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Il segmento testuale Poli è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 18Analitici , di cui in selezione 2 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Fortini, Che cosa è stato il Politecnico in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: CHE COSA E' STATO «IL POLITECNICO»
(194519471
Erano i primi d'agosto del '45, stava per sparire Hiroshima, e, da noi, il governo Parri resisteva ancora. Lavoravo ad un nuovo « indipendente di sinistra », che Vittorini diresse per due o tre giorni. I linotipisti del Corriere guardavano con simpatia e commiserazione quei giornalisti improvvisati, che eravamo noi, prendersi confidenza con piombi e banconi. Allora Vinorini era ardente e alato, parlava per ellissi; leggevamo « Uomini e No », stam
pato su una grigia carta di guerra; e quella Nota scomparsa dalle più
recenti edizioni ch'era tanto chiara, per chi avesse sa[...]

[...]impatia e commiserazione quei giornalisti improvvisati, che eravamo noi, prendersi confidenza con piombi e banconi. Allora Vinorini era ardente e alato, parlava per ellissi; leggevamo « Uomini e No », stam
pato su una grigia carta di guerra; e quella Nota scomparsa dalle più
recenti edizioni ch'era tanto chiara, per chi avesse saputo leggervi: « Cer
care in arte il progresso dell'umanità è tutt'altro che lottare per tale progresso sul terreno politico e sociale. In arte non conta la volontà, non conta la coscienza astratta, non contano le persuasioni razionali... La mia appartenenza al Partito Comunista indica dunque quello che voglio essere mentre il mio libro pub indicare soltanto quello che in effetti io sono ». Era già una difesa, una recinzione di territori. Restava la parola « progresso ». Di qui, in realtà, Vittorini non s'è mosso: troppo forte in lui il sentimento del «progresso» tecnico nella letteratura, della avanguardia degli scrittori e delle sue proprie invenzioni e ricerche; e, a un tempo, troppo forte l'antipatia per le[...]

[...]e volteggiava intorno alla stampa e alle riviste di allora. Cercavo avidamente di sapere e di capire più che potevo di quel ch'era stata, a Milano, la Resistenza; e intanto facevo fatica a distinguere facce e idee. In quell'estate andavo ricopiando certe mie poesie. Le detti a Vittorini e lui in cambia mi fece leggere dei fogli dattiloscritti: il programma di una rivista. Partecipai ad alcune riunioni. Si cominciò a preparare il primo numero del Politecnico. Perché credo opportuno ricor
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FRANCO FORTINI

darlo, oggi? Perché fu l'occasionale teatro di alçune delle contraddizioni mag giori che ci hanno condotti fin qui.
Nel programma, il « settimanale dei lavoratori » prevedeva per ogni numero un articolo di « agitazione culturale »: «La cultura deve partecipare alla rigenerazione della società italiana. Come? »; «Che cosa ha inteso dire Ehrenburg quando ha scritto: «Anche l'ortolano uscirà dai suoi stessi sistemi tradizionali di cultura'e apprezzerà la cultura di Picasso? ».; scritti propriamente politici e riferiti ad avvenim[...]

[...]e delle contraddizioni mag giori che ci hanno condotti fin qui.
Nel programma, il « settimanale dei lavoratori » prevedeva per ogni numero un articolo di « agitazione culturale »: «La cultura deve partecipare alla rigenerazione della società italiana. Come? »; «Che cosa ha inteso dire Ehrenburg quando ha scritto: «Anche l'ortolano uscirà dai suoi stessi sistemi tradizionali di cultura'e apprezzerà la cultura di Picasso? ».; scritti propriamente politici e riferiti ad avvenimenti del giorno e ai problemi della ricostruzione: «L'alluminio deve tornare nelle case di tutti»; «Quali possibilità di evoluzione porta la legge Gallo nello stato attuale della agricoltura loinbarda»; scritti di storia politicoeconomica estera e italiana, quelli che dettero poi il tono ad ogni singolo numero del settimanale, destinati a coprire tutto un vastissimo settore di informazione e di critica. Articoli di « storia della cultura o di agitazione culturale », come, ad esempio, «La cultura per fl New Deal e contro il New Deal », «Il cracianesimo nella scuola italiana attraverso la Riforma Gentile »; studi di analisi criticostorica del pensiero scientificofilosofico (« Tono divulgativo », annotava il programma): « A che punto è il pensiero di Dewey? E possibile una evoluzione dell'esistenzialismo in senso pro[...]

[...]ca; propongo: «P.d.A. ») nei socialisti nemmeno, ma nei democratici cristiani o nei liberali... Inchieste sui cattivi pittori... Radiografie e biografie sulle case editrici». « Pericolo di `operazione culturale' ovvero menscevismo della situazione d'oggi» «Responsabilità dell'antifascismo militan
te... Incapacità di riconoscere i suoi uomini di cultura ».
Appena cominciò il lavoro redazionale (e poi, durante tutto il primo periodo di vita del Politecnico, che va dalla fine di settembre del 1945 al
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6 aprile 47, vigilia delle elezioni municipali di Milano) si fecero sentire le voci contraddittorie dei diversi redattori. Era un lavoro appassionante e lo
ricordo con piacere. « Per fare il Politecnico — diceva Vittorini ci vogliono
le fiamme al didietro, come i carabinieri ». Non era l'ardore a mancarci. Ma ci si avvide subito che la vita del settimanale subiva influenze difficili a decifrare, contraccolpi dei rapporti personali del direttore e dell'editore col Partito Comunista. Credo, anzi che questa, a me ignota, storia dei rapporti fra la direzione culturale del P. C. e il «settimanale di cultura» sia un'altra storia del periodico. Non ero iscritto al Partito e molto, quindi, mi restava celato.
Il Politecnico, almeno in un primo momento, si propose di rivolgere agli intellettu[...]

[...]carabinieri ». Non era l'ardore a mancarci. Ma ci si avvide subito che la vita del settimanale subiva influenze difficili a decifrare, contraccolpi dei rapporti personali del direttore e dell'editore col Partito Comunista. Credo, anzi che questa, a me ignota, storia dei rapporti fra la direzione culturale del P. C. e il «settimanale di cultura» sia un'altra storia del periodico. Non ero iscritto al Partito e molto, quindi, mi restava celato.
Il Politecnico, almeno in un primo momento, si propose di rivolgere agli intellettuali dell'antifascismo, alla frazione (( radicale » della borghesia e a quei lavoratori che la Resistenza aveva presentati alla responsabilità politica, un discorso complesso dove l'informazione (e la divulgazione) di tutti i resultati di quella cultura contemporanea «progressista» che il fascismo aveva cetata o stravoltat fosse, per metodo, linguaggio e correlazione di soluzioni e problemi, una proposta o fondazione di « cultura nuova ». L'ambizione del progetto era di interpretare uno stato d'animo allora assai diffuso nell'Italia settentrionale: che esistesse al di sopra delle singole denominazioni politiche una tradizione riw. luzkauadaa e progressista del pensiero filosofico e scientifico, storico, letterario e artistico da proporre[...]

[...]corso complesso dove l'informazione (e la divulgazione) di tutti i resultati di quella cultura contemporanea «progressista» che il fascismo aveva cetata o stravoltat fosse, per metodo, linguaggio e correlazione di soluzioni e problemi, una proposta o fondazione di « cultura nuova ». L'ambizione del progetto era di interpretare uno stato d'animo allora assai diffuso nell'Italia settentrionale: che esistesse al di sopra delle singole denominazioni politiche una tradizione riw. luzkauadaa e progressista del pensiero filosofico e scientifico, storico, letterario e artistico da proporre alle nuove leve culturali; così come esisteva un programma politico comune alle sinistre dell'antifascismo. Si è parlato con ironia di una « cultura da C.L.N. »; e non é esatto, se si considera che l'accento fu posto prevalentemente su formule marxiste. Certo é invece che ii Politecnico non si sottrasse in parte e in quella sua prima fase alla pretesa di presentare come obbligato passaggio alla cultura dei suoi lettori, quelle che erano state le letture, le simpatie, gli itinerari biografici del direttore e dei redattori: di non aver saputo distinguere fra necessario e accessorio.
E che cos'era questa cultura rivoluzionaria? L'articolo di Vittorini sul primo numero della rivista (che per molti, frettolosi e interessati, bastò a qualificare per sempre, o a squalificare, il settimanale) augurava un pensiero che governasse e non solo consolasse la società civile. Ossia [...]

[...]e dei redattori: di non aver saputo distinguere fra necessario e accessorio.
E che cos'era questa cultura rivoluzionaria? L'articolo di Vittorini sul primo numero della rivista (che per molti, frettolosi e interessati, bastò a qualificare per sempre, o a squalificare, il settimanale) augurava un pensiero che governasse e non solo consolasse la società civile. Ossia un pensiero, una
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cultura che fossero identici per la classe politica e per quella tradizionalmente «intellettuale ». (L'assenza di precisione su questo punto di partenza è all'origine di tutte le seguenti incertezze). Si chiedeva una cultura che «prendesse il potere ». E in forma volutamente ingenua si esprimeva così quella certa unione di pragmatismo e marxismo che sarebbe stato i? tratto più appariscente del secondo Politecnico, quello in forma di rivista. Ma, al tempo stesso, c'era, dichiarata subito, l'assunzione d'una «cultura» genericamente antifascista come possibile punto di partenza: di qui il richiamo, fin dal primo numero, della guerra di Spagna, per il suo grande patetico di rivoluzione tradita dov'era confluito tutto l'antifascismo mondiale. Il romanza di Hemingway sulla guerra di Spagna cominciava ad esser pubblicato a puntate fra le sbarre rosse e nere, come una bandiera di anarchici, del settimanale; però i tagli operati allora nel testo del romanzo, se non valsero a scagionare Vittorini di fron[...]

[...]el settimanale; però i tagli operati allora nel testo del romanzo, se non valsero a scagionare Vittorini di fronte ai suoi dirigenti di partito dall'accusa di eccessiva amore per quel « decadente » scrittore americano, stanno a dimostrare come non si volesse guardar troppo da vicino a quella guerra di Spagna, che, pur era stata la drammatica prova dell'Intelligenza di sinistra.
Ma subito, al secondo numero, una citazione di Lenin sconsigliava i politici dal distrarre uno specialista culturale con immediati compiti politici; come se il giornale avvertisse subito il pericolo di essere impiegato come bruto strumento di propaganda. La si vide, in redazione, alle proteste violente suscitate da una assai infelice interpretazione classista dell'opera del Manzoni, pubblicata anonima, (e dovuta, si disse, a E. Sereni). Si discuteva molto, in redazione; Vittorini, poco amante delle dispute e temperamento insofferente di critiche, ne evitava le sedute. Si dovette ottenere che le discussioni fossero stenografate per costringerlo a intendere, almeno per iscritto, le nostre critiche.
Al terzo numero si iniziava la conve[...]

[...], si apprestava a replicare a Vittorini. Si può cogliere intanto la nascita di quella polemica sulle arti figurative che si tra scina tuttora: Guttuso parla d'una nuova epoca «eroica» che si apre per la pittura, ma già una didascalia posta sotto un manifesto di guerra giapponese afferma in modo perentorio quella che sarà uno dei punti centrali (mai però affrontato e risolto criticamente) del periodico: l'identità fra «arte
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vera » e « arte rivoluzionaria ». Vedi (n. 4) il frammento di Malraux (di prima della guerra, naturalmente): «Non sono né Claudel né Proust che significano la borghesia, è Henri Bordeaux ». (Segue questa nota redazionale: ((Non sono né Montale né Svevo che significano la borghesia italiana, è Lucio d'Ambra »). In questo quarto numero, dedicato alla Francia contemporanea, dove ad una poesia di Eluard fa contrappeso una di Spender, c'è già una pagina di Sartre; nel numero seguente, accanto ad un affresco di Diego Rivera c'è la copertina d'uno dei quaderni della Bauhaus; quello ded[...]

[...]d fa contrappeso una di Spender, c'è già una pagina di Sartre; nel numero seguente, accanto ad un affresco di Diego Rivera c'è la copertina d'uno dei quaderni della Bauhaus; quello dedicato alla Rivoluzione di Ottobre si apre con una poesia di Montale e si chiude con le foto di un balletto psicanalitico. Accanto a questi esempi solo apparentemente contraddittori, si moltiplicano le dichiarazioni e i programmi di una
umile e orgogliosa novità: « Politecnico si legge nel n. 4 non è
l'organo di diffusione d'una cultura già formata ma uno strumento di lavoro per una cultura in formazione... Compito speciale che il POLITECNICO Si è scelto per contribuire alla formazione in Italia di questa cultura è di fare da legame tra le masse lavoratrici e i lavoratori stessi della cultura ». E, nel n. 5: «Il POLITECNICO... non presume affatto rinnovare la cultura italiana, ma vuole soltanto mostrare che sarebbe una buona cosa rinnovarla ». « Ogni rivoluzione è stata un tentativo più a meno riuscito della cultura viva di strappare il potere a Cesare e alla cultura morta che sempre è serva di Cesare e di instaurar, il «regno dei cieli», cioè il suo regno, sulla terra... Lenin era tipicamente uomo di cultura...» (n. 6). Sono appena passati due mesi dall'uscita del settimanale, e Vittorini, rispondendo a Bo, e ad altri critici del suo primo editoriale, accetta la traduzione del conflitto nella semplicist[...]

[...]ossia cul turale sovietica, che il settimanale continua a moltiplicare, pubblicando Olescia o Babel, parlando di uno Chagall o di un Pasternak come di artisti rivoluzionari, ponendo sullo stesso piano le vittorie del progresso democratico americano e quelle del progresso socialista.
Certo, in quel primo tempo almeno, la redazione non vede chiaro in quale direzione si debba andare, anche se avverte quanto importi l'esistenza di un foglio come il Politecnico nella situazione di allora. Era l'inverno 194546, uno dei più tetri inverni di quegli anni. Milano pareva risentire di tutta la tensione e la stanchezza del tempo di guerra. Chi veniva da Roma, già avvezzo ad un diverso dopoguerra, faceva fatica a capire come si potesse vivere in quella città di macerie e fango dove, sul far della sera, le strade si spopolavano, dove si leggeva e si scriveva a lume di candela con guanti, cappotto e passamontagna, dove la gente faceva ancora la coda per il pane e il riso, e tutte le notti suonavano i colpi di mitra e di rivoltella degli « spiombatori » [...]

[...]agna, dove la gente faceva ancora la coda per il pane e il riso, e tutte le notti suonavano i colpi di mitra e di rivoltella degli « spiombatori » e dei banditi, da scali merci, depositi ,ferroviari, fabbriche. All'alba i giornali erano neri di titoli e di grida. L'inverno pareva una unica lunga notte; e la città sentiva intorno a sé il vuoto della campagna, si ripiegava su se stessa per non perdere il poco tepore del suo alito. La redazione del Politecnico era allora non lontana dalla cappella dell'antico lezzaretto manzoniano, in un quartiere ch'era diventato il porto di mare dei camionisti, allora re delle strade, e dei borsari neri; fitto di donne, di osterie, di sale da ballo. Dagli alberghi di piazza d'Annunzio, dove, con i
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loro carri armati al parcheggio, stavano acquartierati, vi calavano, al crepuscolo, i militari occupanti. Delitti straordinari, seguiti da imponenti funerali, dividevano l'attenzione della folla con i cortei di disoccupati, e i comizi. Qualche volta il Politecnico veniva incollato ai muri cittadini; e ci dava un brivido d'orgoglio veder i nomi e i pensieri della poesia e dell'arte, di un amore che si era sempre creduto votato all'ombra e al riserbo, tremare all'aria e alla nebbia, lettura dei passanti, dei reduci dagli occhi smorti, dei vagabondi 2. Talvolta si andava nei circoli operai, nelle fabbriche, a parlare del Politecnico. Ricardo una sera, verso Piazzale Corvetto, una specie di hangar mal illuminato, pieno di operai, di donne con i bambini sulle ginocchia; e ascoltavano parlare del Politecnico come di una cosa loro, come si trattasse del loro lavoro e della loro salute, e interrogavano, volevano sapere. (Si arrivò perfino a proporre una tournée di tutta la redazione attraverso l'Italia meridionale e la Sicilia). Capitavano in redazione i personaggi di quegli anni: operai affamati, giornalisti, avventurieri, ex partigiani, ragazze scappate di casa, mentecatti. Arrivavano montagne di manoscritti, la più parte diari di guerra, di prigionia, di vita operaia, poesie esemplate sulle traduzioni degli americani, racconti di vita clandestina. Si aveva l'impressione che, dovunque il s[...]

[...]anale, oltre a poesie di Saba, Montale, Solmi, Sinisgalli e di molti giovani, pubblicò traduzioni di testi poetici di Rimbaud, Larbaud, Éluard, Jacob, Aragon; Lorca, Alberti, Altolaguirre; Leonhardt, Brecht, Toller; Pasternak, Majakowskj, Bloch; Auden, Spender, Mac Neice, Eliot; Whitman, Mac Leish, Sandburg, Gold, Prokosch, Rolfe, Lindsay, ecc,
ii i
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che, quando al n. 8, fu annunciata la costituzione dei «Gruppi di Amici del Politecnico», si avverti che l'iniziativa coincideva con uno dei tentativi accennati dalla direzione culturale del Partita Comunista per controllare maggiormente il settimanale e insieme per potenziarlo; e ci fu una notevole resistenza a quei «gruppi» che sarebbero facilmente diventati, come tutte le analoghe formazioni di quel tempo, portavoce di comodo del Partita Comunista e firmatari di manifesti. Il Partita Comunista stava passando ad una fase di consolidamento delle proprie attività, assumendo gran parte dei compiti che nell'Italia prefascista erano stati del Partita Socialista; e, fra quest[...]

[...]munista e firmatari di manifesti. Il Partita Comunista stava passando ad una fase di consolidamento delle proprie attività, assumendo gran parte dei compiti che nell'Italia prefascista erano stati del Partita Socialista; e, fra questi, compiti di vera e propria divulgazione culturale. Pensarono, quei dirigenti, di poter impiegare a questi fini la popolarità del settimanale di Vittorini? Vi fu un momento nel quale lo pensarono; ma la composizione politicamente eterogenea della redazione e la stessa personalità del direttore dovettore presto dissuaderli. Il Politecnico non poteva diventare quello che, proprio in quel tempo, cominciava ad essere il Calendario del Popolo.
Si moltiplicano d'altra parte i punti di frizione fra le posizioni del settimanale e quelle del Partita Comunista; come i ripetuti atteggiamenti anticlericali di Vittarini (vedi posizione in favore del divorzio, in nota ad un
articolo di A. C. Jemolo, nel n. 9); come la pubblicazione (n. 16) di un passo di Sartre e di uno di MerleauPonty « un marxismo vivente dovrebbe
salvare la ricerca esistenzialista invece di sofocarla»; con questo commento redazionale:
È questa — crediamo 'noi[...]

[...] una enciclopedia»). La stessa polemica iniziale — che è il motivo centrale della rivista continua a trascinarsi di numero in numero, con scritti di Balbo, Giolitti, Fortini, Ferrata, .finché comincia a farsi chiaro che essa non è altro che il problema della posizione del marxismo nel mondo moderno. Contro le interpretazioni socialdemocratiche di Karl Renner e contro la tentazione idealistica (e di Vittorini) dei «furori
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO )) 189
culturali » c'è (n. 26) una messa a punto di Balbo, (love è contenuto un accenno importante, che è già una critica al linguaggio del settimanale:
Questo successivo e strenuo «riemergere» della purezza, della tensione umana dalla formula che non serve più, che è insufficiente per costruire le nuove formule, la più larga e più comprensiva cultura tecnicamente sempre più articolata, . non si può certo definire con la parola "amministrazione", ma non si può nemmeno definire con la parola « furore culturale ». Tale parola non comprende abbastanza il senso del dato, della condizione[...]

[...]a, . non si può certo definire con la parola "amministrazione", ma non si può nemmeno definire con la parola « furore culturale ». Tale parola non comprende abbastanza il senso del dato, della condizione obbiettiva e quindi la necessità dell'inserzione funzionale, del mordente preciso.
E non combatte il grave male dell'« eterna illusione »: credere che senza illusione l'uomo non si muova più.
Contro le tendenze e le pressioni rivolte a far del Politecnico uno stru mento di ordinaria amministrazione politica, Vittorini, nel n. 27, scriveva parole che ancora echeggiavano i ricordi mitici della Cultura Popular della repubblica spagnuola e che sarebbero suonate in contraddizione con quelle sue di pochi mesi dopo:
Le grandi affermazioni della cultura, i suoi rivolgimenti, le sue svolte, si hanno proprio nei momenti in cui sembrerebbe più saggio (agli stolti) lasciarli da parte. Quando, per esempio, un nemico sovrasta con le armi; quando manca il pane: quando occorre ricostruire tutto in un paese. È allora, é nell'emergenza, che può formarsi una nuova cultura.
Ma questo appello all'entusiasmo su[...]

[...]a della verità. Il nostro intento era e rimane anche divulgativo. Ma era, e non è stato, di conquistare e creare su piano divulgativa. La necessità della trasformazione in rivista mensile ci offre il modo, per la più larga misura di tempo e di spazio che ci concede, di approfondire il nostro lavoro. Ora noi potremo vigilare su noi stessi. Liberi come saremo dalla pressione degli avvenimenti non si tratterà più, per noi, di collaborare all'azione politica. Si tratterà di svolgere un'attività che sia azione di per se stessa, com'è, quando crea, l'azione culturale.
La rivista pubblicherà quasi cinquecento delle sue fittissime pagine, riprendendo in parte temi già accennati dal settimanale, in parte sviluppando temi nuovi. Vi si nota, oltre alla collaborazione abituale del settimanale (Cantoni, Ferrata, Giuliano, Rodano, Rognoni, Terra, Trevisani, Preti, Serra, Pandolfi, Rago, Del Bo, ecc.) e ad una più estesa presenza di giovani (Risi, Del Boca, Del Buono, Giglio, Porzio, Tadini, Calvino, ecc.) anche quella di scrittori e di studiosi che il[...]

[...]quella di scrittori e di studiosi che il carattere del settimanale aveva tenuti discosti: Bo, Brancati, Pea, Sereni, Gatto, Argan... E i motivi principali ne sono: l'esplorazione dei rapporti fra marxismo e scienza economica, psicanalisi, pragmatismo, esistenzialismo; delle possibilità di nuove vie della critica letteraria e della critica del teatro, del cinema, delle arti figurative; dei problemi sociali del nostro paese veduti nel loro aspetto politico. E tutto ció sullo sfondo dell'unico problema: quello dei rapporti fra azione culturale e partiti politici, fra cultura «di sinistra» e Partito Comunista.
Non v'è dubbio che il passaggio del Politecnico da settimanale a mensile coincide con la fine dell'idillio fra gli intellettuali che avevano aderito al comunismo nello spirito dei C.L.N. e i dirigenti politici del Partito che si apprestava ad affrontare le difficili prove degli anni seguenti. De Gasperi è da alcuni mesi capo del governo, e si capisce che vi resterà a lungo. Matura la svolta della politica americana. S'era fatto un gran discorrere di «partito nuovo », in quel tempo. Il V Congresso del P. C. affermava, nel nuovo statuto, la possibilità di appartenere al partito indipendentemente dalle proprie convinzioni filosofiche e religiose. Vedremo come il Politecnico, per bocca di Vittorini, interpreterà questa affermazione come la possibilità
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di rimettere in discussione gli stessi principi del marxismoleninismo; quando (e bastava aver letto, a questo proposito, gli scritti di Lenin sulla religione) l'unità nei fini politici più immediati era considerata solo propedeutica a quella ideologica. Tuttavia, quella « apertura » del Partito Comunista pareva fin da allora contraddetta dalla progressiva « chiusura » della situazione politica. Si doveva provvedere ad organizzare la difesa. Ecco perché l'affermazione contenuta nell'ultimo numero del settimanale, di voler «approfondire la ricerca » voleva anche dire che era divenuto impossibile, ormai, intrattenere un dialogo immediato con un pubblico di lettori appartenente a cate gorie che l'attività del Partito prevedeva oggetto di una scrupolosa disciplina ideologica. Il pensiero e l'arte della tradizione rivoluzionaria non possono più esser presentati per una mozione degli affetti, ma debbono esser ripensati criticamente; è necessario vedere che cosa, in realtà, consegua al[...]

[...]critto, ma nelle conversazioni e nei rapporti personali. Il linguaggio della polemica è in genere, molto cortese, con qualche occasionale e intenzionale durezza. Ma, ripeto, si ha l'impressione che, almeno in principio, non si vogliano scrivere i termini autentici della questione. Infatti, quali sono le critiche? Luporini considera (cito dalla replica di Ferrata nel n. 30, II della rivista, che è del giugno 1946) la « nuova cultura » pretesa dal Politecnico «una velleitá romantica, un'illusione moralistica, e un abbraccio di generosi malintesi » 3; Alicata e per
3 Quasi con le medesime parole, anni più tardi, G. Pampaloni, giudicherà il Politecnico (in Belfagor) «una generosa illusione n. Con la differenza che, per Luporini, l'illusione moralistica è nell'intento predicatoria, parenetico, del foglio; per Pampaloni è illusorio, probabilmente, nel senso che « Cristo » non è cultura, ad ogni tentativo di sto
192 FRANCO FORTINS
lui Togliatti, che su «Rinascita» (ottobre 1946) dichiara esplicitamente di averne ispirata la nota, rimproverano una « ricerca astratta del nuovo, del diverso, del sorprendente ». Ora é , davvero sorprendente che queste critiche paiono riferirsi al settimanale, ai più scoperti difetti del settimanale, finge[...]

[...]tratta del nuovo, del diverso, del sorprendente ». Ora é , davvero sorprendente che queste critiche paiono riferirsi al settimanale, ai più scoperti difetti del settimanale, fingendo di ignorare le ragioni del passaggio a rivista e l'autocritica compiuta. Vittorini lo farà ben notare in una prima nota alla lettera di Togliatti (n. 3334). Gli scritti di Luporini, Alicata, Togliatti, hanno insomma un falso scopo — la critica al confusionarismo del Politecnico settimanale — ed uno scopo reale: mettere in guardia i lettori comunisti contro i pericoli deviazionistici dell'« approfondimento » nella rivista mensile; e, al tempo stesso, provocare una decisiva autocritica del direttore della rivista. Il risultato sarà, naturalmente, che le critiche alla rivista come tale passeranno in second'ordine e il centro della discussione diventerà quello dei rapporti fra attività (o autorità) culturale e attività (o autorità) politica.
Non c'è dubbio che, da un punto di vista tanto politico quanto filosofico, le repliche di Ferrata e di Vittorini agli scri[...]

[...]le — ed uno scopo reale: mettere in guardia i lettori comunisti contro i pericoli deviazionistici dell'« approfondimento » nella rivista mensile; e, al tempo stesso, provocare una decisiva autocritica del direttore della rivista. Il risultato sarà, naturalmente, che le critiche alla rivista come tale passeranno in second'ordine e il centro della discussione diventerà quello dei rapporti fra attività (o autorità) culturale e attività (o autorità) politica.
Non c'è dubbio che, da un punto di vista tanto politico quanto filosofico, le repliche di Ferrata e di Vittorini agli scritti di Luporini, Alicata e Togliatti sono evasive e manifestamente insufficienti. Finché si tratta di pubblicare Hemingway o Sartre o Reed, di mostrare simpatie per la narrativa sovietica, di difendere Gide`contro i «codini» o di parlar di «psicanalisi progressiva », tutto questo, almeno nel 1946, e in Italia, non sarebbe sufficiente a mettere in difficoltà disciplinari Vittorini e la sua rivista. Piuttosto, dietro gli scritti di Cantoni su Burnham, di Preti su Dewey e sull'Antiduering, di Leontiev sul pensiero economico so[...]

[...]omunisti francesi ad un contatto diretto col movimento democratico e operaio italiano prima di giudicare sulla questione di Trieste. E si aggiunge: «Queste parole significano che esiste una situazione nuova per i comunisti nel mondo e che i comunisti italiani sono maturi per comprenderla e darle sviluppo di vita. E finito il tempo nel quale era sufficiente, da parte dei comunisti, `risolvere' ogni questione sul piano dottri
CHE COSA É STATO «IL POLITECNICO )) 193
tro e di discussione per quegli intellettuali che opportunismo o sincera evoluzione politica avrebbero portato, negli anni, seguenti, fuori del Partito Comunista. Una parte di costoro, evidentemente non vorrà che «tornare all'ovile », ma un'altra parte avrebbe potuto costituire una linea ideologica e politica su posizioni non comuniste senza avventurarsi sul piano inclinato della collaborazione _ con la restaurazione idealistica e cattolica. Taluno, per questa supposizione, mi chiamerà ingenuo; non nego che, per uno spregiudicato giudizio politico, il Partito Comunista abbia guadagnato a perderli piuttosto che a trovarli, molti degli intellettuali che in questi anni hanno abbandonato le sue file o le sue vicinanze; ma essi erano, come d'altronde una buona parte di quelli che sono tuttavia nel Partito, solo la prima fila, la più visibile, di tutta una categoria di intellettuali che furono dell'anti fascismo e della Resistenza e che, negli anni di cui stiamo facendo discorso, scomparivano dalla vita politica e si ritiravano negli studi privati, con resultad forse ricchi di futuro ma, al presente, ben gravi. E poi uno degli aspetti pi[...]

[...]to Comunista abbia guadagnato a perderli piuttosto che a trovarli, molti degli intellettuali che in questi anni hanno abbandonato le sue file o le sue vicinanze; ma essi erano, come d'altronde una buona parte di quelli che sono tuttavia nel Partito, solo la prima fila, la più visibile, di tutta una categoria di intellettuali che furono dell'anti fascismo e della Resistenza e che, negli anni di cui stiamo facendo discorso, scomparivano dalla vita politica e si ritiravano negli studi privati, con resultad forse ricchi di futuro ma, al presente, ben gravi. E poi uno degli aspetti più singolari di tutta la polemica è che vi si discutono i rapporti fra gli intellettuali e il Partito Comunista fing ndo di dimenticare che quel problema aveva dei precedenti storici e che quei precedenti si chiamavano non solo teoria del partito secondo Lenin ma storia del pensiero rivoluzionario marxista e non marxista fino a Lenin, e non leninista fino al 1924, e non stalinista dopo il 1924, storia insomma dei rapporti fra gli intellettuali e i partiti operai, i[...]

[...]a dei rapporti fra gli intellettuali e i partiti operai, in tutto il mondo, nell'ultimo mezzo secolo; che la guerra di Spagna aveva pur avuto, in questo senso, una sua storia; che la storia degli intellettuali comunisti e non comunisti in Unione sovietica, in Germania, in Cina, aveva pur qualcosa da insegnare. Gli uni e gli altri paiono invece preoccupatissimi di non estendere la discussione là dove solo avrebbe un senso, cioè sul terreno storicopolitico. E poi sembra impossibile che Vittorini, nelle righe più appassionate della sua Lettera a Togliatti ((pando discorre della rivoluzione che ha come fine l'individuo, quando dice di sperare in una rivoluzione straordinaria, o parla dell'occhio vitreo del Partito, o rifiuta di suonare il piffero per la rivoluzione o definisce i compiti dello scrittore rivoluzionario) non si rendesse conto che, pur nella
nano o su quello deliberativo della Terza Internazionale... è necessario che pongano una dialettica concreta delle varie situazioni nazionali... lo spirito del marxismo è nel superamento eff[...]

[...]ti dello scrittore rivoluzionario) non si rendesse conto che, pur nella
nano o su quello deliberativo della Terza Internazionale... è necessario che pongano una dialettica concreta delle varie situazioni nazionali... lo spirito del marxismo è nel superamento effettivo del contrasto non nella rinuncia a porlo fino alle sue estreme conseguenze v.
194 FIANCO Fôa tP r
apparente confusione del suo dettato, egli chiedeva non solo un mutamento della politica culturale del P. C., ma una nuova teoria politica, una nuova filosofia. E, prima cosa, non tanto si trattava di rivendicare una autonomia teorica ma proprio l'autonomia pratica di poter continuare la rivista senza quegli ostacoli (ben «pratici ») che una sconfessione avrebbe portato con sé.
Le obiezioni di Onofri — che replica a Vittorini nel n. 36 della rivi
sta tutte in sé validissime (egli ricorda, fra l'altro, che l'attività politica è, non diversamente da quella « culturale », una attività superstrutturale) e di più evidente vicinanza al pensiero di Gramsci, spingono il problema al loro punto cruciale. Dice Onofri a Vittorini:
Forse che, quando tu hai scritto quelle tue lettere, non ;,svolgevi un lavoro culturale in connessione con la politica, non volevi appunto una politica in un certo modo per avere una cultura in un certo modo?
Nella sua breve risposta, Vittorini non raccoglie quella decisiva obiezione per limitarsi a' ribattere il suo rifiuto di una politica che ricorra alla forza contro la cultura, e di una alienazione «par la politique ». Infatti la rivendicazione di autonomia culturale, la richiesta di poter continuare senza scomuniche un certo lavoro di indagine culturale, era una richiesta politica; equivaleva a chiedere che il Partita Comunista cominciasse a considerare parte necessaria, elemento indispensabile al progresso della causa del socialismo, il lavoro critico dei « compagni di strada» e di tutti coloro che condividendo le finalità rinnovatrici del socialismo pretendevano, negli specifici campi della propria attività culturale, quali che ne fossero i riflessi politici, ad una integra autonomia critica. Era — o meglio avrebbe dovuto essere e non fu — la rivendicazione della pluralità necessaria contro la teoria della pluralitàminor male, destinata a naufragare nella unitàunanimità.
Nella primavera del 1947, dopo la pubblicazione della Lettera a Togliatti (la rivista era uscita, sino allora, in cinque fascicoli), non poche persone e motivi volevano indurre Vittorini ad interrompere subito il periodico. Nella sede di via Filodrammatici, lugubre come un circolo filologico, non esisteva più una vera e propria redazione. Fra i collaboratori ci furono discus[...]

[...] Vittorini ad interrompere subito il periodico. Nella sede di via Filodrammatici, lugubre come un circolo filologico, non esisteva più una vera e propria redazione. Fra i collaboratori ci furono discussioni a tempesta. Chi voleva la fine immediata della rivista, con o senza un manifesto conclusivo, chi ne voleva la continuazione, con o senza il medesimo editore, accettando eventualmente di diminuire il numero delle pagine
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO )) 195
e la periodicità; chi ancora avrebbe voluto tornare al settimanale. In una lettera, cercai di chiarire la mia opinione. E, rileggendomi, credo di non aver avuto torto:
... mi rifiuto, proprio perché non credo ad una politica avvilita a mero fatto, violenza o negatività, mi rifiuto, dico, ad ammettere questo ridicolo contrasto fra verità assolute dell'indagine culturale e quelle provvisorie, mezze verità e mezze menzogne, o insomma tutte menzogne, che sarebbero della pratica politica. Le due figurazioni insomma, del chierico assorto negli eterni veri e quella del pratico dalle mani impastate e grossolane sono ambedue volgari figurazioni, figure d'uomini volgari, di cattivi chierici e di pessimi pratici; e come tali dovremo sempre combatterli, con le loro medesime armi. Ma il solo modo di combatterli è quello di prenderli in parola. Cioè: discuterli. Quando i piccoli politici (di oggi o di ieri) proclamano la necessità della dissimulazione, della tattica e della ragion di stato o di partito, supponiamoli veri politici; diamo subito importanza a quelle loro idee; aiutiamoli anzi a tradurre in idee la loro balbuzie; ed ecco che avremo innanzi non più una volgare figurazione, ma una teoria, un fatto di cultura... L'errore di tutti i cattivi amici di Politecnico e di Rinascita, l'errore nel quale tu stesso sembri talvolta cadere, è quello di credere che l'unità fra cultura
e politica sia una trovata provvisoria, un matrimonio di ragione, qualcosa che va bene per il tempo di pace... Per me invece è evidente che cultura
e politica sono la medesima cosa, espressa con. mezzi diversi; che, insomma, cóntrasto si può avere soltanto fra due teorie e due pratiche; che ogni volta che un pensiero non ha mano o le ha deboli o che le mani non han pensiero
e lo han fiacco, saranno un astratto « pensiero » ed una volgare « politica ». Insomma non esiste un momento nel quale per ordine di chiunque sia sospeso il dovere di dire la verità... Io credo che, senza orgoglio né umiltà eccessive si debba dichiarare la propria condizione di uomini di cultura
e seguirla fino in fondo dicendo le proprie verità, anche a costo dello scandalo...
Intanto, in Francia e in Italia, i comunisti venivano estromessi dai governi. Della rivista, uscirono ancora quattro numeri di trentadue pagine ciascuno. L'ultimo (dicembre 1947) chiedeva: « Aiutate il Politecnico con un nuovo abbonamento ». Un numero di commiato — che avrebbe dovuto spi[...]

[...]iunque sia sospeso il dovere di dire la verità... Io credo che, senza orgoglio né umiltà eccessive si debba dichiarare la propria condizione di uomini di cultura
e seguirla fino in fondo dicendo le proprie verità, anche a costo dello scandalo...
Intanto, in Francia e in Italia, i comunisti venivano estromessi dai governi. Della rivista, uscirono ancora quattro numeri di trentadue pagine ciascuno. L'ultimo (dicembre 1947) chiedeva: « Aiutate il Politecnico con un nuovo abbonamento ». Un numero di commiato — che avrebbe dovuto spiegare le ragioni dell'interruzione — non venne mai 6. Vittorini ci disse
e Ho copia d'una lettera che mandai, il 22 gennaio del '48, a Vittorini. Vi é detto,
fra l'altro:
« A poco a poco abbiamo capita che non potevamo pretendere di insegnare quel
196 FRANCO FORTIN!
d'aver avuto contatti con altri editori, desiderosi di assumere la rivista, ma di avervi rinunciato perché sarebbero stati inevitabili controlli e limitazioni, politici, di natura opposta a quelli che rendevano ormai impossibile la continuazione [...]

[...]avrebbe dovuto spiegare le ragioni dell'interruzione — non venne mai 6. Vittorini ci disse
e Ho copia d'una lettera che mandai, il 22 gennaio del '48, a Vittorini. Vi é detto,
fra l'altro:
« A poco a poco abbiamo capita che non potevamo pretendere di insegnare quel
196 FRANCO FORTIN!
d'aver avuto contatti con altri editori, desiderosi di assumere la rivista, ma di avervi rinunciato perché sarebbero stati inevitabili controlli e limitazioni, politici, di natura opposta a quelli che rendevano ormai impossibile la continuazione della rivista. Lo credo senz'altro; ma, a questo scrupolo politico, si aggiungeva un motivo personale, l'esaurimento dei motivi di interesse e di avventura, la stanchezza di un lavoro dispersivo, i dubbi medesimi nati da nuove letture e nuovi contatti (Vittorini era tornato a Parigi alla fine del giugno 1947, dove i suoi libri e la sua persona avevano avuto un grande successo, dopo essere stato, l'autunno precedente, ospite del Comité des Ecrivains); e soprattutto il desiderio di tornare al proprio lavoro di narratore, interrotto, meno la parentesi del Sempione, dal 1945. Con la primavera del 1948 finiva il dopoguerra; molti andavano sempre piú rapidamen[...]

[...]fica, il gusto di certe trovate sonore, l'impossibilità di spingere a fondo certe premesse e di concretare
un gruppo di buoni libri; e — questo un po' per colpa o per virtù tua, un po' per
viltà altrui non aver saputo legare cinque o dieci persone, strettamente, alle sorti della rivista ed al suo significato. Se questo fosse stato, oggi tu potresti affidare ad altri, almeno temporaneamente, la conduzione della rivista. E invece... oggi, se il Poli deve scomparire, sembra scomparire come l'organo personale di Vittorini e per i casi polrtici e ideologici personali di Vittorini.
...mi chiedo se è bene o male che il Poli muoia; male è certo... soprattutto perché il discorso del Poli è a metà, a metà il suo tentativo di accordare marxismo politico e 'altro', critica alla religione e fede religiosa, cultura e politica, il suo tentativo di parlare politica, senza essere 'politica'. E finalmente perché rappresenta una esigenza di comunisti o diciamo di rivoluzionari che non ha nulla a che fare con la terza forza o altre scempiaggini, ma che non deve accontentarsi della politica culturale del P. C. e nemmeno delle sue semplificazioni propagandistiche su gli U.S.A., l'U.R.S.S., Sartre, il cattolicesimo, Gesù e il Piano Marshall. Io non ti incito alla eresia per l'eresia, come avrei fatto forse un anno fa. Mi domando se siamo più utili .tacendo o parlando, testimoniando e agendo perché le scelte non totnino ad essere sublimi e grottesche come in tempo di guerra; perché sono persuaso che non siamo in fase 'qualitativa' ma assai piattamente 'quantitativa'. Insomma, mi sembra venuto il momento davvero di attenuare la propria flessibilità e di stabilire quale sia il li[...]

[...]testimoniando e agendo perché le scelte non totnino ad essere sublimi e grottesche come in tempo di guerra; perché sono persuaso che non siamo in fase 'qualitativa' ma assai piattamente 'quantitativa'. Insomma, mi sembra venuto il momento davvero di attenuare la propria flessibilità e di stabilire quale sia il limite di rottura, il limite al quale devi dire che il Partito ha torto oppure non devi dir nulla e tacere... ».
CHE COSA É STATO « Ir, POLITECTTICO » 197
riprendevano a vivere o a vegetare, grazie alla «libera iniziativa privata », senza dar retta ai piani regolatori. E non mancavano, anzi crescevano ogni giorno coloro che in tutto questo vedevano solo una conferma del loro cattolico pessimismo, coltivando amorevolmente quella cattiva coscienza che, negli ultimi anni, par diventata per molti un titolo d'onore.
Così dunque finiva il Politecnico. Pochi mesi più tardi, spento l'ottimismo elettorale del convegno fiorentino promosso dall'Alleanza della Cultura, dopo il 18 aprile e l'attentato a Togliatti, Vittorini, di ritorno dal congresso di Wroclaw, leggeva a Ginevra, alle Rencontres Internationales, una memoria sulla letteratura engagée 7 dov'era riaffermato l'equivoco del quale era morto il Politecnico; e ne forniva così la conclusione. Invece di andare innanzi, riprendere l'osservazione di Onofri ed affermare che, sì, la richiesta di indipendenza della ricerca letteraria é una richiesta politica, la richiesta di una certa politica culturale da imporre ai dirigenti politici, il contenuto della Lettera a Togliatti viene ridotto, dalla distinzione di cultura e politica qual era, alla distinzione di letteratura e politica e finalmente di poesia e letteratura, per non dire all'opposizione fra poesia e cultura. Invece di difendere dalla riduzione all'immediato propagandistico e insomma dalla critica delle armi, dalle soluzioni di forza dei comitati centrali, tutta la cultura, tutta la ricerca, anche quella di più immediate risultanze politiche (come quella storica, filosofica, economica) e quindi implicitamente proporre al suo partito, restandovi o uscendone, e più in genere agli organismi della «sinistra» italiana, con le armi della critica, nuove soluzioni teoriche e pratiche, Vittorini finiva col formulare la richiesta «corporativa» della libertà della letteratura. Il periodico, che s'era aperto chiedendo una « cultura che prendesse il potere» si chiudeva con una istanza assai meno preoccupante per i nostri uomini di governo. Sarebbe invece stato possibile dar battaglia sulla breccia aperta dalla Lettera a Togliatti, assume[...]

[...]ali italiani? Ma, per far questo, sarebbe stato necessario ottenere dai collaboratori della rivista una disciplina, un lavoro di comune
7 « Poiché l'artista é naturalmente engagé in quanto é artista. Engagé alla propria spontaneità, engagé dalla esperienza collettiva di cui è spontaneo portatore... engagé
a sealth» (Rassegna d'Italia, marzo 1949). Doveva bastare, e bastò infatti, a rassicurar
t sulla strada che avrebbe presa l'exdirettore del Politecnico,
198 FRANCO FORTINI
ricerca, un coordinamento degli sforzi; sarebbe stato necessario costituirsi in gruppo, bruciare rapidamente le incertezze pratiche, pianificare la rivista, farne uno strumento di lotta teorica a lunga scadenza. Né è detto che la forma della rivista sarebbe stata la più adatta, quel lavoro si sarebbe forse espresso meglio in libri comuni 8. Si sarebbe 'avuto comunque un evento, per il nostro paese, straordinario: la costituzione di un gruppo di intellettuali che si scambiano i resultati delle loro ricerche e procedono insieme. Volle invece ognuno aver ragione per [...]

[...] libri comuni 8. Si sarebbe 'avuto comunque un evento, per il nostro paese, straordinario: la costituzione di un gruppo di intellettuali che si scambiano i resultati delle loro ricerche e procedono insieme. Volle invece ognuno aver ragione per proprio conto, finendo, qual più qual meno, con aver torto di fronte alla propria responsabilità sociale. Può esser facile risposta quella che vede in tutto ciò i limiti della personalità del direttore del Politecnico. Portato (e questa è responsabilità dei dirigenti del P. C.) dall'onda di marea della Resistenza ad un compito, che, per esser menato a buon fine, voleva una pazienza ed una preparazione grandi, egli non ebbe né l'una né l'altra, né seppe rinunciare ad esser sempre il primo, la vedetta... È evidente che, malgrado i lunghi scritti storici e filosofici, il secondo Politecnico é una .rivista per immagini liriche, una rivista letteraria nel senso migliore (o peggiore) di questa parola. Questo avvertivano bene i collaboratori: i Balbo, i Cantoni, i Preti e molti altri (Giulio Preti vi era certo l'uomo dalle idee più chiare e più ricche, dal polso capace di condurre avanti l'impresa) non parteciparono mai o quasi mai alla vita della redazione, Vittorini non sapeva celare la sua insofferenza nei confronti di uomini avvezzi al rigore logico e metodico; né, d'altra parte, le critiche filistee dei professori arrivavano a capire come, sotto apparenze discutibili e p[...]

[...]probabilmente era impossibile, nell'aria del 1948, tentar su di una nuova disciplina e rigore una ripresa della rivista; essa avrebbe richiesto inevitabilmente una immediata rottura con il Partito Comunista e un lungo, forse definitivo, periodo di isolamento. Ora, il '48 fu anno di battaglie aperte, di situazione ancora fluida. Forse nessuno di
8 Vittorini pensò ad una serie di volumidialogo. Ma non se ne fece poi nulla.
CHE COSA É STATO (( IL POLITECNICO )) 199
coloro che più tardi sarebbero usciti dal P. C. o dai quali — come ebbe a dire, in un pauroso accesso d'orgoglio, un di costoro — il P. C. sarebbe uscito, era preparato alla serietà del compito. Così, quando, quattro anni più tardi, su La Stampa, Vittorini farà la sua prima dichiarazione pubblica dopo il suo allontanamento dal comunismo, gli antichi collaboratori saranno dispersi ai quattro venti, restituiti per la maggior parte a quella « spontaneità » culturale così cara ai politici delle restaurazioni, che è quasi esattamente l'inverso della libertà.
Nato da una forse ingen[...]

[...]usciti dal P. C. o dai quali — come ebbe a dire, in un pauroso accesso d'orgoglio, un di costoro — il P. C. sarebbe uscito, era preparato alla serietà del compito. Così, quando, quattro anni più tardi, su La Stampa, Vittorini farà la sua prima dichiarazione pubblica dopo il suo allontanamento dal comunismo, gli antichi collaboratori saranno dispersi ai quattro venti, restituiti per la maggior parte a quella « spontaneità » culturale così cara ai politici delle restaurazioni, che è quasi esattamente l'inverso della libertà.
Nato da una forse ingenua e irresponsabile fiducia nel garibaldinismo culturale; cresciuto fino ad intravvedere quale avrebbe dovuto essere il lavoro di gruppo di intellettuali che intendessero operare al rinnovamento del proprio paese; finito quando, all'avvicinarsi di un lavoro difficile, oscuro e rischioso, si è rivelata la debolezza teoretica, l'incertezza, la mancanza di pazienza, di costanza, di tenacia e l'anarchico individualismo tradizionale ai nostri uomini di lettere, il Politecnico non avrebbe meritato, spe[...]

[...]abile fiducia nel garibaldinismo culturale; cresciuto fino ad intravvedere quale avrebbe dovuto essere il lavoro di gruppo di intellettuali che intendessero operare al rinnovamento del proprio paese; finito quando, all'avvicinarsi di un lavoro difficile, oscuro e rischioso, si è rivelata la debolezza teoretica, l'incertezza, la mancanza di pazienza, di costanza, di tenacia e l'anarchico individualismo tradizionale ai nostri uomini di lettere, il Politecnico non avrebbe meritato, spento com'è ormai il timbro della sua voce, tanto lungo discorso, se la sua vicenda non
seguitasse ad essere piena di insegnamenti. Se soprattutto e questo è
il suo merito, che nessuna critica può contestargli — i principali problemi d'oggi son quelli medesimi che esso ha posti e, per primo, descritti in forma generale: da quello, posto dalla sua stessa esistenza, d'un linguaggio non tecnico né volgarmente divulgativo a quello dei rapporti fra dirigenti culturali e dirigenti politici, da quello delle relazioni fra il pensiero marxista e le altre correnti del pe[...]

[...]a sua voce, tanto lungo discorso, se la sua vicenda non
seguitasse ad essere piena di insegnamenti. Se soprattutto e questo è
il suo merito, che nessuna critica può contestargli — i principali problemi d'oggi son quelli medesimi che esso ha posti e, per primo, descritti in forma generale: da quello, posto dalla sua stessa esistenza, d'un linguaggio non tecnico né volgarmente divulgativo a quello dei rapporti fra dirigenti culturali e dirigenti politici, da quello delle relazioni fra il pensiero marxista e le altre correnti del pensiero contemporaneo a quello di nuove vie possibili dii metodologia critica.
Il socialismo italiano e i partiti che non sappiamo per quanta tempo ancora lo rappresentano, non ha fatto che rinviare questi problemi. Una nuova generazione di studiosi e di scrittori, assai diversa dalla nostra, lavora ormai intorno ad essi, quasi tutta avviata sulle tracce della problematica gramsciava. E forse manca a coloro solo una più stretta unione di esperienze e di ricerche, un maggior coraggio dei propri resultati e 'la c[...]

[...]on ha fatto che rinviare questi problemi. Una nuova generazione di studiosi e di scrittori, assai diversa dalla nostra, lavora ormai intorno ad essi, quasi tutta avviata sulle tracce della problematica gramsciava. E forse manca a coloro solo una più stretta unione di esperienze e di ricerche, un maggior coraggio dei propri resultati e 'la capacità di resistere alle difficoltà pratiche e a quelle morali che nascono dall'abbandonare gli organismi politici costituiti, all'isolamento e alla disperazione per riuscire a fondare, in mezzo al caos e all'incertezza, in un duro rifiuto di molte lusinghe, qualche resultato. Altro discorso, ma meno diverso da quanto si possa credere, si dovrebbe fare per chi, fuor delle oscillazioni delle mode, lavora ad opere di narrativa e di poesia. Viene forse, in noi e, fuori di noi,
200 FRANCO FORTINI
nei più giovani, una maturità per la quale né la speranza né la disperazione siano degli alibi; dove la vita nella città e quella extra rzoenia non si neghino e si contraddicano ma l'una sia garante della liber[...]

[...] paradossalmente compensata dall'assenza d'una forte tradizione di democrazia borghese e dalla obiettiva asprezza dei conflitti di classe. Con più urgenza che altrove si pone qui — al limite delle culture e delle propagande in latta e profittando della pausa concessa dalla situazione internazionale — la necessità della elaborazione, della «invenzione », di soluzioni diverse ai conflitti fra libertà e autorità, fra direzione culturale e direzione politica che il socialismo ha incontrati e suscitati sul suo cammino. Qui; vale a dire, non in una astratta geografia occidentale o orientale... La responsabilità internazionale degli intellettuali e politici italiani, la sfida posta loro dalla situazione, sono fre le più rischiose ed onorevoli, quale che sia per essere l'avvenire del nostro movimento operaio.
FRANCO FORTINI
Direttore responsabile: ALBERTO CAROCCI
Iscrizione n. 3045 del 301252 del Tribunale di Roma
ISTITUTO GRAFICO TIBERINO Roma Via Gaeta, 14



da Giovanni Lombardi, i 90 anni della Sansoni in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1963 - - aprile - 2

Brano: [...] Sansoni — che sensibilizza questa esigenza del pensiero italiano — si affolla dei più illustri critici, scrittori, letterati: da Rajna a Milanesi, da Carducci a Villari. da Barton a Biagi, dal Torraca a Mazzoni.
Non mancano, nel frattempo, gli interessi più spiccatamente scientifici (la scienza riesce a oltrepassare l'esilio in cui l'aveva relegata l'umanesimo retorico) ed escono i vo' lumi sulla zoologia di Guelfo Cavanna e sulla Botanica di Poli e Tanfani.
Negli anni che vanno dal 1915 ai 1918, la atmosfera greve ed inquieta della guerra non impedisce alla Casa Sansoni di allargare ii programma della sua attività editoriale: proprio nel momento di maggiore chiusura natio nalistica (si ricordi la retorica patriottarda
della pace r tradita ). di recriminazioni e di incertezze. nasce la biblioteca sansoniana straniera il cui scopo fondamentale sarà quello di favorire un processo osmotico fra le diverse correnti di pensiero e di cultura euro
Una lettera di Carducci a Sansoni
pee e, sotto il profilo politico, una maggiore intesa ' e [...]

[...]asa Sansoni di allargare ii programma della sua attività editoriale: proprio nel momento di maggiore chiusura natio nalistica (si ricordi la retorica patriottarda
della pace r tradita ). di recriminazioni e di incertezze. nasce la biblioteca sansoniana straniera il cui scopo fondamentale sarà quello di favorire un processo osmotico fra le diverse correnti di pensiero e di cultura euro
Una lettera di Carducci a Sansoni
pee e, sotto il profilo politico, una maggiore intesa ' e collaborazione fra le nazioni. Nel 1922 vede la luce la biblioteca pedagogica
diretta da Giovanni Calò. . .
Una svolta importante avviene nel 1932 quando la famiglia Gentile rileva la Casa Editrice mutandone il programma culturale. Si . tratta_ per la verità= di una svolta che conserva quella continuita di cui parlavamo all'ini zio e che appare tanto più significativa ove si ponga mente al fatto che l'idealismo, giunto all' esasperazione attualistica, aveva travolto gli ultimi bastioni della scienza positiva contrapponendovi l'incontrastato dóminio del.lo spir[...]

[...] tanto più significativa ove si ponga mente al fatto che l'idealismo, giunto all' esasperazione attualistica, aveva travolto gli ultimi bastioni della scienza positiva contrapponendovi l'incontrastato dóminio del.lo spirito assoluto. Se di storicismo poteva parlarsi era solo, come dirà Gramsci, in chiave speculativa, astratta e concetttiale. Eppure,;, nonostante questa commistione, per non par lar di scontro, fra tradizione e strumentalizzazione politica, alla Sansoni si coltivano ancora interessi filosofici, letterari, artistici che non possono non assumere il valore di fronda y nei confronti di una .cultura.. . dogniatizzata Fioriscono, è vero. gli studi corporativi ma vede la luce anche Critica d'arte fondata e diretta da Carlo Ludovico Rag , ghianti e Ranuccio Bianchi Bandinelli. cosi come intorno al 1937, quando i sintomi di au
tarchia culturale hanno toccato i limiti del l'assurdo, nasce Civiltà europea cui collaborano Bignone, Pasquali, Russo. Foscolo Benedetto, Battaglia, Cantimori, Chabod, Praz e Lo Gatto. Ormai la guerra di[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Poli, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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