GRAMSCI E IL TEATRO ITALIANO.
L'attività del giovane Gramsci come critico teatrale comincia il 16 gennaio 1916 quando l'Avanti! inizia nell'edizione piemontese la pagina di cronaca di Torino, e finisce il 16 dicembre 1920, quindici giorni prima dell'apparizione dell'Ordine Nuovo quotidiano. Dal suo ventiseiesimo al suo trentesimo anno — l'intenso quinquennio della segreteria della sezione socialista, dell'Ordine Nuovo rivista e della latta per la fondazione del partito comunista — Gramsci riesce ad intercalare una costante attività giornalistica, alternando ai caustici commenti della rubrica « Sotto la mole » la critica teatrale. Gobetti, che si compiacque di posizioni paradossali contro la critica teatrale, scrisse: « Si può compiere con utilità anche l'esperienza di critico teatrale; ma se la si smette presto » : e Gramsci, infatti, sotto il peso, d'altronde, di ben piú gravi responsabilità, s[...]

[...]stando nel campo delle critiche teatrali, bisogna anzitutto precisare che nel quinquennio 19161920, Gramsci conobbe di Pirandello: ha ragione degli altri, che è del 1915, Pensaci Giacomino, Liold e Il berretto a sonagli, che sono del 1916, Il piacere dell'onestd, del 1917, Cosí è (se vi pare) e Il giuoco delle parti del 1918, L'innesto, del 1919, Tutto per bene e Come prima, meglio di prima del 1920; conobbe, cioè, il Pirandello che precedette i Sei personaggi e l'Enrico IV, che sono del 1922; il Pirandello, cioè, non ancora completamente riconosciuto nella sua grandezza da gran parte della critica maggiore; ed è noto che Gramsci ricorderà piú tardi, con compiacimento (lettera alla cognata del 19 marzo 1927) come in quel tempo in cui Pirandello era « amabilmente sopportato o apertamente deriso » , egli, dal 1915 al 1920, avesse scritto tanto (e lo ricorderà nei Quaderni del carcere) « da mettere insieme un volumetto da 200 pagine ». In quella lettera famosa di opere da compiere, egli includeva tra queste, come è noto, « uno studio sul te[...]

[...] o apertamente deriso » , egli, dal 1915 al 1920, avesse scritto tanto (e lo ricorderà nei Quaderni del carcere) « da mettere insieme un volumetto da 200 pagine ». In quella lettera famosa di opere da compiere, egli includeva tra queste, come è noto, « uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato ed ha contribuito a determinare».
Il capolavoro del periodo precedente ai Sei personaggi, è, indubbiamente, Liolà, che egli giudica « una delle piú belle commedie moderne » : il contadino siciliano in cui Gramsci vede « l'uomo della vita pagana, pieno di robustezza morale e fisica, perché uomo, perché se stesso, semplice umanità vigorosa », « efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica », l'opera che non po
Giulio Trevisani 293
teva non ferire profondamente la mentalità cattolica; e Gramsci ricorderà piú tardi le chiassate degli s[...]



da Quinto Martini, Memorie in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]ccisa una vecchietta mentre racco
glieva nell'orto le foglie di cavolo per i conigli...
Non faceva molto caldo, ma prima di arrivare alla fonte mi sentii
la gola asciutta, appena giunto bevvi a lungo, e ripresi a camminare
lesto lesto per la strada del bosco.
Prima di arrivare al leccio incontrai mio fratello. Sono tanto sor
preso di trovarlo per la strada che non sono capace di far parola. Lui
invece, mi abbraccia e dice:
«Bravo Libero, sei veramente un uomo» e prendendo il sacco:
« Cosa c'è qui dentro? » Mi guardai attorno e dissi:
«Entriamo nel bosco...» Lui sorrise, mi prese per mano, ci inerpi
cammo in mezzo al castagneto e ai quercioli. Quando fummo abba
stanza dentro e lontano dalla strada, gli dissi piano piano:
«Sai, Aldo, nel sacco c'è da mangiare e vestire. E babbo che mi
manda ».
Sciolse il sacco e mentre lui frugava con le mani, io dissi ancora:
« Se tu resterai quassù, verrò spesso a portarti pane, carne e da
vestire... ».
Mi prese con le mani alla vita e alzandomi come se fossi stato una
piuma mi disse: [...]

[...]me, e stringendomi fra le
braccia e guardandomi negli occhi, mi domande):
«Saprai serbare il segreto? ».
« Non dirò nulla nemmeno all'aria! ».
« Allora, sempre acqua in bocca? ».
« Si, sempre acqua in bocca... ».
«Neppure al prete, se andrai a confessarti? ».
« Io non vado a confessarmi, tu lo sai ».
« Lo so. Ma ho detto così per dirti che nessuno deve saperlo ».
« Stai tranquillo. Mi farei ammazzare, ma non direi nulla ».
« Bene così. Sei un vero uomo. Ora raccontami cos'è successo giù
in paese stamani. Ho visto del fumo; penso avranno incendiato cir
colo dei lavoratori ». Il suo sguardo si fece triste, cercando qualcosa
giù nella pianura.
130 QUINTO MARTINI
Raccontai tutto, quello che avevo visto coi miei occhi, e udito con i miei orecchi. Finito il racconto mi mise sulle sue ginocchia, mi strinse forte, sentii male ma non gridai, e ridendo mi disse:
« Bravo, sono fiero di te... » e me lo disse con quel suo modo scherzoso che aveva anche quando parlava di cose serie.
« Mi vuoi a dormire con te questa notte? Posso farti[...]

[...]eria, piena di fogli e sedie spezzate, al muro non c'era più attaccato né il ritratto di Lenin né quello di Marx: nella toppa del muro, più colorita e che aveva preso la forma delle fotografie, c'era stato disegnato con un pezzetto di carbone un teschio ed un pugnale. Un mio compagno mi disse:
Non mi piacciono quei disegni ».
Prendendo della carta per terra ne fece una specie di palla, e facendosi vicino a me disse sottovoce:
« Libero, tu che sei più forte, fammi montare sulle tue spalle, voglio cancellare la morte ».
Non feci parola, mi chinai tenendo le mani sopra i ginocchi, lui mi monto sulla schiena, poi a cavalluccio sulle spalle, io mi alzai tenendo la testa bassa.
Sentivo la carta strofinare sul muro e della polvere cader giù.
« Ecco, questa é fatta; portami ora dall'altra parete, voglio cancellare anche quella morte là ».
Fece lo stesso lavoro con più sveltezza, poi lo sentii scivolare giù per la schiena, e appena messi i piedi a terra mi disse:
« Andiamo a scuola ».
Gli altri compagni erano già scesi nella strada. Noi [...]

[...]andosi molta cipria alle gote e scuro agli occhi. Mi ricordo che tutti la chiamavano la « grassa metresse ». Agitava la mano sinistra con l'indice teso e diceva:
« Hanno fatto bene a prenderli, dovrebbero tenerli in prigione per tutta la vita. E tutta gente pericolosa. Volevano dare i poderi ai contadini e prendere la roba ai signori. Non dovrebbero lasciarli uscire più diprigione... ». Una donna magra, la nonna di Duilio, le disse: « Eppure tu sei cristiana, vai sempre in chiesa. Se tu credi nella chiesa, perché ti rallegri per il male che vien fatto agli altri.? ».
«Che c'entra la chiesa in queste faccende? Lascia stare da parte
136 QUINTO MARTINI
la religione. E poi c'era. Arturo, quello che ammazza i gatti per farci la pastasciutta. L'ho sentito dire `Nella chiesa ci faremo il teatro, Pambulatorio per i malati...!' e poi io non posso vederli quelli che ammazzano le bestie ».
«E di tuo marito che va sempre a caccia che ne pensi? ». « Mio marito non ammazza i gatti.. ».
«Quando ha ammazzato senza ragione il cane di Palle non ti s[...]

[...]queste faccende? Lascia stare da parte
136 QUINTO MARTINI
la religione. E poi c'era. Arturo, quello che ammazza i gatti per farci la pastasciutta. L'ho sentito dire `Nella chiesa ci faremo il teatro, Pambulatorio per i malati...!' e poi io non posso vederli quelli che ammazzano le bestie ».
«E di tuo marito che va sempre a caccia che ne pensi? ». « Mio marito non ammazza i gatti.. ».
«Quando ha ammazzato senza ragione il cane di Palle non ti sei commossa? ». Un vecchietto dall'aria ironica disse: «Che cuore di miele ha la Giulia! Chi l'avrebbe mai pensato che si commovesse dei poveri gatti!... ». Poi rivolgendosi alla donna grassa, grido: «Tu difendi il podere e i quattrini che hai alla banca. Quando sarai nella cassa da morto anche il podere sari messo dentro e sepolto insieme a te. Allora sarai contenta, nessuno te lo prenderà ».
Un giovanotto che s'era fermato da poco a sentire restando con un piede a terra e seduto sopra il sellino della bicicletta da corsa, le spiattellò sul muso:
« Sei un budello di vacca pregna » e scappò vi[...]

[...]ensato che si commovesse dei poveri gatti!... ». Poi rivolgendosi alla donna grassa, grido: «Tu difendi il podere e i quattrini che hai alla banca. Quando sarai nella cassa da morto anche il podere sari messo dentro e sepolto insieme a te. Allora sarai contenta, nessuno te lo prenderà ».
Un giovanotto che s'era fermato da poco a sentire restando con un piede a terra e seduto sopra il sellino della bicicletta da corsa, le spiattellò sul muso:
« Sei un budello di vacca pregna » e scappò via pedalando rizzandosi sui pedali. E lei di rimando:
«Figlio di troia, hanno bastonato tuo fratello e han fatto bene. Lo lasciassero marcire in prigione... ».
Ebbi la forza di stare a sentire senza dire qualche parolaccia. Quando tornai a casa presi il vocabolario della zia e cercai la parola « metresse » non c'era scritta e pensai che doveva essere una parola molto brutta. Piú tardi me ne feci spiegare il significato dal figlio del cappellaio che andava a studiare in città. Mi disse che era una parola francese e che si chiamano così le padrone dei ca[...]

[...]nuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi prendere. Quando uno é in prigione...».
« Ma in prigione ci tengono chi ha commesso qualcosa contro la legge, e non si può rovinare la vita di un uomo giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guardavano. Remo rispose:
« Tu sei troppg giovane e vivi con la testa nelle nuvole. Quando uno l'hanno messo dentro, chi va a levarlo? ».
I1 babbo interruppe dicendo:
« Ci sarà una giustizia; se uno é innocente, perché punirlo? ».
« È la politica che c'é di mezzo e chi comanda ha sempre ragione; quello che tiene il mestolo in mano, razzola come vuole ».
La mamma sedendosi:
« $ vero, gli uomini non sono sempre giusti con gli uomini. La vera giustizia é quella divina. Solo Dio é giusto e grande di misericordia. Gli uomini non sanno perdonare, Dio sa perdonare ».
« Si, sono tutte belle cose disse Remo — ed é bello avere la [...]

[...]gridare:
« Canti sempre le stesse cose, ci farai una pazzia ».
«Fai la treccia e rigoverna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono belle si possono cantare anche tutta la vita. Saranno sempre belle! ».
« Convinciti che stai invecchiando e che non sei più giovanetto ».
« Perdio! ti dico fin da questo momento che se muoio prima io voglio che tu stessa mi metta nella cassa, sul mio petto « L'Orlando Furioso », e che anche nell'altra vita io possa cantare. Le donne, i cavalier, l'arme; gli amori, le cortesie... ».
n.w
MEMORIE 147
« Non scherzare con la morte, e con l'altra vita ».
« No, no, non scherzo: alla mia morte voglio nella bara l'Orlando Furioso. Lo lascerò scritto nel mio testamento ».
E avvicinandosi a me:
«Non faccio bene, Libero? ».
« Si, fai bene, zio ».
Mi prese per un braccio e mi portò con sé verso il bosco. Strada fa[...]

[...]to un medico e mai mi sono purgato, e con l'acqua mi son sempre lavato mani, piedi e coglioni. Se mi si proibisse di cantare, fumare e bere vino sarei un uomo finito. Morirei in tre giorni: io sono nato per cantare ».
Era fiero della sua salute e quando vedeva qualcuno pallido e con poca vita negli occhi gli diceva:
« Ragazzo mio, tu semini i frasconi. Se seguiti così presto ti porteranno al camposanto ».
Questi rispondevano sorridendo:
« Tu sei sempre allegro, e hai sempre voglia di scherzare... ».
« Non bisogna mai farsi cattivo sangue, chi se la piglia more prima di vent'anni, studia l'Ariosto se vuoi sentirti tranquillo ».
Tutti gli volevano bene e stavano volentieri in sua compagnia a parlare di quello che si diceva nel mondo. Un giorno dal modo come guardò una donna giovane che venne a bottega ebbi la sensazione che gli piacessero le avventure. Questa mia impressione mi fu confermata un pomeriggio nell'ora che la zia si buttava sul letto per dormire. Passeggiavo lungo il viottolo che sale dalla strada su nel bosco. Faceva cal[...]

[...] bosco. Mi alzai, e lassù in alto, vidi mia madre che scendeva giù piano piano. Aveva una pezzuola in testa per pararsi il sole e sotto il braccio destro un grosso fagotto bianco. Le andai incontro, il cane avanti camminava serpeggiando la strada sassosa, e spesso si voltava indietro movendo la coda coperta di pelo.
Ero felice, appena fu possibile vederci ci facemmo dei cenni alzando una mano, quando le fui più vicino, mi disse:
« Com'é che mi sei venuto incontro? ».
« Stavo seduto in fondo al bosco, vicino alla chiesa, quando mi son visto arrivare Drago, allora ho pensato che ci fosse qualcuno di voi ». Porgendomi al mio cenno il fagotto, mi disse:
«Non mi é stato possibile farlo tornare indietro; quando lo sgridavo si buttava ai miei piedi come per implorare che lo lasciassi venire. E cosi mi ha fatto compagnia».
« Hai fatto bene a portarlo ».
« Ho pensato anch'io lungo il cammino che ti avrebbe fatto piacere rivederlo ».
« Sono contento che ci sia anche Drago ». Mi chinai e lo strinsi fra le mie braccia.
« Andiamo, Libero, fa [...]

[...]
derti,».
Passando di fronte alla chiesa la mamma salutò il parroco che stava
leggendo il breviario seduto sotto la loggetta. Anche lui sapeva di mii,
fratello e ne parlarono un po'.
«Bisogna aver fede e pregare Dio. Egli é pieno di misericordia
per tutti ».
Prima di salutare il prete la mamma gli chiese a che ora la mattina
c'era la messa. Quando fummo un po' distante mi disse:
« Sai, quello é Don Masino. Conosce molto bene Aldo. E tu, sei
mai stato a messa?
Io non risposi. Lei, con una voce molto dolce, prosegui:
«Non posso costringerti ad andare in chiesa se non lo fai con fede.
Un giorno, sono certa, tu sentirai questo bisogno ».
Giunti dagli zii fu gran festa. Un pollo venne ammazzato e fatto
fritto per il desinare. Si parlò molto di Aldo. Fu allora che mio zio
disse che Orlando e Ruggero erano stati bastonati ma che poi non
avevano avuto più noie. Ero contento di ritrovarmi con mia madre in
una casa che non fosse la nostra. Quando le fu chiesto dalla zia quanto
tempo sarebbe rimasta, rispose:
Non molto, tre o qu[...]

[...] nella torre fin dalla nascita. Mamma lo conosceva fin da bambina, da quando veniva nel bosco a far legna, a cercar funghi e castagne. Si alzò e gli andò incontro, dicendo:
« Come va Egisto? Era un bel pezzo che non ci si vedeva... ».
«Oh! guarda chi si vede! La Marta. Come va, come va, Marta? E quello là é tuo figlio? L'ho visto più d'una volta quassù con suo cugino Corinto a prender le fastella col barroccio ». E avvicinandosi a me: «Per) ti sei fatto un uomo ».
Io sorrisi e mi sentii fiero di non sembrare più un ragazzino.
« Dimmi, come sta il tuo babbo? Siamo vecchi amici io e Gre
MEMORIE 157
Borio » e guardando mia madre — «Vero che siamo vecchi amici
con tuo marito? ».
«Lo so, lo so, Egisto. Mio marito vi ricorda spesso e dice sempre: `Egisto è una quercia, non morirà mai' ».
«E Cecchino come va? E sempre malato? ».
« Si, é sempre malato » disse mia madre prendendo un'espressione piuttosto dolorosa. «Non c'è nessuna speranza di guarire, quella è una malattia che non perdona ».
Togliendosi il fucile dalla spalla e il vecc[...]

[...]ttolo che ci portava dietro la nostra casa. Drago era arrivato prima: di noi e le.
MEMORIE 159
trovammo sotto la tavola a rosicchiare degli ossi. Tutti mi fecero grande festa; erano contenti di rivedermi e io mi sentivo felice di essere di nuovo fra loro. A tavola mi furon fatte molte domande alle quali quasi sempre rispondeva la mamma.
Ero stanco e non vedevo l'ora di andarmene a dormire. Babbo se ne acccorse e disse:
« Vai a letto, Libero, sei stracco, si vede dalla tua faccia », e prosegui: «Domani, domani ci racconterai come hai passato il tuo tempo dallo zio ».
Mi alzai, diedi la buonanotte a tutti, salii le scale a fatica e entrai in camera. Mi infilai sotto le lenzuola, mi coprii la testa, chiusi gli occhi e subito mi trovai davanti allo zio che cantava e con questa visione mi addormentai.
QUINTO MARTINI



da Rutilio Cateni, Quella volta che venne il Federale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]estra nel piatto. Il fumo odoroso della minestra e lei che troncava il pane. Lei che empiva i bicchieri. E, infine, il gatto che miagolava solitario. E anche la casa era stanca.
Sul pianerottolo del primo piano, c'era il vecchio. Il vecchio detto Giolitti, per i baffoni bianchi che aveva.
« Giolitti disse Libertario — date un'occhiata alla mia donna,
lassù. Io e lei siamo molto stanchi e io devo uscire ».
« Per gli ascari! — disse Giolitti — sei più nero del nero ».
È buio qui », fece.
«k la divisa », disse il vecchio.
« Ah! Questa qui... ».
« Ai miei tempi non si portava », disse Giolitti.
« Anche a me dá noia ».
« Fa sudare — disse Giolitti. — È una camicia di forza ».
« È puzzolente! », disse forte Libertario.
Giolitti mise il naso vicino alla sahariana.
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 105
« E vero. Puzza ».
Libertario cominciò a scendere le scale. Tuttavia disse ancora al
vecchio: «Puzza di cane bastardo! ».
E il vecchio dall'alto gli gridò: « Puzza di canaglia! ».
« Ma io la devo portare — disse Libertario — io [...]

[...] Giolitti. — È una camicia di forza ».
« È puzzolente! », disse forte Libertario.
Giolitti mise il naso vicino alla sahariana.
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 105
« E vero. Puzza ».
Libertario cominciò a scendere le scale. Tuttavia disse ancora al
vecchio: «Puzza di cane bastardo! ».
E il vecchio dall'alto gli gridò: « Puzza di canaglia! ».
« Ma io la devo portare — disse Libertario — io ho una casa e
un campo... ».
«Non importa. Ma sei italiano? Sei per l'Italia? ».
Libertario era al pianterreno e disse nella tromba delle scale: « Io
sono per la mia casa, per il mio campo e per la mia donna ».
E il vecchio disse: « E codesta non è l'Italia? che cosa credi che sia l'Italia? Io ho girato un po' il mondo, ho visto tutto così: una casa, un orto... ».
Poi Libertario fini di scendere l'ultimo gradino e non senti piú nulla, ma la voce tremante del vecchio Giolitti rimbombava ancora nella tromba delle scale. Diceva che l'Italia era anche una donna oltre che un orto e un campo. Una Pavana dentro a una casa. Una Pavana che nessuno offendeva. [...]

[...] Potete giudicare voi stesso, federale. Interrogate. Domandate a questa gente... ».
Quattro Témpora, a questo punto, troncò il meraviglioso incantesimo della voce. Allargò le braccia. Fece un lungo sospiro. Si fermò vicino a un finestrone. Guardò la notte al di là dei vetri. Una notte regale e taciturna.
« Camerata! — disse il federale. — Se non ci sono le prove... ». Si mosse dal tavolino. Andò accanto a Libertario e gli parlò paternamente. « Sei stanco figliolo... Hai la barba lunga. L'uniforme scomposta. Hai bisogno di riposo, di calma... ». Gli mise una mano sulla spalla. Gli disse: « Coraggio. Ci sono passato anch'io ». Come se lui avesse avuto le corna. Ma Libertario era già lontano coi pensieri. Già diviso da quella gente. Era dentro alla casa accanto alla Pavana. O nel campo a frullanare il fieno. Qualunque cosa dicessero, qualunque cosa facessero, non lo riguardava più. La vera vita da vivere, da accettare
QUELLA VOLTA CHE VENNE IL FEDERALE 113
come sofferenza vera, era un'altra. Al di lá di quelle mura. Subito al di lá. Dov[...]



da Raffaele Crivaro, Avventura di un commissario in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...] diverso dai miei coetanei, nervoso, bisognoso di cure. Inoltre, mi pareva che la indiscutibile devozione per lei non potesse andare disgiunta
dall'obbedienza integrale, dall'acquiescenza. Così, non ritenevo disdicevo
le per la mia età comunicarle ogni mio movimento, gli orari del mio ritorno a casa, lo svolgimento del mio lavoro in ufficio; né, se uscivo dopo
cena, mi era gravosa l'immancabile istruttoria : « dove vai... con chi vai... ma se sei uscito ieri sera... chi svolge il tuo lavoro non può fare vita di mondo ».
Così per dieci anni. Quando poi ebbi toccato i quaranta, mia madre decise per me il matrimonio. Cominciò ad accennarvi vagamente; poi prese a portarmi esempi di amici cari che adesso godevano di figli,
di affetti. Finalmente, adottò una specie martellante di lamento: le restavano pochi anni di vita, ripeteva a non finire, e non sarebbe morta contenta a sapermi « solo come un cane ». Inoltre, si rifaceva in continuazione a parenti o conoscenti « finiti in mano alla serva », o a casi di scapoli in un modo o nell'altro [...]

[...] chiesto a me, « questo fatto lo saprà il principale? ».
« No » ho risposto. « Perché dovrebbe saperlo ? ».
« Sa » ha spiegato, « sono preoccupata... Oggi non è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wanda mi ha sorriso con sicurezza, come se si aspettasse la mia visita. Subito ha chiamato il proprietario e me lo ha presentato, dicendogli con affettazione la mia professione. Il proprietario s'é inchinato, poi ci ha lasciato soli.
Wanda mi ha chiesto se il fidanzato era in carcere. Le ho detto che credevo di si, a disposizione dell'autorità giudiziaria; ma che presto sarebbe stato rimesso in libertà. « Con questo freddo... » ha detto lei ridendo. Ha sbagliato due volte[...]

[...]po siamo andati in una trattoria della Cassia. Mangiando di lena i ravioli grassi, o giocando con le posate, Wanda mi ha detto che si sentiva tanto sola: il padre era morto, la madre s'era messa a vivere con un rigattiere, e lei viveva in una stanza ammobiliata. Adesso poi aveva perso anche il fidanzato, per la rissa. Costui, che si chiamava Lucio, sosteneva che lei s'era accorta di quei toccamenti e aveva lasciato correre. « Ho capito che donna sei » le aveva detto appena erano scesi dal tram, poco prima che lo arrestassero; le aveva dato due schiaffi e le aveva strillato « non ti voglio più vedere ». « Io invece non me n'ero accorta » ha continuato Wanda; «credevo che quello non lo facesse apposta, il tram era pieno e stavamo stretti ». Lei gli voleva bene ma era stanca. Lui faceva una brutta vita e non dava affidamento: una condanna a tre mesi per un'altra rissa, una condanna a sei mesi per atti osceni in un giardino pubblico, un'assoluzione per insufficienza di prove in un processo per truffa. Faceva il commesso in un negozio di pezzi di ricambio per automobili.
L'ho interrotta per chiederle perché non avesse detto la veritá al maresciallo.
« Non riesco a volergli male dopo quattro anni, non me la sono sentita di andargli contro » ha risposto. Ha bevuto un po' di vino,
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 117
e poi « ci credi che mi ha sverginata lui? » mi ha detto con malizia. Io ho notato che mi aveva dato del tu, mi sono tolto gli occhiali e le ho preso una mano. Non ho [...]

[...]n so dire, ma anche pensavo che mi sarebbe piaciuto proteggerla.
Una sera che il temporale batteva sul tetto della macchina, e Wanda era più che mai abbandonata per tutto il sedile, obliqua e distorta, il suo corpo da statua mi ha emozionato. Aveva la bocca piú rossa del solito, la lingua smagliante spesso si affacciava tra le labbra per inumidirle, i tratti del viso le si erano induriti. Le ho detto: « Scendiamo, allontaniamoci un po' ».
« Tu sei matto » ha ribattuto lei, fra incredula e canzonatoria. « Con questo tempo! ».
Siamo andati qualche volta a mangiare nelle trattorie fuori mano, una volta siamo andati a Rieti. Non siamo potuti andare nella sua stanza perché a Wanda non era permesso portarci uomini: mi aveva già detto, i primi giorni, che la padrona su quel punto era irremovibile. Io mi sforzavo di trovare soluzioni, ma le possibilità che mi passavano per la testa urtavano contro la necessità di salvaguardare la mia posizione: negli alberghi avrei dovuto esibire un documento, delle stanze che affittano clandestinamente diffi[...]

[...]nava per tutta la casa. Ho pensato che la cosa migliore era uscire, prendere aria. Ma quando sono arrivato al portone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 119
Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondari[...]

[...]icovero di un bambino suo nipote. Gli ho detto di si, e lui mi ha dato un foglio con gli estremi. Poi sono uscito, e sono andato in ufficio.
Non ho trovato nessuno. Mi sono addormentato al mio tavolo, con la testa fra le braccia.
Mi sono svegliato che erano le quattro e mezzo. Mi sono lavato, e
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 129
mi sono sentito meglio. Ho vinto il fastidio di dovermi rimettere sulla scena della vicenda, e ho chiamato Porzio.
« Sei stato tu a sorvegliare la signorina » gli ho detto.
Vede, dottore.. ».
Ah, ci hai mandato un agente » ho strillato. « Mi hai sputtanato con tutto l'ufficio ».
« Per carità, dottore, ci sono stato io... Ho pensato che le ore buone per la signorina non erano tante: dalle dieci alle undici, a mezzogiorno al massimo.. È stato un gioco da ragazzi... Due volte ho aspettato a vuoto, e stamattina... ».
« E stamattina hai avvertito mia madre... Quando hai visto salire quel giovanotto, le hai telefonato ».
« Sissignore, secondo gli accordi ». S'è inchinato e ha fatto per andarsene.
« Aspetta un m[...]



da Natalia Ginzburg, Le piccole virtù in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...] diverso dai miei coetanei, nervoso, bisognoso di cure. Inoltre, mi pareva che la indiscutibile devozione per lei non potesse andare disgiunta
dall'obbedienza integrale, dall'acquiescenza. Così, non ritenevo disdicevo
le per la mia età comunicarle ogni mio movimento, gli orari del mio ritorno a casa, lo svolgimento del mio lavoro in ufficio; né, se uscivo dopo
cena, mi era gravosa l'immancabile istruttoria : « dove vai... con chi vai... ma se sei uscito ieri sera... chi svolge il tuo lavoro non può fare vita di mondo ».
Così per dieci anni. Quando poi ebbi toccato i quaranta, mia madre decise per me il matrimonio. Cominciò ad accennarvi vagamente; poi prese a portarmi esempi di amici cari che adesso godevano di figli,
di affetti. Finalmente, adottò una specie martellante di lamento: le restavano pochi anni di vita, ripeteva a non finire, e non sarebbe morta contenta a sapermi « solo come un cane ». Inoltre, si rifaceva in continuazione a parenti o conoscenti « finiti in mano alla serva », o a casi di scapoli in un modo o nell'altro [...]

[...] chiesto a me, « questo fatto lo saprà il principale? ».
« No » ho risposto. « Perché dovrebbe saperlo ? ».
« Sa » ha spiegato, « sono preoccupata... Oggi non è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wanda mi ha sorriso con sicurezza, come se si aspettasse la mia visita. Subito ha chiamato il proprietario e me lo ha presentato, dicendogli con affettazione la mia professione. Il proprietario s'é inchinato, poi ci ha lasciato soli.
Wanda mi ha chiesto se il fidanzato era in carcere. Le ho detto che credevo di si, a disposizione dell'autorità giudiziaria; ma che presto sarebbe stato rimesso in libertà. « Con questo freddo... » ha detto lei ridendo. Ha sbagliato due volte[...]

[...]po siamo andati in una trattoria della Cassia. Mangiando di lena i ravioli grassi, o giocando con le posate, Wanda mi ha detto che si sentiva tanto sola: il padre era morto, la madre s'era messa a vivere con un rigattiere, e lei viveva in una stanza ammobiliata. Adesso poi aveva perso anche il fidanzato, per la rissa. Costui, che si chiamava Lucio, sosteneva che lei s'era accorta di quei toccamenti e aveva lasciato correre. « Ho capito che donna sei » le aveva detto appena erano scesi dal tram, poco prima che lo arrestassero; le aveva dato due schiaffi e le aveva strillato « non ti voglio più vedere ». « Io invece non me n'ero accorta » ha continuato Wanda; «credevo che quello non lo facesse apposta, il tram era pieno e stavamo stretti ». Lei gli voleva bene ma era stanca. Lui faceva una brutta vita e non dava affidamento: una condanna a tre mesi per un'altra rissa, una condanna a sei mesi per atti osceni in un giardino pubblico, un'assoluzione per insufficienza di prove in un processo per truffa. Faceva il commesso in un negozio di pezzi di ricambio per automobili.
L'ho interrotta per chiederle perché non avesse detto la veritá al maresciallo.
« Non riesco a volergli male dopo quattro anni, non me la sono sentita di andargli contro » ha risposto. Ha bevuto un po' di vino,
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e poi « ci credi che mi ha sverginata lui? » mi ha detto con malizia. Io ho notato che mi aveva dato del tu, mi sono tolto gli occhiali e le ho preso una mano. Non ho [...]

[...]n so dire, ma anche pensavo che mi sarebbe piaciuto proteggerla.
Una sera che il temporale batteva sul tetto della macchina, e Wanda era più che mai abbandonata per tutto il sedile, obliqua e distorta, il suo corpo da statua mi ha emozionato. Aveva la bocca piú rossa del solito, la lingua smagliante spesso si affacciava tra le labbra per inumidirle, i tratti del viso le si erano induriti. Le ho detto: « Scendiamo, allontaniamoci un po' ».
« Tu sei matto » ha ribattuto lei, fra incredula e canzonatoria. « Con questo tempo! ».
Siamo andati qualche volta a mangiare nelle trattorie fuori mano, una volta siamo andati a Rieti. Non siamo potuti andare nella sua stanza perché a Wanda non era permesso portarci uomini: mi aveva già detto, i primi giorni, che la padrona su quel punto era irremovibile. Io mi sforzavo di trovare soluzioni, ma le possibilità che mi passavano per la testa urtavano contro la necessità di salvaguardare la mia posizione: negli alberghi avrei dovuto esibire un documento, delle stanze che affittano clandestinamente diffi[...]

[...]nava per tutta la casa. Ho pensato che la cosa migliore era uscire, prendere aria. Ma quando sono arrivato al portone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
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Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondari[...]

[...]icovero di un bambino suo nipote. Gli ho detto di si, e lui mi ha dato un foglio con gli estremi. Poi sono uscito, e sono andato in ufficio.
Non ho trovato nessuno. Mi sono addormentato al mio tavolo, con la testa fra le braccia.
Mi sono svegliato che erano le quattro e mezzo. Mi sono lavato, e
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mi sono sentito meglio. Ho vinto il fastidio di dovermi rimettere sulla scena della vicenda, e ho chiamato Porzio.
« Sei stato tu a sorvegliare la signorina » gli ho detto.
Vede, dottore.. ».
Ah, ci hai mandato un agente » ho strillato. « Mi hai sputtanato con tutto l'ufficio ».
« Per carità, dottore, ci sono stato io... Ho pensato che le ore buone per la signorina non erano tante: dalle dieci alle undici, a mezzogiorno al massimo.. È stato un gioco da ragazzi... Due volte ho aspettato a vuoto, e stamattina... ».
« E stamattina hai avvertito mia madre... Quando hai visto salire quel giovanotto, le hai telefonato ».
« Sissignore, secondo gli accordi ». S'è inchinato e ha fatto per andarsene.
« Aspetta un m[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Sei, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Così <---Perché <---Più <---siano <---Come <---Già <---Storia <---Basta <---Però <---Andiamo <---Del resto <---Diritto <---La sera <---Cominciò <---Cosa <---Davanti <---Dio <---Ecco <---Hai <---Sulla <---Voglio <---italiano <---Ancora <---Bisogna <---Certo <---Dei <---Dico <---Fai <---Gli <---Guardò <---La casa <---Ma mi <---Niente <---Non parlare <---Ogni <---Povera <---Resta <---Sarai <---Sarà <---Tornò <---Va bene <---Vado <---Viene <---anziane <---cominciano <---comunista <---comunisti <---d'Italia <---fascismo <---fascista <---fascisti <---Accendi <---Adesso <---Ahi <---Anche <---Arrivò <---Buona <---Buonasera <---Carogne <---Cercò <---Col <---Cosi <---D'Annunzio <---Eccola <---Famagosta <---Farmaceutica <---Farmacia <---Fonetica <---Garbatella <---Giunti <---Giù <---Guarda <---La notte <---Lanciani <---Lasciatelo <---Lasciò <---Lenin <---Logica <---Macché <---Mi pare <---Muovetevi <---Murate <---Nicò <---Non lo so <---Non voglio <--- <---Patria <---Pochi <---Ponte Milvio 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