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Il segmento testuale Porta è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 108Analitici , di cui in selezione 6 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Giovanni Frediani, Poesia dialettale ieri, oggi [relazione conferenza 1951 ca a Domodossola] in Relazione dattiloscritta probabile 1951

Brano: [...]uni "fogli d'ordini" altrimenti detti "veline" che il Ministero Fascista della Cultura popolare aveva diffuso:
22 Settembre 1941 "I quotidiani, i periodici e le riviste non devono più occuparsi in modo assoluto del dialetto"
2 Settembre 1942 "Non occuparsi del teatro vernacolo. Questa disposizione ha carattere tassativo e permanente"
3 Giugno 1943 "Non occuparsi di produzioni dialettali e dialetti in Italia: sopravvivenza del passato"*
Polemica PortaGiordani La polemica sulla validità o meno della poesia dialettale è stata lunga e aspra. Già al tempo del grande poeta meneghino Carlo Porta una polemica contro il dialetto fu iniziata dal noto linguista Pietro Giordani e dette la possibilità allo stesso Porta di difendersi validamente. Fu così:
L'11 Febbraio 1816 il piacentino Pietro Giordani, scrisse un articolo contro la poesia dialettale apparso sul periodico "La Biblioteca Italiana" in cui tra l'altro diceva:
"I dialetti mi paiono rassomiglianti alla moneta di rame, la quale è pur necessaria al minuto popolo e alle minute contrattazioni. A comunicare coi prossimi le idee più basse e triviali basta a ciascuno l'idioma natìo."
Il Porta, con la sua satira mordace rispose al giordano con "Dudess sonitt a l' abaa Giavan". Abaa, perché il Giordani era stato frate. Giavan (Sciocco) e qui il Porta non era stato giusto.
Ed ecco uno dei sonetti... Uno dei tredici sonetti che il Porta scrisse per rispondere al Pietro Giordani nel 1816:

Conzeess per vera el mè car sur Giavan,
che lù el parla con pasta de zecchin,
e che a l'incontra nun goff de Milan
parlem con pasta sgregia de quattrin,

ch'el me traga on poo in spezz sto bell sovran,
disendem chi, tra lù e nun meneghin,
sarav pù scior con ona dobla in man,
nun tutta in ramm, o lù tutta in or fin?

E quand lù col sò or, nun col nost ramm
vegnissem a coo a coo in di medem spes,
che differenza mai potrà 'l trovamm?

Credi, el mè sur Giavan, che tutt al pù,
la differenza le starà in del pes...
Oh, se la và a legger l' ha reso[...]

[...] Milan
parlem con pasta sgregia de quattrin,

ch'el me traga on poo in spezz sto bell sovran,
disendem chi, tra lù e nun meneghin,
sarav pù scior con ona dobla in man,
nun tutta in ramm, o lù tutta in or fin?

E quand lù col sò or, nun col nost ramm
vegnissem a coo a coo in di medem spes,
che differenza mai potrà 'l trovamm?

Credi, el mè sur Giavan, che tutt al pù,
la differenza le starà in del pes...
Oh, se la và a legger l' ha reson lù!
Carlo Porta

B. Croce La polemica seguitò finché prima il grande De Sanctis, con vari saggi, e poi Benedetto Croce mostrarono l'inutilità di tale discussione. Cito il Croce perché mi sembra che egli dimostri chiaramente il torto dei suoi oppositori.
Taluni critici pongono due questioni che, sembrano assai gravi:
1) La poesia dialettale ha ragion d' essere, e, nella affermativa, a quali soggetti deve restringersi, qual è il suo grado artistico?
2) Il poeta dialettale deve essere esatto e storico riproduttore della vita e del carattere di quel popolo di cui adopera il dialetto?
Ma io non le ho trattate per[...]

[...]to alla religione, quanto alla sua cattiva applicazione da parte dei sacerdoti,
Critica alla nobiltà la prepotenza dei nobili e dei ricchi, il loro disprezzo per la giustizia, la ribellione platonica del povero e qualche volta la sua rassegnazione,
Il campanilismo il campanilismo sono temi che vengono trattati dai poeti di ogni dialetto fino agli inizi di questo secolo.
Altri in seguitoAltri sono i temi comuni che vedremo successivamente.
Carlo Porta (17761821) milanese Iniziamo l'esame e la lettura di alcune poesie sul tema della satira al costume dei nobili e del clero. E incomincio dal grande Carlo Porta. (disco)
Avete notato nel disco queste espressioni:
Gran primerista fina de bagaj
che 'l giuga i esèqui on mes prima de faj
ed ancora:
No sugass el sudor cont el mantin
in fin nissuna affatt di porcarij
che hin tant fazil lor pret a lassà côr
come se 'mond el fuss tutt so de lor
La satira del clero è un argomento che ritorna spesso nella poesia del Porta.
In "Lettera a on amis" nel quale sonetto egli si lamenta del suo pessimo stato di salute, si trova questa espressione:
Sont rivaa a fà compassion
finna a un pret che viv d'esequi
e nella poesia "Fraa Condutt":
Lu el contratta la messa, i esequi, i offizi come i oeuv e i pollaster de pendizi.
e potremmo fare altre innumerevoli citazioni. Sulla nobiltà avete notato nel disco la fine satira alla marchesa Travasa . Anche su questo argomento le citazioni potrebbero essere innumerevoli, ma mi limiterò a leggervi questo sonetto:
Sissignor, sur marches, lù l' è marches,
marchesazz, marcheson, marche[...]

[...]'esequi
e nella poesia "Fraa Condutt":
Lu el contratta la messa, i esequi, i offizi come i oeuv e i pollaster de pendizi.
e potremmo fare altre innumerevoli citazioni. Sulla nobiltà avete notato nel disco la fine satira alla marchesa Travasa . Anche su questo argomento le citazioni potrebbero essere innumerevoli, ma mi limiterò a leggervi questo sonetto:
Sissignor, sur marches, lù l' è marches,
marchesazz, marcheson, marchesonon,
e mì sont Carlo Porta Milanes,
e bott lì, senza nanch on strasc d'on Don.
.....................................................................
Lù senza savé scriv, né savé legg,
e senza, direv squas, savé descor,
el god salamelecch, carezz, cortegg;

e mi (destinon porch!) col mè stà sù
sui palpee tutt el dì, g' hoo nanch l'onor
d'ess saludaa da on asen come lù.
Gioacchino Belli (17911863) romano Belli i cui oltre 2000 sonetti avrebbero dovuto per sua volontà essere distrutti e che ci furono tramandati dal suo amico il canonico Tizzani, che ritenne suo dovere mancare alla promessa per conservare ai posteri una c[...]

[...],
e senza, direv squas, savé descor,
el god salamelecch, carezz, cortegg;

e mi (destinon porch!) col mè stà sù
sui palpee tutt el dì, g' hoo nanch l'onor
d'ess saludaa da on asen come lù.
Gioacchino Belli (17911863) romano Belli i cui oltre 2000 sonetti avrebbero dovuto per sua volontà essere distrutti e che ci furono tramandati dal suo amico il canonico Tizzani, che ritenne suo dovere mancare alla promessa per conservare ai posteri una così importante opera.
LI SETTE PECCATI MORTALI
Senti, te vojo dà sette segreti
su la distribbuzzion de li peccati.
L'avarizzia è er peccato de li preti,
e l'usuria er peccato de li frati.

La superbia impallona lo poeti
pe li loro sonetti stiracchiati:
e la gola ingallisce li tre ceti
de cardinali, vescovi e prelati.

Le donne attempatelle hanno l'invidia:
li cavaljeri cojonati, l' ira;
e l'impiegati pubbrichi l'accidia.

Strigni poi tutte er settenario, e capa
mettele dirent'ar bussolo, e poi tira:
qualunque piji nun sta bene ar papa?

da :PIU' PE LA MARCA ANNAMO PIU' MARCHICIAN TROVAMO
Hai tempo a mutà[...]

[...]i tempi lì, si un poveraccio
se fosse, Dio ne scampi, compromesso,
lo schiaffaveno sotto catenaccio,
e quer ch'era successo era successo.

E si poi j'inventavi un' invenzione,
te daveno per forza la tortura
ner tribunale de l' Inquisizione.
E 'na vorta lì dentro, sarv' ognuno,
la potevi tenè più che sicura
de fa' la fine de Giordano Bruno.
Pascarella

L' EDITTO
Dicheno che una vorta
un prete nun entrò ner Paradiso
perché trovò
'st' avviso su la porta:
"D' ordine de Dio Padre onnipotente
è permesso l' ingresso solamente
a quelli preti ch' hsnno messo in pratica
la castità, la carità, l'amore
che predicò Gesù nostro Signore.
Se quarchiduno ha fatto all'incontrario
sarà mannato subbito a l' inferno.
Firmato: Er Padre Eterno.
San Pietro, segretario.
Povero me! Sò fritto!
Disse er prete fra se Fra tanti mali ciamancava l' affare de st'editto!
Chi diavolo sarà che je l' ha scritto?
Naturalmente, l'anticlericali...
Trilussa

Da "LA CAMPANA DE LA CHIESA"
...................................
Nun dipenne da te che nun sei bona,
ma dipenne dall'anim[...]

[...]overnanti. Sentite alcuni esempi: è ancora il Belli che scrive
LA CARROZZA D' UN CARDINALE
Già, a Cacciabove, propio indove strozza
la strada sur macello, ecco de botto
ce s' infrocia abbrivata una carrozza
co un gentiluomo in abbit' e pancotto.

Lì er cucchieraccio fijo de na zozza
senza dì "a voi davanti", e de gran trotto,
sapenno già ch'er poverello abbozza,
t'acchiappa un vecchio e te lo mette sotto.

Le rote je passonno s' una zampa
che fu portato a casa mezzo morto,
e dice ch' è un miracolo si campa.

De tutto è stato fatto er su rapporto:
ma che te credi? Er cucchiere la scampa,
ché, se sa, chi va a piede ha sempre torto.

L' AMORE DE LI MORTI
A sto paese tutti li penzieri,
tutte le loro carità cristiane
sò pe' li morti; e appena more un cane,
je se smoveno tutti li braghieri.

E cataletti e moccoli e incenzieri
E asperge e uffizzi e musiche e campane
E messe e catafarchi e bonemane
E indurgenze e pitaffi e cimiteri!...

E intanto pe' li vivi, poveretti!
Gabbelle, ghijottine, passaporti,
manoreggie, galerre e cavalletti.

E li viv[...]

[...]elle, ghijottine, passaporti,
manoreggie, galerre e cavalletti.

E li vivi poi, boni o cattivi,
sò quarche cosa mejo de li morti:
nun fuss'antro pe' questo che so' vivi.
G.G.Belli

Ed il Fucini,
Da "LA REPUBBRIA"
............................
Così non pol' anda', te l'assiuro:
chi lavora, lo vedi? 'un si satolla;
e 'r mi' padrone, pezzo di figuro,
sgranocchia sempre tordi e pasta frolla.

Da " ER CAMPOSANTO"
.............................
Cosa 'mporta studià' 'n della sapienza?
Cerca d'arrabattà quarche miglione,
e poi, se crepi: "E' morta su' eccellenza!"

Da " MISERIA SERENA"
.............................
Che vita fo? La vita der signore!
Sarvo la differenza solamente,
che loro mangian sempre alle su' ore,
e alle mi' ore io nun mangio niente.

E non manca il Trilussa
Da "ER SORCIO DE CITTÀ E ER SORCIO DE CAMPAGNA"
..............................
Ma qui, si rubbi, nun avrai rimproveri:
le trappole so' fatte pe' li micchi:
ce vanno drento li sorcetti poveri,
mica ce vanno li sorcetti ricchi!

Ed il vivente Enzo Guerra emiliano (14 o magnet[...]

[...].......................
Ma qui, si rubbi, nun avrai rimproveri:
le trappole so' fatte pe' li micchi:
ce vanno drento li sorcetti poveri,
mica ce vanno li sorcetti ricchi!

Ed il vivente Enzo Guerra emiliano (14 o magnetofono)

Campanilismo Un altro tema che si ritrova in poeti di varie regioni è il campanilismo, che però scompare quasi con la fine del secolo scorso e di cui si trovano oggi scarsi residui.
Ecco alcuni saggi dei nostri conoscenti Porta, Belli, Fucini
Da " LA DIVINA COMMEDIA IN DIALETTO MENEGHINO"
Virgilio spiega a Dante che:
...hoo scritt on poema, ma sui sciall,
sora Eneja e 'l foegh d'Illi in vers latin;
e te diroo che voreva anch brusall
per ghignon de no avell faa in meneghin.
Porta
L'ILLUMINAZIONE DELLA CUPPOLA
Tutti li forestieri, ogni nazzione
de qualunque paese che se sia,
dicheno tutti quanti: "A casa mia
ce se fa gran bellissime funzioni".

E nun dico che dìchino bucìa
fòrzi, chi più, chi meno, hanno raggione.
Ma chiunque ciè a Roma, in concrusione,
mette la coda fra le gamme, e via.

Chi popolo pò èsse, e chi sovrano,
che ciabbi a casa sua 'na cuppoletta
com' er nostro San Pie' in Vaticano?

In qual' antra città, in qual antro stato
c'è st'illuminazione benedetta,
che t'intontisce e te fa perde er fiato?
G.G.Belli
Da "DU' STERRATORI IN CERCA DI LAVORO"
...........[...]

[...] Co' quella scena,
addio vignata! E li pollastri ar forno
c'è toccato a strozzasseli pe' cena.
L'oste:
Ma tutti qui! Sarà 'na jettatura,
che t' ho da dì ? Ma c'è tanta campagna...
E annateve a scannà' fòr de le mura
e no, percristo, qui dove se magna.
La gente che vede dietro al trasporto funebre una donna che si dispera:
Ecchela là, vicino a la colonna;
La vedi? Chi sarà? Sarà l'amante.
E' la madre Dio mio! Povera donna!
Il vetturino che ha trasportato il morto all'ospedale:
Io, che c' entra? Sfiatavo li cavalli
pe' fa' presto. Ma intanto? 'sti cuscini
me ce vonno du' scudi pe' rifalli.
Qui, come in tutti i poeti dialettali serpeggia la potente e inesausta vena umoristica popolare.



Potenza umoristica e satirica Qualche volta, è vero, l'umorismo è di bassa lega, e scade nello scurrile, nel sottinteso volgare, come il Fucini, il Trilussa e lo stesso Terototela. Ma queste eccezioni non riescono a diminuire di molto il valore complessivo delle loro opere, e la potenza satirica ed umoristica della poesia dialettale.
Sentite ancora il Porta,[...]

[...] come in tutti i poeti dialettali serpeggia la potente e inesausta vena umoristica popolare.



Potenza umoristica e satirica Qualche volta, è vero, l'umorismo è di bassa lega, e scade nello scurrile, nel sottinteso volgare, come il Fucini, il Trilussa e lo stesso Terototela. Ma queste eccezioni non riescono a diminuire di molto il valore complessivo delle loro opere, e la potenza satirica ed umoristica della poesia dialettale.
Sentite ancora il Porta, il Belli, il Fucini, il Pascarella, il Trilussa e Edoardo De Filippo
ER MISERERE DE LA SETTIMANA SANTA
Tutti l' Ingresi de Piazza de Spagna
nun hanno antro che di si che piacere
e' de sentì a San Pietro er miserere
che gnisun' istrumento l'accompagna.

Defatti, cacchio!, In ne la gran Bretagna
e in nell'antro cappelle furistiere,
chisà dì com' a Roma in ste tre sere
"Miserere mei Deo sicunnum magna?"
Oggi sur "magna" ce se' stati un' ora;
e cantata accusì, sangue dell' ua!,
quer "magna" è una parola che innamora.

Prima l'ha detta un musico, poi dua,
poi tre, poi quattro; e tutt' er coro all[...]

[...]minenza?"
"Noo dice er papa magna sempre solo".
G.G.Belli

Da "DISGRAZII DE GIUANNIN BONGEE"
.......................................................
............................ett vô el marì
de quella famm che sta dessora lì?
Mi, muso duro tant e quant a lû,
respondi: ovì, ge suì muà, perché?
Perché, 'l repìa, voter famm, monsù,
l' è trè giolì, sacre Dioeu, e me plé.
O giolì o no, ghe dighi, l'è la famm
de muà de mi: coss'hal mo de contamm?
C. Porta

Da "ER VOTO UNIVERSALE"
......................................
O cos' è questo voto? "Ene un diritto
come 'r quale lo 'iamano le schiere
che 'un s' ammattisce perch' è bell' e scritto".

O a cosa serve? "Questo 'un s'ha a sapere:
so che se fo a su' modo e se sto zitto
ci ho già sei che mi pagano da bere.
R. Fucini

Da "LA 'ORTE D'ASSISE"
.........................................
No: vo' prutestare
che 'r delitto nun è premeditato,
perché avanti lo feci anco avvisare.
R. Fucini

Da "ER VAIOLO"
.........................................
Dice: assarva la vita... una saetta!
Scusi: un le l[...]

[...], se j' annava un pelo a l'incontrario,
dava de piccio a tutto er calennario,
metteva in ballo er Paradiso sano;
Dio guardi! Cominciava a biastimà:
Corpo de...! Sangue de... Mannaggia la...

Un giorno, mentre stava a tajà un cavolo
e che pe' sbajo tajò invece un broccolo,
come faceva sempre, attaccò un moccolo:
però 'sta vorta, scappò fora er diavolo
che l'agguantò da dove l'impiegati
cianno li pantaloni più lograti.

Ner sentisse per aria, straportato,
l'ortolano diceva l'orazzione,
pregava le medesime persone
che poco prima aveva biastimato:
Dio! Cristo santo! Vergine Maria!...
M' aricomanno a voi! Madonna mia!...

Er diavolo, a 'sti nomi, è naturale
che aprì la mano e lo lassò de botto:
l'ortolano cascò come un fagotto,
sopra un pajone, senza fasse male.
L'ho avuta bona! disse ner cascà
Corpo de...! Sangue de...! Mannaggia la...!
Trilussa

"A GATTA D' 'O PALAZZO"
Trase p' 'a porta
pe' 'nu fenestiello,
pe' 'na fenesta, si t' 'a scuorde aperta...
quanno meno t'aspiette.
Pe' copp' 'e titte,
da 'na loggia a n' ata,
se ruciuléa pe' dint' 'a cemmenèra.
E manco te n' adduone
quann' è trasuta:
pe' copp' 'o curnicione
ploffete! Int' 'o barcone,
e fa culazione
dint' 'acucina toja.
E' 'a gatta d' 'o palazzo.
Padrone nun ne tene.
Nun è c' 'a vonno male,
ma essa 'o ssape
che manco 'a vonno bene.
Te guarda cu dduje uocchie speretate:
lésa.
N'ha avute scarpe appriesso e secutate:
è mariola!
Povera bestiella, c' adda fa'?
E' mariola pecché vò mangià...
E' mariola...
chesto 'o dice 'a [...]



da Edoardo Esposito, Noterelle e schermaglie. Della Poesia, ovvero il dispiacere preliminare in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]e diceva don Lisander — che di là del Tevere imperano logiche incommensurabili con quelle vigenti al di qua. « Chi non ha capito... che la preoccupazione religiosa è, piú che dominante, esclusiva, rischia di essere irrimediabilmente fuori strada ». Ne è testimone vivente Papa Wojtyla: « Nessun particolarismo sembra condizionarlo; nessun fine terreno lo occupa e lo preoccupa; sono evidenti in lui ii limite e insieme la forza di sentirsi ed essere portatore solo di parole di vita eterna ».
E diciamo la verità: non piove un raggio di tanta grazia anche sugli uomini della D.C., che all'altra sponda del Tevere, alla Gerusalemme celeste, sono cosí spiritualmente vicini? Non è, in fondo, anche per loro, l'esercizio del potere temporale, spirito di servizio, abnegazione, disinteressata dedizione al bene comune?
L'uomo del Guicciardini, di cui De Sanctis, non potendo prevedere i futuri sviluppi della storia italiana, paventava l'endemica incubazione nella coscienza nazionale (« vivit, immo in senatum venit, e lo incontri ad ogni passo ») è morto.[...]

[...]a poesia, a cura di A. Berardinelli e F. Cordelli, Cosenza, Lerici, 1975; La parola innamorata. I poeti nuovi. 19761978, a cura di G. Pontiggia e E. Di Mauro, Milano, Feltrinelli, 1978 (a queste due raccolte fa in particolar modo riferimento il saggio, cui mi richiamo: S. ANTONIELLI, La corporazione della poesia, in Pubblico 1979, a cura di V. Spinazzola, Milano, Il Saggiatore, 1980, pp. 4159). Dal volume Poesia degli anni Settanta, a cura di A. Porta, Milano, Feltrinelli, 1979, prendo qui spunto come da quello recentemente piú discusso, ma sono ora usciti anche: Nuovi poeti italiani. 1, curatori vari, Torino, Einaudi, 1980; Poesia uno, a cura di M. Cucchi e G. Raboni, Milano, Guanda, 1980, mentre al momento in cui scrivo non è ancora apparso l'Almanacco dello Specchio per il 1980, in cui Mondadori presenta annualmente un'ampia rassegna poetica. L'antologia curata da Pier Vincenzo Mengaldo che cito nel testo è Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978; su di essa si possono confrontare gli interventi di R. Luperini e dello stes[...]

[...] ancora apparso l'Almanacco dello Specchio per il 1980, in cui Mondadori presenta annualmente un'ampia rassegna poetica. L'antologia curata da Pier Vincenzo Mengaldo che cito nel testo è Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978; su di essa si possono confrontare gli interventi di R. Luperini e dello stesso Mengaldo in « Belfagor », 31 marzo e 31 luglio 1979.
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 725
mediocrità o meno di ciò che si presenta, e importante è diventato il fatto stesso del presentare: tutti poeti, quindi.
C'è qualcosa di allegro e spavaldo, in tutto questo, che non può non suscitare simpatia, specie quando si pensi alla seriosità che molte volte aduggia il mondo della cultura; cosí come fa piacere pensare a questo largo interesse, a questo voler partecipare in prima persona: il rifiuto sessantottesco della delega rifluisce dalla politica alla poesia; e forse non ci sarebbe da lamentarsene, se non ne nascesse il sospetto, in molti casi, e allora come ora, della moda, e se non si trattasse semplicemente di un altro tipo di seri[...]

[...] quale non si regge piú nemmeno come sostantivo, ed ha bisogno di appoggiarsi ad aggettivi come totale, visiva, visuale, sonora, ecc.).
Non è comunque contro il poeta in piazza (fatto in sé non privo di interesse) che intendo parlare, ma piuttosto contro gli pseudoversi che continuamente vengono proposti, in piazza o nelle vetrine dei librai, e ancor piú in questa sede che in quella. Il libro, che dovrebbe costituire suggello e riconoscimento importante, soggiace ormai troppo agli interessi dell'industria editoriale e alla scarsa capacità autocritica degli autori; invece di vedersi offrire poche buone cose, il lettore è sempre piú costretto a un ritmo da cottimo, e temo che la stanchezza conseguente vada non poco a scapito di un sereno giudizio.
Troppo lungo sarebbe l'elenco dei volumi pubblicati in questi ultimi anni, e anche limitandosi alle antologie chi volesse aggiornarsi sul fenomeno della poesia attuale può sentirsi a ragione scoraggiato; basti dire che il volume Poesia degli anni Settanta, a cura di Antonio Porta, contempla 85 po[...]

[...]edersi offrire poche buone cose, il lettore è sempre piú costretto a un ritmo da cottimo, e temo che la stanchezza conseguente vada non poco a scapito di un sereno giudizio.
Troppo lungo sarebbe l'elenco dei volumi pubblicati in questi ultimi anni, e anche limitandosi alle antologie chi volesse aggiornarsi sul fenomeno della poesia attuale può sentirsi a ragione scoraggiato; basti dire che il volume Poesia degli anni Settanta, a cura di Antonio Porta, contempla 85 poeti per una decina d'anni (non solo giovani, certo), contro i 51 che leggiamo nella antologia curata da Pier Vincenzo Mengaldo e relativa a tutto il Novecento; cronaca e storia, naturalmente, ma il rapporto non pare comunque un po' sproporzionato? Ci sono fra questi poeti persone che a trent'anni hanno già pubblicato tanti versi quanti Ungaretti o Montale in una vita; se questo è anche un risultato di poetica (l'accumulazione, tanto piú se dell'informe, sembra essere diventata un preciso canone espressivo), bisogna riconoscere che non è estranea ad esso un'intenzione che non h[...]

[...]si della sua capacità espressiva nel narcisistico gioco di un linguaggio del tutto privato: esito naturale del suo esasperato sperimentalismo, del suo avere innalzato a fine quello che dovrebbe essere soltanto mezzo.
Non intendo naturalmente fare d'ogni erba un fascio; mi esprimo contro una tendenza e non presumo di esaurire con questo il possibile discorso sulla poesia d'oggi e sui suoi aspetti positivi. Proprio in riferimento all'antologia di Porta le cose da segnalare non mancano, e proprio per le loro ricerche non tradizionali andrebbero citati Majorino, Rossana Ombres, Valentino Zeichen, la Rosselli, Giuseppe Conte e altri. Ci sono, in molti di questi versi, figurazioni intense, ci sono immagini vive e la musica delle parole che da sempre è propria della poesia; sono tratti di per sé sufficienti a garantire che non siamo di fronte a intenzioni o a parole false, e che c'è in molti di questi giovani e meno giovani una tensione sincera verso l'espressfone poetica. Ma soprattutto dove questa appare solo in potentia credo sia giusto non c[...]

[...]ti ad usare moduli oramai usurati, non sostanzialmente diversi da quelli che già usavano (e con ben altre motivazioni storiche) futuristi e surrealisti. Soprattutto il surrealismo ha fatto scuola, grazie anche al diffondersi della psicoanalisi (ridotta anch'essa acriticamente a moda), con il . convincimento conseguente e deteriore che svincolando le immagini dal controllo razionale sia possibile attingere a superiori verità. Ma già, come osserva Porta nelle sue note, la ragione di oggi è soltanto « menzogna », e solo svincolandosi da essa sarà possibile ottenere una « concentrazione di senso cosí forte da fare pensare a una implosione di significati pari alla condensazione di energia che sappiamo propria dei buchi neri », e grazie alla « lezione DADA » ottenere « una pronuncia del linguaggio che mi sento di definire metafisica ».
Per quanto questo linguaggio sembri rimandare a qualcosa di piú vasto e inafferrabile della comune realtà (l'insofferenza per il reale e la presunzione di conoscerlo, anzi di esserne limitati e costretti, è il de[...]

[...]za per il reale e la presunzione di conoscerlo, anzi di esserne limitati e costretti, è il denominatore comune di coloro
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 727
che lo misurano sull'astrattezza delle proprie velleità) si scoprirà guardandolo piú da vicino che ciò che rispecchia è soltanto il privatissimo mondo di un singolo, un gioco solipsistico che non comunica non perché alla comunicazione non crede, ma perché non ha niente da comunicare. Stupisce che Porta rimproveri a Fortini che nei suoi versi « il privato spesso diventa come un'ombra che pesa per certi riferimenti non del tutto afferrabili »; stupisce perché se ne accorge solo in questo caso, per dei versi certo molto piú comunicativi di tanti altri da lui raccolti. L'osservazione può comunque essere pertinente, e colgo l'occasione per sottolineare che non è la « comunicazione » astrattamente intesa, o la comunicazione a tutti i costi (il contenuto, si sarebbe detto in altri tempi) che intendo difendere, ma la comunicazione che deve essere propria della poesia. Molti testi di questi « anni S[...]

[...]i tutti i valori, la destabilizzazione cui ci si appella è diventata ormai un luogo comune, e in quanto tale la giustificazione pretestuosa di una piatta mimesi linguistica. La difficoltà del discorso può spiegare solo in parte, solo come prima reazione, un non discorso; la prerogativa della poesia è sempre stata quella di esprimere ciò che era ritenuto ineffabile.
D'altra parte della psicoanalisi si dimentica una osservazione fondamentale: l'importanza riconosciuta da Freud al cosiddetto « piacere preliminare », a quello cioè che attira il lettore e che dà modo, attraverso il suo magnetismo, di comunicare il messaggio profondo e inconscio; il che significa anche un rispetto per il lettore, per l'« altro » con cui la poesia vuol farci entrare in contatto. È solo attraverso questo contatto che si può procedere oltre, non solo sulla strada della poesia; può naturalmente essere vero che oggi è possibile stabilirlo solo a un livello minimo, ma è importante per questo scegliere il terreno giusto, perché anche di giocare con il linguaggio esist[...]

[...]iminare », a quello cioè che attira il lettore e che dà modo, attraverso il suo magnetismo, di comunicare il messaggio profondo e inconscio; il che significa anche un rispetto per il lettore, per l'« altro » con cui la poesia vuol farci entrare in contatto. È solo attraverso questo contatto che si può procedere oltre, non solo sulla strada della poesia; può naturalmente essere vero che oggi è possibile stabilirlo solo a un livello minimo, ma è importante per questo scegliere il terreno giusto, perché anche di giocare con il linguaggio esistono tanti modi:
Ieri vidi tre levrieri neri neri,
mogi mogi, che domani sloggeranno
oggi vedo tre levroggi levri levri.
728 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
Mi piace citare questi versicoli di Scialoja raccolti da Porta perché piú di tanti altri altamente intonati mostrano come sia possibile far emergere dall'analisi del mezzo espressivo una critica non solo negativa delle sue possibilità; l'ambiguità, il sempre presente « altro senso » del nostro parlare è messo in rilievo attraverso un'intenzione comica, umilmente ma tanto piú in modo significativo (è necessario ricordare che anche il nonsense ha delle regole e non significa semplicemente « privo di senso »?).
Fuori di polemica, mi sembra che le capacità che si intravedono, che la magari caparbia fiducia nella forza della propria parola che è presente in [...]

[...] quindi della politica culturale all'estero della Repubblica federale tedesca. E bisognerebbe aggiungere un capitolo assai felice, se il GoetheInstitut non avesse ritenuto opportuno, allo spirare del contratto, privarsi della collaborazione di un uomo che nel panorama della politica culturale esterna della Bundesrepublik ha rappresentato certamente un'eccezione. Errore del GoetheInstitut? Esperimento? Calcolo? Forse tutti questi elementi insieme portarono alla nomina di MeyerClason, insieme probabilmente alla sottovalutazione della personalità dell'interessato, refrattario a farsi ridurre al rango della gestione burocratica e soprattutto ad assimilare gli stereotipi della concezione dell'ordine e della politica culturale come pura gestione dell'esistente iscritti nei regolamenti e nelle istruzioni della casamadre, costruite sull'esercizio costante di censura e autocensura, appena coperte dall'ipocrisia (dopotutto, si trattava di gestire fondi del contribuente tedesco...) del servizio pubblico e del rispetto per la collettività.
Non fosse [...]



da Vasco Pratolini, Firenze, marzo del ventuno in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...] padrino, fino al giorno in cui un'immagine sacra non incominciò ad elargire delle grazie, dentro quegli oratori.
Risalendo il corso del fiume, ponte Vecchio é il secondo, e il più antico. Lo gettarono i padri etruschi; poi, nell'età di Cesare, la Colonia Florentia venne ad affondarvi le sue radici. Così come appare, lo ideò Taddeo Gaddi, dicono, ma il Longhi lo nega, dopo che la gran piena del Tre Tre Tre una volta di più lo aveva scancellato, portandosi come relitti d'un naufragio i legni della sua armatura. Già da un secolo prima, in un'altra notte e di agguati e di fazioni, su quelle tavole, Buondelmonte ci aveva lasciato la vita.
Il terzo é ponte a Santa Trinita, costruito a spese dei Frescobaldi che in quel punto del fiume, ma di là, avevano le loro case. Crollò sei volte, e sei volte lo si rimise in piedi, dopo che fra Sisto e fra Ristoro domenicani l'ebbero progettato, come per dar tempo, diciamo, all'Ammannati, di rilanciare sulle acque dell'Arno il più bel ponte che mai fiume al mondo abbia lambito.
L'ultimo è il ponte alla Ca[...]

[...]ai fiume al mondo abbia lambito.
L'ultimo è il ponte alla Carraja. Lo stesso Ammannati disegnò la sua struttura, e senza i suggerimenti di Michelangelo, se ci sono stati, come per Santa Trinita. In origine, ancora nel secolo XIII, lo chiamavano ponte Nuovo: per distinguerlo dal Vecchio, é naturale. Se l'erano pagati gli Umiliati d'Ognissanti, bisognosi di uno scalo per le stoffe che uscivano dal loro convento, situato dirimpetto al fiume e alla porta Carrìa. Costi, essendo il ponte che incontravano per primo, facevano capo i carri provenienti dal contado, nel tempo in cui il porto di Firenze era più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro della terza cerchia;
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 3
e qui, ora cosa c'è di cambiato ? La natura del fiorentino, no. Il suo spirito non l'hanno ammorbidito né le tarde Signorie né i Granducati. Ma sempre si conquista qualcosa, che si è pagato sempre troppo caro. È per questo che ogn[...]

[...]to, sulla riva destra del fiume, si trovava, come adesso, il parco delle Cascine che accompagna l'Arno fin là dove riceve nel suo letto il Mugnone. Costi, c'era l'Isolotto, le montagne d'immondizia che gli spazzini venivano a scaricare da ogni parte della città, e parallele le ultime case del quartiere. Un breve tratto deserto e incominciava il suburbio, il contado, coi primi orti di Monticelli, di Legnaja, di Soffiano. L'altro confine era fuori Porta San Frediano. Divisi dalle antiche mura, San Frediano e il Pignone potevano tenersi d'assedio. Le colline di Bellosguardo e di Montoliveto, erano i contrafforti. Dalla parte del fiume, che li separava entrambi dal resto della città, il Pignone seguitava San Frediano. Chiusa la Porta, messo un posto di blocco all'altezza di Monticelli, bastava una sentinella all'imbocco del ponte Sospeso, perché il Pignone fosse al riparo dalle offese. Là, a Rifredi, l'apertura dei prati, la zona stessa, distesa come su un'unica lunga strada e sparsa sui due lati, rendevano possibile ogni irruzione. Il Pignone, non potendo operarvi dall'interno, lo si doveva forzare. Fu un assedio che durò gli anni Venti e Ventuno, con colpi di mano, agguati, spedizioni da parte delle Bande Nere, finché la gente del Pignone non si decise essa a una sortita. Questo rappresentò la sua vittoria, la sua trage[...]

[...]iano le sfide, questi puzzolenti, queste bucaiole". Ora pretendevano che il Masi gli facesse il saluto. « Abbiamo sistemato San Frediano, con la teppa che c'é, figurati se non pieghiamo il Pignone! ».
San Frediano, l'avevano messo a posto come nemmeno la Pa lizia c'era mai riuscita; e pigliandolo di sotto e di sopra, dalle spalle e di petto; entrandoci attraverso le Mura, o da Ponte alla
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 9
Carraja, o dai viali, o da Porta Romana. Oppure, passando chiotti chiotti dal ponte Sospeso e girando al largo dal Pignone. Era sempre buio; Masi non li aveva mai visti in viso. Ma perché lui si peritava di guardare, non perché essi nascondessero la faccia. Non li guardava, ma li avrebbe potuti riconoscere, anche loro, uno per uno. Tutti dei ragazzi, comunque, che avevano fatto appena in tempo ad assaggiare la trincea; e si vedeva, non nascevano dal nulla. Del resto, nessuno glielo comandava, di andare a bastonar la gente, a purgarla, a buttare all'aria le Case del Popolo. Se rischiavano, come rischiavano, era per qualcosa p[...]

[...]lli che ci tenevano penzoloni. Le rivoltelle le avevano dentro la fascia che gli reggeva la vita. Non avevano paura di farsi riconoscere; cantavano e il più delle volte erano in divisa. La camicia nera aperta sul petto anche di gennaio; o col collo alto che gli pigliava tutta la gola; i pantaloni da soldato, coi gambali, o con le mollettiere. Chi in calzoni a righe, chi vestito di tutto punto, con la lobbia che davvero pareva un signorino. Pochi portavano il fez, cotesto aggeggio lo inalberavano nei cortei; i più erano, come si dice, a zucca vuota. Così, capelli al vento e manganello tra le mani, avevano messo a sedere San Frediano, facendovi irruzione una sera ogni tanto, quando pareva se ne fossero scordati. Fino alla sera della battaglia, che loro erano una cinquantina e si trovarono di fronte altrettanta gente, molta di più. « Un buscherio ». Gli rovesciarono addosso, dalle finestre, l'olio bollente; la teppa di via San Giovanni, ne prese uno e stava per infilarlo alla cancellata del Tiratoio; un altro "fu messo al muro e sorbottato, l[...]

[...]nale, bisogna saper leggere sotto i titoli dove dicono: una rissa, un litigio, la solita cazzottata in via del Leone. Qualche sera dopo, invece di loro, ma in mezzo qualcuno ce n'era, lo dicono questi del Pignone e in San Frediano, venne l'Esercito con l'autoblindo, bloccò via San Giovanni, e circondò piazza Tasso; la Polizia, cosí protetta, fece una retata. Dopotutto, se non al Pignone, chi é in San Frediano che non é schedato ? Tra poco, non importa più essere né ladri né ruffiani; « basta ti bollino per sovversivo ». Pensatela come volete, un ordine ci vuole; sistemato San Frediano, si erano buttati sul Pignone. Un osso un po' più duro.
Come in San Frediano, anche al Pignone abitavano dei fascisti; e mentre in San Frediano erano in diversi, ma quando c'era da bussare si eclissavano, al Pignone, i fascisti si contavano sui diti, e al contrario, erano i più coraggiosi. Essi, guidavano le spedizioni. È così, dove c'é più api c'è più miele. Specie con Folco Malesci. Con l'ingegnere. Avrà avuto venticinque anni, nemmeno; non ancora di leva,[...]

[...]co; si son fatti l'un l'altro la prima carezza e la prima spostatura. Sono cresciuti uscio a uscio, di padre in figlio, da nonna a nipote; e nondimeno, è come non avessero un nome, due occhi, gli orecchi per sentire. Sono la gente del Pignone che ha sempre vissuto del suo lavoro, o che si é arrangiata; che ha messo su una Mutuo Soccorso "quando ancora si stava sotto il Granduca", che ha fondato un ricreatorio di cui oggi, i ragazzi, la domenica, portano la divisa: i pantaloni bianchi, la maglia verde, il berretto alla raffaella: e sanno fare gli esercizi, si distinguono da quelli degli altri rioni; che a furia di quotarsi, un tanto la settimana, si sono costruita una Casa del Popolo, un'arena per ballarci durante la buona stagione, un pallaio. Una squadra ginnastica, la banda, dei corridori in bicicletta. Tutte queste cose Malesci e i suoi amici, gliel'hanno amareggiate e messe in pericolo. « Sarebbe il meno male » dicono. È che questa folla, questa gente, s'è vista stringere d'assedio, non più solamente in fabbrica, in Fonderia, ma dentr[...]

[...] stagione, un pallaio. Una squadra ginnastica, la banda, dei corridori in bicicletta. Tutte queste cose Malesci e i suoi amici, gliel'hanno amareggiate e messe in pericolo. « Sarebbe il meno male » dicono. È che questa folla, questa gente, s'è vista stringere d'assedio, non più solamente in fabbrica, in Fonderia, ma dentro le proprie case. Hanno subito bastonate, intimidazioni; si son visti sparire qualcuno dalle file, senza sapere dove andare a portargli un fiore. E sono dei fiorentini, se ne vantano e non l'hanno mai dimenticato: essi non concepiscono degli avversari; ma amici o nemici. Con l'amico ci si tiene per la mano; al nemico: gli si fa "la masa". O noi o loro. La storia del Quartiere, pur giovane quanto il suo ponte, non occorre risalir lontano, si é sempre fondata su questa legge e queste ragioni. Che sono poi dei concetti elementari. Chiari come l'Arno, quando é chiaro e in trasparenza si vedono sguizzare le cecoline. Anche le donne vanno in chiesa, e in confessione non hanno nient'altro da raccontare. Ora che ciascuno si sente[...]

[...]to il suo ponte, non occorre risalir lontano, si é sempre fondata su questa legge e queste ragioni. Che sono poi dei concetti elementari. Chiari come l'Arno, quando é chiaro e in trasparenza si vedono sguizzare le cecoline. Anche le donne vanno in chiesa, e in confessione non hanno nient'altro da raccontare. Ora che ciascuno si sente minacciato, non sono più delle singole persone; hanno fatto cerchio diciamo. Sembra che una parola sia passata da porta a porta, da un davanzale a un finestrino, da un reparto all'altro della Fonderia, di strada in strada, e come una goccia dentro l'alambicco porta a galla i veleni e fa precipitare le buone intenzioni, viceversa, ecco, dopo l'ultima devastazione della Casa del Popolo, si
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 15
sono dati convegno sulla piazza, nelle strade vicine, e aspettano. Non lo sanno nemmeno loro che cosa; ma li aspettano, si vedrà cosa succede. Stanno sugli usci, le donne: le giovani come le anziane; o alle finestre, appoggiate sui gomiti, e tenendosi una mano sul petto, senza dirsi una parola. Guardano i loro uomini riuniti a gruppi sulla piazza, agli angoli di via dell'Anconella e via Bronzino, davanti alle botteghe e al caffé, le spall[...]

[...]emmeno dargli il tempo di ricomporre la salma di Gavagnini. È stata un'ingenuità, ma c'erano preparati, hanno voluto tentare. Questo, piuttosto che disorientarla, ha fatto diventare di pietra la gente del Pignone. Non é un popolo gentile, nodavvero; é capace di commuoversi per nulla: a una parola, a un gesto che lo tocchi nell'intimo del cuore; e per la stessa ragione, ha già pronto il cazzotto. Il suo equilibrio é fatto di intransigenza e di sopportazione, non conosce le mezze misure. « Una cosa di mezzo non é un uomo; e non troverebbe una donna che gli stesse vicino ». L'ingiustizia, o la subiamo o ci si ribella; rassegnarcisi non é possibile.
16 VASCO PRATOLINI
E una folla; e in mezzo ad essa, c'é il buono e il cattivo; non hanno nulla da difendere se non la loro quiete; e i piú, le loro idee di giustizia che non le registra né lo Statuto né il codice dei Tribunali. Non ancora. Anzi, le leggi che ci son ora, e che dovrebbero essere uguali per tutti, non passa giorno che non s'accorgano, una circostanza diventata per loro proverbiale, [...]

[...] deciso. Disarmato ma invulnerabile, aspettava la propria ora, come se il mondo si fosse fermato all'improvviso. E di momento in momento, la loro segreta ascoltazione, diventata sempre più un soliloquio.
« Qui é casa nostra e comandiamo noi ».
« È casa nostra e vogliamo vivere in pace ».
« Specie dopo una giornata di lavoro che vuol vedere l'uomo in viso ».
« Davanti alle caldaie ci sono 700 gradi di calore ».
« La fresa basta un nulla e ti porta via la mano ».
« I torni scartano soltanto se batti gli occhi ».
« Al Pignone non ci devono mai più mettere piede ».
« Non ci debbono rovinare i comizi ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 19
« Non ci debbono interrompere sul più bello una festa da
ballo ».
« Che poi gli uomini non hanno più la testa per mettere
su famiglia ».
« Né per fare all'amore ».
Sempre con l'animo sollevato di vederceli tornare segnati ».
« O chiusi alle Murate ».
« Che non ci faccino perdere il lume degli occhi ».
« Perché anche il lupo esce dal bosco ».
«Perché anche un topo ha i denti ».
« Perché anche un c[...]

[...]. Gli era parso che di tanti gruppi se ne fosse formato uno solo; alle finestre delle case era come non ci fosse più nessuno. D'un tratto, senti uno frigolio di freni, si voltò e vide tre automobili e in fila, i fascisti che ne discendevano, che affrontavano i due carabinieri, li disarmavano, gli legavano i polsi dietro la schiena e li spingevano dentro una delle macchine. « O questa ? » egli non ebbe il tempo di chiedersi. Istintivamente si era portato a ridosso del suo stabbiolo; e uno di quei fascisti credé si volesse nascondere. Costui, Masi non lo aveva mai visto, gli poggiò la rivoltella alla bocca dello stomaco, ma subito dalle sue spalle, Folco Malesci gridò: « È un amico, ve l'ho detto, lascialo stare. E tu Masi, a cuccia e buono, via! ». Masi non si mosse da dove si trovava. « Guarda lacchezzo ch'è questo », perciò. "Questione di minuti secondi", avrebbe detto poi. Una barca si era staccata dalla riva, con due uomini sopra, uno che spingeva la pertica come un dannato e uno, anche lui in piedi, faceva
22 VASCO PRATOLINI
dei segn[...]

[...]ineavano la loro irresolutezza.
« Che si fa ? ».
« Ci hanno tirato un'imboscata ».
« Qualcuno li ha avvisati ».
«Ma siamo stati noi ad avvisarli! Non ci perdiamo in considerazioni ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 2J
Questo era il Pomero che si aggiustava la fascia intorno alla vita.
« Non bisognava venirci dal ponte ».
« Si doveva entrare dalla parte di Legnaja ».
« Come ci si arrivava? ».
« Allora attraverso San Frediano ».
«Dietro alla porta ce ne saranno altrettanti ».
« Qui non si può restare », disse il Pomero. Bestemmiò, poi disse: «Saranno qualche centinaio, questi cenciosi ».
«Allora, Malesci, che si fa? ».
« Si va avanti, come che si fa? Siamo rimasti anche troppo qui a indugiare ».
Colui che aveva parlato non era Folco, ma un altro di quelli che il Masi vedeva per la prima volta. Gli stava quasi di fronte, al fianco di Folco, ed era un ragazzo come Folco, di sicuro non aveva trent'anni. Era alto, magro, un biondino si poteva dire del tipo che era, anche se il berretto all'inglese gli copriva la fronte e gli calzava la[...]

[...]he troppo qui a indugiare ».
Colui che aveva parlato non era Folco, ma un altro di quelli che il Masi vedeva per la prima volta. Gli stava quasi di fronte, al fianco di Folco, ed era un ragazzo come Folco, di sicuro non aveva trent'anni. Era alto, magro, un biondino si poteva dire del tipo che era, anche se il berretto all'inglese gli copriva la fronte e gli calzava la nuca. Sotto la giacca, come troppo larga per lui, invece della camicia nera, portava una maglia scollata. Questo, e come stava in piedi, come si dondolava, rafforzavano l'idea di un marinaio, che fosse li per caso. Aveva il viso abbronzato dei marinai; forse per questo gli occhi sembravano tanto chiari. E una espressione, infine, sulla faccia, non come degli altri dura, risentita, accigliata, ma tranquilla, decisa, percui, non ci si spiega, era, fra tutti, quello che metteva piú paura. Ora reggeva la pistola appoggiandosela sotto il mento, mentre parlava.
Si va avanti », ripeté. « Forza ».
Falco lo fermò, secco e strisciandosi lui la canna del proprio revolver sulla gota:[...]

[...]on v'azzardate! D.
C'era stato un movimento, ma la folla non era venuta avanti; si era come rimescolata dentro le proprie grida. Quindi, una sassaiola si era abbattuta a metà del ponte, contro le fiancate, era ricaduta in Arno. Qualche pietra più piccola, o meglio o più fortemente diretta, era rotolata ai piedi dei fascisti. Come una salve. E di nuovo il silenzio; di nuovo quella voce:
« Malesci se ci sei, fatti sentire da cotesti delinquenti. Portali via D.
Ora Falco si era drizzato in tutta la persona, "gli sporgeva la bazza, tanto doveva essere infuriato". Tuttavia era calmo, la rivoltella in mano, si rivolse al Masi, spiaccicato di spalle contro il suo stabbiolo: « Chi è questo? » gli chiese. «Mah », il vecchio disse, un po' balbettava, un po' si dava coraggio: « O non é il Santini? Mi pare, non lo so ». Poi, rivolto ai suoi amici, Falco gli ordinò: « Non mi venite dietro. Muovetevi quando vi chiamo ». E avanzò sul ponte, si fermò dieci passi lontano.
« Ci sono, eccomi qui », gridò. « Tu chi sei? Sei quella carogna del Santini? D. [...]

[...]l ponte, sparava coi moschetti e i revolver sui barconi. Folco si riparava sul fianco del pilone, quasi accanto al Masi, più che mai spiaccicato contro il suo stabbialo. Il vecchio balbettò, tra l'uno e l'altro scatto dell'otturatore: «Li ho avvistati io, ingegnere. Lora, questi suoi amici, non se n'erano accorti ».
I tre barconi di renaiolo, erano carichi di gente che agitava i pugni e le mazze, facevano manovra per sfuggire alle moschettate e portarsi al largo. Uno fu sul punto di rovesciarsi; si videro tre quattro persone nuotare verso la riva. Anche costi c'erano delle donne; una di esse stava per precipitare, la sua sottana rossa si gonfiava nell'acqua; la ripresero per i capelli e lei lanciò un urlo
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FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO

che sembrò sovrastare i colpi dei fucili, le grida che si levavano al di là del ponte, sulla piazza. Ma già due dei tre barconi, fatto l'inverso cammino, toccavano la riva del Pignone, la gente saltava sugli argini. Il terzo, si dirigeva verso l'Isolotto, con che in, tenzione ?
« Ingegnere, quell[...]

[...] si mosse; costui restò come mummificato. Ma subito dopo, fece un passo indietro, la rivoltella in mano: «Toglietevi di mezzo », urlò. « Guarda Malesci, ti fo fare la fine di quello dianzi, sai ? Tieni ».
La rivoltella scattò a vuoto.
« Non c'era nemmeno la pallottola. Le hai tutte sprecate », lo irrise Folco.
« Anch'io », disse il Pomero, « non ho più un colpo ».
28 VASCO PRATOLINI
E i moschetti erano ormai scarichi; i carabinieri si erano portati via le giberne che non gli avevan levato. Gli altri, qualche colpo potevano spararlo ancora e Tarbé, nella tasca, ci aveva, siccome disse, due caricatori.
« Ma anche se tu avessi due ore di fuoco », disse Folco e apri lo sportello di una delle automobili, che gli apparteneva. « Via, si rientra. Li piglieremo un'altra sera. Per stasera abbiamo fatto anche troppo rumore. Sali, e non ti riprovar più a dir certe parole! »
disse a colui che aveva schiaffeggiato.
Il camerata che un momento prima, con un proiettile in canna, di sicuro l'avrebbe ucciso,` gli ubbidì subito, girò la manovella per[...]



da (9 Domande sul romanzo) Alberto Moravia in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]sona sottintendeva la rappresentazione oggettiva e la credenza nell'esistenza dell'oggetto, credenza condivisa così dal romanziere come dal lettore. Ma dal momento in cui il rapporto con la realtà entra in crisi e la realtà stessa si fa oscura, problematica e inafferrabile, la terza persona si rivela come una convenzione, cioè qualche cosa che rende impossibile l'illusione e l'incanto della rappresentazione romanzesca. Ora le convenzioni sono sopportabili soltanto se fondate su qualche cosa di profondo e di reale. La convenzione che faceva dire du rante l'Ottocento: « Egli pensò» era fondata su una scala di valori che consentiva di credere all'esistenza di una realtà obbiettiva. Crollata questa scala di valori, dire: « Egli pensò » si rivelò come una convenzione vuota e insopportabile. Donde la necessità di dire invece : « io pensai » che risponde esattamente alla concezione attuale della realtà come qualche cosa che non si sa se esista e che, in ogni modo, esiste soltanto per ogni uomo preso singolarmente, caso per caso e senza pregiudizio di altre realtá del tutto diverse.
Ma la prima persona é un veicolo che consente l'indefinito allargamento e approfondimento del romanzo. Mentre infatti è
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9 DOMANDE SUL ROMANZO 41
molto difficile e comunque artificioso e spesso noioso far dire ad un personaggio in terza persona troppe più cose che non consenta la sua azione e[...]

[...] che concilia i due opposti cioè lascia parlare le cose e consente di dirle da scrittori e stilisti. Ma quando mai si. é potuto definire in anticipo che cosa sia classico? La sola maniera di definirlo è di attribuire al termine un significato morale.
7. — All'uso del dialetto in Italia corrisponde sempre una crisi del linguaggio colto e dunque della classe dirigente. Non è un caso che i tre maggiori scrittori dialettali italiani, il Goldoni, il Porta e il Belli, sono raggruppati intorno gli anni della Rivoluzione Francese la quale trovò le classi dirigenti italiane del tutto impreparate e, in un secondo momento, avverse. L'uso del dialetto allora rivelò l'incapacità della lingua colta, giunta ormai ad un estremo grado di rarefazione e di aridità, di esprimere le nuove realtà che si venivano delineando in Europa. Analogamente l'uso del dialetto in questi ultimi anni sta a indicare la crisi della lingua colta e della classe dirigente italiana dopo la catastrofe del fascismo. Gli scrittori che oggi adottano il dialetto, lo fanno per vari mot[...]

[...]modo che la cultura non ha la possibilità di imporre le proprie ragioni alla classe dirigente.
8. — A questa domanda vorrei rispondere a mia volta con alcune domande: é ancora possibile credere nella Storia? Possono ancora esistere storie nazionali in Europa ? E che storia é quella d'Italia, così fallimentare, piena di sconfitte che sono vittorie e di vittorie che sono sconfitte, con il Risorgimento che diventa fascismo, la Chiesa scacciata per Porta Pia che rientra per la finestra del Concordato, la società italiana che venderebbe l'anima al diavolo pur di sopravvivere fisicamente e il comunismo e l'atlantismo ? E ancora: non è forse significativo che nel maggiore romanzo storico che sia stato scritto in Italia, I Promessi Sposi, la storia non abbia alcun peso e sia soggetta alla Provvidenza ? E che nel Gattopardo, ultimo tentativo di fare un romanzo storico, la storia sia negata?
9. — I romanzieri che preferisco sono quelli che vuotano il sacco e dicono tutto quello che hanno da dire, fino in fondo, senza riguardi per il conformismo de[...]



da Enzo Collotti, Noterelle e schermaglie. Lo straordinario Goethe-Institut di Lisbona 1969-1976 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: 728 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
Mi piace citare questi versicoli di Scialoja raccolti da Porta perché piú di tanti altri altamente intonati mostrano come sia possibile far emergere dall'analisi del mezzo espressivo una critica non solo negativa delle sue possibilità; l'ambiguità, il sempre presente « altro senso » del nostro parlare è messo in rilievo attraverso un'intenzione comica, umilmente ma tanto piú in modo significativo (è necessario ricordare che anche il nonsense ha delle regole e non significa semplicemente « privo di senso »?).
Fuori di polemica, mi sembra che le capacità che si intravedono, che la magari caparbia fiducia nella forza della propria parola che è presente in [...]

[...] quindi della politica culturale all'estero della Repubblica federale tedesca. E bisognerebbe aggiungere un capitolo assai felice, se il GoetheInstitut non avesse ritenuto opportuno, allo spirare del contratto, privarsi della collaborazione di un uomo che nel panorama della politica culturale esterna della Bundesrepublik ha rappresentato certamente un'eccezione. Errore del GoetheInstitut? Esperimento? Calcolo? Forse tutti questi elementi insieme portarono alla nomina di MeyerClason, insieme probabilmente alla sottovalutazione della personalità dell'interessato, refrattario a farsi ridurre al rango della gestione burocratica e soprattutto ad assimilare gli stereotipi della concezione dell'ordine e della politica culturale come pura gestione dell'esistente iscritti nei regolamenti e nelle istruzioni della casamadre, costruite sull'esercizio costante di censura e autocensura, appena coperte dall'ipocrisia (dopotutto, si trattava di gestire fondi del contribuente tedesco...) del servizio pubblico e del rispetto per la collettività.
Non fosse [...]

[...]calante della dittatura di Salazar, colpita a morte dalla guerra coloniale che ha letteralmente dissanguato il paese, interessano certo per l'atteggiamento dell'intellettuale democratico (quanti direttori di istituti di cultura della Bundesrepublik citano Rosa Luxemburg?) che rappresenta una delle potenze egemoni dello schieramento atlantico in un paese in cui la dittatura è tollerata dagli alleati anche perché il Portogallo è una base Nato di importanza strategica insostituibile, una testa di ponte verso l'Atlantico e verso l'Africa. Ma interessano soprattutto per la dicotomia che rivelano tra ciò che i suoi superiori si attendono da lui e il modo in cui egli interpreta i suoi compiti; tra l'atmosfera del mondo delle ambasciate e degli istituti dl cultura stranieri (l'italiano compreso), vera enclave all'interno della società portoghese, preoccupata solo di superficiali funzioni di rappresentanza o tutt'al piú animata da spirito di colonizzazione nei confronti del paese che la ospita, e il tipo di legame che egli tende viceversa a stabili[...]

[...]che come il documento di ciò che non deve essere una politica culturale, prima ancora di quello che essa può essere. Tutte le istruzioni che egli riceve parlano il catalogo delle cose proibite: la censura e l'autocensura, che nel caso specifico regnano nel Portogallo di Salazar e di Caetano, sono anche la legge della burocrazia del GoetheInstitut. Non cercare rischi, non correre pericoli, non sfidare nessuno, non cercare cattive compagnie, non esportare autori tedeschi non conformisti (ma perché proprio Mitscherlich?), non fare tante altre cose, non dare nell'occhio, farsi i fatti propri tra tedeschi, siamo un istituto tedesco e programmiamo solo iniziative in lingua tedesca. Il congedo dal vecchio direttore: « Quando nel villaggio arriva un nuovo parroco, se è saggio per due anni lascia tutto come prima ». « Per favore, niente Spiegel, niente letteratura progressista, niente edizioni Suhrkamp, in particolare poi niente letteratura marxista... Brecht e Grass sotto chiave... Lei sottostà all'ambasciata! È l'ambasciata che decide sul suo pro[...]

[...]gli eufemismi, una delle poche cose forse che accomuna il regime e l'opposizione, e senza preoccuparsi delle velleità di controllo dell'apparato diplomatico contro le « eventuali mene sovversive » o della paralisi cui rischia di ridurlo la situazione (« Portogallo, una spugna che toglie mordente ai miei denti ») dà inizio alla sua politica dei « piccoli passi »: il 1969 non sarà anche l'anno della vittoria di Willy Brandt nella Bundesrepublik? Importa le nuove tendenze del cinema tedesco, deciso a proseguire con proiezioni private e inviti personali di fronte a un intervento della censura; organizza una conferenza di Walter Jens, che nell'ambiente dell'ambasciata viene considerata una provocazione; quando gli chiedono un parere per l'esecuzione a Lisbona di una messa di Bach espone i pro e i contra, ma l'ambasciatore fa sapere che al ministero degli esteri si trasmette solo il positivo, il negativo deve essere sfumato; quando il rettore dell'università, per punire gli studenti proibisce un concerto beethoveniano che doveva svolgersi nell'A[...]

[...]espone i pro e i contra, ma l'ambasciatore fa sapere che al ministero degli esteri si trasmette solo il positivo, il negativo deve essere sfumato; quando il rettore dell'università, per punire gli studenti proibisce un concerto beethoveniano che doveva svolgersi nell'Aula magna, aderisce alla richiesta degli organizzatori di ospitarlo nel Goethe, che si affolla di centinaia di studenti: segue la protesta del rettore. Questa è la politica della « porta aperta » con la quale ci si confronta direttamente con la realtà portoghese: si offrono espressioni culturali che attraverso la produzione tedesca permettono di leggere la realtà portoghese. Brecht, Peter Weiss — l'autore del Mostro lusitano, particolarmente inviso al regime al punto che il suo nome circola tra l'opposizione come Pedro Branco —, Hochhuth, Kipphardt, l'intellighenzia critica tedesca (contro Böll l'ambasciatore e l'addetto militare si esprimono come si sarebbero espressi i nazisti: « Fäkaliensprache ») aiuterà i portoghesi a scrollarsi di dosso la dittatura piú delle conferenze[...]

[...]esenza di Tankred Dorst, ora la sua divisione è dimostrata dalle reazioni all'esecuzione del Mockinpott di Peter Weiss ad opera di attori portoghesi cui si rimprovera di fare gratuita pubblicità all'istituto di cultura di un paese che si presenta contro la rivoluzione, con uno dei tanti volti (la socialdemocrazia) della società capitalistica. Paradossalmente, quello che faceva scandalo prima della rivoluzione diventava dopo anche piú scandaloso. Portare in Portogallo il meglio della cultura impegnata tedesca — da Schlöndorff a P. Weiss, a Böll, a Franz Xaver Kroetz — era piú pericoloso di prima. Ancora un dialogo brechtiano: « Crede davvero che Le possa servire invitare Martin Walser... Da un impiegato del Goethe ci si attende un atteggiamento positivo nei confronti della Bundesrepublik... Acriticamente o criticamente positivo? ». Né sorte migliore procura la presenza nell'Alentejo di Günter Wallraff, impegnato nella cooperativa agricola promossa con fondi raccolti nella Bundesrepublik: Wallraff, proprio lui, un agitatore indesiderato, un [...]



da j.s.[Jole Soldateschi], scheda sintetica di «Il Quindici» (1967-1969) in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: [...]sul linguaggio e sulle strutture narrative che 1i rendesse adeguati alle nuove realtà che quotidianamente si venivano creando. La letteraturae l'arte hanno avuto quindi una parte preponderante nei primi numeri del periodico e sono stati il veicolo più immediato per sottoporre ai lettori le significative preferenze e le repulsioni del gruppo redazionale (l'interes se più vivo è stato riservato ai romanzi di Gadda; Pizzuto, Calvino, alle poesie di Porta e Sanguineti, agli scritti di Barilli e Balestrini; agli spettacoli teatrali di Carmelo Bene e della: Compagnia Legnanese; ai concerti di musica elettronica ed alle mostre di arte grafica).
Gli eventi politici del '68 hanno determinato però una radicalizzazione ideologica della rivista che è divenuta portavoce delle esperienze del Movimento studentesco e dei gruppi dissidenti della sinistra, aprendosi soprattutto ad un intervento politico prioritario nei confronti delle ragioni culturali. La costruzione di uno « spaziogiornale » in cui i discorsi si allineassero o si scontrassero in modo asettico non bastava più: così il periodico, a partire dagli ultimi numeri del '68, ha rilasciato dichiarazioni politiche esplioite, ha pubblicato materiale documentario scottante (sulle occupazioni delle università italiane, sulle lotte studentesche nell'America latina), contributi teorici di notevole interess[...]

[...]to culturale.
La rivista fu caratterizzata dall'ampio formato, dagli inserti originali (fotografie, manifesti), e soprattutto da un linguaggio in cui si alternano toni aggressivi e dissacranti con momenti di notevole lucidità critica.
I collaboratori più assidui sono stati: Arbasino, Balestrini, Barbato, Barilli, Buttitta, Celli, Colombo, Costa, Curi, Davico, Eco, Giuliani, Gregotti, Guglielmi, Lombardi, Manganelli, Mauri, Pagliarani, Ponente, Porta, Ripellino, Riva, Sanguineti, Zorzoli. (j. s.)


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Porta, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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