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Il segmento testuale Pure è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 270Analitici , di cui in selezione 11 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Mario La Cava, Il grande viaggio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: IL GRANDE VIAGGIO
In un paese di marina dell'Italia meridionale, v'era una località detta u Borgo », tutta di casupole raggruppate attorno a stretti vicoli e a piazzuole, ed abitata da gente povera del luogo. V'erano pescatori, carrettieri, lavoratori dei campi, manovali, e qualche artigiano che aveva la bottega sul posto. Qua e là si apriva la porta di qualche cantina frequentata pure da popolani di altra parte del paese.
La pulizia, purtroppo, difettava alquanto, e non era difficile vedere animali d'allevamento passeggiare tranquillamente, malgrado il divieto comunale, per le contorte stradette: si sentiva allora il porco gridare, nell'attesa del cibo, che pareva lo scannassero, la capra chiamare la padrona, mentre allegramente saltava dalla porta di casa fin sul letto a due piazze, e le galline annunziare l'uovo, dopo essersi nascoste per farlo : si perdeva l'uovo e gravi litigi nascevano talora tra le donne sospettose che si accusavano l'una con l'altra.
Ma più spesso[...]

[...]a. Aveva i capelli neri e fitti, spesso impolverati verso la sera o a causa del vento che dalla strada aveva soffiato attraverso la porta aperta o per il suo stesso lavoro sulle scarpe della povera gente. La moglie, della stessa eta, sembrava più vecchia per una banda di capelli bianchi sulla fronte, ed egli per questo, tanti anni prima, aveva tentennato prima di sposarla.
Dalla porta di mezzo che introduceva nella camera del letto, dove vi era pure quello della bambina maggiore, mentre la più piccola dormiva ancora coi genitori, entrava la moglie Rosaria : spesso i due coniugi stavano insieme: la loro vita era tranquilla, se non felice, poiché la felicita é difficile su questa terra, e ora parlavano di una cosa ora di un'altra, talvolta, ma per poco, bisticciandosi.
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Diceva Rosaria : « Hai visto che Maria del povero Carmine non può vestirsi di chiaro, dopo tanti anni che teneva il lutto, nemmeno ora che si era sposata? ».
«Perché? Cosa le é successo? ».
« È morta la cognata! E non era quindici giorni che si era sposa[...]

[...] Dopo che finirà le scarpe di Giuditta, l' `incaramel lata', che deve sposare, farà le vostre... ».
«Quando dunque debbo ritornare? Ditemi una parola definitiva! » chiedeva il cliente.
« Domani vi avevo detto, venite meglio dopodimani, così saremo più sicuri » prometteva Giuseppe; e la moglie, di rincalzo: « State si curo, compare Domenico, che ve le farà ». Il cliente allora se ne andava.
Interveniva di nuovo la moglie e diceva: «Gliele puoi pure accomodare... ».
« Parlare é la cosa più facile — rispondeva Giuseppe —. Se non ho un minuto libero!... ».
«E lui perché non paga come gli altri? » — diceva il ragazzo che
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sapeva le faccende della bottega —. Giuseppe non rispondeva, mentre era intento al lavoro, e sorrideva appena.
Correndo e tenendosi per mano comparvero le due figliuole, Ernesta, la maggiore, e Lidia che aveva solo tre anni; la più grande aveva sette anni, andava a scuola, e faceva da guida nella casa alla più piccola. Venivano dai nonni e dalle zie che abitavano vicino, quasi di fronte, e avevano [...]

[...]e visite, non le restituisce... ».
Ma Rosaria non seppe scusare il marito. Il quale amava i parenti della moglie, ma si annoiava ai discorsi che soleva fare il vecchio fabbro Felice su un passato che non conosceva e al quale non si interessava.
Quando Giuseppe usciva, talvolta si fermava un momento a salutare i parenti; tal'altra, specialmente se era in compagnia tirava diritto, senza occuparsi di loro. Egli usciva di sera, finito il lavoro, oppure, quando non aveva voglia di lavorare o doveva andare a comprare la suola, anche di giorno. Il suo lavoro non era ostinato e continuo; perché egli non aveva sogni di ricchezza per la sua vita, si contentava di quello che guadagnava, e non voleva sacrificarsi. oltre misura.
Ritornata Rosaria a casa sua per preparare la cena della sera, Giuseppe già aveva smesso il lavoro, aveva licenziato il ragazzo e si era
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lavato. Le bambine giocavano tra di loro, e la più piccola rincorreva la grande, dandole dei piccoli colpi colle mani, gridando e ridendo.
«Per il pesce é inutile parla[...]

[...] fotografie proprio al naturale! » disse Giuseppe; e dovendo finire per quella sera stessa la scarpa che aveva lasciato sulle ginocchia, riprese il lavoro.
Rosaria prese la lettera e, dopo avere indugiato alquanto, disse: « Ora vado dalla mamma ».
« Va » rispose Giuseppe; e infatti Rosaria uscì dalla porta per andare a dare notizia della lettera ai genitori e alle sorelle; consegnò la lettera ad Agata, che sapeva leggere, e ridendo annunziò: « Pure a noi ci vuole li! ».
« Stanno bene? » domandò il padre, che non aveva capito le parole della figlia.
« Si, stanno bene! » rispose Agata.
« Cosa vuole Filippo ? » domandò la madre.
« Aspettate che vi legga la lettera; vediamo cosa dice », propose Agata; e a voce alta chiamò Peppina ch'era a conversare più in lá, fuori della casa, colla figlia dei Crispini, quella che doveva sposare.
Il contenuto della lettera suscitò uno straordinario entusiamo in Agata. «È la vostra fortuna; e state a pensarvela? » disse.
((Si vede — aggiunse Peppina — che li si sta tanto bene che in coscienza non può [...]

[...]a tanto bene che in coscienza non può fare a meno di non insistere che ci andiate... ».
« Vorrei essere al vostro posto e andarmene da stasera stessa! » dichiarò Agata; e pensava al fatto ch'era rimasta zitella, mentre se fosse andata altrove, avrebbe trovato marito. Che almeno avesse fortuna la sorella, e da lontano si ricordasse di loro, con due vecchi in casa che avevano bisogno di tante cure, e mandasse qualcosa, come facevano i fratelli!
«Pure tu vorresti lasciarci, figlia mia? » disse soltanto la madre;
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ma le sue parole caddero nel vuoto; esse non furono intese o capite dalle figlie, tentate, dopo quella lettera, dall'idea del viaggio in paesi lontani.
Il padre, invece, non pareva rammaricarsi al pensiero che avrebbe potuto perdere la figlia maggiore: pensava egli, ch'era tanto vecchio, che avrebbe fatto sempre a tempo a rivederla, al ritorno? Disse semplicemente: «Quando io ero giovane, non si facevano tanti viaggi, nessuno si muoveva; dopo, hanno incominciato a partire, hanno fatto ricchezze, ma molti hanno p[...]

[...]liel'ho detto a Rosaria : ti pentirai! » disse la donna.
« Certo bisogna pensare seriamente. Intanto aspettiamo cosa scrivono sia Filippo che Antonio. Di Antonio é parecchio che non abbiamo notizie » rispose Giuseppe.
Arrivarono le lettere dei due cognati, ed entrambe ripetevano la stessa cosa; per i denari del viaggio non occorreva che Giuseppe si preoccupasse; quanto al posto del lavoro Giuseppe o avrebbe continuato a lavorare da calzolaio oppure sarebbe andato con Filippo a lavorare nella costruzione della diga sul Nilo.
Tuttavia Giuseppe per il momento non decise niente; però é strano che la bambina, scrivendo a scuola un tema dato dalla maestra e che riguardava una lettera a un parente lontano, dichiarasse che presto sarebbe partita colla famiglia per andare in Egitto a raggiungere gli zii.
La vecchia madre era contraria : tanto é vero che una volta disse
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a Giuseppe, mentre era presente Rosaria, nella casa del padre: « Se andate, io non vi vedrò più! ».
« Macché, ci rivedremo presto! » rispose Giuseppe, d'acc[...]

[...]to diverse da non riconoscerle piú? La moglie, soprattutto, che aveva già tanti capelli bianchi, era all'inizio del tramonto: quel resto di giovinezza come avrebbe fatto ad abbandonarlo, quel po' di gioia e di pace, prima dell'immancabile vecchiezza ?
Inoltre i fratelli avevano scritto, assicurando ogni aiuto e comodità per la loro sistemazione: Giuseppe colla sua famiglia si sarebbe potuto allogare nella stessa casa di Filippo, molto grande, oppure in quella di Antonio, che abitavano nello stesso palazzo e avevano le porte di fronte; la vita costava poco: legumi ed ortaggi se ne avevano quanto se ne avesse voluto; e per le bambine datteri in quantità, banane dolci come il miele, e zucchero da succhiare nella canna, che si sarebbero fatte grasse come una palla.
«Io ti accompagnerò »! aveva detto la moglie; e nell'entusiasmo del viaggio, né i genitori e i parenti, né le vicine o il paese che avrebbe dovuto lasciare, si presentavano alla sua mente: solo l'Egitto lontano, dai vaghi contorni come un paese di fiaba, dove vi erano le palme de[...]

[...]stessa giornata, guidati dall'agente, dei viaggi, s'incamminarono verso la nave che doveva portarli via. Una nuvola sembra la nave, tanto è grande. E su di essa, circondati da una folla che uguale solo nella festa di S. Francesco si vide al paese, salgono, confusi e distratti.
Avanti andava Giuseppe, colle due valigie per mano; dietro lo seguiva Rosaria che aveva poggiato sul petto il sacco di biancheria, e per mano la figliuola piccola, tenuta pure all'altro lato da Ernesta, che la guidava.
Lidia, la piccola, distaccò la mano dalla madre, e al suo posto Ernesta vi mise la sua; Rosaria, dopo un momento di sosta, riprende il cammino dietro il marito. Stringe la mano alla figliuola e non sente
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quella della piccola; si volta, e grida: « Dov'è la bambina? » Non vedendo la piccina, chiama: «Giuseppe! Giuseppe! ». Mentre il padre, con tutte le due valigie, fermatosi di colpo, grida con voce angosciata: «Lidia! Lidia! Lidia! ».
«Abbiamo perduta la bambina! Disgrazia mia! Sventura! » in voca la donna, piangendo. Giusepp[...]

[...]unghe, il fazzoletto celeste al capo, contrastava con gli abiti cittadini di Matilde e Vanda, tutte d'un pezzo e di taglio corto fin sotto al ginocchio.
Si disposero nella carrozza accatastandosi gli uni sugli altri; Filippo, ch'era il più giovane rideva nei suoi occhi buoni anche quando le labbra non si muovevano al sorriso; Antonio sembrava più freddo e riservato. Entrambi vestivano bene, con abiti grigi, nuovi, mentre l'abito di Giuseppe, se pure nuovo, rivelava in pieno la povertà di chi lo indossava.
«E avete fatto buon viaggio?» domandarono le cognate.
«Non tanto! » rispose Rosaria.
«Non ce ne parlate del viaggio! Vi dire. poi cosa ci é capitato! » esclamò Giuseppe.
ic Che cosa? Che cosa? » chiese Antonio, e per la curiosità il suo viso si rianimava.
Fu raccontato a pezzi e a frammenti il dolore per lo smarrimento della bambina; e poi arrivati a casa, davanti al tavolo dove Matilde offri il tè coi biscotti, fu ancora ripetuta la storia con maggiori chiarimenti. Nell'attenzione con cui António ascoltava, si capiva che era altre[...]

[...]. « Come sono eleganti! » si disse; e le segui collo sguardo dalla finestra fino a che si perdettero nella folla.
Rimasta sola, Rosaria non fece che curare le bambine e parlare con esse. A mezzogiorno mangiò pane e formaggio. Nel pomeriggio ritornarono le cognate, e poi i fratelli col marito.
A costui domandò: «Avete fatto buoni affari? »
« Si, mi sono deciso di lavorare al laboratorio di calzature, consigliato da Antonio. È meglio per me, se pure guadagno meno. Ma è il mio mestiere. Avrei potuto lavorare con Antonio e Filippo alla diga, ma io ho temuto di non sapermici adattare » rispose Giuseppe.
« Per questo no. Non lo devi dire. Noi non ci siamo adattati? » disse Antonio:
« E lui specialmente non aveva fatto mai lavori pesanti » aggiunse Filippo.
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Rosaria allora notò la corporatura dei fratelli ingrossata da quando erano partiti dal paese. Antonio specialmente era invecchiato, con tutti i capelli grigi, più grosso di Filippo ch'era il fratello minore.
« È che da principio non avrei potuto fare altro che il man[...]

[...]ro, ché io pulisco la carne ».
«Voi come lo fate? Noi lo facciamo così» disse Rosaria, timidamente.
« No, é bene mettere un po' di prosciutto e di origano ».
« Si, si » s'affrettò a rispondere Rosaria.
Giuseppe, in un canto del tavolo, scriveva ai parenti e agli amici. L'onda dei ricordi del suo paese lo commuoveva. « Cosa vuoi che dica ai tuoi? » chiese, serio serio, a Rosaria.
« Che stiamo bene, che li pensiamo, che io sono contenta. Puoi pure dire il fatto della bambina : tanto, ormai é passato... ».
Stava in faccende nella cucina e andava di qua e di là, senza sapersi orientare: temeva di recare disturbo, si confondeva, poiché non era abituata a tante comodità e tante raffinatezze.
« Quando sarete pratica della vita di città, allora vi potrete impiegare pure voi » progettò Matilde.
« Oh no! io non saprò mai imparare! ».
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Entrò, poco dopo, Vanda con un piatto di lenticchie che portava in regalo a tutti.
Matilde spiegò : « Ci soliamo scambiare i cibi, a volte ».
« Qui bisogna lavorare! » disse Vanda a Rosaria. « Dovrete rendervi utile! ». E rise scherzando : « Da domattina andremo a fare la spesa insieme, e poi andrete sola, poiché noi dobbiamo correre al lavoro... ». Rosaria tremò di timidezza.
« E alla sera vogliamo divertirci! » esclamò Matilde. E poi, rivolta al marito: « Abbiamo diritto o no, Filippo, dopo avere lavo[...]

[...] premura delle bambine, e diceva : « Pensiamo sempre a tutti voi e più alle bambine e non ce le possiamo dimenticare. Lidia, ti ricordi di zia Agata, e di zia Peppina e del nonno e della nonna? E tu Ernestina mia, vai a scuola? Ti porti bene? Mi scriverai una lettera lunga lunga? ».
Giuseppe notò che di tutti quelli ai quale aveva scritto, o a nome
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suo o della moglie, solo alcuni avevano risposto. Fra gli altri aveva taciuto pure Luigi, il pescatore, col quale sempre era stato tanto amico. Se la cosa avesse potuto succedere quando egli era al paese, si sarebbe offeso. Ma qui veramente, con tante miglia di mare, tutto era diverso, una dolce fantasticheria avvolgeva nella lontananza amici e conoscenti. Sentiva dispiacere, si, Giuseppe a vedersi dimenticato, ma non lo dava a vedere, e di quanti aveva conosciuto, lungamente parlava con Filippo e con Antonio che gliene domandavano.
La vita del paese risorgeva nella sua mente e in quella di coloro che lo ascoltavano, mentre il grammofono nella bella stanza da pranzo di Fil[...]

[...]el Ramadan con fracassi di fanfare, funzioni religiose, pranzi ed eccessi di ogni genere, che Giuseppe era andato a vedere colla moglie per farsi un'idea, quando, nel laboratorio, presente un lavorante arabo di cui egli non si era accorto, cominciò a scherzare sugli usi del luogo. L'arabo, credendosi beffato, si scagliò infuriato contro Giuseppe e lo prese alla gola. I compagni li divisero; altrimenti Giuseppe, finita la sorpresa, avrebbe potuto pure bucargli le budella col trincetto.
Riferita la cosa ai cognati, costoro risposero : « Sono fetenti; bisogna guardarsi, perché non ragionano, specialmente se toccati nella loro religione.
« Ma io non volevo offendere nessuno! » rispose Giuseppe.
« Non hai dunque capito come sono e che s'infiammano per niente? » ribatté Antonio.
In seguito a ciò Giuseppe si decise di andare a lavorare alla diga, in qualità di aiutante muratore; già era incominciato il forte calore dell'estate, e le sofferenze di Giuseppe, non abituato, erano grandi. E dopo tanti anni di lavoro da calzolaio, una nuova attivi[...]

[...]alla diga, in qualità di aiutante muratore; già era incominciato il forte calore dell'estate, e le sofferenze di Giuseppe, non abituato, erano grandi. E dopo tanti anni di lavoro da calzolaio, una nuova attività si iniziava per lui, di cui le conseguenze il Signore solo poteva sapere quali sarebbero state.
I guadagni ora erano davvero elevati: con essi era possibile non solo vivere bene nella famiglia e permettersi tutte le comodità, ma mettere pure facilmente da parte qualche cosa. Rosaria mandò ai genitori, al pari dei fratelli, il suo regolare assegno mensile.
La salute di Lidia, al solito, diede da pensare; prima furono febbri viscerali, poi una forma di tifo con febbri alte ed estrema debolezza. Furono giorni amari quelli: la vita della loro più piccola figliuola era in pericolo.
Naturalmente anche gli zii e le zie trepidarono per lei; ma la
IL GRANDE VIAGGIO 113
malattia durava a Iungo, spesso vi era agitazione in casa durante la notte. Come pensare che essi non si dovessero infastidire, sia pure lievemente, di tanti disagi?
A[...]

[...]e.
La salute di Lidia, al solito, diede da pensare; prima furono febbri viscerali, poi una forma di tifo con febbri alte ed estrema debolezza. Furono giorni amari quelli: la vita della loro più piccola figliuola era in pericolo.
Naturalmente anche gli zii e le zie trepidarono per lei; ma la
IL GRANDE VIAGGIO 113
malattia durava a Iungo, spesso vi era agitazione in casa durante la notte. Come pensare che essi non si dovessero infastidire, sia pure lievemente, di tanti disagi?
Alfine Lidia guarì; le caddero tutti i bei capelli ricciuti che aveva; ma il medico disse che dipendeva dalla malattia e che le sarebbero ritornati. Rosaria sognava già il ritorno al paese, dove l'aria buona del luogo natio non avrebbe fatto ammalare nessuno. Filippo ammoniva che non bisogna fissarsi e che le malattie possono colpire dovunque. Antonio insisteva che prima bisognava considerare in che condizione si trovasse il portafoglio : e dello stesso pensiero era Giuseppe.
Dal paese zia Agata a nome di tutti chiedeva quando ritornassero; diceva che essa ardev[...]

[...]nio insisteva che prima bisognava considerare in che condizione si trovasse il portafoglio : e dello stesso pensiero era Giuseppe.
Dal paese zia Agata a nome di tutti chiedeva quando ritornassero; diceva che essa ardeva dal desiderio di rivederli, e che oramai le bambine dovevano essere grandi. Non solo un anno, ma due erano passati e il terzo stava per finire. E dunque? Le promesse così si mantenevano?
D'altronde, perché non sarebbero partiti pure Filippo e Antonio colle loro mogli, per una breve permanenza al paese, se proprio non avessero voluto rimanervi per sempre, come ella consigliava?
Ma dire una cosa é più facile che farla e il progettare viaggi più semplice del realizzarli: per quanto Egitto fosse, le necessità della vita imponevano a tutti non poche restrizioni; e una di queste era di non poter correre di tanto in tanto a vedere i vecchi genitori e le sorelle al paese.
Si rimandava il viaggio come se quelli fossero sempre giovani e non dovessero mai morire; alla loro morte nessuno pensava; e meno di tutti forse la stessa Ro[...]

[...] cosa é più facile che farla e il progettare viaggi più semplice del realizzarli: per quanto Egitto fosse, le necessità della vita imponevano a tutti non poche restrizioni; e una di queste era di non poter correre di tanto in tanto a vedere i vecchi genitori e le sorelle al paese.
Si rimandava il viaggio come se quelli fossero sempre giovani e non dovessero mai morire; alla loro morte nessuno pensava; e meno di tutti forse la stessa Rosaria che pure qualche anno prima aveva potuto vedere quanto fossero cadenti.
Agata, da lontano, non aveva fatto capire niente, forse per non allarmare senza necessità. Ma così fu che improvvisa e tragica arrivò un giorno la notizia della morte della povera mamma, avvenuta per polmonite presa non si sa come e durata appena tre giorni.
« La povera mamma nostra — diceva la lettera — non é più e io non so come confortarmi, l'avevo sempre attorno a me e ora non la vedo più; e il padre é rimasto tanto male che non è capace più di parlare, e voi che avreste potuto darmi un po' di conforto siete lontani, e non a[...]

[...]tto; e solo qualche amico andava a vederli. Passarono tre giorni; e poi tornarono di nuovo, mestamente, al loro quotidiano lavoro.
Si cominciò a parlare nuovamente e più di proposito dei preparativi da fare per il ritorno; già era venuta la primavera, il caldo si faceva sentire e fra breve avrebbe imperversato come una tempesta di fuoco. Gli uccelli erano fuggiti e più non si vedevano dai giardini solcare il cielo verso le grondaie delle case. «Pure l'estate faremo? » domandava Rosaria al marito.
Questi rispondeva: «Come fare altrimenti? Se non aggiusteremo almeno cinquemila lire? ».
Interveniva Antonio e garentiva le parole di Giuseppe. «Bisogna essere ragionevoli. Ormai che ci siete, aspettate almeno qualche altro
IL GRANDE VIAGGIO 115
po' di tempo. Dopo, magari, verrei io con voi a vedere il padre... ».
Filippo a sua volta diceva : « Io certamente verrò con voi. Voglio vederlo il padre, non intendo rimandare tanto che poi non faccia a tempo, e mi succeda come per la mamma che non l'ho potuta abbracciare piú... ».
Rosaria piangev[...]

[...]e poi avrete il piacere di ritornare a casa vostra... ».
Matilde da sola continuava : « E non ci vedremo più qui al Cairo ? Giacché io verrò di tanto in tanto al vostro paese... ».
« Verremo, verremo! » prometteva Vanda.
Rosaria non rispondeva, ma sorrideva, perduta nel sogno del suo paese natale.
« Ella non si é mai adattata alla vita del Cairo! » dichiarava Antonio.
« Non so perché non ti è mai piaciuto. l'Egitto » continuava Filippo. « Eppure non sei stata ammalata, altro che un po' agli occhi, e la bambina ha avuto qualche febbre... ».
« Febbre me la chiami? Stava per morire, povera piccina mia! » rispondeva Rosaria.
« Si, ormai é stabilito. Col lavoro straordinario che farò, sarò in grado di raggranellare presto i soldi che ci vogliono per le cinquemila lire! » assicurava Giuseppe.
Rientrava in quel momento dalla casa di una compagna di scuola, Ernesta; e quasi prima della sua aggraziata persona si avverti la sua voce squillante di bambina felice.
« E questa qui non ce la lasciate ancora per qualche po' di tempo, dopo che sa[...]

[...]tuna ci aiuterà, come speriamo... ».
Nessuno più parlò della proposta, e solo i preparativi per la partenza da fare fra molti mesi furono discussi, come se si dovesse farla tra poco. Giuseppe chiese ed ottenne di lavorare due ore di più, per avere maggiore guadagno. Per la prima volta si assoggettò ad un'estenuante fatica, con un ardore di cui nessuno forse l'avrebbe creduto capace. Si stancava, nei mesi terribili dell'estate che sopravvenne, e pure resisteva.
Anche lui sognava il paese natio, gli amici, i parenti, la vita semplice di una volta; non aveva piú genitori, e pensava al vecchio fabbro Felice come a suo padre.
Sebastiano Ricci e altri amici gli scrivevano che si stava meglio di prima, che vi erano costruzioni nuove e che l'ingegnere Talco aveva bisogno di operai scelti e di assistenti. Non sarebbe stato necessario tornare al lavoro di calzolaio : una sistemazione, magari come impiegato, nel campo dei lavori edilizi, sarebbe stata la cosa più semplice di questo mondo.
In tal caso sarebbero potuti ritornare anche i cognati, s[...]

[...]anto lei esclama : « Come sei cresciuta, che non mi debbo più chinare per baciarti! ». E la bacia e sorride, pur con le lagrime agli occhi, pensando alla mamma, mentre dice alla piccola Lidia : « Tu proprio mi sembri Ernesta quando era più piccola. Ma perché così sciupata? Ti ha fatto forse male il viaggio? ».
Peppina sorride vergognosa, tenendo per mano il cognato, e introducendo tutti nella casa. Dentro c'é il padre che non sta tanto bene;
e pure si solleva dalla sedia, dov'era a riposare, e va all'incontro.
E Rosaria lo vide così come si alzava, che pareva una tavola liscia
appoggiata alla sedia, tanto era magro; e il cuore le cadde di angoscia
nel vederlo a quel modo.
« Come state padre? » domanda; e tutti con lei.
IL GRANDE VIAGGIO 119
11 « Eh, sono stato ammalato, ancora non sono uscito sulla porta, meno male che ti ho vista! » dice alla figlia.
Agata spiega che il padre ebbe l'influenza e stava per morire; ma poi si risollevò, e ora stava meglio. Ma fu tanto grave, il medico l'aveva dato per perduto, e la sua urina era ros[...]

[...]no e altri amici avevano fatto credere.
Ora pareva che Giuseppe dovesse ricevere una buona offerta, un momento dopo gli arrivava la smentita. Altri concorrenti si erano presentati e lo avevano scavalcato; ed egli che conosceva da artigiano solo la vita nel borgo, dove un pane mai era mancato per nessuno e dove chi voleva trovava subito da lavorare, si meravigliava che nel paese e tra le persone civili le cose fossero tanto diverse.
Gli nuoceva pure il fatto che sempre era stato calzolaio nel borgo,
e che tutti lo conoscessero per tale: gli mancava l'aria intraprendente
e rumorosa di chi avrebbe dovuto, nell'impiego, comandare su altri uomini; né certo egli era in grado di fare il ragioniere. Denari non aveva portato a sufficienza per fare dimenticare la sua origine, astuzia
e disinvoltura gli facevano difetto.
E poi, a trascurare quanto poteva riguardarlo in particolare, si era sempre in Italia: se le condizioni del paese erano molto migliorate da quando Filippo e Antonio lo avevano lasciato, esse non erano mutate dopo la partenza d[...]

[...]e lui fosse il colpevole, come se la sua stessa paternità fosse misera e difettosa.
Aspettava che se ne andassero, in silenzio; ed usciti, si sfogava nell'intimità della famiglia : « Io mai ho mancato verso nessuno! » esclamava.
La moglie continuava a lamentarsi in delirio; bisognava calmarla,
IL GRANDE VIAGGIO 125
fare qualcosa per lei, non farla morire. Gli affari del suo impiego urgevano, Giuseppe non poteva più ritardare a non uscire.
Eppure, in mezzo alle sue maggiori distrazioni, Giuseppe afferrò per primo l'immensità della sua sventura. Egli capi presto, abbastanza presto, quello che significava la morte della bambina, il non averla più con sé, il non poterla giammai vedere, il non poter pensare che qua, in questa vita, o li, nel cielo, esistesse. La nera morte fu visibile per lui; essa gli strozzò il pianto in gola, essa gli tolse l'aria del suo respiro.
Quando dopo alquanti giorni usci, ognuno poteva vedere il suo volto calmo, reso disfatto dal dolore, la sua aria irreparabilmente triste, la sua figura curva, il suo occhio [...]

[...]esta vita, o li, nel cielo, esistesse. La nera morte fu visibile per lui; essa gli strozzò il pianto in gola, essa gli tolse l'aria del suo respiro.
Quando dopo alquanti giorni usci, ognuno poteva vedere il suo volto calmo, reso disfatto dal dolore, la sua aria irreparabilmente triste, la sua figura curva, il suo occhio sbigottito che si fissava in un pensiero suo pur nel mezzo della conversazione. Egli già era un uomo che aveva coscienza e che pure doveva occuparsi di questo e di quello, un uomo che doveva penare per guadagnarsi il pane.
A casa doveva badare a tante cose: non poteva pretendere che tu n) facessero le sorelle per l'incapacità in cui era caduta la madre; già essa soggiogata dal dolore che non cápiva, che si sforzava invano di capire, era diventata assente quasi alle necessità della vita, debole e smarrita.
Non aveva ormai più la forza nemmeno di piangere e lamentarsi: i suoi occhi, da cui erano uscite a torrenti le lagrime, s'erano inariditi, la sua voce che aveva lacerato il cuore di chi l'aveva ascoltata, non sapeva ne[...]

[...]gioramento della situazione.
Aveva ben cura Giuseppe di non portare le caramelle e i cioccolatini ad Ernestina, sentendosi pungere il cuore dalla domanda di lei:
132 MARIO LA CAVA
« Papà come mai non porti più nulla per me? ». Non per questo il bilancio della famiglia migliorava e il futuro non era visto con timore.
Finiti i lavori della chiesa, segui un lungo periodo di sosta, nel quale l'appaltatore Arta non intese pagargli di stipendio neppure un centesimo. Giuseppe fu costretto ad offrire i suoi servigi all'ingegnere Pappalone che già altra volta gli aveva detto di non avere bisogno di lui. Ora era evidente che dovesse avere bisogno di qualcuno, poiché l'assistente che aveva era partito. Ma l'ingegnere Pappalone rispose che non lo poteva proprio accontentare. Fra sé pensava: « Dovrei proprio io assumere uno che ha lavorato con una ditta screditata? 'Perché portasse anche me al fallimento? ». E trovava altro dipendente ritenuto migliore.
Si rivolgeva allora Giuseppe al commerciante Carabino che aveva anche una vasta proprietà fond[...]

[...]talia era completamente scomparsa.
IL GRANDE VIAGGIO 133
Ma come fare per andare? E chi avrebbe convinto Rosaria? E come avrebbe confortato se stesso che per la prima volta si sarebbe dovuto separare dai suoi?
Pensava a Rosaria, dimagrita dopo la disgrazia, con tante rughe in faccia da non riconoscersi piú. Ecco, la sua gioventù era per sempre finita. Non più il suo cuore palpitava di amore, non più si rivolgeva al marito come al suo uomo.
E pure Giuseppe, con un dente di sopra mancante, stanco per i dispiaceri e le preoccupazioni, cos'era più del giovane uomo di un tempo? La vita aveva perduto per lui ogni attrattiva. Non l'avidità di ricchezze o lo spirito d'avventura lo spingeva verso i più lontani paesi, ma la necessità del pane quotidiano.
E per questo avrebbe dovuto lasciare una povera donna da cui mai si era allontanato, per questo avrebbe dovuto strapparsi dalle braccia dell'unica figliuola rimastagli, quella figliuola diventata giovinetta e che forse avrebbe rivisto un giorno del tutto diversa, sposa di un altro!
Non l'avre[...]



da Massimo Mila, L'antico e il progresso nel carteggio tra Verdi e Boito in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]onsentito le fotocopie all’istituto di studi verdiani. In tutto, 301 lettere, distribuite nell’arco esatto dell’ultimo ventennio dell’Ottocento, e attestanti la collaborazione artistica che produsse l'Otello e il Falstaff, nonché il rifacimento del Simon Boccanegra. Le ultime trattano diffusamente dei Quattro pezzi sacri, per la cui esecuzione, prima a Parigi, poi a Milano e altrove, Boito si batté insistentemente contro la riluttanza e, diciamo pure, la musoneria dell’ottuagenario maestro.

E restava, infine, da trovare i fondi per la costosa pubblicazione. Questa fu resa possibile grazie all’assegnazione all’istituto d’uno dei Premi Mattioli, elargiti dalla Banca commerciale italiana, su proposta congiunta dell’economista Sergio Steve e dello storico Franco Venturi, sobillati con molesta insistenza da chi scrive questo articolo. Ecco dunque riunite 176 lettere di Verdi; in numero un po’ minore quelle di Boito. Ci sono tutte? No, e nella prefazione di Mario Medici si citano casi evidenti di lettere che « dovevano » esserci, ma che sono[...]

[...]a sottigliezza delle sue argomentazioni per non contribuire di tasca propria a quello di Bellini, quindi ritorna sul telaio YOtello per una cinquantina di lettere, ma con una lunga interruzione, durante la quale il carteggio ovviamente si dirada, dalla fine d’agosto 1881 fino alla drammatica, ma benefica crisi dell’aprile 1884, quando Boito, a Napoli, anche qui in un banchetto d’artisti, s’era forse lasciato scappare qualche parola imprudente, oppure era stato frainteso dal corrispondente del giornale « Roma », che gli attribuì il rammarico di non poter musicare lui stesso il Jago. Verdi, venutone a conoscenza, incaricò Franco Faccio di dire a Boito « che io, senz’ombra di risentimento, senza rancore di sorta gli rendo intatto il suo manoscritto. Più ancora, essendo quel libretto di mia proprietà, glielo offro in dono qualora egli intenda musicarlo » (note alla Lettera 46).

La lunga e un po’ contorta lettera di scuse che Boito gli rivolse è documento commovente della sua devozione. Assicura il maestro d’avere scritto questo libretto « [...]

[...]terne. Quando lavora, la sua applicazione è feroce, tale quale come negli « anni di galera ». Boito nel’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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era impressionato: « Giulio mi disse che Lei aveva già quasi terminato lo strumentale del i Atto!! Badi di non affaticarsi troppo. Il tempo non le manca » (Lettera 79).

Il disgelo avvenne verso la fine dell’anno. Il 9 dicembre, da Genova, Verdi annuncia: « Pare impossibile, ma pure è vero!!! Mah!!!! M’occupo, e scrivo!!... senza pensare al poi... anzi con decisa avversione al poi. Sentite dunque (...) avrei bisogno di quattro versi per ciascuno a parte » (Lettera 53).

Ci fu ancora un’interruzione nell’estate seguente. Verdi si era trasferito a Sant’Agata verso la fine d’aprile, e il 10 settembre 1885 scriveva: «Da che sono qui (ho rossore a dirlo) non ho fatto nulla! Un po’ la campagna, i bagni, il caldo eccessivo e... diciamolo pure, la mia inimmaginabile poltroneria hanno posto ostacolo» (Lettera 59). Ma neanche un mese dopo poteva annunciare: « Ho finito il Quart’[...]

[...] Mah!!!! M’occupo, e scrivo!!... senza pensare al poi... anzi con decisa avversione al poi. Sentite dunque (...) avrei bisogno di quattro versi per ciascuno a parte » (Lettera 53).

Ci fu ancora un’interruzione nell’estate seguente. Verdi si era trasferito a Sant’Agata verso la fine d’aprile, e il 10 settembre 1885 scriveva: «Da che sono qui (ho rossore a dirlo) non ho fatto nulla! Un po’ la campagna, i bagni, il caldo eccessivo e... diciamolo pure, la mia inimmaginabile poltroneria hanno posto ostacolo» (Lettera 59). Ma neanche un mese dopo poteva annunciare: « Ho finito il Quart’Atto e respiro! » (Lettera 60). (Era andato avanti con l’ultimo Atto, saltando sul tormentatissimo terzo.) La composizione non s’interruppe più (« Io non ho finito l’Opera », Lettera 71, 21 gennaio 1886; « Io vado avanti molto lentamente, ma vado », Lettera 74, 8 maggio), fino al fatidico « È finito! » della Lettera 86, 1° novembre 1886. Le lettere ne accompagnano il progresso, con le lacune, ovviamente, delle visite di Boito, da Nervi a Genova nella stagione [...]

[...]simo terzo.) La composizione non s’interruppe più (« Io non ho finito l’Opera », Lettera 71, 21 gennaio 1886; « Io vado avanti molto lentamente, ma vado », Lettera 74, 8 maggio), fino al fatidico « È finito! » della Lettera 86, 1° novembre 1886. Le lettere ne accompagnano il progresso, con le lacune, ovviamente, delle visite di Boito, da Nervi a Genova nella stagione invernale, e da Milano a Sant’Agata nel resto dell’anno. Qualche volta accadeva pure che Verdi dovesse recarsi a Milano, ed allora s’intratteneva col suo eccezionale librettista.

Comincia con la Lettera 118 la storia del Falstaff. Una lettera scritta da Montecatini il 16 luglio 1889, che presuppone anch’essa, come già era avvenuto per YOtello, qualche antefatto. Boito doveva aver mandato al maestro uno schizzo dell’opera, quello che ai tempi del Piave Verdi chiamava la « selva », e questo schizzo si è perduto. A Sant’Agata non c’è. Il primo proposito era recentissimo, perché Verdi chiude questa lettera dicendo: « Questo Falstaff o Comari che era due giorni fà nel mondo dei[...]

[...]dopo ritornava già sull’argomento con una nuova lettera destinata ad esaurire formalmente le solite perplessità, i soliti se e ma, « Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensato alla cifra enorme dei miei anni? », e poi lo scrupolo che magari Boito, scrivendo Falstaff, dovesse « distrarre la mente » dal suo ormai mitico Nerone.

Ora come superare questi ostacoli?... Avete Voi una buona ragione da opporre alle mie? Lo desidero, ma non lo credo. Pure pensiamoci (e badate di non far nulla che possa nuocere alla vostra carriera) e se voi ne trovaste una per una parte, ed io la maniera di levarmi dalle spalle una diecina d’anni, allora... Che gioja! Poter dire al Pubblico: «Siamo qui ancora!! A noi!!» (Lettera 119).

Era chiaro che non chiedeva di meglio che d’essere contraddetto, e Boito lo intese a meraviglia. Due giorni dopo (a quei tempi le lettere viaggiavano con una prontezza incredibile) gli rispondeva tutto quello che lui desiderava sentire:

Non penso mai alla sua età né quando le parlo, né quando le scrivo, né quando lavoro per[...]

[...] finire vittoriosamente col Falstaff (Lettera 121).

Ci vollero tre anni perché Verdi potesse scrivere, il 20 settembre 1892: « Ho consegnato a Tito il terzo atto di Falstaff » (Lettera 200). La composizione si era svolta abbastanza lentamente, con frequenti soste non dovute, questa volta, ad altre occupazioni, come per l'Otello, ma per vera e propria stanchezza senile. « In quanto al pancione Ahi ahi!!! Non ho fatto nulla!! » (Lettera 154). Oppure: «Ho lavorato poco ma qualche cosa ho fatto » (Lettera 156). « Il pancione non va avanti. Sono sconcertato e distratto » (Lettera 159). Di « quattro mesi perduti » si parla in una lettera di Boito a Verdi (Lettera 162 e n.) e in una di Verdi a Ricordi, e sono i mesi che vanno dal novembre 1890 al marzo 1891,l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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quando Verdi, tra l’altro, aveva dovuto accompagnare la moglie a Milano perché si sottoponesse alle cure del prof. Todeschini. L’8 settembre 1891 Boito scrive tutto allegro: « Ho sentito dire che il Falstaff è terminato. Ev[...]

[...]dell’agitazione di Cassio. Tacciono Otello e Jago, ai quali resterà la fine dell’Atto, tutta inventata, quando la scena si sarà svuotata: furia e svenimento di Otello, bieco trionfo di Jago. « Ecco il Leone! ».

Il 2 dicembre 1880 Verdi applaudiva: « Ben trovato il Finale Terzo! Lo svenimento d’Otello mi piace più in questo Finale che nel posto dov’era prima ». Strano che aggiungesse: « Solo non trovo né sento il Pezzo d’insieme » (Lettera 5). Pure ci doveva già essere il concertato, cui Boito darà gli ultimi ritocchi dopo la parentesi del Boccanegra, mentre Verdi s’occupava a escogitare ingegnose soluzioni tipografiche per farlo stare tutto insieme nella stampa con tre colonne « in mezzo del libretto con le cuciture », in maniera che il pubblico « voltanto il foglio si troverebbe in faccia a tutta la Baraonda del Concertato » e potrebbe cosi « con un colpo d’occhio vedere e capir tutto » (Lettera 78).

Si potrebbe continuare a lungo a segnare i punti che l’uno o l’altro dei due giocatori mette a proprio vantaggio nel corso dell’ideaz[...]

[...]nziati sulla trama sonoranarrativapsicologica del lavoro.

Perciò si capisce la prontezza con cui fu accolta da Verdi la proposta del Falstaff, sapientemente architettata da Ricordi con la complicità di Boito. « Facciamo addunque Falstaff! Non pensiamo pel momento agli ostacoli, all’età, alle malattie! Desidero anch’io di conservare il più profondo segreto (...): nissuno deve saperne nulla! (...). Intanto Voi, se vi sentite in lena, cominciate pure a scrivere » (Lettera 122).

Nessun dubbio che in quest’opera la presenza di Boito sia stata più autorevole e minore la partecipazione di Verdi alla stesura del libretto, vuoi che Boito si fosse ormai totalmente immedesimato nella mentalità del compositore, vuoi che questi, per la grave età, cominciasse a mostrare minor lena, soprattutto in una operazione letteraria così complessa coL’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO

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m’era la mescolanza delle Allegre comari di Windsor con le altre apparizioni di Falstaff nei drammi storici shakespeariani.

Se Verdi individu[...]

[...]nterrompono il discorso principale: armonizzato correttamente... Che male c’è dumque [sic] s’è riuscito popolare?!!... E così si fa la critica! Poco male per me che ho finito, e poi io non ci bado come non vi ho badato mai: Ma è un male per i giovani che si possono facilmente trascinare a fare quello che non sentono di fare. Difatti tutta la musica che si fà ora sia da Noi, come in tutti gli altri paesi manca di naturalezza e non è sincera.

Eppure non era sempre così passatista. Subito dopo la prima rappresentazione volle apportare due varianti, sulle quali informano esaurientemente le note alla Lettera 203. Una era nel concertato del il Atto, che Verdi volle accorciare di 10 battute, lasciando molto perplessi Ricordi, Mascheroni e Boito. Singolarissima la motivazione, in una lettera a Ricordi del 7 marzo 1893: « in scena quello squarcio è lungo, ed ha troppo l’aria d’un pezzo concertato ». Ossia, d’una forma chiusa, magari rossiniana. Ecco un caso in cui Verdi aveva imparato bene la lezione boitiana.l’antico e il progresso nel carteg[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Vita sfortunata di Ziu Marrosu Gangas vecchio orgolese in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]to che sembrava che mai avessi visto da un anno almeno quella grazia di Dio. Poi un pezzetto di sigaro: e mi ho fatto una fumatina.

Intanto arrivano i miei compagni e ci siamo buttati addosso.

— Dammi due pecore — dico io — o ti ammazzo col coltello.

Quelli, a sentire la voce, si hanno preso più paura. Così ne abbiamo prese tutte e venti e le abbiamo vendute a certi di Napoli che viaggiano in Orgosolo per quel mestiere.

Mi è capitato pure di fare il fantasma nel paese.

Per un affare da fare contro certi pecorai di Oliena che ci avevano pecore in paese mi trovo solo una notte, vicino al Cimitero. Passa una donna e sento: — Oh! oh! oh!

— Che diavolo c’è?

— C’è il diavolo. C’è il diavolo qui — si mette a gridare.

Scappa via e non ho avuto il tempo di sparare.

Il giorno dopo tutti sapevano che c’era il diavolo in paese. È sortita una voce, in paese, che dura sino ad ora. Ed invece il diavolo, povero diavolo, non ero che io.

Ma anche questo non lo ho tralasciato e mi è servito per il mio mestiere.

Una volta sta[...]

[...]n poco. C*è anche un mio parente, tale, là dove siete?

— Altro che! Ma si vede poco.

Allora, per la contentezza, si è dimenticato di paura e ci ha dato due o tre pezze di formaggio, che avevamo chieste.

Poi si è chiuso. E si è messo anche a pregare.

Andiamo a un terzo e gli diciamo:

— Siamo i morti.

— Beh — dice un altro — lo sapete allora il Pater noster? Dite quattro Ave e preparatevi a morire.

— Per la mia anima?

— Sì. Pure per la vostra.

— Io sono analfabeta. Non le so dire. Non le so dire.

— Allora, per penitenza, dateci due salami e una pelle pecorina.

Ce le ha date e tremando tutto tutto.INCHIESTA SU ORGOSOLO 105

Andiamo in casa di una donna:

— Dov’è vostro marito?

— È sortito con le pecore.

— Noi siamo morti e lo veniamo a prendere.

— Bene, bene — dice la donna. — Ora vi faccio il caffè.

Ci dà due sigari ma poi, pensando, si mette tutta a tremare.

Faceva l’alba e allora ce ne abbiamo fuggiti. In tutta Orgosolo il giorno dopo si è parlato di questi morti. Che mangiano pure i mo[...]

[...]

Ce le ha date e tremando tutto tutto.INCHIESTA SU ORGOSOLO 105

Andiamo in casa di una donna:

— Dov’è vostro marito?

— È sortito con le pecore.

— Noi siamo morti e lo veniamo a prendere.

— Bene, bene — dice la donna. — Ora vi faccio il caffè.

Ci dà due sigari ma poi, pensando, si mette tutta a tremare.

Faceva l’alba e allora ce ne abbiamo fuggiti. In tutta Orgosolo il giorno dopo si è parlato di questi morti. Che mangiano pure i morti. E si parla ora.

Questa paura dei pastori ci serviva proprio assai.

Andiamo un giorno in quel di Fonni ed io ho detto a certi amici:

— Andiamo, andiamo! Ora i pastori li impauriamo e vedrete quante pecore.

Troviamo una testa di cavallo morto e ci metto dentro agli occhi due lumini. Li accendo e metto la testa su una pertica.

Allora siamo andati e cantavamo tutti insieme:

In cantu erabamus vivos andammos rio rios Como che semos mortos andamos per sos ortos (*).

I pastori se ne sono scappati a gambe all’aria e noi ci abbiamo preso 5 o 6 pecore, ma di quelle buone!
[...]

[...]ci!

— Andate, andate. E arrangiatevi.

11 giorno dopo vengo a sapere che la crapa risultava rubata ad un mio amico. Di Orani. Vado alPamico, e dico: — Sapete. C’è la possibilità di riavere la bestia. Bisognerebbe, però, pagare tanto.

— Bene, bene — dice. — Vale di più. Sei proprio un amico.

Vado a trovare quei due gaglioffi e faccio minacce. Il giorno dopo

che Thanno rubata si ritrova la crapa. Io mi ho preso i soldi. E gli ho dato pure 5 lire a quei ladracci.

Ne ho passate di brutte in quegli anni e, per quanto specialista in pecore, ho visto anche sotto i miei occhi ammazzare una donna. Come capra. Si chiamava Podda Battonia, una bella donna. Deceduta il 1899.

Un giorno che ero ad Orgosolo e camminavo nel paese, trovo il marito di questa donna e mi metto a trattare di certi furtarelli di pecore. Mi occorreva di qualche cosa — non so bene che — e dice che posso andare a casa sua a prenderlo subito. A quelPora vado a trovarlo, lui e la moglie, e in quel frattempo vedo una testa di uomo alzato dietro il muro di cinta, a[...]

[...], trovo il marito di questa donna e mi metto a trattare di certi furtarelli di pecore. Mi occorreva di qualche cosa — non so bene che — e dice che posso andare a casa sua a prenderlo subito. A quelPora vado a trovarlo, lui e la moglie, e in quel frattempo vedo una testa di uomo alzato dietro il muro di cinta, alle spalle. Torno a guardare e la testa mi fa segno di star zitto. Intanto il marito e la moglie si erano messi un po’ a camminare. Ed io pure. Cerco di fare segni e di mettermi almeno tra quei due. Intanto l’uomo nascosto era andato avanti dietro il muro, e tira di nuovo la . testa ed un pugnale pecorino. Io son scappato e faccio appena due passi. Accidenti: un grido di dolore!INCHIESTA SU ORGOSOLO 107

»

— Che c’è? Che c’è?

— Hanno ammazzato zia Battonia.

II marito fa il mio nome ed il maresciallo mi voleva accusare. Gli ho detto tutti i fatti: — Così e così. Non credeva.

— C’era un uomo.

— Quell’uomo sarai te.

10 mi interesso solo di pecore, non di omicidi. E quel colpo dato non era di pecoraio, era di caprai[...]

[...]ti, o anche per gusto, lo ho sempre fatto. Non mi sbaglio contro di loro, perché lo ho provato su me stesso.

Una volta tornavo a casa, un poco ubriaco. Trovo due carabinieri. Uno era un certo Crapoledda di Putomajore. Mi sono messo a parte.

— Fermati!

L’altro carabiniere se ne è andato.

— Oh, sei tu, Ganga — dice Crapoledda. — Andiamo. Qui ci vogliono due maiali. Andiamo a rubarli insieme.

— Guarda, Crapoledda, che non mi inganni. Pure io ci ho la mia parte.

Quanto era buono, porca madonna!

Subito l’ho preso. Siamo andati e, con queste braccia, gli colgo due maiali. Li portiamo a casa: li abbiamo ammazzati e li puliamo bene bene.

La mattina viene Crapoledda e mi chiede: — Dammi il maiale.

— E la mia parte?

— No — dice Crapoledda. — Se no ti arresto. Tieniti le zampe!

11 maialese lo ha fatto imbarcare a casa sua.

Quel brigadiere, così e così, mi dice un giorno: —1 Vedete. Se mi portate ancora in casa un maiale ve lo pago.

— Sentite — gli dico io. — Non mi ingannate.

— No. No.

— Beh, ce ne ho uno[...]

[...]i sei tu?

— Io sono Satanasso.

— O, tu sei Piraele, mio paesano.

— Stai zitto, stai zitto.

E quello: — Ti sparo — e ha preso il fucile.

— No, no. Per pietà. Non sparare. Io sono Piraele. Ma lasciami vivere, guadagnarmi il pane. Sono un povero diavolo.

Quello lo ha lasciato e si è messo davvero in mezzo Satana. Perché ne hanno mandato così più di uno alla rovina. Un pastore di Fonni si è venduto sino all’ultimo pelo di pecora, e pure la casa.

Le cose non mi andavano più bene. E intanto gli anni passavano. Decido così di andare all’America, e questa volta con certi sardi che pensavano a tutto per le carte e per il resto.

Il 1910 parto e il viaggio — Gesù — dura 15 o 16 giorni.

Arriviamo a un porto e c’era una isoletta con tanti tavoli per bere il vino. Finalmente.

Arrivo in America, del Sud, e sono stato a Buenos Aires, Cordova, Santu Agustinu, Toccumannu.

Sempre lavorando: alle ferrovie a cottimo, alla campagna a prelevare erbe cattive. Che vita, insomma! Tutto era brutto.

Il 1913 me ne sono tornato ad O[...]

[...]nvece di formaggio, mi ho fatto rotolare in tasca i soldi di una majarda. Anche qui, come in Sardegna, trovo una majarda, ossia strega. Beveva e beveva. Sarvenas. Dice che sapeva tutto. E teneva tanti soldi. Vado da lei. Sto a sentirla un poco e poi vedo sul tavolo una carta di 500 pezze. Tiro 5 pezze e dico di cambiarle. Quella si volta per cercare i soldi, io prendo le 500 pezze e glie ne metto 5. Torna, sempre bevendo sarvenas, e io gli metto pure nel bicchiere un pezzo di tabacco. Tutta succa.

— Non c’erano qui 500 pezze?

— No. Non c’era niente. Le avete prese.

Prendo allora le 5 pezze e dico:

— Il resto non è giusto. Ce ne vogliono altre 5.

Allora me le ha date.

Un’altra volta imbroglio un prete di Cordova. E per riuscire a questo bisogna conoscere tutto.

Ero lì in America in una città che si chiama Cordova e soldi non ne avevo: mi avevo bevuto tutto. C’era allora quel prete che sapeva che ero di Orgosolo e sempre mi chiedeva: — Ci sono latitanti? E chi li converte? E quanti missionari?

Vado da lui piangendo. [...]

[...]nte, e in tanti anni, le pecore che ho rubato che non tengo il conto, ma mi sarei fatto milionario. Ora vi vendo, gratis, questo:

Brevetto per rubare le pecore in tutta la Sardegna

1) Le pecore si prendono con l’afferrarle con le mani, con le funi, con i sacchi; si mandano avanti coi gesti, coi sassi, coi fischi, col fucile, E in ogni maniera. Come si può combinare.

Se il pastore non c’è e c’è una pecora sola si manda avanti o si carica pure sulle spalle. Se è più di una pecora si manda avanti con tutti i modi che uno crede.

Se il pastore, c’è, e addormentato, la cosa è molto facile. Non si deve far rumore d’uomo. Si deve andare vicino ai greggi in silenzio, magari scalzo, e fare un gesto in aria, con le mani: le pecore vi seguono. Se non basta, e si deve far rumore, bisogna fare rumore di animale, non di uomo. Le pecore si possono chiamare col belare delle pecore o sbandare con un fischio dell’uccello. Il pastore non si sveglia o, se si sveglia appena, pensa che è un animale: ci ha l’abitudine.

Se il pastore si sveglia o s[...]

[...]on qualcuno. E si circonda la capanna. Si fa silenzio e due sempre meglio davanti alla porta, pronti. Un altro entra, senza bussare — meglio se il pastore dorme — e si butta addosso. È meglio gettarsi prima sulle mani che sul resto: può essere armato e può reagire anche. Bisogna anche cercare con un pugno, un calcio, o che so io, di dare sulla bocca, così non può gridare.

Si lega poi, pensando prima a mani e piedi, e un fazzoletto in bocca, oppure straccio che sia.

Se sono più i pastori si va in più. E la cosa è più difficile.

Un ostacolo sono i cani che se non mordono fanno almeno rumore. Bisogna prima pensare a farsi conoscere buttando il giorno prima uno straccio nostro, che il cane si abitua all’odore. Se non si ha tempo si deve pensare a calmarlo con il buttare un pezzo di carne, o meglio una polpetta avvelenata, o col cacciarli con qualche sasso o col fucile. In antico si faceva la presura : con parole o una pelle di gatto : e non è bene.

Ma un cane in proprio può servire, oltre che per difesa e contro i cani altrui, per[...]

[...]« Giubale » più piccolo)

Mufias

(Orecchio

piccolo)

Con un coltello (o con un paio di forbici) si può bene cancellare un segno e farlo passare da uno all’altro.

Il segno del governo, che è quadrato, si può cancellare, facilmente, con la Pertunta.

Dalla pertunta, per esempio, si può passare alla trunca (se il segno è in alto; alla iscala\ alla rundinina\ a giubale (con un po’ di abilità). E così via.

Le combinazioni si possono pure intrecciare: un segno può essere118

FRANCO CAGNETTA

insieme, per esempio, pertunta e trunca; trunca e suppada; suppada e giubate; iscala e pertunta. E così via.

Le combinazioni, così, possono essere tante: io, in vita mia, ne ho contate e fatte 523.

Il segno più difficile da cancellare è la pertunta.

Il segno più facile da fare è la mufia. Ma non si fa subito: è sempre il segno di pecore rubate tre o quattro volte.

Ci sono pecore che non hanno quasi più l’orecchio, tante volte son state rubate. Diciamo allora che le orecchie se le è mangiate qualche volpe.

Se il segno è [...]

[...]e o quattro volte.

Ci sono pecore che non hanno quasi più l’orecchio, tante volte son state rubate. Diciamo allora che le orecchie se le è mangiate qualche volpe.

Se il segno è scarso ci è un lavoro per grandi artisti : con un coltello fino si toglie la pelle alle orecchie e poi cresce la nuova. Ma, a non saperlo fare, la pecora si muore. Io lo dicevo: è un lavoro per grandi artisti: molte volte nella mia vita io lo ho fatto per me, e sono pure stato chiamato.

Con i tempi nuovi, e con la scienza, ci sono modi nuovi.

Si è cercato con la calce di cancellare tutto il segno delle orecchie. Ma questa si mangia la carne. È ormai verificato che alla pecora fa male.

C’è anche un altro spirito forte che si dice portato da Napoletani

0 Americani. Io lo ho visto ma non ci credo. Di queste cose moderne non mi fido. Mi fido solo di cose antiche, come le mani.

Questi sono i modi, insomma, ma il mestiere non si impara sopra

1 libri: bisogna fare. E fare molto.

Ci sono specialisti, come ero io, ma ogni pastore si sa arrangiare [...]

[...]pra

1 libri: bisogna fare. E fare molto.

Ci sono specialisti, come ero io, ma ogni pastore si sa arrangiare da se. L’importante è questo: che si arronzino di pecore, e di pecore grasse. Bisogna conoscere, non andare ad occhi chiusi.

Chiudo il brevetto e, con questo, ho la speranza che presto interessi a qualche Cavaliere o Gran Scienziato.

Antonio Marrosu Gangas fu Giovanni Antonio, Orgolese

Ma adesso devo rattristarvi raccontando pure i fatti dei miei' poveri figli. Io mi sono sposato due volte. La prima volta (189899) con Corrias Antonia, prima moglie. Ci ho avuto tre figli: Maria Giuseppa morta a un anno e mezzo; Giovanni Maria, morto a quattro anni; Giovanni Antonio, che ha 50 anni e fa il facchino a Nuoro. La seconda voltaINCHIESTA SU ORGOSOLO

119

con Devaddis Caterina (verso il 19011910). Ci ho avuto 8 figli: Diego, morto a tre anni; Sebastiano, morto a un mese; Andrea, morto a 5 anni; Giuseppe, morto ammazzato a 21 anni dai carabinieri; Antonio Maria, morto ammazzato a 20 anni dai carabinieri; Diego, morto amm[...]

[...]ato.

Il mio povero figlio si trovava invece in giro, in territorio di Mamoiada. Aveva una cavalla rubata che voleva riportare al padrone di Ollolai. Si incontra là due carabinieri che lo hanno visto e gli han sparato.

— Il taglione ti do — dice Antonio Maria.

Ma uno stava nascosto e così il carabiniere lo ha sparato.

Del figlio Diego che è morto, or mi è poco, è meglio che non parlo.120

FRANCO CAGNETTA

Delle mie figlie dicono, pure, che di notte si mettono i calzoni e fanno cose che sono peggio di quelle che fanno gli uomini.

È falso.

10 ho fatto di tutto per educarli sempre su una strada buona. A sa balentia. Gli ho sempre detto che: 1) non devono avere paura; 2) devono usare il cervello; 3) devono sapere usare le armi.

Per esser coraggiosi, sin da piccoli, li tenevo alla campagna. Tante volte li facevo: — Bau, bau — all’improvviso. Poi gli dicevo: — Lo faccio io.

Paura non avevano più di nessuno.

11 coraggio ognuno se lo prende da se: è una natura. Ma bisogna fargli scuola e svilupparlo per il tempo.
[...]

[...]

— Lasciami stare. Che ho perso la libertà. Ora sono latitante.

Quel prete si è spaventato.

Un uomo che stava vicino gli ha detto : — Quello è come un pazzo.

Basta. Il prete se ne è andato. Ed io mi ho preso una lira, più settanta lire, ed altre trenta che ho venduto il libro, poi, ad un prete di Illorai.

Sono passati un due mesi appena da questo fatto e stando in festa, con un padrino ritrovo questo prete.

Fa finta di niente e pure dite: — Andiamo a bere.

Ci porta a casa sua. E tira il vino.

— Senti — dice. — Tu le sai tutte, più del diavolo. Ti lascio il libro e i soldi. Ma tu raccontami qualche cosa della tua vita, che lo possa poi dire in predica, per dire contro il peccato.

Questo mio padrino dice pure: — Digli qualche cosa.

E noi a bevere. Sarà stato scolato un bottiglione di vino.

— Beh; adesso vi racconto un fatticello.

— L’altro giorno — ho detto — vado in un covile. Verso di me venivano tanti cani e un capo in testa che mi veniva a bocca aperta, contro me. Così gli metto una mano in bocca e sono arrivato dentro sino alla coda, poi l’ho girato, ossia rivoltato, e quello se ne è andato via,

— Ma questo non può essere mai!

— Beh! È così. Proprio così.

— E il cane cosa ha fatto?

— Se ne è andato via, ma non poteva più abbaiare.

— Beh, beh. Seguite a bevere.

— Ade[...]

[...] vivo. Se ne è andato, il cane, e torna a casa sua : quando è tornato i padroni di casaINCHIESTA SU ORGOSOLO

123

tutti spaventati! Non sapevano come è stato questo fatto. E il cane è stato vivo 4 o 5 giorni ancora. Perché lo ho fatto? Per passatempo.

Un’altra volta, ora, ero ad un paesotto che si chiama Lollove un padre, un Frate. E diceva sempre di sé: io ho un cane come nessuno. Questo cane era un cane di vaglia: abbaiava e mozzicava pure solo!

Dico io: — Vuole scommettere che il cane con me non è buono ad abbaiare?

— Beh — dice. — Dieci lire. Scommetto. Dieci lire.

Il cane era dentro. Io mi metto a pochi passi e gli faccio la presura. Gli ho legato la lingua. Mi avvicino e non abbaia.

Appena visto questo il prete si alza e mi dice spaventato: — Avete qualche segreto. Me lo dovete dire, che sono un santo frate.

— Datemi 100 lire — dico io — e vi dico la presura.

— Anche 200 — dice lui. — Con questa presura posso fare nei paesi il S. Antonio. Ci guadagno altro che 100 lire!

— Allora — dico — se è S. Antonio[...]

[...]ventato: — Avete qualche segreto. Me lo dovete dire, che sono un santo frate.

— Datemi 100 lire — dico io — e vi dico la presura.

— Anche 200 — dice lui. — Con questa presura posso fare nei paesi il S. Antonio. Ci guadagno altro che 100 lire!

— Allora — dico — se è S. Antonio, che è più importante: 200 lire.

Mi dà 200 lire e gli dò la presura. Me le dà.

Il giorno dopo si avvicina per farla al cane. E il cane lo abbaia; e mozzicato pure.

— Com’è? Com’è quest’imbroglio ?

— Che non ci avete fede. La presura si dice con la fede. Siete un pagano.

La verità è che il giorno prima al cane gli avevo dato una* polpetta avvelenata, insomma di papavero, che avevo avuto prima da una majara, o strega.

Basta.

Mi trovavo al Sopramonte una volta e c’era un posto chiamato «Gorropu». Là c’è un posto come un pozzo — una nurra — che non c’è acqua, ma è profondo. Sarà almeno 3 metri di larghezza per 3 di lunghezza. Ti dico pure più. Io saltavo bene: come un lepre. Vedete, anche ora che sono quasi morto, sulle gambe posso alzarmi e[...]

[...]— Che non ci avete fede. La presura si dice con la fede. Siete un pagano.

La verità è che il giorno prima al cane gli avevo dato una* polpetta avvelenata, insomma di papavero, che avevo avuto prima da una majara, o strega.

Basta.

Mi trovavo al Sopramonte una volta e c’era un posto chiamato «Gorropu». Là c’è un posto come un pozzo — una nurra — che non c’è acqua, ma è profondo. Sarà almeno 3 metri di larghezza per 3 di lunghezza. Ti dico pure più. Io saltavo bene: come un lepre. Vedete, anche ora che sono quasi morto, sulle gambe posso alzarmi e sedermi, senza appoggio di mano. Io ho 83 anni, ma allora per me era niente. Facevo presto a saltare quel pozzo.

Lo sa un padre, un altro frate, e mi dice: — Ti prendo come socio.124

FRANCO CAGNETTA

Farai S. Francesco di Lula che protegge i ladri del bestiame. Tu salti.

Io dico ai pastori (ma non di Orgosolo, di Fonni, di Urzulei) che tu sei S. Francesco di Lula. Che puoi insegnare a loro, con l’aiuto di Dio, la salute, e come si salta davanti ai carabinieri.

— Buono, buono[...]

[...]a 90 anni, è il più peggio che un mio nemico mi possa augurare. Sono malato: ho un’ernia che tanto mi è cresciuta tra le cosce che non mi lascia camminare, ho un braccio che non si muove quasi più: il destro.

Il mio dolore è che non posso più lavorare, come ho fatto sempre.

La mia vita di lavoro, di sacrificio è tutta sprecata. Con la famiglia poco aiuto: è un fatto che non si tocca. Non ci ho pensione vecchiaia. Che faccio oggi? non ho neppure da mangiare. Adesso sono nelle peggio condizioni di fantasticare.

Mi rivolgo a tutti i Cavalieri di questa Isola di Sardegna, e di Spagna e di Italia, che mi aiutino loro in magnificenza e grandezza. Spero di avere il più piccolo aiuto che si può avere dai signori Cavalieri, che mi lusingo con la storia della mia vita sfortunata di averli accontentati, solleticati, commossi, eccitati e divertiti.



da Vitale Bloch, Fromentin e i suoi «Maitres d'autrefois» in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]Le più positive sono quelle su Décamps, su Diaz, (chè a questi si riferisce, probabilmente, l’allusione entusiastica a p. 258), mentre è dubbio se l’accenno a uno studio moderno ove si coltiva la tradizione olandese si riferisca proprio a quello di Courbet (p. 267). I rapporti più stretti restano insomma con i critici conservatori, passati magari al nuovo atteggiamento Tainiano, non certo con Thoré, con Delacroix, con Baudelaire; che non sono neppure citati.

Per Fromentin infatti la pittura olandese è grande proprio per la sua mancanza di immaginazione poetica e per il suo star contenta a dipinger bene ed esattamente. L’immaginazione profonda, proprio in senso romantico, che trasfigura le semplici ‘nature morte’ olandesi, è ignota al Fromentin che non parla affatto di quella grande tendenza e, per la stessa cagione, non si occupa di Ver Meer (pure già scoperto dalI

26 VITALE BLOCH

Thoré) se non per ridurne quasi a nulla il significato in confronto a Ruysdaei. E tutti gli elogi, s’intende, sono piuttosto riservati ai pittori di sfera già discendente, dal de Hoogh, al Terborch, al Metsu. Ed è poi anche più noto il suo interesse forte per Cuyp, grande per Ruysdaei e sommo per Potter, ch’egli ammira quasi più di ogni altro pittore olandese. Che la interpretazione di Ruysdaei sia in lui alterata, nell’aspetto psicologico, da una venatura romantica, è ben chiaro. Chi potrebbe uscir di strada più che dicendo: cse Ruysdael non fosse sta[...]

[...]ogh, al Terborch, al Metsu. Ed è poi anche più noto il suo interesse forte per Cuyp, grande per Ruysdaei e sommo per Potter, ch’egli ammira quasi più di ogni altro pittore olandese. Che la interpretazione di Ruysdaei sia in lui alterata, nell’aspetto psicologico, da una venatura romantica, è ben chiaro. Chi potrebbe uscir di strada più che dicendo: cse Ruysdael non fosse stato olandese e protestante, avrebbe di certo appartenuto a Port Royal?’ Oppure: il gusto d’oggi vede in Van Goyen il vero precursore del paesaggio moderno, ma, proprio per questo, Van Goyen appare a Fromentin ‘par trop incertain, volatil, évaporé, cotonneux5 (p. 233).

Franz Hals, com’è noto, piaceva a Manet e piace anche a Fromentin ma negli aspetti, per dir così, più materiali; quanto ai capolavori estremi del 1664, Pure notandovi la maestria pittorica, Fromentin non dimentica di rilevarvi il É debole disegno5 ; conchiuds anzi il capitolo con un avvertimento accademico chiaramente indirizzato a Manet e alla sua cerchia: ‘cependant, comme il n’est plus que l’ombre de luimème, ne croyezvous pas qu’il est bien tard pour le consulter? L’erreur de nos jeunes camarades [altrove li chiama ‘néocoloristes’] n’est donc à vrai dire qu’une erreur d’àpropos. Qiielle que soit la surprenante présence d’esprit et la verdeur vivace de ce genie expirant, si respectables que soient les derniers efForts de sa vieillesse, ils con[...]



da relazione di Costantino Lazzari sotto presidenza Azimonti, Discorso Lazzari in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]ne. Oggi i giovinetti pero dicono: Cosa importa se i vecchi hanno dei dolori? Noi andiamo avanti per la nostra strada.
Allora, o compagni, è necessario richiamarvi ad un'altra considerazione di carattere etico e morale, che io credo non debba mai sfuggire dai nostri propositi e dalla nostra azione, e nemmeno dalle nostre riunioni. Voi sapete che noi vecchi del Partita, abbiamo passato tanti dispiaceri, tanti fastidi, tanti, di tutte le qualità. Pure noi ci siamo sempre ingegnati di portare come nostro distintivo questo criterio. In tutte le nostre riunioni noi abbiamo cercato di presentarci con quell'alto concetto e quell'alto patrimonio del sentimento della fraternità, della solidarietà, della uguaglianza che tutti i nostri compagni, che sono sul nostro terreno e vogliono lottare sulle basi del nostro programma, devono avere. E per questo che noi cerchiamo nelle varie nostre manifestazioni d'evitare tutte quelle forme che possono essere ingenerose e dannose, a offensive per la lealtà, per la semplicità, per la buona volontà dei nostri c[...]

[...]tato quello che ha servito... (proteste dei comunisti) a liquidare Venizelos piú di quello che non abbiano fatto i mezzi violenti dei suoi rivali. (Rumori e interruzioni).
Questo dunque prova come in noi il culto dell'eroismo personale ed i propositi delle frazioni sono condannati a non avere possibilità di
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esercitare, su tutto lo spirito e su tutto l'insieme del sentimento del nostro popolo, quella forza di attrazione e di coesione che è pure necessaria perché la nostra azione di Partito possa servire a creare quella grande società in cui l'interesse del popolo italiano debba avere la possibilità di essere riconosciuto per liquidare la posizione venuta dopo la guerra.
Ma il compagno Graziadei concludeva il suo discorso in questo senso. Egli trovava che, perdurando nella sua composizione attuale, colla sua formazione delle varie frazioni, il Partito socialista era condannato alla impotenza rivoluzionaria. Quindi era naturale e logico che la Terza Internazionale domandasse al Partito socialista italiano di modificare la sua composi[...]

[...] piú utile, che noi ci troviamo di fronte ad esigenze speciali... Ah 1 no, compagno Graziadei. Quando tu riconosci la bontà e la forza di questa massima del passato e vieni a negarla nel presente, tu stesso sei vittima di
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un opportunismo che noi crediamo non debba essere ammesso nel sistema col quale noi affrontiamo le nostre diverse situazioni. Opportunismo politico che è stato colpito dalle deliberazioni della Terza Internazionale che ha pure vincoli e legami con questo opportunismo locale col quale si crede di sistemare in modo utile al nostro movimento. gli interni rapporti fra militanti dello stesso Partito. Io mi rifiuto di adottare questo sistema di opportunismo morale. Se c'è una massima la quale rappresenti, realmente, nella grande conquista della libertà di pensiero, la possibilità di tutta la coscienza e di tutta l'anima di coloro che sono raccolti in base al programma comune e debba citare continuamente il tesoro della propria competenza attraverso il nostro movimento, è appunto questa libertà di pensiero che è il patrim[...]

[...]successo elettorale politico che deve insegnare qualche cosa. Ma come? Noi abbiamo continuato per tutto il periodo della guerra nel nostro atteggiamento, nella nostra propaganda, nella nostra influenza; noi dopo la guerra abbiamo cercato di rendere sempre piú perfetto il congegno della nostra lotta e siamo arrivati a questo risultato, negativo per me, per i concetti miei, di avere cioè quadruplicato le nostre forze parlamentari e di non avere neppure raddoppiate le nostre forze elettorali. Questo risultato è quello che ci deve ammonire della situazione in cui ci troviamo e deve farci capire come le esigenze e le necessità del nostro movimento non siano finite e non possiamo fare getto di questa nostra compagine e di questa nostra forza di organizzazione. Per questo la necessità della scissione, che viene consigliata dai nostri compagni che lottano meravigliosamente per la rivoluzione russa, per la rivoluzione del loro paese, non è giusta e opportuna perché verrebbe ad indebolire noi nella lotta che dobbiamo fare non tanto contro i padroni[...]

[...]a nostra opera ne è scaturita quella sensazione che noi siamo della gente di fermezza e di solidità e per questo, attraverso il Partito socialista, si è raccolto questo largo consenso, e per questo si sono sfrondate, attraverso a noi, tutte le malefatte che da una parte e dall'altra vi sono state. Oh ! sí, noi abbiamo partecipato al periodo convulsivo del tempo del sindacalismo, abbiamo attraversato il periodo del riformismo e del militarismo, eppure mai la nostra fermezza, mai la solidità di coloro che dirigevano la nostra frazione socialista, rivoluzionaria, intransigente, ha potuto raccogliere intorno a sé la possibilità di dire alla maggioranza del nostro Partito che questa teoria, che questa pratica, che questa politica, la quale ci ha dato questo successo elettorale, politico ed amministrativo, del quale dobbiamo andare giustamente fieri ed orgogliosi, sia una teoria sbagliata.
Il compagno Bombacci, commentando un discorso di questo genere che facevo all'Unione socialista romana, disse che questi sono successi della legalità, ma ch[...]

[...]o del Partito socialista italiano. Ebbene, attorno a noi si aspetta che cambiamo di nome perché allora tutti i vari gruppi dei mistificatori, dei mestatori della politica operaia debbano approfittarne per farsi mettere questa divisa che solo noi abbiamo portato onoratamente. (Applausi della maggioranza, approvazioni). E cercare 'osí di fare passare le loro mistificazioni.
È per questo, cari compagni Serrati e Baratono, che noi affermiamo che neppure l'aggiunta di quell'aggettivo qualificativo ci può servire e ci può salvare da questo pericolo, perché il giorno che noi adottassimo questo sistema di mettere un aggettivo qualificativo di « comunista » al nostro Partito socialista, daremmo il diritto a tutte le emulazioni di mettere un aggettivo qualificativo a fianco del loro socialismo per farlo passare per una merce buona. (Approvazioni). Perché dobbiamo metterci in questa situazione? Perché dobbiamo negare la nostra situazione che storicamente, materialmente, politicamente è cosí bella, buona e utile? I comunisti dicono: « Intanto voi no[...]

[...]li dei Partiti suddetti e similari i comunisti, che ora ne formano la minoranza, il secondo Congresso della Internazionale comunista ha stabilito che, in vista dell'attuale sviluppo e dello spirito rivoluzionaria delle masse, l'uscita dei comunisti da quei Partiti non è desiderabile fino a tanto che essi hanno la possibilità di lavorare entro quei Partiti nel senso del riconoscimento della dittatura del proletariato e del potere dei Soviet, come pure nel senso della critica agli opportunisti e centristi rimasti ancora in quei Partiti. Ogni qual volta l'ala sinistra di un Partito centrista si è fatta abbastanza forte e lo sviluppo del movimento comunista lo richiede, quell'ala sinistra pub uscire complessivamente dal Partito e formare un Partito comunista.
« Nello stesso tempo il secondo Congresso della Terza Internazionale si dichiara favorevole all'unione dei gruppi e delle organizzazioni
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comuniste o simpatizzanti con i comunisti al Labour Party, sebbene questo appartenga alla Seconda Internazionale. Infatti, fino a che questo Par[...]

[...]a Internazionale, anche se non vi siamo ricevuti. Verrà il giorno in cui quella porta della Terza Internazionale, che ora pare si possa aprire facilmente agli anarchici ed ai sindacalisti, si aprirà trionfalmente anche a noi del Partito socialista italiano, e noi potremo entrarvi a fronte alta a portarvi il nostro entusiastico lavoro. (Ap plausi entusiastici della grande maggioranza del Congresso. I comunisti restano assenti dalla manifestazione pure senza ostacolarla. L'applauso dura qualche minuto e si rinnova. Qualcuno grida « Viva il Comunismo ! ». Il grido è seguito e contrapposto con quello di « Viva il Socialismo ! ». Indi tutto il Congresso intona l'Internazionale).
La seduta è tolta alle ore 12,15.
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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Alderisio, Riflessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi in Studi gramsciani

Brano: [...] della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir» 1 (di lunga vita per la classe di. cui la cultura idealistica è stata ed è l'esponente).
È facile qui rilevare che Gramsci intuiva nella concezione hegeliana — a parte la cattiva riuscita di essa in una sorta di uomo capovolto, che cammini sulla testa delle idee, e non sulle gambe dei bisogni e delle forze reali — una sintesi di due momenti della vita e del pensiero, e vedeva pure, in corrispondenza o analogia col laceramento avvenute nella scuola hegeliana, anche un laceramento avvenuto nella filosofia. della prassi, spesso degenerata in pregiudizio o superstizione materialistica e deterministica. Onde egli avvertiva che se la filosofia della prassi aveva
1 M. S., pp. 867.
Felice Alderisio 57
ragione di affermare che ogni « verità » creduta eterna ed assoluta « ha avuto origini pratiche e ha rappresentato un valore provvisorio (storicità di ogni concezione del mondo e della vita) », bisognasse ancora ammettere — per quanto la cosa fosse difficile farla comprendere [...]

[...]sono necessari per l'azione » , e senza perciò dedurre dallo storicismo « lo scetticismo morale e la depravazione ». Insomma Gramsci qui riassume nella concettosa riflessione già riferita la sua veduta circa la filosofia della prassi: « Ecco perché la proposizione del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà deve essere analizzata ed elaborata con molta finezza e delicatezza » 1.
Altra considerazione di Gramsci che a me sembra pure orientata o convergente verso il nostro tema è quella sul concetto di regolarità e necessità nello sviluppo storico, a cui giunse il « fondatore della filosofia della prassi » (Marx); ma non proprio per « una derivazione dalle scienze naturali », bensí con « una elaborazione di concetti nati nel terreno dell'economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ricardo », (la cui impostazione delle leggi economiche Gramsci riteneva necessario studiare). Infatti Ricardo « non ha avuto importanza nella fondazione della filosofia della prass[...]

[...]ima per i grandi fenomeni economici, mentre i fatti particolari sono impazziti» (o si hanno le crisi economiche, che modificano la vita economica, soprattutto a causa dell'elemento arbitrario). Queste e simili considerazioni ritiene Gramsci di dover fare onde « prendere le mosse per stabilire ciò che significa regolarità, legge, automatismo nei fatti storici », e senza che con ciò si tratti «di scoprire una legge metafisica di determinismo, e neppure di stabilire una legge generale di causalità. Si tratta solo di rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze relativamente permanenti, che operano con una certa regolarità e automatismo ». In altri termini non si può indicare una vera e propria « legge» dei fatti storici, eterna ed immutabile; ma l'accennato « elemento della filosofia della prassi » (derivato, secondo Gramsci, soprattutto dall'impostazione delle leggi economiche fatta dal Ricardo) « è poi, nientemeno, il suo particolare modo di concepire l'immanenza » . Nel senso finora chiarito « il concetto di necess[...]

[...] causae efficientes compiuta da Haeckel (nella sua Antropogenia), il quale rifiutò semplicisticamente le prime, in quanto per lui la causa finalis senz'altro è = Dio, mentre Engels ammette la conciliabilità delle due forme di causalità, ed osserva ad Haeckel che « ciò che egli dice qui della Critica del giudizio di Kant non è in accordo con Hegel » (il quale aveva lodato altamente Kant per le sue riflessioni sulla finalità interna della natura). Pure contro Haeckel è l'altra osservazione di Engels, che non è vero che il vitalismo o la teleologia sia dualismo: « già in Kant e in Hegel la finalità interna è una protesta contro il dualismo; il meccanicismo applicato alla vita » — al modo di Haeckel — « è una categoria inerme » (e qui Engels rimanda alla trattazione della finalità nella Logica di Hegel, ne riproduce alcuni passi relativi al meccanismo ed alla teleologia, e inoltre non trova né esagerato, né paradossale o inammissibile (pas trop fort) ciò che Hegel dice dell'istinto (o tendenza : Trieb), e conclude con questa battuta che non m[...]

[...]é e per sé, senz'altro » (o, in altri termini, soltanto « sulla testa delle Idee, o dello Spirito », come suonava il ritornello critico dei marxisti), cosí Spaventa proseguiva: «Quel che non posso ammettere è il dommatico autaut del realismo e dell'idealismo, dell'a posteriori e dell'a priori; o con buone gambe, ma cieco; o veggente, ma zoppo. Hegel stesso ha sempre protestato contro questa mutilazione dell'integrità dello spirito scientifico. E pure ci ha di quei che annunziano di aver superato Hegel, sacrificando la luce , degli occhi al facile uso delle gambe » 1.
Mi sembra infine un'opportuna conclusione di questo lavoro di ricerca sul concetto della finalità in un indirizzo teoreticopratico, che sempre piú consapevolmente e con un senso critico fatto di giustizia storica si ricollega alla concezione filosofica dello Hegel, il dare proprio a lui l'ultima parola. Il luogo filosoficamente piú importante e significativo in cui Hegel usò l'immagine auf dem Kop f e gehen sta nella « Prefazione » della Fenomenologia 0806), e, sebbene non p[...]



da Massimo Mila, Guillaume Dufay, musicista franco-borgognone in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]embra ripeterne la parabola protoumanistica d'una giovinezza attiva nei civili negozi e nelle esperienze di corte, poi, con l'età matura, il ritiro nella quiete studiosa d'un canonicato, in compagnia d'una ricca biblioteca e magari d'una buona cantina.
Nato intorno al 1400 in un villaggio di nome Fay, forse vicino Gâteau Cambrésis, presso Chimay, nel Hainaut, questo gentile e colto umanista, laureato in diritto forse all'Università di Torino, oppure alla Sorbona, ebbe strette relazioni con l'Italia. Putto cantore nella cattedrale di Cambrai, vi fu probabilmente condiscepolo del coetaneo Gilles Binchois (14001460) alla scuola musicale di Richard de Loqueville, magister puerorum a Cambrai dal 1413 al 1418. Sono pure da supporre relazioni con Nicolas Grenon, canonico a Cambrai e maestro di cappella nella cattedrale durante il 1408 e il 1409. Si ritiene che nel 141718 il giovane Duf ay abbia fatto parte del seguito che accompagnò Pierre Dailly, vescovo di Cambrai, al concilio di Costanza, e là abbia stretto relazioni altolocate che gli permetteranno ben presto di venire in Italia, presso la corte dei Malatesta a Rimini, dal 1419 al 1426. « Charles gentil, c'on dit de Malateste » proclamano le 3 voci unite in accordi di sonorità organistica, nel verso che conclude ogni strofa della ballata Resveillezvous, p[...]

[...]ento di Carlo il Temerario, ottimo musicista, che però aveva al proprio servizio Antoine Busnois, ed era attratto dalle innovazioni tecniche della grande polifonia fiamminga, in particolare di Ockeghem. Nel 1467 un Messire Gille Arpin, proveniente di Piccardia e diretto a Roma, ricevette 4 ducati dal tesoriere dei duchi di Savoia, per avere portato « de la part de Messire Guillaume Du Fay aucunes messes faites en l'art de musique nouvellement ». Pure nel 1467, il 1 maggio, l'organista fiorentino Antonio Squarcialupi, redattore del celebre codice al quale dobbiamo la conoscenza dell'Ars nova toscana, gli scriveva una lunga lettera per ringraziarlo di certi cantori ch'egli aveva mandato dalla chiesa di Cambrai su richiesta di Piero de' Medici. Questi lo teneva in altissima stima: « de vobis semper honorificentissime loquitur », assicura lo Squarcialupi. Anzi, lo considerava il più grande ornamento del secolo: « asserit, quod et ego libenter assentior, maxime esse vos ornamento nostrae aetati ». E gli allegava una canzone del giovane duca Lo[...]

[...]ia del contrappunto. Duf ay poteva scrivere per imitazione a piú voci tanto bene come Obrecht e Ockeghem, specialmente nella sua vecchiaia. Perché non lo faceva? Per educazione. Perché era uomo civile e garbato, e niente era piú alieno dai suoi gusti che tediare il prossimo con lo sfoggio della propria bravura. Le entrate a canone di Duf ay restano, per lo piú, degli incipit. Poi le voci si ritrovano, una aspetta l'altra per procedere insieme, oppure anche se ne vanno ognuna per conto suo, in una libera polifonia non imitativa che, una volta dimesso il giovanile entusiasmo per l'uso del fauxbourdon, diventa lo stile fondamentale della musica di Duf ay.
Essa si colloca perciò veramente fra Tre e Quattrocento: dà la mano all'Ars nova italiana e francese (Guillaume de Machault) nelle canzoni profane (7 su testi italiani e 80 su testi francesi), nelle prime tre delle nove Messe rimasteci, nella quasi totalità delle 39 parti staccate di messe (talvolta riunite a due a due, Gloria e Credo, Sanctus e Benedictus), negli Inni ed Antifone o nei pi[...]

[...] della Letteratura francese di GioVANNI MACCHIA (Torino, ERI, 1961) numerosi esempi di palindromi e altri artificiosi giochi di parole nelle poesie del Trecento, che sembrano un'imitazione verbale dei complicati procedimenti a cui si stava avviando il contrappunto in musica.
168 MASSIMO MILA
al sistema delle « proportiones », cioè aumentazioni e diminuzioni ritmiche, con effetto di dilatazione e restringimento nel tempo.
Su un Tenor profano è pure fondata la messa L'homme armé, collocata dagli studiosi tra il 1455 e il 1460, e perciò dopo la messa La mort de SaintGothard, la cui attribuzione a Dufay fu a lungo messa in dubbio, ma invece risolutamente affermata dal Besseler, senza poterne accertare esattamente la data, se prima o dopo la messa Se la face ay pale, forse in connessione con l'ambiente della corte dei Savoia.
La messa L'homme armé è forse la prima delle oltre trenta Messe che vennero composte, nel Cinquecento e perfino ancora nel Seicento, da Carissimi, sopra una celebre canzone francese, forse d'origine popolare, forse do[...]

[...] poterne accertare esattamente la data, se prima o dopo la messa Se la face ay pale, forse in connessione con l'ambiente della corte dei Savoia.
La messa L'homme armé è forse la prima delle oltre trenta Messe che vennero composte, nel Cinquecento e perfino ancora nel Seicento, da Carissimi, sopra una celebre canzone francese, forse d'origine popolare, forse dovuta al compatriota di Duf ay, e alquanto piú giovane di lui, Antoine Busnois (che lui pure ci scrisse su una Messa). È una melodia in tono minore, piú malinconica che ribalda, in chiara forma ternaria ABA. Nella sua Messa Dufay permette ogni tanto a questo Cantus firmus di straripare fuori dal Tenor e di penetrare anche nelle altre voci (secondo una tecnica che aveva già abbozzata nella Messa Se la face ay pale, limitatamente alla fanfara di triadi maggiori spezzate che conclude quella melodia).
Di un Tenor gregoriano si serve la penultima messa di Dufay, Ecce ancilla Domini, mentre l'ultima, Ave regina coelorum, trae il cantus firmus dall'omonimo mottetto che il compositore aveva[...]



da Cesare Musatti, Varietà e documenti. Freud e l'ebraismo in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: VARIETÀ E DOCUMENTI
FREUD E L'EBRAISMO
Mentre mi sembra di conoscere abbastanza bene l'opera e la personalità di Freud, anche solo definire ciò che per ebraismo si debba intendere è, almeno per me, assai difficile.
Pure esso, come elemento di differenziazione, dalla popolazione in mezzo alla quale gli ebrei della diaspora vivono, è certamente una realtà. Una realtà che ha la sua base nella famiglia stessa, e che attraverso questa viene trasmessa.
Della propria famiglia Freud raccontò che i suoi erano originari della Galizia. Il bisnonno Ephraim Freud fu un noto rabbino, e cosi il figlio di lui Schlomo: non si sa bene se rabbini nel senso tecnico della parola, oppure uomini addottrinati e colti nelle sacre scritture, e come tali circondati di rispetto ed autorità. Schlomo morí nel 1856, l'anno stesso della n[...]

[...]sso, come elemento di differenziazione, dalla popolazione in mezzo alla quale gli ebrei della diaspora vivono, è certamente una realtà. Una realtà che ha la sua base nella famiglia stessa, e che attraverso questa viene trasmessa.
Della propria famiglia Freud raccontò che i suoi erano originari della Galizia. Il bisnonno Ephraim Freud fu un noto rabbino, e cosi il figlio di lui Schlomo: non si sa bene se rabbini nel senso tecnico della parola, oppure uomini addottrinati e colti nelle sacre scritture, e come tali circondati di rispetto ed autorità. Schlomo morí nel 1856, l'anno stesso della nascita di Freud, a cui fu imposto, proprio in ricordo del nonno, il nome di Sigismund (che a quanto pare corrisponderebbe all'ebraico Schlomo). Fu lo stesso Freud che piú tardi si abbreviò il nome in Sigmund. Il padre di Freud, Jakob, fu invece commerciante di lane, e si trasferí in Moravia a Freiberg (l'attuale Pribor). Si era sposato giovanissimo ed aveva avuto due figli, Emanuel nato nel '32 e Philipp nel '36. Rimasto vedovo, si risposò con Amalie N[...]

[...]parlandogli, con linguaggio cattolico, di Dio e dei santi. Questa Nannie però, accusata di furto, fini in prigione, creando gravi problemi psicologici al piccolo Sigmund.
Il padre di Sigmund era un ebreo osservante, con una certa conoscenza della lingua tradizionale. Tuttavia Sigmund a Vienna fu anche inviato in una scuola privata israelitica, tenuta da un amico di famiglia, Hammerschlag, a cui Freud rimase sempre legato, e da cui fu in seguito pure aiutato anche economicamente per la prosecuzione dei propri studi. Presso Hammerschlag studiò l'ebraico (senza tuttavia apprenderlo bene) e si preparò per entrare in Ginnasio.
Non credo che si debba dare importanza, ai fini di cogliere qualche cosa del suo ebraismo, a questa istruzione elementare. Di cui egli in una lettera del 26 Febbraio 1925 alla Judische Presszentrale, di Zurigo, parlò in questi termini: « Sono stato giovane in un'epoca in cui i nostri maestri non annettevano alcun valore alla conoscenza della lingua e della letteratura ebraica. La mia cultura in questo campo è pertanto [...]

[...]che cosa del suo ebraismo, a questa istruzione elementare. Di cui egli in una lettera del 26 Febbraio 1925 alla Judische Presszentrale, di Zurigo, parlò in questi termini: « Sono stato giovane in un'epoca in cui i nostri maestri non annettevano alcun valore alla conoscenza della lingua e della letteratura ebraica. La mia cultura in questo campo è pertanto rimasta indietro, cosa di cui in seguito ho avuto spesso occasione di rammaricarmi ».
Cosí pure non ritengo si debba dare importanza al fatto che nella biblioteca di Freud a Vienna (quando egli aveva già ottant'anni) qualcuno abbia intravisto lo Zohar (poi scomparso quando la biblioteca fu trasferita a Londra), per parlare di una influenza del pensiero mistico medioevale ebraico su Freud. Anche se nello Zohar sono contenute interpretazioni di sogni che possono far pensare al metodo delle associazioni libere, ideato da Freud.
Egli era un uomo di grande e varia cultura, e come possedeva una quantità di testi classici greci e latini, e di opere moderne in tutte le lingue, poteva benissimo[...]

[...]bere, ideato da Freud.
Egli era un uomo di grande e varia cultura, e come possedeva una quantità di testi classici greci e latini, e di opere moderne in tutte le lingue, poteva benissimo possedere fra i suoi libri opere appartenenti ad alcuni filoni di tradizione
VARIETÀ E DOCUMENTI 689
ebraica. Ce li ho del resto anch'io, pervenutimi da biblioteche di famiglia, senza che io abbia un particolare interesse per queste cose; e senza che possa neppure considerarmi propriamente in modo completo ebreo.
Lo sforzo che fa David Bakan, nel suo libro (Freud e la tradizione mistica ebraica, ed. di Comunità, 1977, dall'ed. originale inglese del 1958), dove cerca di far derivare la psicoanalisi dalle tracce che l'educazione ebraica, con particolare riferimento agli elementi del misticismo giudaico, avrebbe lasciato su Freud, mi appare quindi una forzatura.
Che la psicoanalisi e la mentalità stessa di Freud, di cui essa è frutto, abbiano qualche cosa a che fare con l'ebraismo è un altro conto: questo però non ha nulla a che vedere con una trasmissi[...]

[...]la a che vedere con una trasmissione di nozioni e di concetti. Parenti, amici, colleghi piú intimi, piú tardi perfino la maggior parte dei pazienti appartenevano allo stesso ambiente: un ambiente chiuso, un ghetto, anche se con le porte spalancate da quasi un secolo. Dove tutti si conoscevano; e parlavano in tedesco sí, ma in un tedesco di gergo, con inframezzate parole yiddisch, o addirittura espressioni ebraiche.
Penso che anche attualmente e pure nel nostro paese sia abbastanza frequente una situazione del genere, che naturalmente cento anni fa, nella Vienna di allora, doveva presentare caratteri molto piú accentuati. Si tratta di quella specie di circolo chiuso, che si costituisce tutt'ora, un po' dovunque ci siano ebrei, e che comprende anche coloro che all'epoca delle persecuzioni ad esempio si sono fatti battezzare credendo di sottrarsi cosí ai pericoli incombenti, oppure che per effetto di matrimoni misti, non sono bene né carne né pesce (come io stesso), ma hanno conservato qualche legame col ceppo ebraico originario.
Che la discriminazione razziale sia un segno massimo di inciviltà è certo, ma che gli ebrei rappresentino, nel seno di una data comunità nazionale, un nucleo differenziato, il quale resiste abbastanza tenacemente alla assimilazione, e presenta qualità e difetti che lo distinguono dal resto della popolazione, è anche indubbio.
Si può tranquillamente affermare che la psicoanalisi poteva nascere e svilupparsi soltanto in un ambiente ebraico.
È [...]

[...]e in questo campo vi siano scuole differenti e dissensi non sopiti.
Per il marxismo e il freudismo, siamo su terreni dove è piú facile la dissidenza, e l'ambizione di sostituirsi al fondatore, creando nuovi indirizzi e nuovi punti di vista. Ma sono i cascami del movimento rivoluzionario originale, ed essi non sono piú privilegio di uno spirito ebraico. La strada è stata aperta, e tutti possono infilarcisi con la illusione di poter divenire essi pure dei nuovi Messia.
Rimangono altri problemi per individuare i rapporti fra psicoanalisi ed ebraismo.
È stato indubbiamente piú facile a Freud (come osservò egli stesso) di quanto avrebbe potuto esserlo ad altri, porre al centro della propria considerazione la

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libido: la libido, che in tedesco è un sostantivo strettamente connesso con Liebe, e che è sempre per Freud la forza motrice dell'amore nel senso piú ampio. Il tabú del sesso è piú cristiano. Gli ebrei hanno maggiore tolleranza e comprensione per l'eruzione degli impulsi erotici; e sono meno inibiti vers[...]

[...]nfatti per consentire a Sigmund, che non guadagnava un soldo, di continuare i propri lavori scientifici nel campo della neurofisiologia, in vista di una carriera accademica del tutto aleatoria, le sue sorelle erano in quel tempo costrette a fare le domestiche a
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servizio di estranei. Era quindi perfettamente giusto che Brücke riportasse il proprio allievo ad una visione piú realistica della situazione.
Assai dubbie sono pure le affermazioni di Bakan, secondo il quale Freud avrebbe derivato dalle dottrine di Abulafio ()in secolo) elementi per le proprie teorie, o la affermazione che il nome fittizio Dora, inventato da Freud per la paziente del primo dei suoi Casi clinici, sia stato inconsciamente scelto da Freud, derivandolo da Torah. Parimenti gratuita è l'affermazione secondo cui la interpretazione simbolica dei sogni (la quale fu del resto aggiunta solo nelle edizioni successive al 1908 della Traumdeutung), deriverebbe da una tradizione ebraica risalente alla Bibbia. È ben noto che il tentativo di trarre dai so[...]

[...]e edizioni successive al 1909 della Traumdeutung di Freud. Ma molte altre corrispondenze possono essere trovate in documenti provenienti da diverse civiltà.
La via di trasmissione di queste corrispondenze non è dunque storico culturale, ma semplicemente psicologica, per la uniformità dell'apparato psichico degli uomini.
Bakan parla anche di una certa dissimulazione della propria persona da parte di Freud in ciò che pubblicava; e la attribuisce pure ad un bisogno di nascondersi in funzione del problema dell'antisemitismo. Cita Bakan, a tale proposito, il fatto che molti dei sogni, od altri episodi analizzati nelle sue opere, non vengono da Freud riferiti a se stesso, che ne è il vero soggetto, ma ad ipotetici pazienti, o comunque ad altre persone.
Freud però faceva semplicemente quello che fanno tutti gli analisti. Un analista non dovrebbe parlare di se stesso (come invece ho proprio io il brutto vizio di fare), per un riguardo verso i propri pazienti, e perché l'analisi con questi si possa svolgere in forma corretta.
Oggi sappiamo che[...]

[...]'analisi con questi si possa svolgere in forma corretta.
Oggi sappiamo che la maggior parte dei sogni narrati nella Traumdeutung appartengono allo stesso Freud. E d'altronde nel piccolo e chiuso ambiente pettegolo della Vienna ebraica di allora, tutti i personaggi dei sogni e delle altre esposizioni di Freud, erano — per uno studio attento, quale fu fatto ad esempio piú tardi dal Bernfeld e da altri — pienamente riconoscibili. E riconoscibile è pure Freud stesso quando racconta sogni propri.
D'altra parte si sa bene che la Traumdeutung è il frutto della autoanalisi di Freud, ed è quindi logico che il materiale dimostrativo contenuto nell'opera sia per la massima parte un materiale personale. L'aver nascosto questo non fu determinato da una qualche paura, ma semplicemente — come Freud in qualche occasione ha esplicitamente dichiarato — da uno spirito di discrezione: che ogni analista dovrebbe avere (afferma appunto Freud) non soltanto verso i propri pazienti, ma anche verso la propria persona.
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Un legame di tutt'[...]

[...]semplicemente — come Freud in qualche occasione ha esplicitamente dichiarato — da uno spirito di discrezione: che ogni analista dovrebbe avere (afferma appunto Freud) non soltanto verso i propri pazienti, ma anche verso la propria persona.
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Un legame di tutt'altro genere può invece essere trovato fra Freud e il mondo ebraico, quando si prenda in considerazione quello strano suo libro, da lui a dir la verità poco amato, e pure a mio parere molto importante teoreticamente, che è Der Witz und seine Beziehung zum Umbewussten (Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio). La battuta di spirito nasce per lo piú spontaneamente ed improvvisamente in chi la pronuncia, in seguito ad un processo dinamico interiore che si svolge automaticamente nell'inconscio, per cui si esplicita un impulso prima represso o rimosso. Esso riesce ad estrinsecarsi utilizzando una certa struttura formale, la quale rende il motto compatibile con le norme abituali che regolano i rapporti verbali fra gli uomini: evitando in tal modo di e[...]

[...]processo dinamico interiore che si svolge automaticamente nell'inconscio, per cui si esplicita un impulso prima represso o rimosso. Esso riesce ad estrinsecarsi utilizzando una certa struttura formale, la quale rende il motto compatibile con le norme abituali che regolano i rapporti verbali fra gli uomini: evitando in tal modo di essere una semplice insolenza o una espressione triviale.
Cosí attraverso il motto di spirito (senza che l'autore neppure si renda conto di come esso nasca) può esprimersi un impulso aggressivo, o anche lascivo, che non sarebbe altrimenti tollerato nelle comuni relazioni fra le persone cosiddette civili e bene educate.
Teoreticamente questi rapporti dinamici sono molto interessanti, perché possono essere messi a confronto con i processi del sogno e con quelli della formazione dei sintomi nevrotici.
Freud aveva comunicato a Fliess nel settembre del 1899 (quando la Traumdeutung era già in stampa) che si accingeva a raccogliere una collezione di quelle che vengono indicate come « storielle ebree »: le quali avreb[...]

[...] lo piú originariamente in yiddisch, o comunque circolanti fra gli ebrei aschenaziti dell'Europa centrale) in parte da racconti di Heine, che (nonostante il battesimo) rimase sempre per mentalità, spirito e genialità, un ebreo tipico.
Queste storielle ebree sono caratterizzate dal fatto di essere non tanto comiche, quanto umoristiche. E, come Freud nota esplicitamente, l'umorismo è una produzione in cui l'autore stesso si offre personalmente, oppure identificandosi con la propria comunità, o gruppo, quale bersaglio ed oggetto della ilarità aggressiva altrui.
Ciò significa che le storielle ebree sono tutte lievemente masochistiche ed autolesionistiche. Freud del resto in altra occasione aveva affermato che nella mentalità ebraica è sempre presente una certa componente masochistica. E quanto alle storielle, ci si deve riferire a quelle costruite e pronunciate proprio da ebrei, le uniche veramente spiritose; giacché le battute dovute ai gentili nei confronti degli ebrei, sono per lo piú soltanto aggressive e non raggiungono mai la efficaci[...]

[...]le altre parti del Trattato, utilizzare esempi dimostrativi miei personali, o trovati da me: cosí feci per i sogni, per gli atti mancati, per la sintomatologia psicopatologica ecc. Ma per il motto di spirito mi trovai nei pasticci.
Non potevo attingere anch'io alle storielle ebree, perché eravamo in piena campagna razziale, e rischiavo di mancare di riguardo verso gente già perseguitata, oltre che di espormi personalmente, giacché mi trovavo io pure in acque agitate. Cercai allora nella produzione umoristica di altre culture, a partire dai classici della letteratura latina, provando a farmi anche aiutare da Concetto Marchesi, il maggiore latinista di allora, col quale avevo quotidiani rapporti all'Università di Padova.
Ma non trovai nulla che mi potesse servire. Il Witz, il motto di spirito ebraico, su cui Freud aveva costruito la sua teoria per questo genere di produzione, mi apparve qualche cosa di pressoché unico, difficilmente ripetibile in letterature e culture diverse. Fui cosí costretto a limitarmi ad esporre nel Trattato la teor[...]

[...] assurda tentazione di gettarsi fra le braccia della Chiesa cattolica romana. Freud raccontò a Romain Rolland (e il nome richiama ancora una volta Roma) di aver subito un fenomeno di derealizzazione, e di acuta angoscia, mentre per la prima volta nel 1924 visitava col fratello Alexander l'Acropoli di Atene.
Ancora il senso di sgomento per aver raggiunto la madre: l'essere piú amato e insieme piú inattingibile. Nella lettera a Romain Rolland c'è pure un accenno a questo pensiero: « Che cosa avrebbe detto il vecchio padre Jakob se avesse saputo che i suoi figli erano giunti sull'Acropoli di Atene! ».
Ancora il complesso edipico dunque: Atene e Roma unite ed identificate, non per il loro significato pagano o cattolico, ma come simboli della madre amata e proibita.
No. Nulla vi è nel pensiero e negli scritti di Freud, che porti a supporre una tentazione a rinnegare la propria ebraicità.
Scettico e agnostico sul piano religioso, Freud rimase fino alla fine della vita profondamente ebreo, rivendicando per sé e per coloro che appartengono al[...]

[...]ofondamente ebreo, rivendicando per sé e per coloro che appartengono alla sua gente, il diritto al riconoscimento di una piena parità giuridica e morale con ogni altro essere umano.
E vorrei, per concludere, citare gli ultimi due suoi scritti, che egli riusci a veder pubblicati, prima di morire. Sono lettere che aveva inviato a due giornali progressisti, uno francese ed uno inglese, dopo essere giunto profugo in Inghilterra nel 1938. Freud, che pure era stato accolto a Parigi e a Londra col massimo affetto e con i piú grandi onori, constatò come neppure l'Inghilterra e la Francia fossero del tutto immuni dall'antisemitismo. I due giornali avevano infatti scritto accusando si i nazisti di barbarie, ma col tono di invocare, per i poveri ebrei, un po' piú di tolleranza da parte dei nazisti.
No, replica Freud, non tolleranza. Finché si parla di tolleranza si dà per scontata una condizione di inferiorità, e comunque un elemento di discriminazione.
Ciò che in queste sue ultime pagine egli chiede per sé, per gli ebrei, e per tutti gli esseri umani, è il riconoscimento della piena eguaglianza di ogni uomo, nella dignità, nei diritti e nel rispetto[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Orgosolo antica [e appunti di Ernesto De Martino sul pianto rituale sardo] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]hiude il primo.

Il pezzo più singolare di tutto il costume è, però, un rotolo di seta rigida, tessuta a grana grossa, di colore giallo scuro — una specie di papiro di antichi Egiziani — che si pone sul capo e si avvolge intorno al volto, sì che — come da una remota profondità — ne spuntano solo gli occhi, e il naso (1).

Malgrado l’insieme dei pezzi, così vario ed eterogeneo, la manifesta provenienza da così antiche civiltà, quel costume ha pure una

(1) Il prezzo medio dei singoli pezzi del costume è il seguente: sa vranella su sa ’ittu sa veste sa antalena sa ’ammisa su zippone sas palas su liunzu sa caretta su sacchittiddu s’aneddu issu lumene

sos butones

sa ’orona

sas iscarpas nieddas » » zelinas

gonna L. 2.000

primo grembiule » 10.000

secondo grembiule » 10.000

terzo grembiule » 15.000

la camicia » 2.000

primo giubbetto » 10.000

secondo giubbetto » 6.000

la benda » 15.000

zucchetto » 1.500

sottoveste » 1.500 Panello del nome (con iniziali)

gr. 50 d’oro » 15.000

i bottoni d’oro gr. 5[...]

[...]esso che è vecchio. Dorme a terra. Ha paura di guardare lo specchio. Il pettine lo ha conosciuto 10 anni fa. Conosce la fico d’india: questa sì. Il treno? E che treno? L’automobile? Lo ha visto sulla strada 3 volte. L’aeroplano? Lo ha visto passare qui sopra, 1 volta. Non sa il binocolo. Il cinema ? E che cinema ? ! La radio? Non la ha sentita. Il giornale? Lo ha visto. Non sa leggere. Non sa l’italiano. Che capisce? A modo suo. Non sa niente neppure di religione. Solo di galline. Il fucile? Quello lo sa! Non sa sparare, ci ha paura. Ma quello gli piace! Sa la leppa, il coltello. L’ha in tasca, taglia la fico d’india, per la gallina: a mangiare. E mangia anche lui. I ricordi? Non si ricorda niente. Ricorda le pecore. E ora sa le galline. Sentite che sta a parlare con le galline ? Sempre solo. Ma è sano, di mente. Sanissimo!! ».

Il suo liguaggio, intercalato a parole umane — incredibile a dirsi — aveva suoni di gallina.

È questo — ben inteso — un caso molto grave, un caso limite :

10 riporto qui solo perché si possa intendere in q[...]

[...]asi tutti i popoli Indoeuropei e Semiticamiti; si può ritrovare oggi, con forme quasi lineari, solo nelle zone montuose più isolate e ad economia unilateralmente pastorizia della Russia (Ciukci, Tungusi, Samojedi, Tartari, Mongoli, Calmucchi, Ostiachi, Kirghisi), della Turchia, della penisola balcanica (Slavi zadruga, Albanesi) e, parzialmente, della Spagna.

Lo studio della organizzazione particolare che ha la famiglia in Orgosolo (e così, seppure con forme più contaminate, in quasi tutti i paesi della Barbagia), costituisce la chiave di volta per una larga comprensione di quasi tutta la locale società. Questa, infatti, si può dire che, per quella propria organizzazione, sia arrestata, o quasi, soltanto alla famiglia: le forme sociali più sviluppate e superiori, che costituiscono invece la nostra società, lo Stato, sono quasi estranee o, solo adesso, iniziano ad intaccarla.

In tutte le terre in cui il suolo si sfrutta in modo primitivo,30

FRANCO CAGNETTA

solo a pascolo (come è il caso di Orgosolo e dei popoli su citati) la ne[...]

[...]onio avveniva, in Orgosolo, sino alla guerra 191518, ad opera dei genitori. Si promettevano i candidati, senza che si conoscessero, in una età che oscillava dagli 8 ai 15 anni. La bambina promessa doveva parlare abitualmente del suo futuro marito con il termine « su ziu ». La conoscenza tra i candidati avveniva, quasi sempre, solo all’atto del matrimonio. Questo uso però, oggi, pare totalmente scomparso: solo alcune donne mi hanno detto che, sia pure con il futuro consenso dei candidati, esso è vivo, ancora, in qualche famiglia.

Gon il matrimonio dei figli i maschi con la nuova moglie rimangono, in Orgosolo, generalmente nella casa dei genitori. Le donne vanno in casa del marito o, raramente, rimangono nella famiglia originaria.

Con la nascita dei nipoti anche questi rimangono nella casa dei nonni, e subordinati. La subordinazione dei nipoti è per il nonno, per il padre, per gli zii in ordine di età, per la madre, per i fratelli e cugini in ordine di età. Non risulta subordinazione propria, se non di rispetto, per la nonna, le zie, [...]

[...]mentati dal padre più anziano « su mannu » (= proprietà « paterna »). Esiste un termine in Orgosolo che indica indifferentemente la proprietà famigliare patriarcale e la famiglia patriarcale proprietaria ed è: s’ereu (dal catalano, = l’eredità).

Si tenga presente come ciò è dettato dalla necessità fondamentale di aumentare il potenziale delle greggi, e non frammentarle con divisioni.

La divisione dell’« ereu » non avviene, generalmente, neppure con la morte del padre più anziano, « su mannu », e passa automaticamente al primogenito o, tra i suoi fratelli, al padre più anziano, che, automaticamente assume la funzione di nuovo « su mannu ». Quando la divisione avviene per varie ragioni (e questo raramente) invale il criterio gerarchico secondo cui il primogenito,

0 il padre più anziano tra i suoi fratelli, riceve quasi tutto; seguono

1 maschi secondo la loro gerarchia; ed infine le femmine che rice vono poco, secondo la loro gerarchia. Queste, all’atto del matrimonio hanno però in anticipo, generalmente, la parte che è loro asse[...]

[...], un po’ di pecora bollita (se c’è) e formaggio pecorino. Uno straordinario modo di cuocere la carne, che non è solo di Orgosolo ma di tutta la Barbagia, consiste, in campagna, nel cuocere una intera pecora in ima buca di terra riempita di brace e ricoperta di frasche e ancora terra, a fior di suolo. È questo un modo che deriva quasi sempre dall’essere stata la pecora rubata e, così messa a cuocere, l’eventuale suo proprietario non si accorge neppure del banchetto che si sta per fare alle sue spalle. In Orgosolo si fa abbastanzaINCHIESTA SU ORGOSOLO

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uso di vino forte, di tipo « canonau » e di un caffè eccellentissimo ed offerto in ogni casa, tostato a perfezione. Si fanno di tanto in tanto, nelle feste, banchetti formidabili con interi agnelli e capretti bolliti od arrostiti, con « sa ’orda » (intestini di pecora arrestiti), con damigiane di vino, birra e in un’atmosfera da fastosi e grandi banchetti deH’antichità.

Ma è soprattutto nella educazione dei propri figli che il carattere arcaico e patriarcale della famiglia pastora[...]

[...]l lavoro di sorveglianza delle bestie, marce interminabili, notti passate tra temporali, volpi, ladri, e sempre dormendo a terra, con la brina o con la neve, lo fanno adulto anzi tempo. Se ima pecora gli si perde, si azzoppa, o gli è rubata, è privato a lungo di ogni cosa che gli occorra, non mandato a casa, picchiato con le mani, con la cinghia, col bastone. Bisogna che impari a non distrarsi mai, a non farsi ingannare, a sapersi rivalere. Vada pure a rubare un’altra pecora, se gli manca. Gli uomini lo deridono, lo scherniscono: per una crudele rivalsa, perché pensano che si deve fare le ossa, che deve saper essere un uomo, un buon pastore. Educato dalla natura, e dall'uomo solo al bastone ed al furto, egli tace : impara a pazientare ed aspetta solo di essere grande per rifarsi, per rivalersi. Deve essere un padrone, e non un servo. L’educazione di questa società pastorale, della « grande famiglia », ne fa un individuo isolato, quasi zoologico, che negli altri non vede che un possibile pericolo, un nemico. Egli non impara36

FRANCO CA[...]

[...]giorenti di un paese di ricercare, catturare od uccidere il responsabile di un reato grave, pena, nell’insuccesso, una punizione collettiva, generalmente una multa. Era indispensabile poiché la forza pubblica statale poteva considerarsi ;— come oggi — impotente a tenervi la giustizia, poiché estranea e nemica di queste popolazioni. In tutto il periodo del dominio italiano, dal 1849 al 1954, questo istituto ha avuto sempre vita e vive ancora, sia pure in forma non importante come in passato, ma solo parallelo alla forza pubblica statale, ed è conosciuto sotto il nome di « baracellato » o «compagnia baracellare ». Questa è composta di cittadini incensurati, volontari o estratti a sorte, che hanno il compito di battere periodicamente le campagne con ronde, intervenendo, quando sia necessario, con il diritto al conflitto. La storia del « baracellato » in Sardegna — un istituto diffuso d’altronde nel medioevo in tutta Europa con nomi e forme varie — è molto lunga e complessa, con continua soppressione e restaurazione, poiché quasi sempre si tr[...]

[...]à del fenomeno è tale che ogni mattino, come mi scrivono da Orgosolo, esiste un vero e proprio « bollettino informativo ».

Anche le soluzioni della « vendetta » con una « pacificazione »

o vendetta « simbolica » sono assai in uso. Il principio della « conciliazione » si trova anche, costantemente, nel diritto sardo, anzi si può dire che la « Carta de Logu », in contrapposto alla vendetta, a questo si informi.

Qualche volta quando si sia pure versato sangue, se le circostanze lo consentono ed il reato è preterintenzionale o, almeno, eseguito in circostanze meno gravi, si pratica anche, seppur raramente, l’antico istituto di « su abbonamentu » (o conciliazione). Il colpito si reca dall’offensore e se, tramite « pacificatori » si giunge al riconoscimento della colpa da parte del responsabile, e ad una chiarificazione delle due parti, si conviene un risarcimento che è, oggi, in generale, pecuniario. Il principio del risarcimento pecuniario discende, propriamente, dalla legislazione medioevale sarda, dalla « Carta de Logu ».

Ma esi[...]

[...]uni secoli fa il lamento funebre era diffuso tra le plebi rustiche di tutto il continente europeo, e le nazioni e le regioni che prima l’hanno perduto sono quelle che prima hanno fatto il loro ingresso nella moderna civiltà industriale : così l’Inghilterra e la Germania occidentale fin dal 1600, più tardi l’Irlanda che arriva sino alle soglie dell’800 ; la Francia sembra averlo perduto nelle regioni più arretrate durante il secolo scorso, e così pure l’Italia settentrionale e centrale; il lamento persiste ancora nelle cosiddette aree depresse, cioè in quelle che non sono pie72

FRANCO CAGNETTA

namente entrate nel processo di industrializzazione, come l’Europa balcanica e danubiana, qualche zona della Spagna, e — per l’Italia

— la Puglia, la Lucania, la Calabria, qualche settore anche abbastanza a nord della catena appenninica (come la Sabina) e, infine, la Sardegna. Nella sua forma generale il lamento funebre è un sistema organico tradizionale e rituale di espressioni foniche (verbali e musicali) e mimiche, sistema che si inseris[...]

[...]io attraverso T attitu che in Orgosolo è molto spesso legato alla esortazione alla vendetta; gli uomini eseguono la vendetta che fa parte integrante del cordoglio ed è il modo maschile di esprimerlo. Un esempio caratteristico di attitu di vendetta può essere il seguente:

Ohi fizos meos caros pranghidelu ’e tottu leades s’iscupeta chi b’ana a babbu mortu

(O figli miei cari, piangetelo tutti, prendete il fucile, che vi hanno ucciso babbo). Oppure:

Sas lacrimas a nois lassade a bois su piantu non cumbenit.

Sa mancia chi hat fattu a s’eridade solu su sambene sou la trattenit

(Lasciate le lacrime a noi donne, a voi non si addice il pianto. La macchia che l’uccisore ha fatto alla famiglia solo il sangue la cancelli). Altra forma tipica di lamento in occasione di morte violenta è quella che contiene imprecazioni e propositi di vendetta contro i carabinieri : il che è comprensibile data la frequenza di ucci76

FRANCO CAGNETTA

sioni in conflitti a fuoco. Eccone un esempio molto noto in Orgosolo che si riferisce ad una sorella [...]

[...]Cart., tav. LVII.

Altra edizione, analoga, di Amsterdam (Clement De Ionghe), senza data, è:

4) Nova description d’Italia: Sardegna; con originale in Londra, conservato nel British Museum, cm. 106x124. È riprodotta nel cit. Mon. It. Cart., tav. LIX.

All’opera di Magini si attenne anche la carta di Sardegna de:

5) L}ltalia di Matteo Greuter. Stampa veneta del 1657. Sardegna (foglio 10) cm. 208x114, riprodotta nel cit. Mon. It. Cart.

Pure al Magini si attiene Vincenzo Coronelli nel suo celebre: Ìsolario descrittivo geografico histonco sacro profano antico moderno politico naturale e pratico ecc. Tomo II delVAtlante veneto, opera e studio del P. Maestro Vincenzo Coronelli, Min. Conv. Cosmografo della Serenissima Repubblica di Venezia e Principe dei Geografi. A spese dell’Autore M.DC.LXXXX.VI. Nella carta:

6) Isola e Regno di Sardegna soggetta al Re di Spagna ecc. Alle pp. 102103.

7) Le Royaume de Sardaigne dressé sur Ics cartes manu scripte s levées dans le Payt par les ingégnieurs piemontois a Paris. (A Messieurs de TAca[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: I ricordi di Ziu Anzelu Zudeu (Angelo il Giudeo[Angelo Floris]), pastore, cacciatore di tesori in Orgosolo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]e, infatti, che in questo paese la prima popolazione fu Mongola e vi fu capitale con tante ricchezze: un milione di anni prima di Gesù Cristo.
Ci sono qui tante torri dette Nuraghi che sono state abitate dai Signori. E i Signori non possono stare, e tanto meno vivere, senza i tesori.
Ci sono grotticelle dette Domus de janas che devono essere state le case di certe antiche Signore. E come donne e Signore tesori di certo ne devono avere avuti. E pure lasciati nella casa.
Ci sono pietre che sono dette Sepolturas de sos Gigantes. E per esser giganti, di tesori ne devono aver presi ed avuti: se no non si capisce che stavano a fare i giganti.
Anche se il nostro paese é stato sempre povero e misero, per latitanti — grazie alla giustizia — é stato sempre ricco e grandioso. Questi latitanti tesori ne devono avere fatti: e come i peli delle pecore.
Ci devono essere qui monete d'oro e di argento, perle, rubini e diamanti.
In certi libri di storie ho saputo tutto questo. Me li avevano dati a leggere un prete e un soldato che queste cose le cerc[...]

[...]isce che stavano a fare i giganti.
Anche se il nostro paese é stato sempre povero e misero, per latitanti — grazie alla giustizia — é stato sempre ricco e grandioso. Questi latitanti tesori ne devono avere fatti: e come i peli delle pecore.
Ci devono essere qui monete d'oro e di argento, perle, rubini e diamanti.
In certi libri di storie ho saputo tutto questo. Me li avevano dati a leggere un prete e un soldato che queste cose le cercavano, e pure le sapevano.
In campagna di tanto in tanto si trovano di certe pietre che devono essere preziose se i forestieri se le pigliano e le portano a Cagliari a museo e officina. Si trovano monete di pasta. E vasi di pietra. Ma, con tanti signori, ce ne deve pure essere stato qualcuno che ce li aveva d'oro..
Il tesoro dei ricchi e dei latitanti deve stare sepolto in"qualche parte: grotta, bosco o casa.
Non resta che cercarlo per cambiare condizione.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 127
Ma prima voglio raccontarvi come era la mia condizione di pastore di Orgosolo, ai tempi miei. E voi direte che è meglio cercare tesori.
Da quando ero nato, io, povero pastore orgolese, più che di uomo ero figlio di bosco e di pecara. In quell'età in cui avevo più bisogno di padre e di madre ero dovuto andare solo, infatti, in bosco; e quando avevo più bisogno di essere curato[...]

[...] di camminare, così che bisognava correre al fiume per ammorbidirle.
Mi portavo addosso tutta la casa. E per 200, 300 chilometri, o piú. Letto: per terra. Cuscino: una pietra. Una pelle di pecora o di bue vuota, stretta alle zampe, per portare il latte. Per fare formaggio due
128 FRANCO CAGNETTA
o tre vasi di sughero: sos malunes. Allora si riscaldava il latte con pietre arroventate. Poi questo é sparito e abbiamo avuto caldaie di rame. C'era pure qualche forma in legno di perastro per far formaggio, qualche fune e qualche mazza. C'era pure qualche oggetto di pastore come sa muria, ossia mazza per agitare il latte; su corcariu, ossia cucchiaio di corno e sa leppa, coltello. L'acciarino. E poi un archibugio, sempre questo, magari anche due.
Il mangiare veniva quando veniva. Non c'erano ore di pasto e dure leggi, come a Fonni. Si mangiava ad avere tempo, fame. E man, giare, in primo.
Di paese portavo qualche provvista di sale. E vino. Partito, non c'era né pane, né grano. Poco ce n'era o niente. Niente si comprava. Né si voleva. C'era solo latte cagliato, sa frue: a rotta di collo. Quando non potevamo più di questo latte inacidi[...]

[...]ite, malattia di intestini, carbonchio la pecora. Ci sono pastori antichi, come ziu Naniu Mina, che di questa carne gli piace ancora, e di più dell'altra: non mangerebbero che questa.
Pipata, zigarro, poco si usava. O niente.
Ben presto la neve cadeva e tutto sul pascolo stava, ora, un mantello bianco. La nostra casa, una grotta o una quercia bucata. Tutto il verde spariva per un mese, due. Allora il bestiame cominciava a tremarsi di freddo, e pure affamato. Correva a cerca di steli, di fronza, come anime dannate. Pecore si morivano nei precipizi chiusi per neve; nella piana si svenivano, pigliavano convulsione e il bianco mantello li copriva. Mi ricordo l'annata 1893 che vedevo il suolo, tratto a tratto, pieno di infelici cadaveri di pecore. Non c'era difesa che con il tagliar i rami e far fuoco, a volte incendiare tutto il cespuglioso e un bosco intero. Notti e notti restavamo all'aperto abbracciati con le pecore. Quando la pioggia cominciava e la neve spariva, gridavamo di gioia come i
INCHIESTA SU ORGOSOLO 129
matti e cominciava p[...]

[...]! che è tempo di scendere e, vicino, nuovo tempo di neve.
Le malattie di pecore erano molte. Ne ho conosciute troppe. E sempre. C'era la pecora zoppa, sa mussida ossia malattia di mammelle, il verme al cervello, sas ranas ossia malattia di fegato. La volpe. Sola difesa il coltello, il fucile, e qualche parola di fatturzu, ossia fattura e cioè sas presuras.
In nome de Babbu mannu e de sos margianos torrimus bonos contos manzanu (*).
Si usavano pure certi sacchetti, sas punzas, con qualche erba, o parola, o dente di serpe. Si metteva alla collana. C'era una malattia come una mela sul cervello, con tanta acqua che si faceva e bisognava levare piano piano quell'acqua col coltello, senza che l'animale morisse. C'era qualche specializzato o majariu ossia mago per questo.
Il mio lavoro era lungo e sudato come quello dei pastori: il mungere, il formaggio, i1 castrare, il tosare, l'uccidere, il pulire. Non parliamo della guardia, giorno e notte, che era una tortura, contro le volpi,
(*) In nome del gran Padre e delle volpi / ne terremo buon c[...]

[...]nome del gran Padre e delle volpi / ne terremo buon conto domani.
130 FRANCO CAGNEITA
l'aquila e quella bestia più astuta e più di numero che é sempre iI ladro, tra noi.
Fuor che i frutti di latte, formaggio, lana e carne (che pur ci ba stavano in famiglia) il commercio era triste e quasi nulla si vendeva. Tutto era a cambia merce. Per andare a vendere qualche chilo di formaggio bisognava andare sino a Macomer e a Siniscola. E non si aveva neppure un soldo, ma 2 o 3 centesimi. Tante volte per abbuscare qualche soldo, al fine di comprarmi qualche zigarro o arma pure, mi é capitato di andare di casa in casa in tutto il vicinato e, dopo pure un mese, non sempre ci riuscivo.
I rapporti tra noi pastori erano buoni e ci volevamo bene piú di adesso. C'erano omicidi, come adesso, per un odio, e per vendetta. Dieci o quindici all'anno. Ma questo é sempre stato.
L'amicizia più universale del bestiame era ad Orgosolo che il padrone, ossia su mere dava a tenere il gregge ad un altro pastore o su cumpanzinu e questo a fine d'anno dava a lui la meta dei frutti, e si prendeva la meta del gregge poi cresciuto. C'erano pastari ché lo davano ad un terzo.
I peggio trattati erano i servi, sos terraccos. Io lo ho fatto tanti anni. Ma il servo é[...]

[...]rgiu ossia tesoro.
Dice: — Vado a questo compare e lo convinco a dare il libro, senza dir niente. Ci metteremo a cercare. Che il tesoro c'é. Appuntamento il venerdì.
Quattro o cinque giorni dopo, quando aveva già il libro in mano, andiamo a cercare il tesoro e con mio fratello Antonio, che é venuto, tutta' la notte prima non abbiamo dormito.
Il giorno fissato andiamo io e lui, il padrone Manca, e quel Battista Grehu, che si era portato con sé pure un ragazzo, dicendo che era orfano, poveretto, e che si poteva tirare su con una piccola parte
di tesoro. "`T'
La sera restiamo a Orgoi. E come é nera notte, il ragazzo nuovo tiene il libro ed io un ramo acceso per fare luce a ziu Battista Grehu, che leggeva, e tutti gli altri cominciano a zappare.
Quando leggeva il libro io sentivo: « Io ti comando in nome di Dio, 'ustu est su veru, di stare lontano di me dal Diposito di Artiglieria e da tutta la Compagnia, lampu de unu boja, Tu sei angelo perduto, et cussu est pro unu omine bonu ».
Quelli zappavano.
Tiravano fuori mattoni.
132 FRANCO [...]

[...]ando leggeva il libro io sentivo: « Io ti comando in nome di Dio, 'ustu est su veru, di stare lontano di me dal Diposito di Artiglieria e da tutta la Compagnia, lampu de unu boja, Tu sei angelo perduto, et cussu est pro unu omine bonu ».
Quelli zappavano.
Tiravano fuori mattoni.
132 FRANCO CAGNETTA
Mattoni, mattoni.
All'improvviso si sente un punto duro.
Corriamo tutti e zappiamo:
Era una pietra di mola di mulino, spezzata a due. E forse, pure,
la ha rotta qualcuno di noi a piccone.
Qua non si é trovato niente. E il vecchio ha detto:
— Saltiamo dal confine del territorio di Orgosolo a quello di Olie na. Forse 11 ci avremo più forza. — Poi ha domandato: — E le monete dove le avete messe?
Se le aveva prese un fratello del Manca padrone, Giovanni Antonio.
— No. No. No.
Dice che servivano per spinzare, cioè messe a terra tutta la terra si frantumava in tante monete.
Dunque il caso è successo che, non avendo moneta, non abbiamo trovato il tesoro.
Io rimasi a custodia dei majali e gli altri se ne tornarono.
Mi metto a cercare e [...]

[...]e dove le avete messe?
Se le aveva prese un fratello del Manca padrone, Giovanni Antonio.
— No. No. No.
Dice che servivano per spinzare, cioè messe a terra tutta la terra si frantumava in tante monete.
Dunque il caso è successo che, non avendo moneta, non abbiamo trovato il tesoro.
Io rimasi a custodia dei majali e gli altri se ne tornarono.
Mi metto a cercare e trovo solo pietre. Mattoni e mattoni. Nella distrazione mi ho perso due maiali pure.
Erano due o tre mesi che cercavo. La storia di s'ussorgiu, ossia tesoro, si sa nel paese di Oliena. E ziu Battista Grehu organizza una combriccola con quegli olianesi. Ha pensato: Quelli di Oliena sono meno soggetti a1 diavolo tentatore di quelli di Orgosolo. Così ci avranno piú, forza.
Vanno un'altra sera. Ed io vado a vedere. Ma mi hanno scacciato.
Si sono messi a scavare e si dice che hanno trovato solo mattoni. Mattoni e mattoni. Trovano pure il resto della mola rotta, che era 11 rimasta.
Ma a me la passione di cercare era ora venuta. Ci dovevano essere monete d'oro e d'argento, perl[...]

[...]
Erano due o tre mesi che cercavo. La storia di s'ussorgiu, ossia tesoro, si sa nel paese di Oliena. E ziu Battista Grehu organizza una combriccola con quegli olianesi. Ha pensato: Quelli di Oliena sono meno soggetti a1 diavolo tentatore di quelli di Orgosolo. Così ci avranno piú, forza.
Vanno un'altra sera. Ed io vado a vedere. Ma mi hanno scacciato.
Si sono messi a scavare e si dice che hanno trovato solo mattoni. Mattoni e mattoni. Trovano pure il resto della mola rotta, che era 11 rimasta.
Ma a me la passione di cercare era ora venuta. Ci dovevano essere monete d'oro e d'argento, perle, rubini e diamanti.
Una volta eravamo in tanti pastori. Si parlava di un tesoro lasciato dai Latitanti in una grotta del Sopramonte. Chi diceva che era mille anni fa, chi diceva che era di Orgurui, un Latitante del 1825. La grotta era, si pensava, sotto a « sa pruna ».
Parliamo un poco la notte, attorno al fuoco, e decidiamo di andare in quattro o cinque. C'era unu ziu, un certo Antonio Flore, e dice di
INCHIESTA SU ORGOSOLO 133
andare soltanto [...]

[...]ndare soltanto a sera tarda: a quell'ora l'anima di .Orgurui dormiva
e non bisognava svegliarlo.
Appena fa scuro, il giorno dopo, andiamo in silenzio, e scalzi.
La grotta c'era, nel punto saputo, e l'ingresso era nascosto da frasche. Entriamo e incominciamo a camminare.
Si andava avanti sotto la luce di un ramo di ginepro acceso. E ci venivano incontro, col farci paura, le nostre ombre. Si sentiva lontano un rumore di acqua: ma poteva essere pure quel brigante che era troppo vecchio e gli colava il naso. Andavamo muti, a cuore in bocca.
Dopo dieci, quindici minuti doveva cominciare id posto del tesoro. C'era un fiume sotterraneo, ma piccolo piccolo, e bisognava traversarlo. Poi c'era una grotta che bisognava infilarsi ad uno ad uno a terra,
e la grandezza era solo per un cane.
Va avanti un certo ziu Puligheddu col ramo acceso in mano ed entra per primo in una stanza. Poi, ad uno ad uno, abbiamo cercato di entrare. Il secondo, che era quel ziu Antonio Flore, che abbiamo detto, ad un tratto si mette a gridare:
— L'oro! L'oro!
Aveva[...]

[...]tatue di natura. Alla luce del ramo acceso erano luccicate ed a noi era sembrato l'oro.
Qualcuno si é messo a piangere.
E siamo usciti tutti fuori.
Più d'uno era convinto .che si trattava di vendetta: Orgurui il Latitante, padrone del tesoro, ci aveva voluto allegrare prima, facendocelo vedere, e poi, per dispetto, lo aveva trasformato in pietra. Siamo
134 FRANCO CAGNETTA
usciti prima di mezzanotte, perché se il morto si svegliava ci poteva pure uccidere.
Ma, per questo, non mi dovevo scoraggiare. Il tesoro doveva trovarsi. Dovevano esserci di monete d'oro e di argento, perle, rubini, e diamanti. E mi succede un'altra storia.
Una volta capita a Mamoj ada uno straniero. Io stavo li, di passaggio, con le pecore. Ero in strada, e quello mi riconosce dal vestito per orgolese, e dice: — Nell'orgolese c'è un Nuraghe che si chiama Lollové ed é sopra il Sopramonte.
Io abitavo come capraro in localita vicina.
— Beh — dice quello — a pochi passi c'è il tesoro. Nel primo punto che penetra il sole la mattina lá c'è il tesoro. Basta sterrare.[...]

[...]el punto, togliamo pietre e rimuoviamo terra. Si trova una nicchia, come una piccola grotta, tonda. Ed, entrati, troviamo al centro di una stanza molto piccola una pietra quadrata: proprio al centro. La solleviamo, e c'era una buca che poteva entrare un uomo: era il tesoro!
_ C'e ?
Non c'é!
Macché! Proprio niente!
Cerchiamo un'ora:
Niente!
Allora abbiamo pensato che, se ricchezza c'era, se l'era già presa qualcuno. E portata chi sa dove. Oppure che il sole non era quello che ci voleva bene, un Padre, e bisognava venire in altro tempo.
INCSUESTA STS ORGOSOLO
Come ho fatto.
Ce ne andiamo e tante volte, ogni tanto, tornavo da solo per anni ed anni. Dopo un giorno di cammino arrivavo a quel Nuraghe. Oggi non esiste quasi più perché io solo l'ho demolito.
E questa storia si conclude così.
Nel paese é cominciato a sapersi che io cercavo i tesori, e trovavo solo pietre. E quasi mi ridevano. Ma io pensavo che non avevano ragione, e che, prima o poi, un tesoro lo avrei trovato. Ci dovevano essere monete di oro e di argento, perle, rubin[...]

[...]no e facciamo salita per tutta la notte, tra i sassi. Ogni tanto il prete si voleva riposare.
— Andiamo, andiamo! — dicevo.
— C'è ancora strada?
Lo scemo rideva, gridava.
Siamo sul posto verso l'una, le due. Il prete esce la carta e si mette
a leggere in latino. Ci aveva una fune e da una quercia a un sasso
prendeva le misure. Faceva salti e gridava ogni tanto certe parole
come: — Gú gú, bú bù.
Lo scemo batteva le mani, saltava. E faceva pure lui così.
Il prete, alla fine, trova il punto, e si mette in ginocchio.
— In ginocchio! — dice — Tre Pater, tre Ave, tre Gloria!
E io e lo scemo, insieme, giuriamo di saperle.
— Adesso — dice il prete — dovete levare gli occhi al cielo e, quando sta per cadere una stella, cominciate a zappare.
Era di giugno. Ma ci avevo paura che la stella non cadesse. Oppure, che, tenendo gli occhi al cielo, il prete, sotto al naso, mi portasse via il tesoro.
— Così dice il libro!
— E va bene!
Lo scemo guarda le stelle ed io il prete. Il prete sempre diceva le sue orazioni di diavolo: — Gú gú, bù bù.
All'improvviso cade una stella ed io ero morto quasi dalla gioia. Cominciamo a zappare, a zappare. E scava e scava: avremo fatta una buca di due metri. Forse piú.
— Forza, forza! — dice il prete — Io faccio le orazioni.
E dice ancora: — Gú gú, bú bú.
Lo scemo pure.
Tutt'a un tratto sento qualche cosa dura. Io grido, il prete grida,
lo scemo più di tutti. Ci [...]

[...]to al naso, mi portasse via il tesoro.
— Così dice il libro!
— E va bene!
Lo scemo guarda le stelle ed io il prete. Il prete sempre diceva le sue orazioni di diavolo: — Gú gú, bù bù.
All'improvviso cade una stella ed io ero morto quasi dalla gioia. Cominciamo a zappare, a zappare. E scava e scava: avremo fatta una buca di due metri. Forse piú.
— Forza, forza! — dice il prete — Io faccio le orazioni.
E dice ancora: — Gú gú, bú bú.
Lo scemo pure.
Tutt'a un tratto sento qualche cosa dura. Io grido, il prete grida,
lo scemo più di tutti. Ci siamo abbracciati.
Ora bisognava pensare a tirare il tesoro.
Tiro. E c'era una certa forza.
Tiro ancora. E viene fuori una testa di crapa. E tutta spolpata!
137
INCHIESTA SU ORGOSOLO
— E questa che é?
— Vi sarete. sbagliato.
— Non mi posso sbagliare. Questo é il punto della carta.
Scavo ancora: niente!
Il prete era verde e rosso: si vedeve anche di notte. Lo scemo
piangeva, batteva le mani.
— Sarete stati voi. Per poca fede l'oro si è cambiato in testa di crapa.
— Mi pare che qui di[...]

[...]osso sbagliare. Questo é il punto della carta.
Scavo ancora: niente!
Il prete era verde e rosso: si vedeve anche di notte. Lo scemo
piangeva, batteva le mani.
— Sarete stati voi. Per poca fede l'oro si è cambiato in testa di crapa.
— Mi pare che qui di scemo c'é solo lei, padre pio.
— E tu sei più cretino di lui. Stavamo per attaccarci.
— Se questa testa era oro — dico io — datemi in oro la decima che avete promessa.
Te la puoi prendere pure tutta questa testa. — Era incazzato. Io pure ero incazzato, ma ora ridevo: era la prima volta che un prete dava una decima, e anche più, a un pastore.
Si é tolta la tonaca, se ne è andato e bestemmiava. E lo scemo dietro, saltando e ballando, e gridando: — Gú gò, bù bù. Sino a Orgosolo.
Ero proprio sfortunato! In quei tempi si metteva male la pastorizia ed io facevo il pastore. Cambio mestiere e mi metto a fare il postino di Orgosolo. Un po' sapevo leggere. Si era messa la posta in Orgosolo, il 1900, proprio in quel tempo. Andavo una volta alla settimana e qualche volta al mese a Mamoiada. A cavallo. E mi portavo una grossa bisaccia. [...]

[...]
— Questo é un filone — dice.
No — dico io. — Non vi inganno (avevo capito che diceva che
io sono furbo, e cioè filone). Pietre così ce ne é in tanti posti.
— Andiamo a vedere.
Andiamo e si é visto tutto.
E ad Iserrai dice: — Qui c'é un tesoro!
« Ci siamo, penso io. Questa é la volta buona! ».
Si vedevano pietre stellate a terra.
— Bisogna fare un saggio. Qui c'é una galleria. Deve essere stata fatta dagli antichi romani.
— E scaviamo pure noi — dico io. — Presto! presto! Cerchiamo iI tesoro.
— No — dice Sanguinetti. — Qui bisogna fare uno sfruttamento regolare. Dobbiamo continuare la galleria e pigliare la calamina.
— Beh — ho pensato. Questo vuole pigliare tempo!
— Intanto ti dó lavoro, a te e ad un altro.
— Bene, bene.
Ho preso con me ziu Pichireddu Tommaso, che ne aveva bisogno. Ma del tesoro non gli dico. Cominciamo a fare lo scavo e questa pietra si stendeva per 200, 300 metri in superficie.
— Qui — dice Sanguinetti. — Potete fa y "una buona giornata in
quattro per un anno. /'..w. ~
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INCHIESTA SU ORGOSOLO[...]

[...]una buona giornata in
quattro per un anno. /'..w. ~
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INCHIESTA SU ORGOSOLO 139
— Bene, bene.
Il giorno dopo porto a lavorare mio figlio e un altro ancora. Per un anno. Prendevamo pietre e le mettevamo in certe hallette che portavamo a Mamojada e, di li, le spedivano a Cagliari.
Io sempre pensavo: « Che diavolo starà mai in mente a Sanguinetti. Qui c'é il tesoro certamente e lui pensa a pietre. Deve averci qualche piano e pure, a far questo, ci avrà il suo tornaconto. Intanto, ci dà da lavorare! ».
E la notte, senza dire niente a nessuno, venivo a cacciare il tesoro, per conto mio.
Un giorno viene un figlio di Sanguinetti da Cagliari e ci dice che é una miniera: quelle pietre si vendevano.
Allora io dico: — Io l'ho scoperta. Io l'ho fatta vedere a tuo padre. E ora mia.
— No — dice lui. — Dietro richiesta la Concessione é stata intestata a mio padre. La ha avuta solo lui. Tu non puoi far niente. Se non lavorare a ordine suo. E mio. Ti posso anche cacciare subito di qui e far tornare a fare il pas[...]

[...] montagna di Orgosolo per un rubatorio, in 4 o 5: di pecore. Siamo rimasti tutto il giorno a guardare i pastori, quando potevamo prendere il bestiame. Ed i fucili che ci avevano.
Viene la sera ed i pastori entrano nelle baracche. Mettiamo tutti la parola che erano le 11, invece delle 2, se poi ci interrogavano. E poi ci siamo divisi in tanti, ognuno per una baracca da assaltare. A un segno, buttiamo in aria ogni baracca. E ognuno al suo dovere. Pure se ci erano due o tre pastori per parte, noi, a uno solo, li lottiamo e li disarmiamo e li leghiamo. Non c'era stata una archibusata e, solo, le capanne se ne erano andate tutte in aria. Stiamo per pigliare il bestiame, quando a un tratto viene un certo ziu Pasquale, un uomo grosso, parente dei pastori. Vede quel caòsso e ha principiato a sparare. Spara e spara. E noi rispondiamo. E i pastori, non si sa come, si sciolgono e sparano. Sembrava un cielo di stelle: ed erano pallini.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 141
Quando ci abbiamo visti presi in mezzo, aspettiamo un poco. E ce ne andiamo.
Strada fa[...]

[...]o. La ha riconosciuto subito: era un compagno morto in altra bardana.
Lo spirito presentandosi disse: — Non andate. Perché se andate non vi riuscirà bene. Avrete scontro ed uno resterà.
Il capo ritorna, pallido, e ci dice: — Zessù e Maria! Mi sento male. Ho un male allo stomaco. Torniamo indietro — e non ci ha detto la verità per non farci spavento.
I compagni non volevano proseguire.
— Fermi! fermi! Non andate!
Una parte 10 ascolta (c'ero pure io). Gli altri se ne vanno con un capo nuovo. Il primo capo, di spavento, gli era venuto davvero male. Gli altri se ne sono tornati a mani vuote ed avevano lasciato uno sul terreno, il nuovo capo. Un mio cugino lontano.
Basta. Ci dovete credere: io non pensavo a queste cose. Non ci credevo. Ma da quel giorno ho avuto sempre qualche noia con quelle Anime per 1015 anni.
Una volta stavo dormendo in capanna, quando sento un uomo addosso. E cominciamo a guerreggiare.
Era uno spirito, e pur ci aveva una certa forza. La capanna dove stavamo si é fatta tutta storta e bistarta..
A me é successo. A[...]

[...]scrivo che, certo, i fumi di vino tutti qui li conoscono.
Ma proprio in quel tempo che facevo lo spirito — è un caso strano — io incontro uno spirito. E piú. E proprio vivi.
Mi trovavo al paese con un lampicchio, in quel lavoro, e viene una bettolaia di Irgoli che voleva subito trenta, quaranta litri. Non li avevo. L'ordinazione era buona: le ho promesso che, appena pronti, glieli andavo a portare. Trovo un compagno di Bitti che doveva partire pure ad Irgoli. E combiniamo di viaggiare insieme.
Questo uomo doveva andare ad Irgoli per una cosa sua speciale: c'era li una spiritata — Maria Ruju si chiamava — e lui andava da lei per sapere della salute di sua moglie. Tanti pastori di Orgosolo e dei paesi vicini andavano a lei per interpellarla: aveva gli spiriti in corpo.
Vendo l'alcol, faccio soldi, e l'amico chiede" se volevo fare cono
INCHIESTA SU ORGOSOLO 143
scenza di questa spiritata: per ogni cosettina lui ci andava, che lei sapeva tutto, ed era sempre contento.
Io mi penso: « Che gli chiedo? Niente ». Ma poi mi viene: « Ho aspet[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Pure, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---Perché <---Diritto <---Ecco <---siano <---Pratica <---italiani <---italiana <---italiano <---Ciò <---Cosa <---Logica <--- <---Stato <---abbiano <---Andate <---Basta <---Così <---Dio <---Francia <---Fundales <---La sera <---Macché <---Oliena <---Orgosolo <---Però <---Sardegna <---Siniscola <---Supramonte <---Vado <---cristiana <---cristiani <---mangiano <---Andiamo <---Artiglieria <---Baronia <---Bellissimo <---Bitti <---Cagliari <---Campidano <---Dei <---Dico <---Ditemi <---Domus <---Egitto <---Engels <---Etica <---Gangas <---Gigantes <---Gran <---Inghilterra <---La Chiesa <---La notte <---Lanusei <---Locoe <---M.S. <---Mamoiada <---Mamojada <---Memling <---Mi pare <---Musicologia <---Noi <---Nuoro <---Nuraghi <---Ogliastra <---Ohi <---Orani <---Orgurui <---Orulu <---Osporrai <---Passano <---Paura <---Pii <---Più <---Pochi <---Poetica <---Potete <---Presto <---Quale <---Santissimo Padre <---Scienze <---Sopramonte <---Spagna <---Storiografia <---Torino <---Tortoli 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