Brano: [...] oltre la mania di cambiar casa, gli sopravvenne la nostalgia del paese suo natio (Saviano) e quella delle sorelle (molto affettuose per il saccheggio fatto) e nell'anno 1887 ci trasferimmo a Saviano. Tale trasferimento era contrario a mio padre, ma mia madre 10 convinse con uno stratagemma: quella casa era piena di spiriti, spiriti che, neanche farlo apposta, apparivano durante l'assenza di mio padre. A questo proposito, chiedo perdono alla mia povera mamma, di queste accuse necessarie per la narrazione esatta, e non vorrei mi maledicesse, dall'altro mondo, perché l'ho amato e venerato can quell'affetto che si deve ad una madre, che ve n'é una sola. Mio padre, buono, onesto e lavoratore, acconsentì a questo altro trasloco (e molti altri dolorosi ne seguirono). A Saviano fittammo una casetta modesta per dormire, un piccolo deposito per la merce, con una stalla annessa: perché, dimenticavo dire che era rimasto, per fortuna, l'asinello e il carretto.
Il paese non consentiva la vendita a minuta, e mio padre iniziò la vendita nei paesi limitro[...]
[...]ni or sono. Però data l'ora tarda, non poteva aver luogo la visita sanitaria, ma una commissione di donne si recò dalle autorità, e con l'attenuante di aver fatto un disastroso viaggio, ottennero eccezionalmente, dopo una visita sommaria, di sbarcare.
L'incontro fra noi e il povero papà fu commoventissimo. Un piccolo carretto a mano ci aspettava per caricare le nostre masserizie e i nostri bagagli, consistenti di quattro materassi ottimi che la povera mamma prima di partire ebbe cura di rifare la lana, insieme ai cuscini, e diverse valigie di pura pelle (no, erano sacchi vuoti, puliti però, pieni di tutta la biancheria necessaria). I genitori noleggiarono una carrozza, ed io fedele al posto lasciato in Italia, seguii a piedi il carretto, però senza il mio somarello, che avevamo venduto in Italia. A piedi, seguendo il carretto, e facendo buona guardia alle masserizie, feci circa quattro chilometri. La distanza, e la fame sopraggiunta, pareva quella strada che non finiva mai. Mio padre aveva avuto cura di fittare una bella casetta di due sta[...]
[...] chiamavano « petit'Isa ». Sempre volentieroso ed ossequiente, acquistai la simpatia dei coniugi Sassone, tanto che oltre il compito di apprendista mi era serbato il compito di cameriera, perché tenevo buona parte della mattinata in braccia la piccola Isa che finivo anche per addormentarla, cantandole la strofetta in francese, che dalla madre avevo finito per imparare a memoria:
Dor, dor, bellange d'amour
Jusqua tombò jei te sairè fidele (').
Povera frase francese, ma dopo cinquantaquattro anni è ancora troppo!
La clientela del giovane ciabattino cresceva giorno per giorno, ma dovetti mio malgrado rinunziare. Ero molto occupato la mattina per fare l'apprendista; ma che apprendevo? solo di fare la balia, e cantare la ninnananna, e nel pomeriggio a fare scuola con una passione violenta, e spesse volte il canzonettista di fortuna. Passarono i tre mesi, ed il maestro era molto soddisfatto di me, e dopo pochi giorni ricevetti il certificato di terza classe elementare francese, che conservavo gelosamente ma dopo il bombardamento del 17 settem[...]
[...]a, che dopo due mesi mi arrotondò la paga a lire 6 per settimana (in quell'epoca si pagava per settimana) e con i lucri delle mancie e l'economia dei tram, incominciavo a sentirmi un impiegato di concetto. Avevo finito di pagare il sarto e ordinai un altro vestito: ero diventato un giovanottino bello ed elegante (non mi tacciate di immodestia). Non vi nascondo, che seguitavo a fare qualche riparazione per arrotondare il bilancio domestico.
Alla povera mamma mia non era passata la mania di cambiare casa, però questa volta aveva ragione). Aveva trovato una casa più bella, con un pezzetto di giardino e con un risparmio di qualche liretta mensile in meno, in una strada meno centrale, ma questo non aveva importanza (I). Vi erano in quel palazzetto altri quattro inquilini, due famiglie francesi una famiglia Algerina, e una famiglia Italiana. Sul medesimo pianerottolo, di fronte a noi, vi era la famiglia francese: due figlie, marito e moglie, operaio anche lui come mio padre. Debbo raccontare a questo proposito un episodio curioso.
Una domenica,[...]
[...] non ci fu verso. Voleva per forza.
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farmi rimanere con lui, come un figlio, assumendo qualunque responsabilità, ma specie mio padre non ne volle sapere.
Decisi allora di darmi da fare, per le dovute pratiche. Avevo saputo che per le famiglie bisognose vi era una disposizione del console italiano a Marsiglia: concedeva il viaggio gratis, però senza vitto, naturalmente dopo le burocratiche pratiche di accertamento di famiglia povera. Intanto il tempo stringeva, il padrone di casa minacciava lo sfratto. Io conoscevo Marsiglia palmo per palmo, e tutte le mattine alle nove mi recavo al palazzo del console alla Rue Canebière per vede re se la pratica nostra era ultimata. L'usciere capo, un tipo nervoso, non mi dava neanche il tempo di domandare, e mi mandava fuori dalle scatole. A furia di andare, a furia d'insistere tutti i giorni, una mattina non vi era quell'usciere capo, che tanto aveva preso ad odiarmi, e con buoni modi cercai persuadere quello di servizio, perché mi avesse annunziato al Console Generale. Questo si mise[...]
[...]giorni, come stabilito, tornai a S. Giovanni con mia moglie per caricare il carro ferroviario, e firmando gli effetti per lire 3.600 oltre l'anticipo di lire 500. Quel giorno si fece tardi e dopo di averci mangiato due belle pizze e due bichieri di vino, spendendo lire 1,20 in tutto, compreso la frutta [e] 2 soldi di mancia, partimmo alla volta di Avellino alle ore diciannove per arrivare alle ore ventiquattro circa, con una fame da lupi. La mia povera madre ci aspettava, e ci cucinò alla svelta dei maccheroni e un uovo. Preparai le mie cose, e dopo due giorni arrivò il vagone di merce nuova e bellissima, malgrado la sicurezza di mio zio Sabino che io non avrei avuto mai il piacere di avere un vagone di merce con un credito (a quei tempi colossali) di lire 3.600.
Il lavoro ebbe inizio, mio padre lavorava giorno e notte per i mercati viciniori, Atripalda compreso, avrei voluto accompagnare mio padre col carretto, ma non volli farlo, non per il lavoro, né per ver
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gogna di farlo, (perché il lavoro onesto, qualunque specie[...]
[...]ra me e mio zio Sabino, che nel 1907 fece il testamento a mio favore, mercè sempre l'interessamento del compare Ciro Fusco.
Lascio a voi descrivere la mia gioia e quella di Vincenzina mia moglie, che vedevamo sicuro coronato il premio dei nostri sacrificii, del nostro lavoro, e perché no? delle nostre privazioni. E dico privazioni, perché non ho voluto descrivere minuziosamente qualche difetto di mio zio Sabino, difetto sopportato da me e dalla povera mia Vincenzina con francescana rassegnazione, poiché mentre ai clienti che non pagavano gli si dava da mangiare, bere, dormire, sigarette e servitù, a noi veniva lesinato un poco di caffè nél latte per i bambini, Amato e Sabino, e che la madre doveva mandare a comprare 4 soldi per volta, dal padre di Esterina, Nicola Magliaro, che aveva negozio ad Atripalda. E quanti pianti a tavola, perché i piccoli Amato e Sabina non gli piaceva il formaggio (mentre oggi ne vogliono una grattugia) e dovevano mangiarselo per forza. La carne la mia povera zia ce lo doveva dare di nascosto, e tante e tante alt[...]
[...]gli si dava da mangiare, bere, dormire, sigarette e servitù, a noi veniva lesinato un poco di caffè nél latte per i bambini, Amato e Sabino, e che la madre doveva mandare a comprare 4 soldi per volta, dal padre di Esterina, Nicola Magliaro, che aveva negozio ad Atripalda. E quanti pianti a tavola, perché i piccoli Amato e Sabina non gli piaceva il formaggio (mentre oggi ne vogliono una grattugia) e dovevano mangiarselo per forza. La carne la mia povera zia ce lo doveva dare di nascosto, e tante e tante altre cose, che non vale la pena elencarle.
Prego i miei nipoti di prenderne atto, non esagero...
Si era arrivato nel 1908. E' vero che era pieno di responsabilità, gli affari progredivano giorno per giorno, le cambiali ed altri debiti venivano gradualmente eliminati, avevo anche eliminato i clienti morosi. Chi non pagava alla fine del mese, non aveva più niente, le cose andavano normalizzandosi poco per volta, lavoravo molto dippiù, ma ero tanto felice, perché incominciavo a sentirmi un poco più sicuro del mio avvenire, o meglio dell'avven[...]
[...]un poco più sicuro del mio avvenire, o meglio dell'avvenire dei miei due figli. Avevo trent'uno anno, con tanto lavoro di vent'anni e con figli grandicelli, non ero ancora proprietario di un pacchetto di sigarette. Avevo estinto il debito dello zio Francesco Bocchino, il residua del mio commercio delle terraglie lo avevo dato al mio povero padre, per farlo continuare a vivere, eppure ero tanto tanto felice. Ricevevo solo dei rimproveri dalla mia povera Vincenzina
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mia moglie, perché lavoravo troppo e tutte le sere mi ritiravo pieno di sudore, anche nei mesi freddi. Pensavo tra me e dicevo a me stesso: — Con questa vita che faccio, morirò presto —. Invece il destino, la Provvidenza non mi abbandonava: al momento che scrivo ho sessantasette anni, seguito a lavorare, seguito a vivere.
Intanto la salute di mio zio Sabino peggiorava giorno per giorno per la malattia di gotta che soffriva, e il 18 febbraio del 1909 morì, lasciando nel dolore la moglie zia Angelarosa, noi tutti e tutti coloro che lo avevano co[...]
[...]gli Amato e Sabino, mentre nel basso, dove attualmente esiste la trattoria di Melella Giordano, abitava mio padre, mia madre, e le mie due sorelle, tornate da S. Giorgio del Sannio.
Il lavoro del buffet era di molto aumentato: poco per volta pagai tutti i debiti lasciati dal mio povero zio, fino all'ultimo centesimo, perché non volevo che si parlasse male di mio zio defunto. Posso garantirvi che la mia felicità era completa, lavoravo con la mia povera moglie Vincenzina senza limiti.
Nel novembre del 1909 avvenne un forte diluvione nella provincia di Salerno, producendo fortissimi danni, con la caduta di un ponte ferroviario e con la distruzione di parecchi chilometri della ferrovia. E proprio in quell'epoca vi doveva essere un forte passaggio di truppe che dovevano prepararsi per la Libia, e tutte queste truppe dovettero passare per molti giorni per Avellino, finché non fosse riattivata la ferrovia nel Salernitano. Descrivervi il lavoro per noi, giorno e notte è impossibile. Mentre il giorno si lavorava con i pranzi per gli ufficiali inin[...]
[...]a nuova al n. 5, per non dare l'impressione che i medici per visitarlo dovevano entrare in quel basso umido, ed intanto diversi medici non sapevano decifrare la natura di quel male. Finalmente dovetti decidermi far venire da Napoli uno specialista che si decise fare qualche puntura, e pare che il 20 giugno migliorava leggermente, e che mi lasciasse intravedere qualche speranza. Come se non bastasse la mia preoccupazione per lui, si ammalò la mia povera Vincenzina. Dopo visitata mia moglie, mi disse queste testuali parole: — Per vostro padre uniformatevi che non vi è speranza: la sua miglioria è fittizia. Per vostra moglie, è cosa da nulla: fra pochi giorni lascierà il letto —. Però a questa proposito, con mio sommo rincrescimento, debbo incolpare mia moglie per certe sue stranezze (e credo che dall'altro mondo voglia perdonarmi). Per economia di poche lire volle chiamare il Dottore Alvino di Atripalda, in luogo del Dottore Festa di Avellino, nostro medico curante. E pare che questo Dottore Alvino gli abbia somministrato delle cartine astrin[...]
[...]imento, debbo incolpare mia moglie per certe sue stranezze (e credo che dall'altro mondo voglia perdonarmi). Per economia di poche lire volle chiamare il Dottore Alvino di Atripalda, in luogo del Dottore Festa di Avellino, nostro medico curante. E pare che questo Dottore Alvino gli abbia somministrato delle cartine astringenti credendo fosse diarrea, mentre era un emoraggia interna. Certo, o il destino crudele, o la fatalità di un errore, la mia povera Vincenzina alle ore 22 del 1° luglio volò la sua anima al cielo, lasciando nel più duro dolore a me e i poveri figli in età che avevano ancora bisogno della guida amorosa e materna. La cosa più tragica, che dovemmo nascondere al mio povero padre la grande sventura che mi aveva colpito, perché mio padre voleva piú bene a lei, che a me. Ma al mattino seguente, il 2 luglio, i gridi e i pianti dei poveri figli Amato e Sabino (che io la sera prima avevo fatto allontanare, inviandoli a casa di mia madre) e tutti i parenti di Montefusco, fecero intravedere la realtà della sventura al mio povero padr[...]
[...]dere la realtà della sventura al mio povero padre, che mi volle al suo capezzale, e fondere le mie lacrime alle sue. Mio padre che (secondo il Dottore Aufieri) doveva morire, visse ancora ventotto giorni, e quel santo uomo che sopportò con tanta rassegnazione le sue sofferenze, per non arrecarmi altri Mori, tutte le volte, e dieci minuti prima di morire, alla mia domanda, come si sentisse, rispondeva: — Molto meglio, figlio mio —:
Povero padre, povera moglie! Chi può descrivervi il dolore, che cosa può essere una disgrazia simile? Perdere in ventotto giorni di distanza i due esseri più cari, la moglie di un primo amore a 38 anni, e il padre
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bello, roseo più giovane di me a 63 anni. Che anno, 1910, non l'auguro a nessun mortale nemico!
Cercai allontanare i miei figli inviandoli a Montefusco, ma dopo pochi giorni ritornarono, volevano almeno rinfrancarsi dell'affetto paterno dopo di aver perduto quello materno. Sabino si lasciò convincere andare a Solofra da un nostro compare, che eravamo legati come fr[...]
[...]Tornati dal viaggio di nozze, riprendemmo con passione il nostro lavoro. Zia Angelarosa e Amelia erano in poco tempo diventate maestre nel loro compito, ed io facevo il mio giro per gli acquisti. Come tutte le iniziative mie, anche questa fu coronata con molto successo, e gli affari andavano a gonfie vele. Il lavoro intenso era la pasta, e quasi tutte le sere si dovevano vuotare e selezionare quindiciventi casse, ed i tre artefici ero io, la mia povera Amelia e mio figlio Sabino, il quale fin da piccolo aveva una passione per il commercio, e di scuola era poco appassionato; figlio che in questo momento benedico e lo addito ai fratelli tutti, ai figli, ai nipoti, come esempio di lavoratore, onesto ed obbediente, mai un dispiacere, mai un rifiuto ai suoi doveri. Con questo non voglio menomare l'affetto
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per gli altri figli, che per un buon padre rimane sempre uguale per tutti, anche se in momento di narrazione se ne voglia tessere qualche elogio.
Dal principio del secondo matrimonio non fu il solo negozio che fu causa[...]
[...]pio del secondo matrimonio non fu il solo negozio che fu causa della mia ascesa a gradazione, ma furono molti i sagrificii: due sole camere per dormire, una per noi ed un'altra piccola (che fu adibita dopo per salotto) per la zia Angelarosa, e i figli Amato e Sabino, e tutto il resto della casa adibita per albergo, che ci ha sempre fruttato abbastanza, oltre tre quartini al palazzo Alvino di fronte, che fittavamo, a camere mobigliate, che la mia povera mamma e una persona di servizio ne curavano la manutenzione. La nostra vita fu sempre piena di sagrificii, di lavoro, di privazioni, essa non conosceva, nè concepiva il lusso, solo si affacciavano alla mente i primi due rimorsi (se così vogliamo chiamare) per la mia povera Vincenzina e per il mio povero padre, che solamente quando era venuto il momento che potevano godere la vita, la falce crudele della morte mi vietò tale ambito desiderio.
Il lavoro, e gli affari aumentarono senza sosta. L'idea predominante di diventare grossista non mi dava tregua, interpellai la ditta Ciaburri di Napoli, grossista di coloniali e fabricante di liquori, per avere un poco di credito e fare ad Avellino un mezzo grossista, ma tale credito in un primo momento mi fu cortesemente rifiutato. Ed allora per due anni ancora tirai avanti col fornire a tutti i ferrovieri la merce che dis[...]
[...]dita all'ingrosso, per modo di dire, cioè qualche chilo per ogni articolo, ai piccoli dettaglianti.
Ero molto soddisfatto, avevo l'aria già di un grande grossista: dall'acquisto di kg. 5 cioccolato, incominciavo a ritirare dalla Svizzera (Compagnie Suisse di Lugano) i primi kg. 50 di cioccolato speciale a lire 2.60 il chilo franco Avellino con pagamento a 60 giorni tratta, e così per lo zucchero, caffè, pepe ecct. Durante questo periodo, la mia povera Amelia, zia Angelarosa si occupavano per la vendita a minuto perché erano diventate molto provette, ed io mi incaricavo per la vendita all'ingrosso, e per gli acquisti. La mia casa si allietò del primo figlio Carlo, poi Vincenzina che insieme a Umberto, e Mario venuti dopo, furono cresciuti su sacchi di pasta, farina, e persino nei tiretti del caffè, senza tante sottigliezze, né bambace, né
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paramenti di seta, merletti ecct., ma solamente con l'affetto materno e paterno: á. quali gioivano, lavorando e cantando. Che bei giorni felici! Si andò avanti fino a[...]
[...]no. Naturalmente occorreva stimolare i nuovi clienti, e su ogni listino settimanale vi era segnato qualche articolo di largo consumo, un prezzo quasi al di sotto del costo: naturalmente tale perdita veniva compensata su altri articoli oscuri, o di lusso.
Ero felice, mi complimentavo con me stesso, lavoravo, smistavo la merce in arrivo, con le spedizioni in partenza, pulivo i vetri, i scaffali, cantando le canzoni dell'epoca, spesse volte la mia povera Amelia mi coadiuvava nelle canzoni e nel lavoro. Come eravamo f elici, pareva che tale felicità non dovesse avere mai tramonto. Lavoravo da solo, sempre tenacemente, ma ero pure coadiuvato dal piccolo Sabino, che a quindici anni pare che era piú incline al commercio, che alla studio.
Mi fu ordinato dall'Ente Autonomo di gestire uno spaccio per la vendita dei generi tesserati, cosa che dovetti accettare per forza, per non perdere il diritto di esonero al servizio militare, ma fu un grande guaio ed un forte lavoro, poiché oltre il lavoro della mia azienda già molto bene avviato, dovevo occupar[...]