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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 63

Brano: [...]li sia stabilita una pena detentiva non superiore al minimo di tre anni ». In base a questo articolo beneficiavano dell’amnistia anche i lavoratori, ma soltanto per i reati che non comportassero pena detentiva superiore a tre anni, e che fossero stati consumati nel corso di agitazioni di massa.

A giustificazione di tale palese, grave, antigiuridica discriminazione e della condizione posta dall’art. 1 per poter beneficiare dell’amnistia, il Guardasigilli on. Oviglio, nella sua relazione al re, scrisse: « Lo Stato non può, né deve in alcun momento rinunciare alla propria difesa. È bensì allora equo e illuminante consiglio coprire nell’oblio l’azione dell’individuo che, illegittima nella sua forma, sia animata da un fine coordinato e cooperante con le finalità statali, ma non può consentirsi che

lo Stato abbia a conoscere e a praticare clemenza di fronte a colui che agisce dejjnquendo per abbattere l’ordine costituito, gli organi statali e le norme fondamentali della convivenza sociale.

Talvolta si verifica invece, in date circostanze eccezionali, che nuove correnti le quali si affacciano alla vita politica siano indotte o costrette a fare uso della violenza per affermarsi nel quadro dei partiti e per imporre il proprio impulso alla vita dello Stato, acciocché più efficacemente e sicuramente raggiungere i propri fini e realizzare il bene della nazione. I recenti avvenimenti politici hanno appunto mostrato tale fenomeno nelle più vaste proporzioni ».

Queste considerazioni e la natura

[...]

[...]i propri fini e realizzare il bene della nazione. I recenti avvenimenti politici hanno appunto mostrato tale fenomeno nelle più vaste proporzioni ».

Queste considerazioni e la natura

dell’amnistia suscitarono grande scalpore negli ambienti antifascisti e tra la stessa magistratura, che veniva coinvolta in pieno con la politica del regime fascista e con le responsabilità di autentici delinquenti, ai quali la tessera del partito fascista accordava « immunità » e assolutoria piena.

Se l’art. 1 del decreto di amnistia, come osservò l’avvocato Enrico Gonzales su Critica Sociale (n. 1, gennaio 1923), «avesse detto brutalmente: "quando il fatto sia stato commesso da aderenti ai partiti nazionalista e fascista ”, il magistrato applicatore della legge avrebbe avuto una sola indagine, di fatto, sul partito dell’imputato e poi l’imposizione della clemenza sovrana, senza che egli entrasse neH’appassionata gara dei partiti, sull’infido terreno delle definizioni politiche, fuori da ogni verità fissa. Invece, con quella formula insincera e in[...]

[...]cidio, un ferimento, un sequestro di persona: 1) siano commessi per movente politico; 2) siano commessi per fine nazionale. Il primo punto può essere risolto senza compromissione del giudice, senza ricorso a criteri partigiani. Ma per il secondo punto la compromissione politica del Magistrato o, peggio, il suo asservimento al potere esecutivo sarà inesorabile e flagrante ». Un secondo provvedimento di amnistia fu quello adottato il 31.7.1925 con R.D. 1227, dopo Passassimo di Giacomo Matteotti (v.). Esso aveva

10 scopo principale di mettere in libertà i fascisti colpevoli di crimini, gli « esecutori » che avevano avuto la mala sorte di cadere nelle mani di qualche solerte e scrupoloso funzionario o magistrato. Tale provvedimento, che concedeva amnistia completa a tutti i colpevoli di reati determinati da movente politico (escluso l’omicidio consumato) e il condono di 2 anni per tutte le pene restrittive della libertà personale non superiori a 6 anni, servì a rimettere in libertà persino tre degli assassini di Giacomo Matteotti (Dumini, [...]

[...] amnistia completa a tutti i colpevoli di reati determinati da movente politico (escluso l’omicidio consumato) e il condono di 2 anni per tutte le pene restrittive della libertà personale non superiori a 6 anni, servì a rimettere in libertà persino tre degli assassini di Giacomo Matteotti (Dumini, Poveromo e Volpi) condannati, il 24.3.1926, a 5 anni e 11 mesi di reclusione.

Un terzo provvedimento, di portata limitata, fu quello dell’1.1.1930, R.D. n. 1, emanato in occasione delle nozze del principe ereditario Umberto di Savoia e che amnistiava le pene restrittive non superiori, nel massimo, ad un anno.

L’amnistia del « decennale »

11 quarto provvedimento di amnistia

fu emanato con R.D. n. 1403, il 5.11. 1932, in occasione del decennale della conquista del potere da parte del fascismo. Fu il più largo di tutti. Con esso il regime intendeva ostentare da un lato, la sua solidità e la sua « clemenza »; dall’altro, mirava — almeno in parte a placare^ l’opinione pubblica interna e internazionale scossa dalle mostruose pene comminate dal Tribunale speciale, essenzialmente per delitti di opinione. Con tale provvedimento vennero amnistiate le pene non superiori ai 5 anni, condonate di 3 anni quelle superiori ai 5 anni, e di 5 anni quelle che superavano i 10. Le cifre ufficiali, seco[...]

[...]elle che l’hanno preceduta, come quella del 1922 che fu una mostruosità giuridica e un'infamia, di cui dovevano trarre beneficio solo i massacratori degli operai, gli incendiari delle Camere del lavoro, come quella del 1925 che mise in libertà Dumini e gli altri assassini di Matteotti. Dopo aver distribuito circa 13 mila anni di galera, il fascismo ne condona circa cinquecento. E questo è tutto! »

Il quinto provvedimento fu quello emanato con R.D. n. 1511, il 25.9.

1934, in occasione della nascita della principessa Maria Pia di Savoia. Esso concedeva un’amnistia e un indulto per le condanne non superiori a 2 anni. Poiché gli antifascisti condannati dal Tribunale speciale a soli 2 anni erano pochissimi, essi poterono beneficiare soltanto del condono.

Il sesto provvedimento fu quello del 15.2.1937, R.D. 77 (in occasione della nascita di Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli): amnistiava tutti i reati che comportavano una pena non superiore ai 3 anni, e condonava di 2 anni tutti gli altri.

Il settimo provvedimento di amnistia fu quello emanato il 17.10.1942, con R.D. 1156, in occasione del secondo e ultimo decennale del reame fascista. Esso concedeva a n

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 50

Brano: Indonesia

polo indonesiano fosse privato dei suoi massimi dirigenti, sorse un « governo di salute pubblica » che si diede a organizzare l’insurrezione popolare. Gli olandesi dovettero cedere e, finalmente, riconoscere gli accordi del 1947.

Passata l’iniziativa nelle mani del movimento nazionalista, agli inizi del 1950 la Federazione dei tre Stati fu sciolta. Il 17 agosto di quello stesso anno fu costituita la Repubblica unitaria indonesiana. Nel 1954 venne denunciata la finzione dell’Unione indoolandese e nel 1961 l'Indonesia recuperò la zona occidentale dell’lrian che si trovava ancora sotto il controllo dell’OIanda.

Il colpo di stato del 1965

Nella Repubblica unita e indipendente il movimento nazionale venne organizzandosi in un ampio ventaglio di partiti, tra i quali maggiore rilievo assunsero, oltre al P[...]

[...]stra. D’altra parte, la prolungata presenza olandese e le continue pressioni imperialiste avevano lasciato tracce profonde nella vita politica indonesiana.

Il presidente Sukarno utilizzò tutte le possibilità offerte dalla situazione sociale e politica del paese per consolidare il potere del Partito nazionale indonesiano, ma l’equilibrio che egli riuscì a creare tra le forze di sinistra e quelle di destra era fondato più che altro sul suo straordinario ascendente personale. Garantendo l’unità nazionale attraverso la formula detta del Nasakom (unione tra forze nazionaliste, religiose e comuniste) e del governo gotougrojoug (ossia di collaborazione nazionale), Sukarno stesso contribuì ad appannare la reale natura del conflitto che andava maturando in Indonesia. I contrasti andarono configurandosi in termini sociali sempre più netti. Negli anni Sessanta la questione agraria, le nazionalizzazioni e, nel complesso, una profonda trasformazione delle strutture economiche ereditate dal colonialismo erano divenute condizioni essenziali per svi[...]

[...]miferi; l’esenzione dall’imposta di ricchezza mobile sugli interessi dei mutui e delle obbligazioni collocate all'estero, il salvataggio dell’Ansaldo (v.) e di altre industrie deficitarie sono soltanto alcuni esempi delle contropartite offerte dal governo fascista, fin dal suo primo anno di vita, ai grandi industriali. Seguiranno, dal 1923: la riduzione dell’imposta sui fabbricati e l’esenzione totale disposta a favore degli edifici industriali (R.D. del dicembre 1923, n. 3069); la riduzione dell’imposta di

ricchezza mobile sui redditi di puro capitale (R.D. 16 ottobre 1924, n. 1613); la soppressione dell'imposta del 15 per cento sui dividendi dei titoli al portatore (R.D. 29 luglio

1925, n. 1262); l’esenzione dell’imposta di ricchezza mobile sugli interessi delle obbligazioni emesse dalle società anonime e in accomandita per azioni (R.D. 20 settembre 1926, n. 1634).

Le esenzioni tributarie godute dai prestiti di provenienza estera incoraggiarono le banche straniere, e in particolar modo quelle americane, a investire i loro capitali in Italia. L’ammontare di tali investimenti è stato calcolato dalla Commissione economica dell’Assemblea Costituente in 400 miliardi di lire (al valore del 1946). L’85 per cento di tale importo venne erogato dal 1925 al 1927 e andò quasi interamente a finanziare grandi imprese idroelettriche, chimiche, navali.

Oltre al protezionismo assicurato dalle alte tariffe doganali, i grandi industriali italiani ottennero dal governo tutta una serie di provvedimenti per la cosiddetta « difesa del prodotto nazionale », mirante in sostanza ad assicurar loro profitti sempre più lauti e ad eliminare ogni rischio nella gestione (caso tipico, l’industria zuccheriera). Il 3.1.1925 i grandi industriali furono i primi ad applaudire Mussol[...]

[...]ddetta « difesa del prodotto nazionale », mirante in sostanza ad assicurar loro profitti sempre più lauti e ad eliminare ogni rischio nella gestione (caso tipico, l’industria zuccheriera). Il 3.1.1925 i grandi industriali furono i primi ad applaudire Mussolini che annunciava alla Camera le leggi « fascistissime » per mettere fuori legge le opposizioni, sciogliere i partiti, istituire il Tribunale speciale. Il 19 gennaio i grandi industriali lombardi si riunirono a Milano, nelle sede della loro Associazione, votarono un ordine del giorno di plauso alla politica mussoliniana e alle progettate leggi liberticide.

Dopo aver eliminato i sindacati di classe (v. Carta del lavoro), il regime fascista impose ripetute e drastiche riduzioni salariali. Secondo dati della stessa stampa fascista dell’epoca, dal 1927 al 1932 i salari furono diminuiti in Italia in ragione del 50% circa.

Dal 1923 al 1930 il governo fascista, attraverso la Banca d’Italia (v.), intervenne ripetutamente in favore di vari istituti di credito e di grosse aziende industriali legate alla Banca Italiana di Sconto (v.), al Banco di Roma, al Banco d[...]

[...]oca, dal 1927 al 1932 i salari furono diminuiti in Italia in ragione del 50% circa.

Dal 1923 al 1930 il governo fascista, attraverso la Banca d’Italia (v.), intervenne ripetutamente in favore di vari istituti di credito e di grosse aziende industriali legate alla Banca Italiana di Sconto (v.), al Banco di Roma, al Banco di Sicilia, alla Banca Agricola Italiana e a banche locali, coprendo in molti casi i loro disavanzi con versamenti a fondo perduto. La perdita complessiva dello Stato per i salvataggi effettuati fino al 1930 è stata accertata in 5 miliardi di lire dell’epo

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 226

Brano: [...]rtigiani russi. Il 12.7.1944, dopo due ore di combattimento, i garibaldini (comandati da Alessandro Ciamei) riuscirono a respingere il nemico dalle due ali; e avendo i nazifascisti attaccato anche al centro, nonostante le particolari difficoltà di questa posizione i distaccamenti « Altieri » e « Tarro Boiro », comandati rispettivamente da Carlo Ambrino (Negro) e da Raimondo Ala (Mondino), riuscirono a resistere, infliggendo al nemico sensibili perdite. I partigiani ebbero 2 morti, tra i quali un sovietico, e 4 feriti gravi, che vennero poi curati dal professor Attilio Bersanì Begei (Ferrerò).

La pressione nemica si protrasse per tutto il mese di luglio e, il mese dopo, giunsero nella valle le S.S. tedesche. Il 26 agosto, constatata l’impossibilità di raggiungere le posizioni della 42a Brigata Garibaldi, le S.S. attaccarono sul fianco sinistro il raggruppamento « Alpini della Stellina », appartenente alla 4a Divisione « Giustizia e Libertà », guidato dal comandante Laghi. Questi, dopo aver schierato i suoi uomini in posizione di difes[...]

[...]carono sul fianco sinistro il raggruppamento « Alpini della Stellina », appartenente alla 4a Divisione « Giustizia e Libertà », guidato dal comandante Laghi. Questi, dopo aver schierato i suoi uomini in posizione di difesa, chiese aiuto al Comando della 42a Brigata Garibaldi. Tre distaccamenti garibaldini, immediatamente inviati di rinforzo, attaccarono improvvisamente e con decisione il nemico che, colto tra due fuochi, dopo aver subito gravi perdite chiese di trattare. Il comandante Laghi concordò con l'ufficiale tedesco la resa, che fruttò ai partigiani grande quantità di armi e munizioni, e 150 prigionieri. Questi ultimi vennero in seguito utilizzati in scambi che permisero di salvare la vita di numerosi patrioti. Nel corso del combattimento i partigiani ebbero alcuni morti, tra i quali il valoroso tenente sovietico Arcadi Jukov.

Avendo appreso, dai documenti sequestrati agli ufficiali nemici prigio

nieri, che un’altra colonna di nazifascisti stava risalendo la valle di Lanzo, i partigiani avvertirono di ciò la 19a Brigata Garibaldi « Giambone », che teneva quella posizione, e[...]

[...]ente, capitano nella 63a Brigata Garibaldi « Bolero ».

Bamako

Città africana di circa 200.000 abitanti, sull’alto corso del Niger, capitale della Repubblica del Mali. Il 19.10.1946 vi si tenne il primo congresso delle forze nazionaliste delTallora Africa occidentale ed equatoriale francese, con l'obiettivo di creare un partito unico dell'Africa nera. Nel corso del congresso fu

deciso di dare Vita al Rassemblement Démocratique Africa in (R.D.

A.), avvenimento che fu certamente dei più importanti tra quelli usciti dalla seconda guerra mondiale. Come in tutti gli altri paesi coloniali, anche in quella parte dell’Africa la guerra aveva dato vita a grandi speranze e animato la lotta per l’indipendenza. Tuttavia, nonostante un forte movimento delle masse in tutte le colonie francesi, non vi erano organizzazioni politiche

o partiti meritevoli di questo nome. Le forze nazionaliste erano rappresentate da organizzazioni culturali a base etnica, talvolta da gruppi religiosi, spesso da organismi corporativi di categoria (impiegati, fun[...]

[...]del Sudan — decisero di dar vita a una « nuova organizzazione di massa » a carattere « internazionale », capace di unire « tutte le forze democratiche » delle colonie francesi, « per intensificare la lotta di liberazione nazionale ». Il Congresso di Bamako sancì la nascita di questa nuova organizzazione.

Osteggiato violentemente dai grandi partiti francesi, particolarmente dalla S.F.I.O. e dal M.R.P., perseguitato dalle autorità coloniali, il R.D.A. diventò nel giro di pochi mesi la forza principale della lotta antimperialista nell’Africa francese. Con 1.000.000 di aderenti e con un giornale di larga diffusione, il Réveil (Risveglio); con 11 deputati e 7 senatori al Parlamento di Parigi, grazie al suo apparentamento col Partito comunista francese, il R.D.A. mise in movimento tutte le forze nazionaliste deH’Africa nera, creando una serie di fronti nazionali che, dal 1947, furono presenti nel Senegai, nel Sudan, nel CongoBrazzaville, in Guinea, nella Costa d'Avorio, nel Ciad, nel Camerun, nel Dahomey.

Nonostante l’esclusione del Partito comunista dal governo francese (1947) e la repressione operata nel

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 269

Brano: Ordine pubblico

zione per gli oziosi, i vagabondi, i sospetti per furti di campagna, gli individui sospetti come grassatori, ladri, truffatori camorristi, mafiosi, contrabbandieri ecc.. Una successiva legge del 1871 aggiunse « tutti gli altri diffamati per crimini o delitti contro le persone o la proprietà.» L'ammonizione (v.) fu così applicata agli appartenenti all’Internazionale socialista, in quanto sospetti di attentare alla proprietà.

La Cassazione romana stabilì che « la partecipazione attiva all'Internazionale esce dalla sfera dei nudi principi e discende neH'ordine dei fatti, vale a[...]

[...]dri, truffatori camorristi, mafiosi, contrabbandieri ecc.. Una successiva legge del 1871 aggiunse « tutti gli altri diffamati per crimini o delitti contro le persone o la proprietà.» L'ammonizione (v.) fu così applicata agli appartenenti all’Internazionale socialista, in quanto sospetti di attentare alla proprietà.

La Cassazione romana stabilì che « la partecipazione attiva all'Internazionale esce dalla sfera dei nudi principi e discende neH'ordine dei fatti, vale a dire un'azione diretta a sovvertire la base della società col turbare il pacifico godimento della proprietà e la pubblica sicurezza ».

Quanto al domicilio coatto, vi è da segnalare, prescindendo da un troppo lungo esame dell’evoluzione dell’istituto, che il governo Crispi, per fronteggiare in via preventiva il crescente peso che avevano le sommosse operaie e contadine, predispose nel 1894 una legge (approvata dal Parlamento il 19 luglio) che prevedeva il domicilio coatto per chi fosse stato processato (indipendentemente dall'esito) per delitto contro l'ordine pubblico [...]

[...]pubblica sicurezza ».

Quanto al domicilio coatto, vi è da segnalare, prescindendo da un troppo lungo esame dell’evoluzione dell’istituto, che il governo Crispi, per fronteggiare in via preventiva il crescente peso che avevano le sommosse operaie e contadine, predispose nel 1894 una legge (approvata dal Parlamento il 19 luglio) che prevedeva il domicilio coatto per chi fosse stato processato (indipendentemente dall'esito) per delitto contro l'ordine pubblico e l’incolumità pubblica, ovvero sull’uso di materiale esplodenti, nonché contro i promotori delle associazioni anarchiche e socialiste. (Si veda anche la voce Confino di polizia).

Vediamo così che il concetto di ordine pubblico, già prima dell’avvento del fascismo, aveva acquistato i suoi caratteri fondamentali:

a) accentuata genericità dei presupposti di applicazione delle norme che ad esso facevano riferimento;

b) autonomia di queste norme rispetto alla lesione di un bene giuridico, nel senso che le limitazioni ai diritti di libertà dei cittadini, apportate in nome della tutela dell’ordine pubblico, erano realizzate o attraverso norme penali considerate come fattispecie di pericolo presunto o attraverso misure di prevenzione, inflitte a persone « pericolose », indipendentemente da comportamenti specifici;

c) funzione conservatrice di tale concetto: la conservazione del sistema economico e sociale veniva realizzata anche attraverso la tutela giuridica di quei valori elevati a dogmi dalla classe al potere ed etichettati come « ordine pubblico »;

d) limite onnipresente per le attività dei cittadini e ragione di rottura del principio di legalità.

In regime fascista

Q[...]

[...]e pubblico, erano realizzate o attraverso norme penali considerate come fattispecie di pericolo presunto o attraverso misure di prevenzione, inflitte a persone « pericolose », indipendentemente da comportamenti specifici;

c) funzione conservatrice di tale concetto: la conservazione del sistema economico e sociale veniva realizzata anche attraverso la tutela giuridica di quei valori elevati a dogmi dalla classe al potere ed etichettati come « ordine pubblico »;

d) limite onnipresente per le attività dei cittadini e ragione di rottura del principio di legalità.

In regime fascista

Queste caratteristiche naturalmente si rafforzarono nel clima politico determinatosi con l’avvento del fascismo.

La disciplina generale dei diritti e delle libertà individuali in questo periodo storico costituì il risultato di una singolare fusione tra statalismo e pluralismo sociale:

« L’individuo nello Stato fascista non è annullato, ma piuttosto moltiplicato per il numero dei suoi camerati » (Mussolini). La premessa di tale disciplina era la [...]

[...]l contrasto tra cittadino e Stato in favore di quest’ultimo, depositario della « volontà nazionale interpretata dal fascismo in senso imperiale » (Sermonti). Gli interessi individuali venivano sottoposti ad una forzata trasposizione sul piano associazionistico, sul piano cioè di corporazioni, enti, associazioni che funzionavano da semplici articolazioni dello Stato fascista; il circolo si chiudeva inesorabile!

In tale contesto, le leggi sull’ordine pubblico costituirono le norme di chiusura nel campo dei rapporti Statoindividuo: laddove si profilava un interesse pubblico, le contrapposte libertà politiche dei singoli venivano cancellate.

Questo limite onnipresente fu invocato a fondamento di una numerosa serie di leggi illiberali: dalla Legge sulle associazioni (26.11.1925 n. 2029) alla Legge sulla cittadinanza (31.1.1926 n. 108); dalle norme sulla gerenza dei giornali (R.D.L. 15.7.1923 n. 3288) alla Legge sulla difesa dello Stato (25.11.1926 n. 2008) alla Legge di pubblica sicurezza (R.D. 18.6.1931 n. 773, che sostituì il R.D. 6.11.1926 n. 1848). In questi due ultimi testi di legge, il regime provvide ad ampliare l’uso delle misure di prevenzione, vero architrave, unitamente al Tri

bunale Speciale per la difesa dello Stato, del sistema di annientamento delle opposizioni (v. Leggi eccezionali fasciste).

Furono estesi i presupposti del rimpatrio obbligatorio, che poteva colpire, oltre coloro che destassero sospetti fuori del proprio Comune, anche le persone « pericolose per lordine e la sicurezza pubblica o la pubblica moralità ». Come si ricava da una circolare del ministro degli Interni del 6 marzo

1928 n.[...]

[...] 1848). In questi due ultimi testi di legge, il regime provvide ad ampliare l’uso delle misure di prevenzione, vero architrave, unitamente al Tri

bunale Speciale per la difesa dello Stato, del sistema di annientamento delle opposizioni (v. Leggi eccezionali fasciste).

Furono estesi i presupposti del rimpatrio obbligatorio, che poteva colpire, oltre coloro che destassero sospetti fuori del proprio Comune, anche le persone « pericolose per lordine e la sicurezza pubblica o la pubblica moralità ». Come si ricava da una circolare del ministro degli Interni del 6 marzo

1928 n. 10/148000, vittime di questa misura erano principalmente gli operai in cerca di lavoro nei centri urbani.

II testo di P.S. del 1931 prevedeva che l’ammonizione (v.) potesse colpire, oltre agli oziosi e vagabondi, le persone pericolose « socialmente o per gli ordinamenti politici dello Stato ».

Quanto al confino o domicilio coatto, erano ad esso sottoponibili, secondo la legge del 1926, gli ammoniti e coloro che avessero « commesso o manifestato il deliberato proposito di commettere atti diretti a sovvertire violentemente gli ordinamenti nazionali, sociali od economici nello Stato, o a menomare la sicurezza, ovvero a contrastare od ostacolare l’azione dei poteri dello Stato, per modo da arrecare comunque nocumento agli interessi nazionali in relazione alla situazione interna o internazionale dello Stato ».

Questa lunga quanto generica descrizione dei presupposti di applicazione della misura era in pratica traducibile in poche parole: il regime voleva disporre della massima libertà nel colpire i propri avversari o anche chi sospettava fossero tali e voleva mascherarla da norma di Legge.

Le norme del 1931 aggiunse[...]

[...]isposizioni, i diffamatori. In definitiva, con tali misure non solo si ampliava il numero di persone suscettibili di essere incarcerate, in seguito alle violazioni di questo reticolo di limiti alle libertà personali, ma si rendeva possibile la persecuzione poliziesca per una serie di comportamenti politici assolutamente insuscettibili di esser considerati reati.

Sul piano penale, il regime fascista fece esplicito riferimento alla tutela dell'ordine pubblico nella punizione dei comportamenti indicati negli articoli 414421 del Codice del 1930. La relazione del Guarda^ sigilli osservava che gli altri reati « minacciano o ledono lordine

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 62

Brano: [...]la settimana a recarsi ai commissariato di po’izia del quartiere per sfilare, assieme ai deliquenti comuni, davanti ai poliziotti che avevano il compito di ben imprimersi negli occhi le fisionomie dei « nemici » del fascismo.

Gli ammoniti e i vigilati speciali (v.), nei 17 anni che vanno dal 1926 al 1943, furono circa 160.000.

Le norme principali concernenti l'ammonizione e il confino (v.), tratte dal T.U. delle leggi di P.S. approvate con R.D. 18.6. 1931 n. 773, stabiliscono:

« art. 264 Il questore, con rapporto scritto, motivato e documentato denuncia al Prefetto, per l'ammonizione, gli oziosi, i vagabondi abituali validi al lavoro non provveduti di mezzi di sussistenza e sospetti di vivere col ricavato di azioni delittuose e le persone designate dalla pubblica voce come pericolose socialmente o per gli ordinamenti politici dello Stato.

Sono altresì denunciati per l’ammonizione i diffamati per delitti di cui all'articolo seguente.

« art. 165 È diffamata la persona la quale è designata dalla voce pubblica come abitualmente colpevole: 1) dei delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico e di minaccia, violenza e resistenza alla pubblica autorità: 2) del delitto di strage: 3) dei delitti di commercio clandestino o fraudolento di sostanze stupefacenti e di agevolazione dolosa deM'uso di stupefacenti: 4) dei delitti di falsità in monete e in carte di pubblico credito; 5) dei delitti di sfruttamento di prostitute o di tratta di donne o minori; di istigazione alla prostituzione o favoreggiamento, di corruzione di minorenni; 6) dei delitti contro la integrità e sanità della stirpe commessi da persone esercenti l’arte sanitaria;

7) dei delitti non colposi di omicidio[...]

[...]i due anni ed è pronunciata da una commissione provinciale composta dal Prefetto, dal Procuratore del Re, dal Questore, dal coniandante l'Arma dei carabinieri reali nella provincia e da un Ufficiale Superiore della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, designato dal comando di zona competente.

« art. 170 Se si tratta di ozioso, di va

gabondo, di persona sospetta di vivere col provento di reati, la Commissione gli prescrive, nell’ordine di ammonizione, di darsi un congruo tempo al lavoro, di fissare stabilmente la propria dimora, di farla conoscere, nel termine stesso, alla autorità locale di pubblica sicurezza o di non allontanarsene, senza preventivo avviso alla autorità medesima.

Se si tratta di persone designate dalla pubblica voce come pericolose socialmente

o per gli ordinamenti politici dello Stato, la Commissione, oltre alle prescrizioni su indicate può imporre tutte quelle altre che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle particolari condizioni sociali dell’ammonito ed alle speciali esigenze di difesa sociale e politica (dal che risulta come per gli antifascisti vi fossero misure aggiuntive e più vessatorie di quelle che colpivano i sospetti di delitti comuni, n.d.r.).

« art. 172 La Commissione prescrive, inoltre, aH’ammonito, di non associarsi a persone pregiudicate o sospette, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora, di non portare armi, di non trattenersi abitualmente nelle osterie, bettole o in case di prostituzione e di non partecipare a pubbliche riunioni.

« art. 176 Se nel corso del biennio l’ammonito commetta un reato per il quale riporti successivamente condanna e l'ammonizione non debba cessare, il biennio ricomincia a decorrere dal giorno nel quale è scontata la pena ».

G.B.G.

Amnistia

Atto di indulgenza che abolisce, elimina, estingue la pena e le sue conseguenze. Alcuni provvedimenti di amnistia, nel primo dopoguerra e in segu[...]

[...]e non debba cessare, il biennio ricomincia a decorrere dal giorno nel quale è scontata la pena ».

G.B.G.

Amnistia

Atto di indulgenza che abolisce, elimina, estingue la pena e le sue conseguenze. Alcuni provvedimenti di amnistia, nel primo dopoguerra e in seguito, durante il regime fascista, sia per la loro portata che per il carattere antigiuridico e discriminatorio, suscitarono ampi dibattiti e risonanza politica. Tra questi, vanno ricordati i seguenti.

L’amnistia ai disertori

Venne concessa per mezzo di due provvedimenti: il primo, adottato sotto il governo di V.E. Orlando il 21.2.1919; il secondo, sotto il governo di F.S. Nitti il 2.9.1919. Ambedue i provvedimenti miravano soprattutto a sanare il grave problema dei condannati dai tribunali militari per diserzione e altri reati consumati durante la guerra 191518. I metodi disciplinari usati sotto il comando del generale Luigi Cadorna, l’impopolarità della guerra,

lo sfacelo seguito alla disfatta di Caporetto (v.), avevano riempito le carceri di giovani, spesso innoce[...]

[...]’1.10.1917 vi erano stati ben 56.000 disertori latitanti che, aggiunti ai 48.000 residenti in patria che non avevano risposto alla chiamata alle armi, costituivano una vera armata fuori legge. Durante

lo stesso periodo di tempo i tribunali militari avevano pronunciato 1.006 condanne a morte, di cui 729 eseguite; si ignora il numero, indubbiamente elevato, dei militari fucilati su due piedi, senza processo o col metodo della decimazione.

II R.D. 2.9.1919, emanato sotto il governo Nitti, approvato da Armando Diaz e riconosciuto « equo e riparatore » dallo stesso Mussolini, sanava finalmente la situazione, amnistiando tutti coloro che non avevano più di sei mesi di diserzione (esclusa la diserzione col passaggio al nemico) o che avevano riportato condanne — dai tribunali militari — non superiori a 10 anni di reclusione. Successivamente, quando i fascisti nella lotta per il potere si abbandonarono a speculazioni patriottarde, deprecarono l’amnistia Nitti, che pure era stata a suo tempo elogiata da « Il Popolo d’Italia ». Vilipeso come «[...]

[...]no Nitti, approvato da Armando Diaz e riconosciuto « equo e riparatore » dallo stesso Mussolini, sanava finalmente la situazione, amnistiando tutti coloro che non avevano più di sei mesi di diserzione (esclusa la diserzione col passaggio al nemico) o che avevano riportato condanne — dai tribunali militari — non superiori a 10 anni di reclusione. Successivamente, quando i fascisti nella lotta per il potere si abbandonarono a speculazioni patriottarde, deprecarono l’amnistia Nitti, che pure era stata a suo tempo elogiata da « Il Popolo d’Italia ». Vilipeso come « disfattista » e quasi messo sotto accusa, l’on. F.S. Nitti, nella discussione avvenuta in parlamento T8.3.1921, dimostrò che in realtà l’amnistia ai disertori non era stata così ampia come fascisti e nazionalisti sostenevano, ma essa aveva interessato soltanto 40.000 persone, poiché su 1.030.000. processati per diserzione o altri reati militari (di cui 370.000 si trovavano all’estero), la grande maggioranza aveva già scontato la pena o si trovava in libertà provvisoria.

Le amn[...]

[...]stia ai disertori non era stata così ampia come fascisti e nazionalisti sostenevano, ma essa aveva interessato soltanto 40.000 persone, poiché su 1.030.000. processati per diserzione o altri reati militari (di cui 370.000 si trovavano all’estero), la grande maggioranza aveva già scontato la pena o si trovava in libertà provvisoria.

Le amnistie fasciste

I governi di Mussolini adottarono sette provvedimenti di amnistia. Il primo, emanato con R.D. 22.12.1922

62



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 338

Brano: i

Oviglio, Aldo

Oviglio, Aldo

N. a Rimini il 7.12.1873, m. a Ronerio (Bologna) il 19.8.1942; giurista.

Avvocato, nel primo dopoguerra entrò nelle file fasciste e i biografi dell’epoca ricordano la sua partecipazione ai duri scontri contro le « milizie della sinistra ». Deputato fascista nel 1921, fu ministro della Giustizia dal 31.10.1922 al gennaio 1925; poi senatore, dai 1929.

Giurista del regime

Come guardasigilli, Oviglio introdusse il nuovo ordinamento giudiziario fascista, iniziò la riforma dei codici e promosse l’amnistia per

i reati commessi nell’interesse del fascismo. Insieme a Luigi Federzoni, presentò un progetto di legge sulla stampa, definito dagli oppositori al regime « inaccettabile » e « reazionario » in quanto, creando nuove e indeterminate ipotesi di reati di opinione, conferendo ai prefetti incontrollabili poteri discrezionali nel controllo dell'impresa giornalistica ed esponendo a gravissimi rischi civili e penali il tipografo, « vietava praticamente la vita alla stampa di opposizione » (Ava ma Di Gualtieri).

L[...]

[...]al regime « inaccettabile » e « reazionario » in quanto, creando nuove e indeterminate ipotesi di reati di opinione, conferendo ai prefetti incontrollabili poteri discrezionali nel controllo dell'impresa giornalistica ed esponendo a gravissimi rischi civili e penali il tipografo, « vietava praticamente la vita alla stampa di opposizione » (Ava ma Di Gualtieri).

La riforma istituzionale più rilevante della sua opera di statista fu quella dell’ordinamento giudiziario, trasfusa nel R.D. 14.9.1923 n. 1921. D’altra parte queste nuove norme perfezionavano, senza apportarvi profondi mutamenti, i tradizionali strumenti di controllo che il potere esecutivo, già nello Stato liberale, utilizzava nei confronti della magistratura.

Nella relazione accompagnante il regio decreto, il guardasigilli Oviglio osservava: « Più che di una trasformazione radicale delle norme vigenti, si tratta di semplici ritocchi; che peraltro riguardano i punti più vitali deU’ordinamento giudiziario, tra i quali in modo precipuo, l’inizio della carriera, il sistema di promozioni e la sistemazione degli uffici direttivi ». Sotto questo profilo, è da rilevare che il controllo sulla nomina dei capi dei singoli uffici, in un ordinamento giudiziario fondato sulla struttura gerarchica, si traduceva in un controllo totale su tutti i quadri della magistratura.

Nei confronti dei magistrati, il guardasigilli mantenne tuttavia un atteggiamento non persecutorio, tanto che, nonostante la dura reazione del P.N.F., si rifiutò di estendere alla magistratura le misure di epurazione politica previste per gli

impiegati statali. La sua opera moderatrice evitò anche che, con una scorretta applicazione del R.D. 3.5. 1923 n. 1208 sulla dispensa dal servizio dei magistrati inabili, incapaci o dallo scarso rendimento, si realizzasse in concreto un’epurazione politica dell'ordine giudiziario. A.Bev.

Ovra

Organizzazione poliziesca del Partito fascista, di fatto alle dirette dipendenze del capo del governo Benito Mussolini. Ampiamente articolata in Italia e all’estero, con strutture segrete e comunque non ufficiali, negli anni del regime l’Ovra costituì una rete « riservata » di servizi di informazione, provocazione e persecuzione contro gli avversari veri o presunti del fascismo, finanziata segretamente dal Ministero degli Interni.

Mai apparsa negli atti ufficiali del regime, l’Ovra sarà così definita, in un opuscolo pubblicato subito dopo la Liberazione: «[...]

[...]i a estendere in altre regioni gli Ispettorati speciali e ad adottare, per l’intera rete, la sigla « Ovra ».

Scriverà Luigi Salvatorelli: « Vi dovette essere un pizzico di vendetta sadica nell’invenzione di questo nome, di cui non fu mai determinato il significato preciso.

II Leto enumera come interpretazioni più correnti "Organizzazione di vigilanza e repressione dell'antifascismo” e "Organo di vigilanza dei reati antistatali". Ma noi ricordiamo, al momento dell’annuncio, un'altra spiegazione: "Opera volontaria di repressione antifascista". L’accento veniva messo sul "volontaria": si immaginò cioè che si trattasse di una rete di spionaggio tesa da persone non appartenenti alla polizia — da borghesi diciamo — le quali, per fanatismo o per lucro, agissero a fianco e alle spalle della polizia ordinaria, e con cui ciascuno potesse temere di imbattersi nella sua vita quotidiana. Al tempo dell’affare Matteotti, le rivelazioni sulla Ceka (v.) fascista avevano dato non poco fastidio a Mussolini: questi, ora, volle rifarsi facendo sapere e credere che la Ceka c‘era davvero, organo potente e permanente di terrore per i cittadini ».

Funzionamento

Funzione specifica delTOvra era quella di raccogliere informazioni sul movimento antifascista e trasmetterle alle Commissioni specia

li per il confino nonché al Tribunale Speciale che operavano essenzialmente partendo dalle sue denuncie.

[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 372

Brano: I

Sardegna

uscirà più) e diedero l'assalto alla casa di Lussu. Il leader sardista si barricò nel suo studio e, quando si trovò di fronte un fascista che aveva scavalcato la balaustrata del balcone per aggredirlo, non esitò a sparare uccidendolo. Qualche minuto dopo, Lussu si consegnò nelle mani del commissario di polizia tardivamente accorso e, da allora, ebbe inizio una lunga vicenda che, dal carcere cagliaritano e dal confino di Lipari, avrebbe portato il leader sardo a continuare la sua lotta al fascismo dall’esilio, fino all'agosto del 1943.

La prima resistenza al fascismo

Da allora il nome di Lussu fu quel

lo su cui si accentrarono le paure e i controlli delle diverse polizie del regime. Tra i dirigenti comunisti, Antonio Gramsci, in carcere dall’ottobre 1926, con la Sardegna ebbe quasi soltanto rapporti epistolari che lo legavano alla madre e alla sorella; Velio Spano (v.), trasferitosi con la famiglia da Cagliari nel 1924, era clandestino fra Milano e Torino (sarà arrestato nel 1927); Luigi Potano (v.), dopo aver lasciato Sassari per la Francia nel 1924, dal 1925 emigrò in U.R.S.S.. Tra i dirigenti socialriformisti, il solo Angelo Corsi (arrestato per breve tempo nel 1926) resisterà su posizioni antifasciste.

Furono pertanto alcuni dirigenti sardisti e qualche militante comunista a tessere in Sardegna le prime trame cospirative. Quando, agli inizi del 192[...]

[...]stolari che lo legavano alla madre e alla sorella; Velio Spano (v.), trasferitosi con la famiglia da Cagliari nel 1924, era clandestino fra Milano e Torino (sarà arrestato nel 1927); Luigi Potano (v.), dopo aver lasciato Sassari per la Francia nel 1924, dal 1925 emigrò in U.R.S.S.. Tra i dirigenti socialriformisti, il solo Angelo Corsi (arrestato per breve tempo nel 1926) resisterà su posizioni antifasciste.

Furono pertanto alcuni dirigenti sardisti e qualche militante comunista a tessere in Sardegna le prime trame cospirative. Quando, agli inizi del 1928, la polizia individuò a Roma un importante nucleo dell’organizzazione clandestina comunista facente capo a Giuseppe Amoretti, Anna Bessone e Roberto Allegri, in casa del sardo Giovanni Agostino Chironi (n. a Nuoro nel 1902) fu rinvenuto un ciclostilato antifascista intestato « Sardegna »: ne venne sospettato autore il giovane studente nuorese Antonio Dorè (n. a Orune nel 1906) e così era in effetti, ma la polizia non riuscì ad averne le prove: assolto dal Tribunale speciale, Dorè fu quindi confinato a Lipari.

Altri comunisti sardi che finirono al confino in quegli anni furono: Andrea Lenti ni (n. a Luras nel 1885, organizzatore dei minatori di Gonnesa, Cagliari, dal 1926 al 1931); Carlo Manunza (n. a Cagliari nel 1908, confinato a Lipari dal 1928 al 1929). Alcuni militanti comunisti furono condannati a pesanti pene detentive dal Tribunale speciale: il già citato Giovanni Chironi, che sconterà 4 dei 7 anni di reclusione

comminatagli; Giovanni Lai (n. a Pirri di Cagliari nel 1904), arrestato nel 1927 e condannato a 7 anni e 6 mesi, tornerà libero nel 1932 per l’amnistia del “decennale” dopo essere stato, a Turi, comp[...]

[...]tanti comunisti furono condannati a pesanti pene detentive dal Tribunale speciale: il già citato Giovanni Chironi, che sconterà 4 dei 7 anni di reclusione

comminatagli; Giovanni Lai (n. a Pirri di Cagliari nel 1904), arrestato nel 1927 e condannato a 7 anni e 6 mesi, tornerà libero nel 1932 per l’amnistia del “decennale” dopo essere stato, a Turi, compagno di carcere di Gramsci e di Sandro Pertini. Il colpo più duro inferto all’antifascismo sardo fu costituito, nell’ottobre 1930, da una serie di arresti connessi alla caduta del centro interno di “Giustizia e Libertà”. Anche se la polizia non riuscì mai a decifrare i nomi in codice che figuravano nella corrispondenza tra Lussu, i giellisti Francesco Fancello e Cesare Pintus (v.) furono condannati dal Tribunale speciale a 10 anni di reclusione: liberato nel 1939, Pintus morirà per le conseguenze di una malattia contratta in carcere (dello stesso gruppo facevano sicuramente parte i sardisti Dino Giacobbe, Luigi Battista Puggioni e il repubblicano sassarese Michele Saba).

Il nucleo sa[...]

[...]ie di arresti connessi alla caduta del centro interno di “Giustizia e Libertà”. Anche se la polizia non riuscì mai a decifrare i nomi in codice che figuravano nella corrispondenza tra Lussu, i giellisti Francesco Fancello e Cesare Pintus (v.) furono condannati dal Tribunale speciale a 10 anni di reclusione: liberato nel 1939, Pintus morirà per le conseguenze di una malattia contratta in carcere (dello stesso gruppo facevano sicuramente parte i sardisti Dino Giacobbe, Luigi Battista Puggioni e il repubblicano sassarese Michele Saba).

Il nucleo sardistagiel lista scoperto nel 1930 era la punta emergente di un iceberg di avversione al fascismo che attraversava, seppur toccandoli in gruppi molto limitati, ampi strati di borghesia urbana intellettuale e professionale. Fu, quel

lo degli “avvocati”, un antifascismo silenzioso e nel complesso non pericoloso, che tuttavia ebbe, soprattutto per la statura morale dei suoi protagonisti, una funzione educativa e morale di grande rilievo.

Un atteggiamento ancora più sfumato, per il quale si userà il termine di « afascismo » (Raimondo Turtas), era quello dei gruppi cattolici più sensibili a cog[...]

[...]lici e la stessa gerarchia religiosa non attesero i Patti Lateranensi per instaurare un modus vivendi o addirittura una alleanza con il governo fascista. L’unico vero momento di frizione tra fascismo e cattolici si determinò, in tutta l’isola, in occasione della crisi del giugnosettembre 1931, quando il decreto di scioglimento delle organizzazioni giovanili non fasciste colpì soprattutto il movimento giovanile cattolico. In quei mesi, anche in Sardegna furono perquisite sedi di circoli cattolici e associazioni religiose, con relativo sequestro di documenti, registri ed elenchi di iscritti.

A Nuoro, il 3.6.1931 il vescovo monsignor Giuseppe Cogoni sospese in tutta la diocesi le solenni processioni previste per il giorno dopo (festa dei Corpus Domini) e, nella cattedrale, pronunciò un discorso che, a distanza di sette anni, il prefetto dirà

« tuttora vivo nel ricordo della cittadinanza » per la violenza delle sue critiche nei riguardi del regime.

La crisi economica e sociale

Ma al di là di questo antifascismo “firmato” con nome e cognome di personaggi che ne furono protagonisti, lungo tutto il ventennio si ebbe nell’isola un’altra manifestazione di “separatezza” dal fascismo, storicamente anche più importante delle altre. Era una diffusa avversione popolare al regime che, da una parte, si nutriva di quell'antistatualismo già individuato da Gramsci nel mondo contadino (soprattutto meridionale), e dall’altra si collegava a quella sfiducia nei confronti dei governi centrali, caratteristica duna regione sempre così peri[...]

[...]il ventennio si ebbe nell’isola un’altra manifestazione di “separatezza” dal fascismo, storicamente anche più importante delle altre. Era una diffusa avversione popolare al regime che, da una parte, si nutriva di quell'antistatualismo già individuato da Gramsci nel mondo contadino (soprattutto meridionale), e dall’altra si collegava a quella sfiducia nei confronti dei governi centrali, caratteristica duna regione sempre così periferica come la Sardegna.

Peraltro, « tra le regioni dell’Italia centromeridionale la Sardegna fu certamente una delle più colpite dalle conseguenze della politica di deflazione. Con la stabilizzazione della lira a “quota 90” gli impegni finanziari assunti da piccoli contadini e pastori nel primo dopoguerra per l’acquisto di terre e di bestiame e per l’affitto dei pascoli divennero estremamente gravosi, perché il valore della terra cadeva vertiginosamente e così i prezzi all’ingrosso dei principali prodotti agricoli e zootecnici » (Eugenia Tognotti).

A questo si aggiungeva la riluttanza dei sardi ad allinearsi alla propaganda fascista per la « battaglia del grano » in regioni do[...]

[...]a politica di deflazione. Con la stabilizzazione della lira a “quota 90” gli impegni finanziari assunti da piccoli contadini e pastori nel primo dopoguerra per l’acquisto di terre e di bestiame e per l’affitto dei pascoli divennero estremamente gravosi, perché il valore della terra cadeva vertiginosamente e così i prezzi all’ingrosso dei principali prodotti agricoli e zootecnici » (Eugenia Tognotti).

A questo si aggiungeva la riluttanza dei sardi ad allinearsi alla propaganda fascista per la « battaglia del grano » in regioni dove predominava (e, per la natura dei terreni, era anche più remunerativo) l’allevamento, specie ovino: due annate sfavorevoli, fra il 1928 e il

1930, segnarono il punto più basso per l’economia agricola isolana, mentre l’ambizioso programma di lavori pubblici varato con la cosiddetta “legge del miliardo” (il R.D. 6.12.1924 n. 1931 che, stanziando appunto un miliardo di lire per opere infrastrutturali, voleva offrire una risposta alle rivendicazioni “sardiste”) non riusciva ad assorbire la disoccupazione in continuo aumento.

Manifestazioni di disoccupati ed esplosioni di malessere sociale venivano segnalate dai rapporti dei prefetti. Nel 1930 la Sardegna, con 157 vendite coatte di immobili ogni

100.000 abitanti, guidava la classifica della morosità fiscale italiana. Le zone interne risentivano maggiormente della crisi e, anche per fronteggiarla meglio, sia pure con mezzi soprattutto repressivi, il R.D.

372



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 446

Brano: Scuola, Fascistizzazione della

collaborazione ufficiale che, pur permanendo rivalità anche aspre nel contendersi l’egemonia ideologica sulle nuove leve giovanili (v. Azione cattolica e fascismo), trovava un terreno d'intesa ottimale nel comune disegno di sbarrare la strada a ideologie liberaldemocratiche o marxiste.

Nel settore scolastico, le conseguenze del Concordato (v.) non si esaurirono nell’estensione alla scuola secondaria deH’insegnamento obbligatorio della religione cattolica, sancito dall’art. 32 del documento, facendo così retrocedere l’aspirazione di Gentile che avrebbe voluto preservare la preminenza del pensiero filosofico e laico su quello teologico, ma si realizzò anche il massiccio spostamento nella prassi di insegnamento di tutte le discipline (attraverso i libri di testo, la pubblicistica specializzata, le dotazioni librarie per le biblioteche di classe) verso una tematica incentrata sul trinomio DioPatriaFamiglia, assai più vicina all[...]

[...]assiccio spostamento nella prassi di insegnamento di tutte le discipline (attraverso i libri di testo, la pubblicistica specializzata, le dotazioni librarie per le biblioteche di classe) verso una tematica incentrata sul trinomio DioPatriaFamiglia, assai più vicina alle opinioni della destra clericaleggiante tradizionale che non alle teorizzazioni gentiliane. Tra i frutti del compromesso raggiunto tra Chiesa e Regime in campo scolastico è da ricordare anche il libro di testo unico per la scuola elementare, che a partire dal 1929 (L. 7 gennaio 1929, n. 8) veniva stampato in milioni di esemplari dal Poligrafico dello Stato (esattamente 5.435.000 copie tra sillabari, sussidiari e testi di lettura).

Il contenuto di questi nuovi testi scolastici, curati da una eclettica commissione composta da gerarchi, religiosi, scrittori e pedagogisti (ne facevano parte G. Forges Davanzati, Angelo Silvio Novaro, Grazia Deledda, monsignor Angelini, C. Quercia e A. Zanzevalle), evidenziava l’intento di fondere ideologia clericale conservatrice e propagan[...]

[...]riserva del regime raggiunse il suo momento culminante con il ministero del quadrumviro fascista Cesare Maria De Vecchi (v.), dal gennaio 1935 al giugno 1936. Nel corso di questa gestione assolutamente “politica” si ebbe l’accentramento totale del potere nelle mani del ministro e nelle organizzazioni giovanili del regime, quali VOpera Nazionale Balilla (v.) e i Gruppi dei fascisti universitari (v. G.U.F). Ciò, sia sotto l’aspetto della gestione ordinaria del personale (nomine, trasferimenti, promozioni e licenziamenti) sia per quanto riguardava i programmi di insegnamento e la gestione didattica quotidiana a tutti i livelli (dalle elementari all'Università).

A partire da quegli anni, presidi e professori, tutti messi in divisa fascista per decreto, dovettero programmare l’utilizzo di una parte sempre più consistente del tempo scolastico per la celebrazione dei miti e dei riti del regime. Le occasioni erano innumerevoli, andando dalla “Festa degli alberi” alla consegna del gagliardetto fascista, dalla celebrazione degli anniversari della storia patria a quelle delle nuove tappe delibera fascista”, dalla visita del federale alla consacrazione delle aule ai “martiri della Rivoluzione”. Naturalmente, quanto a serietà e rigore negli studi, lungo questa linea non si poteva pretendere gran che, perciò sotto la gestione De Vecchi vennero restaurati i programmi d’insegnamento a cadenza annuale, al posto degli assurdi programmi d’esame di gentiliana

memoria (R.D. 7 maggio 1936, n. 762), furono fatte concessioni notevoli al bignamismo e al nozionismo, venne ridotta la severità delle prove di esame. Nella scuola fascista occorreva per di più far posto a più recenti “novità”, consone alle esigenze del regime: l’insegnamento della cultura militare (R.D. 17 ottobre 1935), l’organizzazione di grandi saggi ginnici e sportivi, le competizioni culturali (gli « agonali » per le scuole secondarie, i « Littoriali della cultura e dell’arte » per le Università).

In tutte o nella maggior parte di queste occasioni, in cui la scuola fu trasformata da « tempio della cultura al di sopra delle fazioni » in « un laboratorio della autoidentificazione collettiva, gigantesco cantiere di un senso comune nazionalfascista in cammino» (Isnenghi), compariva in forma discreta ma netta il rappresentante della Chiesa, simbolo del compromesso in atto e ipoteca per il[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 781

Brano: [...]a di Roma del 13.1.1946 in «Archivio penale» (1946, II, p. 253 ss.), quella della Corte d'Assise di Ferrara del 28.10.1946 in « Critica penale » (1948, p. 1921).

Come si vede, l’aspetto individuale era secondario; mentre, da ciò che è dato capire dalla ricostruzione giudiziaria, vi era una dimensione collettiva e politica incomprensibile per giudici che interpretavano in modo restrittivo una norma la quale, come risulta dalla relazione del guardasigilli Pai miro Togliatti, era esplicitamente destinata agli

« atti commessi in violazione delle leggi penali, dopo la liberazione del territorio nazionale, da combattenti di queste formazioni partigiane, a cui va imperitura la riconoscenza del paese ». (In « Le Leggi », 1946. d. 4146).

Che l’atteggiamento dei giudici fosse molto più disponibile nei confronti dei fascisti (v. Processi ai fascisti) che verso i partigiani, lo dimostrano alcuni dati statistici relativi ai primi mesi di applicazione di quella amnistia.

Al 31.7.1946 vi erano state 219.481 pronunce, tra le quali, per moti[...]

[...]itolato « Come nacque l'amnistia », apparso in « Il ponte » (1947, n. 1112, p. 11056) scrisse: « Il fatto che l'amnistia fosse diretta principalmente ai fascisti ("amnistia Togliatti”) non è sufficiente a spiegare una differenza così grande ».

Lo squilibrio era tale da rendersi necessario, per superare le resistenze della magistratura, quel decreto di Fausto Gullo (6.9.1946, in G.U. 19.9.1946, n. 212) che aveva il tenore di un vero e proprio ordine amministrativo:

« Art. 1 Non può essere emesso mandato od ordine di cattura o di arresto, e se è stato emesso deve essere revocato, nei confronti dei partigiani, dei patrioti e delle altre persone indicate nel comma secondo dell'articolo unico del Decreto legislativo luogotenenziale 12 aprile 1945, n. 194, per i fatti da costoro commessi durante l'occupazione nazifascista e successivamente fino al 31 luglio 1945, salvo che, in base a prove certe, risulti che i fatti anzidetti costituiscono reati comuni ».

il testo era chiaro: era richiesta all'accusa la prova certa che dai

fatti esulasse un movente anche in parte politico, altrimenti scattava il d[...]

[...]posta.

Pur in presenza di una volontà del legislatore così chiara e inequivocabile, l’atteggiamento della magistratura non mutò di molto. Fu significativo, a tale proposito, il caso di alcuni partigiani romani imputati di aver fatto irruzione in una bisca di repubblichini, di aver sequestrato del denaro, di aver arrestato un fascista e ucciso un collaborazionista della Decima Mas. Le richieste di applicazione dell’ amnistia e di revoca degli ordini di cattura furono respinte, in quanto i fatti addebitati furono considerati non delitti politici ma « vendette » politiche. Solo dopo ben 29 mesi di carcerazione preventiva la Corte d’Assise di Roma assolse tutti gli imputati, meno uno che intanto era morto in carcere. (Mario Berlinguer, « Processi politici nell’Italia d’oggi », in « Rinascita »,

IV, 1947, n. 1112, p. 334).

Numerosi mandati di cattura furono mantenuti, come quello nei confronti di Piccardi [Icaro), comandandante della formazione « Friuli ». In altri casi furono nuovamente arrestati imputati che erano già stati scarce[...]

[...]rono respinte, in quanto i fatti addebitati furono considerati non delitti politici ma « vendette » politiche. Solo dopo ben 29 mesi di carcerazione preventiva la Corte d’Assise di Roma assolse tutti gli imputati, meno uno che intanto era morto in carcere. (Mario Berlinguer, « Processi politici nell’Italia d’oggi », in « Rinascita »,

IV, 1947, n. 1112, p. 334).

Numerosi mandati di cattura furono mantenuti, come quello nei confronti di Piccardi [Icaro), comandandante della formazione « Friuli ». In altri casi furono nuovamente arrestati imputati che erano già stati scarcerati in quanto era stato riconosciuto il movente politico delle loro azioni.

Nell'articolo di Mario Berlinguer se ne cita uno: « Così accadde a certo Pompei Francesco di Ariccia il quale, proprio nel giorno della Liberazione, imbattutosi in una spia dei tedeschi che aveva denunziato e fatto deportare un suo giovane figliolo, morto poi nelle camere dei gas in Germania, ebbe con lui un diverbio e, minacciato, lo uccise. Nessun movente politico, si disse rinnegando[...]

[...]servizio senza darne preventiva comunicazione al comune Comando [...] ». L’imputato, denunciato e arrestato nel settembre del 1945, restò in carcerazione preventiva fino all 'aprile. del 1947, quando l'organo inquirente si accorse che « per costatazione ictu oculi » poteva e doveva essere applicato il decreto Gullo con conseguente scarcerazione. Ebbene, la lunga carcerazione preventiva servì a... risolvere un conflitto di competenza tra giudice ordinario e militare.

L’atteggiamento della magistratura non fu d’altra parte molto più aperto nell’applicazione di altre leggi a favore dei partigiani. Ci si riferisce in particolare all'art. 2 del R.D. 5.4.1944 n. 96, con il quale tra l’altro veniva concessa amnistia per i reati, « punibili con la pena detentiva non superiore nel minimo a cinque anni », commessi da chi dopo l’8.9.1943

« ha partecipato con reparti militari, regolari od irregolari, o in occasione di moti popolari, a fatti di armi [...] ovvero ha, anche isolatamente come militare o come civile, compiuti atti diretti a frustrare la attività bellica delle truppe tedesche o di chi ad esse prestava aiuto ». (In Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 5.4.1944 n. 17).

Si veda inoltre la relazione del guardasigilli in « Archivio p[...]

[...]re nel minimo a cinque anni », commessi da chi dopo l’8.9.1943

« ha partecipato con reparti militari, regolari od irregolari, o in occasione di moti popolari, a fatti di armi [...] ovvero ha, anche isolatamente come militare o come civile, compiuti atti diretti a frustrare la attività bellica delle truppe tedesche o di chi ad esse prestava aiuto ». (In Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 5.4.1944 n. 17).

Si veda inoltre la relazione del guardasigilli in « Archivio penale », 1946, I, p. 303

4. Sull'art. 1, che prevedeva un’ipotesi ancora più ampia (« È concessa amnistia per tutti i reati, quando il fine che li ha determinati sia stato quello di liberare la Patria dall’occupazione tedesca, ovvero quel

lo di ridare al popolo italiano le libertà soppresse o conculcate dal regime fascista»), sono rintracciabili pochissime pronunce: Tribunale Supremo Militare 9.7.1946, in « Rivista penale », 1946, II, p. 952+4; Corte di Cassazione 28.1.1946, in « Rivista penale», 1946, 11, p. 6601.

I destinatari erano chiaramente coloro che, do[...]

[...]emo Militare 9.7.1946, in « Rivista penale », 1946, II, p. 952+4; Corte di Cassazione 28.1.1946, in « Rivista penale», 1946, 11, p. 6601.

I destinatari erano chiaramente coloro che, dopo aver commesso reati comuni o militari, avevano « riscattato il passato con atti di patriottismo » avendo « combattuto contro il tedesco per scacciarlo dal sacro suolo della Patria o per frustrarne l’attività bellica », secondo le parole della relazione del guardasigilli.

Le qualifiche di partigiano

La questione che con maggior frequenza si pose nelle applicazioni giurisprudenziali fu quella sulla suf

781



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 492

Brano: a diventare carne da cannone anche nelle guerre europee. Corpi di « Franchi tiratori senegalesi », composti da uomini reclutati nel Senegai e nel Sudan Francese, durante la Prima guerra mondiale furono impiegati con feroce cinismo e crudeltà sul fronte occidentale, nelle regioni del Nord, dove gli africani non erano assolutamente in grado di resistere fisicamente alle dure condizioni climatiche. Per fare un solo esempio, di un corpo composto da 11.000 sénégalais inviati al fronte nel febbraio 1917, in breve tempo ben 7.500 morirono di malattie contratte per il gran freddo.

Nel dopoguerra, quando fu istituito nelle colonie francesi il servizio militare obbligatorio di 3 anni (nella stessa epoca in Francia la leva era stata ridotta a 18 mesi) molti giovani sudanesi si resero renitenti, rifugiandosi nella vicina Costa d’Oro britannica.

Negli anni tra le due guerre il regim[...]

[...]ervizio militare obbligatorio di 3 anni (nella stessa epoca in Francia la leva era stata ridotta a 18 mesi) molti giovani sudanesi si resero renitenti, rifugiandosi nella vicina Costa d’Oro britannica.

Negli anni tra le due guerre il regime di sempre più intenso sfruttamento imposto dai francesi nell’Africa Occidentale provocò continue rivolte anche nel Sudan Francese, sistematicamente represse nel sangue. Nel 1922 si sollevarono le tribù a nord di Timbuctu ma, a causa della totale censura imposta dalle autorità coloniali, ben poco si sa su quei moti popolari.

Durante la Seconda guerra mondiale il Sudan, come le altre colonie dell’Africa Occidentale Francese, rimase sotto il controllo del governo collaborazionista di Vichy. Alla politica di integrazione colonialista subentrò così la discriminazione razziale di marca nazista, mentre non mutarono le già pessime condizioni materiali delle colonia.

Verso l’indipendenza

Nell’immediato dopoguerra, per iniziativa di Modibo Keita e di Mamadu Konate nacque l’Union Soudanaise, sezione[...]

[...]ccidentale Francese, rimase sotto il controllo del governo collaborazionista di Vichy. Alla politica di integrazione colonialista subentrò così la discriminazione razziale di marca nazista, mentre non mutarono le già pessime condizioni materiali delle colonia.

Verso l’indipendenza

Nell’immediato dopoguerra, per iniziativa di Modibo Keita e di Mamadu Konate nacque l’Union Soudanaise, sezione sudanese del Rassemblement démocratique africain (R.D. A), movimento che mirava a fondare una grande confederazione dell’intera Africa Occidentale Francese. L’Unione rimase alla testa degli indipendentisti sudanesi anche negli anni successivi.

Dopo la morte di Konate (1956), Keita rimase fedele all’ideale federativo e, mentre il paese si affacciava all’indipendenza, tentò l’unione con il Senegai. NeM’aprile 1959 fu quindi proclamata la cosiddetta Federazione del Mali, con il vago impegno di seguire « una via africana verso il socialismo », ma l’e

sperienza durò solo un anno: divergenze sulla collocazione internazionale e sullo sviluppo inte[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine R.D., nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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