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Il segmento testuale Risorgimento è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 270Analitici , di cui in selezione 14 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [Gli interventi] Giorgio Candeloro in Studi gramsciani

Brano: Giorgio Candeloro

Penso che il dibattito potrà riuscire più proficuo se si concentrerà su quegli aspetti dell’interpretazione gramsciana della storia d’Italia che hanno sollevato negli ultimi tempi vivaci discussioni tra gli studiosi. Mi soffermerò pertanto su di un problema soltanto, tra i molti toccati dal prof. Cessi nella sua relazione.

Le osservazioni di Gramsci sull’assenza di un movimento giacobino nel Risorgimento e in particolare sul carattere non giacobino del movimento democratico italiano sono tra quelle che hanno sollevato critiche *da parte di molti studiosi di storia. Si è detto che Gramsci, sotto lo stimolo di preoccupazioni politiche proprie del primo dopoguerra, estranee quindi alla situazione dell’età risorgimentale, avrebbe fatto un uso ingiustificato dell’esempio della Rivoluzione francese per giudicare il Risorgimento elevando il giacobinismo a paradigma ideale e commisurando ad esso movimenti politici sorti in condizioni del tutto diverse. Secondo Walter Maturi1, Gramsci avrebbe capovolto il giudizio comparativo sulla Rivoluzione francese e sul Risorgimento dato dal Manzoni negli ultimi anni della sua vita e avrebbe sostituito al modello ideale di rivoluzione liberalemoderata un modello ideale di rivoluzione giacobina. Secondo Rosario Romeo invece2, l’interpretazione gramsciana è criticabile, non solo perché la situazione italiana del Risorgimento era profondamente diversa da quella francese della Rivoluzione, ma soprat
1 W. MATURI, « Gli studi di storia moderna e contemporanea », in Cinquantanni di vita intellettuale in Italia^ Napoli, 1950, voi. I, p. 273.

2 R. Romeo, « La storiografia politica marxista », in Nord e Sud, agosto 1956.516

Gli interventi

tutto perché una rivoluzione giacobina, se ci fosse stata in Italia, non avrebbe avuto funzione progressiva, poiché avrebbe di molto ridotto, con la creazione di un vasto ceto di piccoli proprietari coltivatori, le possibilità di accumulazione capitalistica già tanto limitate[...]

[...]ina, se ci fosse stata in Italia, non avrebbe avuto funzione progressiva, poiché avrebbe di molto ridotto, con la creazione di un vasto ceto di piccoli proprietari coltivatori, le possibilità di accumulazione capitalistica già tanto limitate in un paese arretrato commercialmente ed industrialmente. Si può dire insomma che, pur con motivazioni diverse e in parte contrastanti, la critica all’affermazione di Gramsci sull'assenza di giacobinismo nel Risorgimento sia stata finora uno dei punti centrali della discussione provocata tra gli storici dall’opera di Gramsci.

Di fronte a queste critiche si deve dire anzitutto che il pensiero storiografico di Gramsci è indubbiamente un aspetto del suo pensiero politico e al tempo stesso della sua azione politica. Ma si deve anche dire che questa azione fu essenzialmente azione rivoluzionaria, rivolta a mobilitare e a dirigere le forze capaci di risolvere i problemi di fondo della società e dello Stato in Italia. Questi problemi, giunti ad un grado estremamente critico nel primo dopoguerra, hanno però le lor[...]

[...]o e al tempo stesso della sua azione politica. Ma si deve anche dire che questa azione fu essenzialmente azione rivoluzionaria, rivolta a mobilitare e a dirigere le forze capaci di risolvere i problemi di fondo della società e dello Stato in Italia. Questi problemi, giunti ad un grado estremamente critico nel primo dopoguerra, hanno però le loro radici in tutta la precedente storia d’Italia, in particolare nella storia dell’Italia unitaria e nel Risorgimento. Gramsci perciò condusse un’indagine storica marxista sul problema della nascita e dello sviluppo della società e dello Stato borghese in Italia cercando di fissarne con chiarezza i caratteri distintivi nell’ambito dello sviluppo generale della borghesia in Europa e nel mondo. Nasce di qui necessariamente il paragone con la Rivoluzione francese, il quale del resto si può ricollegare ad una tendenza tipica del pensiero politico ottocentesco in Italia e in tutta l’Europa. Gran parte del pensiero politico liberale, democratico e in una certa misura anche socialista, del secolo passato, si svilup[...]

[...]tta l’Europa. Gran parte del pensiero politico liberale, democratico e in una certa misura anche socialista, del secolo passato, si sviluppò infatti sulla base di determinate e tra loro contrastanti interpretazioni della Rivoluzione francese; per non parlare del pensiero reazionario che fu per molti decenni addirittura ossessionato dall’esempio della Rivoluzione. Non si può dire dunque che l’esempio della Rivoluzione sia un paradigma estraneo al Risorgimento, quale esso fu effettivamente; è evidente tuttavia che l’uso di questo paradigma fatto dai pensatori e dagli uomini politici del secolo passato non può più coincidere con l’uso che ne può fare lo storico nel nostro secolo.

Premesso questo, prima di vedere in che consista questo paragone gramsciano e fino a che punto esso possa dirsi propriamente un paragone, è neoessairio soffermarci sulla definizione che Gramsci stesso dàGiorgio Candeloro

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del giacobinimo. « Il termine di66 giacobino ” — egli dice — ha finito per assumere due significati: uno è quello proprio, storicamente carat[...]

[...] delle sue idee, qualunque esse fossero: in questa definizione prevalsero gli elementi distruttivi derivati dall’odio contro gli avversari e i nemici, più che quelli costruttivi, derivati dalTaver fatto proprie le rivendicazioni delle masse popolari; l’elemento settario, di conventicola, di piccolo gruppo, di sfrenato individualismo, più che l’elemento politico nazionale » 1.

È evidente che Gramsci, quando parla di assenza di giacobinismo nel Risorgimento, si riferisce alla concezione positiva e comprensiva del giacobinismo, che egli analizza quando si sofferma in vari punti dei Quaderni del carcere suH’azione dei giacobini nella Rivoluzione francese stessa. Secondo lui, i giacobini francesi spinsero avanti in modo violento la stessa borghesia, che inizialmente era su posizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e documentato da alcuni storici della Rivoluzione francese, principalmente dal Mathiez. È impossibile però stabilire fino a che pu[...]

[...]osizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e documentato da alcuni storici della Rivoluzione francese, principalmente dal Mathiez. È impossibile però stabilire fino a che punto la concezione gramsciana sia stata influenzata dall’opera del Mathiez che Gramsci mi pare citi due sole volte nei Quaderni2.

Ora, secondo Gramsci, non ce stato nel Risorgimento un movimento giacobino, inteso in questo senso, perché nessun partito politico risorgimentale volle far leva sulle masse popolari e trascinarle nel movimento nazionale in vista di una trasformazione radicale della situazione

1 R., p. 75.

2 Mach., pp. 44 n. 2, 48.518

Gli interventi

esistente. Questa trasformazione avrebbe dovuto consistere essenzialmente (ma non esclusivamente) in una rivoluzione agraria. In Francia i giacobini, che avevano nella capitale la loro base principale, poterono assicurarsi con la loro politica agraria l’appoggio delle masse contadine. Essi perciò non so[...]

[...] crearono la compatta nazione moderna francese» \ La loro caduta si dovette essenzialmente alla necessità in cui si trovarono, per restare sul terreno della rivoluzione borghese, di rompere il fronte urbano di Parigi e di perdere l’appoggio delle masse popolari, sicché il Termidoro li travolse. In Italia invece mancò una forza democratica che sapesse essere giacobina e svolgere una politica agraria rivoluzionaria, sicché nei momenti decisivi del Risorgimento prevalse il movimento moderato.

Gramsci giunge cosi ad una visione molto chiara dei caratteri e della funzione storica dei due raggruppamenti politici maggiori del Risorgimento: 1 moderati e il partito d’Azione. I moderati ebbero infatti un rapporto organico con vasti settori della borghesia e dell’aristocrazia imborghesita; il partito d’Azione ebbe sempre una base sociale debole e ondeggiarne, perché Mazzini e gli altri democratici non vollero o non seppero porsi il problema di una radicale trasformazione dei rapporti di classe nelle campagne.

Gramsci però non si limita a questa critica, ma ricerca anche le ragioni storiche della fondamentale debolezza delle correnti democratiche risorgimentali. Egli ricollega questa debolezza allo sviluppo ritardato e insuffici[...]

[...]zza i caratteri risalendo attraverso l’età del dominio straniero al Rinascimento e all’età comunale. In questa ricerca si debbono inquadrare le sue osservazioni sul carattere « economicocorporativo » della borghesia comunale, sulla storia degli intellettuali italiani e sullo sviluppo della tradizione culturale italiana, da secoli ondeggiante tra il particolarismo corporativo e il cosmopolitismo di tipo cattolico. Al tempo stesso egli nota che il Risorgimento si attuò in una fase storica in cui il movimento

1 R.} p. 86.Giorgio Candeloro

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politico ascendente della borghesia, sviluppatosi dalla Rivoluzione francese, tendeva ad arrestarsi nei paesi più progrediti e a trasformarsi in una posizione difensiva di fronte al sorgente movimento del proletariato. Perciò l’Italia, che pure era in una situazione nel complesso più arretrata della Francia e degli altri paesi dell’Oocidente, risenti delle ripercussioni della situazione nuova che andava formandosi in questi paesi, e questo fu un freno potente per tutte le correnti politiche del Risorg[...]

[...]dalla Rivoluzione francese, tendeva ad arrestarsi nei paesi più progrediti e a trasformarsi in una posizione difensiva di fronte al sorgente movimento del proletariato. Perciò l’Italia, che pure era in una situazione nel complesso più arretrata della Francia e degli altri paesi dell’Oocidente, risenti delle ripercussioni della situazione nuova che andava formandosi in questi paesi, e questo fu un freno potente per tutte le correnti politiche del Risorgimento.

Queste circostanze interne ed esterne fecero si che il Risorgimento si concentrasse sui problemi dell’indipendenza, dell’unità e del regime costituzionale, sicché su questo terreno il partito d’Azione fu abbastanza facilmente rimorchiato dai moderati e in particolare dai gruppi che si strinsero attorno alla monarchia sabauda.

A questo punto però sorge un problema, che Gramsci stesso si pone, quello della possibilità storica di un diverso sviluppo del Risorgimento. Dice infatti Gramsci in un passo parzialmente citato anche da Manacorda : « Se in Italia non si formò un partito giacobino ci sono le sue ragioni da ricercare nel campo economico, cioè nella relativa debolezza della 'borghesia italiana e nel clima storico diverso dell’Europa dopo il 1815. Il limite trovato dai giacobini, nella loro politica di forzato risveglio delle energie popolari francesi da alleare alla borghesia, con la legge Le Chapelier e quella sul maximum, si presentava inel ’48 come uno “ spettro ” già minaccioso sapientemente utilizzato dall’Austria, dai vecchi governi e anche da[...]

[...] sente la necessità di un approfondimento, non tanto sui terreno filosofico (poiché la possibilità riferita al passato non va intesa come una costruzione astratta, ma come un’ipotesi di lavoro, come un punto di riferimento per chiarire meglio i caratteri delil’effiettivo processo storico), quanto sul terreno storiografico : è necessario infatti studiare a fondo la struttura economicosociale italiana, vederne con chiarezza l'evoluzione durante il Risorgimento, fissarne con precisione i caratteri diversi nelle varie parti d'Italia, studiarne infine Ì

1 R., pp. 8788.

34.520

Gli interventi

rapporti' con i movimenti politici. Si tratta insomma di proseguire ed estendere il lavoro di Gramsci studiando la storia d’Italia col metodo marxista. Quel metodo che Gramsci peir primo applicò ad essa con grande acume critico e con eccezionale ampiezza di prospettive, anche se, per le circostanze in cui ifu costretto a lavorare, i risultati della sua indagine dovettero assumere spesso una forma frammentaria e talora ebbero il carattere di geniali int[...]

[...]i ideologiche, o su pregiudizi moralistici, o sul mito di una conoscenza storica concepita come fine a se stessa, ma nasce dall’esigenza di conoscere scientificamente la realtà per trasformarla. Se si tiene presente questo essenziale carattere marxista dell’indagine gramsciana, allora appare anche pienamente legittimo l’uso della comparazione storica nella forma adottata da Gramsci a proposito del giacobinismo. Infatti per comprendere ciò che il Risorgimento è stato effettivamente è necessario vederne con chiarezza i limiti, vedere quali problemi esso lasciò insoluti; è necessario cioè, in un certo senso, tener conto anche di quello che esso non è stato. Perciò occorre studiarlo tenendo presente sia lo sviluppo successivo della storia italiana, che è condizionato dall risultato del Risorgimento, sia lo sviluppo generale della borghesia in Europa e nel mondo. Quindi la comparazione tra il processo storico con cui la borghesia conquistò il potere in Italia e i vari processi storici con 1 quali essa conquistò il potere in Francia, in Inghilterra o in altri paesi, serve appunto a fissare le caratteristiche dello sviluppo storico che portò in Italia alla formazione di un determinato Stato e di una determinata situazione politicosociale.

D’altra parte, per ritornare al concetto di giacobinismo, mi pare che Gramsci, se da un lato fu probabilmente stimolato alla definizione comprensiva d[...]

[...]870711. Comunque in Gramsci è molto chiara la coscienza della maggior complessità della rivoluzione proletaria rispetto alla rivoluzione borghese, soprattutto per quel che concerne il problema delle alleanze della classe rivoluzionaria. ,

Da un’attenta lettura degli scritti di Gramsci si può trarre infatti questa conclusione, che del resto è tipicamente marxistaleninista : in determinate condizioni storiche, quali erano quelle dell'Italia del Risorgimento in cui prevalsero i problemi essenzialmente politici deH’indipendenza nazionale e dell'unità statale, una rivoluzione borghese è possibile in una forma limitata (ma in tutte le rivoluzioni borghesi c’è sempre un certo limite rappresentato dalla maggiore o minore sopravvivenza di residui del passato), senza l’alleanza con i contadini e in genere con le masse popolari, ma coll’alleanza di vecchie forze preesistenti; invece una rivoluzione proletaria non è possibile senza l’alleanza con le masse contadine ed eventualmente con altri ceti e strati sociali. Insomma la rivoluzione borghese può, anzi[...]

[...]va classe rivoluzionaria, mentre la rivoluzione proletaria non può fermarsi prima di essere giunta ad una trasformazione completa e definitiva della società. Essa perciò ha una linea di sviluppo complessa che fu sommariamente ma vivacemente delineata da Marx in un famoso passo dello scritto sul Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte.

Ma il concetto gramsciano del giacobinismo può essere chiarito anche dai giudizi che Gramsci dà su tre uomini del Risorgimento, nei quali egli trova degli spunti giacobini: Giuseppe Ferrari, Carlo Pisacane e Vincenzo Gioberti.

Il giudizio su Ferrari mi sembra particolarmente esatto. Secondo Gramsci, il giacobinismo storico neH’opera di Ferrari si è « diluito e astrattizzato ». Giustamente egli nota come le grandi opere del Ferrari

1 Mach., p. 44.522 interventi

siano degli zibaldoni « f arraginosi e confusi » v mentre notevoli intuizioni politiche appaiono negli scritti polemici o d’occasione. Comunque osserva che il Ferrari si rese conto deH’importanza del problema agrario, ma non seppe elaborare in proposi[...]

[...]enti e furono stesi in rapporto a problemi molto diversi.

Comunque è chiaro che Gramsci si rese perfettamente conto della complessità deHopera del Gioberti, politica e filosofica, e comprese che il Gioberti non può essere considerato semplicemente come un rappresentante del moderatismo, poiché presenta degli aspetti radicalmente innovatori accanto a spunti conservatori e quasi reazionari.

Ho indicato questi giudizi gramsciani su uomini del Risorgimento come esempi di problemi che meriterebbero di essere affrontati in modo nuovo allo scopo di raggiungere una più chiara conoscenza del Risorgimento e in generale di tutta la storia d’Italia. Quegli studiosi di storia, che non si appagano del problemismo minuto o delle interpretazioni tradizionali o dell’astratto ideologismo, possono trovare neiropera di Gramsci un insegnamento di grande valore per condurre una ricerca storica animata da uno spirito rigorosamente scientifico e al tempo stesso da una chiara prospettiva di rinnovamento e di progresso politico e sociale.



da [Gli interventi] Gastone Manacorda in Studi gramsciani

Brano: [...]diziale che esprime diffidenza verso l’opera storica di Gramsci, cioè si dice : « qui si tratta di un pensatore politico, non di uno studioso di storia, le sue tesi sono tesi politiche ». Questa pregiudiziale fu già avanzata — come è noto — dal Croce e dall’Antoni e poi ebbe una formulazione un po’ più approfondita da parte dello Chabod, il quale precisò, in un saggio su Croce storico, che le tesi di Gramsci sulla mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e la critica che Gramsci fa ai democratici del Risorgimento di non avere or
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Gli interventi

ga.nizza.to la rivoluzione agraria, sono le proiezione nel Risorgimento di un problema che in realtà era il problema di Gramsci, era un problema del 1920 e non del 1848 o del 1860.

Non voglio discutere sulla questione di ordine teoretico, cioè sul rapporto fra coscienza politica e coscienza storica, fra giudizio politico e giudizio storico, ma prima di tutto sarà invece da vedere se questa affermazione regge, cioè se veramente il problema della rivoluzione contadina non fosse già presente, non dico soltanto nelle cose, ma nella coscienza stessa degli uomini del Risorgimento.

In realtà, basta leggere la letteratura politica del Risorgimento, e soprattutto qu[...]

[...]ramsci, era un problema del 1920 e non del 1848 o del 1860.

Non voglio discutere sulla questione di ordine teoretico, cioè sul rapporto fra coscienza politica e coscienza storica, fra giudizio politico e giudizio storico, ma prima di tutto sarà invece da vedere se questa affermazione regge, cioè se veramente il problema della rivoluzione contadina non fosse già presente, non dico soltanto nelle cose, ma nella coscienza stessa degli uomini del Risorgimento.

In realtà, basta leggere la letteratura politica del Risorgimento, e soprattutto quella immediatamente posteriore alla unificazione, per trovarvi larghissimamente sviluppata la critica al Risorgimento cosi come si è svolto, e per ritrovare nel pensiero stesso di questi protagonisti molti elementi che poi avranno sviluppo successivamente ed anche nel pensiero di Gramsci.

Faccio pochi esempi. Prendiamo uno fra i critici più intelligenti della società italiana appena unificata, un Leopoldo Franchetti, borghese, conservatore e cosciente di appartenere alla borghesia, che accusa e critica la borghesia alla quale egli sa di appartenere, quella borghesia — egli dice — che è diventata padrona dello Sta.o e dei Comuni, perché sfrutta, impoverisce il contadino meridionale, perché — per esempio — [...]

[...]e questa riserva: che in fondo le idee di Gramsci sono tesi politiche che si sovrappongono alla storia, anche se poi quando si va a vedere in concreto, stringi stringi, si può finire con l’essere d’accordo.

Perché rimane questa riserva, questa diffidenza, questa pregiudiziale negativa? Proprio perché non si è fatto lo sforzo di risalire a quelle che sono state le origini di queste idee di Gramsci; io credo che a quella letteratura critica del Risorgimento, a cui accennavo prima facendo rapidamente soltanto il nome di Leopoldo Francherai, si debba ricollegare Gramsci e che ci sia un tramite abbastanza evidente, che non è stato ancora sufficientemence messo in luce, attraverso il quale questo pensiero giunge fino a Gramsci; ed a me pare che questo tramite sia principalmente quello di Salvemini.

La ricerca sulle fonti italiane del pensiero di Gramsci è appena agli inizi. Si è insistito, e giustamente per una parte, sulla derivazione da Antonio Labriola. Io non ho nulla da eccepire su questo. Il giudizio di Gramsci su Labriola come il primo, in[...]

[...]di quelli di Marx sulla Francia del 1848 ».

È una testimonianza di grande interesse. Vi si trovano tre nomi: quello di Marx, quello di Labriola e quello di Cattaneo. Da Salvemini, dunque, siamo ricondotti da un lato a Labriola e a Marx; dall’altro, a Cattaneo. E il nome di Cattaneo ci invita a considerare l’opera di Gramsci, per un certo aspetto, come il punto di approdo di un filone di pensiero politico italiano, e di riflessione critica sul Risorgimento, che prende le mosse proprio da Cattaneo.

Come il prof. Garin ha ricordato stamane, oggi vi è una ripresa di studi su Cattaneo, una ripresa che non è certamente dettata soltanto daGastone Manacorda

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un interesse erudito; quindi quello che io sto dicendo potrebbe essere interpretato come un indulgere iad una moda. Perciò vorrei subito precisare che i riferimenti diretti di Gramsci a Cattaneo sono scarsissimi, non solo, ma ci sono alcune cose interessanti : ad esempio per due volte Gramsci cita l’edizione in volume de La città del Cattaneo della quaile egli aveva notizia, mi pare d[...]

[...]’48 : il giudizio sulla politica piemontese nel ’48, la questione dei rapporti fra Piemonte e Lombardia, la Lombardia più illuminata, più evoluta rispetto al Piemonte, ecc.; idee che poi sono rimaste molto vive anche nella storiografia recente, soprattutto nell’opera di Cesare Spellanzon.

Ma è chiaro che nello stabilire questa derivazione gramsciana, o meglio nel considerare il pensiero gramsciano anche come punto di approdo della critica del Risorgimento, non possiamo fermarci soltanto allesame dei rapporti diretti fra Cattaneo e Gramsci; oi occorre ricostruire la storia del formarsi di certe idee, del loro svolgersi e del loro confluire, poi, nei pensiero di Gramsci; quindi, una duplice ricerca che implica, fra l’altro, una biografia intellettuale di Gramsci, lo studio della sua formazione culturale e, quindi, anche delle sue letture negli anni giovanili, ecc.: cose tutte nelle quali siamo ancora ad uno stato prelucano.

Però, come dicevo prima, una derivazione chiara e più immediata ce, ed è quella da Salvemini. A Salvemini direttamente, [...]

[...]fra Nord e Sud, ma vi è lotta fra le masse del Sud ed i reazionari del Sud, vi è lotta fra le masse del Nord ed i reazionari del Nord, e soggiungeva che come i reazionari del Nord e del Sud si uniscono insieme petr opprimerle le masse del Nord e del Sud, cosi le masse delle due sezioni del nostro Paese avrebbero dovuto unirsi per sconfiggere « a fuochi incrociati » la reazione.

Se noi riflettiamo che a questo punto era pervenuta la critica al Risorgimento al principio del secolo, ci rendiamo conto come Gramsci, essendosi formato in questo clima, avendo maturato in questo clima e, credo, molto su queste letture, le sue idee sulla situazione italiana, fosse pervenuto nella disposizione di chi poteva accogliere l’idea leninista della alleanza fra operai e contadini; e, quindi, da un lato, tradurre efficacemente il leninismo in italiano, e dall’altro portare avanti la coscienza rivoluzionaria italiana su un piano più elevato nella situazione del dopoguerra.

Vorrei dire, in sostanza, che non è vero che la consapevolezza del problema contadino it[...]

[...], tradurre efficacemente il leninismo in italiano, e dall’altro portare avanti la coscienza rivoluzionaria italiana su un piano più elevato nella situazione del dopoguerra.

Vorrei dire, in sostanza, che non è vero che la consapevolezza del problema contadino italiano nasca soltanto nel primo dopoguerra, che il problema contadino giunga ad essere una realtà soltanto nel primo dopoguerra e che, quindi, Gramsci lo trasferisca arbitrariamente nel Risorgimento. Si avrebbe, secondo me, maggior ragione di. dire che laGastone Manacorda

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coscienza di questo problema culmina in Gramsci ed acquista in lui una maggiore forza e, quindi, una maggiore profondità. Perché culmina in Gramsci? Perché siamo nel momento (il primo dopoguerra, appunto) in cui di questo problema si vede e si formula già la possibile soluzione nella realtà. Ed allora, il momento in cui il contrasto sociale ereditato dal Risorgimento appare superabile nella realtà, il momento in cui si vedono già in atto le forze che possono superarlo, che possono creare un mondo diverso, questo è anche il momento in cui si raggiunge la comprensione storica dei termini reali di quel contrasto, cioè questo è il momento in cui si può effettivamente capire «come le cose sono effettivamente andate », il momento in cui si può capire la storia perché si può rifarla. Questo è il momento in cui non si è più tuffati nella polemica, ma il passaggio dal momento polemico, dal momento critico, che è ancora legato all’azione, al momento storiografico d[...]

[...]uel detto di Gramsci contiene implicita l’idea che il momento nel quale si passa dalla coscienza dei contemporanei a quella dei posteri, dal giudizio politico al giudizio storico, si realizza nella storia delle idee, soltanto in quanto nella storia dei fatti, appunto, si supera il passato, ci si differenzia dal passato. Ora, nel primo dopoguerra, noi siamo, non dico nel momento, ma in un momento importante della differenziazione dal passato, dal Risorgimento, dal processo di unificazione e di costruzione dello Stato unitario.

Nel pensiero di Gramsci il Risorgimento è visto nella profondità di una nuova prospettiva, e certi problemi vi prendono nuova luce, e certe idee che già erano vive nella coscienza dei contemporanei riemergono ed acquistano il vigore di una interpretazione storica mentre là avevano soltanto un valore polemico. Al principio del secolo jl cattaneiano Salvemini era ancora immerso ed impegnato nella battaglia, pe510

Gli interventi

r altro già perduta, del federalismo, cioè era ancora in una delle tante posizioni di ribellione contro lo Stato unitario (ce ne più di una, come è noto); mentre venti o venticinque anni dopo, dopo la p[...]

[...]nti

r altro già perduta, del federalismo, cioè era ancora in una delle tante posizioni di ribellione contro lo Stato unitario (ce ne più di una, come è noto); mentre venti o venticinque anni dopo, dopo la prima guerra mondiale, ed ancora di più dopo l'avvento del fascismo, cioè in una situazione storica che consente e favorisce il distacco, il marxista Gramsci, nonostante il tono polemico di molte sue affermazioni anche riguardanti uomini del Risorgimento, non protesta, non condanna, ma constata, prende coscienza da un nuovo punto di vista di quel processo storico.

Tutti ricordano un ,ampio frammento dei Quaderni di Gramsci in polemica contro le cosiddette « interpretazioni » del Risorgimento, contro i « romanzi ideologici » che, per la loro tendenizosità, hanno soltanto — egli dice — un significato di carattere politico immediato ed ideologico e non un reale valore storico. Questa letteratura — egli dice — ha soltanto una importanza documentaria per i tempi di cui parla; nella storia — ad esempio — della polemica politica in Italia fra il 70 ed ili ’900 è chiaro che scrittori come Turiello e Mosca hanno il loro posto,, ma il loro pensiero non ha un effettivo contenuto storico.

Non entro nella sostanza della discussione, perché qui bisognerebbe distinguere fra i vari autori che[...]

[...]a prima volta sul piano della politica nazionale, delle forze proletarie) alla fine del secolo XIX. Viceversa, mi sembra che resista all’analisi storica, che del resto è appena iniziata, l’esame più profondo del sistema giolittiano e delle alleanze di classe sulle quali esso poggia, come è delineato nelle Note sulla questione meridionale e ripreso in parte nei Quaderni.

Il discorso, invece, che si deve fare sui temi più strettamente legati al Risorgimento è un po’ diverso. La recente discussione suscitata dallo scritto di Romeo ha messo in luce che la realtà, la fondatezza, la concretezza storica di certi temi gramsciani non può più essere disconosciuta. Vorrei soltanto aggiungere, a questo proposito, per l’esatto intendimento del pensiero gramsciano, che il problema contadino del Risorgimento in Gramsci è solo un aspetto del problema più generale che Gramsci imposta, che è quello della direzione politica e delle forze rivoluzionarie sulle quali potevano fare assegnamento i partiti del Risorgimento. Dico questo, perché isolando il problema contadino e mostrandolo come centrale nel pensiero di Gramsci si rischia di dimenticare la complessità ed anche l’ampiezza della sua visione storica. Ad esempio, io ho letto con stupore che si accusi Gramsci di non avere tenuto conto deHa situazione internazionale e quindi della impossibilità di una rivoluzione agraria italiana nell’Europa del 1848 che non era la Francia del 1789. Ma questo, in Gramsci, è detto e ripetuto più di una volta, e stupisce che studiosi anche autorevoli dicano che questo aspetto nei Quaderni è trascurato, mentre c’è ad ogni [...]

[...] situazione internazionale e quindi della impossibilità di una rivoluzione agraria italiana nell’Europa del 1848 che non era la Francia del 1789. Ma questo, in Gramsci, è detto e ripetuto più di una volta, e stupisce che studiosi anche autorevoli dicano che questo aspetto nei Quaderni è trascurato, mentre c’è ad ogni pagina; ed io vi risparmio le citazioni, meno una che mi pare le riassuma un po’ tutte, là dove Gramsci dice testualmente che « Il Risorgimento è svolgimento storico contradditorio e complesso che risulta integrato da tutti i suoi elementi antitetici, dai suoi protagonisti e dai suoi antagonisti, dalle loro lotte, dalle modificazioni reciproche che le lotte stesse determinano ed anche dalla funzione delle forze passive e latenti come le grandi masse agricole, oltre, naturalmente, la funzione eminente dei rapporti internazionali ».512

Gli interventi

Certo, se si isolano talune affermazioni di Gramsci come quella che « l’azione sui contadini era sempre possibile », si può aprire la discussione : che valore ha affermare una possi[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Zangheri, La mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e i problemi economici dell'unità in Studi gramsciani

Brano: Renato Zangheri

LA MANCATA RIVOLUZIONE AGRARIA NEL RISORGIMENTO E I PROBLEMI ECONOMICI DELL’UNITA

È opinione diffusa, e Mia ribadita di recente Rosario Romeo1, che Il pensiero storiografico di Gramsci sia incentrato sulla tesi del Risorgimento « come rivoluzione agraria mancata ». In Gramsci non è veramente proposta nessuna interpretazione semplicemente negativa del movimento unitario nazionale; ed è, mi sembra, solo un idolo polemico questo di una visione gramsciana del Risorgimento come tradimento o fallimento: anche se era legittimo che Gramsci cercasse di definire, rispetto alle società borghesi moderne, le particolarità della formazione storica costituitasi nel corso del moto nazionale.

Si è scritto che l’interesse politico pratico portò Gramsci a cercare nel Risorgimento le origini e il significato della presenza di un potenziale rivoluzionario nelle campagne italiane 2. Non sottovaluto i motivi che dànno vita alla ricerca gramsciana; ma nella parte centrale, almeno, dei suoi appunti quel che Gramsci si pone non è, essenzialmente, il problema dei rapporti sociali nelle campagne e della loro mancata trasformazione. Questo è, in certo senso, presupposto alla sua indagine, che si svolge da un diverso angolo visuale. Poiché le masse contadine non appoggiarono il movimento unitario (e non soltanto per l’assenza di una rivoluzione

1 R. ROMEO, « La storiografia p[...]

[...]el movimento nazionale. Nel quadro di una situazione internazionale favorevole, ed a partire dalla sconfitta della destra e del centro politico piemontese e dall’avvento dei moderati, lo Stato piemontese e la dinastia dei Savoia furono le fondamentali forze motrici delFUnità. Al centro dell’analisi sono i moderati, il metodo e le forme della loro egemonia politica ed intellettuale, la rottura, da essi operata, dello schieramento antiunitario. Il Risorgimento, riconosce Gramsci, fu un « miracolo », non alla maniera retorica e mitica della agiografia patriottica, ma nel senso più concreto che un movimento di debole consistenza intima andò a segno per il concorso di circostanze esterne, sfruttate da uomini di eccezione.

Un quesito che può sorgere, oggi, è se le forze unitarie ebbero cosi debole consistenza oggettiva come Gramsci pensava. Egli partiva, come mi sembra palese, dall’idea di una radicale arretratezza dell’economia italiana: « il problema — di conseguenza — non era tanto di liberare le forze economiche già sviluppate dalle pastoie giur[...]

[...] conclusioni: la « esigenza unitaria — sono sue parole — scaturiva dalle contraddizioni tra lo sviluppo della vita economica e sociale da un lato e gli ostacoli che ne trattenevano lo

1 R.} p. 44.

2 p. 46.

■Renato Zangheri

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slancio e il respiro » \ Il problema è aperto; e non è problema secondario, perché proprio da una valutazione pessimistica, per così dire, dell’economia italiana fra il 700 e T800 Gramsci deduce la tesi del Risorgimento come fatto in cui gli elementi della direzione politica, di una direzione più « diplomatica » che creativa, prevalgono nell’assenza di una potenza espansiva ed unitaria delle società regionali.

Al centro dell’indagine gramsciana è appunto il momento della direzione politica, e pare strano che ciò sia sfuggito a storici eticopolitici : sono i moderati, la validità della loro azione, la dialettica della rivoluzione passiva. Il limite dei liberali cavourriani è che essi « non sono dei giacobini nazionali: essi in realtà superano la Destra del Solaro, ma non qualitativamente, perché concepisco[...]

[...] Solaro, ma non qualitativamente, perché concepiscono l’unità come allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia » 2. A questo punto, e in termini di esame dei caratteri e dei limiti della forza dirigente nazionale, si inserisce il problema dei rapporti fra città e campagna, del contenuto di classe della politica agraria dei moderati.

Esisteva nel corso del Risorgimento la reale possibilità di una riforma agraria? Tutta la tesi di Gramsci, a giudizio del Romeo, presuppone l’esistenza « di una “ oggettiva ” possibilità rivoluzionaria, che il partito d’azione, a differenza dei giacobini francesi, non seppe tradurre in atto » 3. Mi sembra che il pensiero di Gramsci sia in proposito meno semplicistico. L’unica possibilità che Gramsci ammette senza riserva è di una « azione sui contadini » da parte delle forze unitaria » 4; per il resto, è circospetto assai. « Nelle Noterelle di G. C. Abba — scrive — ci sono elementi per dimostrare che la quistione agraria era la[...]

[...] è di una « azione sui contadini » da parte delle forze unitaria » 4; per il resto, è circospetto assai. « Nelle Noterelle di G. C. Abba — scrive — ci sono elementi per dimostrare che la quistione agraria era la molla per far entrare in moto le grandi masse » 5. L’accenno è sobrio. Studi posteriori hanno documentato, più che Gramsci forse non pensasse, la

1 D. DEMARCO, «L’economia degli Stati italiani prima deirUnità», in Rassegna storica del Risorgimento, a. XLIV, fase. IIIII (apr.sett. 1957), p. 258. Ma secondo il Luzzatto i progressi compiuti in alcune regioni fra il 1830 e i) 1847 « erano stati annullati dal rapidissimo balzo in avanti che gli Stati più progrediti avevano fatto dopo il 1850 »: G. LUZZATTO, «L’economia italiana nel primo decennio dell’Unità», ibid.9 pp. 2601.

2 R., p. 46.

3 Romeo, l. c., p. 13.

4 JR., p. 68.

5 R., p. 103.372

1 documenti del convegno

ricchezza dei motivi agrari e contadini del 1860 in Sicilia. Ma proprio in relazione ad alcune manifestazioni del movimento insurrezionale dei contadini sicil[...]

[...]mia internazionale ” è la ragione che spiega molta storia italiana e non solo delle classi borghesi » \

Altrove indica le ragioni della mancata formazione in Italia di un partito giacobino « nel campo economico, cioè nella relativa debolezza della borghesia italiana e nel clima storico diverso dell’Europa dopo il 1815 » 2. Entro questa cornice, che Gramsci mantiene ben ferma, riesce meglio comprensibile l’idea dell’assenza di giacobinismo nel Risorgimento, di cui è già un accenno nel Labriola 3.

Il termine giacobinismo, di cui Gramsci sottolinea l’uso analogico e improprio, non contiene, di regola, una specifica e rigida caratterizzazione storica, ma esprime un concetto direttivo e quasi uno strumento della ricerca. Sono « giacobini » Robespierre e Cromwell, Gioberti e Machiavelli, Lenin, per tratti generalissimi del loro pensiero e della loro azione politica, consistenti, essenzialmente, nella volontà di collegare la forza dirigente nazionale, borghesia, proletariato, nei diversi momenti, alle masse popolari e, in ispecie, contadine. Gli e[...]

[...] di socialismo e di filosofia, Bari, 1944, p. 141.

4 Gramsci certamente conosceva l’interpretazione nuova che del giacobinismo veniva elaborata dalla storiografia francese (del Mathiez possedeva in carcere La Revolution frangaise nei tre volumi dell’edizione Colin : G. CARBONE, « I libri del carcere di Antonio Gramsci », in Movimento operaio, a. IV, n. 4, lug.ag. 1952,Renato Zangheri

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dello giacobinofrancese a1la realtà politica del Risorgimento, che scorge appunto nella astratta trasposizione di schemi francesi il limite di Giuseppe Ferrari e la causa della sua sostanziale estraneità al processo unitario.

È decisivo, se non erro, in proposito, il luogo in cui, dopo aver ricordato l’orientamento antifrancese del partito d’azione, e quindi la sua difficoltà ad assimilare la nozione giacobina dell’alleanza con i contadini, Gramsci nota acutamente che il partito d’azione aveva tuttavia « nella storia della penisola la tradizione a cui risalire e collegarsi. La storia dei Comuni è ricca di esperienze in proposito: la borghesia nascent[...]

[...]pendo inevitabilmente « anche le forme di più avanzata economia agraria », cioè, se bene intendo, le medie e grandi aziende a salariati, « per sostituirvi un regime di piccola proprietà indipendente » 1. A questo modo si sarebbe contratto « il profitto agrario, che da noi agisce come la molla principale di tutto il processo » dell’accumulazione. Una simile opinione ha due punti d’appoggio: l’uno relativo alle condizioni dell’economia agraria nel Risorgimento, l’altro consistente in un confronto con lo sviluppo dell’economia francese dopo la rivoluzione borghese.

Mi sia permesso di notare che la funzione attribuita al profitto agrario deriva da una idea dell’estensione e dello sviluppo dell’agricoltura capitalistica fortemente esagerata. Le prove addotte dal Romeo si riferiscono a fatti circoscritti e scarsamente significativi. L’esempio del Cavour, che si fa da capitalista agrario imprenditore industriale e finanziere, sarebbe in

1 Romeo, l. c.} p. 19.Renato Zangheri

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qualche modo pertinente solo se si potesse sostenere che la sua[...]

[...]o agricolo trova limitati riscontri, all’infuori di talune zone della Bassa lombarda, nella Valle padana e nessuno nelle regioni centrali e meridionali. Investimenti, produttività del lavoro, tecnica agraria ed organizzazione della produzione sono stagnanti, per quanto sappiamo, nella maggior parte del paese; stazionari sono i rendimenti unitari delle culture principali. La conduzione capitalistica non ha soppiantato la mezzadria: e per tutto il Risorgimento la questione è appunto della mezzadria, della sua trasformazione in un rapporto capitalistico. Non sappiamo per quale via questa trasformazione si sarebbe attuata, nella eventualità di una riforma, se innalzando il mezzadro alla proprietà o abbassandolo a salariato; e non trovo in Gramsci nessuna previsione che il processo si sarebbe svolto nel senso della formazione di una democrazia rurale, come suggerisce Romeo, confondendo fra riforma agraria e formazione di una proprietà contadina, che ne è un caso particolare; mentre non è poi affatto certo che le leggi del capitalismo, rendendosi più a[...]

[...]ell’industrialismo settentrionale», si deve dire che ciò è vero solo nel senso che l’inferiorità meridionale nasce nel corso dello sviluppo della società capitalistica, che è una formazione storica, instabile, non permanente, e nel proprio seno alleva le forze non — come sembra credere il Romeo — della sua indefinita perfettibilità, ma del suo antagonistico superamento. In realtà, la lunga disamina che il Romeo ha fatto delle idee gramsciane sul Risorgimento ha una origine pratica. Quel che a lui preme, è dimostrare la razionalità dello svolgimento unitario e, per conseguenza, l’attuale validità dei suoi effetti. In questa confusione del presente col passato sta il limite generale delle sue critiche \

1 Bisogna tuttavia dire che il Romeo, quando abbandona il terreno infido della polemica pratica, non sa sottrarsi, nella sua probità di studioso, ai criteri di indagine che Gramsci ha fatto valere nella storiografia contemporanea. SÌ veda, ad esempio, il bel saggio su La signoria dell’abate di Sant’Ambrogio di Milano sul comune rurale di Origgio [...]



da Norberto Bobbio, Umberto Calosso e Piero Gobetti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]to un ascoltatore intelligente e attento. Dopo il riassunto, la critica; una critica piutto
7 Si veda la recensione di « Gli innamorati » di Goldoni su « l'Ordine Nuovo » del 6.7.1921: « Non crediamo che Carlo Goldoni possa oggi avere un significato nella nostra cultura e nell'espressione della nostra sensibilità » (Scritti di critica teatrale, cit., p. 317).
VARIETÀ E DOCUMENTI 333
sto dura. Gobetti aveva esposto le sue idee sulla storia del Risorgimento, che passa attraverso il compromesso cavouriano per sfociare nel compromesso riformistico di Giolitti. In poche battute Calosso rifà a suo modo tutta la stessa storia. L'idea liberale che è apparsa tanto importante al Gobetti ha un valore secondario. I moti del '21 hanno una risonanza locale. La prima affermazione unitaria e popolare è del Mazzini; il neoguelfismo è popolare ma non unitario. Il '49 è il momento tragicamente originale del Piemonte che fa di Torino il centro della vita italiana. Il liberalismo — descritto da Gobetti — non è che la formula e la bandiera di questo compromesso. La[...]

[...]a liberale che è apparsa tanto importante al Gobetti ha un valore secondario. I moti del '21 hanno una risonanza locale. La prima affermazione unitaria e popolare è del Mazzini; il neoguelfismo è popolare ma non unitario. Il '49 è il momento tragicamente originale del Piemonte che fa di Torino il centro della vita italiana. Il liberalismo — descritto da Gobetti — non è che la formula e la bandiera di questo compromesso. La visione gobettiana del Risorgimento è astratta e schematica. Il programma politico pecca di ingenuità, di leggerezza e d'immodestia. Si vede benissimo che non è cresciuto sul terreno della lotta quotidiana, non è il frutto di una sofferta esperienza, di un'esperienza che solo il contatto diretto con la classe operaia può far nascere. Il commento continua soffermandosi in modo particolare sulla tesi gobettiana (d'origine salveminiana) dell'alleanza fra il partito operaio e il partito dei contadini, che diventa concretamente e curiosamente l'alleanza fra il partito comunista e il partito sardo d'azione. Dico anche « curiosamente [...]

[...]classe operaia torinese, tutte queste influenze avrebbero potuto generare « una farandola d'idee senza un centro, una riforma e un liberalismo missiroliano capace dei piú strani funambolismi dialettici, un moralismo prezzoliniano puramente librario ». Non accettò il socialismo ma fu a fianco degli operai. Cosí riuscí a inserire le lotte del lavoro in un liberalismo « di timbro religioso », e ne fece un esempio di « quella riforma morale » che il Risorgimento aveva tentato invano. (Poco prima lo aveva definito « religioso laico » 9.)
Questo ritratto può sembrare oggi un po' di maniera dopoché sul pensiero di Gobetti e sulle sue fonti sono state scritte centinaia di pagine. Ma può sembrare di maniera proprio perché è stato ripetuto da allora infinite volte, e non si può dire che gli studi successivi l'abbiano cambiato tanto da renderlo irriconoscibile. Personalmente credo che il nucleo resistente del pensiero gobettiano sia salveminiano ed einaudiano, ed alla fin fine piú einaudiano che salveminiano, e alla lunga di ascendenza cattaneana con un di[...]

[...] tutti quell'ardore completo per cui non c'è soluzione di continuità tra pensiero e azione. Ne risulta un'unità di apostolato che anticipa i caratteri dell'opera mazziniana [ ...] . Alfieri è un'anima religiosa e mentre propone la sua concezione libertaria sente intensa e profonda vicinanza spirituale con tutte le anime eroiche della religione » (op. cit., p. 128). Ancora, nel breve ritratto di Alfieri che Gobetti traccia nel secondo capitolo di Risorgimento senza eroi: « Il violento rilievo della personalità alfieriana fa pensare piuttosto alle tragiche figure della rivoluzione che alla pacifica calma dell'illusionismo riformatore. I suoi accenti libertari ricordano Stirner e Nietzsche » 15
13 L'anarchia di Vittorio Alfieri, Bari, Laterza, 1924, p. 48.
14 La filosofia politica di Vittorio Alfieri, in Scritti storici, letterari e filosofici, Torino, Einaudi, 1969, p. 118.
15 Risorgimento senza eroi, in Scritti storici, letterari e filosofici, cit., p. 74.
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Non meno artificiosa anche l'altra contrapposizione, fra un Alfieri iniziatore del Risorgimento, quello di Gobetti, e un Alfieri cosmopolita, la cua patria è il mondo, quello di Calosso. Artificiosa, perché la interpretazione di Gobetti non ha niente a che vedere con la tesi di un Alfieri patriottico, tanto da respingere come grossolana l'interpretazione di Gentile che esamina l'Alfieri « solo in relazione alle sue conseguenze patriottiche » (ivi, p. 91). Il proposito di Gobetti è di fare dell'Alfieri il capostipite di una storia « filosofica » del Risorgimento in Piemonte, dove l'accento deve cadere su quel « filosofico », giusto o sbagliato che sia. Una storia certo tutta inventata ma[...]

[...]i Gobetti, e un Alfieri cosmopolita, la cua patria è il mondo, quello di Calosso. Artificiosa, perché la interpretazione di Gobetti non ha niente a che vedere con la tesi di un Alfieri patriottico, tanto da respingere come grossolana l'interpretazione di Gentile che esamina l'Alfieri « solo in relazione alle sue conseguenze patriottiche » (ivi, p. 91). Il proposito di Gobetti è di fare dell'Alfieri il capostipite di una storia « filosofica » del Risorgimento in Piemonte, dove l'accento deve cadere su quel « filosofico », giusto o sbagliato che sia. Una storia certo tutta inventata ma che coi suoi Ornato, i suoi Gioberti, i suoi Bertini, non ha nulla in comune con la storia scolastica dei precursori del Risorgimento. Anche la contrapposizione fra l'interpretazione politica di Gobetti e quella non politica di Calosso, è fuorviante. La politica di Alfieri secondo Gobetti è la religione della libertà che non è politica nel senso abituale del termine essendo invece un atteggiamento etico, che come tale dovrebbe ispirare ogni politica ma non è di per se stesso immediatamente politico. Oserei dire che nell'espressione del titolo « filosofia politica », è piú importante il sostantivo che l'aggettivo.
Resta il problema di capire le ragioni dell'alfierismo di questi due personaggi cosí diversi che pur fanno dell[...]



da [Le relazioni] R. Cessi, Lo storicismo e i problemi della storia d'Italia nell'opera di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Roberto Cessi

LO STORICISMO E I PROBLEMI DELLA STORIA D’ITALIA NELL’OPERA DI GRAMSCI

Chi sfogli la raccolta degli scritti su 11 Risorgimento (il titolo* non fu apposto dall’Autore) forse può essere preso da un senso di delusione nella presunzione di ritrovare qui, in una linea continua, lo sviluppo e lo svolgimento di un sistema, di seguire passo a passo, quasi, sia pure nelle prospettive generali ed essenziali, l’organica illustrazione' di uno degli aspetti più impegnativi della storia italiana attraverso i tempi e attraverso la sua maturazione.

La storia italiana di oggi, come risultato della storia di ieri e dell’altro ieri, anche se prolungata nei secoli, non soltanto ha dato il tono alla storia patria, ma ha avuto una infl[...]

[...]essivo,Roberto Cessi

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quando naturalmente non sia interpretato unilateralmente o superficialmente: al concetto di rivoluzione permanente.

Si può dire che proprio la umanità, — il mondo, — avanzi in una continua rivoluzione, perché essa stessa per il suo divenire è un costante rinnovarsi, un rimutarsi non soltanto nelle grandi masse, ma anche nell’intimo d^lle masse stesse ed anche dei piccoli raggruppamenti sociali.

Gramsci ed il Risorgimento

Ed allora il Gramsci ad un certo momento delle sue indagini si domandava: il Risorgimento è stato una rivoluzione? A questa domanda, che il Gramsci non ha posto direttamente, ma che ad un attento lettore non sfugge, e che si può sorprendere qua e là nelle sue pagine, implicitamente rispondeva sollevando il dubbio e l’eccezione, che effettivamente nella vita del Risorgimento italiano operasse uno spirito rivoluzionario, e negando, ad esempio, la presenza di quello spirito giacobino che aveva costituito una delle espressioni più manifeste ed essenziali della Rivoluzione francese, qualunque fosse il suo contenuto e le finalità alle quali si ispirava. Gli pseudogiacobini italiani obbedivano ad impulsi di conservazione non di rivoluzione. In questa posizione era difficile ravvisare l’espressione di un movimento e di una forza rivoluzionaria e nella comparazione che il Gramsci istituiva fra gli elementi e le forme di sviluppo del movimento risorgimentale nell’Inghilte[...]

[...]
tasserò nel senso, come qualcuno potrebbe presumere, che il giudizio negativo risultasse dalla mancanza di uno spirito rivoluzionario proletario, potremmo anche convenire.

In questo caso la visione del Gramsci perfettamente collimava con la realtà, e questa, che in lui fu una intuizione più che una dimostrazione, noi la possiamo oggi controllare non solo, ma ampiamente illustrare.

Non è certo fare offesa ai grandi sacrifìci della vita del Risorgimento riconoscere e costatare quella che fu la realtà degli avvenimenti.

Non fu una rivoluzione proletaria. Si dirà: ma non vi hanno partecipato dei contadini, dei lavoratori, dei ceti bassi? Si, hanno partecipato, ma il loro valore politico è quello che fin dal 1848 ben individuava Giuseppe Mazzini. Questi uomini hanno partecipato, questi uomini hanno dato la loro vita e il loro sangue, « tutto di sé hanno dato, senza nulla richiedere per sé, ma l’hanno dato come uomini, come individui e come cittadini, non come elementi di classe ». Cosi melanconicamente constatava Mazzini, che, rimproverando [...]

[...]ncata soddisfazione del suo impegno d’onore, di ricompensare le classi che « avevano dato tutto di sé e nulla avevano richiesto », concludeva invitando le classi lavoratrici, che avevano pugnato e combattuto per il bene degli altri, a levare il braccio e combattere per la causa propria.

Il Gramsci si trova, a questo proposito, sul medesimo terreno. Egli deve riconoscere e riconosce che una rivoluzione e un movimento proletario nel periodo del Risorgimento non vi fu, ed egli stesso deve riconoscere, o meglio denuncia come motivo di questa mancata rivoluzione il fatto che non si è avuto sostanziale ed organica concatenazione con la massa contadina.

Ma se invece consideriamo — qui appunto possiamo riprendere il discorso con lo stesso Gramsci — che il movimento ottocentesco era legato alle esigenze ed ai fini di un’altra classe, la classe dei proprietari, classe che fino allora viveva fuori della vita pubblica e che tendeva a rivendicarne il controllo ed occupare il suo posto in funzione ed in rapporto della evoluzione economica compiuta, sotto[...]

[...]pettiva, analogamente a tutte le grandi rivoluzioni, faceva rientrare il rinnovamento del cristianesimo, perché effettivamente aveva modificato sostanzialmente le situazioni e le condizioni della società del tempo, creando istituti nuovi, raggruppamenti nuovi, ideologie nuove, rapporti economici, etici, sociali ed intellettuali nuovi, creando, insomma, una nuova società, secondo il concetto moderno, almeno nei fini se non nei mezzi.

Anche nel Risorgimento si ebbe la tendenza a costruire una società nuova: la società dei proprietari, preludio di quella società che troverà poi perfezionamento tecnologico, ulteriore sviluppo ed affinamento delle sue capacità produttive, creando lateralmente proprio quel fermento proletario dì cui prevedeva e paventava l’inevitabile nascita, per il momento contenuto con pressione paternalistica. Se si percorrono le discussioni parlamentari del 1848 e del primo parlamento subalpino, si possono rilevare lo stato d’animo, la condizione politica, morale intellettuale e le finalità economiche di questa classe.

Anche[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Cessi, Problemi della storia d'Italia nell'opera di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]ologie, dei valori culturali e del posto che essi occupano, delle reazioni, che questi riflettono nella serie dei rapporti umani.
Al vaglio di queste prospettive esaminiamo non la concezione storica del Gramsci, che sarebbe quanto dire la concezione del mondo, che si colloca nel quadro del materialismo storico, ma i profili storiografici, che si inquadrano nella sua concezione storica.
2. 1 momenti della storiografia gramsciana: Rinascimento e Risorgimento.
In particolare due sono i momenti, che hanno fermato l'attenzione del Gramsci: il Rinascimento e il Risorgimento, nella loro genesi e nei loro elementi costitutivi.
Per il Gramsci, il Rinascimento fu reazione al sistema municipalecorporativo ereditato dal mondo feudale e dalla scolastica, ma non lo superò.
Egli trovò manifesta espressione dei due termini nel profilo di due uomini: Machiavelli e Guicciardini, nell'uno dei quali sembra riflettersi 10 sforzo innovatore, che cerca la soluzione dei problemi dell'età sua, al di sopra del municipalismo, nel quale faticosamente si muove la società contemporanea; nell'altro, lo spirito conservatore, che vive delle vecchie ideologie maturate dall'impalcatura si[...]

[...]ri e il permanere di un distacco fra queste e le classe dirigenti, che impedí il formarsi di un processo e di una coscienza nazionale.
Quali i termini cronologici, quale la genesi e quale l'influsso dell'organizzazione ecclesiastica, come elemento politico piú che come fattore ideologico? Questi sono i problemi che il Gramsci propone e non restano senza ripercussione sull'immobilismo della cosí detta società barocca.
E quale la connessione col Risorgimento?
Ed anche questo termine, come pure quello di Rinascimento, che significa? Si .può convenire col Gramsci nel contestare il valore di termini cronologici, sia pure assunti a titolo indicativo: muovere dal Congresso di Vienna val quanto muovere dall'assedio di Torino del 1706, o risalire senz'altro all'età dei Comuni. II problema non sta nei termini cronologici, ma nei valori politicosociali del processo rivoluzionario; nella sua genesi, nella sua continuità e negli aspetti, che assume nelle successive fasi, in cui si realizza, dalla crisi settecentesca al cosí detto Risorgimento ottocentesco.[...]

[...] valore di termini cronologici, sia pure assunti a titolo indicativo: muovere dal Congresso di Vienna val quanto muovere dall'assedio di Torino del 1706, o risalire senz'altro all'età dei Comuni. II problema non sta nei termini cronologici, ma nei valori politicosociali del processo rivoluzionario; nella sua genesi, nella sua continuità e negli aspetti, che assume nelle successive fasi, in cui si realizza, dalla crisi settecentesca al cosí detto Risorgimento ottocentesco.
3. 1 presupposti rivoluzionari del processo storico.
Esattamente il Gramsci propone alle origini di quella un motivo agrario anche se egli adotta un concetto alquanto restrittivo, nazionalecontadino, che, a mio avviso, merita qualche riserva.
L'esigenza agraria è stata l'argomento che ha ispirato sia nella pratica che nella dottrina il lento formarsi della coscienza rivoluzionaria francese, fino allo sbocco nel moto convulso .e giacobino, che ha coronato la fase decisiva.
Fu quella che argutamente il Gramsci definisce rivoluzioneprogressiva, di cui il giacobinismo espresse i[...]

[...]nvulso .e giacobino, che ha coronato la fase decisiva.
Fu quella che argutamente il Gramsci definisce rivoluzioneprogressiva, di cui il giacobinismo espresse il contenuto piú costruttivo, e successivamente neutralizzata da quella che fu detta controrivoluzione e che meglio può definirsi rivoluzioneconservatrice.
50 I documenti del convegno
La rivoluzione continuò dopo il tramonto del giacobinismo, ma in senso conservatore, compenetrandosi nel risorgimento ottocentesco, cosí come si era svolto anche in Inghilterra, sboccando in un movimento liberale.
In Italia, la fase rivoluzionariaprogressiva, secondo il Gramsci, è mancata o almeno ebbe breve risonanza, perché è mancato un movimento nazionalecontadino, un incontro cioè con la massa popolare (e in realtà l'elemento rurale costituiva la massa preponderante), è mancato l'impulso giacobino, e conseguentemente ha reso assai lento e faticoso il processo di unificazione politica.
Si potrebbe osservare che il problema della terra in Italia aveva aspetti assai diversi da quello francese, per diverso[...]

[...]che si identificano nelle diversità nazionali, intese non in senso politico o morale, ma in senso di rapporti sociali, dei quali il preminente è quella legato alla terra.
Le grandi rivoluzioni del tempo moderno sono state impostate, nazionalmente, sul problema agrario, dal cristianesimo (abolizione della schiavitú) al municipalismo rinascimentale, se si vuol estendere l'era rinascimentale alla comunale (abolizione della servitú della gleba), al Risorgimento esteso al settecento (abolizione del privilegio immunitario aristocratico), con i quali coincidono coerenti ideologie sintetizzate nella espressione politica e morale di libertà: la libertà tacitiana del nuovo ordine scaturito dal lento dissolversi dei rapporti della società pagana, contrapposta alla servitus delle classi dominanti alla vigilia della crisi dello Stato imperiale; la libertà municipale, che dall'età dei comuni in poi si oppone all'universalismo della scolastica; la libertà risorgimentale che fa
Roberto Cessi 51
leva sul liberismo e sul liberalismo; ciascuna attuazione di un o[...]

[...]vigilia della crisi dello Stato imperiale; la libertà municipale, che dall'età dei comuni in poi si oppone all'universalismo della scolastica; la libertà risorgimentale che fa
Roberto Cessi 51
leva sul liberismo e sul liberalismo; ciascuna attuazione di un ordine nuovo, che non si arresta nel passato o nel presente, ma si protende nel futuro.
E un ordine nuovo è in atto.
In chiara e precisa sintesi il Gramsci ha individuato la fisionomia del Risorgimento italiano, comune del resto a quello delle altre nazioni, che ii d'Azeglio riassumeva nella formula: proprietà, religione, famiglia.
Nella sua vigorosa e incisiva critica, che inconsapevolmente coltiva qualche eredità romantica, il Gramsci poneva l'accento sul termine proprietà (proprietà privata), come quello che nel processo risorgimentale era diventato « istituto fondamentale dello Stato [la religione e la famiglia erano strumenti configuranti nella loro intima funzione ai fini della salvaguardia della proprietà) garantito e tutelato sia contro gli arbitrii del sovrano che contro le invasi[...]

[...]nsterismo erano stati gli epigoni del giacobinismo, che aveva cooperato al consolidamento delle strutture borghesi.
I nuovi fermenti nascono sul terreno salariale e nell'ambito delle masse rurali. In Italia il progressivo turbamento dei primi decenni dopo l'unità politica, dalle grandi inchieste agrarie di stile borghese, ordinate a titolo di preventiva difesa, ai moti contadini dei fasci siciliani e di quelli della pianura padana, pionieri del risorgimento proletario; in Russia le agitazioni agrarie della seconda metà del sec. XIX, sono stati il preludio di quella « rivoluzioneprogressiva » che è in atto, con le alternative, che ogni sforzo trasformatore delle strutture sociali comporta nell'ordine politico e in quello ideologico.
E questa è storia, è cioè vita in atto e nel suo piú complesso divenire, e non semplicemente storiografia.
1 O. N., p. 4.
2 O. N., p. 5.



da Giuseppe di Vittorio, Premesse della unità del movimento sindacale in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 3 - agosto

Brano: [...]ercarle nell'ambiente storico particolare in eui sorse e si andò sviluppando il movimento operaio in Italia.
E' noto che, in ragione del ritardo con cui sorse e si sviluppò l'industria in Italia, anche il movimento operaio moderno sorse naturalmente in ritardo rispetto ad altri paesi. Ma se vogliamo riportarci alle prime origini del movimento operaio italiano, dobbiamo risalire alle Società Operaie di Mutuo Soccorso, che sorsero nel periodo del Risorgimento e sotto l'impulso di quel primo movimento di riscossa nazionale, dal quale esse ricevettero un'impronta particolare. Infatti, la prima Società Operaia italiana sorse a Torino proprio nella fase dei più ardenti entusiasmi popolari del 1848, ad iniziativa dell'operaio tipografo Vincenzo Steffenone. E questa esordi nella sua attività con tendenze sindacali molto più spiccate delle consorelle che sorsero più tardi, essendo riuscita, nello stesso anno .della sua nascita, a concordare un vero e proprio contratto collettivo di lavoro (una « tariffa »), che risulta essere il primo contratto del gener[...]

[...] aspramente dai ceti reazionari, per i quali la parola libertà non ha mai avuto, e non avrà mai, altro significato che quello di riconoscere ad essi la libertà di aff a
4 LA RINASCITA
mare il popolo per moltiplicare le proprie ricchezze. Queste tendenze della classe operaia si esprimevano col suo schieramento all'estrema sinistra del movimento nazionale. Quasi tutte le Società Operaie avevano acclamato a proprio Presidente onorario l'eroe del. Risorgimento che più di ogni altro simboleggiava le speranze e le aspirazioni sociali delle masse popolari: Garibaldi.
E poiché l'esistenza, allora, della « questione romana », aveva dato a tutto il movimento del Risorgimento un'impronta nettamente anticlericale (nonostante l'effimero successo ch'ebbe la prima fase della politica di Pio IX), era naturale e inevitabile che anche le Società Operaie ricevessero e portassero per lungo tempo la stessa impronta anticlericale, sia nel periodo in cui esse furono influenzate direttamente dal Mazzini, sia nei periodi suecessivi in cui furono influenzate dal Bakunin e poi penetrate dai primi rudimenti dell'ideologia marxista.
Ora, il movimento sindacale moderno sorse in Italia appunto sulla base delle antiche Società Operaie. Si ricorderà, infatti, che fu il Congresso Nazio[...]

[...]anticlericali — i quali seorgevano in esso l'antidoto del movimento operaio, lo strumento destinato ad arrestarne la marcia. Perciò i circoli reazionari fecero sempre del loro meglio per approfondire la divisione dei lavoratori in rossi e bianchi, e gridavano allo « scandalo ogni volta che un Sindacato cattolico concordava e svolgeva un'azione comune con un Sin dacato classista. Non è per caso, nè per motivi etici e religiosi, che ancora oggi il Risorgimento Liberale definisce aberrante ed antinaturale l'unità sindacale fra la corrente cattolica e quella comunista e socialista. Il fatto è che i padroni — cattolici o massoni — sono stati sempre uniti nella stessa organizzazione, senza ehe nessun Risorgimento Liberale se ne scandalizzasse. Non si capisce perché dovrebbero scandalizzarsi i lavoratori della propria unità! Ed essi se ne scandalizzano così poco, che l'hanno rapidamente realizzata in tutte le ' province dell'Italia liberata, senza nessuna eccezione.
Gli è che i motivi storici che determinarono l'orientamento anticlericale del movimento sin
dacale italiano, e quindi resero inevitabile
la naseita d'un sindacalismo particolare cattolico, — sono stati completamente superati. La divisione sindacale, nell'attuale situazione dell'Italia, non avrebbe nessun motivo valido, nessuna base obie[...]



da Roberto Pertici, Giovanni Amendola: l'esperienza socialista e teosofica (1898-1905) in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]ature mistiche e spiritualistiche di cui prima si è detto. Ciò non deve stupire: non bisogna dimenticare i fermenti di riforma cattolica che erano circolati in molti di questi ambienti, la vena protestante di certo mazzinianesimo risorgimentale, il significato per esso del mito della terza Roma prima, della presa di Roma poi, considerata come premessa indispensabile e segno significativo per l'attesa rivoluzione religiosa dell'Italia, con cui il Risorgimento sarebbe giunto al vero compimento. Come anche è nota l'adesione della maggior parte di questi elementi alla Massoneria, di cui costituí l'anima teistica e filoanglosassone, e la formazione di una borghesia, specie meridionale, evangelmassonica, di mentalità spesso attivistica e filantropica, delusa dell'esito tutto amministrativostatuale del processo risorgimentale, incapace, a suo giudizio, di una parallela, profonda riforma eticoreligiosa: ne scaturivano spesso una insoddisfazione, magari non precisata, a sfondo democratico ed un ripensamento critico dei « limiti » della rivoluzione naziona[...]

[...] socialismo solo in senso lato: anche se la sua posizione fu spesso vicina a quella dei socialisti, sul piano teorico egli non giunse mai ad accettare una concezione classista della società. In questo mazzinianesimo rivisitato, il giovane Amendola trovava un naturale sviluppo degli atteggiamenti radicali, ereditati dalla tradizione risorgimentale, tipici della sua famiglia, e soprattutto una
6 Sugli ambienti protestanticomazziniani operanti nel Risorgimento sono ancora da leggere le pagine di GIORGIO SPINI, Risorgimento e protestanti, Napoli, E.S.I., 1956. Per le attese suscitate dalla presa di Roma in queste correnti, cfr. SPINI, L'evangelo e il berretto frigio. Storia della Chiesa cristiana libera 18701904, Torino, Claudiana, 1971, pp. 58 e segg. Notazioni acute sulla borghesia evangelmassonica meridionale ha fatto GIUSEPPE GANGALE, Revival. Saggio sulla storia del protestantesimo in Italia dal Risorgimento ai tempi nostri, Roma, Doxa, 1929, pp. 489.
7 Kün x , pp. 145; GIORGIO AMENDOLA, Una scelta di vita, Milano, Rizzoli, 1976, p. 82.
188 VARIETÀ E DOCUMENTI
forte accentuazione degli aspetti umanitari e morali dell'ideale socialistico, ai quali egli stesso era molto sensibile: « Colajanni non ha mai cessato di annettere importanza grandissima alle considerazioni morali — avvertiva Georges Sorel nella sua prefazione alla versione francese di Il Socialismo — e su questo punto essenziale si separava dai marxisti di quel tempo » a. Proprio nella seconda edizione di questo libro, avvenuta presso [...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Petronio, Gramsci e la critica letteraria in Studi gramsciani

Brano: [...]alla cui trama si spicchi e rilevi, pur tutt'una con essa, la storia letteraria, simile al volto umano che Dante scorge, dipinto dello stesso colore e pur tutto in risalto, sull'una delle circonferenze divine.
Ma la storia civile italiana che Gramsci tratteggia è poi tutta diversa da quella del De Sanctis, come dev'essere necessariamente diversa la visione che della storia italiana ha il marxista Gramsci da quella che aveva avuta, alla fine del Risorgimento italiano, il democratico De Sanctis.
La visione storica del De Sanctis era — sono cose ormai note — democratica e progressiva, ma era, tuttavia, quella di un borghese democratico educatosi al Romanticismo e tempratosi nelle lotte risorgimentali; di un uomo per cui la letteratura italiana aveva avuto il gran vizio di non essere popolare e realista, ma per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 17.
2 Per quanto segue mi permetto rinviare ad un mio [...]

[...] '.
Il Gramsci ritorna cosí allo schema romanticodesanctisiano; ma vi ritorna, s'intende, arricchendolo di quel senso, che abbiamo già fatto
1 L. V. N., p. 11.
236 I documenti del convegno
notare, della storia d'Italia quale contrasto e conflitto tra « intellettuali » e « popolo ». I punti sui quali egli ha maggiormente fissato la sua attenzione sono stati perciò l'età comunale, il periodo dell'Umanesimo, del Rinascimento e della Riforma, il Risorgimento; e, al solito, le sue sono non tanto trattazioni argomentate e distese, quanto notazioni fuggevoli e pure organiche, spunti che vanno sistemati e sviluppati.
Le origini sono state cosí legate energicamente al formarsi di una borghesia comunale, mentre la sua concezione, cosí originale, del Comune quale il « governo di una classe economica che non seppe crearsi la propria categoria di intellettuali e quindi esercitare un'egemonia oltre che una dittatura » 1, permette una interpretazione tutta nuova della letteratura dei primi due secoli: mi si permetta citare, quale atto di modestia e pagamen[...]

[...]iegazione, e mille fatti rimasti « mitici » diventano « storici », si fanno chiari nel loro significato storicoculturale: valga per tutti il casoMachiavelli, di cui Gramsci riesce a fissare, forse per primo, il profondo rapporto con la situazione storica italiana ed europea 2.
Lo stesso sguardo educato alla comprensione dialettica della storia ed alla considerazione della parte che in essa hanno avuta le forze subalterne, il Gramsci appunta sul Risorgimento, ed anche qui la visione tradizionale, monarchica e moderata, dell'Ottocento svela la sua faziosa fallacia, ed anche qui Gramsci semina spunti e germi che attendono di essere svolti e sistemati. Se perciò qualcuno ha potuto giustamente parlare della necessità di uno studio del De Sanctis « secondo Gramsci » piuttosto che «secondo Croce », potremmo dire che anche lo schema della letteratura italiana va oggi approfondito, chi voglia rifarlo secondo interessi democratici e moderni, « secondo Gramsci », e non secondo la concezione moderata e liberale di cui il Croce ha dato gli esempi piú alti 3.[...]



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]ini : nel confronto dei quali — non si dimentichi — sì collocava Croce. Del resto sul « positivismo » è da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del ’94 (Roma, 1949, pp. 14650).'Eugenio Garin

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nascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogicopolitico1. Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalità 2. Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodo e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve « importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno è già riuscita a elaborare le sue quist[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Risorgimento, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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