Brano: [...]unità nazionale del maggio 1947, con l’attentato a Togliatti nel luglio 1948 (v. Quattordici luglio), con la reazione antioperaia degli anni 194855. Per tutto il quarantennio post '45 la questione spontaneitàorganizzazione rimase, dunque, come spia più
o meno esplicita del contendere intorno al tema, più scoperto e scottante politicamente, dell'“unità della Resistenza”. Per la D.C. (lo indicò Ernesto Ragionieri) fu un mezzo tattico per garantirsi quale erede della continuità dello Stato; per il P.C.I., la via strategica da percorrere per legittimarsi come partito nazionale, dopo i lunghi anni di scomuniche fasciste e cattoliche, e poi come partito cofondatore della Repubblica e interno al suo sistema istituzionale. Più a sinistra, dentro il P.C.I. (Secchia) e fuori (nei cosiddetti gruppi extraparlamentari), l'atteggiamento ufficiale, di Togliatti e poi di Enrico Berlinguer, fu bollato, dal '68 in poi, di rinuncia a portare fino in fondo la istanza rivoluzionaria operaia quale si era espressa con grande forza negli scioperi, da quello del marzo 1943, ancora in regime mussoliniano, a quello “insurrezionale” del 18.4.1945. Spontaneità e orga[...]
[...]co della guerra partigiana e del suo rapporto con il periodo fascista. Già negli anni del divampare più acceso di questa discussione (gli anni Sessanta), da parte di storici degli Istituti della Resistenza si era sottolineato il fatto che la stragrande maggioranza dei partigiani era di giovani (I'8085%, e fra essi il 46,3% erano nati tra il 1920 e il 1925, il 40,8% tra il 1910 e il 1919, oppure — e questi senza obblighi di servizio imposti dalla R.S.I. — nel 192627), i quali nella quasi totalità non potevano aver militato neH’antifascismo clandestino se non, ma alcuni soltanto, nel periodo della guerra. Altre sollecitazioni, non politicopartitiche, ma esistenziali (morali, psicologiche, “materiali”), li avevano spinti a ribellarsi al fascismo, prima in forme per lo più passive (non combattere, criticare, “mugugnare”), poi, di fronte al crollo totale dello Stato l’8 settembre 1943, con l’“andare in montagna” a prendere le armi. La scelta di questa strada, essa stessa minoritaria (fra i relativamente nu
merosi ex militari “sbandati” dei giorni dopo l’armistizio, solo 9 o 10 mila rimasero nelle “bande” a fine dicembre 1943), era stata prepolitica. Uno scatto morale, l’intuizione personale che occorresse ricuperare l’identità risorgimentale del paese combattendo contro il nazifascismo, un atto di responsabilità e di ass[...]
[...]no scatto morale, l’intuizione personale che occorresse ricuperare l’identità risorgimentale del paese combattendo contro il nazifascismo, un atto di responsabilità e di assunzione di rischio per la grande maggioranza da giovani “ribelli” appartenenti al ceto medio (studenti, intellettuali in fieri o in prima uscita, impiegati, lavoratori indipendenti). Un’avanguardia peraltro ridotta rispetto a coloro che avevano nel ventennio assistito all’imporsi e al dominare del “duce”. L’antifascismo politico non spinse i più fra questi, ma poi cercò via via di organizzarli e in parte (in parte soltanto) riuscì a influenzarli, senza mai riuscire, durante i venti mesi dello scontro frontale, a soggiogarli. Al naufragio dello Stato e della sua “autorità”, sia morale sia coercitiva, s’era aggiunta l’ambiguità della chiesa cattolica, divisa fra il desiderio del papa di dar vita a una sorta di fascismo senza Mussolini, o a un regime militare, e la passione cristiana del clero vicino al “popolo di Dio”.
Al campo della spontaneità, ma con azione d’effi[...]
[...]perai poterono riacquistare una loro forza e cementarla, entro certi limiti, con l'avvio a classe, cioè a forza, per ragioni “materiali” e non propriamente politiche, relativamente omogenea, sia perché generalmente dequalificata dal tipo di lavoro e portata verso salari e categorie più ravvicinate, sia perché l'economia bellica imponeva che si tenesse conto delle loro richieste di vita, specialmente salariali e alimentari. Dopo l'8 settembre, la R.S.I. fu in gran parte il braccio armato volto a favorire le domande di mano d'opera avanzate dal Terzo Reich, e spesso i tedeschi si arresero a una certa comprensione fino a che riuscirono a ottenere, complice parte degli industriali, un certo grado di produzione effettiva. Poi, quando gli scioperi del novembredicembre '43 e quello, il più grande dell'Europa occupata, del marzo ’44, mostrarono che gli operai erano in prima linea nella resi
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