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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Più è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1656Analitici , di cui in selezione 53 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]ora affondato nel collo. « Questa », disse, « per festeggiare ».
« Oh », disse Salomone Croux. « Compi gli anni? ». Sapeva, come tutti in paese, che Borgne aveva venduto un prato, il suo unico prato. Lo aveva venduto a un industriale di Biella, certo Marconi o Maltoni. Questo tale era capitato quassù una domenica e si era — come dicono i ricchi — innamorato del luogo. Sul prato di Borgne avrebbe costruito una villa. Una villa in cemento armato, più finestre che muri, con riscaldamento centrale, garage e relativa strada d'accesso. Tutto si sapeva, tutto fuorché una cosa: quanto Borgne avesse preso del prato. Il geometra del comune era stato chiamato solo per rilevare i confini. Il compromesso era stato stilato in città nello studio di un dottore commercialista. Un affare misterioso. Tanto più misterioso in quanto nessuno, non essendo questa una zona di ville, aveva mai venduto un prato a gente di fuori. « Cosi », disse Salomone Croux, « compi gli anni. Beh, auguri ».
«Auguri vivissimi », disse l'altro, il ragazzo Attilio Glarey, e sorrise.
« Ho venduto il prato », disse César Borgne. « A un industriale. Ci costruisce una villa. Una villa in cemento armato, con riscaldamento centrale, garage e tutto il resto. E un signore. E il più grosso industriale di Biella ».
« Bel colpo », disse il ragazzo Attilio Glarey.
Così », disse Salomone Croux, « hai venduto un prato s.
« Già », disse César Borgne.
«Che prato? ».
« Che prato? Il mio. Il prato sotto il canale ».
« Proprio un bel colpo », disse il ragazzo Attilio. Sorrideva.
« Peccato », disse Salomone Croux.
«
Peccato? », disse César Borgne aggrottando la fronte. « Perché
peccato? ».
« Perché era un buon prato ».
74 GIOVANNI PIRELLI
« Se l'ho venduto è perché era un affare ».
Salomone Croux alzò le spalle. « Era della zia Jacqueline buonanima », disse, « vedova [...]

[...] lo vendevi per paura di farti fregare ».
Il ragazzo Attilio rise forte. Teneva apertamente per César. Puntò l'indice sulla bottiglia di grappa e disse: « Beh, non si beve? ».
La risata di Attilio irritò Salomone Croux. « A questo mondo c'è chi è capace di ragionare e chi non lo è », disse, volgendo, poiché era strabico, un occhio a César Borgne e uno al ragazzo Attilio. « Se hai un prato, sai cos'è. E un prato. È li. Non si muove. Non diventa più grande ma nemmeno diventa più piccolo. Quest'anno ci hai fatto tre fieni. L'anno venturo ci fai tre fieni. Tutti gli anni ci fai tre fieni. Più buoni, meno buoni, sono sempre tre fieni. Venisse anche il diluvio universale, quando l'acqua scola via cosa trovi? Il tuo prato. Questo, nella mia testa ignorante, è un prato ». Parlava lentamente, teneva la mano destra aperta con il palmo all'insù e le dita allargate come vi reggesse il prato, la fissava compiaciuto come se le fienagioni vi si susseguissero l'una via l'altra. Quindi chiuse la mano destra a pugno per significare che il prato non c'era più e dischiuse la sinistra sollevandola a scatti come vi facesse saltare monete. « E il danaro? Cos'è il danaro? Guardate quella bottiglia. E[...]

[...]meno buoni, sono sempre tre fieni. Venisse anche il diluvio universale, quando l'acqua scola via cosa trovi? Il tuo prato. Questo, nella mia testa ignorante, è un prato ». Parlava lentamente, teneva la mano destra aperta con il palmo all'insù e le dita allargate come vi reggesse il prato, la fissava compiaciuto come se le fienagioni vi si susseguissero l'una via l'altra. Quindi chiuse la mano destra a pugno per significare che il prato non c'era più e dischiuse la sinistra sollevandola a scatti come vi facesse saltare monete. « E il danaro? Cos'è il danaro? Guardate quella bottiglia. E o non è piena di grappa? ».
César Borgne non voleva mostrarsi condiscendente. Tuttavia non poté fare a meno di guardare la bottiglia. Altrettanto fece il ragazzo Attilio.
« Per forza è piena », disse il ragazzo Attilio. « E ancora da stappare ».
« Dunque è piena», disse Salomone Croux. « E una bottiglia piena di buona grappa. Uno è contento di avercela, no? Si, uno è contento di avercela. È tanta grappa. È un'intera bottiglia di grappa. Adesso ne prendi[...]

[...]. Non parliamo di settantacinque. Vuol dire bruciarsi le budella. Troppi. Ne bevo un sorso proprio perché ti sei ficcato in testa di voler festeggiare. Lo bevo perché un amico non lo si abbandona nei momenti difficili. Questo bicchiere e basta. No, non è bene abbandonare un amico nei momenti difficili. E così, eccomi qui che mi brucio le budella perché tu ti devi consolare di aver venduta il tuo prato ».
« Al diavolo », disse César Borgne senza più allegria. « Hai deciso di rovinarmi la festa ».
Per qualche tempo nessuno parlò. César, scrupolosamente imitato dal ragazzo Attilio, beveva a generose, ben intervallate sorsate; Salomone a sorsatine fitte accompagnate da smorfie di disgusto. Stavano come se ciascuno fosse solo con il proprio bicchiere. Nella stalla, fiocamente illuminata da una lampadina nuda e sporca appesa ad un chiodo, stagnava il tiepido umidore del fiato della mucca. Impregnava tutto, la mangiatoia, il tavolo di noce, la lunga panca ad angolo dietro il tavolo, gli sgabelli, la credenza rosa dai tarli, le tavole del soff[...]

[...]va il bicchiere, alzava una mano ed arricciava la punta di un baffo, ora questa, ora quella; questa in fuori, quella in dentro. `L'avrei dato via in ogni caso', si diceva, pensando al prato. `In ogni caso'.
l
QUESTIONE DI PRATI 77
S'arricciava un baffo in fuori, lanciava un'occhiata al ragazzo Attilio. L'approvazione di Attilio: bella roba! Quel figlio di una madre e di chissà quanti padri. Quella mezza cartuccia. Uno che a diciannove anni compiuti — ci avrebbe messo la mano sul fuoco — l'amore lo faceva solo con il proprio cuscino. César beveva un'altra sorsata, deponeva il bicchiere, lanciava un'occhiata a Salomone. `Sta a vedere se questo porco pensa che ho fatto un cattivo affare o se parla per invidia'. Si arricciava la punta dell'altro baffo, in dentro, . rabbiosamente. È che a lui non gliele andava mai bene una. Come guida era un fallito. Beveva. Forte e in gamba com'era, s'annoiava a portare clienti in montagna. Bevendo, partendo già dalla base con le gambe incerte e la testa annebbiata, si avviliva, s'abbassava al loro livell[...]

[...]e guida era un fallito. Beveva. Forte e in gamba com'era, s'annoiava a portare clienti in montagna. Bevendo, partendo già dalla base con le gambe incerte e la testa annebbiata, si avviliva, s'abbassava al loro livello. Ormai, se ancora gli capitavano clienti, una, due volte per stagione, erano fanatici che si lasciavano incantare dal nome: la guida César Borgne, della famosa famiglia dei Borgne. Una seconda volta, con César Borgne, non tornavano più. Come contadino, non parliamone. Nella divisione paterna aveva avuto una casa e un orto. Quando la zia Jacqueline era morta lasciandogli un prato, aveva venduto l'orto e comperato una mucca. Ma come può un uomo di quarant'anni, forte e in gamba, scaricare le proprie energie badando a un prato e una mucca? Beveva sempre piú. Finalmente nostro Signore guarda giù e dice: 'Povero Borgne, è un disgraziato, bisogna dargli una mano'. Gli manda l'industriale di Biella, discutono, si mettono d'accordo. Affare fatto. E che affare! Macché, arriva quel dannato di un Salomone Croux e cosa dice? Dice che i quattrini sono come la grappa...
César guardò la bottiglia. Era andata un pi) giù, si capisce. Però ce n'era tanta, tanta ancora! Si morse il labbro come se gli fosse scappata una bestemmia. Come fosse stato di quelli, cioè, che dopo tirata una bestemmia si mordono il labbro. Aveva scolato il proprio bicchiere ma gli ripu[...]

[...]ltava César, gli dava ragione e basta. « Si, la gente chiacchiera », disse. « Chiacchiera per invidia. Se lo sognano un affare così. No, non sono neanche capaci di sognarselo ». Era un fraseggiare imparato da César.
« Tu di affari te ne intendi come te ne intendi di donne », disse Salomone. Era contento che il ragazzo avesse riportato il discorso sull'affare del prato. Lo provocava appunto per farlo parlare.
Attilio arrossi. « Ne so un bel po' più di te », disse. « A me César dice sempre tutto. Sa che di me si può fidare ».
Salomone staccò la mano da sopra il bicchiere, ma solo per un momento, solo per agitare un dito nell'aria. « No, non ci credo. Un uomo parla di affari solo con un altro uomo ».
Era un'aperta provocazione. « Infatti », ribatté Attilio, « a te non. dice niente. Non vedi che non ti dice niente? Lo sai, tu, quanto ha preso del prato? Io lo so. So che ha preso tanti, tanti quattrini, che adesso si comprerà... un'automobile ». Era stato incerto se dire toro o automobile. Appena detto automobile, la cosa gli parve perfet[...]

[...]Dove la tiene? Dove vuoi che la tenga? La tiene in garage. Con i soldi che ha preso cosa vuoi che sia costruire un garage? So tutto, io. So che César sta trattando il terreno. E un prato di Belfront Augusto. Sarà un garage come ce n'è uno ad Aosta, con la saracinesca che va su e giù da sola. Si preme un bottone, vrrram, va sottoterra. Si preme un altro bottone, vrrram, torna su. César ha ordinato il progetto a un geometra d'Ivrea, vero César? ». Più Attilio inventava, più si sentiva sicuro. La cosa non era soltanto verosimile, era vera. Non temeva smentite.
« Per ora ho fatto fare solo il progetto della saracinesca che va su e giù », riuscì a dire César, accompagnando la frase con una smorfia cattiva. Non era cattiveria. Era dolore. Erano i crampi che diventavano insopportabili. Con una mano si comprimeva il ventre, con l'altra si pizzicava una coscia e ne torceva la pelle; perché, come si dice, chiodo scaccia chiodo.
Salomone Croux non sapeva più che pensare. Recentemente Belfront Augusto gli aveva parlato di voler vendere un prato lungo la provinciale perc[...]

[...]a soltanto verosimile, era vera. Non temeva smentite.
« Per ora ho fatto fare solo il progetto della saracinesca che va su e giù », riuscì a dire César, accompagnando la frase con una smorfia cattiva. Non era cattiveria. Era dolore. Erano i crampi che diventavano insopportabili. Con una mano si comprimeva il ventre, con l'altra si pizzicava una coscia e ne torceva la pelle; perché, come si dice, chiodo scaccia chiodo.
Salomone Croux non sapeva più che pensare. Recentemente Belfront Augusto gli aveva parlato di voler vendere un prato lungo la provinciale perché era quasi a livello del torrente. A primavera, al tempo del disgelo, gli si riempiva di pietre e di mota. César comperava il prato di Belfront per farci un garage? César faceva fare il progetto a un geometra di Ivrea? Era impazzito? Per niente non si impazzisce. Se era impazzito doveva aver preso molti, moltissimi soldi. Mezzo milione, forse più. « Scusa », disse, « e chi la guida quest'automobile? ».
Attilio era esacerbato. Da come Salomone poneva le domande si capiva che era c[...]

[...]re. Recentemente Belfront Augusto gli aveva parlato di voler vendere un prato lungo la provinciale perché era quasi a livello del torrente. A primavera, al tempo del disgelo, gli si riempiva di pietre e di mota. César comperava il prato di Belfront per farci un garage? César faceva fare il progetto a un geometra di Ivrea? Era impazzito? Per niente non si impazzisce. Se era impazzito doveva aver preso molti, moltissimi soldi. Mezzo milione, forse più. « Scusa », disse, « e chi la guida quest'automobile? ».
Attilio era esacerbato. Da come Salomone poneva le domande si capiva che era convinto solo a metà. « Chi la guida? L'autista! L'autista che César fa venire da Torino. Cosa credi, che César non abbia i soldi per pagarsi l'autista? L'autista avrà una livrea blu con bottoni d'oro, berretto e guanti. Sul berretto avrà scritto in oro: César Borgne, come sul berretto dell'autista del Royal c'è scritto: Hotel Royal ».
QUESTIONE DI PRATI 81
Era troppo, troppo anche per un uomo forte, duro, tenace quale César. Premette il ventre con entrambe [...]

[...]Torino. Cosa credi, che César non abbia i soldi per pagarsi l'autista? L'autista avrà una livrea blu con bottoni d'oro, berretto e guanti. Sul berretto avrà scritto in oro: César Borgne, come sul berretto dell'autista del Royal c'è scritto: Hotel Royal ».
QUESTIONE DI PRATI 81
Era troppo, troppo anche per un uomo forte, duro, tenace quale César. Premette il ventre con entrambe le mani, disse con voce supplichevole: « Basta, basta, non ne posso più ». Ed esplose. La grande bocca si spalancò con una secca detonazione seguita da un rovinare di risa miste a singhiozzi. Il busto gli si rovesciò indietro contro lo schienale della panca. Di li, con un contraccolpo, si ripiegò in avanti fino a toccare con la fronte il piano del tavolo. Tra uno scroscio e l'altro emetteva, nel tentativo di prendere fiato, fischi aspirati, striduli e acuti, irresistibilmente comici. Salomone non ebbe tempo di sentirsi interdetto. Investito dallo scoppio di César, anch'egli si rovesciò all'indietro, senza fiato, mentre la risata gli montava a ondate su per la gol[...]

[...]orzioni assurde rispetto al motivo che l'aveva originata. « Basta, basta », supplicava l'uno. « Smettila, sacrenom », imprecava l'altro. Se poi i loro sforzi combinati sortivano l'effetto che l'uno e l'altro accennava a quietarsi, bastava che i loro occhi umidi s'incontrassero perché il riso inesauribile, riprendesse a sgorgare. Tra i due, offeso, torvo, i gomiti piantati sul tavolo e la testa affondata nei pugni, stava il ragazzo Attilio. Tanto più il ragazzo Attilio si incupiva, tanto più gli altri erano costretti a ridere; e viceversa.
Alla lunga, esausti, i due anziani si calmarono. E mentre s'asciugavano gli occhi e soffiavano il naso, accadde che César riempisse, insieme al proprio, il bicchiere di Salomone e Salomone non protestasse, che tenesse, anzi, il bicchiere alzato finché César non glielo ebbe colmato. Fu proprio Salomone ad alzare il bicchiere brindando:
82 GIOVANNI PIRELLI
«Alla tua automobile rossa! ».
« Alla mia automobile rossa! »
« Al garage con la saracinesca che va su e giù! ».
« Al garage! »
« All'autista di Torino! »
« Con César Borgne sul berrett[...]

[...]rivolto. E tirò la lingua. I due anziani,.
ormai placati, bevevano. Non gli badarono.
« Ah », fece Salomone quando ebbe deposto il bicchiere. Si sentiva
leggero. César non comperava l'automobile. Quindi non era impazzito.
Quindi del prato aveva preso poco; trecentomila, forse meno.
IV
« Parliamo seriamente », disse Salomone Croux. Era una frase che non avrebbe detto (parlava sempre seriamente) se non avesse avuto il sospetto di non poterlo più fare. César gli stava riempiendo il bicchiere,. Salomone decise di non sollevare questioni. Bastava lasciarlo pieno.
« Ma va », disse César.
Il ragazzo Attilio meditava, cupo, come vendicarsi di César che si era fatto beffe di lui, l'aveva trattato da bambino; peggio, da donna. Era gonfio di stizza ma totalmente vuoto d'idee.
« Non voglio sapere quanto hai preso del prato. Non mi interessa », disse Salomone.
« Bene. Allora non parliamone più ».
« Non mi interessa », ripeté Salomone. Meditava. Meditando portò il bicchiere alle labbra. Si ricordò che non voleva bere. Ripose il bicchiere sul tavolo. L'aveva appena posato che, meditando, tornò a portarlo alle labbra. Una buona grappa, distillata nella cantina di casa,. una grappa di pura vinaccia, brucia alle prime sorsate. Bevine un altro poco. Non brucia più. Bevine ancora. Più ne bevi, più ti sembra di bere acqua fresca. « Puoi aver preso molto, puoi aver preso poco; la cosa non cambia ».
« Cambia si », disse César.
« Non cambia », disse Salomone. « Uno che vive in una grande.
QUESTIONE DI PRATI 83
città, o ha il conto in banca o è un disgraziato. Uno di noi, o è padrone sulla sua terra o è un disgraziato ».
« Certo », scattò sù il ragazzo Attilio. « Certo. È un disgraziato ». « Tu sta zitto », disse César.
« Mettiamo che hai preso mezzo milione », disse Salomone. Fece una pausa e scrutò in viso César. César non reagì. Ce l'aveva con Attilio. Quel moccioso si permetteva d[...]

[...]uono o cattivo non ho che un mezzo : provo a ricomperare il bicchiere che ti ho venduto ».
« Vorresti dire... ». César adesso sudava. Beveva, sudava e si tirava in dentro la punta del baffo.
« Sei in gamba, César. Hai già capito. Per sapere se hai fatto un affare buono o cattivo non hai che un mezzo : provare a ricomperare
84 GIOVANNI PIRELLI
il tuo prato ». Il ragionamento chiudeva in modo così impeccabile che Salomone si sentì intelligente più di quanto già sapeva di esserlo. Si accorse che il suo bicchiere era quasi vuoto. Non ne fu contrariato. Se bere lo rendeva più intelligente, valeva la pena, una volta tanto, di bere. Scolò il resto della grappa e ruttò con soddisfazione.
« Ricomperare il mio prato? », disse César. « E impossibile ».
« Se le cose stanno così, vuol dire che ha fatto non un cattivo, ma un pessimo affare ».
« Non è questo che voglio dire. E che il prato l'ho venduto. Ho già firmato il compromesso ».
« Sei un bel tipo », disse Salomone. « Come potresti ricomperarlo se non lo avessi venduto? ». Rise. Anche il ragazzo Attilio rise. Teneva apertamente per Salomone. Poiché César era troppo impegnato a pensare, Salomone riempì il suo bicch[...]

[...]i spacco il muso. Pochi o molti, mi tengo i quattrini ».
« Ho capito », disse Salomone. « È come pensavo. Hai fatto un pessimo affare ».
« E invece no. Ho preso tanti soldi come tu nemmeno te li sogni ».
QUESTIONE DI PRATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il labbro. « Sono più che tantissimi ». Più lo ripeteva e meno n'era convinto. Era di umore nero. Fissava la bottiglia vuota e palpava sotto la giacca il pacco delle banconote. Se lo sentiva, tra le dita, più smilzo. Eh già. Un bigliettone da diecimila se ne era andato non appena riscosso, ad Aosta, l'assegno. Aveva comperato un paio di scarpe per sua moglie, povera donna. Macché povera donna. Era la moglie di un contadino. Forse che con le scarpe nuove cessava di essere una moglie di contadino ? Aveva fatto compere per tutti. Quattro bambine, quattro regalini. E che da due Natali le bambine aspettavano un Bambino Gesù che non veniva. L'imprudenza era stata di far arrivare questo Bambin Gesù adesso, in febbraio, con dieci mesi di anticipo. Di anticipo? 'Perché', aveva detto Ines, la terza, `il Bam[...]

[...]a, ricordi la vedova talaltra?, s'é risposata con un brigadiere della Finanza, i prezzi del fieno, delle patate, del vino, i prezzi di tutto, le tasse... pago io (erano finiti, naturalmente, all'osteria), eh no, non mi fate questa offesa, oggi no, un'altra volta, oggi pago io... Era dovuto andare al cesso a sfilare fuori un altro bigliettone perché le poche centinaia di lire che avanzavano del primo non erano sufficienti per pagare i due fiaschi più il mezzo litro di giunta. Arriva sù e va diritto da un suo zio che gli aveva dato del fieno. Adesso che il prato era stato venduto, gli toccava garantirsi tutto il fieno per la mucca. Gli dà le ventimila che gli doveva dalla primavera scorsa. E quello: « Oh, siamo diventati
86 GIOVANNI PIRELLI
ricchi? ». Cretino era stato, cretino. Se teneva il debito, lo zio, pur di prendere un po' di quattrini, gli avrebbe dato altro fieno a credito. D'ora in avanti, invece, avrebbe preteso pagamento a consegna. Morale, quattro bigliettoni partiti. E non finiva qui. A casa, ecco la moglie lamentarsi: chis[...]

[...]iventati
86 GIOVANNI PIRELLI
ricchi? ». Cretino era stato, cretino. Se teneva il debito, lo zio, pur di prendere un po' di quattrini, gli avrebbe dato altro fieno a credito. D'ora in avanti, invece, avrebbe preteso pagamento a consegna. Morale, quattro bigliettoni partiti. E non finiva qui. A casa, ecco la moglie lamentarsi: chissà quanti soldi spesi per quelle scarpe, come se lei non poteva tirare avanti con le scarpe vecchie, con quei soldi, piuttosto, andava ad Aosta e si faceva fare la radiografia, si, era inquieta, adesso non poteva più stare zitta, era troppo inquieta, da tre notti sognava serpenti. Serpenti? Si, serpenti: vipere. E va bene, andasse ad Aosta. Si capisce, quando si diventa ricchi, nascono le esigenze. Una donna incinta sogna vipere? Occorre la radiografia. Viaggio, visita, radiografia: un altro bigliettone. Un altro bigliettone? Cosa volete che sia un altro bigliettone? Ce n'é tanti. Ce n'é tanti ancora, tanti...
Salomone Croux lo osservava gongolante. Sbronzo e gongolante. Dei tre era l'unico con la sbornia allegra. La sbornia del ragazzo Attilio era, ancora più che triste, tetra. Quanto alla sbornia di Cé[...]

[...] bene, andasse ad Aosta. Si capisce, quando si diventa ricchi, nascono le esigenze. Una donna incinta sogna vipere? Occorre la radiografia. Viaggio, visita, radiografia: un altro bigliettone. Un altro bigliettone? Cosa volete che sia un altro bigliettone? Ce n'é tanti. Ce n'é tanti ancora, tanti...
Salomone Croux lo osservava gongolante. Sbronzo e gongolante. Dei tre era l'unico con la sbornia allegra. La sbornia del ragazzo Attilio era, ancora più che triste, tetra. Quanto alla sbornia di César, si stava facendo rabbiosa. Malediceva se stesso per aver venduto il suo unico prato e sua moglie che si era opposta alla vendita. Malediceva il pessimo affare e Salomone che si permetteva di insinuare che era stato un pessimo affare. Indietro nel tempo, malediceva la zia Jacqueline che, morendo, gli aveva lasciato quel prato. Più indietro ancora, malediceva la notte in cui suo padre e sua madre avevano fatto all'amore, sporcaccioni, non poteva suo padre andare a dormire nel fienile invece di generare un figlio cos' disgraziato?
« Al diavolo », esplose. Prese la bottiglia vuota e la scagliò sul pavimento. La bottiglia scivolò sull'assito umido e non si ruppe. César le fu sopra, la schiacciò con lo scarpone, la ridusse in mille frammenti. Non si fermò, discese in cantina, ne risali con un'altra bottiglia identica alla prima. La stappò con i denti, riempi i tre bicchieri fino all'orlo.
« E adesso? », disse. « Cosa avet[...]

[...]uesto caso César é un disgraziato », disse Attilio, « e non c'è nulla da fare. Per tutta la vita sarà un disgraziato ». Quasi, in un ritorno di affetto, s'inteneriva. Reagì. « Che farci? Se l'è voluta lui ».
« Chissà », disse Salomone con voce distaccata, come parlasse di una persona lontana. « Infinite sono le vie del Signore. Può darsi che gli vada bene. Tutto può darsi. Ti ricordi Pession Eliseo? Era malato di cancro e nessun medico gli dava più di tre mesi di vita. Invece é morto un anno dopo e non di cancro. È morto perché, per paura del cancro, si é buttato nella Dora ».
« Povero Eliseo », disse il ragazzo Attilio.
« E Brunod? Ti ricordi la notte in cui bruciava il fienile di Brunod? ».
« Di Luigino Brunod? », disse il ragazzo Attilio.
« Non c'era uno che non giurasse che il fuoco gli avrebbe preso tutto, fienile e casa. Che fuoco! Invece la casa si é salvata. È vero che per rifare il fienile ha dovuto ipotecare la casa. Però, dico io, gli é andata bene. Sinceramente, mi auguro che anche a César vada bene. Bevo a che gli vada [...]

[...]ielo daresti? », disse il ragazzo Attilio.
« Farei così. Gli direi: non voglio sapere quanto hai preso del tuo
prato. Non mi interessa. Tanto hai preso, tanto mi dai ».
« Oh », disse il ragazzo Attilio. « Gli daresti il prato senza sapere
se ha preso poco o molto? ».
« Certo. Ma non quel prato di cui parlavo. Un altro. Il prato di
cui parlavo non lo darei nemmeno per un milione ».
« Quale prato gli daresti? ».
« Un buon prato. Un tantino più piccolo, più in pendenza. Invece
di essere sotto il canale, è sopra. Sarebbe un prato più che bastante per
chi ha una mucca sola. Mucca », disse Salomone levando il bicchiere alla
mucca di César, « bevo alla tua salute ».
« Alla salute di Claretta », disse il ragazzo Attilio levando il bic
chiere alla mucca.
« Di Claretta », disse Salomone con un rutto. « Che il tuo padrone
ti ricomperi un buon prato ».
« E se l'affare non si combina? ».
Salomone allargò le braccia, urtando il bicchiere, spandendo la
grappa che gli rimaneva. Tornò a riempire il proprio bicchiere e quello
di Attilio. « Una mucca », disse, « non vive di fieno comperato. E amaro
il fieno comperato. In poch[...]

[...]« E se l'affare non si combina? ».
Salomone allargò le braccia, urtando il bicchiere, spandendo la
grappa che gli rimaneva. Tornò a riempire il proprio bicchiere e quello
di Attilio. « Una mucca », disse, « non vive di fieno comperato. E amaro
il fieno comperato. In pochi mesi la bestia s'intossica e muore a.
Salomone rise di gusto. Attilio no. « Povera bestia, che colpa ha lei
se César ha venduta il suo unico prato? ».
« Si vede che vuol più bene al danaro che alle mucche ».
«Il prato sopra il canale basterebbe per far vivere Claretta? a.
« Certo che basterebbe ».
« César non sarà così crudele », disse il ragazzo Attilio, a da lasciar
morire Claretta se tu gli offri il modo di salvarla ».
« Non so. Dipende quanto vuole per Claretta ».
« Come sarebbe a dire? ».
« Esattamente come ho detto ».
« Non capisco », disse il ragazzo Attilio.
« Non capisci mai niente », disse Salomone, gli occhi strabici lucenti
di sbornia e d'allegria. « Quando mai un contadino vende un prato se è
in grado di comperare un'altra mucca? a.
QUEST[...]

[...]ci lucenti
di sbornia e d'allegria. « Quando mai un contadino vende un prato se è
in grado di comperare un'altra mucca? a.
QUESTIONE DI PRATI 89
VII
Il pugno di Cesar si abbatté sul tavolo, il tavolo sobbalzò, la bottiglia schizzò via, descrisse una breve traiettoria, discese, collo in gil, sull'assito. La grappa si sparse esalando un odore forte ed acre. César nemmeno volse uno sguardo a quel disastro. « Basta », tuonò. « Basta. Non voglio più saperne né di prati né di mucche. Sono un signore, io. Ho danaro, tanto che non ve lo sognate nemmeno. E me lo tengo ». Era malamente sbronzo. Di solito beveva fino al momento in cui si alzava per chiudere la porta dietro Attilio, spegnere il lume, coricarsi e fare all'amore. L'essere rimasto seduto senza bere lo aveva sbilanciato. « E adesso », disse cupo, « andatevene fuori dai piedi ».
Il ragazzo Attilio ebbe paura. Salomone era straordinariamente divertito. Bevve il fondo di grappa che ancora gli restava, allontanò da sé il bicchiere spingendolo con il dorso della mano lungo il piano del[...]

[...]rlo della panca, pronto allo scatto. Misurava la distanza fra sé e la porta, non perdeva una mossa di César.
E allora, Attilio ? », disse Salomone. Si pizzicava il pantalone all'altezza del ginocchio, scuotendo la testa. Fingeva di crucciarsi per i suoi pantaloni senza piega. « Cosa aspettiamo a togliere il disturbo al
90 GIOVANNI PIRELLI
signor Borgne? E alla signora Claretta? Quanta strada anche Claretta, eh? La ricordo quando ancora era la più povera, la più disgraziata tra le mucche di mia conoscenza. E adesso non conosce più fieno, conosce solo biglietti di banca ».
Era troppo. César si volse. Aveva il viso paonazzo, il collo gonfio e le mani che tremavano. « Fai il furbo, vero? Speri che. te la venda per quattro soldi? Bene, puoi togliertelo dalla testa. Non te la vendo. Non la vendo a nessuno e tanto meno a te ».
« Ti credo », disse Salomone. « Per poco che te ne intendi di mucche, sai che sarebbe fatica sprecata. Ha anche rifiutato il toro, il mese scorso, o confondo con un'altra tua mucca? Comunque non c' da impressionarsi. II macellaio la prenderà. Il macellaio non ci rimette mai. Cornpera tanto al chilo, [...]

[...]rifiutato il toro, il mese scorso, o confondo con un'altra tua mucca? Comunque non c' da impressionarsi. II macellaio la prenderà. Il macellaio non ci rimette mai. Cornpera tanto al chilo, rivende tanto al chilo, osso compreso. Attilio, non conosci per caso un macellaio onesto? Non vorrei che il povero César si facesse fregare anche sul peso di Claretta ».
« Non la dò al macellaio. Non la dò a nessuno ».
« Oh, la tieni? Credevo che non volessi più saperne né di prati né... ».
« No, non la tengo », disse cocciutamente César.
Salomone sollevò il cappello per grattarsi il cranio, alzò le spalle, inarcò le sopracciglia. Guardava interrogativamente il ragazzo Attilio. « L'ammazza », bisbigliò il ragazzo Attilio al quale la paura suggeriva prospettive sanguinose.
« Sissignore », disse César, « l'ammazzo ».
« Come credi che l'ammazza? », bisbigliò Salomone.
« Con il coltello », bisbigliò il ragazzo Attilio. Il solo pensiero del coltello nelle mani di César lo fece impallidire.
« Con il coltello, con il coltello, si. Proprio con il colte[...]

[...]no. Lo spingeva in un senso, lo tirava, a suo piacimento, nel senso opposto.
« Sai cosa? », disse Salomone. « Impiccala. Se l'impicchi non c'è né rumore né spargimento di sangue ».
César impallidì. Quando era bambino di cinque o sei anni, sua nonna, la madre di sua madre, era stata trovata appesa a una corda in solaio. Una crisi di malinconia, come se ne registrano, da queste parti, parecchie. Qualcuno s'impicca, altri si buttano nel fiume; ai più anziani basta il lavatoio. Volse gli occhi al soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda intorno al trave. Facile, facilissimo. Tuttavia esitava. Sperava ancora di scoprire un ostacolo per non farne niente.
92 GIOVANNI PIRELLI
«
Cos'hai? », disse Salomone. « Non ti senti bene? ».
Boja fauss. Quel maledetto gli leggeva dentro come in un libro. « Cosa credi? Che César Borgne ci pensi due volte prima di impiccare una mucca? ». Dalla cassapanca si ri[...]

[...]ne la catena della mucca, spari nel vano dell'uscio di casa, ne riemerse dopo pochi istanti reggendo due padelle, di quelle con il manico lungo di legno che s'usano per arrostire le castagne sulla fiamma. « Ecco. Tu Attilio, sei la banda ». Gli mise le padelle, una per mano e disse: « Prova ».
« Non voglio », disse il ragazzo Attilio. « Non mi va ».
« Prova, fagiano ».
Controvoglia, debolmente, Attilio batté le padelle l'una contro l'altra. « Piú forte ».
« Non mi va ».
« Piú forte, ho detto ».
« È inutile, non mi va », disse cocciutamente Attilio.
« Cosi, fagiano! ». César gli si mise alle spalle, gli prese i polsi, gli allargò le braccia, gliele riunì con violenza. Ma Attilio aveva mollato la presa, le padelle finirono a terra e solo le sue mani sbatterono l'una contro l'altra.
« Ahi », fece Attilio, portandosi le mani doloranti alla bocca. Quasi piangeva.
« E allora vattene », disse spazientito César. « Va a piangere in braccio a quella vacca di tua madre. Va, va. Salomone, a noi ». S'era già scordato del ragazzo Attilio. « Avanti, monta su ».
« Io? », dis[...]

[...]e padelle finirono a terra e solo le sue mani sbatterono l'una contro l'altra.
« Ahi », fece Attilio, portandosi le mani doloranti alla bocca. Quasi piangeva.
« E allora vattene », disse spazientito César. « Va a piangere in braccio a quella vacca di tua madre. Va, va. Salomone, a noi ». S'era già scordato del ragazzo Attilio. « Avanti, monta su ».
« Io? », disse Salomone, guardando la coda inquieta della bestia. « Io? ».
«Proprio tu. Sei il più anziano. La cavalcatura tocca al più anziano ».
« Mmonta tu », disse Salomone. Aveva la lingua impastata e le gambe tremolanti. « La mmucca è tua ».
«Di, non avrai paura? Alla tua età, paura di una _mucca! ».
« Nno », disse Salomone. « È la mmu, è la mmucca che ha paura ».
« Al diavolo », disse César scoraggiato. « Non ho mai conosciuto gente più fagiana di voi due ». Ma non si diede per vinto. « Allora, Attilio, monta tu sulla mucca. Sei leggerino. Sei un cavaliere ideale. E tu, Salomone, sei la banda. Vieni, Attilio, vieni ».
94 GIOVANNI PIRELLI
Il ragazzo Attilio era ancora n, le mani dolenti e intirizzite chiuse a pugno sulla bocca. « Non mi va », disse, muovendo all'indietro. « Non mi va di fare il cavaliere. Hai detto che io sono la banda ».
« Ho cambiato idea », disse César.
Attilio fece una giravolta sui tacchi ma scivolò sul ghiaccio finendo gattoni. César gli fu sopra, lo strinse nelle braccia, lo sollevò di peso, lo iss[...]

[...]po lo rimbalzava con il viso tra le corna. Era tanta la paura di finire a terra che, se gli fosse stato possibile, si sarebbe buttato. Non era possibile. Tra la rotondità del ventre della bestia ed i muri del vicolo vi era uno spazio di pochi palmi. Se fosse stato pássibile, avrebbe gridato. Anche questo gli era impossibile. La paura lo soffocava. Quando, superato un ostacolo e riavutosi un poco, apriva la bocca, una nuova emozione — un sobbalzo più forte, lo spigolo di una casa, il buco d'ingresso di una stalla seminterrata, un trave sporgente da un muro — gli frantumava il grido in gola. Una sola volta, chissà come, gridò. Fu quando gli si parò innanzi, basso, nero e minaccioso, l'arco di pietra che copre il passaggio dal vicolo alla piazzetta della chiesa. « Mamma », gridò, appiccicò il viso al collo della mucca e chiuse gli occhi, certo di dover morire.
Quando li riapri, si trovò sulla neve. Sopra di lui c'era la cappa di nebbia grigia e bassa come un coperchio. Tra lui e quel coperchio dondolava una massa tondeggiante. Era il ventr[...]

[...]ì la voce di Salomone. Era quasi nel mezzo della piazza, seduto sulla neve gelata e diceva: « Che chiaro di luna, che bellissimo chiaro di luna ». Era completamente svanito.
« Brava, brava Claretta », disse a sua volta César. « Sei una mucca
96 GIOVANNI PIRELLI
in gamba. Ti faranno accademico del CAI ». Per Attilio nemmeno una parola. Lasciò che la mucca bevesse un paio di minuti, quindi ordinò: « Basta. Se ti gonfi come un'otre, chi ti porta piú su? ».
« Non lo fare, César, non lo fare », supplicò il ragazzo Attilio, sollevandosi fino a mettersi in ginocchio. Non aveva la più pallida idea sulle intenzioni di César. César aveva intenzioni e tanto bastava per terrorizzare Attilio. « Torniamo a casa, ti prego, andiamo a letto a.
« Vacci tu », disse Cesar. « Va a farti una s... ».
IX
Il campanile ha una porta che dà sulla piazzetta, dalla parte del lavatoio, ed é sempre aperta. La chiamano `porta del fuoco'. Se brucia una casa, una stalla, un fienile, la prima cosa da fare è precipitarsi alla `porta del fuoco', attaccarsi alla corda oppure salire i quarantasette gradini e suonare a martello. César spalancò il battente con una pedata e introdusse la lanterna nel van[...]

[...]automa, apri le braccia, le riunì sbattendo clamorosamente le padelle. Come' già nel vicolo, davanti alla casa di César, così anche adesso la mucca ebbe un sobbalzo. Perduta la sua rigidezza, si trovò a cedere alla forza della catena. Una volta posati gli zoccoli sui primi gradini, prese a salire volonterosamente benché la scala s'avvitasse ripida e stretta. César, precedendola e guidandola, si studiava di illuminarle il cammino lasciando quanto più possibile in ombra il buco centrale lungo cui penzolava la corda della campana. Saliva così bene, quella brava bestia, che sarebbe stato peccato
QUESTIONE DI PRATI 97
se le fossero venuti brutti pensieri. Dietro di lei, distanziato di alcuni gradini, avanzava Salomone. La mente deliziosamente annebbiata, saliva superando i problemi della statica e della dinamica grazie alle padelle che reggeva verticalmente come stampelle, spostandole davanti a sé di gradino in gradino. Il frastuono del ferro ritmicamente battuto sulla pietra era quanto occorreva perché la bestia procedesse con la voluta co[...]

[...]ente battuto sulla pietra era quanto occorreva perché la bestia procedesse con la voluta continuità.
Fermo e rigido nello stesso punto dove, all'inizio, s'era irrigidita la mucca, stava il ragazzo Attilio. Sperava che lo chiamassero. Ma poiché nessuno pareva ricordarsi di lui, gridò su: a Io vado a letto. Non salgo. Non mi va di salire ».
« Vva, vva a ppiangere in brbraccio a quella vvacca », gli gridò, dall'alto, Salomone.
La provocazione fu più forte della paura. Anche il ragazzo Attilio prese a salire. Aveva l'animo oppresso da tristi presagi. Saliva piano, con il cuore in bocca, incespicando ad ogni gradino poiché, trovandosi distanziato dagli altri, la luce della lanterna gli giungeva estremamente fioca. Però saliva. « Ma perché, César, perché non dici cosa vuoi fare? », implorò. Non ebbe risposta alcuna. « Se finisce male », disse, « l'avrai voluto tu ». Ancora non gli badarono. « Cosa credete, che io abbia paura? » Aveva adottato il sistema di salire a quattro zampe. Era un sistema molto più redditizio. Verso la metà della ramp[...]

[...]piano, con il cuore in bocca, incespicando ad ogni gradino poiché, trovandosi distanziato dagli altri, la luce della lanterna gli giungeva estremamente fioca. Però saliva. « Ma perché, César, perché non dici cosa vuoi fare? », implorò. Non ebbe risposta alcuna. « Se finisce male », disse, « l'avrai voluto tu ». Ancora non gli badarono. « Cosa credete, che io abbia paura? » Aveva adottato il sistema di salire a quattro zampe. Era un sistema molto più redditizio. Verso la metà della rampa era quasi a ridosso di Salomone.
« Oh, oh, Claretta ». César dava la voce alla mucca, ma non per farla avanzare. Le dava la voce per calmarla, temendo che potesse incespicare e rompersi una gamba. La mucca, infatti, una volta infilatasi in quel budello oscuro, sembrava avere un unico pensiero: uscirne. Aveva il fiato grosso, ansimava, procedeva a strappi, eppure non si fermava.
« In giù non andrà, te lo dico io », si lamentò il ragazzo Attilio.
« In ggiù! In ggiù! », rise Salomone. E indicò la corda della campana.
« Non é vero », si lamentò il ragazzo[...]

[...]ggiù! », rise Salomone. E indicò la corda della campana.
« Non é vero », si lamentò il ragazzo Attilio. « Non ci credo. César non lo farà ».
«Quando sei sbronzo sei intelligente », disse César a Salomone. Ma aveva dispetto che Salomone avesse indovinato il suo piano. « E poi, dimmi, poi che si fa? ».
« Poi, poi, poi », canticchiò Salomone.
« Vedi, non sai niente. Oh, oh Claretta, oh » disse César dando la voce alla mucca che procedeva sempre più a strappi. Se si rompeva
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una gamba, guastava tutto. « Poi si suona a martello. Compito tuo, Salomone. Tutto ciò che è rumore è compito tuo ».
« Non ci credo », disse il ragazzo Attilio. « Fate i furbi. Io so che fate i furbi ».
« Quando tutto il paese è riunito », seguitò César, « caliamo Claretta in piazza e la cuociamo ». La mucca esausta, si era fermata. César la lasciava riposare. Non mancava ormai che una decina di gradini. « La cuociamo allo spiedo ».
« Allo sspiedo! », disse gioiosamente Salomone. « Una mmucca allo sspiedo! ».
« Con questo freddo? » disse il r[...]

[...]a l'asticella delle ore tre, la punta del sinistro le asticelle delle ore nove.
ioo
GIOVANNI PIRELLI

Aveva disposto il corpo a leva, con le braccia e le gambe tese ed il sedere buttato in fuori. II sedere fungeva, cioè, da fulcro, i piedi da potenza e le mani da resistenza. È la migliore posizione, su uno strapiombo, per essere equilibrati e distribuire ugualmente il peso sui muscoli delle quattro estremità. Così sistemato, non avendo più nulla da fare, cominciò a sospettare d'essersi cacciato in un guaio. Ancora non gridò, non chiese aiuto. Non lo fece per due motivi: primo, perché gli seccava di chiedere aiuto; secondo, perché sapeva che nei casi del genere gli altri fanno confusione e basta. La faccenda doveva venir risolta fra lui e la mucca. Si issò sulle braccia, abbandonando l'appiglio dei piedi, puntò il cranio contro il petto della bestia e spinse. Spinse come fosse mucca contro mucca. La vera mucca non arretrò di un centimetro; si limitò a scrollare il muso sbavando addosso al padrone. César si calò indietro, ritrovò[...]

[...] tremito che dal calcagno gli saliva al ginocchio. Brutta faccenda quando uno impastato in parete comincia ad avere il tremito alle ginocchia. È segno che sta perdendo il controllo dei nervi. Allora capi di essersi cacciato in un guaio di quelli per i quali si può anche crepare. Improvvisamente ebbe molta paura.
«Oh! », chiamò.
« Oh », disse Salomone, dalla fine della rampa. « Ffinalmente! ». « Sono nei guai », disse César. Gli seccava dire di piú. « Salomone? ».
« Oh », disse Salomone.
« Tira indietro la mucca ».
«Pperché? Ccosa c'è? ». Più che non dalla situazione che non tentava nemmeno di spiegarsi, Salomone era sconcertato dalla strana voce che di lontano gli giungeva all'orecchio. Era la voce di un altro. Chi poteva essere quest'altro? E César, dove si era cacciato costui?
« Ho freddo », disse il ragazzo Attilio. « Io me ne vado. Vado a letto ».
La voce si fece ancora sentire. Era la voce di César per il solo motivo che non poteva essere d'altri. « Sacrenom, non capite che sto crepando? ».
Addirittura? A chi credeva di darla da bere? No, Salomone non
QUESTIONE DI PRATI 101
ci cascava. « Hai ssentito? », disse ad Attili[...]

[...]ndo un pericolo incombe e bisogna dare l'allarme. Per scarsa che sia l'intelligenza e corta la memoria di una mucca, la mucca Claretta sapeva di avere dietro di sé una scala ripida e un vuoto. Prese paura, puntò gli zoccoli, s'agitò. Agitandosi premette con un fianco l'orlo della campana. La campana cominciò a dondolare, il movimento crebbe, il battacchio urtò il bronzo. Ne usci un suono strascicato e cupo. La paura della bestia aumentò. S'agitò più scompostamente, urtò con maggior vigore la campana ancora oscillante, provocò un altro, più forte rintocco, un terzo, un quarto rintocco. Terrorizzata, la mucca si spingeva in senso opposto agli strattoni di Salomone e d'Attilio, cioè in avanti. Così facendo urtava con le ginocchia le mani di César aggrappato alla sbarra di ferro. La pelle delle dita di César, già indurite dal freddo, prese a spaccarsi.
« Smettetela! », urlava adesso César. « Basta! Basta! ».
« Più fforte, più fforte », diceva Salomone al ragazzo Attilio.
« Vi ammazzo! Assassini! », urlava César. « Vi ammazzo! ».
Più gridava, più i due dalla scala tiravano, più la mucca s'agitava. I rintocchi si diffondevano ormai nella notte sull'intera borgata e oltre, oltre le circostanti frazioni sino ai casolari dispersi sulla costa e giù verso il fiume.
102 GIOVANNI PIRELLI
XI
Ce ne vuole, da queste bande, per cavare uno dal letto. Se il rumore è in casa o viene su dalla stalla, è un'altra faccenda. Ma se viene da fuori, si pensa a uno dei soliti ubriaconi che fa bisboccia o baruffa con i compagni, o impreca contro la moglie che ha sprangato l'uscio di casa. Affari suoi. Ci si tira la coperta sopra la testa e si ripiomba nel sonno. Infatti, per quanto forti[...]

[...]itava e urlava, si fecero addosso ai Chénoz padre e figlio tempestandoli di domande: « Cos'è? Chi è? Cosa è stato? ».
« Cosa volete che ne sappiamo? », rispondevano i Chénoz.
« Ma se eravate qui », si spazientivano gli altri.
Frotte di uomini e alcune donne spuntavano, intanto, dalla raggera di vicoli, accrescendo la ressa intorno ai due Chénoz. Molti arrivavano con lanterne; lanterne a petrolio, a carburo, ad acetilene. Il chiarore si faceva piú intenso, saliva, conquistava le zone opache sotto la cappa di nebbia.
« C'è una mucca! », gridò con entusiasmo il figlio dell'idraulico Grange, lettore di romanzi a fumetti. « Una mucca in cima al campanile! ».
Per alcuni istanti tutti guardarono su senza poter aprir bocca. Finché Lino Guichardaz, il giovane cognato di César, gridò : « Quello è mio cognato! E César Borgne! ».
Tanto bastò per ridare ai più svegli il senso della realtà. Laurent Pascal si staccò dal gruppo e corse verso il campanile, seguito dal figlio
QUESTIONE DI PRATI 103
Chénoz, dall'anziano Luigino Brunod, da altri. Nel giro di pochi istanti, da tutti. Si ammassarono alla porticina del campanile, irruppero nell'interno, s'ingorgarono, spingendosi e urtandosi, su per le scale. In cima alla rampa trovarono Salomone Croux e il ragazzo Attilio Glarey.
Attilio era rannicchiato sulle ginocchia, una mano ancora attaccata alla coda della mucca, l'altra infilata sotto la giacca. « Ho freddo », piagnucolava.
Salomone si era rizzat[...]

[...]ni, diversi piangevano. Piangevano perché avevano freddo, o perché avvertivano il senso della tragedia, o ancora perché, avendo riso dell'uomo penzoloni e della mucca in cima al campanile, s'erano presi uno scappellotto.
QUESTIONE DI PRATI 105
Tra campanile e piazzetta c'era ormai tutto il paese; come, sul litorale, tutt'un paese di pescatori quando c'è in mare una barca sorpresa dalla burrasca. Mancavano alcuni vecchi di quelli che non escono più, alcuni ammalati. Mancava Augusta, la levatrice, e un paio di donne corse sin dal primo allarme in casa di César per trattenervi, con storie e pretesti, la moglie e le bimbe. Specialmente la moglie, povera deana, che era incinta di sei mesi.
XII
La campana taceva e César non gridava più. Sapeva, adesso, di dover morire. Tra poco si sarebbe voltato a guardare giù. Allora le sue mani avrebbero abbandonato la presa. Non si era ancora voltato ma sentiva un brusio di voci montare dalla piazza. Sapeva cosa significava. Significava che tutto il paese era li ad assistere alla sua morte, che l'attendeva. Perciò gli toccava morire. Al mattino di quello stesso giorno era ad Aosta, nello studio del dottore commercialista, e firmava il compromesso per la vendita del prato; a mezzoggiorno era in un'osteria a far chiacchiere con i cugini di Valtournanche (lo zio tale che si è preso una bru[...]

[...]rmire. Quando mai la morte va a dormire? Infatti era venuto. La bella sbornia era diventata una sbornia cattiva. Gli durava ancora. Alla fin fine c'era da ammazzare la mucca. Non ricordava perché. Si parlava di coltello, di fucile. Chi era saltato fuori a dire che bisognava impiccarla? Chi lo aveva detto? Chi? Lui, sempre lui, sempre Salo'none Croux.
`L'ammazzo', si disse Cesar. `L'ammazzo'. Allora, ricordandosi che stava per morire e non aveva più tempo d'ammazzare nessuno, fu preso da una gran rabbia. « Sacremon », disse forte, « cosa ci stai a fare tu? ». Il tu era San Wuilliermo, patrono del paese, un santo che, come Gesù alle nozze di Cana, aveva mutato l'acqua in vino; perciò veniva considerato protettore degli ubriachi. `Se mi tiri fuori di qui, non ti dò fastidi per il resto della mia vita. Non bevo più. Te lo giuro sulla testa di mio padre'.
Poiché era giunto al limite della resistenza, decise di dare a San Wuilliermo un termine. Avrebbe contato fino a dieci. Se entro quel termine non accadeva nulla, avrebbe deciso che San Wuilliermo era un volgare truffatore. Contò fino a dieci. Gli concesse una proroga e ricontò da uno a cinque, poi da uno a tre. Allora si accorse che dalla piazza saliva un brusio più fitto, rotto da voci più alte. Fece l'ultima cosa che gli restava da fare: si volse. Laggiù, tra i bagliori delle lanterne, una folla lo aspettava. Era una folla immobile. Oppure ondeggiava. Una delle due, la cosa non cambiava, la folla lo tirava giù.
Nel medesimo istante in cui, sparato da Cyprien Berthod, un colpo di fucile '91 raggiungeva la mucca a mezzo la fronte e l'abbatteva, César Borgne, mollata la presa, piombava giù senza un grido.
XIII
« Grappa », sospirò. Era caduto nel triangolo fra campanile, lavatoio e pioppo. In quel punto vi era un mucchio di neve accumulata dall'assessore Chénor il quale aveva i[...]

[...]senza un grido.
XIII
« Grappa », sospirò. Era caduto nel triangolo fra campanile, lavatoio e pioppo. In quel punto vi era un mucchio di neve accumulata dall'assessore Chénor il quale aveva il compito, dopo ogni nevicata, di
107
QUESTIONE DI PRATI
aprire il passaggio alla chiesa e al lavatoio. César vi era precipitato di schiena, ne aveva sfondato la crosta gelata, vi era sprofondato fino al collo. Dalla neve emergevano il viso, reso ancor più terreo dalle macchie scure dei baffi, le avambraccia con le maniche a brandelli e le mani spellate, scarnificate, sanguinolente. La sua unica mossa fu di aprire un occhio, uno solo. Lo rinchiuse subito e restò a palpebre abbassate. « Grappa », ripeté in un sospiro.
Prima ancora che si riavessero coloro che dalla piazza avevano assistito alla caduta, gli furono addossi gli altri, scesi precipitosamente dal campanile quando avevano udito lo sparo.
« Svelti », gridò il padre Chénoz, « portiamolo a casa ».
« Siete matti? », intervenne Luigino Brunod. « Non lo toccate. Lasciatelo immobile finch[...]

[...]en altro di che morire », disse gravemente Luigino Brunod. « Il prete! Il prete! », gridò Lino Guichardaz dietro al figlio Chénoz che partiva correndo a chiamare il medico.
« Ahi, ahi », presero a piangere le donne. Il pianto delle donne si comunicò ai bambini.
« Grappa », implorò Cesar.
«César, come stai? Cosa ti senti? ».
« Dove hai male? Alla schiena? Alla testa? ».
« César, parla, rispondi. Sono io, sono tuo cognato Lino. Non mi conosci piú? Perché non rispondi? César! ».
César sollevò faticosamente una mano e se la passò sulla bocca. « Grappa », disse. « Grappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia fu appoggiata alle labbra di César il tempo necessario perché ne prendesse un piccolo sorso.
« Ancora », disse.
«Ma si, che beva, poveraccio », disse il padre Chénoz.
« Così finite di ammazzarlo », disse Luigino Brunod.
« Ancora », disse César. « Ancora ».
« E su, dategliene. Non vedete che é già più di là che di qua? ». « Anc[...]

[...]rappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia fu appoggiata alle labbra di César il tempo necessario perché ne prendesse un piccolo sorso.
« Ancora », disse.
«Ma si, che beva, poveraccio », disse il padre Chénoz.
« Così finite di ammazzarlo », disse Luigino Brunod.
« Ancora », disse César. « Ancora ».
« E su, dategliene. Non vedete che é già più di là che di qua? ». « Ancora », disse César. « Ancora ». Bevve a lungo, ebbe un colpo
1Ó8 GIOVANNI PIRELLI
di tosse, sputò. Lo sputo, una miscela di grappa e sangue, gli colava lungo il mento.
« Un fazzoletto », disse Luigino Brunod: « Chi ha un fazzoletto pulito? ». Nessuno lo aveva. Un ragazzino parti alla ricerca di un fazzoletto pulito.
Salomone », sospirò César. « Salomone ».
Lo andarono a prendere. Salomone Croux era ancora in cima alla rampa del campanile, pieno di paura. La morte inaspettata della mucca lo aveva sconvolto. Si lasciò condurre abbasso, riluttante e al tempo stesso[...]

[...]n uno scatto d'ira, « non date voi i vostri. prati? Perché devo darli io? Ve li paga, non avete sentito?, ve li paga in contanti. Avanti, perché non gli fate una offerta? ».
Nessuno parlò. Se qualcuno fece una mossa, fu per ritrarsi, per defilarsi dietro le spalle di un altro. Se c'era chi doveva accontentare il povero César, chi doveva rinunciare a un prato, era giusto fosse Salomone Croux. Se non altro perché era antipatico.
« Non parliamone più », disse César. « Bevi, Salomone. Bevi e non parliamone più. Attilio, vieni ragazzo, vieni vicino a me. Bravo. Tu sei bravo. Adesso metti la mano sotto la giacca. Trovato? Tira, tira fuori ».
La mano tremante del ragazzo Attilio estrasse da sotto la giacca di César un pacco di banconote ancora legato con lo spago. Erano banconote da diecimila tutte nuove fiammanti. Era un grosso pacco. Un mormorio di stupore corse fra i paesani. Salomone Croux spalancò gli occhi. Settecentomila? Di più? Più di settecentomila?
César disse: «Ragazzo, porta questo pacco a mia moglie. Le dirai che comperi prati e mucche. Comperi da chi le pare, non da Salomone Croux. Capito bene? Nemmeno se Salomone le dà prati e mucche per quattro soldi. Dillo a mia moglie: da chi vuole, non da Salomone Croux. E la mia ultima volontà ».
« No, César, non morire », implorò il ragazzo Attilio con un nuovo scroscio di singhiozzi.
« E smettila di piangere, fagiano », disse César.
« César », disse Salomone. Si sentiva maledettamente solo e infelice. Avrebbe avuto bisogno di tutta la freddezza e l'astuzia di cui solit[...]

[...]l supplemento di grappa che era stato costretto a bere gli stagnava nella testa come fango. « Ragiona, César. Non posso dare via due prati. Non darei via nessun prato. Se tratto, é perché sei. tu, perché tu, poveretto... ».
« Ottocentomila », disse César.
« Novecento. Per novecento te li do. Hai vinto, vedi? Per novecento ti dò due prati. Sei contento adesso? ».
Sta bene novecento », disse César. ' « Per novecentomila in contanti, i due prati più una mucca e una manza dalla tua stalla. Su, Attilio, contagli sul naso novecentomila lire. Ahi. Ahi la mia schiena. Fa presto, Attilio...».
« No!, no! », disse Salomone. « Non posso. E un ricatto. Non posso ».
QUESTIONE DI PRATI 1=1
César Borgne ebbe un colpo di tosse. « Muoio », disse. « Mia moglie. Dov'è mia moglie? Povera donna, sola con quattro creature e una in seno ». La commozione gli sali alla gola. Poiché detestava i sentimenti, s'incattivì. « Chiamatela. Glielo voglio dire io. Con chi le pare, tratti con chi le pare. Non con Salomone Croux ».
Salomone impazziva. Che affare era q[...]

[...]tificarsi dicendo di averlo fatto per pietà. Ma che César, ad affare con
112 GIOVANNI PIRELLI
cluso, avanzasse ancora soldi, era una truffa, una truffa intollerabile. «E quelle? a, gridò.
César apri un occhio, fece una smorfia, puntò i gomiti sulla neve, apri l'altro occhio, sollevò il busto. «Avaro», disse. Raccolse le ginocchia, vi spostò sopra il peso del bacino e del busto. « Avaro », ripeté. « Avaro, avaro, avaro », disse con voce sempre più forte, levandosi in piedi. «E il funerale chi me lo paga? Me lo paghi tu? ».
In quel momento giungeva, gli occhi fuori dall'orbite, mugolando, la moglie di César. « Perché piangi, fagiana », disse César. « Asciugati gli occhi e tienili bene aperti. Devi andare con Salomone Croux a scegliere dalla sua stalla una mucca e una manza. Oh, mi raccomando! ». Si chinò a passare sulla neve le mani sanguinolente, raccolse la bottiglia di grappa, se la portò alle labbra. « Ecco », disse, agitando la bottiglia. « È vuota ».
Salomone sussultò. « Che cosa? ».
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantiss[...]



da Saverio Montalto, Memoriale dal carcere in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: MEMORIALE DAL CARCERE (*)

IlLmo Signor Giudice Istruttore di P...

Durante la mia vita rasentai più volte l’aldilà, ma si vede che il crudo destino mi riservava prove più dure della morte.

E, per non annoiare di troppo la Giustizia, vengo subito ai fatti che più di tutti hanno, da dodici a tredici anni a questa parte, sconvolto la mia esistenza. Se potessi, veramente, ne farei a meno di raccontare, giacché, al solo pensarle certe cose, sento un freddo agghiacciante nelle vene e che il cuore cessa di battere e che 1*anima rimane sbigottita e atterrita. Oh, come un giorno agognavo di poter raccontare certi fatti della mia vita con la mente sgombra e serena! Ma i Fati, forse per loro ragioni speciali, non hanno permesso ed

io raccolgo le ultime forze che mi avanzano e mi sottometto ancora una volta alle loro imposizioni! E se non temessi di essere ta[...]

[...] per loro ragioni speciali, non hanno permesso ed

io raccolgo le ultime forze che mi avanzano e mi sottometto ancora una volta alle loro imposizioni! E se non temessi di essere tacciato da pusillanime dal resto degli uomini, oserei affermare che in certi momenti delFindividuo, solo il nulla può essere Tunica ancora di salvezza. Perché, perché, mi domando, Tu, o regolatore del Mondo, hai voluto scegliere me per attore a rappresentare una delle più orribili tragedie della realtà ? Non ero parte anch’io del tuo complesso organismo, oppure sono stato uno degli indegni? Non mi sembra, perché anch’io, per la mia poca parte, ti ero servito al comun scopo di bene! E spero almeno riconoscerai, che la tua intenzione non è stata quella di far rivivere un secondo Caino!

(*) L’autore del presente memoriale, Saverio Montalto, era un modesto impiegato comunale in un paese qualunque della Sicilia. Aveva fatto la prima guerra mondiale con le classi più giovani, era stato ferito e fatto prigioniero. Ritornato al suo paese natale ed ottenuto un posto[...]

[...]nch’io del tuo complesso organismo, oppure sono stato uno degli indegni? Non mi sembra, perché anch’io, per la mia poca parte, ti ero servito al comun scopo di bene! E spero almeno riconoscerai, che la tua intenzione non è stata quella di far rivivere un secondo Caino!

(*) L’autore del presente memoriale, Saverio Montalto, era un modesto impiegato comunale in un paese qualunque della Sicilia. Aveva fatto la prima guerra mondiale con le classi più giovani, era stato ferito e fatto prigioniero. Ritornato al suo paese natale ed ottenuto un posto di impiegato nel comune di un paese vicino, si era dato ad una vita disordinata confondendosi con la borghesia inutile e vana che lo circondava. Però non ne era soddisfatto. Innamoratosi di una ragazza di quella borghesia, si accorse a sue spese come, in tale ambiente, l’amore non sìa un sentimento apprezzabile. Riprese la sua vita dissipata, trascinato dal demone dell’immaginazione e della sensualità, finché non si trovò avvinto nelle reti di una famiglia insidiosa, dove era caduta pure la sorel[...]

[...]omestiche. Io, dato che ormai avevo il posto di applicato comunale definitivo a N..., andavo e venivo soffermandomi di quando in quando anche la notte a M... Io, è notorio, ho voluto sempre bene ai miei parenti facendo nei limiti del possibile non lievi sacrifici per loro, ma per questa mia sorella poi nutrivo, fin d’allora, un affetto speciale. Me la ricordavo piccina piccina di quando la mamma ci aveva abbandonati morendo e quel che contava di più era il fatto che vedevo che lei sapeva comprendermi bene anche nei discorsi un po* fuori del comune, sia perché aveva fatto la sesta elementare e letto abbastanza, sia perché come intelligenza di donna si elevava al disopra delle altre che io conoscevo. E, del resto, come può nascere un vero affetto ed una vera amicizia anche fra familiari senza una comprensione perfetta e reciproca? E qui non posso fare a meno a non ricordarmi di quando ultimamente i componenti la famiglia Armoni, ed in ispecie mia moglie e mio cognato Giacomo, non sapendo che cosa rispondere ad alcune parole di mia sorella,[...]

[...]rdarmi di quando ultimamente i componenti la famiglia Armoni, ed in ispecie mia moglie e mio cognato Giacomo, non sapendo che cosa rispondere ad alcune parole di mia sorella, sentendosi punti sul vivo e che non potevano fare a meno a non riconoscere la loro meschinità, esclamavano sarcasticamente: « Già, ci dimenticavamo che è intelligente come il fratello! ».

Da tuttociò ognuno può immaginare, dato anche che ormai mio zio Arciprete non c’era più e quindi la responsabilità* della famiglia

scrivere, scoprendo, accanto al mondo meschino della provincia, un altro mondo, più Ubero e puro, quello della fantasia e del pensiero.

Sposa poi in circostanze poco chiare una ragazza di quella famiglia che aveva preso a dominarlo, ricattandolo specialmente con la persecuzione della sorella, da lui amata teneramente, e si chiude sempre più in un suo segreto dolore. Infine, scoppia fulminea e travolgente la tragedia: uccide la sorella, ferisce la moglie ed il cognato.

Perchè lo fece? In questo memoriale, scritto in sua difesa nel carcere, durante il periodo istruttorio, vi è una risposta: un tentativo sincero e profondo di spiegare quelli che sono i motivi misteriosi delle azioni umane. Si ha non solo un documento umano di grande valore, malgrado le probabili riserve consigliate dalla difesa, ma una rappresentazione di vita, pregevolissima. L’autore ha saputo scavare nel mondo tenebroso delle sue passioni, dominandole con la [...]

[...]ttorio, vi è una risposta: un tentativo sincero e profondo di spiegare quelli che sono i motivi misteriosi delle azioni umane. Si ha non solo un documento umano di grande valore, malgrado le probabili riserve consigliate dalla difesa, ma una rappresentazione di vita, pregevolissima. L’autore ha saputo scavare nel mondo tenebroso delle sue passioni, dominandole con la forza della sua fantasia trasfiguratrice. Schiavo degli altri, nella condizione più orribile che si possa immaginare, si è reso libero da sé, con la forza dello spirito. Parole alate e accenti commossi miracolosamente gli sono sgorgati dal cuore colmo di angoscia: un uomo, sofferente nella sua nudità, si è rivelato.126

SAVERIO MONTALTO

ce l’avevo quasi tutta io, giacché su mio padre, uomo di campagna ed avanzato in età, non si poteva tener molto conto, come trepidavo e ci tenevo a collocar bene questa mia sorella innalzandola se mi fosse stato possibile, fino alle stelle. C’erano state già diverse ambasciate di matrimonio, ma quando per una ragione e quando per un’alt[...]

[...]a il padre della piega presa dal figlio, il padre, anziché ringraziare la gentile persona, rispose a male parole concludendo con boria che suo figlio era all’altezza di sapere quello che faceva e che nessuno doveva permettersi d’ingerirsi negli affari suoi.

Ritornato a M... chiamai mia sorella e la misi al corrente di tutto supplicandola e scongiurandola di desistere dalla sua malsana idea insistendo principalmente sul fatto che lei era molto più grande di lui e che perciò ne veniva di conseguenza che lui, dopo sposati, presto se ne x sarebbe stancato e sicuramente l’avrebbe abbandonata. Ma lei non volle sentire ragione e mi disse che quand’anche i genitori del suo amato non avessero voluto acconsentire presto al matrimonio, lei avrebbe atteso finché lui non si fosse emancipato e reso libero ed indipendente da loro. Per il fatto della differenza d’età aggiunse che lei era sicura del fatto suo. Mi disse anche che l’affetto di fratello era un conto e l’affetto di fidanzato era un altro e che era inutile insistere perché lei ormai non po[...]

[...]tire ragione e mi disse che quand’anche i genitori del suo amato non avessero voluto acconsentire presto al matrimonio, lei avrebbe atteso finché lui non si fosse emancipato e reso libero ed indipendente da loro. Per il fatto della differenza d’età aggiunse che lei era sicura del fatto suo. Mi disse anche che l’affetto di fratello era un conto e l’affetto di fidanzato era un altro e che era inutile insistere perché lei ormai non poteva ritornare più sui suoi passi. Io rimasi costernato ed appresi solamente in quel momento quale forza e potenza adopera la natura per poter perpetuare la specie. Non sapevo più che fare e che combinare ed intanto pensavo che se quell’individuo aveva soggiogato fino a quel punto mia sorella doveva essere effettivamente un essere temibile e straordinario. Mi chiusi nella mia stanza, mi vidi avvilito ed annichilito mentre sentivo che un freddo caratteristico di paura m’invadeva per tutte le membra. Quell’individuo, attraverso l’immaginazione, dato che ancora neanche lo conoscevo, aveva soggiogato anche me!

All’indomani mattina mentre scendevo verso N... mi vedo avvicinare a metà strada da un giovanotto, il quale, tenendo la testa bassa ed un comportamento più da maf[...]

[...]nte un essere temibile e straordinario. Mi chiusi nella mia stanza, mi vidi avvilito ed annichilito mentre sentivo che un freddo caratteristico di paura m’invadeva per tutte le membra. Quell’individuo, attraverso l’immaginazione, dato che ancora neanche lo conoscevo, aveva soggiogato anche me!

All’indomani mattina mentre scendevo verso N... mi vedo avvicinare a metà strada da un giovanotto, il quale, tenendo la testa bassa ed un comportamento più da maffioso che da persona perbene, mi disse : « Io sono il fidanzato di vostra sorella! ».

Io intesi che il solito fremito di paura , mi agghiacciò, ma mi dominai con un grande sforzo di volontà e risposi : « Ah sì ? E che cosa volete? ».

« Voglio chiedervi la sua mano! ».

«A me? Prima di me c’è mio padre! Io non conto! ».

«No! So che voi contate tutto!».

«Ma vi sembra regolare chiedermi voi la mano direttamente, così in mezzo alla strada? Anzitutto voi siete figlio di famiglia senza128

SAVERIO MONTALTO

nessuna posizione e quindi non potete sostenere il peso di una nuov[...]

[...], e, poi, c’è anche che i vostri genitori non acconsentono che voi vi sposiate! Fate venire i vostri genitori e poi si vedrà! ».

« I miei genitori per ora non possono venire! Ma non importa! Voi intanto mi ammettete in casa e poi quando ritornerò dal soldato mi sposerò! ».

« Ma avete pensato che non è giusto ammettere in casa un ragazzo come voi figlio di famiglia? E poi mia sorella ha ventiquattr’anni e voi appena diciotto. Che l’uomo sia più grande in età è meglio, ma per la donna non è così! ».

« Io non sono un ragazzo come voi dite, perché io mi sento più a posto di coloro che sono grandi! Riguardo poi alla differenza d’età ho molto piacere che sia proprio così! Ed allora accettate o non accettate? ».

«Pel momento, mi dispiace; ma non posso accettare nulla».

Il giovanotto a questo punto si allontanò senza, se ben ricordo, neanche salutare.

Passarono diversi mesi. Io intanto cercai di dissuadere sempre più mia sorella con ogni mezzo compreso quello di allontanarla momentaneamente da M... mandandola a R... dall’altra mia sorella sposata, ma tutto fu tentato inutilmente.

In seguito venni a sapere che il giovanotto frequentava da qualche tempo più allo spesso M..., che forse mia sorella ora lo riceveva in casa di nascosto durante l’assenza mia e di mio padre, che il giovanotto quando andava a M... si faceva accompagnare da gente equivoca, che una sera era venuto a tu per tu coll’altro mio cognato di M... sopraffacendolo e minacciandolo, non so più, se con la rivoltella o altro e che infine aveva spavaldamente affermato che lui comandava ovunque e che, o presto o tardi, avrebbe aggiustato i conti anche con me. Tutto ciò, come era da prevedersi, servì ad aumentare sempre più il mio fondo trepido e pauroso per cui rimanevo stordito e intontito senza sapere più come regolarmi e le decisioni da prendere.

Fu verso questo periodo che una mattina di buon’ora a N... intesi bussare alla porta. Andai ad aprire e ti vedo entrare mio padre. Capii subito dalla sua faccia che doveva essere successo qualcosa di grave e per poco il mio cuore non cessò di battere. Si sedè e mi raccontò colle lagrime agli occhi che durante la notte aveva sorpreso il Giacomo Armoni nella stanza di mia sorella. Mi disse che aveva cercato di reagire, ma che lui, dato che era giovine e più forte, aveva avuto il sopravMEMORIALE DAL CARCERE

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vento. Allora mio padre li aveva[...]

[...]so questo periodo che una mattina di buon’ora a N... intesi bussare alla porta. Andai ad aprire e ti vedo entrare mio padre. Capii subito dalla sua faccia che doveva essere successo qualcosa di grave e per poco il mio cuore non cessò di battere. Si sedè e mi raccontò colle lagrime agli occhi che durante la notte aveva sorpreso il Giacomo Armoni nella stanza di mia sorella. Mi disse che aveva cercato di reagire, ma che lui, dato che era giovine e più forte, aveva avuto il sopravMEMORIALE DAL CARCERE

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vento. Allora mio padre li aveva lasciati al loro destino e se n’era allontanato di casa. Io pregai mio padre di andare momentaneamente a stabilirsi dall’altra mia sorella a R... e lui pazientemente se ne andò. Come si fu allontanato mi sdraiai sul letto colla faccia affondata nel cuscino e non so per quanto tempo vi rimasi immobile e senza coscienza. Non so più quando mi alzai e quanti giorni rimasi in casa senza vedere nessuno. In certi momenti sentivo un desiderio ardente di rompere e distruggere tutto, di prendere la pistola e scappare e fare non so che cosa per vendicarmi a qualunque costo, ma quando poi si trattava di dover mettere in atto i miei piani, la paura, divenuta ora più forte che mai, mi teneva immobile al mio posto. Fu questa la prima volta che pensai al suicidio, ma avvicinatomi ad un certo punto al tiretto ove c’era l’arma, la stessa paura mi teneva legate le braccia. Pensavo con raccapriccio: «A che serve possedere la pistola quando non si ha la forza di adoperarla al momento opportuno? » e fui tentato di prenderla ed andarla a buttare in un pozzo vicino. Ma ancora la stessa paura non mi lasciava buttare neanche l’arma nel pozzo. Quando dopo diversi giorni uscii fuori perché non potevo fare più a meno, camminando per la via tenevo la testa bassa, giacché[...]

[...]l suicidio, ma avvicinatomi ad un certo punto al tiretto ove c’era l’arma, la stessa paura mi teneva legate le braccia. Pensavo con raccapriccio: «A che serve possedere la pistola quando non si ha la forza di adoperarla al momento opportuno? » e fui tentato di prenderla ed andarla a buttare in un pozzo vicino. Ma ancora la stessa paura non mi lasciava buttare neanche l’arma nel pozzo. Quando dopo diversi giorni uscii fuori perché non potevo fare più a meno, camminando per la via tenevo la testa bassa, giacché avevo la sensazione che la gente, già a parte dei fatti miei, mi sorridesse sardonicamente in faccia. Anzi, tutte le persone che mi passavano vicino, avevo l’impressione che mormorassero sordamente: «Vile, vile! Ah, ah! Che campi a fare ormai? Sì, sì; non solo vile, ma anche becco! Ah, ah! ». E ci volle molto tempo perché mi persuadessi in qualche modo che poi, in fondo, la gente si preoccupava dei casi miei tanto e non quanto. Mi rammento che in questo periodo un giorno incontrandomi col mio collega Giovanni Mollica, mi disse: «Ho [...]

[...] periodo un giorno incontrandomi col mio collega Giovanni Mollica, mi disse: «Ho saputo che Giacomello è fidanzato con tua sorella. Stai attento che dopo che le mangia quello che ha, la piglia a bastonate e la caccia via ». Io finsi di non capire e così passò anche questa. Superata la vera crisi decisi, in via d’accomodamento provvisorio, di abbandonare mia sorella al suo destino e pregai anche mio padre e le altre mie sorelle di non occuparsene più neanche loro. Ma non era questa la vera via d’uscita, perché ora più di prima amavo mia sorella e benché mi sforzassi di non pensare più a lei, in alcuni istanti sentivo inavvertitamente che l’anima sanguinava per la sua perdita e che nel contempo l’avvilimento mi abbatteva sempre più e che la paura di dovermi incontrare da un momento all’altro con quell’individuo, mi atterriva anche sempre più. Infatti, quando alcuni mesi dopo andai a M... per prendermi i libri e le altre cose che mi occorre130

SAVERIO MONTALTO

vano, in modo di non avere occasione di ritornarci più, e m’incontrai nella mia casa coll’Armoni, e con un’altra faccia che neanche ebbi la forza di guardare, per poco non svenni dalFavvilimento e dalla paura ed entrai ed uscii muto e fuori di me e senza sapere ove ero e ove mi trovavo.

Dopo qualche tempo credei di aver trovato il rimedio di tutti i mali: avevo comprato da poco l’automobile e mi misi a scorazzare di qua e di là insieme agli amici in cerca di felicità attraverso ogni sorta di svago e divertimento colla speranza di far tacere il tormento che per partito preso tenevo celato in fondo al cuore. Qualcuno in quel tempo mi prese per p[...]

[...]o banche e privati che mi davano credito.

Arrivai così verso la metà del 1930 e mi trovavo oberato di debiti e mezzo rovinato. In questo frattempo erano avvenuti vari mutamenti. Gli Armoni erano falliti ed avevano liquidato tutto rimanendo sul lastrico, e, del resto, non poteva andare altrimenti, data la loro stupidaggine ed inettitudine, tanto vero che quando si voleva nel paese dire che un individuo era veramente sciocco, si esclamava : « È più stupido di don Cesare Armoni! ». Ultimamente veramente avevano riaperto il negozietto, ma non c’era più nulla e se vendevano qualche scampolino non bastava per il pane e tutti si domandavano come facevano proprio a vivere. Avevo saputo anche, e ciò m’importava più di tutto, che mia sorella aveva venduto tutta la sua parte di proprietà che aveva, realizzando circa ventimila lire, e, che quasi tutto questo danaro aveva già mandato al suo fidanzato Giacomo Armoni, e più che fidanzato al suo amante, giacché nel paese di M... e viciniori si era sparsa la voce da tempo che l’Armoni l’aveva posseduta già, dato che da molto tempo prima che fosse partito per soldato, facevano vita comune e quasi maritale. Seppi pure che in quei giorni mia sorella stava contrattando per vendersi anche la casa, giacché l’amante le chiedeva insistentemente ancora altro danaro, ma siccome della casa figuravo io il proprietario, mandai a dire ad un certo Pantaleone Nicodemo che limitava e che perciò voleva comprarla di non fare alcun passo perché la casa era mia e così la casa non fu v[...]

[...]ella stava contrattando per vendersi anche la casa, giacché l’amante le chiedeva insistentemente ancora altro danaro, ma siccome della casa figuravo io il proprietario, mandai a dire ad un certo Pantaleone Nicodemo che limitava e che perciò voleva comprarla di non fare alcun passo perché la casa era mia e così la casa non fu venduta. Intanto dopo alcuni mesi il Giacomo Armoni ritornò dal soldato e venni a sapere che ora che mia sorella non aveva più nulla cercava di allontanarsi pian piano e che nonMEMORIALE DAL CARCERE

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intendeva più sposarla. Mia sorella di questo fatto aveva avuto anche lei sentore ed aveva dichiarato che quando diventava certa e sicura che l’Armoni non l’avesse più sposata sarebbe andata a gettarsi di notte tempo in un pozzo vicino al paese. Più tardi venni a sapere ancora che se io mi fossi messo in mezzo impegnandomi di sborsare agli Armoni una data cifra, forse poi il Giacomo ed i suoi genitori avrebbero acconsentito al matrimonio. Pensai: «Ormai è senza onore e senza dote e se non la sposa lui non la sposerà nessuno. E certamente finirà o nel pozzo o chi sa come. Mi conviene perciò far qualunque sforzo e sacrificio purché la sposi immediatamente ». E poi, benché cercassi di rimanere persuaso al contrario, l’amavo sempre ed ora più di prima giacché la sapevo maggiormente in pericolo. Mi recai a M... dal mio amico Avv. Giulio Sacer[...]

[...]i messo in mezzo impegnandomi di sborsare agli Armoni una data cifra, forse poi il Giacomo ed i suoi genitori avrebbero acconsentito al matrimonio. Pensai: «Ormai è senza onore e senza dote e se non la sposa lui non la sposerà nessuno. E certamente finirà o nel pozzo o chi sa come. Mi conviene perciò far qualunque sforzo e sacrificio purché la sposi immediatamente ». E poi, benché cercassi di rimanere persuaso al contrario, l’amavo sempre ed ora più di prima giacché la sapevo maggiormente in pericolo. Mi recai a M... dal mio amico Avv. Giulio Sacerdote, lo misi al corrente di tutto e

10 pregai d’intromettersi lui nella faccenda e di aggiustare ogni cosa al più presto possibile. L’amico Sacerdote si prestò fraternamente ad accomodare tutto e difatti dopo alcuni giorni mi vidi arrivare in casa

11 Giacomo Armoni, il quale senza tanti preamboli mi disse : « Se volete che sposi vostra sorella mi dovete dare cinquemila lire! ».

« Sta bene! » dico io. « Sposatela immediatamente che l’avrete ».

« Ma io li voglio subito! ».

«Subito, subito, non ve le posso dare. Ma non dubitate che non appena sarete sposati ve le darò ».

Per quel giorno se ne andò; ma dopo pochi giorni ritornò per dirmi che non poteva sposare subito anche perché non aveva tro[...]

[...]ed anche per il loro mantenimento finché non si fossero messi in condizioni di non avere bisogno di nessuno. Lui accettò e così decidemmo che all’indomani saremmo andati insieme ai suoi a M... per riconciliarmi con mia sorella. Difatti all’indomani mattina andammo a M..., ci riabbracciammo con mia sorella piangendo entrambi lungamente senza poterci dire una parola e ritornammo ad amarci c volerci bene come un tempo. Quel giorno fu uno dei giorni più felici della mia vita.

Il matrimonio si celebrò verso gli ultimi giorni di dicembre di quel 1930. Mia sorella conservava ancora duemila lire che consegnò132

SAVERIO MONTALTO

al suo Giacomo, il quale parte diede a suo padre e parte tenne per sé per recarsi a Palermo insieme a mia sorella per qualche giorno in viaggio di nozze. Dopo alcuni giorni ritornarono e così vennero a stabilirsi presso di me nella casa che abitavo anche ultimamente.

Questa la vera storia ed i fatti che mi costrinsero a mettermi in relazione con la famiglia Armoni, la quale mi portò in seguito nel baratro pro[...]

[...] altre due sorelle Elena ed Iva l’attuale mia moglie che venivano dopo l’Aurora si vedevano anche loro raramente, perché impegnate, dicevano loro, l’Elena all’assesto della casa e la Iva a stare in permanenza nel negozio specie quando non c’era presente il padre, per vendere qualcosa di ciò che ancora vi era rimasto. Io, dato che li sapevo in ristrettezze, i presenti, e specialmente i genitori e l’Aurora, i quali erano, ripeto, in quel periodo i più assidui in casa mia, li facevo restare spesso a pranzo con noi o a cena. Dopo un certo tempo me ne accorsi che sia la madre che la figlia se ne venivano da noi tutte addobbate e impomatate e che non tralasciavano occasione per mettere in mostra la loro bellezza e le loro qualità personali. La madre principalmente, ad ogni minimoché, non faceva altro che magnificare la sua bellezza di quand’era giovane, che, del resto, si poteva vedere anche oggi che aveva circa quarantasei anni (e forse si avvicinava ai cinquanta) e che era madre di otto figli. Della sua bontà poi, del suo sapere fare come ec[...]

[...]oro bellezza e le loro qualità personali. La madre principalmente, ad ogni minimoché, non faceva altro che magnificare la sua bellezza di quand’era giovane, che, del resto, si poteva vedere anche oggi che aveva circa quarantasei anni (e forse si avvicinava ai cinquanta) e che era madre di otto figli. Della sua bontà poi, del suo sapere fare come economia e come donna di casa, della sua onestà principalmente e di tante cose e rose che non ricordo più, non c’era neanche d’avere la più minima idea, giacché era stata sempre la regina di N... e contorni e tutte le altre donne le quali si credevano per davvero signore perbene, in confronto a lei dovevano nascondersi, giacché tutte sommate assieme non valevano nemmeno il dito mignolo del suo piede; e, a questo punto, quando ci trovavamo soli, soleva aggiungere: «Ma sono stata sfortunata! Non per causa mia, ma per causa di mio marito, di quello stupido, di quello sciocco che non ha voluto ascoltare le mie parole, perché sennò ora non ci troveMEMORIALE DAL CARCERE

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remmo a questo stato e con una figlia di ventiquattr’an[...]

[...] sua intelligenza che ciò che vede cogli occhi fa con le mani, senza parlare poi di quello che sarebbe capace di fare lei in una casa che son sicura che dal niente la farebbe salire alle stelle. Anche ora abbiamo un matrimonio per le mani, un certo Mico Spezzano di R... che sta diventando pazzo, ma io non voglio perché so che suo padre è un uomo di quelli... mi capite? Ma ci ha colpa mio marito! Ma lui me l’ha pagata! Sapete che io non lo voglio più vedere e che siamo divisi? È da tanto tempo che dormiamo ognuno per conto nostro. Ed è stato anche per causa sua che i miei fratelli, quello che sta qui a N... e quello dell’America mi hanno abbandonata e non vogliono più saperne di me. Ma a me interessa poco anche di loro. Mi accontento che le mie figlie ed i miei figli facciano i servi, ma da loro non vado. Però io spero che il Signore m’aiuterà e che quanto prima sposo le mie figlie, giacché per i maschi non ci penso affatto, e così poi voglio divertirmi e scialarmi, perché io ancora sono giovane e bella ed è proprio ora che incomincio a gustare e a capire che significa divertimento, perché fino ad ora, si può dire, che sono stata una ragazzina ingenua! Io e voi non sembriamo di eguale età, non è vero? », Io sorridevo e non potevo fare a meno a non acconsen[...]

[...]genua! Io e voi non sembriamo di eguale età, non è vero? », Io sorridevo e non potevo fare a meno a non acconsentire a tuttocciò che diceva. La figlia poi sembrava per davvero un’angela calata dal paradiso: nei modi, nel comportamento, nella benevolenza verso mia sorella, per quanto verso di me si mantenesse alquanto riservata e noncurante: si notava in lei solamente un certo incedere risoluto, altero e spigliato che mentre da un lato la rendeva più attraente ed intraprendente dall’altro poteva far pensare piuttosto ad una donna navigata, ma nel resto tutto a meraviglia. La madre inoltre quando parlava di mia sorella e di me, ma in ispecie di mia sorella, sembrava addirittura che le volassimo entrambi dagli occhi. Dato ormai che il destino aveva voluto così ella ci considerava già più che figli e non c’erano parole adatte per potere esprimere tutto l’affetto che nutriva per noi due. Certo il suo Giacomo bello, il suo Giacomo meraviglioso, il suo Giacomo grande ed immenso era sempre la pinna del suo cuore, ma noi, noi eravamo ancora qualcosa più di lui! Anche don Cesare ed il resto dei figli, quantunque meno espansivi, si dimostravano a quell’epoca affettuosi, obbedienti e riverenti. Giacomo ora verso di me sembrava avere anche soggezione e sottomissione e mi fece ricredere in gran134

SAVERIO MONTALTO

parte di tutta la mia paura che un tempo avevo nutrito verso di lui. Ed io ci credevo a tutto, avevo considerazione e compassione perché la sfortuna aveva voluto metterli in quelle condizioni e mi attaccavo sempre più a loro, perché vedevo che ormai mia sorella era felice e ciò m’interessava più di tutto. Un vero conoscitore del [...]

[...]esto dei figli, quantunque meno espansivi, si dimostravano a quell’epoca affettuosi, obbedienti e riverenti. Giacomo ora verso di me sembrava avere anche soggezione e sottomissione e mi fece ricredere in gran134

SAVERIO MONTALTO

parte di tutta la mia paura che un tempo avevo nutrito verso di lui. Ed io ci credevo a tutto, avevo considerazione e compassione perché la sfortuna aveva voluto metterli in quelle condizioni e mi attaccavo sempre più a loro, perché vedevo che ormai mia sorella era felice e ciò m’interessava più di tutto. Un vero conoscitore del mondo al mio posto forse avrebbe pensato: «Guarda com’entri, e di cui tu ti fidi: non t’inganni l'ampiezza dell’entrare ». Ma io non conoscevo ancora la vita, dappoiché, fino allora, benché avessi già trentatré anni, avevo semplicemente vissuto la vita e, sia pure, attraverso varie vicende più

o meno dolorose. E la vita per essere conosciuta occorre che sia pensata e meditata e non solamente vissuta. Anche il bambino vive, ma non può dire di conoscere. E poi, in verità, c’era da pensare poco a certe cose: i debiti pressavano e bisognava pagare almeno gl’interessi e il peso della nuova e complessa famiglia si faceva sentire e come, considerato anche che il suocero di mia sorella aveva incominciato, oltre al resto, a chiedere spesso benché sotto titolo di prestito, specie quando non poteva aggiustare diversamente per la spesa giornaliera, del danaro, che io facevo di tutto per dar[...]

[...]are diversamente per la spesa giornaliera, del danaro, che io facevo di tutto per dare, sia perché non volevo figurare che stavo in brutte acque sia che mi sentivo obbligato per le cinque mila lire che avevo promesso a mio cognato Giacomo. Per fortuna che allora godevo anche della nona categoria di pensione per una ferita riportata in guerra e così in qualche modo me la cavavo bene. Avevo smesso anche da un pezzo di andare al circolo, non facevo più spese inutili e pazzesche e dato ora che c’era mia sorella, quando non avevo altro da fare, o restavo in casa oppure mi recavo dagli Armoni ovvero andavo a sedermi nel loro negozio. In uno di questi giorni mi vidi chiamare dal sarto Antonio De Vincenzo da N... per dirmi che mio cognato prima di sposare gli aveva ordinato un vestito, ma dato che poi lui si era rifiutato di darlo in credito, giacché lo sapeva cattivo pagatore, mio cognato ora, a sua volta, gli aveva mandato a dire che il vestito non lo voleva più. Il De Vincenzo quindi prima di convenirlo in giudizio si era rivolto a.me per dir[...]

[...]ndo non avevo altro da fare, o restavo in casa oppure mi recavo dagli Armoni ovvero andavo a sedermi nel loro negozio. In uno di questi giorni mi vidi chiamare dal sarto Antonio De Vincenzo da N... per dirmi che mio cognato prima di sposare gli aveva ordinato un vestito, ma dato che poi lui si era rifiutato di darlo in credito, giacché lo sapeva cattivo pagatore, mio cognato ora, a sua volta, gli aveva mandato a dire che il vestito non lo voleva più. Il De Vincenzo quindi prima di convenirlo in giudizio si era rivolto a.me per dirmi come doveva regolarsi. Io parlai con Giacomo e siccome Giacomo insistè che il vestito non lo .prendeva più, io dopo un lungo lavorio persuasi il sarto di venderlo ad un altro, ché se anche non avesse realizzato il suo vero prezzo, la differenza glie l’avrei rimborsata io. Ma la mia preoccupazione erano sempre le cinquemila lire che avevo promesso per quanto loro ora non avevano più il coraggio di dirmi niente dato tutto quello che giornalmente spendevo per loro. Cercai di fare altri debiti, ma nonMEMORIALE DAL CARCERE

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trovai. Cercai di vendere a M... quell’altro poco di proprietà che mi rimaneva, ma ormai non acquistava più nessuno, per la scomparsa del danaro, ed anche se ci fosse stato qualcuno a voler comprare intendeva acquistare a prezzi irrisori. Anche mia sorella, ora che poteva vendere la casa, non trovò più chi l’acquistasse, giacché da quindici mila lire che prima offrivano ora volevano comprarla solamente per cinquemila; e lei, anzi mio cognato, con cinquemila non poteva fare proprio nulla, poiché allora aveva in mente di rimettere su il negozio di suo padre, e sicuramente avrebbero mangiato anche questa somma senza concludere niente altro di buono. Io allora, un giorno che mi trovavo solo in casa con mia sorèlla, la chiamai e le dissi: «Senti Anna! Vedi che io ancora le cinquemila lire non le ho potute trovare, né penso che le troverò per ora. E poi, come sai, a nostro padre debbo badare io e[...]

[...]ozio non ve lo potete impiantare sicuramente, perché cinquemila lire non bastano neanche per le tasse che si debbono pagare. Perciò conviene aspettare, perché intanto forse i tempi cambieranno e da cosa nasce cosa ».

«Per me figurati! Era per te che io mi preoccupavo, perché pensavo che volessi stare libero. Ma ormai che è così, per noi tanto di guadagnato. Significa che quando ti sposerai poi se ne parlerà. Del resto neanche Giacomo ha detto più nulla, perché sa bene che con cinquemila non c’è niente da fare e che se ne andranno di qua e di là senza alcuno profitto. Io penso però che le voleva per Aurora, ma ormai che hanno scombinato il matrimonio, credo che non ci pensa più neanche lui. E poi come potevano fare? Se non hanno, come si dice, neanche per comprarsi il pane? Come facevano a dare le diecimila lire che il padre di Spezzano chiedeva? ».

Passarono diversi mesi. In questo frattempo mi era capitato un fatterello degno di essere raccontato. Ad un certo punto me n’ero accorto che la madre di mio cognato anziché venire da noi in compagnia della figlia, preferiva venire piuttosto sola ed allo spesso. Un giorno, non ricordo più come fu, ci trovammo soli in cucina mentre si preparava da mangiare. Io stavo, essendo la cucina alquanto piccola,136

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in un punto che per uscire e scendere giù, dovevo passare assolutamente dietro le sue spalle. E giacché lei era abbastanza voluminosa, chiesi permesso; ma lei sorrise in modo strano e senza affatto spostarsi.

Io allora, tutto trasecolato, richiesi permesso e lei, quasi adirata, rispose: «Passate! Non vi mangio! ». Io dovetti strisciare vicino al muro per passare e poi mi allontanai confuso e vergognoso. Da quel giorno mi mostrai meno cordiale e [...]

[...]evo passare assolutamente dietro le sue spalle. E giacché lei era abbastanza voluminosa, chiesi permesso; ma lei sorrise in modo strano e senza affatto spostarsi.

Io allora, tutto trasecolato, richiesi permesso e lei, quasi adirata, rispose: «Passate! Non vi mangio! ». Io dovetti strisciare vicino al muro per passare e poi mi allontanai confuso e vergognoso. Da quel giorno mi mostrai meno cordiale e così lei, capita l’antifona, si fece vedere più di raro e quando ora veniva a casa mia, veniva sempre con la figlia Aurora o in compagnia di altri. La figlia dopo scombinato il matrimonio, si mostrò con me meno altera e più espansiva di prima e con mia sorella più affettuosa che mai. Ma io ormai avevo capito tutto e, benché in fondo l’amassi, cercavo di evitarla il più che mi fosse possibile, perché avevo un certo timore che si potesse accorgere di qualche cosa mio cognato ed un matrimonio tra me e lei, per un complesso di circostanze, specie economiche come ognuno può immaginare, non era mai possibile e particolarmente in quel momento. Una sera infatti, che mio cognato ci trovò soli nella stanza da lavoro, dato che mia sorella si era allontanata momentaneamente non ricordo più per quale motivo, io rimasi assai male e cambiai colore. Ma lui trovò la cosa semplice e naturale come se nulla fosse, o per lo meno credè opportuno di trovarla, e così io, come Dio volle, dopo un po’ ripigliai l’aspetto normale di prima. Seppi in seguito da mia sorella, forse a questo proposito, che mio cognato un giorno aveva chiamato la madre e le aveva detto: «Oh mamma! Non credi che fra mio cognato ed Aurora ci sia qualche cosa? Tu lo sai che lui non la può sposare! ».

«Oh figlio mio bello! E tu sai che tua madre è donna di permettere certe cose? Tu ormai capisci e puoi sapere da te s[...]

[...] sposare! ».

«Oh figlio mio bello! E tu sai che tua madre è donna di permettere certe cose? Tu ormai capisci e puoi sapere da te stesso l’onore e la grande illibatezza di tua madre e di tutta la tua famiglia. Aurora poi, non solo che è la perla fra le perle di N... e di tutto il mondo, ma data la sua intelligenza e la sua accortezza, può stare anche in mezzo ad un reggimento di soldati ».

Mio cognato si tranquillizzò e così non se ne parlò più.

Siamo arrivati così verso la fine di agosto del 1931. E mentre mi trovavo a M... ove mi recavo ogni anno per stare un po’ di tempo con mio padre, m’incontrai colla nostra parente ed amica certa donna Maria, la quale mi domandò : « È vero che Anna ha un bambino maschio di tre mesi? ».

Io mi mortificai e risposi che veramente sapevo che doveva sgravare nel mese di ottobre. Donna Maria rimase anche lei male e conMEMORIALE DAL CARCERE

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tinuò : « Scusate, io non sapevo. Così avevo sentito. La gente ne dice di tutti i colori! ».

Ritornato da M... appresi dopo qualche mese a N...[...]

[...]

tinuò : « Scusate, io non sapevo. Così avevo sentito. La gente ne dice di tutti i colori! ».

Ritornato da M... appresi dopo qualche mese a N... che nel paese, non si sa come, si era sparsa la voce che io ero fidanzato ufficialmente con Aurora. E difatti dopo qualche giorno incontrandomi col podestà Angelo Spurio mi domandò : « È vero che sei fidanzato colla figlia di Armoni? Stai attento che se tu la sposi, sarò io il primo a non guardarti più in faccia! ». Distaccatomi da lui mi rammentai come diversi anni prima e quando ancora non conoscevo di fatto la famiglia Armoni, una sera al circolo alcuni amici miei compagni di giuoco, parte dei quali ora si trovano al mondo dell’aldilà, parlando sardonicamente di Aurora dissero che anche la madre una volta si era messa in testa che doveva sposare Iginio Milano, il quale rappresentava allora il più ricco signore di N..., e che perciò la figlia non poteva fare a meno a non seguire le orme della madre e ciò per un’altra fissazione che, a quell’epoca, sembra avesse avuta l’Aurora per un giovane figlio di signori di N... Intesi fare il nome poi di un altro individuo col quale si malignava che l’Aurora avesse avuto dei rapporti piuttosto intimi, ma io in quel momento m’interessavo così poco di certi fatti, che ci ridevo anch’io sopra e mi divertivo ad ascoltarli. Seppi più tardi che la ragione vera per cui la madre di mio cognato era nemica col fratello dimorante a N... era ben diversa di come l’aveva raccontata lei. Pare che un tempo mentre il geometra Anguria era fidanzato coll’Aurora preferiva corteggiare più la madre che la figlia; ed allora venuta la cosa all’orecchio del fratello, questi chiamò il cognato don Cesare Armoni per metterlo in guardia di ciò che si vociferava nel paese. Don Cesare si adontò e pronto rinfacciò il fratello di sua moglie con ira ammonendolo che doveva impicciarsi solamente delle cose di casa sua e non di quelle degli altri. D’allora in poi rimasero tutti nemici. A questo proposito mi viene a mente che verso gli ultimi tempi mia sorella un giorno mi diceva che la suocera di tutti parlava male in N... tranne del geometra Anguria e della sua famiglia e che una volta aveva[...]

[...]onendolo che doveva impicciarsi solamente delle cose di casa sua e non di quelle degli altri. D’allora in poi rimasero tutti nemici. A questo proposito mi viene a mente che verso gli ultimi tempi mia sorella un giorno mi diceva che la suocera di tutti parlava male in N... tranne del geometra Anguria e della sua famiglia e che una volta aveva solennemente dichiarato che quella donna che avesse sposato il geometra Anguria poteva reputarsi la donna più fortunata della terra, perché il geometra Anguria era il servo delle donne.

Ad ottobre sgravò mia sorella ed io dovetti pensare a tutto compreso all’onorario della levatrice ed ai viaggi dell’automobile di andata e ritorno dalla Marina di C..., considerato che la levatrice condotta138

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di N... non si era potuta chiamare perché era nemica colla madre di mio cognato. Fu verso questo periodo se non mi sbaglio che pregai il podestà di prestarmi duemila lire, il quale gentilmente me le diede e di ciò gli sono stato sempre grato, non solo perché altri non me le avrebbe dat[...]

[...]ta chiamare perché era nemica colla madre di mio cognato. Fu verso questo periodo se non mi sbaglio che pregai il podestà di prestarmi duemila lire, il quale gentilmente me le diede e di ciò gli sono stato sempre grato, non solo perché altri non me le avrebbe date sicuramente, ma per quanto le avevo di grande ed urgente necessità. Non ricordo bene neanche se in questo frattempo dovetti vendere la macchina o poco dopo dato che ormai non la potevo più tenere.

Guarita mia sorella decisi di fidanzarmi e così un giorno le dissi:

« Anna, ormai intendo sposarmi, non solo perché così voialtri vi metterete subito a posto, ma anche per sfatare ciò che si dice per il mio fidanzamento con Aurora. Io vorrei sapere chi è stato che ha potuto mettere in giro questa fandonia! ».

«Io non certo e credo neanche tu. E Giacomo neanche perché sa bene che se tu non sposi una con dote, siamo tutti rovinati ».

«Ma come possono pretendere certe cose, se sono io, si può dire, che vi sto campando a tutti? ».

«Intanto lo pretendono. La madre e gli altr[...]

[...] rovinati ».

«Ma come possono pretendere certe cose, se sono io, si può dire, che vi sto campando a tutti? ».

«Intanto lo pretendono. La madre e gli altri, pur di sposarla, sarebbero capaci di farci andare tutti quanti di porta in porta a chiedere Pelemosina. Me Phan fatto capire chiaramente. Anzi la madre mi ha detto che se lei ha acconsentito al mio matrimonio, ha acconsentito proprio per questo e che se tu la sposi, poi non si preoccupa più, neanche se la tieni come una donna qualsiasi. Però Giacomo, son sicura, che non c’entra».

«Questo non avverrà mai! E non perché son poveri in canna, ma principalmente per altre ragioni che non è neanche il caso di ricordare. Si dicono troppe cose sul loro conto! ».

«Anche questo c’è? Ed allora che cosa vogliono?».

«Ed io penso che la colpa non è tanto della figlia quanto della madre. E tieni presente, giacché tu ormai sei anche madre di una figlia, che quando succede una qualche cosa in una famiglia la colpa è sempre della madre, giacché se non vede o finge di non vedere ciò che fa [...]

[...]i e ognuno sa che tutto ciò che si fa con la fretta non si porta mai a compimento. E se mio cognato Giacomo non potè presenziare mai ai miei fidanzamenti ufficiali la colpa è d’attribuirsi semplicemente, non c’è vergogna a dirlo, al fatto che momentaneamente, poveretto, non aveva neanche un vestito alquanto passabile per potersi presentare in una cerimonia simile. E giacché mi trovo, ci tengo a chiarire, fin da ora, che neanche quando poi, assai più tardi, mi decisi a sposare mia moglie, lo feci perché mi fu obbligato con la rivoltella in pugno dai suoi familiari, no; ma lo feci di mia pura e spontanea volontà, giacché nessuno aveva il diritto di obbligarmi ad un fatto simile, e per motivi che sicuramente non dimenticherò di dire fra poco. So bene che più d’uno asserì che mia moglie era già incinta all’atto del matrimonio, e, del resto, non si poteva non pensare altrimenti, data la fama e l’andamento della famiglia; però i fatti, in seguito, smentirono completamente le lord gratuite asserzioni, giacché per sfortuna o fortuna, io non lo so, mia moglie non ebbe mai figli.

Passò circa un anno e mezzo senza che io potessi sposare ed intanto erano successi diversi fatti. Avevo dovuto cambiare casa per due motivi: primo perché la famiglia Armoni aveva incominciato a dare fastidi al padrone di casa che abitava al piano terreno, per cui abbastanza [...]

[...]er sfortuna o fortuna, io non lo so, mia moglie non ebbe mai figli.

Passò circa un anno e mezzo senza che io potessi sposare ed intanto erano successi diversi fatti. Avevo dovuto cambiare casa per due motivi: primo perché la famiglia Armoni aveva incominciato a dare fastidi al padrone di casa che abitava al piano terreno, per cui abbastanza seccato si era permesso di tenermi un discorso poco corretto, e poi anche perché avevo trovato una casa più corroda ed indipendente per me e che mi faceva risparmiare circa sessanta lire al mese. Don Cesare Armoni ad un certo punto, non sapendo più che pesci pigliare, dato che il negozio l’aveva chiuso definitivamente, decise di cedere a suo fratello un po’ di terra che gli restava ancora vicino a T... per millecinquecento lire e così con questo danaro se ne andò in Francia in cerca di fortuna. A ciò, in verità, l’avevo incoraggiato anch’io, giacché speravo che col tempo, come lui mi aveva promesso partendo, si140

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sarebbe richiamata colà tutta la famiglia, e se così il destino avesse voluto, oggi io certamente non mi troverei nelle condizioni in cui mi trovo. Ma il destino non permise, e non solo che consumò tutt[...]

[...]endo, si140

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sarebbe richiamata colà tutta la famiglia, e se così il destino avesse voluto, oggi io certamente non mi troverei nelle condizioni in cui mi trovo. Ma il destino non permise, e non solo che consumò tutto ciò che aveva portato con sé, ma per quanto mi costò altre sei o settecento lire che dovetti mandargli in seguito.

Durante il periodo che don Cesare rimase in Francia, che non rammento ora se durò un anno o più, io dovetti, oltre al resto, dare tassativamente alla sua famiglia da dieci a quindici lire al giorno per la spesa giornaliera, e mi ricordo anche che dovetti pagare ancora per conto suo altre settecento lire circa di fondiaria e tasse arretrate per impedire che l’esattore vendesse all’asta, giusta la sua minaccia, un locale edificatorio, a cui loro ci tenevano tanto, limitante coll’abitazione dell’autista Michele Pannunzio. Fu in questo periodo ancora che il figlio Giovanni partì per soldato ed il figlio Lorenzo invece venne congedato, dato ch’era stato degradato da sergente a soldato, per i[...]

[...]diaria e tasse arretrate per impedire che l’esattore vendesse all’asta, giusta la sua minaccia, un locale edificatorio, a cui loro ci tenevano tanto, limitante coll’abitazione dell’autista Michele Pannunzio. Fu in questo periodo ancora che il figlio Giovanni partì per soldato ed il figlio Lorenzo invece venne congedato, dato ch’era stato degradato da sergente a soldato, per il motivo vero che io non ho potuto sapere mai, e quindi non poteva fare più carriera. E per fortuna che suo zio Giulio Armoni, tocco da compassione, vedendolo ora gironzolare per le strade, lo mantenne agli studi e così divenne maestro elementare. Naturalmente gli Armoni, dopo che il loro figlio divenne insegnante, per contraccambiare lo zio del beneficio ricevuto se lo inimicarono di nuovo e poco mancò che non lo battessero e lo malmenassero stante le minacce che gli facevano in mia presenza e specie dopo che PArmoni Giulio si era deciso di sposare per la seconda volta facendo perdere loro la speranza dell’eredità. Appresi in seguito che PArmoni Giulio da tempo non [...]

[...]uni momenti era proprio d’ammirare, almeno da quel che potevo udire e sentire con le mie orecchie, e son certo che se i facMEMORIALE DAL CARCERE

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chini delPImmacolatella del porto di Napoli così rinomati ovunque per il loro frasario, avessero potuto udire e sentire anche loro, ne sarebbero rimasti quanto mai ammirati per non dire anche loro sconcertati. E non dimenticherò mai il fatto di quando una volta mia suocera ultimamente, non so più se in seguito ad una rissa alla quale sembra abbia preso parte anche il figlio Giacomo, giacché le risse in casa Armoni, di cui solo i vicini potrebbero dire qualcosa, erano all’ordine del giorno, ebbe a dichiarare: «Quando non c’è altro da fare,

io e le mie figlie, dato che ancora tutti ci vogliono perché siamo belle, ci metteremo sulla strada a chiamare chi passa e così staremo meglio d’ora...». Rifacendomi un po’ indietro debbo dire che dopo il mio primo fidanzamento, l’Aurora smise di frequentare la mia casa dimostrandosi con me indifferente e sprezzante; ma io, per far capire a tutti [...]

[...]re, quando potevo, lo stesso la loro casa. Mia suocera però non si preoccupò affatto dell’Aurora e continuò anche lei nei miei rapporti ad essere tanto affabile e buona; e, senza perdersi d’animo, mandava ora a casa mia, colla scusa di aiutare mia sorella nelle faccende domestiche, considerato che la povera Anna era sola, diceva lei, Iva la mia attuale consorte. E perché, si potrebbe obiettare, non mandava l’altra, l’Elena, visto che l’Elena era più grande e quindi pronta per andare a marito? Eh, no! L’Elena non la poteva mandare per due ragioni essenziali. Prima perché c’era stata già una certa diceria con un certo Vincenzino Sofia figlio di marinaio, un bravo ragazzo in fondo, che sicuramente, se la mia suocera fosse stata una accorta e ottima madre di famiglia, avrebbe sposata l’Elena; ma poi anche perché l’Elena era un po’ bruttina e certamente non avrebbe fatta molta impressione sui miei sensi. La Iva allora aveva circa sedici anni ed era tutt’altro che brutta. Ma io non vedevo in lei la bellezza: vedevo l’inganno. Pensavo che quell[...]

[...] che la Iva veniva da noi, ci furono in quel tempo, fra l’Aurora e la madre delle scenate, guerre, ingiurie scambievoli ecc. ecc. E dichiaro, fin da questo momento, che se io sono stato costretto fin qui a mettere in chiaro alcuni fatti poco piacevoli riguardanti le donne della famiglia Armoni, come del resto sarò costretto ancora nel seguito di questa esposizione, non l’ho fatto, né lo farò, per mia giustificazione, perché io ormai non ho nulla più da sperare dalla vita, ma l’ho fatto e lo farò perché mio cognato Giacomo impari a conoscere, e sempre che Iddio, o presto o tardi, gli voglia togliere dagli occhi il fitto velo dell’attuale sua perversa cecità, la gente in mezzo alla quale è vissuto ed a cui sono affidate ora le sorti delle sue tre figlie femmine.

Mi sovviene a questo punto che una volta e prima che il fratello Giovanni di mio cognato fosse partito per soldato fui chiamato d’urgenza dagli Armoni. Recatomi in casa loro vi trovai l’Elena con una mano spaccata in due da una larga ferita lacero contusa. Mi pregarono di medica[...]

[...]orti delle sue tre figlie femmine.

Mi sovviene a questo punto che una volta e prima che il fratello Giovanni di mio cognato fosse partito per soldato fui chiamato d’urgenza dagli Armoni. Recatomi in casa loro vi trovai l’Elena con una mano spaccata in due da una larga ferita lacero contusa. Mi pregarono di medicargliela io alla meglio, perché, secondo affermavano loro,

il medico era assente. Io, dato che tenevo sempre in casa i medicinali, più urgenti, glie la medicai come meglio potei e seppi poi, più tardi, che la ferita all’Elena l’aveva prodotta il fratello Giovanni colpendola ripetutamente colla paletta di ferro della cucina.

Dopo che anche mio cognato Giacomo si persuase che difficile mente avrei potuto sposare bene facendo le cose in fretta, si decise di andare dal caro amico don Pietro Sorrentino, esperto capostazione cheMEMORIALE DAL CARCERE

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allora si trovava alla Marina di N..., allo scopo d’impratichirsi per poter sostenere l’esame d’assuntore. Io approvai l’idea perché pensavo che così mia sorella si sarebbe allontanata col tempo dal resto della famiglia Armoni per[...]

[...]irca alcune screzie ch’erano nate ultimamente tra di noi, screzie che difficilmente si possono evitare nella vita in comune e prolungata; tanto vero che in una di quelle ultime sere che rimase in casa mia, non potendo sfogare diversamente, si mise a battere così violentemente la sua piccola Rosa, che io rimasi paralizzato senza avere nemmeno la forza di fiatare ed intesi che Panr tico freddo caratteristico di paura m’assaliva in tutta la persona più forte ancora di quando l’avevo incontrato un tempo a N... insieme a mia sorella ed all’altra faccia che non ebbi la forza di mirare.

Anche mia sorella aveva capito già molto ed aveva incominciato ad esserne vittima delle loro crudeltà. Ma allora taceva e solo si mostrava mesta e senza riso, perché sapeva che la colpa di tutti i suoi guai ed anche dei miei era stata lei. L’allegria di un tempo era scomparsa per sempre e così rimase fino alla fine. E se qualcuno poi la vide ancora ridere, non si trattava più del riso della vita piena e priva d’affanni, ma si trattava del riso che copre l’ama[...]

[...]ieme a mia sorella ed all’altra faccia che non ebbi la forza di mirare.

Anche mia sorella aveva capito già molto ed aveva incominciato ad esserne vittima delle loro crudeltà. Ma allora taceva e solo si mostrava mesta e senza riso, perché sapeva che la colpa di tutti i suoi guai ed anche dei miei era stata lei. L’allegria di un tempo era scomparsa per sempre e così rimase fino alla fine. E se qualcuno poi la vide ancora ridere, non si trattava più del riso della vita piena e priva d’affanni, ma si trattava del riso che copre l’amarezza del cuore, giacché chi vive nella vita associata non può farne a meno, e che presto si dilegua non appena è passato il momento convenevole. Ma io l’amavo, ora assai più di prima, perché la vedevo così triste; se l’avessi saputa felice forse non ci avrei neanche pensato a lei; e fu questo il vero motivo che mi attaccò sempre più a lei. Qualche giorno prima d’andarsene, mi chiamò e mi disse:

«Senti Saverio! Io so tutto quello che fino ad ora hai fatto per me ed anche per loro. Ma se anche loro non ti fossero riconoscenti non fa niente, perché tu l’hai fatto per me e perciò non t’importa ». (A questo proposito la suocera affermava sempre con la sua solita ira e ferocia, specie verso gli ultimi tempi, che né lei, né i suoi mi serbavano gratitudine alcuna, perché ciò che avevo fatto io, l’avevo fatto esclusivamente per mia sorella e non per loro; e, forse, in ciò, non aveva torto). «Ma tutto il sacrificio che hai fatt[...]

[...] perché tu l’hai fatto per me e perciò non t’importa ». (A questo proposito la suocera affermava sempre con la sua solita ira e ferocia, specie verso gli ultimi tempi, che né lei, né i suoi mi serbavano gratitudine alcuna, perché ciò che avevo fatto io, l’avevo fatto esclusivamente per mia sorella e non per loro; e, forse, in ciò, non aveva torto). «Ma tutto il sacrificio che hai fatto fin’ora se tu ora ci abbandoni, è andato perduto, perché ora più di prima abbiamo bisogno d’aiuto. Di tutto quello che per il momento si guadagna, che sarà certamente ben poco, noi non possiamo toccare niente, giacché dobMEMORIALE DAL CARCERE

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biamo pensare d’ingrandire il negozio ed io spero fra pochi anni, con Giacomo che compra la roba, poiché in ciò è molto bravo come tu stesso hai potuto vedere, ed io che vendo come mi hai consigliato tu, e stai certo che io mi lascerò guidare da te e non da altri e che non farò come facevano loro che se un individuo entrava la prima non entrava la seconda volta nel negozio, di metterci in condizione di guad[...]

[...]

biamo pensare d’ingrandire il negozio ed io spero fra pochi anni, con Giacomo che compra la roba, poiché in ciò è molto bravo come tu stesso hai potuto vedere, ed io che vendo come mi hai consigliato tu, e stai certo che io mi lascerò guidare da te e non da altri e che non farò come facevano loro che se un individuo entrava la prima non entrava la seconda volta nel negozio, di metterci in condizione di guadagnare per tutti e di non disturbare più a te. Perciò tu finché noi non ci metteremo a posto definitivamente ci darai due o trecento lire al mese, perché a te in fondo non ti fanno niente, e così noi pagheremo l’affitto del negozio e con qualche altra piccola cosa che arrangeremo possiamo, se non altro, comprare almeno il pane per vivere. Se poi abbiamo bisogno qualche volta di altro danaro per comprare momentaneamente della merce, ce lo darai lo stesso, se puoi, ma di questo m’impegno io stessa di restituirtelo non appena fatta la vendita, mettendolo da parte per te ».

«Non ti preoccupare, che farò tutto. Però vedi che ti avvert[...]

[...] che farà come le dico io. Io verrò da te ogni dopo pranzo per aggiustarti la casa e finché tu mi vuoi. Se poi hai bisogno urgente mi manderai a chiamare che lascio ogni cosa e verrò a qualunque ora. Tu verrai a sederti nel negozio la sera, quando non avrai a che fare; è vero che verrai? e così staremo sempre assieme come prima».

Dopo alcuni giorni se ne andò definitivamente a stabilirsi nel negozio. Tutto ciò che apparteneva a loro non c’era più ed anche Giacomo e Rosa erano andati via. Eravamo rimasti io e lei. Il sole stava per tramontare e lei si attardava ancora perché non era capace di distaccarsi. Né io avevo la forza di dirle: vattene! Ma ad un certo punto capimmo entrambi che non si poteva più rimandare ed allora lei attaccandosi con forza al mio collo si mise a singhiozzare. Anch’io singhiozzavo. Ogni tanto ripeteva:

«Mi perdoni? È vero che mi perdoni?».

« Ma di che cosa ? ».146

SAVERIO MONTALTO

(( Di niente! Dimmi che mi perdoni! ».

« Ti perdono! Ti perdono! ».

«E dimmi ancora che non mi abbandoni?».

«Ma via! Che sono queste cose Anna? Perché ti dovrei abbandonare? Tu mi conosci! ».

« Sì, sì, ti conosco! E perciò me ne vado un po’ tranquilla » e ripetendo ciò, per ben tre volte si attaccò di nuovo al mio collo baciandomi da forsennata. Poi uscì. Sulla via[...]

[...]en tre volte si attaccò di nuovo al mio collo baciandomi da forsennata. Poi uscì. Sulla via solitaria, giacché limitavo con la campagna, sostò un po’ per calmarsi ed asciugarsi le lagrime. Quando se l’ebbe asciugate, mi disse: «Non voglio farmi vedere che ho pianto, altrimenti chi sa che diranno! » e si mosse per andarsene.

10 rimasi sulla via per guardarla. Lei prima di scomparire nella discesa si girò, ma senza avere ormai la forza di dirmi più nulla. Poi reprimendo ancora le lagrime, scomparve. Quella faccia sconfortata e di dolore ancora mi attraversa l’anima da parte a parte e la porterò con me fino alla tomba.

Rimasto solo mi diedi allo studio. Veniva spesso da me il mio carissimo amico Giuseppe Larussa il quale si era dedicato agli studi letterari e mi consigliò molti libri utili che mi servirono in seguito di molto aiuto e conforto specie nei momenti difficili della mia vita. Ebbi anche in alcuni momenti la velleità di scrivere, ma scrivevo per me e non per gli altri e quando non avevo voglia di fare altro. Dapprincipio dor[...]

[...]udi letterari e mi consigliò molti libri utili che mi servirono in seguito di molto aiuto e conforto specie nei momenti difficili della mia vita. Ebbi anche in alcuni momenti la velleità di scrivere, ma scrivevo per me e non per gli altri e quando non avevo voglia di fare altro. Dapprincipio dormì per alcun tempo nella mia casa l’Ottavio il fratello minore di mio cognato, ma poi accortomi che riferiva tutte le mie cose ai suoi non lo feci venire più e mi feci fare tutto dal padre della persona di servizio che avevo ultimamente, dato che per trasportarmi l’acqua, giacché in casa non c’era, veniva da me da tempo.

Intanto io andavo quasi tutte le sere a sedermi nel negozio di mia sorella e qualche volta anche dagli Armoni e mia sorella veniva da me, ma la vedevo sempre più triste e che sfioriva e deperiva sempre più. Lei però allora non mi diceva mai niente, perché non voleva disturbarmi e perché, si vede, ancora i suoi guai erano alquanto sopportabili. In questo frattempo mi ero accorto che il barbiere Armando Romeo, colla scusa che tagliava i capelli alle ragazze della famiglia Armoni, frequentava allo spesso e qualche volta anche con la moglie la loro casa e che l’Aurora, a sua volta, accompagnata di quando in quando dal fratello Lorenzo, frequentava anche lei la casa del Romeo.

11 Lorenzo la portava fino alla soglia della casa del Romeo e se ne andava. Il Romeo grato verso il Lorenzo lo forniva d[...]

[...]il marito era buono e così glie ne parlò. Ma né mio cognato, né sua madre vollero sentire ragione e specie la madre la quale intuì il vero motivo per cui bisognava allontanare

il Romeo e perciò inveì contro mia sorella e per poco non se la mangiò dicendole tutto quello che sapeva mettere fuori lei dalla sua bocca concludendo infine che nessuno doveva permettersi un’altra volta di muovere verbo sulla sua famiglia, perché la sua famiglia era la più onorata del paese di N... ecc. ecc. E perché mio cognato e famiglia non vollero allontanare il Romeo? Perché il Romeo passava per pezzo grosso dell’onorata società. E sia mio cognato che la sua famiglia avevano un sacro rispetto per tutti coloro che appartenevano all’onorata società e specie poi per i pezzi grossi. Loro se li guardavano i mali passi e come tutti i malvagi cercavano di prendersi la rivincita con i deboli, coi poveri diavoli, con mia sorella e anche con me in seguito, che mi sapevano più innocuo di un coniglio. Anzi ultimamente, data anche la mia statura, mi chiamavano proprio [...]

[...]to e famiglia non vollero allontanare il Romeo? Perché il Romeo passava per pezzo grosso dell’onorata società. E sia mio cognato che la sua famiglia avevano un sacro rispetto per tutti coloro che appartenevano all’onorata società e specie poi per i pezzi grossi. Loro se li guardavano i mali passi e come tutti i malvagi cercavano di prendersi la rivincita con i deboli, coi poveri diavoli, con mia sorella e anche con me in seguito, che mi sapevano più innocuo di un coniglio. Anzi ultimamente, data anche la mia statura, mi chiamavano proprio « il coniglio ».

10 d’allora in poi mi feci i fatti miei su questi riguardi. Questo fatto del Romeo e tanti altri che ho raccontati e che dovrò raccontare ancora della famiglia Armoni, voglio solamente che la Giustizia li apprenda,

11 indaghi se può, per conto suo, ma senza rendere notorio che li ho riferiti io, giacché a dire il vero, mentre li racconto mi assale un sacro terrore. La Giustizia del resto non sa niente della gente della famiglia Armoni perché se sapesse qualcosa, son certo, non si [...]

[...]ardi. Questo fatto del Romeo e tanti altri che ho raccontati e che dovrò raccontare ancora della famiglia Armoni, voglio solamente che la Giustizia li apprenda,

11 indaghi se può, per conto suo, ma senza rendere notorio che li ho riferiti io, giacché a dire il vero, mentre li racconto mi assale un sacro terrore. La Giustizia del resto non sa niente della gente della famiglia Armoni perché se sapesse qualcosa, son certo, non si meraviglierebbe più di questo mio sacro terrore.

Dopo un certo tempo e quando il Lorenzo aveva conseguito già la licenza normale mi vidi arrivare in casa Giuseppe Panetta sarto. Si sedè e mi raccontò più morto che vivo che la sera avanti mentre la famiglia Armoni era in chiesa (perché mia suocera ed il resto della148

SAVERIO MONTALTO

famiglia sono assai devoti e pii, a modo loro, s’intende) il Lorenzo aveva attirato in casa una bambina di circa nove anni del Panetta ed aveva sfogato su di lei la sua libidine. Il Panetta aveva chiamato un dottore del luogo per far visitare la bambina, però non c’era stato alcun danno. Ma il Panetta si era rivolto lo stesso al Maresciallo e questi gli aveva detto di esporre regolare denunzia che poi ci avrebbe pensato lui. Allora io pregai e scongiurai i[...]

[...]hiamato un dottore del luogo per far visitare la bambina, però non c’era stato alcun danno. Ma il Panetta si era rivolto lo stesso al Maresciallo e questi gli aveva detto di esporre regolare denunzia che poi ci avrebbe pensato lui. Allora io pregai e scongiurai il Panetta, dato che non c’era stato niente di positivo, di voler lasciar perdere altrimenti avrebbe rovinato il Lorenzo, perché sicuramente con un addebito simile non avrebbe potuto fare più l’insegnante, e più che per lui per il resto della sua famiglia.

Il Panetta per sua bontà mi esaudì e così finì la cosa a questo punto. Dopo qualche giorno chiamai il Lorenzo, gli raccontai il fatto, gli dissi tante altre cose che in quel momento mi suggerì la morale e l’ira, e, lui, dopo avermi ascoltato a testa bassa, si alzò e se ne andò sempre a testa bassa e senza aver avuto il coraggio di profferire una parola.

Venne il 1935, e giacché ancora dovevo dare le trecento lire mensili a mio cognato Giacomo e pagare per lui altre piccole spese che non ricordo più e che qualche debito pressava tuttavia e non[...]

[...]a a questo punto. Dopo qualche giorno chiamai il Lorenzo, gli raccontai il fatto, gli dissi tante altre cose che in quel momento mi suggerì la morale e l’ira, e, lui, dopo avermi ascoltato a testa bassa, si alzò e se ne andò sempre a testa bassa e senza aver avuto il coraggio di profferire una parola.

Venne il 1935, e giacché ancora dovevo dare le trecento lire mensili a mio cognato Giacomo e pagare per lui altre piccole spese che non ricordo più e che qualche debito pressava tuttavia e non potevo più rimediare, cedetti il quinto dello stipendio per cinque anni realizzando circa cinquemila lire. Fu verso questo periodo, mi sembra, che finii di pagare per conto di mio cognato al signor Marano Luigi la somma di lire seicento per legname che il Marano aveva consegnato ai fratelli Fontana al momento che sposò mio cognato per la costruzione della sua stanza da letto e per cui il Marano prima di consegnarla aveva voluto la mia garanzia. E fu qualche anno prima anche, almeno così mi pare, che un giorno mi vidi arrivare in casa tutta trafelata mia sorella Anna, la quale mi disse:

« Questa volta[...]

[...] è successo?».

«Che cosa? È successo che a Giacomo, mentre andava a Palermo per comprare la merce, gli hanno preso il portafoglio con mille lire ed anche col libretto dell’abbonamento » — mio cognato aveva l’abbonamento che io stesso avevo consigliato per potere sostituire volta per volta, poiché i capitali non c’erano, gli articoli che venivano a mancare nel magazzino — « Capirai che a noi mille lire ci fanno assai per quanto lui se la sente più per la figura che ha fatto che per altro. Difatti è nel letto perché dice che vuole morire e che non vuole sapere più di niente. Menomale che ha trovato uno di P... che gli haMEMORIALE DAL CARCERE

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prestato cento lire per il ritorno. Ora, se tu non fai quest’altro sacrificio, siamo perduti. Mi ha chiamato anche la suocera, perché la suocera quando ha necessità, io e te siamo i loro salvatori e tante altre cose belle. Poi quando non ha più bisogno, allora siamo.. Basta! Tu del resto quello che fai lo fai per me! ».

«Lo sapevo che tutti i guai li debbo aggiustare io?! E benché loro non meritano nulla, te le dò lo stesso, perché sennò ne vai tu di mezzo. Però tuo marito dovrebbe convincersi che il superuomo lo può fare solo con te e con me e non con gli altri! ».

« Lo so! Ma che vuoi che faccia, ormai che ci sono capitata? ».

Quando mia sorella se ne andò era molto contenta, perché sapeva che con queste altre mille lire, forse per qualche tempo non l’avrebbero tanto tormentata. Difatti, anche con me, si mostrarono alquan[...]

[...]enta, perché sapeva che con queste altre mille lire, forse per qualche tempo non l’avrebbero tanto tormentata. Difatti, anche con me, si mostrarono alquanto affabili i signori Armoni per qualche tempo.

Verso l’estate del 1935, mi sembra, vidi di nuovo arrivare mia sorella trafelata e confusa : « Questa volta — mi disse — non vengo per me; ma vengo perché penso che conviene anche a te. Il suocero deve pagare ancora una cambiale di mille lire e più alla banca e sono avallanti lo zio della suocera don Bruno Zito e Audino Pasquale il marito di commare Vincenza, quelli che hanno la bettola di fronte al negozio che aveva una volta il suocero. Ora la cambiale ce l’ha l'avvi Spagna il quale si è rivolto allo Zito ed all’Audino — perché sa che

il suocero non può pagare. — Ieri sono andati in casa della suocera i figli di Audino, Giorgio e Paolo, che tu stesso sai che cosa sono, e li Ijanno minacciati che se non pagano e fanno avere dei grattacapi al loro padre, si finisce a coltellate. Ora sia la suocera che gli altri stanno tremando e non [...]

[...]ta per Aurora, quando hanno venduto la terra ch’era sua al Feudo e perciò il suocero sarebbe disposto a vendere il locale che gli resta a te, purché facciate una retrocarta che se fra due anni ti restituisce i soldi tu gli restituirai

il locale, se poi non ti restituisce niente il locale rimane a te. Tra cambiale, interessi e spese di notaio, se ne possono andare un millecinquecento lire e perciò penso che ti conviene perché il locale vale di più e seppure loro non lo ricompreranno trovi sempre a venderlo di più e non di meno».

«A dirti la verità del locale non ho cosa farmente, perché, vera150

SAVERIO MONTALTO

mente, penso di andarmene da N... o presto o tardi e specie quando vi sarete messi a posto definitivamente)).

« E te ne vai e mi abbandoni ? », disse mia sorella tremante.

«Ma no! Questo non sarà mai, perché dove vado vado ti manderò sempre quel che posso mandarti ».

« Ma io non parlo per questo, perché, per il mangiare, non m’importa neanche se muoio di fame! Parlo che rimango sola! Credi che loro si preoccupano di me? Si preoccupano solo quando hanno bisogno. Ormai è tanti[...]

[...]
Dopo alcuni giorni andammo dall’avv. Spagna per pagare e ritirare la cambiale e mi ricordo che mio cognato Giacomo e suo padre pretesero anche una certa ricevuta, una specie di ricatto, per un altro certo imbroglio di altre quattro o cinquemila lire che avevano fra di loro, collo zio don Bruno Zito. Mentre accompagnavo questi verso casa sua ed eravamo rimasti soli, mi disse:

« Mi hanno rovinato e loro non si sono aggiustati! Mi hanno rubato più di quindicimila lire. Tutta la colpa però è di quella serpe della madre, perché il marito è un trastullo che lo comanda a bacchetta ed ora anche i figli. Compiango quella povera martire di vostra sorella! Dovete sapere che quella donna è stata la rovina di quattro famiglie: della sua, di quella di vostra sorella, della mia ed ora anche della vostra. Vi basti sapere questo: mentre erano falliti e sull’orlo del precipizio, quella signora ha preteso di essere portata dal marito a Palermo per divertirsi. Basta! » e mandò un sospiro.

E giacché mi trovo faccio presente che il locale da me acquis[...]

[...]rovina di quattro famiglie: della sua, di quella di vostra sorella, della mia ed ora anche della vostra. Vi basti sapere questo: mentre erano falliti e sull’orlo del precipizio, quella signora ha preteso di essere portata dal marito a Palermo per divertirsi. Basta! » e mandò un sospiro.

E giacché mi trovo faccio presente che il locale da me acquistato, dopo due anni e quando ero già sposato, rimase a me perché il padre di mia moglie non trovò più conveniente per lui ricomprarlo anche perché non ci aveva i soldi. In quel periodo io mi ero deciso col tempo di fabbricare una casetta ed allora chiusi il locale con ferro spinato e vi piantai alcuni alberi in modo da trovarmeli cresciuti al momento opportuno, spendendoci sopra altre tre o quattrocento lire. Avevo trovato a chi darlo da coltivare ma mio suocero si oppose e lo volle lui. Ultimamente, dato che ciò che spendevo per farlo coltivare, non lo ricavavo perché pretendeva quasi tutto mio suocero, lo pregai di vedersela lui per le spese di coltivazione ed a me non dare piùMEMORIALE DA[...]

[...]ta ed allora chiusi il locale con ferro spinato e vi piantai alcuni alberi in modo da trovarmeli cresciuti al momento opportuno, spendendoci sopra altre tre o quattrocento lire. Avevo trovato a chi darlo da coltivare ma mio suocero si oppose e lo volle lui. Ultimamente, dato che ciò che spendevo per farlo coltivare, non lo ricavavo perché pretendeva quasi tutto mio suocero, lo pregai di vedersela lui per le spese di coltivazione ed a me non dare piùMEMORIALE DAL CARCERE

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niente. Lui veramente per debito di coscienza ogni tanto portava lo stesso qualcosa. Seppi poi che ciò che ricavava dall’orto lo vendeva (si può interrogare un certo Patrizio Antonio bettoliere) oppure lo teneva esclusivamente per sé e se qualche volta dava alla sua famiglia oppure alla figlia Aurora sposata patate, pomodori ecc. se li faceva pagare anche da loro ed a caro prezzo. Con questa occasione seppi anche che mio suocero, oltre a dormire giù in un basso di casa come

il servo, mentre mia suocera sù a parte da principessa, mangiava e beveva anche a sol[...]

[...]cero, oltre a dormire giù in un basso di casa come

il servo, mentre mia suocera sù a parte da principessa, mangiava e beveva anche a solo. Seppi anche, circa un anno fa dal cav. Giuseppe Levantino, che mio suocero aveva sparsa la voce che l’orto l’aveva dato a me per dote quando m’ero sposato con la figlia.

Si era arrivati così verso la fine del 1935. Io mi recavo la sera sempre da mia sorella però da qualche tempo a questa parte la vedevo più triste del solito e che si riduceva sempre peggio anche fisicamente dato che allattava ancora la seconda bambina. Gli affari del negozio andavano bene principalmente per opera sua, giacché sapeva accogliere con le buone maniere i clienti giusto come l’avevo consigliata io, tanto vero che un giorno di quelli era ritornato per acquisti il cav. don Giacomo Tavella dopo un certo tempo ed aveva esclamato: «Ma qui avete fatto proprio cose da pazzi in pochi anni! ». E poi anche i vicini amavano e stimavano molto mia sorella, perché lei amava e stimava tutti. Una sera la vidi più triste del solito. I[...]

[...]del negozio andavano bene principalmente per opera sua, giacché sapeva accogliere con le buone maniere i clienti giusto come l’avevo consigliata io, tanto vero che un giorno di quelli era ritornato per acquisti il cav. don Giacomo Tavella dopo un certo tempo ed aveva esclamato: «Ma qui avete fatto proprio cose da pazzi in pochi anni! ». E poi anche i vicini amavano e stimavano molto mia sorella, perché lei amava e stimava tutti. Una sera la vidi più triste del solito. Io volevo domandarle che avesse, però non dicevo niente perché avevo paura di sapere. Lei allora quasi facendo una risoluzione improvvisa diede la piccina ad Iva e mi portò dalla parte di dietro del magazzino al di dà dove dormivano vicino al gabinetto in un sottoscala ove lei faceva con la spiritiera qualcosa da mangiare per sé perché il marito mangiava sempre dai suoi. Lì giunti si mise a piangere. Io intesi che il cuore incominciò a tumultuare e che tremava tutto. Domandai: «Ma ch’è successo?».

« Oggi mi ha preso colla correggia! » e così dicendo si scoperse un bracci[...]

[...]ve lei faceva con la spiritiera qualcosa da mangiare per sé perché il marito mangiava sempre dai suoi. Lì giunti si mise a piangere. Io intesi che il cuore incominciò a tumultuare e che tremava tutto. Domandai: «Ma ch’è successo?».

« Oggi mi ha preso colla correggia! » e così dicendo si scoperse un braccio e mi fece vedere le lividure. Mi mostrò anche al collo e mi disse che aveva anche nelle spalle. «Io non volevo dirti nulla ma non ne posso più! Non è la prima volta. Fino ad ora però non l’aveva fatto nel negozio, ma oggi anche nel negozio in presenza di gente.

Io non per le botte, perché ormai sono abituata alla sofferenza, ma per la gente e perché penso che certe cose non le merito dal marito».

« Ma perché tutto questo? ».

«Per niente! Per un nonnulla! A volte è una bestia, non ragiona affatto! Ma non è lui, è la madre! Forse lui non sarebbe così cattivo! ».152

SAVERIO MONTALTO

A questo punto uscì nel negozio e ritornò. «Non voglio che arrivi qualcuno e che sospettino che ti racconto qualcosa, perché altrimenti mi [...]

[...]come loro e per questo, apriti cielo! Se poi parli con loro?! Loro son belle e giovani ed io son vecchia che non mi meritavo mai un giovane così bello, così sapiente e che so io; loro sanno fare tutto e sono econome ed io non so fare niente e sono sperperona, loro sono aristocratici ed io sono figlia di gente bassa e di pezzenti, che non ho portato dote, perché per un giovane come lui dovevo almeno almeno portare centomila lire; loro poi sono le più oneste e tutte le altre compresa io sono tutte prostitute. Figurati che non potendo dire altro, hanno detto che tu vieni nel negozio perché ti faccio da mezzana per Grazietta Morabito, solo perché hanno visto che qualche volta è entrata qui. Ti ricordi quella sera quando mio marito venne cogli occhi stralunati? Menomale che ha trovato Grazietta sulla porta altrimenti sarebbe stato capace di fare non si sa che cosa. Così ho paura di parlare anche con i vicini e devo inimicarmi con tutti come sogliono fare loro».

«Sai che fai Anna? Cerca di evitare quanto puoi perché col tempo, quando sarete[...]

[...] quanto puoi perché col tempo, quando sarete soli tu e tuo marito, si spera che cambierà questa situazione. Per ora soffri in silenzio! ».

« Peggio! L’altro giorno la suocera mi ha detto tante che mi vergogno anche di dirle; neanche i facchini della stazione. In ultimo se la pigliò anche con nostra madre morta. Nostro padre poi, non è che un ubbriacone miserabile! Io mi misi a piangere senza dire nulla e mi alzai per venirmene qui. Lei allora più inferocita, mi prese dai capelli e mi diede uno schiaffo, trattandomi da scostumata e da villana ».

« Ma tuo marito che dice? »

« Mio marito è peggio degli altri e dice che sua madre ha sempre ragione! ».MEMORIALE DAL CARCERE

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«Ma è possibile^che non capiscono che se non fosse stato per te e per me a quest’ora andrebbero a chiedere l’elemosina di porta in porta? ». '

«Loro non capiscono niente. Mio marito ha detto che se non mi avesse sposata lui, non mi avrebbe sposata più nessuno e che perciò quello che hai fatto fino ad ora è niente e che devi dargli ancora le cinquemila[...]

[...]uno schiaffo, trattandomi da scostumata e da villana ».

« Ma tuo marito che dice? »

« Mio marito è peggio degli altri e dice che sua madre ha sempre ragione! ».MEMORIALE DAL CARCERE

153

«Ma è possibile^che non capiscono che se non fosse stato per te e per me a quest’ora andrebbero a chiedere l’elemosina di porta in porta? ». '

«Loro non capiscono niente. Mio marito ha detto che se non mi avesse sposata lui, non mi avrebbe sposata più nessuno e che perciò quello che hai fatto fino ad ora è niente e che devi dargli ancora le cinquemila lire».

«Ah sì? Allora digli che facciamo i conti di tutto quello che ho sborsato fino ad ora, togliamo le cinquemila ed anche il valore della casa di M... che resta per me e la differenza me la restituisca. Fino ad ora credo che ho speso oltre le ventimila a dir poco».

«Queste dice che non contano».

« Io adesso lo voglio chiamare e parlargli ».

« No, no; per carità; sarà peggio! Per ora fai in conto che non sai niente. In seguito si vedrà».

«Lo so quello che vogliono! Ma è poss[...]

[...]ibile che dopo che mi sono sacrificato fino a questo punto, vogliono anche che sposi la loro figlia? E poi, con simile gente, chi vorrebbe mai avere a che fare? ».

«Lo so anch’io. Ma intanto loro lo pretendono, perché dicono che tu non sei meglio di loro e che non sei neanche meritevole di apparentare con loro. Certo finché hanno avuto bisogno di te e la cosa si poteva sopportare in qualche modo, ma ora che vedono che incominciano a non avere più bisogno di te, ti assicuro che son cose che non le auguro neanche agli animali irragionevoli ». e si mise di nuovo a piangere. Quel pianto mi attraversava l’anima ed il cuore. Non so perché: io qualsiasi pianto sopportavo, anche quello delle altre sorelle, ma il pianto di questa mia sorella non ero capace di sopportarlo. Vedevo che soffriva per avere troppo amato, vedevo ch’era vittima dell’ingratitudine e che soffriva perdavvero, perché le persone molto sensibili soffrono per davvero, e non sapevo darmi pace. Cercai di dominarmi per poterla confortare; poi rimasi ancora un po’ nel negozio e [...]

[...]ente avevo paura di lui, ma di tutti i presenti della famiglia, perché proprio sapevo che tutti potevano fare del male a mia sorella. Dopo qualche tempo m’incoraggiai e chiamai mio cognato. Lui dap154

SAVERIO MONTALTO

prima si sorprese, poi si addolorò, poi disse sarcasticamente che credeva di potere correggere sua moglie perché pensava che appartenesse a lui e che fosse cosa sua, ma che ora che sapeva che non era cosa sua, non si sarebbe più permesso neanche di parlare più una parola; si alzò ed uscì.

Le cose dopo un certo tempo si aggravarono sempre più come aveva previsto mia sorella. Io ora quasi evitavo di andare da lei per non vederla soffrire e mi trovavo al colmo dell’esasperazione. Eravamo arrivati già fin verso la fine di febbraio del 1936. In una notte di maggiore esaltazione e disperazione trovai la via d’uscita o per lo meno mi sembrò di trovarla. Difatti la mattina mandai a chiamare d’urgenza mia sorella. Non appena entrò, senza neanche lasciarla respirare le dissi: «Ho deciso di sposare Iva! Dirai a tuo marito che faccia tutto lui, giacché io non voglio avere seccature, e che fra quindici giorni saremo marito e moglie. Dirai anc[...]

[...]rlo, giacché la natura è così. Cerca di spiegare ciò a lei con parole tue. Mi capisci? ».

«Ti capisco! E son certa che con te non avrà a soffrire anche se tu non dovessi volerle bene; per quanto questo, non è possibile. Ma sì! E poi dobbiamo restare in perpetuo a questo mondo? Tu stesso hai sempre detto che fra cinquantanni, al massimo, saremo tutti cenere ».

«Tu a lei dirai che la sposo perché le voglio bene e perché non parla mai ed è la più affezionata con noi. Però il matrimonio si faràMEMORIALE DAL CARCERE

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sotto certe condizioni: anzitutto dobbiamo dormire a parte e tuttocciò non per venire meno agli impegni coniugali. Con te si può parlare perché sei sposata. Il fatto di dormire separati, se mai, dovrebbe servire a maggior stimolo dei sensi. Ma la ragione è ben altra. La ragione è che io ormai mi avvicino ai quarantanni ed abituato a dormire finora sempre solo, non sarei capace ad abituarmi in compagnia. E poi gli aristocratici dormono ognuno per conto loro. Fingiamo di essere anche noi aristocratici e tutto è fatt[...]

[...]dormire separati, se mai, dovrebbe servire a maggior stimolo dei sensi. Ma la ragione è ben altra. La ragione è che io ormai mi avvicino ai quarantanni ed abituato a dormire finora sempre solo, non sarei capace ad abituarmi in compagnia. E poi gli aristocratici dormono ognuno per conto loro. Fingiamo di essere anche noi aristocratici e tutto è fatto! In secondo luogo lei mi dovrà obbedire in tutto quel che io dico in casa per il motivo che io ho più esperienza di lei; non debbo essere disturbato, perché intendo studiare e per il fatto che non sa né cucinare, né fare altro non importa perché si abituerà insieme a me. Come sai, io so fare tutto. Desidero infine che dopo sposati nessuno deve venire in casa mia a rompermi il capo, perché ora basta; e, certo, non devono pretendere più nulla da me, comprese le trecento lire al mese che vi ho date fino adesso, perché ormai col negozio che è a buon punto e col fratello Lorenzo che sta all’Africa potete vivere, facendo un po’ di economia, s’intende, abbastanza bene».

« Certo, ormai, queste cose le devono capire anche loro ».

« Ah! Dimenticavo di dirti che la cosa essenziale è che sua madre non dovrà comparire mai in casa mia e neanche in chiesa la sera del matrimonio. E su ciò non transigo in modo assoluto! ».

«E se non accettano?».

« Allora il matrimonio non si fa ».

« E se Giacomo mi domanda perché non sposi l[...]

[...]o di dirti che la cosa essenziale è che sua madre non dovrà comparire mai in casa mia e neanche in chiesa la sera del matrimonio. E su ciò non transigo in modo assoluto! ».

«E se non accettano?».

« Allora il matrimonio non si fa ».

« E se Giacomo mi domanda perché non sposi la grande? ».

« Gli dirai che non sposo la grande perché non mi va il suo carattere e che non sposo Elena per la stessa ragione. Del resto potrei sposare tutto al più una donna con trenta o quaranta mila lire di dote. Sarebbero tante e tali, le pretese che sto certo che non basterebbero neanche per mettersele addosso. Mi conviene allora sposare Iva con la camicia, perché so che non può avere nessuna pretesa e che faccio un bene per tutti».

Mia sorella più confusa che persuasa se ne andò per portare la lieta novella.

Il giorno dopo ritornò felice e contenta dicendomi:

«Finalmente sono finiti i miei guai!».

« Che ti hanno detto? ».

«Figurati! Tutti contenti: tranne di Aurora, s’intende. La madre ha fatto una smorfia, quando ha sentito che non vuoi saperne di lei,156

SAVERIO MONTALTO

ma poi contentissima anche lei e non sanno ora tutti come carezzarmi e volermi bene. Anzi la suocera mi ha dichiarato espressamente che ora che si fa questo matrimonio, è pensiero suo come deve trattare me e i miei figli. Giacomo però sai che cosa [...]

[...]preoccupato mi rispose: «Non credo vi siate regolato bene! Io, caro amico, non vi consiglio mai una cosa simile! ».

« Ma se io mi son deciso principalmente per mia sorella? ».

« Lo capisco benissimo! Ma non risolverete lo stesso la situazione ».

«Ma se ormai non posso ritornare indietro?».

«Fate come credete, perché voi siete l’arbitro, ma per me è così! ».

Benché il mio amico Larussa fosse allora assai giovane, si vede, era assai più saggio di me. Poi gli domandai : « E la gente che dice ? ».

« Dice che siete impazzito! ».

Difatti quando dopo alcuni giorni feci le pubblicazioni, vidi che tutti gli amici del Municipio mi guardavano un po’ circospetti ed alquanto confusi. Ma io ormai non vedevo più nessuno. Né diedi ascolto a mio padre, piombato a N... non appena il fatto si propagò anche a M...

Sposai il 15 marzo di quel 1936. Fu uno dei giorni più sconfortati della mia vita: non uscii affatto e passeggiai solo tutto il dì su e giù per le stanze della mia casa. Non so perché: un sentimento lugubre mi attanagliava il cuore. Solo potevo prendere un po’ di pace pensando continuamente al Fedone di Platone. Vedevo il modo ieratico, calmoMEMORIALE DAL CARCERE

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e sereno con cui il grande Socrate aveva avvicinate le mani al calice della cicuta e mi veniva da piangere. Piangevo e così mi calmavo.

Verso le tre del pomeriggio venne mia sorella e mi aggiustò il letto e mi rassettò la casa. Poi piangemmo a lungo assieme, mi baciò ripetu[...]

[...]i gli uomini presenti della famiglia Armoni. Mi accompagnarono anche a casa e poi subito se ne andarono. Così passò la mia giornata di nozze.

Dopo alcuni giorni che fui sposato, tenni questo discorso a mia moglie: «Ascoltami Iva! Come sai ancora io mi trovo con debiti e perciò per il momento dobbiamo fare la massima economia ed arrangiarci come si può. Significa che in seguito quando ci troveremo meglio, poi, se dobbiamo fare qualche spesa in più, la faremo. E poi come sai anche c’è mio padre a cui debbo pensare solamente io e c’è anche mia sorella di R... che ha molto bisogno ed ogni tanto la debbo aiutare pure. Che vuoi; son fatto così! Non sono capace vedere soffrire i miei ed io scialare e godere. Per il fatto di tua madre, io non ti dico di non andare a vederla, perché so che non te lo posso proibire; però ricordati che meno vai o se non vai del tutto è meglio ancora. Tua madre è combinata in modo che uno più lontano sta e meglio è. Ti dico ancora che io le voglio tutt’altro che male; anzi il male che voglio a lei, Iddio lo facci[...]

[...]sai anche c’è mio padre a cui debbo pensare solamente io e c’è anche mia sorella di R... che ha molto bisogno ed ogni tanto la debbo aiutare pure. Che vuoi; son fatto così! Non sono capace vedere soffrire i miei ed io scialare e godere. Per il fatto di tua madre, io non ti dico di non andare a vederla, perché so che non te lo posso proibire; però ricordati che meno vai o se non vai del tutto è meglio ancora. Tua madre è combinata in modo che uno più lontano sta e meglio è. Ti dico ancora che io le voglio tutt’altro che male; anzi il male che voglio a lei, Iddio lo faccia ricadere su di me; ma è così. Forse poveretta, dato che è fatta così, neanche lei ci ha colpa».

Mia moglie fu molto contenta di questo discorso. In casa stava sempre in silenzio, non faceva mai niente senza di me, anche perché non lo sapeva fare e così pian piano sotto la mia guida, si abituò a fare tutto ed anche bene. Per qualche anno le cose procedettero a meraviglia giacché non andava mai da sua madre e seppure andava, stava un po’ e poi ritornava a casa. Anche pe[...]

[...]stava sempre in silenzio, non faceva mai niente senza di me, anche perché non lo sapeva fare e così pian piano sotto la mia guida, si abituò a fare tutto ed anche bene. Per qualche anno le cose procedettero a meraviglia giacché non andava mai da sua madre e seppure andava, stava un po’ e poi ritornava a casa. Anche per mia so'rella le cose sembrava an158

SAVERIO MONTALTO

dassero bene. Ma dopo qualche anno la situazione peggiorò di colpo e più di prima, anche perché ora non si poteva più rimediare.

Si era, mi sembra, verso il maggio del 1937. Un giorno mi mandò a chiamare mia sorella mentre suo marito era assente. Mi portò nel solito sottoscala e mi raccontò con le lagrime agli occhi che di nuovo avevano incominciato a martirizzarla, che suo marito l’aveva picchiata diverse volte e che se prima del matrimonio le soleano usare un po’ di riguardo, adesso niente del tutto e che il cagnolino che avevano contava in quella casa assai più di lei ed era trattato assai più di lei.

Io non volli sapere altri particolari per non indignarmi di più, la pregai di sopportare e me ne an[...]

[...]mediare.

Si era, mi sembra, verso il maggio del 1937. Un giorno mi mandò a chiamare mia sorella mentre suo marito era assente. Mi portò nel solito sottoscala e mi raccontò con le lagrime agli occhi che di nuovo avevano incominciato a martirizzarla, che suo marito l’aveva picchiata diverse volte e che se prima del matrimonio le soleano usare un po’ di riguardo, adesso niente del tutto e che il cagnolino che avevano contava in quella casa assai più di lei ed era trattato assai più di lei.

Io non volli sapere altri particolari per non indignarmi di più, la pregai di sopportare e me ne andai. Mentre mi ritiravo a casa intesi che non vedevo più dagli occhi e che la testa mi girava come un mulino. Arrivato a casa non ero capace di sopportare la presenza di mia moglie e senza ragione, si può dire, sfogai con lei la mia disperazione. Li trattai d’ingrati e di gente perfida e tutto quanto sapevo della sua famiglia di poco pulito glie lo scaraventai in faccia senza pietà. Lei sentendosi tocca sul vivo e che ciò che dicevo rispondeva a verità, si mise a piangere e poi fece per andarsene; ma giunta fuori la porta ritornò e si coricò. Io dopo sfogato capii che lei in fondo non c’entrava e ritornato in me subito cercai di riparare al mal fat[...]

[...]fida e tutto quanto sapevo della sua famiglia di poco pulito glie lo scaraventai in faccia senza pietà. Lei sentendosi tocca sul vivo e che ciò che dicevo rispondeva a verità, si mise a piangere e poi fece per andarsene; ma giunta fuori la porta ritornò e si coricò. Io dopo sfogato capii che lei in fondo non c’entrava e ritornato in me subito cercai di riparare al mal fatto chiedendo scusa a mia moglie e rifacendomela amica. Ormai non ci pensavo più a ciò ch’era avvenuto, quando dopo alcuni giorni, nel pomeriggio ti vedo arrivare mia suocera cogli occhi del cane arrabbiato. Era questa la prima volta che veniva in casa mia dopo che mi ero sposato. Mi chiamò nello studio, chiuse la porta, mi fece sedere, sedè anche lei ed incominciò a dire :

« Sappiate che la mia famiglia è la prima di N... ed io sono figlia di chi sono figlia (suo padre poveretto era ciabattino), perché mio padre era il primo negoziante di questi contorni e non a torto i miei figli mi chiamano la padrona di sette paesi. E sulla onestà e serietà mia e delle mie figlie n[...]

[...]a è la prima di N... ed io sono figlia di chi sono figlia (suo padre poveretto era ciabattino), perché mio padre era il primo negoziante di questi contorni e non a torto i miei figli mi chiamano la padrona di sette paesi. E sulla onestà e serietà mia e delle mie figlie non si è mai permesso nessuno di dire il minimo che, perché io non sono una di quelle bagascione vecchie come vostra sorella che se non la sposava mio figlio non l’avrebbe sposata più nessuno. Capite? Non perché vostra sorella trovò mio figlio per coprire le corna a lei ed a voi?! Capite? Quale dote ha portato? E voi che cosa siete di fronte a me e mia figlia? E non perché ho accettato allora! Credete che ho dimenticato che avete preteso che io non assistessi al matrimonio? Per questa volta a voi vi lascio stare, ma vostra sorella d’ora in avanti ha a che fare con me. E sappiatelo una buona voltaMEMORIALE DAL CARCERE

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per sempre che se mia figlia deve avere ancora il minimo dolor di testa, prima di tutto vado da vostra sorella e la squarto a quattro pezzi e poi p[...]

[...] se mia figlia deve avere ancora il minimo dolor di testa, prima di tutto vado da vostra sorella e la squarto a quattro pezzi e poi per voi se ne parlerà; e, se non basto io, ho quattro giovani di figli ed un marito che non hanno cosa pensare! ».

Si alzò ed 'uscì.

Fui preso dalle contrazioni tetaniche. Mi misi a letto vestito e con diverse coperte addosso, ma i denti mi ballavano lo stesso dal freddo.

Il cuore dal tumulto non lo sentivo più. Mi misi ad urlare e per fortuna che la casa era isolata e quasi in campagna. In questo momento entrò nella stanza di furia il fratello Giovanni di mia moglie, mi guardò bieco ed uscì. Ad un certo punto perdei completamente la coscienza e mi assopii. Rimasi qualche giorno a letto ma poi alzatomi mi sentivo come intontito e così rimasi sempre, si può dire, nei momenti di calma, fino alla fine.

Verso i primi di agosto di quell’istesso anno mentre una sera ritornavo da M... caddi dalla motocicletta e per poco non ci lasciai la vita. Riportai varie ferite alla faccia, alle mani ed al ginocchio[...]

[...]i quell’istesso anno mentre una sera ritornavo da M... caddi dalla motocicletta e per poco non ci lasciai la vita. Riportai varie ferite alla faccia, alle mani ed al ginocchio; ma il colpo principale l’ebbi alla regione temporale destra con conseguente edema e periostite di cui ancora ne rimane qualche traccia. Rimasi nella cunetta per un periodo che non ho saputo mai precisare e quando rinvenni e mi vidi di nuovo in mezzo alla strada non sapevo più orizzontarmi dove mi trovassi. Le prime cure me l’apprestarono pietosamente e cortesemente i signori Muratore e poi venni curato definitivamente dal dottor Giulio Castagna, il quale in quel tempo lo credevo amico e benché stesse allora nella borgata S. Giuseppe, alquanto distante dal paese, ormai era divenuto medico di famiglia di mia suocera e di mia sorella dietro mio suggerimento dato che cogli altri medici del centro mia suocera non era in buoni rapporti. Anzi dopo che incominciammo a chiamarlo noi acquistò una certa clientela pure nel centro, tanto vero che intese la necessità di stabili[...]

[...]i volevo andare, perché mi trovavo in lutto stretto dato che mio padre era morto il marzo precedente. Ma lei insistè ed io, sempre per evitare conseguenze disastrose verso mia sorella dovetti acconsentire. Al ritorno da S. Rocco, un giorno rientrando dal mio ufficio verso mezzogiorno trovai mia moglie inviperita e la persona di servizio certa Grazia Marina tutta graffiata e malmenata pronta per andarsene via perché il mio cognato Giacomo, non so più per quale ragione, l’aveva accompagnata a schiaffi ed a calci dal negozio fino alla piazza della stazione. La poveretta mi disse che per me sarebbe rimasta per sempre, ma per loro, ora che si erano permessi a tanto, non poteva stare più. Io ingoiai la pillola, la pagai e la mandai e dopo un po’ di tempo presi la persona di servizio che ebbi poi fino all’ultimo.

Dopo la caduta il mio fondo trepido e pauroso aumentò sempre più e dovetti fare grandi sforzi per potermi assicurare di nuovo sulla motocicletta.

Dopo qualche tempo, mi sembra, ritornò il fratello di mia moglie Lorenzo, il quale si era riabilitato in Africa divenendo S. Tenente di complemento e per cui io ebbi molto piacere. Quando aveva appreso del mio matrimonio aveva scritto una lettera a mia moglie dicendole ,della grande fortuna che aveva avuto a sposare me ed a me chiedendo scusa pel fatto dell’incidente colla figlia di P anetta giustificandosi che allora si era trattato di una vile calunnia.

Quel Natale andai a passarlo cogli Armoni, come buon[...]

[...]dole ,della grande fortuna che aveva avuto a sposare me ed a me chiedendo scusa pel fatto dell’incidente colla figlia di P anetta giustificandosi che allora si era trattato di una vile calunnia.

Quel Natale andai a passarlo cogli Armoni, come buona parte .delle feste successive, benché a malincuore e sempre per accontentare mia sorella, la quale ogni volta mi diceva: «Se non vieni, se la pigliano con me e son sicura che non mi lasciano venire più da te. E poi se non vieni tu con chi vuoi che io passi le feste? Con loro? Con loro e cogli estranei è tutt’uno! E poi, dato che tu non devi pensare più per le spese del pranzo, come una volta, in verità, ce ne hanno molto piacere, specie Giacomo, perché a te son sicura che ti voglionoMEMORIALE DAL CARCERE

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bene ed anche per dimostrarti che ora che spendono loro ti desiderano più di prima ».

La sera di quel Natale dopo cena venne un certo mastro muratore Pierino Lombardia con la famiglia, il quale stava riadattando la casa degli Armoni e così ci mettemmo a giocare a nocciole tutti quanti, tranne dei fratelli maggiori di mia moglie che si trovavano già fuori per i fatti loro. Ad un certo punto mia sorella aveva perduto tutte le nocciole e disse di non volere giocare più. Mia suocera allora adirata se ne uscì con queste parole : « Giuoca, pezzentona scostumata! ». Io a queste parole rimasi interdetto anche perché c’era la famiglia del Lombardia ed alzandomi dissi di non volere giocare più neanche io. I Lombardia anche loro sconcertati si alzarono e se ne andarono. Come loro se ne furono allontanati, io dissi a mia moglie: «Andiamo! E questa è la prima e l’ultima volta che entro in questa casa! ». Successe un trambusto che non si capiva più niente. Mia suocera dato che non poteva sfogare con mia sorella perché c’ero presente io incominciò a strillare ed a urlare ed a battere le figlie femmine da sembrare impazzita. In questo mentre arrivò l’insegnante Lorenzo ed anche lui si mise a battere le sorelle senza ragione. Io rimanevo paralizzato ed intontito e non sapevo più dove mi trovassi. Ad un certo momento mia suocera mandò un ultimo strillo sibilante e penetrante da spezzare le cervella e cadde svenuta per terra. L’insegnante disse: « Mettetela a posto, perché se arriva Giacomo vi fa tutti a pezzi! ». Io tremavo come una foglia. Capii che forse la causa di tuttocciò ero stato io e mi piegai e baciai mia suocera chiedendole perdono per farla rinvenire. Sento ancora sulle labbra l’impressione di aver baciato un serpente. Ma con tuttocciò mia suocera non rinvenne lo stesso e si dovette portare di peso sul suo lettino ove rimase per diversi giorni e svenuta pe[...]

[...]enire. Sento ancora sulle labbra l’impressione di aver baciato un serpente. Ma con tuttocciò mia suocera non rinvenne lo stesso e si dovette portare di peso sul suo lettino ove rimase per diversi giorni e svenuta per tutta la notte e buona parte del giorno appresso. Io dopo un certo tempo pregai tutti i . presenti di non dire niente a Giacomo ch’eravamo stati io e mia sorella la causa di tutto quel guaio e me ne andai con mia moglie. Non ricordo più ciò che mi fece e mi disse mia moglie in quella occasione; ma penso che mi avrà combinato un facsimile della madre. L’indomani sera ritornai da mia suocera per chiederle nuovamente scusa e perdono e così lei dopo alcuni giorni si alzò dal letto. Seppi in seguito che quello era lo stratagemma prediletto di mia suocera quando si sentiva nel torto e non poteva avere ragione altrimenti sopra i suoi familiari più o meno autorevoli. E difatti quando, in seguito, una volta ebbe una questione seria col figlio162

SAVERIO MONTALTO

Giacomo in cui il torto era suo, si mise a letto svenuta dicendo di volere morire e senza rispondere alle preghiere e lamenti di nessuno compresi i miei, giacché nei momenti difficili o che avevano bisogno di prestiti ricorrevano a me per mezzo di mia sorella innalzandoci momentaneamente più o meno alle stelle secondo i loro bisogni più o meno urgenti, e per farla rinvenire il figlio Giacomo, quando dopo diversi giorni si preoccupò che forse voleva morire per davvero, dovette ricorrere al dott. Castagna, il quale a stento riuscì a farla rinvenire consumando una buona dose di ammoniaca. E se non mi venisse da piangere potrei descrivere le mosse bizzarre che mia suocera fece nel letto all’odore penetrante dell’ammoniaca prima di aprire gli occhi definitivamente. Faccio presente a questo punto che il bene di mia suocera era sterminato ed immenso come il mare per i suoi familiari che sapeva che gli potevano dare da mangiare e da[...]

[...]invenire consumando una buona dose di ammoniaca. E se non mi venisse da piangere potrei descrivere le mosse bizzarre che mia suocera fece nel letto all’odore penetrante dell’ammoniaca prima di aprire gli occhi definitivamente. Faccio presente a questo punto che il bene di mia suocera era sterminato ed immenso come il mare per i suoi familiari che sapeva che gli potevano dare da mangiare e da bere, ed infatti il marito dopo che fallì e che non fu più in condizione di darle pranzi suntuosi, divertimenti ecc. non lo potè più né vedere e né sentire. In questa occasione me ne accorsi che il Castagna aveva già un certo de^ boluccio per mia cognata Aurora, però per mia moglie non potevo pensare mai che avesse fin d’allora forse lo stesso debole. Mi dispiacqui, perché non mi aspettavo mai, non per loro, ma per me, dato che il Castagna lo credevo un amico, che lui avesse abusato a tanto. Né dissi mai niente a nessuno, perché sapevo come la pensava la famiglia Armoni e che certamente sarei passato per calunniatore e che le conseguenze le avrei dovuto sopportare sempre io e la mia povera sorella. In questo frattempo però[...]

[...]. Mi dispiacqui, perché non mi aspettavo mai, non per loro, ma per me, dato che il Castagna lo credevo un amico, che lui avesse abusato a tanto. Né dissi mai niente a nessuno, perché sapevo come la pensava la famiglia Armoni e che certamente sarei passato per calunniatore e che le conseguenze le avrei dovuto sopportare sempre io e la mia povera sorella. In questo frattempo però avevo incominciato a notare che mia moglie andava acquistando sempre più il carattere della madre, specie se veniva in casa qualcuno di condizioni sociali piuttosto basse, giacché si faceva avanti sempre lei per cercare di civettare e mettere in mostra le sue fattezze. Io tremavo dentro di me senza darmi neanche ragione del vero motivo. Dopo meno di un anno dalla morte di mio padre, mia moglie si tolse il lutto dicendo che le faceva male e mentre

io e mia sorella continuammo a portarlo, lei vestiva gli abiti smaglianti; non solo, ma pretendeva che io l’avessi accompagnata per le vie della città per potere mettere in mostra il suo splendore e la sua bellezza. Seppi poi ch’era stata la madre a consigliarla, dicendole: «Ma sì! Che cosa pretende que[...]

[...]pi che stava a letto da vari giorni e che desiderava vedermi. Mi feci coraggio ed andai. La trovai effettivamente a letto con la sua ultima bambina di pochi mesi. A vederla lì, in quel letto, deperita e consunta ed abbandonata, mi strinse

il cuore, ed era forse questa una delle ragioni principali per cui io evitavo anche di andarci allo spesso. Mi sedei vicino e mi disse:

« Non ti volevo disturbare, perché so che tu soffri; ma non ne posso più. Ormai ho deciso di andarmene».

« E dove vai? ».

« Non mi perdo! Per il momento andrò da Catuzzella a R... Poi troverò un posto di serva a Palermo o a Catania, perché io so fare tutto, e campo. Purché mi lascino però portare con me la bambina, perché ha bisogno del latte e non ho il coraggio di abbandonarla, diversamente andrò a buttarmi a mare! ».

«Tu non andrai a nessuna parte. Significa che te ne verrai da me! ».

«Da te? Se fossi solo, va bene, perché trovavano la cosa molto comoda; ma dato che c’è la loro figlia, anzitutto non la debbo disturbare e poi ormai lei m’odia più deg[...]

[...] a Palermo o a Catania, perché io so fare tutto, e campo. Purché mi lascino però portare con me la bambina, perché ha bisogno del latte e non ho il coraggio di abbandonarla, diversamente andrò a buttarmi a mare! ».

«Tu non andrai a nessuna parte. Significa che te ne verrai da me! ».

«Da te? Se fossi solo, va bene, perché trovavano la cosa molto comoda; ma dato che c’è la loro figlia, anzitutto non la debbo disturbare e poi ormai lei m’odia più degli altri. Tutti mi odiano! » e si sollevò in mezzo al letto. « Anche le mura, anche l’aria che respiro di questa casa! Ma io perciò non volevo venire ad abitare qua, perché lo sapevo! ».

«Ma che vogliono, insomma?» e mentre parlavo guardavo nella stanza appresso perché avevo paura che arrivasse qualcuno.

« Che vogliono? Ormai lo so che vogliono! Vogliono che io scomparisca, perché ormai son di più! Ma io l’ho detto al mio signor marito! Avevo la proprietà e ve l’ho data; avevo l’onore e ve l’ho dato; avevo un fratello impiegato e ve l’ho dato! Adesso volete che scomparisca perché avete bisogno di una bambolina come le vostre sorelle e non di una vecchia sdentata e di una tisica come me? E me ne vado! Io non ero tisica! Mi avete ridotta voi tisica! E per questo mi ha preso a schiaffi mentre stavo nel letto ad allattare la bambina. Immagina che se la pigliano anche con me perché ho tre figlie femmine! Io li volevo meglio di loro i maschi e non per me, ma per accontentare loro. Ma164

[...]

[...]ui perché così mi avrebbero trattata meglio. Lui trovò la cosa giusta ed accondiscese, perché lui in fondo non sarebbe cattivo se non fosse per la madre e son sicura che se fossi divisa per i fatti miei le cose andrebbero diversamente. Per qualche giorno si andò bene, ma poi la madre si adontò di botta ed incominciò a fare come al solito suo. Un giorno mi portò il piatto pieno, me lo buttò davanti come si fa con i cani, anzi con i cani si fa con più delicatezza e disse : « Mangiate, dato che dobbiamo servire anche voi! ». Io mi misi a piangere e non volevo mangiare, ma mio marito mi obbligò e dovetti mangiare per forza. Poi lui non so più che cosa disse e la madre allora si chiuse sotto dove dormono loro ed è più di quindici giorni che dice che non vuole più vederci a nessuno! ».

« E tuo marito? ».

« Mio marito se l’è presa con me, perché dice che per causa mia è nemico colla madre. La madre lo sa baloccare, perché sa che senza di lui muore di fame, salvo poi quando è assente ad ingiuriarlo cornuto e delinquente. Ora fa lo stesso anche con Lorenzo perché sa che ora che prenderà il posto di maestro anche lui le può dare. Perché non fa lo stesso col marito e cogli altri che ogni giorno sembra il mercato e si ammazzano e si dicono tante che ho vergogna anche di sentirle? Col figlio Giovanni non parlano tanto perché hanno tutti paura. Anche per[...]

[...]oglie dice che muore per il gran bene che vi porta! Perché? Perché sa che voi le fate onore e che potete darle e mandarle. Io a mio marito non lo so baloccare come lei, perché avrei vergogna, altrimenti vedresti che anche a me mi vorrebbe bene».

«Ma se loro dicono di volermi bene, e l’ho detto anche a mia moglie, a te voglio che vogliano bene e non a me, perché io del loro bene non saprei cosa farne! ».

«Lo so! Ma non capisci che io son di più ormai? Figurati cheMEMORIALE DAL CARCERE

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non son padrona di prendere neanche un pezzo di pane, non dico per me, ma neanche per le mie figlie. Già, che anche loro incominciano così piccole a parlare e fare le stesse mosse di loro e le istruiscono ad odiarmi. Ma se non crescono come voglio io è meglio che il Signore se le chiami. Già che non le posso neanche educare che si mettono loro davanti e se la pigliano con me. Anche la tua ragazza di servizio ha paura di parlarmi, che se se ne accorgono che viene qui, l’ammazzano. Ed intanto mi lasciano qui sola, abbandonata, con questa bambi[...]

[...]eggia, che io non ho visto mai mura pittate ad olio, che io non ho visto mai poltrona ed armadio, che io ero abituata a stare in mezzo ai porci ed in mezzo alle puttane e tutto il resto che sanno dire loro. C’è anche che la grande finge di essermi amica, ma lo fa solamente per dispetto di sua madre e di tua moglie e forse per fare capire a te che se tu avessi sposata lei, tutto questo non si sarebbe verificato. Ma io non voglio niente da nessuno più e solo me ne voglio andare! Ora che il negozio l’ho portato a questo stato e che può andare anche senza di me, non vogliono che ci vada più compreso il mio marito. Hanno invidia perché la gente quando viene cerca sempre di me e vuole comprare con me. L’altra volta la madre si mise a ballare ed a fare le mosse che fanno quelle che tu sai, senza spiegare, dicendo: «Vuole fare la bambolina di negozio! Vuole fare la donna bella! Vuole fare la donna elegante! Vuole fare la donna aristocratica ed ammanierata! Ah bagasciona vecchia! Mettetevi a fare il bucato ed a lavare piatti. Ti riesce, che hai trovato a noi, per farti il servo?! ». Son cose, ti assicuro, che tagliano il core dei santi! Ma io voglio fare tutto. Ma come posso fare se [...]

[...]cché son disposto di pagarvi anche l’affitto. Adesso dice che se ne vuole andare! Capirete che un fatto simile, porterà varie conseguenze anche per mia moglie ».

<c Ma io in questo momento non posso cambiare abitazione, perché la mia famiglia ha bisogno di me e specie che ci sono ancora le mie sorelle in casa».

« Ed allora, vi prego, abbiatele un po’ di carità! ».

« Ma che volete; anch’io son fatto così! Quando perdo la bussola non vedo più nessuno e più di una. volta ha schiaffeggiato e preso a calci anche mia madre ed anche mio padre ».

« Male; perché coi genitori non si deve arrivare mai a questo punto! Però se vi dicono di andare a buttarvi sotto il treno non lo dovete fare neanche! Il rispetto e l’aiuto è un conto,, ma il capriccio è un altro. Sapete che cosa dice uno storico a prop< iko di Caterina dei Medici una pessima imperatrice di Francia? Dice "e solo il figlio aveva saputo tramandarci il suo carattere chiamando i « madama la vipera»! Ma con ciò, dice lo stesso storico, il figlio \J>n venne mai meno ai doveri di figlio».

«Al[...]

[...]a che facciamo? Mia moglie, dato che sta anche poco bene in salute, se ne viene qui da voi per un pò di tempo, perché qui ha anche il modo di curarsi meglio e vostra moglie se ne viene provvisoriamente da mia madre »

« Purché accettino, dispostissimo! ».

« Ora vado e cercherò di persuadere mia madre ».

Faccio presente a questo punto che in fondo mio cognato Giacomo è stato sempre in mezzo a tutta quella gente feroce e malvagia, forse il più buono; opinione che conservo tuttavia, anche dopo che mi spinse nell’abisso in cui mi trovo. Però allora dopo che mi rivelò che aveva percosso anche sua madre e suo padre, andandosene, fui invaso da un sacro terrore, perché pensavo che anche con me, a maggior ragione, un giorno o l’altro avrebbe potuto fare lo stesso. Dopo che mio cognato se ne andò, come se il cuore mi dicessé che sua madre non avrebbe di certo accettato la sua proposta, rimanevo trepidante,MEMORIALE DAL CARCERE

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e più tardi mi vestii ed uscii. Andai dritto al negozio. Imboccata la soglia vidi mio cognato Giovanni [...]

[...]o che mi spinse nell’abisso in cui mi trovo. Però allora dopo che mi rivelò che aveva percosso anche sua madre e suo padre, andandosene, fui invaso da un sacro terrore, perché pensavo che anche con me, a maggior ragione, un giorno o l’altro avrebbe potuto fare lo stesso. Dopo che mio cognato se ne andò, come se il cuore mi dicessé che sua madre non avrebbe di certo accettato la sua proposta, rimanevo trepidante,MEMORIALE DAL CARCERE

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e più tardi mi vestii ed uscii. Andai dritto al negozio. Imboccata la soglia vidi mio cognato Giovanni con la rivoltella in mano che faceva come un pazzo dicendo « Mi perdo io, ma si salvano due famiglie! » ed il padre che cercava di disarmarlo e di trattenerlo. Ad un certo momento si sganciò dal padre ed il padre allora si lanciò appresso di corsa. Anch’io mi avviai verso la casa degli Armoni e mentre mi avvicinavo tremavo come una foglia. Entrai dentro e vidi mia suocera che si dimenava come un energumento e la figlia Aurora quasi morta per terra. Salii sopra di corsa da mia sorella. Al termine d[...]

[...]stiale che stava per batterla. Mandai un urlo sovrumano e gridai « Fermo! ! ! » mettendomi in mezzo. La bestia al mio urlo s’intimorì e si ritrasse placandosi. Poi uscì. Mia sorella si gettò quasi nuda nelle mie braccia ripetendo « Mi vogliono ammazzare! ». Il suo cuore batteva con tanta violenza che mi faceva male sul petto. « Calmati, non te ne spaventare! » gli dissi « Dovranno passare prima sul mio cadavere! ». Dopo un certo tempo si calmò e più tardi entrò il marito dicendo: «Ciò che abbiamo stabilito tra di noi, non è fattibile, perché mia madre asserisce che non si dica mai al mondo che sua figlia debba ritornarsene in casa sua! ».

« Ma io non ho detto né ho pensato tutto questo! Si trattava semplicemente di una cosa che tutti fanno. Del resto la proposta era venuta da voi! ».

«E se l’è presa anche con me! Ma o fanno o no, è così! Se mia moglie non vuole stare se ne può andare! Però la bambina deve restare con me, perché lei non è donna di educare bambine! ».

« Sta bene! Per il momento consiglio a tutti la calma! Ora andr[...]

[...]i! ».

«E se l’è presa anche con me! Ma o fanno o no, è così! Se mia moglie non vuole stare se ne può andare! Però la bambina deve restare con me, perché lei non è donna di educare bambine! ».

« Sta bene! Per il momento consiglio a tutti la calma! Ora andrò io giù da vostra madre e la pregherò, se si vorrà persuadere, che ritorni amica con mia sorella e che venga nuovamente sopra e che faccia d’ora in avanti ogni cosa come piace a lei ».

Più tardi scesi da mia suocera e la pregai di ritornare sopra e di perdonare mia sorella per quella volta se aveva mancato in qualche cosa. Ma lei s’impuntò dicendo che mia sorella non si doveva permettere mai di calunniare lei, la signora Armoni, conosciuta in ogni dove per la sua dignità e decoro di persona aristocratica e perbene che sa168

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peva agire e trattare con molta cortesia tutti indistintamente e specie mia sorella che l’aveva inalzata dal nulla a quello stato, proprio perché le aveva voluto sempre molto bene. Del resto — aggiunse — Voi siete sposato per i fatti [...]

[...]ocratica e perbene che sa168

SAVERIO MONTALTO

peva agire e trattare con molta cortesia tutti indistintamente e specie mia sorella che l’aveva inalzata dal nulla a quello stato, proprio perché le aveva voluto sempre molto bene. Del resto — aggiunse — Voi siete sposato per i fatti vostri e fatevi i fatti vostri, perché voi non conoscete chi è vostra sorella e, sappiatelo, che benché non lo meriti, essa è la regina di N**#. Chi c’è nel paese più contenta di lei? ».

Allora io piansi di fronte a mia suocera, mi umiliai, la scongiurai e la pregai ginocchioni, ma lei rimase dura e col suo contegno di donna perbene.

Verso la mezzanotte decidemmo che mia sorella, ormai rassegnata anche a morire, sarebbe rimasta a letto chiusa a chiave di dentro e che io, mio cognato Giacomo e mia moglie andassimo a casa mia. Per quella notte nessuno mangiò o dormì. Io nel letto vicino a mia moglie ebbi dei momenti orribili di orgasmo e di allucinazione e per poco non mi tirai un colpo di pistola alle tempia. La mattina mio cognato Giacomo si alzò ed [...]

[...]ta a letto chiusa a chiave di dentro e che io, mio cognato Giacomo e mia moglie andassimo a casa mia. Per quella notte nessuno mangiò o dormì. Io nel letto vicino a mia moglie ebbi dei momenti orribili di orgasmo e di allucinazione e per poco non mi tirai un colpo di pistola alle tempia. La mattina mio cognato Giacomo si alzò ed uscì. Mia moglie, che fino a quel momento era rimasta muta per la presenza del fratello, ora che il fratello non c’era più si mise a copiare la madre dicendo che se ne voleva andare via a fare la cameriera dato che ormai lei non poteva stare più nella sua casa e che io mi ero permesso di scacciarla via. Allora io mi umiliai anche di fronte a mia moglie, mi get'jii ai suoi piedi, piansi, la pregai, la scongiurai come avevo fatto la :/fa avanti con sua madre e così lei, come Dio volle, si placò ed acce j discese di rimanere ancora con me. I

Verso le undici andai da mia sorella e| t trovai alzata che si stava accomodando le cose sue personali in una cassetta e decisa di andarsene via anche senza la sua bambina. Le atrocità le avevano fatto perdere anche l’istinto della maternità così vivo anche nelle bestie. In alcuni momenti si ferm[...]

[...] come mi scorse, sollevò la fronte ed esclamò: «Non credevo mai che avrei dovuto essere una donna così disgraziata dopo avere tanto amato! ».

In questo mentre entrò mia suocera dicendomi: «Per questa volta accondiscendo per voi! Ma solo per voi! Per l'avvenire si vedrà! » si vede che aveva annusato il pericolo per la figlia e non certo per miaMEMORIALE DAL CARCERE

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sorella, giacché le bestie feroci annusano anche il pericolo e forse più degli uomini e così intimorita si era decisa a fare la pace.

Io m'intesi restituito al mondo dei vivi, presi mia sorella e la portai in braccio a mia suocera. Ci furono pianti, svenimenti eccetera e così dopo un’ora circa me ne andai a casa mia per informare anche mia moglie. Mi sentivo un pò tranquillo, va bene, ma le umiliazioni subite ed il resto, avevano ancora una volta amareggiato ed avvilito il mio cuore.

Non ricordo più se verso quest’epoca o prima o dopo mia cognata Elena diede dei segni di pazzia perché il suo fidanzato Vincenzino Sofia si era sposato con un’altra, per cui i fratelli ed il padre invece di confortarla e farle dimenticare il passato la bastonavano giornalmente a sangue tanto vero che un giorno che, dietro le insistenze di mia sorella, andai per darle un pò di sollievo, la vidi rilegata nel basso che serviva da ripostiglio e da stanza da letto del padre tutta ammaccata e trasfigurata e piena di lividure; e non ricordo più neanche se fu verso questo periodo che un giorno il mio cognato Giacomo[...]

[...]azzia perché il suo fidanzato Vincenzino Sofia si era sposato con un’altra, per cui i fratelli ed il padre invece di confortarla e farle dimenticare il passato la bastonavano giornalmente a sangue tanto vero che un giorno che, dietro le insistenze di mia sorella, andai per darle un pò di sollievo, la vidi rilegata nel basso che serviva da ripostiglio e da stanza da letto del padre tutta ammaccata e trasfigurata e piena di lividure; e non ricordo più neanche se fu verso questo periodo che un giorno il mio cognato Giacomo a proposito della cattiva condotta di sua sorella Aurora ed Elena, ebbe a dichiararmi : « Credete forse che io e mio fratello Giovanni non saremmo capaci di tirare un colpo in fronte a mia sorella Aurora ed un altro ad Elena e poi sotterrarle nel basso o nell’orto e spargere la voce che sono scomparse? Noi saremmo capaci ed ancora non è detta l’ultima parola! ». E fu forse in seguito a questa sua dichiarazione che subentrò in me la convinzione che gli Armoni avendo assassinata già e sotterrata nel loro basso mia sorella, [...]

[...]orse in seguito a questa sua dichiarazione che subentrò in me la convinzione che gli Armoni avendo assassinata già e sotterrata nel loro basso mia sorella, dovevo allontanarmi da N##* diversamente avrebbero assassinato anche me pver cui avevo scritto due lettere, una al Podestà ed una al Tenente dei RR. CC. per giustificare la mia decisione ed il mio allontanamento. E se le lettere poi rimasero nel tiretto ed io non mi fui per allora allontanato più, non lo feci perché prevalse in me la paura che ovunque fossi andato o nascosto, gli Armoni mi avrebbero raggiunto e quindi assassinato lo stesso. Come non ricordo più neanche se fu verso quest’epoca che andai dal Comm. don Tiberio Spada per consigliarmi con lui come dovevo fare per emigrare nell’America del Sud confidandogli che la ragione principale per cui dovevo allontanarmi erano proprio le mie disgraziate condizioni di famiglia. E non ricordo più neanche se fu verso quest’epoca che incominciai a sfogarmi cogli amici, raccontando loro delle mie sventure, specie coll’amico Avv. Giulio Sacerdote, coll’amico oculista Dott. Francesco Polichemi e coll’amico Ing. Filippo Giusti.170

SAVERIO MONTALTO

Intanto fra alti e bassi si era arrivati al 1939. Io in questo frattempo aveva dovuto cambiare casa a causa di mia moglie la quale si era messa a litigare inimicandosi coi vicini come soleva fare sua madre e fra l’altro pretendeva che anch’io mi fossi messo a tu per tu con gente alquanto turbolenta e che non aveva che pensare, quando una se[...]

[...]uo capezzale, per poterlo strappare alla morte coll’aiuto del mio amico chirurgo dott. Antonio Spataro. In ultimo, sempre a causa di mia suocera e di mio cognato Giacomo, giacché mi riempirono la testa che non era stato curato bene e che avevano preteso molto compenso, mi dovetti bisticciare col segretario dell’ospedale ed intaccare alquanto l’amicizia col caro Spataro, il quale, cosa rara per un medico, si era prestato per me in quell’occasione più di un fratello. E quando verso maggio mi sembra, mio cognato Lorenzo volle andare a Bologna ed a Milano per farsi visitare e curare quivi perché di Spataro non avevano più fiducia, né dei miei consigli, dato che io ormai ero diventato come prima una pezza da piedi, dovetti prestare ancora altre L 2500, per le quali, assommate ad altre L. 1000 che avevo speso per l’ospedale, ricevetti una cambiale di L. 3500 più tardi, benché a malincuore, da mio cognato Giacomo; cambiale che conservo tuttavia insieme ad un’altra di L. 1500 che dovetti dare poi quando verso ottobre sposò sua sorella Aurora, con promessa categorica che il tutto avrei avuto restituito a Natale di quello stesso anno. E non solo che non mi furono restituite a Natale di quell’anno ma per quanto ultimamente il mio cognato Giacomo non mi dava neanche più credito nel suo negozio, tanto vero che verso luglio del 1940, colla scusa che mia moglie non si accontentava dei suoi articoli dovetti comprare per lei un paio di scarpe a Palermo e fra l’altro quando mandavo per qualche piccolezza nel negozio, chiunque si trovava presente dei fratelli Armoni pretendeva essere pagato avanti. Di tuttocciò può testimoniare la mia persona di servizio.

A questo proposito mi ricordo che una volta il mio cognato Giacomo mi raccontò, per fare risaltare la sua bravura ed il suo molto saper fare, che quando andava a Fiuggi cercava sempre di trovare una qualche don[...]

[...]si aria di uomo importante e dello snob e potere impressionare così il pubblico, malattia questa, del resto, di famiglia come ho potuto constatare esperimentando mia moglie. E la meraviglia mia qual era? Che si davano aria dello snob non solo con coloro che non

li conoscevano, ma anche con coloro che li conoscevano bene ed anche intimamente.

Se al posto del signor ten. col. Cordopatre ci fossero stati ancora i fratelli Audino, dei quali il più piccolo perì poi per una coltellata del più grande, sicuramente il mio cognato Giacomo non avrebbe risposto con arroganza, perché, data la sua grande intelligenza, sapeva molto bene che un ufficiale superiore non si sarebbe messo mai a fare a coltellate con lui. E se al posto mio ci fosse stato anche il suo barbiere Armando Romeo, son sicuro che anche a me mi avrebbe restituito le cinquemila lire e mi avrebbe dato credito nel suo negozio.

Faccio presente che molte cose atroci e dolorose e se vogliamo anche ridicole della famiglia Armoni non le ricordo più in questo momento, però sto certo che la Giustizia intuisce da sé, anche attra[...]

[...] arroganza, perché, data la sua grande intelligenza, sapeva molto bene che un ufficiale superiore non si sarebbe messo mai a fare a coltellate con lui. E se al posto mio ci fosse stato anche il suo barbiere Armando Romeo, son sicuro che anche a me mi avrebbe restituito le cinquemila lire e mi avrebbe dato credito nel suo negozio.

Faccio presente che molte cose atroci e dolorose e se vogliamo anche ridicole della famiglia Armoni non le ricordo più in questo momento, però sto certo che la Giustizia intuisce da sé, anche attraverso i pochi saggi che sto dando di scorcio e molto alla rinfusa.

Ritornando ora alla piaga che mi brucia, dico che quale ricompensa verso mia sorella della famiglia Armoni,. dato che lei si era adoperata premurosamente presso di me perché dessi le L. 2500 per l’andata di Bologna e Milano, dopo partiti i due fratelli, giacché ora bisognava fare economia per tutte le spese sostenute per la disgrazia della caduta di Lorenzo, la lasciavano morire di fame e non solo che mia sorella doveva morire di fame, ma doveva s[...]

[...]

SAVERIO MONTALTO

nessuno si preoccupa se mangio e se bevo compreso mio marito, il quale non mi domanda mai se son viva o morta. Sì sì; la sera mi ritiro e trovo solamente una goccia d’olio nella bottiglia ed un pezzo di pane che mi porto io stessa dal negozio. Tanto per dirti una, l’altro giorno hanno comprato un pesce di circa due chili: hanno mangiato tutti a mezzogiorno ed alla sera ed inoltre la madre ha conservato un po’ per la figlia più piccola, perché sennò si sciupa la bellezza, per il giorno appresso ed a me non mi hanno fatto sapere niente. L’ho saputo poi da Rosa, perché come sai Rosa ora è grande e capisce tutto. L’altra sera sai che cosa mi ha spiattellato il professore? Io mi ero ritirata stanca e lui si mise a scherzare con me all’uso dei carrettieri. Io un po’ seccata gli ho detto: “Voi, caro cognato, avete mangiato, ma io ancora debbo mangiare e se voglio c’è un po’ di pane ed olio!”. Lui allora mi ha risposto: “Ed io ho mangiato carne e pasta! Desiderate cosa?”. Queste cose le ha capite anche don Gennaro — perché[...]

[...]prenderle a schiaffi è tutto tempo perduto.

Una sera mentre i due fratelli maggiori erano a Bologna ed a Milano uscendo di casa mi vidi avvicinare da mio cognato Giovanni dicendomi che mi doveva parlare di cose molto serie. Era sceso il crepuscolo ed andammo al Parco della Rimembranza. Quivi giunti mi disse con aria truculenta e minacciosa:

«Vostra sorella la deve finire! Diversamente voi lo sapete come la penso io! ».

Io fremevo non so più se in quel momento per la rabbia o per la paura. Gli domandai con voce tremante mentre sentivo che il respiro ed il cuore mi venivano meno:

«Ma per quale; motivo?».

« Perché lei si deve mettere in testa una buona volta per sempre che la mia famiglia lei non è degna di nominarla e che nessuno mai si è permesso di criticarla e di parlar male tranne che lei. Io non ho che pensare e sapete anche chi sono io! ».

«E che cosa vuoi da me? ». Faccio noto che io davo a futti del tu tranne dei genitori di Aurora e di mio cognato Giacomo. A me davano tutti del voi compresa mia moglie che non era[...]

[...]ensiamo mai al male e vi dico, anche a voi, di finirla. La mia famiglia è la prima di N... per correttezza, onestà e tutto e vostra sorella non era meritevole di entrare nella nostra famiglia, perché lei è la regina di N..., perché ha un giovane di marito che non lo174

SAVERIO MONTALTO

ha nessuno ed è trattata meglio di tutti, per mangiare, per bere, per dormire e per vestire. Avete capito? ».

« Ho capito tutto. Però ti prego di essere più umano e di non andare dietro a tua madre».

« A mia madre non la deve nominare nessuno, perché neanche voi siete degno di nominarla. Avete capito? ».

A questo punto m’intesi venir meno e mi vergogno ancora della mia viltà di quel momento. Mi umiliai di fronte a costui, perché la paura delle sofferenze di mia sorella era superiore a qualunque umiliazione e pregai a lungo e scongiurai a lungo Giovanni che si stesse al suo posto, perché a mia sorella glie ne avrei ora parlato io e sicuramente per l’avvenire non se ne sarebbe permessa più neanche una parola. Poi lo lasciai e non sapevo più i[...]

[...]rché neanche voi siete degno di nominarla. Avete capito? ».

A questo punto m’intesi venir meno e mi vergogno ancora della mia viltà di quel momento. Mi umiliai di fronte a costui, perché la paura delle sofferenze di mia sorella era superiore a qualunque umiliazione e pregai a lungo e scongiurai a lungo Giovanni che si stesse al suo posto, perché a mia sorella glie ne avrei ora parlato io e sicuramente per l’avvenire non se ne sarebbe permessa più neanche una parola. Poi lo lasciai e non sapevo più in che mondo mi fossi.

Dopo qualche giorno venni nella determinazione di dire a mia sorella che se, oltre al marito, qualcun altro della famiglia Armoni si fosse permesso di alzare mano su di lei, di venirsene immediatamente da me che ci avrei pensato io ad avvisare il maresciallo dei carabinieri.

Al ritorno da Milano mio cognato Lorenzo se ne venne in famiglia con un giovanotto suo amico che un tempo abitava a N... Quando

io la sera uscivo con la motocicletta il giovanotto e mio cognato Lorenzo andavano in casa mia a prendere il caffè; non solo, ma avendoli invitati di venire da me [...]

[...]ze di mia sorella. Capivo che lei doveva attraversare un brutto periodo ma non avevo la forza di avvicinarmi per domandarle. Un giorno ch’era sola nel negozio mi fermò mentre passavo colla motocicletta e mi portò nel solito sottoscala e mi disse:

« Sembra che hai paura di venire da me! ».

«Non si tratta di paura; ho molto da fare! ».

«Ormai me ne posso andare, perché me l’hanno fatto capire chiaramente, anche mio marito! ». Non piangeva più perché le sofferenze le avevano tolto anche il beneficio del pianto. « Mi dispiace per le bambine e per te ». « No; non mi dispiace di nessuno! Mi dispiace per me, perché non vorrei dargli il piacere di scomparire! Capisci a che punto mi hanno portato? ».

«Ma che avete avuto? ».

« L’altra notte, il mio marito, fino all’alba mi ha macellata come mai. L’ha fatta la valentia di martirizzare uno scheletro come me?! Credo che le bestie del deserto non sono così feroci! La madre poi,

il giorno avanti mi disse al solito suo quante ne ha potute e siccome io rimanevo muta senza dire una paròl[...]

[...]perché non vorrei dargli il piacere di scomparire! Capisci a che punto mi hanno portato? ».

«Ma che avete avuto? ».

« L’altra notte, il mio marito, fino all’alba mi ha macellata come mai. L’ha fatta la valentia di martirizzare uno scheletro come me?! Credo che le bestie del deserto non sono così feroci! La madre poi,

il giorno avanti mi disse al solito suo quante ne ha potute e siccome io rimanevo muta senza dire una paròla, lei, sempre più inferocita, prima mi diede uno schiaffo e poi mi sputò in faccia. Io senza fiatare mi asciugai questa faccia col fazzoletto. E non è la prima volta che mi asciugo questa faccia imbrattata dal loro sputo! ».

« Voglio chiamare ancora una volta tuo marito ».

« No, no; ti scongiuro! Ammazzano anche a te se parli! Quella notte anche a te, a nostro padre, a nostra madre morti ed a tutta la nostra famiglia vi ha presi per miserabili, vigliacchi, pezzenti, morti di fame; anzi parlando di te disse che se ti permetterai più di dire una parola ti darà tante da ricordartele per tutta la vita. AÌTul[...]

[...]za fiatare mi asciugai questa faccia col fazzoletto. E non è la prima volta che mi asciugo questa faccia imbrattata dal loro sputo! ».

« Voglio chiamare ancora una volta tuo marito ».

« No, no; ti scongiuro! Ammazzano anche a te se parli! Quella notte anche a te, a nostro padre, a nostra madre morti ed a tutta la nostra famiglia vi ha presi per miserabili, vigliacchi, pezzenti, morti di fame; anzi parlando di te disse che se ti permetterai più di dire una parola ti darà tante da ricordartele per tutta la vita. AÌTultimo mi disse che quanto la moglie di Angelo Saba ha portato di gioielli, io e te e tutta la nostra famiglia non lo valevamo assommati assieme.176

SAVERIO MONTALTO

Io gli dissi che lui non era Angelo Saba e lui gridando che Angelo Saba di fronte a lui era una patata continuò a battermi con più ferocia di prima. Non so come ancora son viva! ».

«Ma perché tutto questo?».

«Perché? Perché le millecinquecento lire glie l’hai date ancora per me e la sorella Pha sposata per opera mia specie dopo che don Gennaro ha ricevuto quella lettera anonima che ty. sai. Hanno visto che don Gennaro e specie i figli mi stimano e mi vogliono bene, mentre a loro non li possono vedere, perché con loro non può avere contatto nessuno, perché finisce sempre a fetore. E poi c’è un’altra cosa importante. Ora che mio marito sa che io e forse anche tu sappiamo delle malefatte delle sue sorelle si sente min[...]

[...]voli, crea il serpente e crea il canarino, crea il bene e crea il male e via discorrendo; e questi termini estremi sono entrambi necessari altrimenti il mondo non sarebbe quello che è. Perciò cerca di sopportare per ora: intanto la madre se ne andrà a C... col figlio perché ha avuto, come sai, il posto di maestro lì e finché ritornerà speriamo che sarai per i fatti tuoi divisa e così forse le cose cambieranno! ».

« Ma io per intanto non posso più sopportare, perché non son di ferro; e poi son sicura che anche quando sarò divisa saremo punto e daccapo ».

Io cercai ancora di persuaderla e di confortarla e me ne andai.

Lascio immaginare alla giustizia il mio stato. Io ora difronte a mia moglie mi sforzavo di apparire calmo e tranquillo, ma lei comprendeva tuttocciò che passava dentro di me anche perché sapeva tutto. Non ero capace di sfogare, perché la paura mi teneva muto, e sentivo che la mente ed il cuore mi venivano meno. C’erano dei momenti che sentivo di non essere più me stesso, ma un altro. Una sera mentre ero nel negozio c[...]

[...]o punto e daccapo ».

Io cercai ancora di persuaderla e di confortarla e me ne andai.

Lascio immaginare alla giustizia il mio stato. Io ora difronte a mia moglie mi sforzavo di apparire calmo e tranquillo, ma lei comprendeva tuttocciò che passava dentro di me anche perché sapeva tutto. Non ero capace di sfogare, perché la paura mi teneva muto, e sentivo che la mente ed il cuore mi venivano meno. C’erano dei momenti che sentivo di non essere più me stesso, ma un altro. Una sera mentre ero nel negozio con mia sorella arrivò mio cognato Giacomo e s’impegnò fra noi una lunga discussione. Mio cognato a volte gridava come un ossesso e voleva battere mia sorella anche in mia presenza. Io lo trattenevo e poi si continuava la discussione. Si era fatto un pò* tardi e si era girata anche la porta del negozio. L’Ottavio, il più piccolo dei fratelli Armoni, se n’era andato e per fortuna che pioveva e quindi le voci non si sentivano tanto. Ad un certo punto entrò miaMEMORIALE DAL CARCERE

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moglie col veleno agli occhi come non l’avevo vista mai accompagnata da uno dei fratelli che non ricordo più chi era e mi sembra anche dalla serva. Sbatte dietro di sé la porta mandando in frantumi un vetro e facendo un fracasso indiavolato, si avvicinò a me appuntandomi le dita negli occhi e disse urlando: «Tu la devi finire con tua sorella, capisci? — era la prima volta che mi dava del tu —. Perché altrimenti ti piglio a schiaffi e ti metto sotto i piedi, capisci? E se parli una parola ti piglio ora a schiaffi, capisci? — e faceva per avvicinarsi e per alzare le mani, ma non ebbe il coraggio di farlo perché si vede che io mentre la guardavo inebetito le dovetti fare un po’ di paura —. Perché tua s[...]

[...] — era la prima volta che mi dava del tu —. Perché altrimenti ti piglio a schiaffi e ti metto sotto i piedi, capisci? E se parli una parola ti piglio ora a schiaffi, capisci? — e faceva per avvicinarsi e per alzare le mani, ma non ebbe il coraggio di farlo perché si vede che io mentre la guardavo inebetito le dovetti fare un po’ di paura —. Perché tua sorella è quella che è ed io e la mia famiglia siano quelli che siamo! E ti proibisco di venire più qua e di dare retta a tua sorella, capisci? ».

Io e tutti i presenti si rimaneva paralizzati, tanto vero che il mio cognato Giacomo si sentì in dovere di dire: « Ci siamo ridotti come i... » e nominò una famiglia di facchini del paese famosa per le continue risse fra di loro. Io, incoraggiato da queste parole, ebbi la forza di dire a mia moglie:

«Però neanche voi dovete avvicinare più i vostri?».

« Sì, neanche io! ».

« Andiamo allora! » ed andammo muti e senza più dire una parola.

Rimasi tutta la notte e buona parte del giorno appresso sdraiato nello studio con la testa fra le mani. Non saprei descrivere ciò che mi passava per la mente. La mattina il padre ed i fratelli, tranne di mio cognato Giacomo, entravano di colpo nella mia casa, parlavano sottovoce con mia moglie e poi se ne andavano. Quando non volevano entrare fischiavano, perché un’altra caratteristica degli Armoni era quella di chiamarsi col fischio, mia moglie apriva il balcone e così si allontanavano. Quel fischio mi attraversava le cervella da parte a parte e mi dava un senso di lugubr[...]

[...]ro io e non voleva salire.

Verso le undici entrò mia sorella nello studio. Anche lei era trasfigurata o almeno mi sembrò tale. Ebbe la forza di piangere e mi disse:

« Ho dovuto dare ragione a loro perché sennò mi avrebbero strangolata! Io ormai sono disposta a fare qualsiasi sacrificio, purché tu ti calmi! ».178

SAVERIO MONTALTO

«È impossibile! Ho deciso di andarmene via! Vedi; tu lo sai il bene che ti volevo! Ormai non mi interesso più neanche di te! ».

«E mi lasci sola, in mezzo a loro? Ti prego, per l’anima della mamma! ». Al nome di mia madre ebbi una trafitta al cuore e non fui capace di vedere ancora soffrire quella donna. Mi calmai un po’ e domandai: «La gente hanno sentito le sue parole?».

« Se non sentito, hanno capito ed hanno detto che ormai hai paura e che forse non verrai più da me per questo! ».

« Va bene, resto! E spero anche col tempo di poter dimenticare! ».

Mia sorella dopo un poco se ne andò ma io non mi calmai e dopo qualche giorno andai dall’amico Sacerdote. Gli raccontai ancora una volta delle mie sventure e gli dissi che ormai volevo separarmi da mia moglie. Egli mi ascoltò, mi consigliò la calma, mi confortò, mi disse che difficilmente nei miei fatti si potevano trovare le determinanti di una separazione e mi consigliò in fine, dato che c’era anche la guerra in vista, di attendere pel momento, che poteva darsi che con la guerra tutti saremmo stati[...]

[...]di e feci sapere agli Armoni che intendevo dividermi, benché sapevo che non mi sarei diviso perché avevo paura, ma io cercavo di tenere duro proprio per soffocare la paura, e che anche mia sorella si sarebbe divisa. Dopo qualche giorno venne mio cognato Giacomo col Grandi per comunicarmi con la sua aria magna, che io non avevo nessun motivo di potermi dividere; però se mia sorella avesse voluto dividersi poteva farlo anche subito. Io non ricordo più che cosa risposi e lui se ne ndò. Ma dopo alcuni giorni gli Armoni, capito il pericolo, vennero a più miti consigli e mio cognato mi fece sapere che ormai era disposto a fare famiglia a parte dai suoi, ma che però da quel momento in poi lui doveva fare l’uomo e non mia sorella, giacché fino ad allora lui aveva fatto la donna e mia sorella l’uomo. Io capii a lampo quest’altra sua recondita malvagità e siccome ormai la piaga recente causatami da mia moglie andava scomparendo, tremai ancora una volta per mia sorella. Lo presi col dolce, mi umiliai ancora una volta e lo esortai che avesse per l’avvenire una certa carità per quel rudere di donna, quasi impazzita dal dolore e se anche non sentisse [...]

[...]rella. Lo presi col dolce, mi umiliai ancora una volta e lo esortai che avesse per l’avvenire una certa carità per quel rudere di donna, quasi impazzita dal dolore e se anche non sentisse alcun affetto per lei, almeno che glielo dimostrasse simulando, giacché pensavo che una delle cause principali che sconfortavano mia sorella era proprio il fatto che lei ormai si senMEMORIALE DAL CARCERE

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tiva di non potere essere gradita ad un marito più giovane e più bello di lei. Lui mi rispose che da quel momento, dato che aveva deciso di stare diviso da sua madre, cosa che avrebbe messo in atto se non prima al ritorno di lei a giugno venturo da C..., ognuno doveva farsi

i fatti suoi e non ingerirsi delle faccende degli altri. Io capivo sempre più e tremavo, però nutrivo una certa speranza che una volta che mia sorella si fosse divisa dalla suocera forse le cose si sarebbero aggiustate e lo feci sapere anche a lei, dato che anche lei aveva capito e s’era già impaurita più di me. Dopo alcune sere vi fu una specie di riconciliazione generale voluta da me, perché sapevo bene che se mia sorella fosse rimasta nemica colla suocera non avrebbe trovata mai la pace; ma la riconciliazione non avvenne lo stesso. Mia suocera dichiarò che momentaneamente acconsentiva, va bene, ad ammettere alla sua presenza me e mia sorella, perché non si dicesse mai che lei doveva essere la causa della distruzione di due famiglie, ma che d’allora in poi non ci avrebbe più voluto vedere e né sentire, e, che, d’allora in poi, ognuno avrebbe dovuto starsene a casa sua per i fatti suoi e che [...]

[...]fu una specie di riconciliazione generale voluta da me, perché sapevo bene che se mia sorella fosse rimasta nemica colla suocera non avrebbe trovata mai la pace; ma la riconciliazione non avvenne lo stesso. Mia suocera dichiarò che momentaneamente acconsentiva, va bene, ad ammettere alla sua presenza me e mia sorella, perché non si dicesse mai che lei doveva essere la causa della distruzione di due famiglie, ma che d’allora in poi non ci avrebbe più voluto vedere e né sentire, e, che, d’allora in poi, ognuno avrebbe dovuto starsene a casa sua per i fatti suoi e che su ciò non transigeva assolutamente. « Anche a voi! », rivolgendosi a me direttamente disse: «Non vi voglio più vedere né sentire, dato che anche voi vi siete permesso di oltraggiare e calunniare una signora come me! ». La calunnia consisteva nel fatto che io avevo detto che non era giusto lasciare morire di fame mia sorella. In questo mentre arrivò mio cognato Giovanni facendo come un pazzo e urlando ed inveendo contro il fratello Giacomo che si era lasciato sottomettere dalla moglie e quando poi non ne potè più se ne andò dopo avermi dato uno sguardo da uomo di forza e di comando. Io ormai di fronte a quella gente non ero più capace di dire più nulla e se parlavo, parlavo semplicemente per umiliarmi e sottomettermi a loro. Dopo che Gk> vanni se ne andò, io pregai mia suocera di permettere me e mia sorella di andarla a trovare a C..., ma lei disse che se io e mia sorella ci fossimo permessi di andare a C..., avrebbe fatto cose che non aveva mai fatte. Mia suocera però parlava così non per me, perché a me se fossi andato solo, mi avrebbe accolto a braccia aperte, ma parlava per mia sorella. Io capii fin troppo tutta la sua malvagità e dove voleva arrivare e non insistei più.

Quando verso i primi di novembre mia suocera partì per C.[...]

[...] che Gk> vanni se ne andò, io pregai mia suocera di permettere me e mia sorella di andarla a trovare a C..., ma lei disse che se io e mia sorella ci fossimo permessi di andare a C..., avrebbe fatto cose che non aveva mai fatte. Mia suocera però parlava così non per me, perché a me se fossi andato solo, mi avrebbe accolto a braccia aperte, ma parlava per mia sorella. Io capii fin troppo tutta la sua malvagità e dove voleva arrivare e non insistei più.

Quando verso i primi di novembre mia suocera partì per C... si portò con sé tutte e due le figlie femmine dicendo che non poteva lasciare le sue figlie con una donna traviata come mia sorella. Ma la ragione non era questa: la ragione vera era che intendeva aggravare180

SAVERIO MONTALTO

mia sorella del peso di quattro uomini compreso il suocero e di due bambine piccole, perché così sperava che al suo ritorno non ci fosse più. Il marito trovò tutto giusto e mia sorella sopportò tutto, anche il fatto che nessuno più le rivolgeva la parola o la guardava in faccia mentre era obbligata a servirli a tavola e in tutto il resto che loro occorreva. Il terribile Giovanni per non incontrarsi con lei si fece servire per tutto l’inverno il pranzo sotto il basso dal padre.

Qualche ora prima che mia suocera partisse per C... andai a salutarla facendole anche qualche bel complimento come sapevo che piaceva a lei per poterla disporre benevolmente verso mia sorella; ma lei partì baciando ed abbracciando con espansività ostentata tutte le donnaccole del vicinato che si presentavano e che anche loro trassero qualche so[...]

[...] sorella andò a nascondersi ed a piangersi la sua sventura.

Il mio cognato Giacomo, durante l’assenza della madre, verso i primi tempi fu insopportabile, ma poi, pian piano, si rimise un po’, come io prevedevo. Verso quei primi tempi vidi un giorno mia sorella fuor di sé, perché aveva recapitato una lettera di un’amante del marito; ma io cercai di calmarla dicendole che ormai una donna di famiglia come lei, madre di figlie, non doveva pensare più a certe stupidaggini, ma alla casa ed all’educazione delle figlie. Mi ricordo a questo punto che mia suocera era proprio lei che incitava i figli a scialarsi e divertirsi con le donne e non solamente il figlio Giacomo per fare distruggere sempre più mia sorella, ma anche i figli celibi, aggiungendo: « E poi che venga da me qualche altra bagascia con la pancina gonfia, che me la vedrò io! ». Mi ricordo anche di un certo Papalia Francesco piccolo negoziante di R..., amico d’infanzia e compare di mio cognato Giacomo, perché gli ha battezzato tutte e tre le figlie; ora finché mia suocera nutrì la speranza che il Papalia avesse sposata qualcuna delle sue figlie ed allora lo accolse sempre a braccia aperte; ma quando poi seppe che il Papalia si era fidanzato già gli fece capire chiaramente che lei non aveva più alcun piacere che lui andasse a [...]

[...]gonfia, che me la vedrò io! ». Mi ricordo anche di un certo Papalia Francesco piccolo negoziante di R..., amico d’infanzia e compare di mio cognato Giacomo, perché gli ha battezzato tutte e tre le figlie; ora finché mia suocera nutrì la speranza che il Papalia avesse sposata qualcuna delle sue figlie ed allora lo accolse sempre a braccia aperte; ma quando poi seppe che il Papalia si era fidanzato già gli fece capire chiaramente che lei non aveva più alcun piacere che lui andasse a trovarla. Il Papalia capì subito e non ci andò più. Anche il Papalia, se volesse, potrebbe dire tante cose sulla disgraziata vita di mia sorella oltre a coloro che ho indicato di già aH’Ill.mo Signor Giudice Istruttore.

Vengo ora ai casi che più da vicino interessano me e mia moglie. Sento che mentre mi avvicino a quest’ultima epoca mi assalgono iMEMORIALE DAL CARCERE

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brividi fin dentro al midollo delle ossa; ma spero di farmi forza e coraggio e di poter raccontare.

La vigilia di Natale mia moglie pretendeva insieme al fratello Lorenzo, sceso a bella posta, che io fossi andato insième a loro a C... per passare il Natale colla madre. Io dissi allora a mia moglie che ero pronto ad andarci ma che però doveva venire con noi anche mia sorella Anna. Mia moglie e suo fratello mi risposero che per mia sorella Anna era impossibi[...]

[...] colla madre. Io dissi allora a mia moglie che ero pronto ad andarci ma che però doveva venire con noi anche mia sorella Anna. Mia moglie e suo fratello mi risposero che per mia sorella Anna era impossibile ed io quindi di rimando lasciai libera mia moglie di andare lei dove avesse voluto perché io mi stavo a casa mia. Mio cognato Lorenzo capita l’antifona se ne andò e mia moglie subito si mise a letto. Io passai il Natale del 1939 e non ricordo più se anche il Capodanno del 1940 solo a tavola e con la serva e la madre della serva in cucina e con il pranzo preparato da me. Da mia sorella non ci potevo andare, perché avrei suscitate delle reazioni poco piacevoli non solo da parte di mia moglie ma anche dei presenti in N... della famiglia Armoni; né mia sorella poteva assolutamente venire da me dato che mia moglie in ispecie non voleva più vederla affatto e se la serva si permetteva in quel tempo di portare qualche nipotina in casa mia, aveva poi di che buscarne quando io mancavo. La sera della vigilia di Natale ricordandomi del detto di Salomone che diceva: «Agli uomini che soffrono date da bere perché così dimenticano per un poco le loro miserie», benché in genere non bevessi, bevvi quasi una bottiglia di vermouth, mi stordii e mi coricai vicino a mia moglie, giacché ormai si era imposta da tempo che dovevo dormire nel letto matrimoniale ed io lo facevo per evitare maggiori guai e complicazioni.

Dopo il Capodanno ed anche [...]

[...]rina, la sapienza ecc. e quindi come tale avrebbe dovuto rappresentare anche la bontà della famiglia Armoni, e non ero capace di sopportare affatto la sua presenza. Forse la presenza degli altri l’avrei sopportata, ma la sua no. A volte quando lui arrivava mi met182

SAVERIO MONTALTO

tevo a letto e rifiutavo di mangiare per fare capire chiaramente la sua poco bene accetta presenza, ma né lui, né mia moglie fingevano di vedermi e scialavano più che mai. E giacché mi trovo voglio dare un saggio della finezza del professore Armoni. Una sera per soffocare il mio dolore volli prendere parte anch’io alla loro allegria sforzandomi di bere quanto loro. Al culmine dell’allegria, il professore per esternare la sua soddisfazione, prese un Portogallo e lo scaraventò con tale forza alla ragazza di servizio, che per poco non la rese monocola. La poverina rimase di sasso, stava per piangere, ma poi si trattenne. La mattina appresso mia moglie se la prese con la ragazza di servizio perché non aveva saputo anche dopo il colpo continuare a ridere e [...]

[...]non era pronta a servire il professore, questi si metteva a gridare all’uso dei carrettieri e la picchiava. Anche gli altri componenti la famiglia Armoni quando la ragazza andava da loro e non era pronta a servirli la picchiavano di santa ragione. Verso febbraio, capito ormai mia moglie che io senza di mia sorella non ci andavo a C..., ci andò lei sola con la servetta e rimase per vari giorni. Al suo ritorno si presentò col fratello e la sorella più piccola per tenerseli con sé una settimana. Io non parlai, ma si vede che la mia faccia non doveva essere tanto chiara, giacché dopo un giorno o due, come Dio volle, se ne andarono.

Fi! verso febbraio mi sembra che un giorno mentre mia sorella si trovava nel negozio domandò all’Ottavio non so più che cosa per diverse volte senza che l’Ottavio avesse avuto l’educazione di rispondere o di guardarla almeno in faccia. Allora a mia: sorella le scappò detto: «Ma bisogna essere proprio villani! ». Il mio suocero stava seduto fuori ed intese. Entrò dentro, si avvicinò a mia sorella, le appuntò le dita negli occhi ed urlò : « I miei figli sono i primi di N... perché figli della migliore famiglia di N... e non come te che sei figlia di quello ubbriacone miserabile pezzente di tuo padre! Se parli ancora un’altra parola ti metto sotto i piedi e non ti metto ora, perché non ti metto! ». Mia sorell[...]

[...]i mia moglie eMEMORIALE DAL CARCERE

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le feci capire che io intendevo studiare ed occuparmi dei fatti miei e che data la continua presenza del fratello non lo potevo fare.

Lei allora mi rispose che l’aveva capito bene, però, dato che il fratello era ammalato non aveva il coraggio di dirgli d’andare da mia sorella oppure in casa dell’Aurora. Poi concluse che se io avessi voluto, potevo anche metterlo alla porta. Io tacqui e non parlai più. Fu dopo quest’epoca che ebbi una serie di attacchi al cuore ed al cervello che per poco non restai. C’erano dei momenti in cui la testa non me la sentivo più ed in me subentrava allora un altro individuo navigante nell’infinito delle tenebre e destinato a perire miseramente ed inesorabilmente. In un giorno che la testa non me la sentivo affatto ed il cuore batteva più del solito ed un certo essere feroce e strano tentava a qualunque costo aprirmi il cranio per masticarmi le cervella, barcollando mi portai in cucina gridando e mi misi colla testa sotto il rubinetto. Mia moglie s’intimorì e mandò a chiamare di corsa il dott. Castagna. Il Castagna mi trovò nello studio sdraiato sul lettino che serviva ora per il professore e quando entrò era così emozionato e stravolto che per un pezzo rimase quasi muto ed indeciso su ciò che avesse dovuto fare.

10 lo guardavo, notavo la sua perplessità, ma badavo al mio stato. Egli poi si decise, mi fece un’iniezione di c[...]

[...]rsa il dott. Castagna. Il Castagna mi trovò nello studio sdraiato sul lettino che serviva ora per il professore e quando entrò era così emozionato e stravolto che per un pezzo rimase quasi muto ed indeciso su ciò che avesse dovuto fare.

10 lo guardavo, notavo la sua perplessità, ma badavo al mio stato. Egli poi si decise, mi fece un’iniezione di canfora, mi ordinò il canfidrolo e se ne andò. Dopo che il Castagna se ne andò l’attacco si ripete più forte. Verso sera presi alcune gocce di canfidrolo e si ripete più forte ancora. Allora smisi la canfora e non mandai più a chiamare il Castagna. Né lui si sentì in dovere di venire più da me, non dico come amico, ma neanche come ammalato; però ogni tanto mandava la serva ad informarsi come stavo. Dopo alcuni giorni mi intesi un po’ meglio ed allora decisi di recarmi a M... dal dott. Nino D’Ascola mio medico di fiducia. Il dott. D’Ascola mi osservò attentamente e mi esortò di stare tranquillo, perché non c’era niente né al cuore, né altrove che mi dovesse impressionare. Io allora mi tranquillizzai da questo lato ed in seguito stetti un po’ meglio anche perché mi sforzavo di pensare

11 meno possibile ai guai e sempre allo scopo di star meglio.

Verso aprile vidi all’impr[...]

[...] attentamente e mi esortò di stare tranquillo, perché non c’era niente né al cuore, né altrove che mi dovesse impressionare. Io allora mi tranquillizzai da questo lato ed in seguito stetti un po’ meglio anche perché mi sforzavo di pensare

11 meno possibile ai guai e sempre allo scopo di star meglio.

Verso aprile vidi all’improvviso in casa mia cognata Elena, dato che da mia sorella non ci voleva andare e dato che i fratelli non la potevano più vedere giacché aveva preso a bastonate la madre a C...

Io feci capire che non intendevo tenerla e così i fratelli se la portarono da mia sorella. Verso maggio sgravò mia sorella e fu contenta perché finalmente aveva dato alla luce un figlio maschio. In questo frattempo un giorno mentre andai per visitare mia sorella vidi PElena con un184

SAVERIO MONTALTO

occhio fasciato ed ammaccato da fare orrore. Seppi poi che l’Ottavio per un nonnulla l’aveva pestata a quel modo. Mia sorella mi disse: « Neanche le bestie fanno così! ».

Intanto le scuole si chiusero e siccome mia sorella non av[...]

[...]Ritornando mia suocera da C... le cose, con la sua vicinanza si aggravarono di nuovo e mio cognato non potendo fare altro, rilegò ora mia sorella disopra

il negozio. Infatti, dato che per entrare ed uscire di casa non c’era altra via che il negozio, egli, non appena notte lo chiudeva e portava con sé la chiave ovvero la dava al fratello Ottavio adducendo come scusa che di sera non si poteva lasciare il negozio aperto; né si poteva ormai avere più fiducia di mia sorella; e faceva capire chiaramente nel medesimo tempo a tutti, compreso me, che non aveva piacere che si andasse a trovarla. E se i vicini volevano parlare con lei o qualche amica voleva andare a trovarla, dovevano farlo quasi di nascosto. Anch’io ora ci andavo raramente perché avevo paura d’incontrarmi con quelle facce torve ed ogni volta che salivo da lei sentivo che il respiro mi veniva a mancare. Una sera che passavo colla motocicletta mi fermai e salii da mia sorella. Vi trovai il marito stravolto al solito suo e Pasquale il figlio maggiore di mio cognato Gennaro Grandi [...]

[...]ella ma anche per me nei riguardi di mia moglie. Un giorno dissi a mia sorella: «Ma come fai la mattina; ti senti in condizione di alzarti? ». E lei: «Come vuoi che faccia? Non mi sento perché, specie la mattina, mi sento paralizzata, ma con quattro figli piccoli mi debbo alzare lo stesso! ».

A giugno, quando scoppiò la guerra, m’intesi rinascere ed aspettavo di giorno in giorno di essere richiamato giacché ormai non ero capace d’interessarmi più di nessuno, compresa mia sorella.

Verso luglio, un giorno che mia moglie picchiò la servetta più forte del solito raccolsi nell’aria dalla bocca di quest’ultima questa frase: «Io parlerei?! »; e siccome da un certo tempo avevo notato un nuovo atteggiamento di mia moglie nei nostri rapporti sessuali, non dimenticai più la frase. Un pomeriggio che mi trovai solo con la servetta, dato che ora mia moglie entrava ed usciva di casa senza darmi più conto dove andasse e che facesse, né, io del resto, glie lo chiedevo, le domandai perché quel giorno aveva detto quel « Parlerei ?! » a denti stretti. Dapprincipio la servetta negò, ma poi, dietro le mie insistenze alquanto aspre, mi dichiarò che mia moglie amoreggiava col medico Castagna. Mi disse che quando io mancavo lei se la faceva sempre alla finestra dirimpetto allo studio del Castagna, che una mattina il Castagna, mentre io ero all’ufficio, colla scusa che cercava di me, era salito sopra e si era intrattenuto in salotto con mia moglie e che tutto ciò lo sapeva anche la padrona di casa[...]

[...]ò che mia moglie amoreggiava col medico Castagna. Mi disse che quando io mancavo lei se la faceva sempre alla finestra dirimpetto allo studio del Castagna, che una mattina il Castagna, mentre io ero all’ufficio, colla scusa che cercava di me, era salito sopra e si era intrattenuto in salotto con mia moglie e che tutto ciò lo sapeva anche la padrona di casa che abitava sotto di noi e forse anche il resto della famiglia. Io non volli sapere niente più, le raccomandai se si fosse accorta di altro per l’avvenire di riferirlo a me e mi serrai nello studio. Nello studio intesi che la mia casa ormai era definitivamente crollata e che ora per davvero non c’era alcuna via di scampo. « Anche le corna! » mi ripetevo chiuso in me passeggiando su e giù e poi soggiungevo: «Dote no, posizione sociale no, intelligenza no, bontà niente del tutto: ed anche disonesta? ». E poi soggiungevo ancora: «Eh già! La meraviglia sarebbe stata se fosse stata onesta!». Non so più quanto tempo rimasi in questo stato. Fino a questo momento non conoscevo l’odio, ma da qu[...]

[...]ire di riferirlo a me e mi serrai nello studio. Nello studio intesi che la mia casa ormai era definitivamente crollata e che ora per davvero non c’era alcuna via di scampo. « Anche le corna! » mi ripetevo chiuso in me passeggiando su e giù e poi soggiungevo: «Dote no, posizione sociale no, intelligenza no, bontà niente del tutto: ed anche disonesta? ». E poi soggiungevo ancora: «Eh già! La meraviglia sarebbe stata se fosse stata onesta!». Non so più quanto tempo rimasi in questo stato. Fino a questo momento non conoscevo l’odio, ma da questo momento in poi odiai non solo mia moglie e tutta la sua famiglia, ma anche il genere umano, dato che anche il genere umano, contribuiva per la sua parte alla186

SAVERIO MONTALTO

mia completa rovina, per opera di un Castagna che io, fra l’altro, avevo stimato sempre amico. Ora più di prima non potevo sopportare la gente e specie la casa del Castagna che avevo di rimpetto. A mia sorella non la odiavo, però le sue sofferenze non mi facevano più né caldo e né freddo e così fu, si può dire, fino alla fine. Dopo un certo tempo mi calmai un po’ perché pensavo di aver trovato la via d’uscita. Mi dissi : « Adesso farò di tutto per farmi richiamare, a fine guerra me ne andrò all’estero e così lascerò per sempre questa terra maledetta ». Cercai d’impormi la calma e di mostrarmi piuttosto cortese con mia moglie per quanto le mie forze me lo acconsentirono, sia per non rivelarle in qualche momento di maggior stravolgimento il suo fallo, altrimenti sapevo che lei sicuramente si sarebbe rivolta alla sua famiglia ed i fratelli, dato che mi permettevo di calunniare una Santa come mia moglie, chi sa che cosa avrebbero fatto nei miei riguardi. Una sera più tardi per evitare che la faccenda si propagasse di più, giacché ancora speravo che la cosa la sapessero solo i padroni di casa e che per un certo riguardo a me non dicessero niente agli altri, mentre andavo a letto dissi a mia moglie, dato anche che sapevo che lei tuttavia quando passava davanti al Castagna s’intratteneva colla moglie e qualche volta entrava anche dentro: «Vedi che io sono nemico col dott. Castagna e quando passi davanti alla sua casa ti prego quindi di non fermarti, perché certo non è giusto! ». Mia moglie impallidì e non profferì verbo.

Dopo alcun tempo me ne accorsi che il dott. Castagna si faceva notare col fucile per anda[...]

[...]tavia quando passava davanti al Castagna s’intratteneva colla moglie e qualche volta entrava anche dentro: «Vedi che io sono nemico col dott. Castagna e quando passi davanti alla sua casa ti prego quindi di non fermarti, perché certo non è giusto! ». Mia moglie impallidì e non profferì verbo.

Dopo alcun tempo me ne accorsi che il dott. Castagna si faceva notare col fucile per andare a caccia, cosa che non aveva fatto mai fino allora e che ora più di prima mi guardava dall’alto in basso facendomi capire che non sapeva cosa farne più della mia amicizia. Ma io ormai non pensavo a nessuno ed attendevo ora per ora di andarmene sotto le armi dato che avevo fatto una domanda al Ministero ed ero stato chiamato già per la visita. Verso agosto mi scrisse il mio amico Saverio Attila già richiamato dicendomi che se io gradivo essere richiamato subito bisognava insistere direttamente al Comando di Zona Territoriale di Palermo. Difatti verso fine settembre andai io personalmente a Palermo e portai con me mia moglie sempre per non insospettirla ma principalmente per non lasciarla sola. Mi recai dal comandante la Zona Territoriale e^gl[...]

[...]mi si oscurarono, le gambe intesi che si piegavano e per poco non caddi a terra. Cercai di dominarmi e non so come riuscii a mantenermi in piedi, a nascondere la lettera in tasca ed andarmene pel momento in una stanza ove non c’era nessuno. Un certo individuo strano introdottosi di colpo nella mia testa mi disse: «Te lo dicevo io che la cosa era già di pubblica ragione? Tu non ci volevi credere! ». Quel certo individuo strano non mi lasciò quasi più ed ancora di quando in quando si piglia gusto a perseguitarmi. Né mi ricordo più ciò che avvenne in seguito con precisione, giacché la continua presenza di quel maledetto individuo mi faceva vedere tutto indistinto ed avvolto d’ombre. Però mi accorgevo con un certo compiacimento che ormai il cuore non mi tumultuava più come prima e se non fosse stato che di quando in quando avvertivo come un chiodo conficcato sulla sommità del cranio, per il resto, potevo dire di sentirmi bene. Io però, d’ora in poi, continuerò a raccontare lo stesso come se nei giorni che si susseguirono vedessi tutto distinto e sgombro d’ombre.

La notte non dormii e me la feci girandomi e smaniando nel letto come mi accadde anche le altre notti che vennero dopo. E se dormivo facevo dei sogni opprimenti ed ossessionanti che lo strano individuo poi me li faceva subito dileguare. Il giorno dopo, mentre mia moglie gridava con la servetta i[...]

[...]gente di188

SAVERIO MONTALTO

te, andresti or ora a buttarti a mare! ». Mattina di giovedì mi alzai presto ed incominciai la nenia di questa canzone: «Quanto è bella sta figliola, manco a Napoli ci sta; e si pettina e s’incannola, tutti quanti l’amore fa». Ogni tanto sostituivo la parola figliola con puttana o fontana e ci provavo un gusto matto a gridare forte ed a farmi sentire anche dai vicini. Poi vennero gli operai e smisi di cantare. Più tardi uscii per un po’ perché mi mantenevo calmo ed affabile, non solo cogli estranei, ma anche con mia moglie, e, benché meccanicamente, agivo e facevo tutto secondo il solito. Verso mezzogiorno gli operai se ne andarono ed io mi intesi assai più libero. Nel pomeriggio ripresi la nenia; mia moglie allora si avvicinò a me e mi disse: «Questa canzone la dovete cantare per le vostre sorelle e se continuate ancora mando a chiamare i miei fratelli! ». Io sorrisi per farle capire che non avevo paura, però non cantai più. Dopo che mia moglie si fu allontanata, lo strano individuo pronto mi disse: «Te lo dicevo io di stare zitto perché altrimenti ne buscavi? Beh, non ti dar pensiero, che anche così si sta bene! ». Io però più tardi ricominciai la nenia, perché ormai non potevo farne a meno, ma la durai un poco e sottovoce in modo che non mi sentisse mia moglie e poi la smisi completamente. Sera di venerdì, dappoiché mia moglie aveva dato l’allarme, venne mia sorella da me, mi portò nello studio e mi disse: « Son venuta per stare con te stasera, perché Giacomo non c’è — era da molto che non veniva più da me —. Ma insomma che hai? Ti sembra giusto che la devi ingiuriare puttana? ».

« A chi ? ».

« Andiamo! Dimmi che cosa è successo! ».

«Nulla! Ma giacché lo vuoi sapere, a te, lo dico! Mia moglie mi fa le corna col medico Castagna. Hai capito ora? ».

« Vedi, mi si accappona la pelle! » e mi mostrò il braccio. « Però io non ci credo! E come l’hai saputo? ».

« Ho ricevuto una lettera anonima; però io lo sapevo da tempo e perciò me ne volevo andare ».

« Senti, io ti dico di calmarti perché non è vero. Ma se dovesse essere vero certo che il dott. Castagna è stato un vero mascalz[...]

[...]i, io ti dico di calmarti perché non è vero. Ma se dovesse essere vero certo che il dott. Castagna è stato un vero mascalzone, perché con te non si doveva permettere un fatto simile! Però io, ti ripeto, non ci credo e ti dico di calmarti, perché sicuramente si tratta di gente che vuole male a te ed a tua moglie e non bisogna dare loro gusto ».

Poi mia sorella insistè ancora che mi calmassi, mi portò tanti paragoni, mi disse anche che tutto al più si poteva trattare di un semMEMORIALE DAL CARCERE

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plice corteggiamento e siccome io non ne avevo più voglia di sentire parole le promisi che mi sarei calmato e così andammo a raggiungere gli altri in cucina dopo averla raccomandata di non dire niente a mia moglie della lettera anonima. Più tardi però si chiusero tutt’e due nel salotto e mia sorella messa alle strette lasciò capire a mia moglie che io forse avevo ricevuta una lettera anonima; ma nel contempo le disse di stare tranquilla che si trattava sicuramente di gente perfida che voleva mettere zizzanie nelle famiglie, poiché si sapeva molto bene che non c’era niente di vero e quindi non si potevano dire che delle falsità.

Mattina di sabato andai a M... ed al ritorno seppi che mia moglie durante la mia assenza aveva mandato a chiamare il fratello Ottavio.

Così mi spuntò l’alba di quel maledetto giorno del 17 novembre [...]

[...] non si potevano dire che delle falsità.

Mattina di sabato andai a M... ed al ritorno seppi che mia moglie durante la mia assenza aveva mandato a chiamare il fratello Ottavio.

Così mi spuntò l’alba di quel maledetto giorno del 17 novembre 1940. Né avrei creduto mai che l’alba appresso avesse trovato me nella caserma dei carabinieri e mia sorella Anna nella bara situata in una stanza della mia casa, per quanto lo strano individuo che sempre più prendeva salda dimora in me, si era messo ora, fin dal mattino, a tormentarmi la vita con sentimenti lugubri e funerei. Quando penso a quel giorno ed a tutti gli altri che si susseguirono, sento che affiorano alle labbra questi versi, se non sbaglio, di un poeta tedesco:

«Signor, chiamami a te, stanco son’io,

« Pregar non posso, senza maledire! ».

Verso le dieci feci sapere a mia moglie che se neanche quel, giorno avesse voluto alzarsi mi sarei messo io a cucinare, e siccome lei rispose che intendeva rimanere a letto, mi portai in cucina ed incominciai a preparare. Verso l’una la pen[...]

[...], senza maledire! ».

Verso le dieci feci sapere a mia moglie che se neanche quel, giorno avesse voluto alzarsi mi sarei messo io a cucinare, e siccome lei rispose che intendeva rimanere a letto, mi portai in cucina ed incominciai a preparare. Verso l’una la pentola stava per bollire quando intesi bussare al portone. La servetta andò ad aprire e dopo un po’ vidi entrare in cucina mio cognato Giacomo senza salutare e per giunta, alle mie parole piuttosto cordiali dato che lo sapevo assente rispose con semplici monosillabi. Mi disse invece andando difilato verso lo studio : «Sentite cognato, debbo dirvi una parola! ». Io lo seguii e giunti nello studio ci sedemmo l’uno di fronte all’altro. Senza tanti preamboli mi chiese gesticolando colla mano:

« Fuori la lettera! ».

Io intesi che la parola mi veniva meno come un tempo, ma mi dominai subito e risposi:

« Quale lettera? ».

«Andiamo! Voi mi conoscete chi sono io! Se non me la date colle buone me la darete colle cattive! ».

«Ma vi dico che non vi capisco? ».190

SAVERIO MO[...]

[...]oi faremo i conti ».

Al ricordo di mia sorella tremai ancora una volta e pensando a lei cercai anche ora di umiliarmi di fronte a mio cognato, pigliandolo colle buone e dicendogli che non era il caso di badare a delle sciocchezze; che io non ci facevo caso di niente, che ormai andava pigliando piede il libero amore e tante altre cose belle. Mio cognato per tutta risposta si alzò e si avvicinò con queste parole : « Me la vuoi dare sì,

o no? Più tardi vedremo se me la darai! ». Poi entrò da mia moglie dicendo: «Alzati e cammina!». Mia moglie si mise a piangere, fece per vestirsi, ma poi si coricò di nuovo, continuando a piangere. Mio cognato per consolarla le disse che lui era sicuro che lei non aveva fatto niente e che seppure l’avesse fatto di non avere paura che c’erano quattro fratelli a suo lato per difenderla e così uscì.

Rimasto solo lo strano individuo incominciò a ridere sarcasticamente nella mia testa: «Ah, ah! Ti dissi di star zitto? Adesso te laMEMORIALE DAL CARCERE

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sbrighi tu! Cornuto e bastonato! E non sol[...]

[...] anche che qualche giorno prima la suocera era andata in casa di mia sorella per bastonarla e che con mio cognato Giacomo c’era poco da scherzare, giacché, pur essendo ancora ragazzo, una volta l’onorevole Barca aveva dovuto, per non farsi strappare un documento dalle mani, metterlo alla porta colla pistola in pugno. A questo punto lo strano individuo mi lasciò ed al suo posto si sostituì nella testa una morsa di ferro che me la stringeva sempre più e non mi lasciava né pensare né agire se non secondo la sua volontà. Questa morsa di ferro mi tenne sotto la sua stretta per vari giorni e se qualche volta cercavo reagire, allora si stringeva sempre più fin quasi a spappolarmi il cervello, obbligandomi a mettermi sdraiato se non avessi voluto andare a finire per terra.

Intanto entrai in cucina, dissi alla persona di servizio di cuocere la pasta per sé e per la piccola Livia che mi sorpresi di vederla lì per quanto era presente fin dal giorno prima, e di mangiare loro, perché

10 non volevo mangiare.

Ritornato ai casi miei mi misi a passeggiare dallo studio al salotto. Mi vennero per la mente tante idee ma non fui capace di attuarne nessuna. Ad un certo punto presi mille lire dal tavolino del salotto e

11 misi nel tiretto della scr[...]

[...]la pasta per sé e per la piccola Livia che mi sorpresi di vederla lì per quanto era presente fin dal giorno prima, e di mangiare loro, perché

10 non volevo mangiare.

Ritornato ai casi miei mi misi a passeggiare dallo studio al salotto. Mi vennero per la mente tante idee ma non fui capace di attuarne nessuna. Ad un certo punto presi mille lire dal tavolino del salotto e

11 misi nel tiretto della scrivania, per andarmene a Palermo, ma poi più tardi quando pensai di vestirmi per uscire non fui capace di farlo. Me ne accorsi in questo mentre che avevo la pistola nella scrivania e la portai nel tiretto del salotto ma non ricordo più se per evitare che l’avessi a portata di mano io oppure mia moglie o i suoi fratelli. Più tardi ancora venne una persona che desiderava parlarmi per certi documenti: prima lo feci salire, ma poi gli feci dire dalla persona di servizio che non c’ero in casa. Verso le quattro ebbi un momento di tregua e presi una tazza di caffè. Dopo il caffè mi affacciai al balcone per mirare il caseggiato ed il mare ed al loro posto vi trovai solamente una distesa oscura ed un cielo di un fosco porporino. In questo frattempo venne FOttavio e si portò via la Livia dicendo che doveva condurla dalle monache. Non avevo più pace ed andavo su e giù. Ad un certo punto vidi spuntare mia sorella e mi ralle[...]

[...]ocumenti: prima lo feci salire, ma poi gli feci dire dalla persona di servizio che non c’ero in casa. Verso le quattro ebbi un momento di tregua e presi una tazza di caffè. Dopo il caffè mi affacciai al balcone per mirare il caseggiato ed il mare ed al loro posto vi trovai solamente una distesa oscura ed un cielo di un fosco porporino. In questo frattempo venne FOttavio e si portò via la Livia dicendo che doveva condurla dalle monache. Non avevo più pace ed andavo su e giù. Ad un certo punto vidi spuntare mia sorella e mi rallegrai perché ora da me si trovava fuori pericolo. Entrò nel salotto e mi disse : « Perché non gli dai la lettera? ».

« Perché no! Sai che vogliono mettere in campo ora? Che sei stata tu a scriverla d’accordo con Aurora ».192

SAVERIO MONTALTO

« Si? E come? ».

«Dicono che tempo fa, una sera è venuta da te l’Aurora, e così l’avete concertata! ».

«E come poteva venire da me Aurora se io sono carcerata? Io ancora non conosco il suo bambino. Se l’abbia scritta o meno l’Aurora io non lo so! E poi, dico io, [...]

[...] da me Aurora se io sono carcerata? Io ancora non conosco il suo bambino. Se l’abbia scritta o meno l’Aurora io non lo so! E poi, dico io, andavo a menarmi la zappa nei piedi? Loro non possono che non possono vedermi ora; immaginiamo quando tu fossi diviso dalla figlia! Ma se loro adesso vogliono affermare questo, vado dritta a buttarmi a mare! ».

«Sei sicura del fatto tuo? ».

« E lo puoi mettere in dubbio? ».

« Già! Hai ragione! Non so più quel che dico! ».

In questo mentre intesi bussare giù al portone. Aprii il balcone della stanza da pranzo e vidi mio cognato Giacomo. Dopo un pò lo raggiungemmo nella stanza da letto ove c’era anche mia moglie già alzata. Mio cognato mi disse con aria di comando: «Ti sei deciso a darmi la lettera? ».

Io non risposi e stetti al mio posto guardandolo. Lui allora fece: «Lo so, lo so chi ha scritto la lettera, perché stamattina me l’ha detto Rosa e Livia! ».

«Come? » risposi io. «Oggi avete detto Giuseppa ed ora Rosa e Livia? ».

«Anche Giuseppa!» si fece portare dalla cucina la piccol[...]

[...]tava per dire sì. Mia sorella che fino allora guardava trasognata, a questo punto si fece avanti, alzò le mani al cielo ed urlò disperata: «No, non è vero! Lo giuro, lo giuro! ». S’inginocchiò, si scoperse il seno e continuò fuor di sé «Non è vero! Lo giuro su questo latte che nutrisce quell’innocente! ».

Io mi avvicinai a mia sorella e le dissi: «Alzati! » e poi rivolgendomi a mio cognato profferii « E voi egregio signore, vi prego di essere più umano e di ricordarvi che siete in casa mia! ».

«Finché c’è mia sorella ci sto di diritto; e, se parli ancora ti piglio a calci nel culo » e si slanciò contro di me. Le donne si misero in mezzo e lui si fermò. Mia sorella allora mi chiamò e mi portò nella stanza da pranzo. Quivi giunti mi supplicò : « Dagli la lettera, ti prego, dagliela! ».MEMORIALE DAL CARCERE

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A questo punto ci raggiunse mio cognato seguito da mia moglie. Si avvicinò inferocito e dandomi una schiaffo profferì, portando la mano alla tasca di dietro: «Se non mi dai la lettera, ti faccio saltare la testa in aria![...]

[...]ERE

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A questo punto ci raggiunse mio cognato seguito da mia moglie. Si avvicinò inferocito e dandomi una schiaffo profferì, portando la mano alla tasca di dietro: «Se non mi dai la lettera, ti faccio saltare la testa in aria! ». Le donne lo afferrarono ma io ero già nel salotto. In un attimo mi trovai colla pistola in mano, sbucai nella stanza da pranzo e gridai per intimorirlo di gettare la rivoltella ed uscire fuori. Lui diede un urto più forte per divincolarsi dalle donne ed io allora lo puntai. Vidi un’ombra distaccarsi per venirmi incontro, ma il colpo era partito. Da questo momento divenni tutto spirito di conservazione e scaricai tutti gli otto colpi della pistola perché davanti a me non vedevo altro che ombre che mi volevano uccidere. Né so come son rimasto vivo. Dopo un certo tempo che non so precisare mi sembrava di girare insieme alla casa, ma senza sapere ancora dove mi trovassi. Poi ebbi come un barlume di coscienza e mi vidi nei pressi del balcone dello studio insieme a mia moglie e mio cognato che si contorcevano [...]

[...]ricai tutti gli otto colpi della pistola perché davanti a me non vedevo altro che ombre che mi volevano uccidere. Né so come son rimasto vivo. Dopo un certo tempo che non so precisare mi sembrava di girare insieme alla casa, ma senza sapere ancora dove mi trovassi. Poi ebbi come un barlume di coscienza e mi vidi nei pressi del balcone dello studio insieme a mia moglie e mio cognato che si contorcevano e si lamentavano vicino a me; e, non vedendo più mia sorella, mi ricordai che prima c’era anche lei presente. Mi slanciai verso la stanza da pranzo e la trovai per terra immobile e supina. Mi buttai sopra, la chiamai, ma non avuta risposta dal suo labbro, la baciai freneticamente e scappai in mezzo alla strada.

A questo punto non posso fare a meno a non invocare, con tutte le forze della mia anima lacerata e dilaniata, la maledizione eterna sul capo di coloro che mi hanno portato a quel passo estremo.

Quando fui in mezzo alla strada, da quel momento, tutto il mio essere divenne una sola idea: impietosire il mondo per quella donna dist[...]

[...]a strada.

A questo punto non posso fare a meno a non invocare, con tutte le forze della mia anima lacerata e dilaniata, la maledizione eterna sul capo di coloro che mi hanno portato a quel passo estremo.

Quando fui in mezzo alla strada, da quel momento, tutto il mio essere divenne una sola idea: impietosire il mondo per quella donna distesa immobile nella mia casa e che aveva tanto sofferto durante la sua vita; e, del resto non mi occupavo più.

Né ricordo più che dissi, che feci e che vidi in mezzo alla strada e nella caserma dei Carabinieri, né quando fui portato via da N##*. Né mi rammento più quanto tempo passò prima che mi accorgessi che mi trovavo custodito nel carcere ed ancora oggi a volte mi domando: è sogno o realtà, ero io o non ero io, è vero o non è vero? Un’altra cosa mi ricordo ancora di quei primi giorni indecifrabili: mi ricordo che volevo piangere ma che il pianto non veniva. Il pianto venne dopo che vidi varie volte mia sorella durante la solitudine della notte e dopo che una notte mi disse: «Taci ormai, non ti disperare, perché lo so bene che non sei stato tu ad uccidermi. E prego sempre il Signore perché non permetta che tu soccomba, e non per te, perché ormai il [...]

[...]ado rientrando in me. Né so prevedere ciò che mi succederebbe per la paura se dovessi in questo momento incontrarmi ancora una volta coi signori Armoni. Né penso che mio cognato Giacomo si sarebbe avventurato per la seconda volta, giacché lui se li sa guardare i mali passi, di ritornare in casa mia quel maledetto giorno del 17 novembre per strapparmi la lettera, se avesseMEMORIALE DAL CARCERE

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anche lontanamente previsto che io non ero più io, ma già sotto il dominio della stretta della morsa di cui ho parlato dianzi la quale ormai non mi lasciava più agire e pensare come un tempo quando io ero io. Ma lui era sicuro del fatto suo giacché mi aveva esperimentato ancora una volta verso l’una quand’era venuto inerme e colla sola arroganza ed ecco perché osò ritornare per la seconda volta. E non solo che osò ritornare, ma per quanto cercò d’introdurre nella mia casa l’usanza dei gangster americani di cui lui era tanto ammiratore, se non altro attraverso il cinematografo, sicuro che facendo al modo dei gangsters avrei consegnato ora anche la lettera, dato che la borsa l’avevo consegnata già da tanto tempo; e, non certo per attentare la mia vita,[...]

[...]ngsters avrei consegnato ora anche la lettera, dato che la borsa l’avevo consegnata già da tanto tempo; e, non certo per attentare la mia vita, giacché la mia vita non solo faceva molto comodo a sua sorella che allora rappresentava mia moglie, ma anche a lui ed a tutto il resto della sua famiglia. Ed in tema di gangsters voglio dire anche che durante la grande guerra potei esperimentare che tutti i gangsters della portata di mio cognato ed anche più famosi di mio cognato, di fronte al pericolo ed alle pallottole del nemico erano soli loro a gettare le armi ed a fare marcia indietro, non solo, ma ad incitare anche i valorosi ad imitarli, giacché i gangsters diventano tali perché non sanno affrontare le responsabilità ed il peso della vita che non è cosa lieve, come la prostituta diventa prostituta perché non sa sopportare il peso dell’onestà, dappoiché, data la loro pochezza di mente, non immaginano neanche la vera gioia che dà l’eroismo ed il sacrificio. Ed è bene che sappia mio cognato che è questa la vera ragione per cui gli eroi e le [...]

[...] questa la vera ragione per cui gli eroi e le donne oneste sono stati sempre pieni di bontà, perché bontà è anche sinonimo di comprendonio e d’intelligenza. E solo così mi posso spiegare ora la malvagità dei gangsters e delle prostitute e perché quella sera del 17 novembre mio cognato Giacomo di fronte al pericolo si rivelò vero gangster, e cercò di salvarsi, facendosi scudo di sua moglie e di sua sorella. Ma io, ripeto, in quel momento, non ero più io e quindi non potevo pensare, come la penso ora, la sua vera indole ed intenzione; né ero più in condizione di poter vedere chiaro fisicamente, giacché vedere chiaro coll’occhio fisico significa vedere chiaro coll’occhio chiaro della mente; ed ecco propriamente la vera ragione per cui mi trovo ora nel baratro profondo in cui mi trovo. Saverio Montalto

Direttore responsabile: Alberto Carocci Iscrizione n. 3045 del 301252 del Tribunale di Roma istituto grafico tiberino Roma Via Gaeta, 14



da Giuseppe Branca, Il costo del condono in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: PRIME NARRATIVE DI POCO FA

I recenti episodi, significativi, di Treno di panna di Andrea De Carlo (1981), Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (1981), Dicerie dell’untore di Gesualdo Bufalino (1981) e, più indietro, di Porci con le ali (1976), hanno mostrato come l’imporsi di scrittori esordienti nella narrativa dipenda da un processo la cui fenomenologia è ormai studio della sociologia della letteratura. Insieme alla provocatorietà e alla potenziale qualità, la miscela di un lancio riuscito assomma alla casualità dell’effettoeco sul pubblico una sempre meno approssimativa capacità dell’industria editoriale di guidare quelle variabili extraletterarie e extratestuali dalle quali discende per l’appunto il successo di un libro. Si è visto quanto proprio la maturità di alcuni autori di fronte al me[...]

[...]rno un viaggiatore).

In questo panorama molto mosso in cui esiti culturali e crisi dell’editoria convivono drammaticamente non è difficile ravvisare un’attenzione spiccata per la narrativa e, all’interno di quest’ultima, un palpabile sforzo di sperimentazione e adattamento che, al di là dei risultati effettivi, testimonia di un dialogo rinnovato e vincente fra la specificità di una forma il racconto, il romanzo

e le trasformazioni sempre più complesse verificatesi sul terreno della comunicazione multimediale.

Ci sembra di poter riconoscere due fronti o, forse meglio, due direzioni, che in molti punti coincidono, l’uno teso a ripercorrere all’indietro, diciamo cosi, verso la fonte, la via del racconto, l’altro a contaminare sempre di più la forma narrativa con i criteri di fungibilità che la multimedialità del prodotto esige. L’esemplarità di una rivista come « Linea d’ombra » che ospita testi di scrittori esordienti e non, e che esorta gli autori all’immediatezza del racconto perché la letteratura « torni a narrare sensibilità, idee, fantasie, avvenimenti, cose e persone dei nostri anni » (n. 1, anno i, p. 5), ben rappresenta la prima tendenza e si fa segnalare per la sua dichiarata consapevolezza dei processi di mercato ai quali si oppone con una diversa volontà etica e aggregativa.

Ci sembra ora interessante volgere lo [...]

[...] esordienti e non, e che esorta gli autori all’immediatezza del racconto perché la letteratura « torni a narrare sensibilità, idee, fantasie, avvenimenti, cose e persone dei nostri anni » (n. 1, anno i, p. 5), ben rappresenta la prima tendenza e si fa segnalare per la sua dichiarata consapevolezza dei processi di mercato ai quali si oppone con una diversa volontà etica e aggregativa.

Ci sembra ora interessante volgere lo sguardo ad alcuni dei più recenti esordi narrativi. Un primo sguardo d’insieme offre al lettore l’impressione di228

ALBERTO ROLLO

una qualità media di scrittura, di una produzione sostanzialmente uniforme, malgrado l’amplissimo spettro stilistico, a cui non sembrano ancora una volta estranee le incertezze e le difficoltà, da parte delle case editrici, di convogliare le proprie scelte verso un ipotetico equilibrio, invero arduo da mantenere, fra ricerca della qualità e attese commerciali.

All’interno di questo esito complessivamente « medio » suona tuttavia significativo il ventaglio variegatissimo di temi, t[...]

[...]i Calabrese, le torsioni barocche verso l’eccesso di Episcopi, l’acquisizione in extremis di un passato che andrà perduto con l’imminente vendita della casa di famiglia nel romanzo di Aliprandi, i confini stessi dello scrivere percorsi dal pensoso obiettivo di Daniele Del Giudice (Lo stadio di Wimbledon, Einaudi).

Fra le opere sinora citate almeno tre (Lo stadio di Wimbledon, Il falco d’oro, L’angelo di Avrigue) meritano un discorso a parte e più articolato.

Il romanzo di Del Giudice ruota intorno alla figura di Bobi Bazlen e ad altri personaggi direttamente o indirettamente compromessi con la letteratura.

Il tentativo di capire perché e se « scrivere è necessario » conduce il protagonista sulle tracce di Bazlen, di chi lo conobbe, di chi convisse col mistero della sua rinuncia davanti all’emergenza dell’opera. « Quello che a me interessa è un punto in cui forse si intersecano il saper essere e il saper scrivere. Chiunque scrive se l’immagina in un certo modo. Con lui invece in quel punto c’è stata un’esclusione, una rinuncia, u[...]

[...]l punto c’è stata un’esclusione, una rinuncia, un silenzio. Io vorrei capire perché ». La que te esistenziale e morale si dà in forma di viaggio. Un viaggio in treno a Trieste, finalmente prosciugata di ogni mefitico alito di finis Austriae, un viaggio in aereo a Londra. Quando una risposta al «perché» arriva, l’interrogativoPRIME NARRATIVE DI POCO FA

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è già lontano. « Scrivere non è importante, però non si può fare altro »; ma ancora più forte della determinazione che razionalmente il protagonista accoglie in sé è la provocante oggettività del mondo, la cosalità senza scampo dell’apparire e il richiamo fortissimo della rappresentazione.

L’aspetto decisivo dello Stadio di Wimbledon risiede nella silenziosa presa della sua scrittura. Come un sintonizzatore nell’intreccio e nella confusione dei messaggi, essi si muove intorno ai vuoti dell’azione e della memoria per pause e indugi, tesa a raccogliere nell’apparente povertà del marginale il fruscio di un responso. Quanto più l’oggetto della ricerca s’allontana, tanto più i pri[...]

[...]ggettività del mondo, la cosalità senza scampo dell’apparire e il richiamo fortissimo della rappresentazione.

L’aspetto decisivo dello Stadio di Wimbledon risiede nella silenziosa presa della sua scrittura. Come un sintonizzatore nell’intreccio e nella confusione dei messaggi, essi si muove intorno ai vuoti dell’azione e della memoria per pause e indugi, tesa a raccogliere nell’apparente povertà del marginale il fruscio di un responso. Quanto più l’oggetto della ricerca s’allontana, tanto più i primi piani del reale si fanno nitidi: ci si accorge che quanto voleva essere eticamente vero

lo spazio pieno del dilemma ha già creato, via via cancellandosi, dei personaggi e le quinte prospettiche di un’« altra » storia. E la sua verità riposa, non già nello scioglimento del dubbio, ma nei gesti pensosi, declinanti, perduti di quelle dramatis personae e lo scrittore ne è consapevole , nel destarsi di luoghi, di figure, di soggetti. Di Bazlen al protagonista rimarrà e pare quasi manniana ironia un pullover « di lana corta, pettinata, in un grigio chiarissimo e con il collo a v ». [...]

[...]cancellandosi, dei personaggi e le quinte prospettiche di un’« altra » storia. E la sua verità riposa, non già nello scioglimento del dubbio, ma nei gesti pensosi, declinanti, perduti di quelle dramatis personae e lo scrittore ne è consapevole , nel destarsi di luoghi, di figure, di soggetti. Di Bazlen al protagonista rimarrà e pare quasi manniana ironia un pullover « di lana corta, pettinata, in un grigio chiarissimo e con il collo a v ».

Più che la ripresa di un motivo che invero potrebbe apparire stanco la letteratura e la vita il romanzo di Del Giudice è una meditazione sul destino della scrittura narrativa, sulla sua insostituibilità. Ne consegue perciò, non tanto un conflitto con l’impenetrabilità del reale, ma un fronteggiare vittorioso l’impotenza della parola, un esperire consapevole dei processi di trasformazione che attraversano e modificano la comunicazione nel suo complesso.

Da un’altra angolazione anche Vincenzo Pardini nel Falco d}oro conferma l’energia della parola narrante; ma, al contrario di Del Giudice, egl[...]

[...]o la comunicazione nel suo complesso.

Da un’altra angolazione anche Vincenzo Pardini nel Falco d}oro conferma l’energia della parola narrante; ma, al contrario di Del Giudice, egli aggredisce una materia viva e vi lavora intorno con pochi secchi colpi lasciando emergere la creaturalità dei suoi personaggi, vittime e complici di una natura impietosa, violenta, che solo a tratti coincide cosi ci informa l’autore con l’Appennino toscoemiliano. Più verosimilmente si palesa l’atemporalità di quel paesaggio, la miticità del mondo contadino su cui cade a tratti, e inaspettata, la riconoscibilità di talune connotazioni storiche: una stretta di mano a Togliatti, il fascismo, la guerra, la deportazione in Germania.

Più che una raccolta di racconti II falco d’oro pare un romanzo abbozzato e lasciato incompiuto, smembrato in episodi che l’autore non ha saputo o voluto cucire assieme. E benché l’opera cosi com’è presenti già una notevole compattezza, è pur vero che Yepos tragico da cui scaturisce la vis narrativa di Pardini chiedeva forse una più scrupolosa elaborazione strutturale. La conferma a quest’ipotesi ci viene dall’ossessiva ripetizione delle chiuse drammatiche, che, se da un lato testimoniano il gusto vivissimo del precipitare del racconto, dall’altro rischiano di intaccare e esaurire la bontà dell’ispirazione, tutta raccolta nell’incombere tremendo dell’artiglio del destino che fa da bruna cornice a ogni personaggio, uomo o bestia che sia. Resta tuttavia la palpitante crudezza della rappresentazione, la sintassi severa, l’assetata aggettivazione, la rincorsa talora230

ALBERTO ROLLO

ansimante, talora più rilassata, de[...]

[...]se da un lato testimoniano il gusto vivissimo del precipitare del racconto, dall’altro rischiano di intaccare e esaurire la bontà dell’ispirazione, tutta raccolta nell’incombere tremendo dell’artiglio del destino che fa da bruna cornice a ogni personaggio, uomo o bestia che sia. Resta tuttavia la palpitante crudezza della rappresentazione, la sintassi severa, l’assetata aggettivazione, la rincorsa talora230

ALBERTO ROLLO

ansimante, talora più rilassata, del personaggio a tutto tondo che risponda e si rifletta nella inquietante verginità della natura.

Preferiamo perciò alla diseguale tenuta narrativa del Bilancio (drammatico inseguimento e face to face fra uomo e rapace) Tepica parabola di Don Pistola, sacerdote bestemmiatore, libertario e comunista, uomo sanguigno e generoso amante, che gira armato di pistola e pubblica un romanzo dove « ogni personaggio sapeva sempre dire l’indimenticabile », o il breve ritratto de II nonno che « diceva frasi di semplice e universale bellezza: proprio di chi ha convissuto con la solitudine ed [...]

[...]morte entra nel tessuto narrativo come un interrogativo insopportabile, ma anche come un colore, come il risvolto oscuro di un disagio a cui Gregorio vorrebbe dare risposta.

Prende inizio da qui un’indagine, una ricerca che, come nel romanzo di Del Giudice ad altro non conduce che alla visitazione di una realtà interiore su cui preme l’immagine del labirinto. La detectivestory che qui e là s’adombra è puro pretesto; ma qui si fa talora appena più invadente e, pur senza compromettere la tenuta stilistica dell’opera, sembra tradire la preoccupazione che l’« occasionalità » dell’indagine possa conferire al romanzo un’identità narrativa più forte.

La qualità finissima della scrittura di Biamonti va del resto cercata nei toni lirici, nella partitura musicale che trama lo spessore degli eventi; nella folgorazione di talune figure umane che dal paesaggio emergono senza staccarsene, nella perifericità emblematica di taluni episodi corali, anch’essi radicati nella scontrosa civiltà dell’entroterra francoligure. Compresi in questo campionario sono dunque certe « panoramiche » colte al di là degli occhi del protagonista (« Toccava quasi il poggio un cielo sereno e denso, solcato da due cirri non più grandi di falchetti, quasi un tet[...]

[...] musicale che trama lo spessore degli eventi; nella folgorazione di talune figure umane che dal paesaggio emergono senza staccarsene, nella perifericità emblematica di taluni episodi corali, anch’essi radicati nella scontrosa civiltà dell’entroterra francoligure. Compresi in questo campionario sono dunque certe « panoramiche » colte al di là degli occhi del protagonista (« Toccava quasi il poggio un cielo sereno e denso, solcato da due cirri non più grandi di falchetti, quasi un tetto luminoso »; « Dove la strada si biforcava, alla sua croce, era lassù sopra l’ulivo, il primo abbacchiatore di quell’anno. Era lontano, in cima, con la testa rovesciata. Sbatteva a trappi, col bastone vencheggiante, e cadevano a raffica olive e foglie »; « Gli ulivi erano sempre piùPRIME NARRATIVE DI POCO FA

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scarni, di una bellezza quasi minerale, mano a mano che saliva »), l’apparizione del pastore provenzale (« Quell’uomo quasi vecchio e quasi sacro spiegò che aveva camminato tutta la notte per abbassarsi, per fuggire l’aria di neve (l’auro de nèu), nemica a chi aveva tutti i suoi beni in sangue, in sangue di dio »), la processione del Santo ad Avrigue con l’esecuzione della « numero due », la « musica del prigioniero » (« Grave e segreta come la vita sul passo della terra, era la numero due: lichenoso meriggio in cammino verso la sera »).

Entro i confini[...]

[...]a di Santamaura, Placida di Vittarelli, Attesa a Guatambu di Luigi Del Re. Del primo ci piace sottolineare il tentativo seducente di sposare ai ritmi del romanzo storico, al piacere di reinventare il personaggio attraverso la parzialità delle fonti, puntuali considerazioni sul « tragico », quasi nella marginalità della figura del tiranno etiope Tewodros l’autore avesse voluto riconoscere da subito lo spazio eletto di un teatro della coscienza. E più che di storia sarebbe allora opportuno parlare di vera e propria « tragedia in forma narrativa », ma con la complicazione che il traguardo drammatico risiede più nelle « note di regia » di uno scrittore « metteur en scene » e nelle sue interpolazioni saggistiche che nell’autonoma veemenza degli eventi narrati.

Anche in Attesa a Guatambu pesa un esito fatalmente tragico, e l’autore dimostra di saper guidare con mano sicura la macchina narrativa. Tuttavia se pur il ‘ personaggio che dice io ’ ha una sua profonda dignità esistenziale che trova specchio nel codice violento della vita del villaggio a seicento chilometri da Buenos Aires, se la formadiario ben s’addice ai tempi stretti su cui incombe il fantasma della morte e l’assetata carnalità dell’amo[...]

[...]ora i paradossi eroicocomici di certo fumetto, colto e no.

Un’indubbia padronanza dei mezzi linguistici affiora tuttavia in alcune pagine memorabili, quali quelle della « fusione », dove gli elementi lessicali eterogenei, la predilezione per il fantastico popolare, l’immagine ricca, talora straripante, assumono una forza rappresentativa irresistibile. Le palle da cannone vengono tolte dal « pentolone » e le donne battezzano « ogni bomba con i più feroci sberleffi, destinando la prima palla alle corna del Principe, la seconda per azzoppare il suo cavallo, la terza per stendere i capitani, e ogni altra per ciascun fante francese, per fracassargli le ossa, ingarbugliargli i tendini e penetrargli infuocata nel di dietro per uscirgli dalla bocca sdentata, o al contrario ingozzarsi nella ghigna per scappargli fuori come un vento dalla coda ». Più vicino a Fo che a Gadda, Il libro del re è un romanzo che diverte senza, d’altro canto, pervenire a più profonde urticanti provocazioni.

Casa in vendita di Aliprandi è opera decisamente irrisolta quand’anche seducente è il lavorio della memoria intorno alla vecchia casa assediata da ricordi di famiglia e imminenti temporali di fine estate, da storie incrociate di destini diversi che paiono specchiarsi nel tempo e nello spazio attraverso la voce narrante. Anche se in questo ininterrotto fluire di volti e di gesti riconosciamo elementi vivi, non ci convince, sul fronte stilistico, la troppo ostentata dimestichezza con i lunghi periodi, gli incisi, le pause parentetiche, che si rivela alla lung[...]

[...]i temporali di fine estate, da storie incrociate di destini diversi che paiono specchiarsi nel tempo e nello spazio attraverso la voce narrante. Anche se in questo ininterrotto fluire di volti e di gesti riconosciamo elementi vivi, non ci convince, sul fronte stilistico, la troppo ostentata dimestichezza con i lunghi periodi, gli incisi, le pause parentetiche, che si rivela alla lunga fragile e inadeguata, comunque dispersiva e senza governo.

Più ancora ci lasciano perplessi gli esiti di opere come Festino e destino di Alberto Episcopi e La storia del mago di Carlo A. Corsi, il primo teso a costruire un « romanzo di ruminazione, di scoperchiamento », un « romanzo totale, brulicamento di tutte le frasi » attraverso il gioco, consapevole e non privo di suggestioni, di immagini peregrine e crudeli, con torsioni barocche intorno ai temi del sangue e della morte, dell’eros e dell’io; il secondo, volto verso una prosa anch’essa « totale », senza punteggiatura, maiuscole e capoversi, verso una fabula ininterrotta, « to be continued » che, co[...]



da Carlo Falconi, La crisi della Parrocchia in Italia in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]esiastiche in Italia o ad affrontare il difficilissimo quesito della concreta religiosità dell'italiano e in ispecie dell'italiano contemporaneo. Ora è anche troppo evidente che su questa religiositá anzitutto e in secondo luogo sulla consistenza di quegli istituti ed organizzazioni si fonda tutto l'edificio del successo politico delle forze cosiddette clericali. Il problema insomma d'una ricerca storica veramente esauriente dovrebb'essere posto piú o meno in questi termini: la fortuna politica attuale della Chiesa in Italia corrisponde effettivamente a un risveglio della religiositá del suo popolo e a una vivificante operosità _dei suoi istituti religiosi ? Se si, é ovvio che le sue fortune politiche poggiano su una base tuttaltro che superficiale e ci si dovrebbe cautelare dal darle per essenzialmente transitorie; nel caso contrario, la loro provvisorietà sarebbe indiscutibile.
Questo saggio non presume affatto, evidentemente, d'offrire una risposta completa al quesito enunciato, bensì mira a dare un contributo, anche se parziale, for[...]

[...]emente indicativo alla sua sa luzione.
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In genere, gli scrittori laici — storici, sociologi o politici che siano — ignorano o trascurano l'importanza dell'istituto parrocchiale per la Chiesa. Preoccupati come sono da problemi prevalentemente profani, s'illudono di pater identificare la Chiesa, costituzionalmente monarchica e autoritaria, nel Pontefice e nella Curia Romana. Ma la testa in nessun essere spiega il corpo: se mai, è più vero il contrario. Troppe volte, del resto, la storia ha registrato il peso decisivo della cc base )) sulle stesse sorti spirituali dell'organismo ecclesiastico. Si può obbiettare che allora (nei secc. IX e XVI soprattutto) le condizioni erano ben diverse dalle attuali. Ma anche la cronaca relativamente recente della formazione delle forze cattoliche nel nostro paese offre spunti più che eloquenti in proposito. L' A.C.I. infatti é nata effettivamente solo dal momenta in cui l'Opera dei Congressi (fondata nel 1874) non tanto decise (1875) di render permanente il proprio Comitato, quanto di « costituire in ogni parrocchia, sotto la direzione del parroco e col nome di Comitato Parrocchiale, un gruppo di almeno cinque fedeli, ecc. ecc. » (1). « Cosi — commentava nel '97 il Crispolti (2) — la futura rete dell'organizzazione si designava, senza stretto legame ancora, nel suo alfa e nel suo omega, con una istituzione al centro e una all'estrema periferia ». In seguito la tela or[...]

[...]In seguito la tela organizza tiva si integrò con la costituzione dei Comitati diocesani e regionali, ricalcando in pieno la stessa organizzazione capillare della Chiesa. Dodici anni dopo ben 3982 comitati parrocchiali puntualizzavano la superficie dell'Italia' (del nord e del centro soprattutto) a testimoniare la vigorosa vitalità della giovane iniziativa. E nonostante l'accusa di parrochismo gettata da alcuni autonomisti, l'A.C.I, non si staccò più dal sistema delle cellule ecclesiastiche: anzi oggi più che mai (lo si vedrà più avanti) é dalla cura
(1) G. DE ROSA, L'Azione Cattolica. Storia politica dal 1894 al 1904, Bari, Laterza, 1953, pp. 98,135, 155.
(2) « I Congressi e l'organizzazione dei cattolici in Italia », in Nuova Antologia, 16 ott. 1897.
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parrocchiale che muove il suo nuovo movimento di conquista religiosa del paese.
Effettivamente la parrocchia è così essenziale alla Chiesa come la cellula al corpo. La Chiesa potrebbe perdere in un sol istante tutti i suoi ordini religiosi senza subirne un contraccolpo fatale. La dissoluzione dell'istituto parrocchiale — nei s[...]

[...]ttorno al vescovo e al collegio dei sacerdoti, diaconi ecc. in un'unica circoscrizione ecclesiastica. Eccetto che per Roma e per Alessandria d'Egitto, bisogna attendere il sec. X e XI per vedere costituirsi le prime parrocchie nelle città (oltre a quella s'intende, della cattedrale). Dal IV sec. in poi, invece, (panda, dopo la vittoria politica con Costantino, il Cristianesimo incominciò a diffondersi anche nelle campagne (divenute e rimaste per più secoli tenace rifugio del paganesimo) nacquero a poco a poco, prima in oriente. — dove fiorirono fra
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l'altro i corepiscopi poi in occidente, anche le parrocchie rurali.
Ma non ebbero, per lo più, una sorte molto felice. A parte quelle fondate dai vescovi o aperte dai monaci — pochissime, in proporzione, le prime; più numerose le seconde —, esse dovettero la loro esistenza ai latifondisti del tardo impero, divenuti o sostituiti poi dai signori feudali. L'esser proprietà di privati significò né più né meno per esse che una nascita in schiavitù. Sotto il feudalesimo,, il signore usava addirittura far consacrare sacerdoti dei propri territori alcuni dei suoi schiavi, che, come tali., seguivano naturalmente la sorte delle terre nei cambi di vassallaggio o proprietà a cui queste andavan soggette. L'obbligo della dotazione economica delle parrocchie, fondato al tempo dei Carolingi, e soprattutto il diritto feudale, che permeò anche i benefici e le altre istituzioni ecclesiastiche, peggiorarono la situazione sia favorendo la decurtazione e gli stralci dei redditi beneficiali a profitto di ent[...]

[...]eazione alle prepotenze dei feudatari. Fu il tempo in cui le adunanze del popolo si tenevano in chiesa, le votazioni si facevan per parrocchia e, al momento del bisogno, il carroccio, ossia il carro destinato alla raccolta delle decime per la parrocchia, divenne un'insegna di battaglia e il nucleo della fanteria cittadina. Creazione spontanea o meno e centro propulsore della stessa vita civica o no, la parrocchia ebbe il merito, anche nei secoli più ferrigni, d'aprire scuole gratuite, di raccogliere vecchi e ammalati, di organizzare la carità (come nelle matricole, che erano vere e proprie corporazioni di poveri), ecc.
Più tardi, al tempo della diffusione degli Ordini mendicanti,
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l'Italia conobbe un curioso episodio di parrocchismo. Per reagire all'invadenza dei nuovi venuti, il clero secolare si armò d'una « costituzione parrocchiale» per cui ogni fedele non solo era obbligato a ricevere nella propria parrocchia il battesimo, la comunione pasquale, il matrimonio e la sepoltura, ma doveva anche assistervi alla messa festiva e richiedervi la confessione annuale a Pasqua. Bonifacio VIII e il Concilio di Vienna, sotto Clemente V, spezza rono la rigidità della u costituzione[...]

[...]rento che pose definitivamente termine alle contese tra clero secolare e regolare e agli abusi nell'assegnazione dei benefici.
Le controversie tra parroci e «mendicanti» diedero persino origine a una dottrina eretica, difesa soprattutto da Guglielmo di S. Amore (t 1272), secondo la quale i parroci sarebbero stati istituiti da Cristo come i vescovi. La curiosa teoria, nonostante le condanne incontrate, non morì. Risorse nella Francia gallicana e più tardi in Austria, all'epoca del giuseppinismo, per ritornare in Italia, dove fu canonizzata nel Concilio di Pistoia, che non solo asserì l'istituzione divina dei parroci ma precisò che la giurisdizione dei vescovi é limitata esclusivamente ai parroci e non ai loro fedeli.
Dalla fine dell'epoca missionaria della diffusione del Cristiane simo sino al sec. XIX tuttavia, come ha acutamente rilevato il Noppel (3), il problema della parrocchia rimase eminentemente un problema giuridico. Fu la nuova teologia ecclesiologica, iniziata oltre un secolo fa dal Moelher, a ricondurre la concezione della p[...]

[...]tempo, ma per penetrare anche nei documenti della Chiesa docente e per informare persino lo schema sulla Chiesa preparato per il Concilio Vaticano.
Inferto, nel '70, col dogma dell'infallibilità e della supremazia papale sul concilio, l'ultimo colpo alle resistenze gallicane, e concluso ormai il pontificato rinascimentale, politicamente e culturalmente magnifico ma apostolicamente povero, di Leone XIII, urgeva, sul principio del '900, un lavoro più modesto e capillare per assicurare alla Chiesa la fedeltà delle masse credenti e la saldezza della loro coesione. Pio X, il papaparroco, si mise subito all'opera sia nella propria diocesi che nell'intera cristianità, promuovendo la rinascita delle parrocchie dapprima con la riforma del canto gregoriano (motu proprio 1903), per riportare la liturgia a contatto del popolo (solo dal 1909 si cominciò a parlare di « movimento liturgico », specie per merito del card. Mercier e dei monaci della badia di MontCésar di Lovanio), poi con l'ammissione dei bambini alla comunione e la propaganda della comu[...]

[...]cisamente orientata in senso parrocchiale. Le affermazioni pontificie — da Pio X a Pio XII — relative all'importanza della parrocchia nella vita della Chiesa potrebbero costituire un'antologia di non irrilevanti proporzioni, dove, forse, ad avere il primato, sarebbe Pio XI, il papa delle missioni, dell'A.C., della Conciliazione, é vero, ma non meno il Papa della parrocchia. Canonizzando, a neppur due anni dalla sua elezione, il Curato d'Ars (che più tardi, in occasione del giubileo della sua ordinazione sacerdotale, avrebbe costituito patrono di tutti i parroci) egli sembrò voler raccogliere dal predecessore Pio X la bandiera di combattimento. E quello ch'egli fece, anche solo in Italia, per lo sviluppo e la dotazione delle parrocchie, dimostra la concretezza dei suoi propositi. Sin dai primi anni del suo pontificato, infatti, egli organizzò per il meridione la costituzione di case parrocchiali che risolvessero una volta per sempre la piaga del u prete
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in famiglia» che affliggeva quelle regioni. P[...]

[...]za e di riforma della parrocchia passò dall'Italia alla Francia, ma chi direbbe che esso é sopito sbaglierebbe. Gli echi dei curiosi esperimenti francesi furono quanto mai vivaci anche di qua dell'Alpi e provocarono, nel '48, il ritorno del problema allo studio di tutte le branchie dell'A.C. Basta del resto scorrere le riviste (4) d'ispirazione cattolica dell'ultimo quinquennio per convincersi della sua continua presenza. Dal '51 poi, a renderlo piú attuale, son venuti di rink calzo alcuni notevoli discorsi di Pio XII.
PROFILO DELLA PARROCCHIA MODERNA
Sarebbe dunque un grave errore non curarsi dell'importanza che la Chiesa dá all'istituto parrocchiale nell'attuale fase di riassesto e di conquista che la caratterizza. Chi conosca anche solo superficialmente la parrocchia del 1953 e la confronti con quella di 50 anni or sono non può del resto meravigliarsi di tale condotta. Una parrocchia — quella degli ultimi anni del pontificato leoniano —pacifica, e sonnolenta, fatta sulla misura del ceto borghese d'allora, quasi sempre deserta durant[...]

[...] Studi Sociali), genn. apr. 1952.
7V CARLO FALCONI
rade solennità dell'anno. Una parrocchia larga d'ozi al suo clero, lasciato libero di consacrarsi alla serenità dello studio o al piacevole scambio di visite tra benpensanti dell'alto ceto; e non certo affati cato dalla preparazione del sermone o della dottrina domenicale. Le cure d'archivio si sbrigavano, allora, in poco tempo, e le pochissime associazioni o confraternite richiedevano tutt'al più un'adunanza mensile. Il gregge, in quegli anni, cercava ancora il pa store e questi non aveva motivo di muoversi dal suo comodo e ben protetto ricovero.
Oggi il quadro é radicalmente mutato e quasi irriconoscibile persino nelle cure più addormentate o retrograde. La sola attività liturgicosacramentale assorbe parecchie ore nei semplici giorni feriali (con le confessioni e comunioni quotidiane che si sono ovun que moltiplicate grazie specialmente alle decine di devozioni che le richiedono; con la celebrazione di matrimoni e funerali; e con le funzioni serali); la domenica poi, nelle città specialmente, le messe si spingono sin oltre mezzogiorno e da qualche tempo persino nel pomeriggio. Il sermone domenicale di ieri s'è moltiplicato, la domenica, in spiegazione dei Vangeli ad almeno due o tre messe; al catechismo generale si [...]

[...]oni (e sottogruppi) d'A.C., le prediche dei vari ritiri mensili per le stesse, i fervorini in occasione di tridui, settenari, novenari (ormai a catena); ecc. L'archivio parrocchiale ha aumentato a sua volta le voci affiancandosi gli archivi del beneficio, della Fabbriceria, delle Confraternite, delle Pie Unioni, Associazioni, Comitati, Commissioni parrocchiali; e s'é complicato soprattutto in rapporto agli atti matrimoniali ecc. Ma la differenza più notevole é relativa alle Associazioni e alle Opere che fanno oggi della parrocchia un centro propulsore d'azione che non ha riscontri in nessun altra organizzazione laica similare Oltre all'Azione Cattolica con tutte le sue sezioni e sottosezioni (e basterebbe da sola a riempire la vita d'un parroco e dei suoi coadiutori) ricorderemo i Terz'Ordini (premonstratese, domenicano, francescano, carmelitano, degli. Eremitani di S. Agostino, dei Minimi, dei Servi di Maria, dei Trinitari), le Confraternite (sodalizi eretti per l'incremento del culto pubblico: ogni
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA [...]

[...]glie di Maria, Amici dell'Università del S. Cuore, ecc. ecc.). E tra le Opere Parrocchiali, cui va ben altro che un'assistenza periodica: l'Asilo Infantile, gli Oratori maschile e femminile (con saloni per il cine e il teatro), le Scuole Serali, la Biblioteca Parrocchiale, il Comitato della Buona Stampa, il Bollettino Parrocchiale (mensile). In questo scarnificatissimo elenco non figurano poi le organizzazioni a carattere sociale cui accenneremo più avanti.
Naturalmente, non ogni parrocchia, specie di paese, é provvi sta di tutto quest'apparto d'opere. Ma, anche ridotto, esso é sempre tale da riempire ad usura la giornata d'un curatore d'anime e dei suoi collaboratori ecclesiastici e laici, e aiuta a comprendere non solo la potenza di cui dispone la Chiesa nei suoi organi periferici qualora un pericolo la spinga a stringere in fascia tutte le sue forze, ma anche il perché del reiterato allarme lanciato in questi ultimi anni da molti vescovi e recentemente dallo stesso Pontefice (5) per salvare la parrocchia dalla crisi insorta a minacci[...]

[...]i, e aiuta a comprendere non solo la potenza di cui dispone la Chiesa nei suoi organi periferici qualora un pericolo la spinga a stringere in fascia tutte le sue forze, ma anche il perché del reiterato allarme lanciato in questi ultimi anni da molti vescovi e recentemente dallo stesso Pontefice (5) per salvare la parrocchia dalla crisi insorta a minacciarla proprio nel momento della sua massima espansione ed efficienza. E forse il dramma interno più appassionato che la Chiesa stia oggi vivendo. Val quindi la pena di analizzarlo puntualmente.
LA CRISI NELLE SUE CAUSE E NELLE SUE PROPORZIONI
Non possiamo per?, evidentemente, diffonderci qui sulle insufficienze religiose vere e proprie della parrocchia: sul dramma, cioè, del suo culto e dei suoi riti sempre più incomprensibili e impopolari,
o su . quello dell'evangelizzazione mediante l'istruzione catechistica sempre più abbandonata e la predicazione sempre più ipertrofica,
o sull'altro della preparazione, troppo borghese, dei sacerdoti al ministero parrocchiale. Sono problemi eccessivamente vasti e corn
, (5) v. i discorsi ai Quaresinialtisti e ai Parfoci di Rama del 1951 e 1952.
52 CARLO FALCONI
plessi, i quali, se incidono sull'efficienza religiosa della parrocchia, fuorescono però dal vero e proprio problema della sua funzionalità come organismo specifico, e gli debbono quindi essere presupposti.
Altra cosa invece é riconoscere che il diritto canonico attuale tutela inadeguatamente la parrocchia dalle interferenze di altri organismi ecclesi[...]

[...]ttutto in due fenomenilimite: la sopravvivenza di trappe « parrocchie onorarie > (o nei centri di città fitti soltanto di banche, aziende, uffici, rappresentanze, ecc. e quasi completamente sprovvisti di popolazione stabile — o tra nuclei troppi esigui [di centoduecento abitanti] dispersi in pianure o appollaiati in qualche remoto grembo di montagne) e la pletora di altre in zone di continuo incremento demografico fino ad abbracciare 3040.000 e più anime; ma si traduce spesso in ancor più numerosi casi di sperequazione tra parrocchie talora limitrofe senza che mai vi si provveda. In tutti i casi, e specialmente nei primi due, la conseguenza — ed é evidente — é la medesima: il giro a vuoto dell'organizzazione parrocchiale che non riesce a far presa sull'ambiente circostante.
Scriveva, ad es., « un parroco di campagna» sull'Assistente Ecclesiastico del maggio '52: «Poiché il S. Padre parla accoratamente del problema delle parrocchie troppo numerose, un problema forse più complesso é quello della parrocchie troppo piccole. Per il semplice fatto che se il primo è un problema di s[...]

[...]rrocchie talora limitrofe senza che mai vi si provveda. In tutti i casi, e specialmente nei primi due, la conseguenza — ed é evidente — é la medesima: il giro a vuoto dell'organizzazione parrocchiale che non riesce a far presa sull'ambiente circostante.
Scriveva, ad es., « un parroco di campagna» sull'Assistente Ecclesiastico del maggio '52: «Poiché il S. Padre parla accoratamente del problema delle parrocchie troppo numerose, un problema forse più complesso é quello della parrocchie troppo piccole. Per il semplice fatto che se il primo è un problema di salvezza d'anime, il secondo é un problema di salvezza d'anime e del pastore di queste anime...
«Un sacerdote di 142 anime come il sottoscritto, ha l'ambiente, il campo sufficiente per svolgere la sua attività ?... come può concepire una sezione aspiranti e prejù dove ad averli tutti quelli esistenti nella parrocchia sarebbero 2 aspiranti e 2 prejú?... Come concepire il catechismo per classi quando si hanno 10 figlioli dalla 1a elementare alla 91.? Un bell'oratorio... ma dove rubare i s[...]

[...]i abita nell'estate e nell'inverno scende al piano o vi abita d'inverno e nell'estate si sparpaglia sulle cime dei monti e degli alloggi... ».
Mutatis mutandis i quesiti si pongono anche per le non poche parrocchie onorarie dei massimi centri cittadini. Ma nelle grandi città questo rimane sempre un problema assolutamente secondario di fronte all'urgenza e alla gravità del fenomeno d'elefantiasi che caratterizza le parrocchie di periferia. Tanto più che l'urbanesimo non é stato arginato neppure dalle tragiche esperienze dell'ultima guerra, anzi ne é uscito accentuato. Già un secolo fa l'Italia era all'avanguadia dei paesi europei coi suoi 10 centri con oltre 100.000 abitanti — al principio dell'800 tali centri erano ancora (sin dal 1500) soltanto sei: Napoli Venezia Milano Palermo Roma e Genova sostituitasi da poco a Messina spopolata dal terremoto del 1783 —; ma il fenomeno si accelerò soprattutto nel nostro secolo (12 centri con oltre 100.000 ab. nel 1900; 22 nel 1936). Ed è constatabile in modo non meno perspicuo nell'incremento di po[...]

[...]il fenomeno si accelerò soprattutto nel nostro secolo (12 centri con oltre 100.000 ab. nel 1900; 22 nel 1936). Ed è constatabile in modo non meno perspicuo nell'incremento di popolazione dei centri superiori ai 20.000 ab. 54 nel 1865, nel 1931 eran ben 142; ma mentre nel 1861 abbracciavano appena 1'11% dell'intera popolazione, nel 1931 ne comprendevano circa un quarto. 15 di questi centri (9), inoltre, videro nel settantennio aumentare 4 volte e più la loro popolazione: La Spezia ben 15 volte, Sesto S. Giovanni 13.
E facile immaginare le conseguenze di questi ininterrotti spostamenti di popolazione dalla campagna ai centri industriali o marittimi sull'organizzazione parrocchiale delle città. Una trascrizione esteriore del fenomeno la nota a prima vista anche il visitatore più superficiale: persino là dove si é provveduto a vendere e smantellar le chiese e le cappelle secondarie del centro, la differenza tra il numero degli edifici di culto situati entro la vecchia cerchia e quelli esterni é di una sproporzione impressionante. E, si sa, la ra
(9) La Spezia, Pola e Taranto, porti militari; Savona, Bari, Brindisi e Fiume, porti commerciali; Sesto San Giovanni, Legnano, Lecco e Varese, centri industriali; Merano, stazione climatica; e Torre Del Greco, limitrofa d'una grande città.
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rità delle chiese (ossia delle parrocchie) è d[...]

[...]la e Taranto, porti militari; Savona, Bari, Brindisi e Fiume, porti commerciali; Sesto San Giovanni, Legnano, Lecco e Varese, centri industriali; Merano, stazione climatica; e Torre Del Greco, limitrofa d'una grande città.
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 55
rità delle chiese (ossia delle parrocchie) è direttamente proporzionale al numero dei fedeli che vi sono aggregati. Nei casi migliori,
il rimedio segue sempre il male, non lo previene; più spesso poi la mancanza di mezzi convince a soluzioni provvisorie o a compromessi che, invece di ritardare, finiscono per precipitare la crisi anzidetta.
Per esemplificare, il caso di Roma non è il meno significativo. Nel 1823 — è inutile spingersi troppo indietro nel tempo, nel
sec. XIV ad es., quando Roma aveva non meno di 261 parrocchie, che nel sec.. XVI erano ancora 132 —, nel 1823 la città toccava appena i 138.000 abitanti ed essi erano distribuiti in 81 parrocchie, con la media di 1680 anime per parrocchia. Una media anche troppo confortevole all'apparenza, ma che, in realtà, nasconde[...]

[...] parrocchie *avevano meno di 500 anime,, 19 non arrivavano a mille, 43 oscillavano tra le mille e le tremila: le punte massime erano toccate da S. Maria del Popolo con 4338, San Lorenzo in Damaso con 4768, S. Francesco di Paola con 7536 e San Lorenzo in Lucina con 10800. Leone XII perciò venne nella determinazione, che attuò nel 1824, di ridistribuire la città in 44 sole parrocchie, elevando bensì la media d'anime a 3147 per parrocchia, ma senza piú sperequazioni e assicurando da 3 a 5 sacerdoti per ciascuna. In queste condizioni la cura d'anime tornava ad essere ideale. La situazione rimase press'a poco stazionaria per mezzo secolo. Con l'occupazione italiana del '70 e l'elevazione della città a capitale d'Italia, la crisi di crescenza scoppiò, come é noto, tragicamente. Per quel che ci riguarda, basterà dire che, sul principio del novecento, quando la popolazione toccava già il mezzo milione d'abitanti, si davano parrocchie (salite nel frattempo a 58) con 40.000 anime, come S. Maria Maggiore, e con 30.000 come S. Giovanni in Laterano, [...]

[...] mondiale, ten
(10) Abbiamo ricavato queste notizie dal volume La cura d'anime nelle grandi città di H. Swoboda (prof. di teol. past. all'Univ. di Vienna), tr. it. Roma, 1912: la prima pubblicazione in tutta la letteratura internazionale che affrontò exprofesso il problema, e di cui fu notevolissima l'eco nel mondo cattolico.
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tare mezzi radicali contro una situazione che nel frattempo si era veramente incancrenita. Alle prime piuttosto disorganiche provvidenze fece seguire, come si é detto, nel 1930, la fondazione dell'Opera per la Preservazione della Fede e la provvista di nuove chiese in Roma, che realizzò enormi progressi. Senonché, dopo la seconda guerra mondiale, la popolazione sali a circa 2 milioni di abitanti amministrati spiritualmente da 133 parrocchie; con la di stribuzione media di 15.000 per parrocchia.
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Il fenomeno dell'urbanesimo tuttavia — e nessuno lo ignora —é ben più grave per le conseguenze morali che non per il difficile assetto topograficologistico (se così ci si può esprimere) che impor ne.[...]

[...]he provvidenze fece seguire, come si é detto, nel 1930, la fondazione dell'Opera per la Preservazione della Fede e la provvista di nuove chiese in Roma, che realizzò enormi progressi. Senonché, dopo la seconda guerra mondiale, la popolazione sali a circa 2 milioni di abitanti amministrati spiritualmente da 133 parrocchie; con la di stribuzione media di 15.000 per parrocchia.
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Il fenomeno dell'urbanesimo tuttavia — e nessuno lo ignora —é ben più grave per le conseguenze morali che non per il difficile assetto topograficologistico (se così ci si può esprimere) che impor ne. Esso si accompagna infatti con una serie di manifestazioni che si traducono in altrettanti ostacoli all'influenza dell'organismo parrocchiale cittadino. Si pensi alla continua fluttuazione (nell'interno, dall'interno all'esterno e viceversa) della popolazione; all'eterogeneità di provenienza degli immigrati; al loro lento e difficile amalgamento col nuovo ambiente e con le nuove tradizioni religiose; alla dispersione e al livellamento di vecchi e nuovi cittadini ne[...]

[...]zato soprattutto le masse distogliendole dalle severe meditazioni sull'al di là e sui destini dell'anima che caratterizzano le popolazioni rigidamente cristiane. Il primo treno del regno di Napoli (Napoli Caserta) nel 1830 sostava ancora davanti alle cappelle ed evitava le gallerie per non offrir occasione di peccato ai viaggiatori. Ma ben presto la civiltà della macchina preferì sciogliersi da tutti gli scrupoli sino a proporsi come l'antitesi più completa possibile dello spirito del cristianesimo. Ma son motivi troppo risaputi perché occorra rievocarli qui per esteso, né urge davvero ricordare che tutto questo processo fu ancor più agevolato dalla situazione storica determinatasi dalla cri si politicoreligiosa che aspreggiò per tutto il suo corso dal 1861 al 1929 il nostro Risorgimento.
A che punto sia giunta la scristianizzazione della popolazione cittadina dei nostri centri non si può purtroppo dire con precisione. Anche prescindendo dal fatto che il sentimento religioso, essendo del tutto intimo, non può cadere sotto controllo e non può quindi dedursi con certezza assoluta dalla pratica esteriore, mancano del tutto le statistiche di quest'ultima per il secolo scorso e sono scarsissime per il nostro. Il primo tentati[...]

[...]o intimo, non può cadere sotto controllo e non può quindi dedursi con certezza assoluta dalla pratica esteriore, mancano del tutto le statistiche di quest'ultima per il secolo scorso e sono scarsissime per il nostro. Il primo tentativo, e quanto mai limitato, di statistica religiosa fatta in Italia risale al 1915 ed é relativo ad una parrocchia romana: quella di San Saba che allora contava soltanto 1453 abitanti suddivisi in 287 famiglie, per lo più giovani, per il 40% di impiegati o professionisti, per il resto in maggioranza d'operai qualificati. Secondo G. B. Rossi, il parroco autore della statistica (11), il 30% delle famiglie eran praticanti, il 48% indifferenti, il 20,5% dichiaratamente antireligiose (acattoliche solo 4): e a queste ultime risaliva il tono anticlericale del quartiere.
Poi bisogna attendere il 1935 e il 1940 per leggere in due libretti apostolici, pubblicati anonimi dal gesuita milanese p. Corti (Ut vitam habeant, Vivere in Cristo) delle statistiche di cui non si può molto avvallare l'obiettività: secondo tali stat[...]

[...], nelle par
(11) «Ciò che possono dire i dati statistici di una parrocchia », in Vita e Pensiero del 25 nov. 1915, pp. 289300.
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rocchie cittadine 1'80% dei giovani e degli uomini si sarebbe astenuto dalla messa domenicale con punte del 90 e persino del 97% nell'astensione del precetto pasquale.
Attualmente i sondaggi statistici son diventati anche da noi abbastanza di moda; ma i metodi con cui vengono effettuati sono,
per lo piú, tutt'altro che scientifici. Secondo i dati attinti da p.
Droulers s.j. e da A. Rimoldi (12), a Roma la pratica pasquale nel 1950 era del 10% da parte degli uomini e dei giovani, mentre la
messa festiva toccava il 2530% degli obbligati (donne comprese). Dello stesso anno é un'inchiesta condotta dall'A.C. a Milano: nella capitale lombarda la frequenza alla messa festiva sarebbe variata, nelle varie parrocchie, con percentuali dal 14 al 36% (i giovani dal 6 all'8%, gli uomini dal 3 al 4%); il precetto pasquale avrebbe invece il 38% della popolazione mentre la dottrina domenicale solo l'1%.
I[...]

[...]ini e dei giovani, mentre la
messa festiva toccava il 2530% degli obbligati (donne comprese). Dello stesso anno é un'inchiesta condotta dall'A.C. a Milano: nella capitale lombarda la frequenza alla messa festiva sarebbe variata, nelle varie parrocchie, con percentuali dal 14 al 36% (i giovani dal 6 all'8%, gli uomini dal 3 al 4%); il precetto pasquale avrebbe invece il 38% della popolazione mentre la dottrina domenicale solo l'1%.
Il prospetto più esauriente sulla pratica d'un capoluogo medio di provincia é stato dato da don Aldo Leoni (13) a proposito di Mantova che, nel 1948, l'anno base delle sue statistiche, contava 56.262 ab. suddivisi in undici parrocchie. In quell'anno, su 60 nati (sic), 9 non furono battezzati (o almeno non risultarono battezzati nel febbraio '49), 5 matrimoni su 383 e 4 funerali su 699 furono celebrati col solo rito civile. Alla messa festiva soddisfaceva normalmente più d'un terzo della popolazione (35%): delle donne il 47%, degli uomini il 24% (cioè neppure un quarto). Tra costoro i giovani erano il 31%, gli[...]

[...]riente sulla pratica d'un capoluogo medio di provincia é stato dato da don Aldo Leoni (13) a proposito di Mantova che, nel 1948, l'anno base delle sue statistiche, contava 56.262 ab. suddivisi in undici parrocchie. In quell'anno, su 60 nati (sic), 9 non furono battezzati (o almeno non risultarono battezzati nel febbraio '49), 5 matrimoni su 383 e 4 funerali su 699 furono celebrati col solo rito civile. Alla messa festiva soddisfaceva normalmente più d'un terzo della popolazione (35%): delle donne il 47%, degli uomini il 24% (cioè neppure un quarto). Tra costoro i giovani erano il 31%, gli adulti il 17%. Il precetto pasquale era osservato dal 57% della popolazione obbligata, con la solita prevalenza delle donne sugli uomini. Le funzioni vespertine domenicali invece raccoglievano soltanto il 6% della popolazione (« per lo più l'assemblea é costituita da donne [e da donne attempate] »). La stessa percentuale valeva per gli iscritti all'A.C., con netta prevalenza degli elementi giovani sugli adulti.
(12) «La Sociologia religiosa in Italia », in Scuola Cattolica, 1952, IIIII.
(13) Sociologia e Geografia religiosa di una Diocesi, Roma, Pont, Univ. Gregoriana, 1951.
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Queste poche statistiche, anche se scarse, non mancano d'essere eloquenti. Ma é forse migliore la situazione nelle campagne? Un tempo era senz'altro così. Nel 1874 eran solo zelo e preveggenza che ispiravano al seg[...]

[...]estemmia e ai frustoli d'immonde gazzette... Quando si vede questa gente (le popolazioni delle campagne) che rispetta anche il prete, che osserva i comandamenti di Dio, che pone anche una croce a tutela della propria fortuna, che resiste insomma in qualche guisa alla propaganda delle idee sovversive della mente e del cuore, fa duopo cavarsi il cappello e pensare che molto probabilmente si avrà bisogno delle rozze lane per rinsanguare di un umore più cristiano questa fracida società!... Ma se nelle popolazioni campagnole ci sembra con fondamento ravvisare un elemento di ordine, di cui a un dato momenta pub sentirsi provvidenzialmente vantaggiata la società, é naturale che quanti siano desiderosi e deliberati anzi a prestare il nostro umile concorso sotto il vessillo di. Gesù Cristo alla restaurazione del suo regno sulla terra, incomba il debito di non trascurare una risorsa, la quale si presenta con caratteri fondamentali... Preservare le
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popolazioni agricole dal contagio pestilenziale delle idee rivoluzionarie, irreli[...]

[...]zioni agricole dal contagio pestilenziale delle idee rivoluzionarie, irreligiose e socialiste che emanano dalla società, e mantenerle affezionate alla vecchia fede, alle vecchie abitudini, alla loro tradizionale vita di agricoltori: ecco dove pub il laicato coadiuvare poderosamente l'opera della Chiesa, lo zelo apostolico del clero» (14).
Ancora dodici anni dopo, in una sua pastorale (15), mons. Bonomelli definiva la classe rurale italiana « la più vigorosa e morale, l'elemento più forte e sicuro della tranquillità pubblica e il contrappeso più efficace delle idee sovvertitrici dei grossi centri. Dispersi in mezzo alle campagne, legati alla propria famiglia e fermi agli insegnamenti che ricevono nella loro parrocchia, centro della loro vita profondamente informata a religione, i contadini si sono serbati fin qui quasi immuni dal contagio scettico, irreligioso e antisociale... »; e tali idee lasciava che si ripubblicassero senza aggiornamenti restrittivi nel 1910. Anche prima della guerra del '15, però, i germi della crisi attuale incominciarono a fermentare nel contadino italiano e se ne videro i primi frutti a conflitto concluso. P[...]

[...]adini.
«Le campagne si stanno letteralmente scristianizzando. Ecco perché
ho detto: Attenti ai contadini!
(14) citato dal DE ROSA, op. cit., pp. 8788.
(15) Questioni sociali del giorno, Roma, 1910.
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 61
«In Umbria, in Toscana, nelle Marche, in Piemonte, in Romagna e nell'Abruzzo la strage è in piena azione. Vengono a ruota la Lombardia, l'Abruzzo [sic!], la Calabria, e la Sicilia. Ultima verrà la Sardegna. Più resistente il Veneto.
«I parroci che assistono al diradarsi delle masse nelle chiese si illudono pensando che quello debba essere un fenomeno transitorio dovuto al dopoguerra, ai giornali anticlericali, alla politica, ecc.
«No, purtroppo no, è un fenomeno che sarà duraturo e che aumenterà man mano che la tradizione crollerà sotto i colpi della vita moderna... ».
Naturalmente si é anche cercato di enucleare le cause di questo mutamento. In genere si suol distinguerle in esterne ed interne. Le prime coincidenti, da una parte, con l'evoluzione economica, sociale e politica dei rurali; dall'al[...]

[...]i rurali; dall'altra, con la deficienza numerica del clero e con quella qualitativa della sua azione; le seconde radicate nelle caratteristiche stesse della religiosità del contadino, definita come superficiale (perché incolta e ignorante), superstiziosa (e quindi egoista e materialista) e perseverante solo perché appoggiata a un complesso sentimentalmente ancor solido di tradizioni secolari.
Queste ultime, non c'é dubbio, se vere, sarebbero le più preoccupanti. Ma, in ogni caso, esse eran le medesime mezzo secolo fa, quando era di moda esaltare ditirambicamente le campagne come le riserve delle energie più sane della religione. Il crollo del mondo religioso rurale va quindi attribuito in definitiva agli agenti cosiddetti esterni, la cui azione però ha penetrato anche intimamente la coscienza e lo spirito del contadino. Nel tempio della sua religiosità, cioè, prima che le pareti ne cadessero in frantumi, si erano sostituiti al dio tradizionale, numerosi e tenaci idoli; quelli stessi che poi regnarono sulla sua intera vita scristianizzata. Così l'aumentato benessere materiale seguito al mutamento dell'economia di bisogni in quella di scambi, ne accrebbe il materialismo; i contatti col cosiddetto [...]

[...]enza e lo spirito del contadino. Nel tempio della sua religiosità, cioè, prima che le pareti ne cadessero in frantumi, si erano sostituiti al dio tradizionale, numerosi e tenaci idoli; quelli stessi che poi regnarono sulla sua intera vita scristianizzata. Così l'aumentato benessere materiale seguito al mutamento dell'economia di bisogni in quella di scambi, ne accrebbe il materialismo; i contatti col cosiddetto mondo del progresso attraverso una più diffusa cultura, il giornale, il cinema, la radio, ne naturalizzarono le credenze (Dio, Provvidenza) ispirandogli un concetto quasi magico del potere della scienza e della tecnica; l'emigrazione o l'invasione della città, distruggendo il suo primitivismo, ne solleticarono e sferzarono il desiderio di piaceri, di comodità, di lusso. Infine i miti. politici,
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con la lotta di classe, sopraggiunti (da noi) buoni ultimi, ebbero facile giuoco agitando i noti slogans sull'alleanza tra clero e capita listi, sulla religione come sfruttamento, sul paradiso in terra come antitesi del p[...]

[...]nnaires de la France rurale, Paris, 1945, ridotto in it. Nelle parrocchie di campagna a cura. di G. Barra, Brescia, 1948. — Un'altra divisione é stata proposta da N. Bussi (« Il problema rurale » ne L'Ass. Eccl., 1947, V), ma solo ap parentemente diversa.
i
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LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA
dro odierno é pure diverso dai precedenti: la diocesi non presenta ormai quasi affatto zone di unanime osservanza, ma solo zone di forte o tutt'al più fortissima osservanza, miste a tante altre di in differenza, anche nelle campagne, e ovunque profonde differenze fra i sessi, i gruppi di eta, le classi sociali. Insomma, l'osservanza, un tempo normale, é divenuta il fatto d'una parte della popolazione» (17).
Le statistiche specifiche attestano tra l'altro come nel 1948 su 4922 nati, 30, pari al 6% [sic!], non erano stati battezzati; come su 2506 matrimoni; 15 (0,6%) lo erano stati col solo rito civile; e altrettanto 22 funerali su 2738 compiuti col rito religioso. Percentuali in sé e per sé più che ottime se, paragonate a quelle degli anni [...]

[...]in differenza, anche nelle campagne, e ovunque profonde differenze fra i sessi, i gruppi di eta, le classi sociali. Insomma, l'osservanza, un tempo normale, é divenuta il fatto d'una parte della popolazione» (17).
Le statistiche specifiche attestano tra l'altro come nel 1948 su 4922 nati, 30, pari al 6% [sic!], non erano stati battezzati; come su 2506 matrimoni; 15 (0,6%) lo erano stati col solo rito civile; e altrettanto 22 funerali su 2738 compiuti col rito religioso. Percentuali in sé e per sé più che ottime se, paragonate a quelle degli anni precedenti, non rivelassero un crescendo costante, anche se modesto (nel 1940 le unioni civili furono soltanto 9 — 0,36% —, i funerali civili 10 — 0,3% — saliti nel 1946 a 17). Ma non è in queste cerimonie solenni e impegnative, dove il peso della tradizione si fa più sentire, che si deve cercare l'attestato della vivezza della fede tra la tradizionalissima gente dei campi. L'osservanza del precetto festivo e pasquale é assai più sintomatica. E qui le cifre sono molto meno entusiasmanti. Se il precetto pasquale infatti vede ancora il 60% dei contadini assolverlo, quello festivo ne recluta soltanto il 37% (una percentuale non troppo lontana dalle medie cittadine). Che poi sui totali diocesani il precetto festivo sia soddisfatto da 1/3 di adulti, da 2/5 di giovani, da 1/2 di bambini commenta il Leoni — non è senza significato. (( Si tratta evidentemente di una progressiva diminuzione di praticanti, probabilmente coincidente con la crescita dell'individuo e da essa causata. Scarti tanto sensibili non sono certo conforte[...]

[...]. cit., p. 5.
(18) op. cit., p. 65.
(19) op. cit., p. 76.
64 CARLO FALCONI
cipazione alle funzioni vespertine domenicali: il 6,2% come media diocesana — di poco inferiore a quello delle comunioni domenicali (quindi neppure i devoti vi partecipano al completo) —; e nella forte diminuzione delle vocazioni ecclesiastiche: dal 1945 al 1948 1' 1,7% su mille nati maschi di fronte al 4% del quinquennio 19401944 e al 3,8% del quinquennio 193539.
Ma più che queste singole statistiche (che il lettore può vedere sottilmente analizzate dall'a. nel suo ottimo studio) interessano nell'opera citata, i riconoscimenti relativi ai rapporti tra la religiosità delle zone rurali da una parte e la popolazione delle rispettive parrocchie, le zone pedologiche, il movimento demografico, la solidità dell'istituto familiare, lo sviluppo della cultura, la politica e la lotta sociale dall'altra (i rapporti fra sesso e religiosità e età e religiosità sono ovvi e non vi indugeremo). Circa i fenomeni relativi alla distribuzione della popolazione si apprende tra l'[...]

[...]ali da una parte e la popolazione delle rispettive parrocchie, le zone pedologiche, il movimento demografico, la solidità dell'istituto familiare, lo sviluppo della cultura, la politica e la lotta sociale dall'altra (i rapporti fra sesso e religiosità e età e religiosità sono ovvi e non vi indugeremo). Circa i fenomeni relativi alla distribuzione della popolazione si apprende tra l'altro che « dove c'è minor dispersione c'è una pratica religiosa più intensa e dove c'è maggior dispersione c'è una pratica più debole» (20) e che «ove minore é la densità, ivi abbiamo notato minor pratica religiosa» (21): infatti il Basso Mantovano — cioè la zona che presenta soltanto parrocchie notevolmente popolose, è il meno praticante (22). Ma anche la coincidenza tra le zone religiose e quelle pedologiche non é meno sorprendente: « Composizione, configurazione, giacitura altimetrica e grado di permeabilità del terreno ci spingono a riconoscere nel territorio diocesano una zona morenica e ghiaiosa, bibula, di alta pianura, corrispondente in gran parte a quella da noi chiamata, sotto l'aspetto religioso, Alto Mant[...]

[...]sono — sempre secondo il Leoni — conseguenze del diminuito senso religioso. La diminuzione di fecondità nel mantovano è un dato incontestabile (nel quinquennio 19251929: 9565 nati vivi, pari al 24%; nel quinquennio 193034: 8607, pari al 21,6%; nel quinquennio 193539: 8074, pari al 19,9%); e altrettanto quella delle nascite illegittime, dovuta al maltusianesimo e alle pratiche abortive: ((la contrazione dell'indice delle nascite illegittime forse più della denatalità ci sospinge verso la stessa conclusione, che l'allontanamento della pratica religiosa incide negativamente sulla moralità coniugale e individuale ». Anche (( le famiglie patriarcali non esistono [ormai] più ». Già nel 1936 le famiglie con 7 e più membri (compresi parenti ed estranei) erano appena un quinto, ma anche la loro compattezza interna non é certo più assoluta se si pensa ai fortissimi scarti fra uomini e donne e tra gruppi d'età nella pratica religiosa. Quanto ai concubinati notori, essi toccherebbero la media di 8 su mille famiglie, 6 nell'Alto e Medio M., più credenti, 12 nel Basso, più irreligioso.
Tra le più imprevedute ammissioni del nostro autore va però riconosciuta quella sui rapporti tra cultura e religiosità. Ammesso che oggi il 97% dei fanciulli frequenta regolarmente la scuola obbligatoria e che l'analfabetismo residuo é più diffuso nelle donne che negli uomini (12% delle prime e 8% dei secondi nel 1931), egli dice testualmente: (( Confrontando lo stato dell'istruzione con i dati della pratica religiosa della fine del secolo scorso e del momento attuale, si rileva il parallelismo tra analfabetismo e intensa pratica religiosa da una parte, istruzione e scarsa pratica religiosa dall'altra, suffragato dalla considerazione che gli uomini, tra i quali si contano ormai pochissimi indifferenti, sono meno praticanti delle donne, tra le quali l'analfabetismo è un pa' più diffuso. E questa concordanza é di natura assai sim[...]

[...]stualmente: (( Confrontando lo stato dell'istruzione con i dati della pratica religiosa della fine del secolo scorso e del momento attuale, si rileva il parallelismo tra analfabetismo e intensa pratica religiosa da una parte, istruzione e scarsa pratica religiosa dall'altra, suffragato dalla considerazione che gli uomini, tra i quali si contano ormai pochissimi indifferenti, sono meno praticanti delle donne, tra le quali l'analfabetismo è un pa' più diffuso. E questa concordanza é di natura assai simile a quelle precedentemente
(23) op. cit., p. 127.
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considerate, che si riducono in sostanza a questa formula: finché il progresso e le forme della civiltà moderna non invasero le campagne, vi fu grande pratica religiosa; col suo avvento e col suo sviluppo andò gradualmente scemando la pratica, religiosa » (24). Naturalmente ciò non significa per il sacerdote Leoni che la religione possa prosperare solo tra l'ignoranza e l'oscurantismo, beni che a il progresso civile in questi ultimi tempi ha compiuto passi da gigante e tu[...]

[...]
considerate, che si riducono in sostanza a questa formula: finché il progresso e le forme della civiltà moderna non invasero le campagne, vi fu grande pratica religiosa; col suo avvento e col suo sviluppo andò gradualmente scemando la pratica, religiosa » (24). Naturalmente ciò non significa per il sacerdote Leoni che la religione possa prosperare solo tra l'ignoranza e l'oscurantismo, beni che a il progresso civile in questi ultimi tempi ha compiuto passi da gigante e tutta la vita sociale si é trasformata sotto la sua energica spinta, anche la vita delle popolazioni rurali. Un mondo nuovo s'é venuto formando, ma alla sua formazione il Cattolicesimo, in quanto forza vitale e plasmatrice della società, é rimasto pressoché estraneo» (25): che non é poco.
***
Ma forse le osservazioni piú ghiotte si riferiscono ai rapporti tra la situazione sociale e politica da una parte e la religiosità delle popolazioni rurali dall'altra. Ed entriamo così nel terza aspetto della crisi della parrocchia: quello provocato dall'evoluzione sociale.
Non possiamo qui esporre tutti i dati raccolti dal Leoni a proposito della pratica religiosa nel mantovano secondo le varie classi sociali. Ci limiteremo a quelli relativi all'osservanza del precetto festivo e pasquale ricordando ch'egli suddivide le categorie sociali in sei gruppi: 1) proprietari terrieri, 2) affittuali diretti e mezzadri, 3) salari[...]

[...]iati
(24) op. cit., p. 149.
(25) op. cit., p. 150.
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 67
segnano la cifra minima. « In una terra ad economia prevalente
mente agricola commenta il nostro a. — ove gli addetti all'agri
coltura rappresentano i 2/3 della popolazione attiva, il fatto che 1/2 di essi (braccianti e salariati) siano assai poco praticanti, mentre gli appartenenti ad altre condizioni sociali (proprietari e fittavoli) sono del doppio più osservanti, non pue) lasciar dubbi sull'incidenza del fattore `condizione sociale' sul fenomeno religioso. Si sa infatti che nessuna professione, in genere, è più favorevole alla pratica religiosa di quella del lavoratore fissato sullo terra... » (26) e più oltre: «oggi nel Mantovano la piccola e media proprietà mostrano uno stretto legame con la pratica religiosa, mentre alla mancanza di proprietà va spesso congiunta l'indifferenza religiosa. E assai probabilmente questo stato di cose deve mettersi in relazione con la propaganda collettivistica, che trova terreno ostile tra i proprietari, ma molto adatto fra i proletari >> (27).
(Crediamo d'effetto accostare a queste statistiche d'una provin cia rurale i risultati d'un'inchiesta condotta per incarico del C.I.F. col metodo Gallup nel Gallaratese nel febbraio del '51. Il Gallara
tese — come il [...]

[...] Gallaratese nel febbraio del '51. Il Gallara
tese — come il lettore sa é una zona industriale del Varesotto
che conta oltre 70.000 ab., 20.500 dei quali sono lavoratori tessili. Seconda i dati acquisiti, l'assistenza alla messa festiva vedrebbe il 63% della popolazione (46,9% uomini, 79,2% donne) e l'osservanza della Pasqua il 77% (uomini 68%, donne 85%). L'aborto trova consenzienti il 35,8% degli intervistati, le case di tolleranza il 54,8% (più il 28% di indecisi), i rapporti extramatrimoniali il 28,3% (indecisi il 9,8%), il divorzio il 4,7% incondizionatamente, il 27% in certi casi. Vien da chiedersi se sia scalata la religiosità dei rurali o se invece sia risalita quella degli operai: ma forse é più giusto dire che si sono prudentemente equilibrate).
Per tornare alla solita fonte del Leoni — la più precisa e analitica — non abbiamo ancora osservato un particolare che costituisce come il leitmotiv dei suoi commenti statistici; e cioè il fatto che il Basso Mantovano, confinante con la «rossa Emilia» é, per co
(26) op. cit., p. 167.
(27) op. cit., p. 168.
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stante coincidenza, la zona della diocesi in cui — in evidente nettissimo contrasto con le altre — l'indifferenza religiosa segna le punte più spinte, senza accennare a una sosta nel suo metodico affermarsi. Inutile dire che dei bambini non battezzati nel 1948, 29 su 30 appartenevano a questa regione; dei matrimoni civili, 14 su 15; dei funerali civili 17 su 22. Quanta al precetto festivo, mentre gli osservanti nell'Alto e Medio M. erano rispettivamente il 47 e il 36%, nel Basso M, risultavano il 26 (i maschi adulti rispettivamente il 34, il 17 e il 10%; le femmine adulte, il 55, il 41 e il 32%). Ma sarebbe monotono continuare. Più interessante invece é constatare il moto accelerato dell'allontanamento del B. M. dalla pratica religi[...]

[...] metodico affermarsi. Inutile dire che dei bambini non battezzati nel 1948, 29 su 30 appartenevano a questa regione; dei matrimoni civili, 14 su 15; dei funerali civili 17 su 22. Quanta al precetto festivo, mentre gli osservanti nell'Alto e Medio M. erano rispettivamente il 47 e il 36%, nel Basso M, risultavano il 26 (i maschi adulti rispettivamente il 34, il 17 e il 10%; le femmine adulte, il 55, il 41 e il 32%). Ma sarebbe monotono continuare. Più interessante invece é constatare il moto accelerato dell'allontanamento del B. M. dalla pratica religiosa pur nel generale riflusso a cui sottostanno anche le altre due partizioni del territorio. L'osservanza del precetto pasquale nel 1885 e nel 1948 segnava queste percentuali (% della popolazione complessiva) nell'A. M. e B. Mantovano: 82,3 75 e 77% nel 1885; 69, 61 e 51 nel 1948, con uno scarto rispettivamente di 13,3 14 e 26. Poiché le condizioni sociali tra le tre regioni e specialmente tra la prima e la terza allo stato attuale non sono sostanzialmente dissimili, un motivo plausibile (ol[...]

[...]a [nell'annessa cartina] quanto la parte alta della Diocesi differisce dalla parte bassa. Lassù tutto indica chiaramente come il Fronte [Popa lare] non abbia raggiunto il 50% dei voti nella maggior parte dei comuni; nell'oltrePo invece, sezione occidentale, addirittura la situazione é capovolta, mostrando che li il Fronte raggiunse almeno i '2/3 e spesso i 3/4 dei suffragi, mentre nella zona sudorientale é chiaro che il Fronte raggiunse e per lo più superò 1/2 dei voti. Tra l'una e l'altra zona opposte tra loro, si stende il M. M., che raccoglie elementi dell'una e dell'altra, senza confondersi con nessuna delle due. Se proprio si vuol trovargli una rassomiglianza, diremo che la sua situazione politica s'avvicina a quella della sezione orien
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tale dell'oltrePo M.» (28). «Ancora una volta ci troviamo quindi di fronte a solidarietà umane, i partiti politici, che, come le condizioni e le classi sociali, denunciano profondi contrasti, quasi perfettamente corrispondenti per la misura, il modo e la local[...]

[...]lgeva una funzione mediatrice tra i due e proteggeva il contadino dagli arbitrii del signore. Si trattava di una mediazione corporativa tra due classi economiche che vivevano unificate in una stessa concezione teocratica e religiosa della vita. La divisione del lavoro e la separazione dei due poteri, civile e religioso, introdotti dalla «rivoluzione », hanno tolto all'autorità religiosa questa funzione, senza pers riuscire a sostituirvi un altro più organico rapporto» (30). Più tardi le rivendicazioni sociali degli stati proletari promosse dal socialismo anticlericale scavarono ancor più quell'abisso che, artificialmente colmato durante il fascismo, é tornato a riaprirsi in questo dopoguerra con una inesorabilità preoccupante per la Chiesa. Combattuto come alleato delle classi conservatrici, il clero assiste oggi non più soltanto all'esodo delle masse popolari ma addirittura alla loro riorganizzazione in antichiesa, e quasi ogni parrocchia — fatto nuovissimo nella storia del nostro
paese si trova oggi opposta, nel suo stesso territorio, un'antipar
rocchia laica, quasi sempre piú fanatica nella sua fede, più ferrea nella sua disciplina, più audace e fattiva nella sua azione. Sino a
(28) op. cit., p. 178.
(29) op. cit., p. 180.
(30) op. cit., p. 89.
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pochi anni fa, gli indifferenti e i dissidenti della campagna restavano ai margini della vita parrocchiale: non ne uscivano quasi mai completamente e soprattutto non si organizzavano mai contro di essa. Oggi per la prima volta in Italia, il parroco è divenuto pastore d'una sola porzione del suo gregge, da (( uomo di tutti » è stato ridotto a «uomo di parte ».
LE CONTROMISURE
Naturalmente la Chiesa non s'è accontentata di gettare l'allarme a proposito della cris[...]

[...]ta in Italia, il parroco è divenuto pastore d'una sola porzione del suo gregge, da (( uomo di tutti » è stato ridotto a «uomo di parte ».
LE CONTROMISURE
Naturalmente la Chiesa non s'è accontentata di gettare l'allarme a proposito della crisi della parrocchia, ma ha tentato e tenta di fermarla e di vincerla. In Italia, però, questo non è avvenuto con esperimenti tosi vistosi, come ad es. in Francia (dove, d'altra parte, la situazione era assai più grave), bensì con una più ligia conformità alle tradizioni, modernizzando cautamente i metodi sia dell'organizzazione che dell'azione. Invano perciò si cercherebbero da noi o delle originali teologie della parrocchia o dei coraggiosi manuali di pastorale per i parroci. Quanto alle prime, l'unico abbozzo (dovuto al domenicano Spiazzi) è un riecheggiamento d'una tesi di laurea di Adam Josefcyk (31); per i secondi non brillan certo di originalità i lavori anteguerra di un Portaluppi (32) o di uno Stocchiero (33) (quest'ultimo, per altri lati, notevole) o quelli più recenti del Faggioli (34) e d'altri. L'iniziativa editor[...]

[...]ne che dell'azione. Invano perciò si cercherebbero da noi o delle originali teologie della parrocchia o dei coraggiosi manuali di pastorale per i parroci. Quanto alle prime, l'unico abbozzo (dovuto al domenicano Spiazzi) è un riecheggiamento d'una tesi di laurea di Adam Josefcyk (31); per i secondi non brillan certo di originalità i lavori anteguerra di un Portaluppi (32) o di uno Stocchiero (33) (quest'ultimo, per altri lati, notevole) o quelli più recenti del Faggioli (34) e d'altri. L'iniziativa editoriale più interessante in materia è forse quella, assai modesta, affrontata dalla Morcelliana con la collana di saggi pastorali diretta da Giovanni Barra e consistente esclusivamente in traduzioni dal francese (35).
Da noi s'è anche cercato, specie dal '36, di diffondere nella coscienza dei cattolici un più vivo senso della parrocchia. A tale scopo hanno scritto manualetti abbastanza agili il Cavagna (36), il Feli
(31) cfr. R. SPIAZZt o. p., « Spunti per una teologia della Parrocchia », in Scuola Cattolica, 1952, I, pp. 2642, dove è riassunti la tesi del J. dal titolo A modern parish as modelled in the life of the Cenarle, edita a Friburgo (Svizzera) nel 1951.
(32) Noi Parroci, Milano, 1941.
(33) Pratica Pastorale, Vicenza, 1942, e ed.i successive.
(34) Il buon Pastore, Torino, 1944, — Si veda anche Ros. PERENNA, Innovazioni o rinnovamento della Parrocchia?, Como, 1950.
(35) Autori, il Godi[...]

[...]o, 1944, — Si veda anche Ros. PERENNA, Innovazioni o rinnovamento della Parrocchia?, Como, 1950.
(35) Autori, il Godin, il Loew, il Boulard, ecc.
(36) La Parrocchia e la vita cristiana, Torino, 1936.
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ci (37), e il Chiesa (38), per citarne qualcuno. E Tito Casini, il o poeta parrocchiano `» come lo ha definito Giuliotti, ha scritto sulla Parrocchia un fluido libretto (39). Ma hanno certo giovato molto di più le campagne di studio promosse sull'argomento dall' A. C. in tutte le sue associazioni (40).
Il senso della parrocchia, rialimentato così nel clero e nel laicato credente, ha dato una certo eco al problema e favorito una discreta rinascita della vita parrocchiale. Esso tuttavia non poteva costituire che un'atmosfera propizia all'azione riformatrice: la vera e propria riforma avrebbe invece dovuto estrinsecarsi attraverso l'eliminazione puntuale e metodica delle singole cause della crisi.
Che cosa sia stato fatto a proposito della disfunzione territoriale di molte : parrocchie s'è in parte a[...]

[...]arrocchie realizzata nei vari centri urbani da Milano a Napoli, da Genova a Bari. Ma che il problema dell'elefantiasi delle parrocchie cittadine, specie periferiche, sia tutt'altro che risolto lo attestano i recentissimi discorsi di Pio XII. Il problema é spesso complicato dalla scarsezza numerica del clero disponibile e il Papa é giunto persino ad approvare, per la sua Diocesi, il sistema cosiddetto di patronato, secondo il quale alcune diocesi più favorite per numero di sacerdoti possono (( adottare l'una o l'altra parrocchia di Roma in guisa di provvederla del numero di sacerdoti di cui ha bisogno ». Estendendo il metodo, qualcuno (41) ha addirittura auspicato la possibilità di vere e proprie emigrazioni interne (tra diocesi e diocesi) di giovani sacerdoti o di seminaristi,
(37) L'Uomo di tutti, Pisa, 1940.
(38) Parrocchia e parrocchiani, Alba, 1936.
{39) ed. Fiorentina, Firenze, 1937.
(40) sulla base di manuali come Luci sul cammino (per le dirigenti di gruppo), Roma, 1935; ecc.
(41) A. LISANDRINI o. f. m., ne L'Assistente Eccl.[...]

[...]sul cammino (per le dirigenti di gruppo), Roma, 1935; ecc.
(41) A. LISANDRINI o. f. m., ne L'Assistente Eccl., 1952, II, pp. 325 segg.
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oltre all'utilizzazione delle prestazioni dei religiosi o dei sacerdoti non in cura d'anime.
Ma le parrocchie cittadine, anche opportunamente ridotte di superficie e di popolazione, rivelano sempre delle zone morte o inerti (secondo omissioni ufficiose esse morderebbero efficacemen te su poco piú d'un decimo della sua popolazione). Per vivificarle Pio XII ha approvato la formazione, già esperimentata qua e là per spontanee iniziative di privati, di cellule cristiane, fungenti da ritrovi spirituali aperti, nelle famiglie ospitanti, alle più libere discussioni religiose, ma dirette da sacerdoti; e l'utilizzazione di «posti provvisori» (come le cappelle interne degli istituti religiosi) per la moltiplicazione dei luoghi di culto. Quest'ultima era una realizzazione discussa da anni, ma che attende ancor oggi la sua messa in atto. Meta ultima: quasi ogni via, fuor che nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale, dovrebbe avere una sua cappella. Ma non manca chi, come il già citato Spiazzi, propane addirittura l'apertura d'un locale per il culto in ogni palazzo...
Quanto alle parrocchie lillipuziane, una recente (1952) circo[...]

[...]apertura d'un locale per il culto in ogni palazzo...
Quanto alle parrocchie lillipuziane, una recente (1952) circolare del Prefetto della S. Congregazione del Concilio diretta ai Vescovi italiani si esprimeva cosí: «In ordine a una migliore distribuzione del Clero che sia proporzionata alle necessità delle anime, mi si permetta di far notare che, dato il progresso e lo sviluppo delle comunicazioni stradali e dei mezzi di locomozione, non sembra piú necessario che — salvo casi particolari — piccole località di cento o duecento abitanti abbiano un proprio sacerdote, mentre vi sono regioni con un sacerdote ogni ventimila e anche trentamila cattolici, sparsi su un territorio esteso come una diocesi ». Qualche vescovo, in verità, non aveva aspettato la circolare romana per attuare il ritiro dei sacerdoti da località che non giustificavano minimamente la loro presenza e qualchedun'altro aveva persino osato la costituzione di autentici corpi di parroci o cappellani volanti (con motorizzazione autonoma o spostamenti dal centro diocesano con mez[...]

[...]ne: ma la cosa non riesce priva d'inconvenienti.
La vita collegiale del clero (nelle parrocchie cittadine, s'intende) è un altro problema tattico di molta importanza. Solo in tal modo, infatti, esso potrebbe realizzare quel lavoro organico e disciplinato che può veramente incidere sulla popolazione d'una parrocchia. Ma anche questa prospettiva é tutt'altro che facilmente raggiungibile. Per ora la collegialità si realizza soprattutto nella forma più larga di convivenza nella stessa canonica (in distinti appartamenti).
***
Alla crisi di laicizzazione ambientale la parrocchia, sia citta dina che rurale, può opporre soprattutto la vivacità delle sue varie e molteplici .attività apostoliche. (Non esclusivamente, certo, perché le opere e attività profane — come le scuole, i cinematografi, i campi sportivi, ecc. — vanno oltre il puro e semplice lavoro apostolico). S'è già detto del cambiamento notevole tra la parrocchia di 50 anni fa e quella attuale: notevole nei quadri e nell'impostazione del lavoro. Ma anche negli effetti raggiunti ? In p[...]

[...]detto del cambiamento notevole tra la parrocchia di 50 anni fa e quella attuale: notevole nei quadri e nell'impostazione del lavoro. Ma anche negli effetti raggiunti ? In proporzione, certo, no. Non di rado, anzi, i quadri d'una parrocchia finiscono per essere l'attestazione della sua impotenza anziché della sua vitaHa. Sta al senso pratico e alla giusta intuizione del parroco dotare adeguatamente la propria comunità parrocchiale degli organismi più essenziali e opportuni. Il volere ad ogni costa e subito — come spesso accade — l'impianto di tutti, significa né più "né mena che il ristagnamento della vita parrocchiale. Meglio, evidentemente, po che attività operanti che il loro cc completo » inerte. Troppe parrocchie poi mancano ancora d'uno schedario statistico e la maggior
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parte non si cura di tenerlo aggiornato. Molte iniziative, anche ottime, solo per questo fatto son poi condannate al fallimento. Per un piano d'azione veramente efficace lo schedario statistico é indispensabile.
Oggi si va diffondendo discretamente l'idea della «parrocchia comunità». Che é, del resto, il concetto di parrocchia quale risulta dall'analisi storica d[...]

[...] Circa le condizioni sociali, la deplorazione riguarda l'uniformità impressionante e pericolosa che caratterizza le associazioni, da cui « alcune categorie sono normalmente assenti ». E per l'ubicazione: «anche geograficamente l'Associazione Uomini riproduca la parrocchia, che cioè i diversi settori, in cui esso é divisa — frazioni, cascine, vie, gruppi di case — vi sian rappresentati », «...per aver poi possibilmente in ogni palazzo uno o anche più uomini di A.C. ».
L'A.C. é sostanzialmente un'attività parrocchiale. Nell'ambito territoriale della parrocchia vivono invece, specie nella città, enti ecclesiastici e apostolici che ne esorbitano per la loro autonomia giuridica e spesso, anzi, come si é visto, esercitano un'attività che, se non si può dire in vero e proprio contrasto con quella, parrocchiale, si risolve per() in una distrazione di energie e di forze di per sé appartenenti alla parrocchia. Naturalmente non mancano anche oggi gli intransigenti che vorrebbero tagliare i viveri a questi cc sleali concorrenti ». E agli epigoni de[...]

[...]e, o me
(42) y. L'Ass. Eccl., 1948, I, pp. 911.
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glio le parrocchie, non è sempre il maggior male che alcuni rivoli sian condotti a confluire altrove. Queste parole del card. Siri sono d'un assai intelligente realismo:
«...la gente la si prende dov'è, coi mezzi che realmente si mostrano atti a prenderla dov'è.
«Naturalmente la parrocchia rimane e chi vorrebbe metterlo in dubbio? il punto di partenza, il punto d'arrivo ed il più desiderata punto di riferimento; ma, poiché non basta più, occorre integrarla. Ecco la parrocchia del marciapiede.
«Gli operai in parte notevolissima non entrano più in chiesa? Che si fa? Si vanno a prendere in fabbrica. Gli studenti in iscuola, ecc. ecc.
« Occorrono dei ministri di Dio che rompano ogni rapporta colla propria comodità, ritornino alla forte e saggia audacia dei tempi apostolici e vadano incontro agli uomini che si perdono. In Italia è provvidenzialmente sorto l'Onarmo; ci sono gli Insegnanti di religione che possono diventare più uniti...
«....Tutti costar() per() devono mirare sempre a riversare alle parrocchie il frutto del loro lavoro. Ed anche questo "riversare" va accuratamente organizzata.
«Ecco la parrocchia nuova. Che gioia quando potremo abolire la parrocchia del marciapiede ed attendere la gente che verrà, perché avrà un'altra volta imparato a venire!» (43).
Nelle campagne il problema è diverso: di adattamento e insieme di integrazione. Se è vero, come in gran parte è vero, che per il contadino italiano la religione è tradizione, ritualismo, superstizione e interesse (sia pur d'ordine spirituale), ha ragi[...]

[...]seno lavorano le a Rurali Militanti» (le attiviste dell'apostolato capillare). Si sono poi organizzate squadre di volontarie del «catechismo» (che visitano periodicamente le frazioni, i casolari dispersi, ecc.). Ma i risultati migliori sono stati ottenuti, sul piano religioso, con le Missioni campestri e, su quello socialeculturale, con i Corsi Agricoli e di Economia domestica rurale, con evidente beneficio delle rispettive parrocchie.
Il punto più debole della parrocchia italiana si é comunque rivelato, a guerra finita, nella sua inefficienza sociale. Più in là del pane di S. Antonio o del ricovero dei vecchi — cioè più in là dell'elemosina saltuaria e della carità organizzata — non s'andava. Prima del fascismo (e sin dall'ultimo quarto dell'Ottocento) non era così. Il regime fascista però evocò a sé tutte le opere d'assistenza sociale e anche le parrocchie dovettero smobilitare. Nei seminari, i futuri sacerdoti crebbero così, durante l'intero ventennio, nell'ignoranza più assoluta della sociologia. La caduta del fascismo e l'esasperazione della questione sociale all'indomani della sconfitta trovaron perciò la maggior parte dei parroci impreparati alle nuove necessità. Il lavoro fatto in pochi anni tuttavia è veramente notevole, se si pensa alla difficoltà di mettersi al passo da soli o quasi con le istanze acuite dei tempi. Si può anzi dire che l'appello lanciato dal Pontefice con una circolare del 121'46 all'Episcopato italiano per mezzo della Segreteria di Stato (« Desidera il Sommo Pontefice ripetere oggi al Clero italiano l'esortazione, già rivolta da alcu[...]

[...]na delle tante opere, ma é la mobilitazione di tutta la parrocchia per la battaglia della rieducazione pratica ed organizzata della massa del papalo cristiano al precetto di Gesù ».
Un programma indubbiamente integralista e massimalista di grande interesse, ma che, al banco di prova della realtà, ci pare debba sollevare delle difficoltà quasi insormontabili. Una metodica esperimentazione, tuttavia, potrebbe tentare di renderlo mena utopistico e più accessibile. E farlo divenire, con l' A. C. nel campo dell'apostolato puro, il secondo motore fondamentale dell'istituzione parrocchiale.
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Abbiamo appena accennato sopra, decisi a non trattarne, tra
le cause della crisi della parrocchia, l'aridità dell'azione religiosa vera e propria che vi si attua: e specialmente l'aridità del culto liturgico che ne é al cuore. Ma non possiamo rinunciare a questo punto di dirne qualcosa, al ricordo soprattutto degli esperimenti francesi che, proprio sul riaccostamento del popolo alla preghiera liturgica, fanno leva per una più vitale riforma della co[...]

[...]e parrocchiale.
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Abbiamo appena accennato sopra, decisi a non trattarne, tra
le cause della crisi della parrocchia, l'aridità dell'azione religiosa vera e propria che vi si attua: e specialmente l'aridità del culto liturgico che ne é al cuore. Ma non possiamo rinunciare a questo punto di dirne qualcosa, al ricordo soprattutto degli esperimenti francesi che, proprio sul riaccostamento del popolo alla preghiera liturgica, fanno leva per una più vitale riforma della comunità parrocchiale. Naturalmente non si tratta di aumentare il decoro e il fasto delle funzioni: le statistiche fatte in Francia hanno dimostrato che esse non tediano meno di quelle manomesse l'uomo moderno, e specialmente l'operaio. Ma di rendere comprensibili e graditi i riti così da renderne ragionevole e giustificata la partecipazione. Il movimento liturgico in Italia non é stato così organico, originale e fecondo come oltralpe; ma, specialmente per mezzo dell' cc Opera della Regalità », promanata dal Gemelli e dall'Università Cattolica, ha attinto una risonanza ch[...]

[...]i quelle manomesse l'uomo moderno, e specialmente l'operaio. Ma di rendere comprensibili e graditi i riti così da renderne ragionevole e giustificata la partecipazione. Il movimento liturgico in Italia non é stato così organico, originale e fecondo come oltralpe; ma, specialmente per mezzo dell' cc Opera della Regalità », promanata dal Gemelli e dall'Università Cattolica, ha attinto una risonanza che non va sottovalutata. Il Messale quotidiano e più ancora quello festivo sono anche da noi abbastan za diffusi (sebbene tra i soli ceti devoti); ma la liturgia parrocchiale non va oltre, quasi dappertutto, la messa dialogata. E vero che le remore più gravi alla pietà liturgica sono poste proprio dal conservatorismo idolatra della Curia, ma troppo poco si tenta dai
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sacerdoti di a iniziare» i fedeli ai misteri liturgici (47). Molto più facile è solleticarne il sentimentalismo con pratiche extraliturgiche e specialmente con le devozioni mariane. Ed infatti é quello che i parroci italiani si son limitati, per lo più, a fare. Citare i fasti nefasti raccolti dall'invenzione delle Madonne Pellegrine tra il '46 e e il '48 non é davvero necessario.
Innovazioni numerose — più numerose anzi che in ogni altro campo — sono state accolte dal nostro clero nella predicazione, o meglio nelle forme esterne (sempre più pubblicitarie) della predi, cazione. Le più sensazionali riguardano la specializzazione per categorie, il ripiegamento progressivo dalle prediche alle conferenze, e l'ammissione del laicato (d' A. C., in genere) anche femminile a quello che per secoli fu un mandato gelosamente esercitato dai soli vescovi. La propaganda religiosa é divenuta così sempre più voluminosa e farraginosa, ma in diretta proporzione, ed era fatale, anche sempre più scadente: e non potrà che peggiorare se si considera che il laicato non può andar oltre una certa improvvisazione, mentre al clero manca sempre di più il tempo necessario allo studio.
***
Per uno sguardo d'insieme, quanto si é detto può bastare, se pure non è persino esuberante. Tanto più che il lettore sarà ormai soprattutto ansioso che si passi alle conclusioni. Ma su di esse non ci attarderemo, perché non sembri che si voglia imporre una valutazione soggettiva quando il vaglio obiettivo dei dati mette chiun que in grado di far benissimo da sé. Poiché tuttavia non ci par lecito sbrigarci col solito (( messo t'ho manzi », diremo che un raffronto tra il panorama della crisi e quell'o della restaurazione della parrocchia in Italia ci sembra che si chiuda in netto vantaggio della prima. La redistribuzione territoriale e logistica delle parrocchie é, infatti, da noi, un'intrappre[...]

[...]TONOLo, Parrocchia e Liturgia, Roma, 1949; e, come es. di qualche realizzazione pratica, G. BEVILACQUA, «La Vigilia Pasquale in un centro periferico», ale L'Ast. Eccl., 1952, III, pp. 174 segg.
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comunitaria, nella maggior parte dei casi, introflessa e chiusa, rivelando solo nel campo sociale una notevole facoltà di ripresa; la vita religiosa propriamente detta, infine, è proprio quella che accusa i deficit più gravi. Con questo non si vuol minimamente disconoscere gli sforzi compiuti dall'alto e dal basso clero per una riforma .adeguata dell'istituto parrocchiale. Le buone volontà non sono davvero mancate, ma i risultati sono stati piuttosto mediocri sia per lo sproporzionato aumento dei nuovi bisogni e per le reMore frapposte dai vecchi metodi e mezzi, sia, e soprattutto, per gli infausti compromessi con la politica.
Se la parrocchia infatti ha perduto terreno sul settore religioso, s'è avvantaggiata enormemente, in questi ultimi anni, su quello politico, a beneficio, s'intende, delle mire egemoniche della Chiesa. E che questa sua progressiva profanizzazione sia un bene, nessun vero credente vorrà certo sostenerlo. Si è detto della prevalenza eccessiva che nell'attuale dopoguerra hanno assunto nella parrocchia italiana gl[...]

[...]esponsabilità di questo contraltare va rivendicata al fatto che la parrocchia è quasi ovunque diventata la sede d'un partito e quasi ovunque la chiesa stessa ed il pulpito — peggio ancora, il confessionale — si son trasformati in luoghi di propaganda del partito clericale. Non per altro il parroco da «uomo di tutti» è divenuto «uomo di parte ». Ma non era forse naturale dopo ch'egli si è «partitizzato» e che la stessa parrocchia, divenuta sempre più intransigente, mette ai suoi aggregati l'autaut d'una fede politica oltre che religiosa? Che cos'è, del resto, il fine ultimo della sua preponderante attività sociale? E come si spiega la costante intensificazione di manifestazioni religiose alla vigilia delle competizioni elettorali? La stessa A. C. è davvero ancora un movimento missionario (di puro apostolato) o non piuttosto — specie dopo l'ultimo « cambio di guardia » — il cavallo di Troia delle rivendicazioni politiche della Chiesa ? Lo storico di domani non avrà certo molti scrupoli, come il cronista d'oggi che voglia ad ogni costo corazzarsi d'obiettività per tema d'esser giudicato partigiano, nel
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rispondere a questi interrogativi, tanto la realtà gli apparirà d'un'evidenza violenta.
Ebbene, quali conseguenze matureranno da questo stato di cose ? Naturalmente, non è facile prevederle. Troppi imprevisti possono sovvertire i calcoli più prudenti. Ma una cosa si può tranquillamente a[...]

[...]iche della Chiesa ? Lo storico di domani non avrà certo molti scrupoli, come il cronista d'oggi che voglia ad ogni costo corazzarsi d'obiettività per tema d'esser giudicato partigiano, nel
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rispondere a questi interrogativi, tanto la realtà gli apparirà d'un'evidenza violenta.
Ebbene, quali conseguenze matureranno da questo stato di cose ? Naturalmente, non è facile prevederle. Troppi imprevisti possono sovvertire i calcoli più prudenti. Ma una cosa si può tranquillamente asserire: e cioè che la strada della politicizzazione porterà la Chiesa a delle amare esperienze. Oggi essa sta tentando con tutte le sue forze di slaicizzare l'Italia, rimedioevizzandola in una nuova teocrazia solo apparentemente più rispettosa del progresso e aperta al riconoscimento dei valori terrestri. Dopo l'antitesi ottocentesca, stile «piononista », insomma, la sintesi novecentesca, stile «piododicista ». Ma non si concilia, sopraffacendo. Leone XIII osò assai meno, e lasciò in eredità il modernismo, il murrismo e il combismo. La reazione all'attuale progressiva egemonia clericale potrà esser forse dilazionata, ma avverrà fatalmente. E se sorprenderà la parrocchia religiosamente inaridita, quella sarà, per il Cattolicesimo italiano, l'ora più critica.
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[...]. Dopo l'antitesi ottocentesca, stile «piononista », insomma, la sintesi novecentesca, stile «piododicista ». Ma non si concilia, sopraffacendo. Leone XIII osò assai meno, e lasciò in eredità il modernismo, il murrismo e il combismo. La reazione all'attuale progressiva egemonia clericale potrà esser forse dilazionata, ma avverrà fatalmente. E se sorprenderà la parrocchia religiosamente inaridita, quella sarà, per il Cattolicesimo italiano, l'ora più critica.
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da Quinto Martini, Memorie in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]forte con le loro mitragliatrici. Quella stessa notte entrarono in molte case, presero gli uomini che erano stati segnalati come comunisti da alcuni individui del paese, e a suon di bastonate furono caricati come bestie sopra al camion e portati alla caserma dei carabinieri. Lassù c'erano i cosidetti « domatori » che rinforzavano la dose. So di "un povero uomo che, in seguito a queste bastonate, pochi giorni dopo ci rimise la pelle.
Ma il fatto piú pietoso e più inumano fu l'uccisione di un povero vecchio. Alcuni fascisti bussarono alla porta della sua casa sparando dei colpi di fucile per intimorire e chiedendo di suo figlio. Il vecchio rispose facendosi vicino alla finestra chiusa che suo figlio non c'era, e che era solo in casa. Il figlio, saputo cosa stava succedendo, s'era guardato bene dal rientrare. Quelli della strada insistevano perché si mostrasse alla finestra con la promessa che nessuno gli avrebbe tolto un capello. Il vecchio credé alla parola: acri, si affacciò, e una scarica infernale gli crivellò la testa e il petto. Cadde riverso vic[...]

[...]ti non si vedeva l'ora che venisse il giorno. Al mattino verso le dieci, dopo aver dato alle fiamme, distrutto o caricato sul camion tutto quanto si trovava nel circolo socialista, salirono su fino alla nostra casa. Era un miscuglio di uomini eccitati, che sparavano come forsennati al solo volare d'una mosca. Nessun uomo quella mattina, dopo l'accaduto, si trovava in paese o nelle case dei' contadini. Ognuno aveva pensato a rimpiattarsi nel modo più sicuro. _ Aiutai il babbo a nascondersi nel fienile. Gli altri due fratelli tagliarono la corda andando in fondo al podere. Io e mia madre restammo a casa ad attendere gli uomini armati e imbestialiti.
Mentre si facevano avanti verso l'aia davanti a casa, preso dalla curiosità uscii fuori, mangiando una fetta di pane con olio e sale.
Un uomo in divisa mi venne vicino, mi puntò la rivoltella al petto e, con voce talmente bestiale che ancora ricordo, mi disse:
« Ragazzo, o tu dici dove si trovano i comunisti o t'ammazzo ».
Non risposi, corsi in casa da mia madre, essi mi seguirono. Entraron[...]

[...]e vicino un uomo giovane in divisa, era grasso, dalla faccia butterata, capelli rossastri, puntò la rivoltella al petto della mamma gridando:
« Ditemi .dov'è vostro figlio, quello che fa il muratore! ».
« Mio figlio non è in casa, se non ci credete cercate pure ».
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«Dite dov'è nascosto, dov'è scappato! ».
Io ammirai mia madre per la sua calma e coraggio: mi sentii fiero di lei e da quel giorno il mio affetto è stato sempre più forte. Il maresciallo, rosso in viso e guardando i suoi uomini, gridò:
« Avanti, perquisite tutta la casa, guardate dappertutto, nelle stalle, nel fienile e fuori nei pagliai ».
Quando disse « nel fienile » mi sentii girare la testa. Credevo di svenirmi, istintivamente mi misi a sedere sul primo gradino della scala e non capii più nulla. Quando mi alzai vidi la mamma che stava a parlare col marchese.
Egli aveva un bastone con un grosso pomo di metallo lucido; lo teneva su in alto di fronte a lei come una terribile minaccia gridando:
« Se non ci direte dov'è vostro figlio, sarà tutto distrutto ». Fece iI gesto di picchiare sopra i vetri della credenza. La mamma si mise di fronte e gridò:
« Lasciate stare la roba, è mia e mi costa quattrini. Cercate pure mio figlio, ma non rompete la roba, lasciate stare i piatti e i bicchieri ».
II bastone restò fermo in alto un istante e poi fu abbassato con indecisa lentezza. Il n[...]

[...]mo in alto un istante e poi fu abbassato con indecisa lentezza. Il nobile uomo, toccandosi il cinturone che aveva affibbiato sopra alla giacchetta borghese, . e al quale teneva appesa la rivoltella, aggrottando le sopracciglia e facendo lo sguardo truce, disse:
« Va bene per la roba, per questi quattro piatti » e portando il suo muso vicino al volto della mamma « vostro figlio la pagherà cara ».
Mia madre con la sua calma di sempre ma con voce più decisa di prima, rispose:
« Mio figlio non ha nulla da pagare. Mio figlio non ha fatto nulla di male e non capisco il perché di tutto quello che sta succedendo ».
« Non capite, vero? Capirete, capirete... ».
« Mio figlio non ha fatto nulla di male, ecco cosa capisco io ».
« Vostro figlio è un delinquente, . è un comunista! ».
« No, mio figlio non è un delinquente, mio figlio non ha fatto del male a nessuno, di questo ne sono certa. Una madre certe cose le sente, specialmente una madre che ama i propri figli ». Le ultime parole le disse con più lentezza come per sottolineare la frase. Un [...]

[...] e non capisco il perché di tutto quello che sta succedendo ».
« Non capite, vero? Capirete, capirete... ».
« Mio figlio non ha fatto nulla di male, ecco cosa capisco io ».
« Vostro figlio è un delinquente, . è un comunista! ».
« No, mio figlio non è un delinquente, mio figlio non ha fatto del male a nessuno, di questo ne sono certa. Una madre certe cose le sente, specialmente una madre che ama i propri figli ». Le ultime parole le disse con più lentezza come per sottolineare la frase. Un uomo scese le scale accompagnato dai suoi fidi, carabinieri e borghesi. Il Marchese, facendoglisi incontro, disse:

MEMORIE 125

«Ebbene, nulla? ».
« Nulla. Abbiamo frugato in tutti i buchi ».
«Andiamo, non c'é tempo da perdere ». E rivolto alla mamma: « Ci rivedremo presto ».
Mi feci sulla porta; la mamma mi venne vicino e passandomi la mano sul viso, mi disse:
« Stai calmo, se ne andranno ».
Si riunirono tutti nell'aia, e agli ordini del marchese partirono. Dopo un po' corsi a rimettere la scala al fienil[...]

[...]a testa e infilandosi le dita fra le dita. Io chiesi al mendicante:
« Chi era quel vecchio? ».
«Nessuno lo sa, doveva essere un uomo di là dai monti. Qualcuno dice di averlo visto passare altre volte, sempre nei giorni che c'è i1 mercato in città ».
Dopo aver mangiato si alzò, prese il suo bastone avviandosi verso la porta disse le parole di sempre:
« Dio sia con vai. Dio ve ne renda merito in questa e nell'altra vita ».
Quando non si senti più il suo passo strascicante, Remo disse:
« Io non darei mai nulla a questa gente. Sono dei vagabondi che non hanno voglia di lavorare. Se volessero mangiare dovrebbero venire con me ne' campi con la zappa e la vanga. Di giorno vanno in giro a chiedere il pane, si fermano sempre a parlare con le donne, fanno complimenti ai ragazzi. Dicono sempre, nmilï come frati `Dio sia con voi' e intanto guardano dov'è il pollaio, la stalla, lo stalluccio del maiale... E la notte vengono a rubare. Questi mendicanti fanno tutti parte di bande di ladri ».
E la mamma:
« Ricordati figlio che è sempre bene dare[...]

[...]mi prese per mano, ci inerpi
cammo in mezzo al castagneto e ai quercioli. Quando fummo abba
stanza dentro e lontano dalla strada, gli dissi piano piano:
«Sai, Aldo, nel sacco c'è da mangiare e vestire. E babbo che mi
manda ».
Sciolse il sacco e mentre lui frugava con le mani, io dissi ancora:
« Se tu resterai quassù, verrò spesso a portarti pane, carne e da
vestire... ».
Mi prese con le mani alla vita e alzandomi come se fossi stato una
piuma mi disse:
«Bravo Libero» e subito mi mise a sedere vicino al gambo di
un castagno. Anche lui si sedette vicino a me, e stringendomi fra le
braccia e guardandomi negli occhi, mi domande):
«Saprai serbare il segreto? ».
« Non dirò nulla nemmeno all'aria! ».
« Allora, sempre acqua in bocca? ».
« Si, sempre acqua in bocca... ».
«Neppure al prete, se andrai a confessarti? ».
« Io non vado a confessarmi, tu lo sai ».
« Lo so. Ma ho detto così per dirti che nessuno deve saperlo ».
« Stai tranquillo. Mi farei ammazzare, ma non direi nulla ».
« Bene così. Sei un vero uomo. Ora raccontami[...]

[...]fai vedere il pane con l'olio mi sento fame e anche sete ».
« Prendi il fiasco, li sopra all'acquaio », si voltò indicandomelo con la mano tutta aperta.
Dopo aver bevuto un bicchiere di vino annacquato mi misi a sedere fra la madia e la tavola a mangiare. La mamma tornò dalle altre donne. Io dopo mangiato andai nei campi a cercare i miei fratelli e il babbo.
Nel mezzo della notte eravamo tutti a letto e fummo svegliati da
132 QUINTO MARTINI
piú colpi battuti con furia e violenza sulla porta e gridare: «Aprite.
Presto, aprite! È la forza pubblica ».
Andrea disse alzandosi sul letto:
« Ci siamo. Sono i carabinieri. Aldo non c'è e se la prenderanno
con noi ».
La mamma si mise il vestito e mentre scendeva le scale disse:
«Vado io ad aprire: state a letto voi ».
«Già, disse Beppe, è bene farsi trovare a letto, se no... ».
Sentii i carabinieri che salivano la scala a due gradini alla volta
ed uno gridare:
« Sorbetti, con i tuoi uomini, fate la guardia a tutte le finestre e
se vedete aprire, sparate! ».
Entrati in camera ci ord[...]

[...]Aldo. Mentre scendevano tutti insieme le scale, sentii uno che disse:
« Qui per venire a capo di qualche cosa bisognerebbe arrestar tutti, portarli in caserma e bastonarli a sangue; stetti con le orecchie tese e il cuore sospeso finché non sentii mia madre chiudere la porta e risalire le scale. Sentii mio padre parlare con gli altri figli e il passo pesante e sordo dei carabinieri che si allontanavano nell'aia. Poi un fischio, ancora un fischio più lontano dalla parte del cimitero. Il cane seguitò ad abbaiare ancora un po'. Parlammo dell'accaduto, poi tornò il silenzio fuori e nella nostra casa. Più tardi sentivo uno dei miei fratelli russare e la mamma nell'altra camera che pregava a bassa voce. Mi misi in ascolto: udivo i grossi chicchi di legno della corona fregarsi tra loro, e mi vidi davanti agli occhi le sue lunghe dita che si passavano da una mano all'altra le « ave Maria ».
Non riuscivo a prender sonno. Sentivo batter l'ore come mai avevo sentito. L'orologio della torre del campano mi sembrava sulla mia casa e in certi momenti credevo di sentire anche il tic tac dei secondi.
Dopo qualche ora udii dei tuoni, il vento che soffiava dentro il camino e poi uno scroscio di pioggia ch[...]

[...]ai a dormire e stai tranquillo ».
Tornai a letto, la pioggia seguitava a cadere a catinelle, il vento anche soffiava sempre forte. Il cane si lamentava. Sentii battere le quattro, poi mi addormentai. La mattina, andando a scuola, passai dalla discesa dove c'è il frantoio. Voltai a sinistra per andare in paese pas sando di fronte al Circolo Socialista. Mobilio bruciacchiato era ancora nel mezzo della strada; le porte e le finestre non esistevano piú. Entrai dentro con altri ragazzi. Tutto era fracassato per terra. Nella stanza del bar fiaschi frantumati, bottiglie rotte, il pavimento bagnato. C'era odor di vino e liquori, un odore forte che dava alla testa. Sù, nella stanza della segreteria, piena di fogli e sedie spezzate, al muro non c'era più attaccato né il ritratto di Lenin né quello di Marx: nella toppa del muro, più colorita e che aveva preso la forma delle fotografie, c'era stato disegnato con un pezzetto di carbone un teschio ed un pugnale. Un mio compagno mi disse:
Non mi piacciono quei disegni ».
Prendendo della carta per terra ne fece una specie di palla, e facendosi vicino a me disse sottovoce:
« Libero, tu che sei più forte, fammi montare sulle tue spalle, voglio cancellare la morte ».
Non feci parola, mi chinai tenendo le mani sopra i ginocchi, lui mi monto sulla schiena, poi a cavalluccio sulle spalle, io mi alzai tenendo la testa bassa.
Sentivo la carta strofinare sul muro e della polvere cader giù.
« Ecco, questa é fatta; portami ora dall'altra parete, voglio cancellare anche quella morte là ».
Fece lo stesso lavoro con più sveltezza, poi lo sentii scivolare giù per la schiena, e appena messi i piedi a terra mi disse:
« Andiamo a scuola ».
Gli altri compagni erano già scesi nella strada. Noi guardammo le due morti cancellate ma ancora visibili, in quelle macchie grigio sporco. C'era sopra come un velo che a me dava la sensazione più angosciosa, Scendemmo le scale. Il mio amico mi disse:
« Non lo dire a nessuno, se vengono a saperlo i fascisti, arrestano il mio babbo ».
«Stai tranquillo, nessuno saprà nulla ». Ci unimmo agli altri ragazzi e corremmo a scuola.
In classe tutti raccontavano qualcosa di quello che avevan visto. Io ascoltavo sempre in silenzio e durante tutta la mattina non feci nessun accenno a quanto era accaduto alla mia famiglia e cosa avevo . visto. Un ragazzo raccontò com'era avvenuto l'arresto di suo padre.
« Si, Signora Maestra, sono venuti di notte a prenderlo, erano molti e tutti con armi e basto[...]

[...]ma. Quando la mamma vide il sangue venir fuori dalla testa del babbo svenne e cadde sul divano. Il babbo gridava: «Non mi picchiate così in presenza della moglie e del ragazzo, portatemi via... ». Uno di loro gli rispose: «Stai zitto, figlio d'un cane! E bene che tua moglie e tuo figlio vedano ». Poi lo caricarono sul camion insieme a molti altri. Stamani presto li hanno portati tutti alle carceri della città ».
Altri ragazzi raccontarono fatti più o meno bestiali. La maggior parte delle persone del paese era stata colpita dalla furia della « rivoluzione ». Si incontravano facce contratte in un mutismo pieno d'angoscia. Non tutti erano tristi. Quando uno piange c'è sempre chi ride perché lui piange! diceva un vecchietto che si vantava di non aver mai pianto.
All'uscita della scuola mi fermai davanti alla grande croce al bivio delle due strade. C'era un capannello di persone che parlavano. Erano uomini e donne di età matura, parlavano a voce bassa delle cose accadute. La maggior parte detestava senza riserva malgrado che nell'aria ci fo[...]

[...] mai pianto.
All'uscita della scuola mi fermai davanti alla grande croce al bivio delle due strade. C'era un capannello di persone che parlavano. Erano uomini e donne di età matura, parlavano a voce bassa delle cose accadute. La maggior parte detestava senza riserva malgrado che nell'aria ci fosse ancora puzzo di botte. Ma c'era una donna grossa e ben pasciuta, moglie di un commerciante, si tingeva sempre le labbra di un rosso viola facendosele più grosse e dandosi molta cipria alle gote e scuro agli occhi. Mi ricordo che tutti la chiamavano la « grassa metresse ». Agitava la mano sinistra con l'indice teso e diceva:
« Hanno fatto bene a prenderli, dovrebbero tenerli in prigione per tutta la vita. E tutta gente pericolosa. Volevano dare i poderi ai contadini e prendere la roba ai signori. Non dovrebbero lasciarli uscire più diprigione... ». Una donna magra, la nonna di Duilio, le disse: « Eppure tu sei cristiana, vai sempre in chiesa. Se tu credi nella chiesa, perché ti rallegri per il male che vien fatto agli altri.? ».
«Che c'entra la chiesa in queste faccende? Lascia stare da parte
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la religione. E poi c'era. Arturo, quello che ammazza i gatti per farci la pastasciutta. L'ho sentito dire `Nella chiesa ci faremo il teatro, Pambulatorio per i malati...!' e poi io non posso vederli quelli che ammazzano le bestie ».
«E di tuo marito che va sempre a caccia che ne pensi? ». « Mio marito non am[...]

[...]le spiattellò sul muso:
« Sei un budello di vacca pregna » e scappò via pedalando rizzandosi sui pedali. E lei di rimando:
«Figlio di troia, hanno bastonato tuo fratello e han fatto bene. Lo lasciassero marcire in prigione... ».
Ebbi la forza di stare a sentire senza dire qualche parolaccia. Quando tornai a casa presi il vocabolario della zia e cercai la parola « metresse » non c'era scritta e pensai che doveva essere una parola molto brutta. Piú tardi me ne feci spiegare il significato dal figlio del cappellaio che andava a studiare in città. Mi disse che era una parola francese e che si chiamano così le padrone dei casini dove ci sono le donne che pagando si danno a tutti gli uomini. «E sono grasse?» domandai.
« Quella che conosco io é grassa ».
« E si tingono le labbra? ».
« Si, si tingono. Ma perché mi fai queste domande? »
« Sai la Giulia la chiamano la `metresse'; trovi che assomiglia a quella che conosci te? ».
Lui fece una bella risata e mi disse:
Quando avrai diciotto anni ti porterò in città e te la farò vedere. Va ben[...]

[...]i tingono. Ma perché mi fai queste domande? »
« Sai la Giulia la chiamano la `metresse'; trovi che assomiglia a quella che conosci te? ».
Lui fece una bella risata e mi disse:
Quando avrai diciotto anni ti porterò in città e te la farò vedere. Va bene? ».
« Nono dire a nessuno quello che ti ho chiesto » risposi.
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Quei giorni erano interminabili, in casa mia si viveva con l'animo sospeso e il cuore che ci diventava tutti i giorni più vizzo. La nostra casa dal crepuscolo al mattino era sempre circondata dai carabinieri. Una settimana durò quell'assedio notturno. Erano delle notti bellissime e la luna era piena. Durante la notte, a luce spenta, mi alzavo per vedere attraverso lo spiraglio delle imposte socchiuse, i carabinieri passeggiare nell'orto vicino al fico grande.
Mio fratello cambiò alloggio. Un giovane che io non conoscevo veniva spesso da noi, e fu lui a portarci la notizia che Aldo aveva lasciato la capanna per andarsene altrove. Egli ci disse:
«Non era più il caso di starsene li. C'era qualcuno che passava. tr[...]

[...]settimana durò quell'assedio notturno. Erano delle notti bellissime e la luna era piena. Durante la notte, a luce spenta, mi alzavo per vedere attraverso lo spiraglio delle imposte socchiuse, i carabinieri passeggiare nell'orto vicino al fico grande.
Mio fratello cambiò alloggio. Un giovane che io non conoscevo veniva spesso da noi, e fu lui a portarci la notizia che Aldo aveva lasciato la capanna per andarsene altrove. Egli ci disse:
«Non era più il caso di starsene li. C'era qualcuno che passava. troppo spesso dal bosco. Lui vedeva ma non era visto ».
Mia madre faceva la stessa vita di prima. Al mattino scendeva giù in paese per la spesa facendo prima una visitina in chiesa. Non aveva molta simpatia per il prete, e diceva sempre:
« Io non guardo all'uomo, ma vado a pregare in chiesa perché é la casa di Dio. Se il prete non è come si deve, lui dovrà rispondere un giorno davanti al giudice al quale io stessa risponderò delle mie colpe ».
Una mattina scesi con lei in paese. Di fronte alla casa del Brulli, sopra il marciapiede stavano[...]

[...]
« Io non guardo all'uomo, ma vado a pregare in chiesa perché é la casa di Dio. Se il prete non è come si deve, lui dovrà rispondere un giorno davanti al giudice al quale io stessa risponderò delle mie colpe ».
Una mattina scesi con lei in paese. Di fronte alla casa del Brulli, sopra il marciapiede stavano tre donne. Al nostro passaggio la padrona di casa con la sua voce acida, disse piano alle altre due:
« Vedete com'è triste la Marta, non fa più quell'aria fiera di sempre... ».
Non capii le altre parole; guardai la faccia della mamma che non cambiò espressione e non potei capire se aveva udito o no quelle parole dette con tono sommesso e compiaciuto. Da quel giorno non ho più salutato quella donna. Non posso perdonare a chi fa minima cosa sgradevole a mia madre.
I carabinieri cessarono di vigilare la mia casa. Io non sapevo dove fosse Aldo, e quando lo chiedevo mi si rispondeva:
«Non si sa dove sia andatoa vivere. Nessuno lo sa ».
Era vero? Oppure non mi credevano capace di tenere un segreto? Non potevo pensare a questa sfiducia da parte loro verso di me, e credevo a quanto mi si diceva. Ma mi sentivo umiliato e preso da un forte desiderio di essere uomo. Una mattina invece di andare a scuola, arrivato al ponte, nascosi la cartella nel più folto della macchia e[...]

[...] la mia casa. Io non sapevo dove fosse Aldo, e quando lo chiedevo mi si rispondeva:
«Non si sa dove sia andatoa vivere. Nessuno lo sa ».
Era vero? Oppure non mi credevano capace di tenere un segreto? Non potevo pensare a questa sfiducia da parte loro verso di me, e credevo a quanto mi si diceva. Ma mi sentivo umiliato e preso da un forte desiderio di essere uomo. Una mattina invece di andare a scuola, arrivato al ponte, nascosi la cartella nel più folto della macchia e, in parte
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QUINTO MARTINI

di corsa, in parte a passo svelto, arrivai fino alla capanna, tant'era forte il desiderio di vedere mio fratello. Pensavo che ancora fosse lassù... Arrivai col cuore in gola. La porta era aperta. Questa capanna era proprio come me l'aveva descritta il mio babbo, fatta come una vera casa. Entrai dentro, ma non c'era nessun segno da far pensare che qualcuno ci abitasse. Dunque; era partito? Mi misi seduto sulla panca di legno e piansi molto. Quando uscii dalla capanna il sole era molto alto. Giù dal fondo del bosco salivano lo sbatte[...]

[...]si seduto sulla panca di legno e piansi molto. Quando uscii dalla capanna il sole era molto alto. Giù dal fondo del bosco salivano lo sbattere delle ruote e il suono dei bubboli. Questo segno di vita in tanto silenzio mi rianimò. Mi lavai la faccia a una fontanella che versava acqua fra due massi, guardai la porta della piccola casa con tristezza e ridiscesi il bosco.
Passai a prendere la cartella dove l'avevo nascosta, ritornando a casa un po' più tardi del solito. Mangiai a mala voglia e con fatica. Non facevo che guardare le facce di tutti per indovinare il loro segreto. Ero disperato, non riuscivo a saper nulla e non mi sentivo il coraggio di chiedere ancora. Quando qualcuno parlava in un'altra stanza, cercavo di origliare alla porta. Ero inquieto ed anche a scuola non riuscivo a combinar nulla. La maestra scrisse un biglietto alla mamma che diceva:
« Vostro figlio é distratto, non ha voglia di studiare, se va avanti così, boccerà ».
La mamma mi porse il biglietto dicendo:
« Leggilo tutte le sere. Cerca di studiare; presto ci sar[...]

[...]cordo; ho tante cose a cui pensare! ». Credevo facendo così di darle la sensazione di un sacrificio meno grande. Con i soldi rubati mi compravo l'occorrente per la scuola o qualche matita colorata per disegnare. Avevo una scrittura molto grande, consumavo il doppio dei
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quaderni degli altri compagni, e dover star troppo spesso a chiedere soldi alla mamma non ne avevo il coraggio, e allora rubavo. La maestra spesso mi diceva: «Scrivi più piccolo, per te ci vorrebbe una cartoleria; manderai i tuoi genitori in miseria ».
Una sera mentre stavamo cenando con la porta mezz'aperta entrò mio fratello e con la calma abituale disse: « Buona sera » e si mise a sedere vicino alla mamma. Andrea usci fuori a far la guardia. Aldo non ci fece nessuna domanda e noi nessun accenno alla cosa. Fu parlato un po' di tutto quello che riguardava la casa e il podere e che gli ultimi giorni di sole erano una manna per la campagna. La mamma non toglieva gli occhi di dosso a suo figlio. Ogni occhiata era una domanda, io guardavo Aldo per indovinarne l[...]

[...]e sopra i sacchi, "io, vedrai che me la caverò bene ». Poi mi sorrise dicendo:
«Allora in gamba; siamo intesi? ».
« Si, in gamba; ci siamo intesi ».
Finito il lavoro, mi buttò il suo braccio sulle spalle e disse:
Ora a letto. Dormirai con me. Però non parlare e non domandarmi nulla ».
« Si, dormirò, non parlerò ».
Dopo pochi minuti che fummo a letto, lo sentii russare. Dormiva
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QUINTO MARTINI
i
come un masso. Io mi addormentai molto più tardi. Stavo sempre con le orecchie ritte come una lepre. Avevo paura che venissero i carabinieri. La mattina quando mi svegliai Aldo non c'era piú. Un fremito agghiacciante mi corse per tutto il corpo. Chiamai la mamma e le dissi:
« Dov'è Aldo? Sono venuti a prenderlo i carabinieri?»
«È partito, s'é alzato prima del sole, appena s'é fatto chiaro ».
« Dov'é andato? ».
«A lavorare. Alle otto doveva essere sul lavoro ».
« Ma dove lavora? ».
« Non lo so preciso. Credo verso Montemurlo ».
« Dov'è Montemurlo? ».
Prendendo il lenzuolo e la coperta che tenevo fino alle spalle, e buttandola sopra il ferro a pie' del letto disse:
« Su, su alzati, e non fare altre domande ».
Mi alzai, e andai a sedermi sul muro dell'aia, il cane mi venne[...]

[...] e non mi facesse sentire tanto solo.
Era di giugno. Nelle nostre camere basse e coperte col solo tetto, entrava presto il caldo. Anche durante le prime ore della ,natte c'era caldo. La mamma stava come sempre a pregare alla finestra. Non c'era la luna; il cielo mi ricordava quegli scenari che mettono di sfondo ai presepi. Il cane fece l'abbaio del lupo: quando i cani abbaiano così c'è chi crede portino disgrazia. lo non ho mai sentito nulla di più straziante, nessun lamento umano é più spaventoso di questo ululato. E una cosa che intristisce l'animo e risecchisce il cuore in un attimo. C'è da supporre che sia veramente l'annuncio di una forte sciagura. Mia madre si voltò verso di me e disse:
«Domani ci sari una brutta notizia ». Si appoggiò con i gomiti sul davanzale della finestra e aggiunse:
« Il cane continua a far l'abbaio del lupo ».
« Ma perché credete che porti disgrazia? Non bisogna credere a tutto quello che si dice ».
«Si, é. vero, Libero, non bisogna credere a tutto quello che si dice;
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ricordi quando mia sorella, tua zia Elvira, s'impiccò al tra[...]

[...]ece appresso leccandomi la faccia. Mi alzai scostando con un gomito la bestia. Non mi ero fatto nulla di male. Così al buio gli diedi il pane e restai ad accarezzarlo un po'. Mentre mangiava mandava un flebile lamento, simile a quello di poco prima. Non ebbi il coraggio di sgridarlo. Prima di lasciarlo gli ordinai di andare nella sua cuccia e dormire. Avvicinai il mio viso al suo muso e mi leccò ancora. Tornai in camera e andai a letto. Non fece più l'abbaio del lupo, ma io non riuscivo a dormire. Pensavo a mia zia, al trave della camera, vedevo il suo corpo appeso e una fune che ciondolava.
Era vestita di nero, le mani aveva scarne e la faccia bianca. Mi passavo continuamente la mano sugli occhi, ma quella macabra visione non spariva. Il corpo di mia zia, era li, che ciondolava dalla trave nel mezzo della camera, in fondo al mio letto.
Se è vero — pensavo — che Drago quella stessa mattina fece l'abbaio del lupo, non potrebbe essere stato un caso? e quel lamento così terribile causato da dei dolori? un mal di pancia? Non volevo essere [...]

[...]sione non spariva. Il corpo di mia zia, era li, che ciondolava dalla trave nel mezzo della camera, in fondo al mio letto.
Se è vero — pensavo — che Drago quella stessa mattina fece l'abbaio del lupo, non potrebbe essere stato un caso? e quel lamento così terribile causato da dei dolori? un mal di pancia? Non volevo essere superstizioso, ma non riuscivo a togliermi da dosso quel malessere che proviamo quando si teme una sciagura. Divenivo sempre piú inquieto, tutto cercavo di analizzare come mai avevo fatto, e temevo da un mi
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nuto all'altro che il cane tornasse a fare udire il suo ululato. La mattina, quando mi alzai, vidi la mamma più pallida del solito. Mi avvicinai a lei mentre stava scaldando il caffè e le dissi:
«Avete dormito, mamma? ».
Lei senza scomporsi, rispose:
« Non sono stata capace di chiudere occhio. Ho pregato tutta la notte. Ora sento un nodo alla gola e come se avessi delle spine nel cuore ».
Io, per rassicurarla, le dissi:
«Il cane, pere), non ha fatto più l'abbaio del lupo. Forse aveva fame ».
Entrò in cucina mio padre dicendo:
« Vado nei campi. Sarò a lavorare nella piaggia, se viene qualcuno a cercarmi portalo là, Libero ».
Mia madre mi mise la tazza del caffè sulla tavola e disse:
«Io vado a sciacquare dei panni al pozzo, tu resta qui in casa finché non sarò tornata. Se verrà qualcuno dammi una voce dalla finestra ».
Il pomeriggio tornando dai campi con su le spalle un covone di vecce, trovate fra il grano, vidi appoggiata al muro, vicino alla porta della cantina, una bicicletta tutta coperta di polvere a me sconosciuta. Allora pensai:[...]

[...]rno prima, verso le dieci, mentre tornava per andare a dormire in casa di quell'operaio che poche ore prima era venuto
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a portare la notizia. Il giovane muratore aveva detto che al suo paese c'erano molte spie e aveva consigliato a mio fratello di cambiare aria. Ci rassicurava che non era stato picchiato e che fu portato quella sera stessa alle prigioni della città vicina. Un po' di calma stava ritornando, e nei paesi non accadevano piú cose bestiali come nei primi tempi, al sorgere del fascismo.
«Quando si accorgeranno che non ha fatto nulla di male lo rilasceranno in libertà » diceva mia madre mentre ad ognuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi prendere. Quando uno é in prigione...».
« Ma in prigione ci tengono chi ha commesso qualcosa contro la legge, e non si può rovinare la vita di un uomo giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guarda[...]

[...]itornare in prigione, ma dopo essermi vendicato verso qualcuno che so io».
«Ricordati Andrea "chi di spada ferisce, di spada perisce", questa una frase di Gesù, il figlio di Dio ».
«Si, ma intanto tutti quelli che hanno adoprato la spada, ora sono liberi e tranquilli ».
«Non si può dire. Nella vita di un uomo possono succedere tante cose. Chi fa del male non avrà che del male ».
« Io sono del parere, spada o non spada, quello che perde non é più libero. I fascisti hanno vinto ed ora fanno tutto quello che a loro pare e piace. Possono venire qui, prenderci e bastonarci come ciuchi tutti quanti e nessuno gli farà mai nulla ».
Mia madre prese un'espressione dolorosa e non rispose. Ci fu un momento di silenzio. Andrea stesso ruppe questo silenzio piuttosto penoso dicendo:
« Babbo, domattina devo cominciare a segare l'orzo nella piaggia a confine con Cencio? ».
« Si, si può cominciare a segare. Dopo che avrò finito nella stalla verrò anch'io. Prendi due falci e porta del vino ».
La mamma, molto triste, sparecchiava. Le cadde un piatto e si ruppe, nessuno fece parola.
Passarono alcuni giorni prima di avere notizie di Aldo. Ci scrisse una lettera. La censura del carcere aveva cancellato alcune righe con delle larghe strisce d'inchiostro nero. Queste righe nere davano un senso funebre ai fogli di carta. Non scriveva gran che; chiedeva che[...]

[...]eria pulita, cjhe lui avrebbe rimandata quella sporca. Scriveva di farci coraggio e che presto tutto sarebbe finito. Queste notizie rianimarono un po' tutti. Ma quelle righe nere nascondevano delle parole che avremmo
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voluto sapere cosa dicevano. Si cercò di leggerla contro luce ma non fu possibile capire una sillaba. Remo, prendendomi la lettera, disse: «Brutti maiali, non vogliono neppure che uno scriva quello che gli pare...! ».
Più tardi un'altra lettera ci informava che si poteva andare a trovarlo. I primi ad andare al parlatorio furono il babbo e la mamma. Trovarono che stava bene ed era molto tranquillo e di buon umore com'era stato sempre. La nostra vita divenne meno grigia. Il fatto di recarsi tutte le settimane a fargli visita era come si sentisse ancora far parte materialmente della nostra famiglia. Quando mamma preparava, la sera, il cibo e la biancheria da mandargli la toccavo leggermente. Una volta volevo fare un nodo ad un fazzoletto; la mamma mi disse:
« Nan lo fare, potrebbero crederlo un segnale speciale [...]

[...] le settimane a fargli visita era come si sentisse ancora far parte materialmente della nostra famiglia. Quando mamma preparava, la sera, il cibo e la biancheria da mandargli la toccavo leggermente. Una volta volevo fare un nodo ad un fazzoletto; la mamma mi disse:
« Nan lo fare, potrebbero crederlo un segnale speciale ed Aldo verrebbe punito ».
Io non comprendevo cosa ci potesse essere di tanto brutto e misterioso in un nodo di un fazzoletto. Più tardi ho capito che anche con un fazzoletto annodato si possono dire malte cose e soprattutto a un carcerato.
Finita la battitura fui mandato a passare qualche mese dallo zio in un paese del comune di Vinci. Andai con un mio cugino che . si recava a prender le fastella di scope in un bosco vicino alla sua casa. Fui accolto con gran festa dai miei zii come se fossi stato un loro figlio che da molto tempo non vedevano. Aiutavo lo zio nelle sue faccende e mi piaceva star con lui. Mi declamava interi canti dell'Orlando Furioso. Ad uno dei suoi figli aveva messo nome Orlando, ad un altro Ruggero [...]

[...]mantinente ghiotto
d'averla amata...»
eppoi :
«Questa condizion contiene il bando:
Chi la figlia d'Amon per moglie vuole, star con lei debba a paragon del Brando
dall'apparire al tramonto del sole:
e fino a questo termine durando
e non sia vinto senz'altre parole
la donna da lui vinta esser s'intenda:
né si possa negar ch'essa lo prenda ».
Alcuni dei suoi clienti avevano imparato qualche verso e spesso gli chiedevano di cantare i passi più grassocci. Questo avveniva quando in bottega non c'era sua moglie. Una sera un uomo molto giovane si fece cantare una strofa delle più piccanti per poi ripeterla alla giovane sposa. Quando lo zio poteva cantare liberamente in compagnia di uomini era preso da una specie di insolita frenesia. Un giorno dopo pranzo sentii la zia gridare:
« Canti sempre le stesse cose, ci farai una pazzia ».
«Fai la treccia e rigoverna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono belle si possono cantare anche tutta la vita. Saranno sempre belle! ».
«[...]

[...]are:
« Canti sempre le stesse cose, ci farai una pazzia ».
«Fai la treccia e rigoverna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono belle si possono cantare anche tutta la vita. Saranno sempre belle! ».
« Convinciti che stai invecchiando e che non sei più giovanetto ».
« Perdio! ti dico fin da questo momento che se muoio prima io voglio che tu stessa mi metta nella cassa, sul mio petto « L'Orlando Furioso », e che anche nell'altra vita io possa cantare. Le donne, i cavalier, l'arme; gli amori, le cortesie... ».
n.w
MEMORIE 147
« Non scherzare con la morte, e con l'altra vita ».
« No, no, non scherzo: alla mia morte voglio nella bara l'Orlando Furioso. Lo lascerò scritto nel mio testamento ».
E avvicinandosi a me:
«Non faccio bene, Libero? ».
« Si, fai bene, zio ».
Mi prese per un braccio e mi portò con sé verso il bosco. Strada facend[...]

[...]ando Furioso. Lo lascerò scritto nel mio testamento ».
E avvicinandosi a me:
«Non faccio bene, Libero? ».
« Si, fai bene, zio ».
Mi prese per un braccio e mi portò con sé verso il bosco. Strada facendo mi diceva:
«Se io non canto mi viene la malinconia, anche tu devi imparare a cantare! Anche la storia di Ulisse é bella, anche la Gerusalemme Liberata, anche la Divina Commedia » é bella, Paolo e Francesca, il canto del Conte Ugolino... Ma il più bello é l'Orlando Furioso ». E battendomi la mano sulla spalla, come se fossi stato un suo coetaneo: «Anche tu devi imparare a memoria tutto l'Orlando Furioso. Questo é il libro più bello del mondo. L'Ariosto é stato il più grande poeta di tutti i tempi e mai più nascerà un poeta come lui ».
« Hai, ragione, zio, l'Ariosto é il più grande poeta ».
Lui, preso dall'entusiasmo mi abbracciò, si scostò qualche passo e cominciò a cantare:
« Or se mi mostra la mia carta il vero, Non é lontano a discoprirsi il porto Odo di squille...»
Seguitando a cantare, con una mano mi prese per i capelli e mi portò sotto un albero dove ci mettemmo a sedere. Io guardavo la pianura mentre lo ascoltavo. Il sole stava per tramontare, quando alzandosi e con un largo gesto verso il sole, cantò gli ultimi versi:
«Bestemmiando fuggi l'alma sdegnosa Che fu si altera al mondo e si orgogliosa».
« Andiamo Libero, questa sera c'è da fare il pane. S[...]

[...]alzandosi e con un largo gesto verso il sole, cantò gli ultimi versi:
«Bestemmiando fuggi l'alma sdegnosa Che fu si altera al mondo e si orgogliosa».
« Andiamo Libero, questa sera c'è da fare il pane. Strada facendo facciamo dell'erba, così é una scusa... Se no tu senti tua zia... ».
Nessun ricordo della mia vita é cos? bello. Devo a lui la conoscenza della poesia e dei maggiori poeti. E fu anche in quella permanenza che mi appassionai ancora più al disegno e alla pittura. Feci molti acquarelli di paesaggi e boscaioli. Mio zio mi diceva spesso con molta serietà:
148 QUINTO MARTINI
«Tu diverrai un pittore, come il nostro Leonardo da Vinci ». E indicandomi delle case sotto il bosco, mi diceva:
« Vedi, Leonardo da Vinci é nato laggiù, ad Anchiano, dove stava la zia che si impiccò, vicino a Faltognano. C'è laggiù un prete che ha fatto il busto del nostro Leonardo con barba e capelli lunghi ». E cosí dicendo faceva il gesto con la mano di toccarsi la barba e ravviarsi i capelli.
Vicino a mio zio ero riuscito a distrarmi un po' soprattu[...]

[...]sí dicendo faceva il gesto con la mano di toccarsi la barba e ravviarsi i capelli.
Vicino a mio zio ero riuscito a distrarmi un po' soprattutto durante la giornata che era sempre varia per i clienti che venivano e i passanti che si fermavano a bere e a mangiare. La notte però, cadevo spesso in una tristezza amarissima. Al mattino andavo per il bosco e stavo subito meglio. Spesso per qualcuno mi mandavano da casa mia notizie di Aldo. Ma la gioia più grande per me fu quando ricevei una cartolina postale. Non so quante volte la rilessi. La leggevo di giorno e di notte, come si legge una delle prime lettere d'amore. Mi diceva che a Natale sarebbe tornato. Io credevo a quello che scriveva e contavo i giorni e mi ripetevo quand'ero solo:
« A Natale ritornerà.., presto ritornerà... ».
Un pomeriggio afoso degli ultimi giorni d'agosto, stavamo seduti sotto il noce dell'orto di fronte alla porta della bottega. Davanti a noi la strada bianca che scendeva giù a Vinci piena di riverbero si nascondeva a tratti, fra il verde e gli ulivi argentati de[...]

[...]de di donna. Era la prima volta che vedevo un uomo e una donna insieme. Mi chinai,
150 QUINTO :MARTINI
piano piano, con le mani mi scostai le scope davanti agli occhi, per osservare la scena. La faccia della donna restava dietro il gambo del castagno, vedevo le sue mani che si tenevano alle scope con una certa forza. Lo zio stava sopra al suo corpo e le gambe nude della donna che si muovevano in un modo molto strano. A un certo punto non volli più vedere, mi misi seduto e aspettai. Sentivo il respiro dello zio farsi più affannoso e la donna che miagolava come un piccolo gatto. Poi sentii i loro corpi alzarsi e lei dire:
«Speriamo che nessuno ci abbia visti. Credo sia meglio vedersi dove sempre. Qui é un po' pericoloso ».
Io mi alzai, vidi la donna voltata verso di me che stava aggiustandosi le mutande. Lo zio mi voltava la schiena e vidi che cercava di affibbiarsi la cinghia dei pantaloni. La donna, finito di vestirsi, alza la testa e fu davvero una sorpresa riconoscendo la serva del prete. Una donna ancora giovane e molto in carne. La serva sali su per il bosco e lo zio scese nella strada sotto la vigna c[...]

[...] sempre. Qui é un po' pericoloso ».
Io mi alzai, vidi la donna voltata verso di me che stava aggiustandosi le mutande. Lo zio mi voltava la schiena e vidi che cercava di affibbiarsi la cinghia dei pantaloni. La donna, finito di vestirsi, alza la testa e fu davvero una sorpresa riconoscendo la serva del prete. Una donna ancora giovane e molto in carne. La serva sali su per il bosco e lo zio scese nella strada sotto la vigna cantando:
«Che dolce più, e che più giocondo stato
Saria di quel d'un amoroso core?
Che vive più felice e più beato
Che ritrovarsi in servitù d'Amore?
Se non fusse l'uom sempre stimulato
Da quel sospetto rio, da quel timore,
Da quel martir, da quelta frenesia,
Da quella rabbia detta gelosia».
Sorrisi di questa sua avventura in pieno meriggio. Mentre scendevo per tornare a casa ripensavo alla scena e mi sentivo turbato. Non ne ho mai parlato a nessuno e con lo zio cercavo sempre che nei nostri discorsi fosse evitato di fare il nome della serva del prete. La sera lo zio canta, come mai aveva cantata, rosso in volto e con gli occhi che saettavano bagliori di fuoco; io lo guardavo e rivedevo la sce[...]

[...]endevo per tornare a casa ripensavo alla scena e mi sentivo turbato. Non ne ho mai parlato a nessuno e con lo zio cercavo sempre che nei nostri discorsi fosse evitato di fare il nome della serva del prete. La sera lo zio canta, come mai aveva cantata, rosso in volto e con gli occhi che saettavano bagliori di fuoco; io lo guardavo e rivedevo la scena del bosco. Credo che se anche la zia fosse venuta a saperlo gli avrebbe perdonato. Giulia non era più giovane e da anni ormai vivevano soli. Orlando s'era sposato con una maestra ed era andato a stare nella Lucchesia. Ruggero viveva con la famiglia nel Casentino, entrambi facevano il muratore. Bradamante, una bella ragazza con occhi e capelli neri, era andata a marito ad un maresciallo di cavalleria a Firenze.
MEMORIE 151
Ricardo di aver visto una volta suo marito in divisa e con la spada e sentii subito una forte antipatia. La zia considerava suo marito un po' come un ragazzo che ha delle manie e col quale non bisogna esser troppo severi. Una mattina fece uno scherzo un po' azzardato ad un[...]

[...]tante donne che basta vedano un paio di pantaloni diversi da quelli del loro uomo, si alzano subito la sottana ».
Lo zio, sempre occupato dal suo lavoro, voltandosi verso le persone, sorridendo, disse:
« Se fossi stato una donna avrei tenuto la mia casa aperta a tutti quelli che mi fossero piaciuti ».
Malgrado questi discorsi fatti un po' sul serio e un po' per scherzo, non li ho mai visti litigare, ma trattarsi sempre con molta affettuosità. Più tardi ho capito che anche alla zia piaceva sentirlo cantare. Un giorno mentre si stava in cucina e lo zio nell'orto che cantava, mi disse:
«Senti come canta. Non ha mica una cattiva voce. Sai, quando veniva da me a fare all'amore sentivo sempre la sua voce, andavo alla finestra e lo vedevo scendere giù dalla viottola in cima ai campi. Una ragazza che era un po' innamorata di lui mi diceva spesso:
« Come canta bene il tuo fidanzato...! ».
« Anch'io trovo che canta bene e mi piace stare a sentirlo ».
« Si, canta bene ancora, tu avresti dovuto sentirlo, quand'era gio
152 QUINTO MARTINI

[...]

[...]sso:
« Come canta bene il tuo fidanzato...! ».
« Anch'io trovo che canta bene e mi piace stare a sentirlo ».
« Si, canta bene ancora, tu avresti dovuto sentirlo, quand'era gio
152 QUINTO MARTINI

vane, che voce! Il prete lo chiamava sempre a cantare in chiesa per le grandi feste e... ».
Pensai di nuovo alla serva e chiesi:
« C'è sempre lo stesso prete d'allora in questa chiesa? ».
« Sempre lo stesso. Non è molto vecchio, è qualche anno più giovane di mio marito ».
Volevo chiederle anche della serva, ma non ebbi coraggio. Una donna entrò in casa e chiamò:
« Giulia, venite in bottega ».
La zia si asciugò le mani al suo grembiale grigio e uscendo mi disse:
«Stai attento al gatto che non mangi la carne ».
Guardai fuori dalla finestra; le cime del monte erano piene di sole, la vetta dei cipressi era rossastra e la pianura già in ombra. Un vecchio passò di sotto alla finestra con un fascio di legna sulle spalle. Lo zio che non cantava piú, gli disse:
«Come va, Arduino? ».
« Va da vecchi, caro Marco ».
« Macché da vecchi, finc[...]

[...] serva, ma non ebbi coraggio. Una donna entrò in casa e chiamò:
« Giulia, venite in bottega ».
La zia si asciugò le mani al suo grembiale grigio e uscendo mi disse:
«Stai attento al gatto che non mangi la carne ».
Guardai fuori dalla finestra; le cime del monte erano piene di sole, la vetta dei cipressi era rossastra e la pianura già in ombra. Un vecchio passò di sotto alla finestra con un fascio di legna sulle spalle. Lo zio che non cantava piú, gli disse:
«Come va, Arduino? ».
« Va da vecchi, caro Marco ».
« Macché da vecchi, finché non siamo nella fossa va sempre bene ». « Gli anni pesano più delle fastella, vedrai anche tu quando avrai la mia età ».
Sentivo la voce del vecchio che si allontanava e lo zio gridare:
« In gamba, Arduino. Uno di questi giorni verrò a trovarti. Prepara un fiasco di quello vecchio. Io ti porterò le spuntature per la pipa e canterò per te ».
Non sentii più la voce dell'uomo che portava il fastello. Lo zio riprese a cantare mentre zappettava. In quell'ora non c'era lavoro in bottega e lui passava il tempo a fare altre cose intorno a casa. La zia tornò in'\cucina a preparare la cena, io uscii fuori e mi misi sotto il noce a guardare il sole che lentamente lasciava il monte nell'ombra, una malinconia pungente mi morse l'animo, scappai in camera a rileggere la cartolina di Aldo. Mi affacciai alla finestra che guarda la chiesa, guardai le prime stelle e mi parve di udire lontano un cane che faceva l'abbaio del lupo.
Le stelle crescevano, e se lo z[...]

[...]ciai alla finestra che guarda la chiesa, guardai le prime stelle e mi parve di udire lontano un cane che faceva l'abbaio del lupo.
Le stelle crescevano, e se lo zio non mi avesse chiamato giù per cenare sarei rimasto li a osservare il cielo che si popolava di piccole
MEMORIE 153
macchie luminose e a rivivere ciò che avevo provato in quella sera mentre mamma pregava alla finestra. Certe volte si sente anche il bisogno di rivivere anche le cose più tristi della nostra vita e ci si abbandona senza poter reagire.
Un giorno, prima di mezzogiorno, me ne stavo seduto nel bosco vicino alla chiesa, ero tutto preso dal canto del Conte Ugolino. Uno sfrusclo dietro di me mi fece voltare di scatto e fui sorpreso nel vedere il mio cane che si faceva largo dimenandosi fra le frasche e festante mi veniva incontro. Mi saltò addosso e non cessava di dimostrarmi col suo mugolio e scodinzolando, la gioia di rivedermi. Pensai che qualcuno della mia famiglia sarebbe stato per la strada del bosco. Mi alzai, e lassù in alto, vidi mia madre che scendeva giù [...]

[...]miglia sarebbe stato per la strada del bosco. Mi alzai, e lassù in alto, vidi mia madre che scendeva giù piano piano. Aveva una pezzuola in testa per pararsi il sole e sotto il braccio destro un grosso fagotto bianco. Le andai incontro, il cane avanti camminava serpeggiando la strada sassosa, e spesso si voltava indietro movendo la coda coperta di pelo.
Ero felice, appena fu possibile vederci ci facemmo dei cenni alzando una mano, quando le fui più vicino, mi disse:
« Com'é che mi sei venuto incontro? ».
« Stavo seduto in fondo al bosco, vicino alla chiesa, quando mi son visto arrivare Drago, allora ho pensato che ci fosse qualcuno di voi ». Porgendomi al mio cenno il fagotto, mi disse:
«Non mi é stato possibile farlo tornare indietro; quando lo sgridavo si buttava ai miei piedi come per implorare che lo lasciassi venire. E cosi mi ha fatto compagnia».
« Hai fatto bene a portarlo ».
« Ho pensato anch'io lungo il cammino che ti avrebbe fatto piacere rivederlo ».
« Sono contento che ci sia anche Drago ». Mi chinai e lo strinsi fra l[...]

[...]sce molto bene Aldo. E tu, sei
mai stato a messa?
Io non risposi. Lei, con una voce molto dolce, prosegui:
«Non posso costringerti ad andare in chiesa se non lo fai con fede.
Un giorno, sono certa, tu sentirai questo bisogno ».
Giunti dagli zii fu gran festa. Un pollo venne ammazzato e fatto
fritto per il desinare. Si parlò molto di Aldo. Fu allora che mio zio
disse che Orlando e Ruggero erano stati bastonati ma che poi non
avevano avuto più noie. Ero contento di ritrovarmi con mia madre in
una casa che non fosse la nostra. Quando le fu chiesto dalla zia quanto
tempo sarebbe rimasta, rispose:
Non molto, tre o quattro giorni al massimo ».
«Libero lo lasci ancora da noi? ».
«Non é possibile ».
« Anch'io — dissi partirò quando partirà la mamma ».
Lo zio soprattutto era dispiacente per questa mia decisione e ri
spose :
«Resta ancora, così potrai imparare a memoria qualche canto del
l'Orlando Furioso. Ti dirò io quali sono i piú belli e come si fa a can
tare di poesia », e poi riprese:
« Ormai hai finito la scuola e in ci[...]

[...]
una casa che non fosse la nostra. Quando le fu chiesto dalla zia quanto
tempo sarebbe rimasta, rispose:
Non molto, tre o quattro giorni al massimo ».
«Libero lo lasci ancora da noi? ».
«Non é possibile ».
« Anch'io — dissi partirò quando partirà la mamma ».
Lo zio soprattutto era dispiacente per questa mia decisione e ri
spose :
«Resta ancora, così potrai imparare a memoria qualche canto del
l'Orlando Furioso. Ti dirò io quali sono i piú belli e come si fa a can
tare di poesia », e poi riprese:
« Ormai hai finito la scuola e in città non andrai a studiare. Ci
MEMORIE 155
vogliono troppi quattrini. I figli dei ricchi vanno in città a studiare. Com'è ingiusto questo mondo. Resta da me... Canteremo insieme. Quest'inverno, vicino al fuoco, t'insegnerò a cantare, resta da me, Libero ».
Mia madre lo guardò e disse:
«Non invitare la lepre a correre ».
Anche la zia pregò la mamma di farmi restare.
«Sai, Marta, comincio a considerarlo un mio figliolo, e tu ora me lo porti via».
« Grazie, Giulia, ma non può rimanere. Deve lavo[...]

[...]strada serpeggiante fra i gambi degli alberi. Egli fu molto contento; lo mostrò a tutti e ordinò vetro
156 QUINTO MARTINI
e cornice. Venne il giorno della partenza, e prima di lasciarmi volle cantare:
«Ma come i cigni che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio
Così gli uomini degni da' poeti
La zia venne ad accompagnarci fino alla chiesa, ci salutammo di fronte alla canonica e poi ci incamminammo su per la salita. C'era ancora più d'un'ora di sole. Il cane correva avanti, poi si metteva seduto nel mezzo della strada ad aspettarci. Io e mia madre carichi di fagotti (lo zio ci aveva dato un po' di tutto quanto aveva in bottega) si camminava in silenzio. Arrivati in cima, dove la strada che percorre la cresta del monte taglia la nostra che lo attraversa facendo una grande croce, ci mettemmo seduti sopra dei grandi massi. Mia madre accarezzava Drago dandogli con l'altra mano del pane. Io guardavo giù nella valle, cercando di seguire il corso del fiume. Osservavo il sole che si avvicinava. ai monti lontani, più si avvicinav[...]

[...]ti (lo zio ci aveva dato un po' di tutto quanto aveva in bottega) si camminava in silenzio. Arrivati in cima, dove la strada che percorre la cresta del monte taglia la nostra che lo attraversa facendo una grande croce, ci mettemmo seduti sopra dei grandi massi. Mia madre accarezzava Drago dandogli con l'altra mano del pane. Io guardavo giù nella valle, cercando di seguire il corso del fiume. Osservavo il sole che si avvicinava. ai monti lontani, più si avvicinava e più diventava grande.
Chiesi a mia madre il perché' e mi rispose:
« Forse perché é più vicino . a noi ».
«Non ho mai pensato di chiederlo allo zio. Credo che lui me l'avrebbe detto ».
«Già, lo zio sa molte cose, verb? ».
« Ho imparato tante cose stando con lui ».
« Si sta bene quassù a quest'ora, fa fresco... ».
Dalla strada che viene dalla torre scendeva giù il vecchio guardia
boschi. Portava il fucile in spalla e camminava curvo. L'avevo visto altre volte, quando venivo quassù a prender le fastella con mio cugino. Abitava su nella torre fin dalla nascita. Mamma lo conosceva fin da bambina, da quando veniva nel bosco a far legna, a cercar funghi e castagne. Si alzò e gli[...]

[...] e camminava curvo. L'avevo visto altre volte, quando venivo quassù a prender le fastella con mio cugino. Abitava su nella torre fin dalla nascita. Mamma lo conosceva fin da bambina, da quando veniva nel bosco a far legna, a cercar funghi e castagne. Si alzò e gli andò incontro, dicendo:
« Come va Egisto? Era un bel pezzo che non ci si vedeva... ».
«Oh! guarda chi si vede! La Marta. Come va, come va, Marta? E quello là é tuo figlio? L'ho visto più d'una volta quassù con suo cugino Corinto a prender le fastella col barroccio ». E avvicinandosi a me: «Per) ti sei fatto un uomo ».
Io sorrisi e mi sentii fiero di non sembrare più un ragazzino.
« Dimmi, come sta il tuo babbo? Siamo vecchi amici io e Gre
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Borio » e guardando mia madre — «Vero che siamo vecchi amici
con tuo marito? ».
«Lo so, lo so, Egisto. Mio marito vi ricorda spesso e dice sempre: `Egisto è una quercia, non morirà mai' ».
«E Cecchino come va? E sempre malato? ».
« Si, é sempre malato » disse mia madre prendendo un'espressione piuttosto dolorosa. «Non c'è nessuna speranza di guarire, quella è una malattia che non perdona ».
Togliendosi il fucile dalla spalla e il vecchio cappello con la penna di fagiano, disse:
Che mondaccio! Sono malacci quelli. Un anno fa è morto un mio vecchio amico di quel male. Sono vecchio anch'io: un giorno o l'altro mi metterò a letto e non mi alzerò piú. Son vecchio, son vecchio e la sera sento le gambe che mi fanno diego ».
La mamma sorridendolo e toccandolo su una spalla: « Ma che vecchio; voi camperete quanto Noé, e sarete sempre arzillo come siete ora ». Egisto la guardò, sorrise in maniera incredula e domandò:
«E quel matto di tuo fratello canta sempre? ».
Io scattai e risposi:
« Si, si, canta sempre e guai a chi non l'approva. Sarebbe capace di togliergli il saluto per tutta la vita ». E rimettendosi il fucile in' spalla:
« Lo conosco bene, tuo zio. E' un brav'uomo. E' tanto tempo che non lo vedo. Quest'autunno scenderò a fargli u[...]

[...] per tutta la vita ». E rimettendosi il fucile in' spalla:
« Lo conosco bene, tuo zio. E' un brav'uomo. E' tanto tempo che non lo vedo. Quest'autunno scenderò a fargli una visita e a bere un buon bicchiere di vino.
« Tutte le domeniche, per mia nipote che va alla messa, mi manda da fumare per tutta la settimana. Lui dice che il fumo e il vino allontanano le malattie, e la poesia rende la vita felice ».
Infilandosi il cappello e lisciandosi la piuma con due dita disse ironicamente :
« Beh, io mi accontenterò di viver sano perché non so di poesia ».
Il vecchio cominciava a star li con le spine ne' piedi, mia madre se ne accorse e ci salutammo. Dopo esserci un po' allontanati, il guardiaboschi gridò:
« Marta, Marta, ma come va Aldo? C'è nulla di nuovo? » e venendoci incontro:
158 QUINTO MARTINI
« Mi sembrava di aver qualcosa da domandarti, e... ».
Mia madre lo mise al corrente di tutto, e riprendemmo il cammino per ridiscendere 'il monte. Drago ci precedeva a breve distanza, ormai conosceva la strada. Si scendeva all'ombra dei cast[...]

[...]sembrava di aver qualcosa da domandarti, e... ».
Mia madre lo mise al corrente di tutto, e riprendemmo il cammino per ridiscendere 'il monte. Drago ci precedeva a breve distanza, ormai conosceva la strada. Si scendeva all'ombra dei castagni e dei pini. Nell'aria c'era quell'odore che mandano le piante dei boschi di sera nei giorni del solleone. Gli uccelli si chiamavano da un albero all'altro; davanti ai nostri occhi la pianura si faceva sempre più grigia, si vedevano ancora le strade bianche di polvere e lungo i fiumi l'azzurrognolo delle canne. In certi punti del bosco si faceva più scuro ed era in quei momenti che la mamma diceva:
«Libero, bisogna allungare il passo, vedi sta facendosi già buio ».
Allungammo il passo; il cane andava sempre avanti: spesso si fermava per aspettarci e giunti vicino si rimetteva a camminare come prima. Arrivati in Sambusceta, ci fermammo a bere alla fonte. Anche Drago bevve nella fossetta piena d'acqua. Ormai la strada peggiore era fatta, fra breve si sarebbe lasciato il bosco per prendere quella fiancheggiata da ulivi. Laggiù dietro l'Appennino si faceva l'aria rossastra e poi un disco di fuoco si alzava piano piano diminuendo di grandez[...]



da Rocco Scotellaro, L'uva puttanella (con una nota introduttiva di Carlo Levi) in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: NUOVI ARGOMENTI
N. 1718 Novembre 1955 Febbraio 1956
L'UVA PUTTANELLA
Pubblichiamo qui alcuni dei frammenti inediti del libro l'« Uva puttanella » di Rocco Scotellaro. Il volume è comparso in questi giorni, per i tipi di Laterza. E un avvenimento importante nella nostra letteratura: è certamente una delle opere più ricche di valore e di peso di questi anni, da tutti i punti di vista: come creazione poetica originale, come racconto di fatti e descrizione di condizioni e avvenimenti di vita che sono vicini a tutti noi, come documento meridionalista, come strumento di lotta ed espressione di libertà. È forse la migliore delle opere dello scrittore lucano, morto a trent'anni, quella in cui, con più larghezza che nelle poesie, con più libertà e complessità che nell'o Inchiesta », Rocco ha espresso se stesso e insieme il mondo contadino in movimento, di cui egli era parte e guida.
L'« Uva puttanella » (come il lettore vedrà leggendo il libro, e dando un'occhiata alla lunga prefazione che lo accompagna) fu lasciato incompiuto per la morte di Rocco: e quello che è stato pubblicato in volume sono le parti finite e coerenti dell'opera; quelle che Rocco aveva portato a termine, e che si legano in unità, non soltanto per l'ispirazione comune, ma anche per l'argomento e lo sviluppo narrativo. Il piano dell'opera (successivamente, in vari momenti, tra il 1950, data dell'inizio, e il 1953, data della sua morte, modificato) era assai più ampio: ma della maggior parte del libro progettato non restano che note schematiche, appunti; indici sommari. L'opera avrebbe richiesto molti anni di lavoro, tanto che Rocco, talvolta, se ne scoraggiava, e pensava (quasi per un presagio) che non l'avrebbe mai potuta portare a termine.
Le parti pubblicate del libro hanno avuto, quasi tutte, una stesura continuata (soprattutto la prima parte, e l'ultima, quella
2 ROCCO SCOTELLARO
del carcere). Ma il metodo di lavoro di Rocco presupponeva una continua e minuziosa annotazione, una sorta di meditazione scritta (e scritta nella maniera più estem[...]

[...]i anni di lavoro, tanto che Rocco, talvolta, se ne scoraggiava, e pensava (quasi per un presagio) che non l'avrebbe mai potuta portare a termine.
Le parti pubblicate del libro hanno avuto, quasi tutte, una stesura continuata (soprattutto la prima parte, e l'ultima, quella
2 ROCCO SCOTELLARO
del carcere). Ma il metodo di lavoro di Rocco presupponeva una continua e minuziosa annotazione, una sorta di meditazione scritta (e scritta nella maniera più estemporanea, su foglietti sparsi, su frammenti di carta, su scatole di sigarette e di cerini, su quanto gli capitava per mano); una mole di materiale, che gli doveva servire poi nella redazione definitiva, che spesso è difficile distin
guere da altre note, ché non avevano rapporto con il libro. E come un diario di appunti, nei quali vediamo rivivere il nostro amico, animati tutti dalla unità della sua persona. Ci pare dunque di estremo interesse pubblicare qui qualcuno di questi frammenti, tra í moltissimi che egli ha lasciato.
I frammenti dell'u Uva puttanella » possono distinguersi in tr[...]

[...]ti di immagini, di frasi, di discorsi, materiale generico e disponibile per l'opera da compiere. (In questo secondo gruppo di frammenti, numerosissimi, è, come ho detto, difficile, e talvolta impossibile, distinguere quelli che si riferiscono direttamente all'« Uva puttanella» dalle note fatte con altra intenzione o senza una destinazione particolare. Ma, in un certo senso, essi possono tutti riattaccarsi all'e Uva », perché nel libro, così come più recentemente era stato concepito, avrebbero dovuto trovare espressione unitaria tutte le diverse esperienze dell'autore);
3) quelli narrativi (che il lettore potrà agevolmente situare nel contesto del libro: alcuni sono delle varianti precedenti, o delle aggiunte che non avevano ancora trovato il loro posto, come, ad esempio, i frammenti della prigione, che non abbiamo potuto inserire nel libro per non interrompere lo sviluppo del racconto).
Ci è parso opportuno, (e crediamo di fare cosa utile e gradevole al lettore) pubblicare qui una parte di questi frammenti, che ci auguriamo possano ess[...]

[...]revi appunti tratti dai quaderni stessi in cui Rocco andava scrivendo il suo libro; e inoltre alcune pagine di uno dei molti quaderni di note, cos? ricche di materiale espressivo. Nel terzo gruppo infine, pubblichiamo i frammenti narrativi, che corrispondono alle varie parti del libro, e che serviranno al lettore, come una appendice, a completare e approfondire la propria lettura.
Tutti questi frammenti, pur nel loro disordine e nella loro incompiutezza, entrano nel quadro di un'opera che è la più viva espressione e la più diretta testimonianza di un mondo nuovo di immagini e di vita, che nasce dal movimento contadino, lo rappresenta e lo esprime. Sono parole nuove, piene insieme di verità e di poesia. Questi frammenti ne mostrano la formazione e la nascita: tanto più commoventi dunque, perché così direttamente legati a una meditazione che era insieme azione e creazione; che trovava nel movimento contadino la sua fonte, e che riportava al movimento contadino le immagini che, rappresentandolo, lo facevato reale.
Carlo Levi
FRAMMENTI DELL'« UVA PUTTANELLA »
Io
1.
Questò racconto, ispirato solo in parte a fatti realmente avvenuti e a persone anagrafiche, ha rasentato appena l'autobiografia e l'inchiesta che sono gli strumenti più diretti della comunicazione. Per un'autobiografia mancano altri elogi e altri biasimi, e poi si
4 ROCCO SCOTELLARO
sa bene l[...]

[...]perché così direttamente legati a una meditazione che era insieme azione e creazione; che trovava nel movimento contadino la sua fonte, e che riportava al movimento contadino le immagini che, rappresentandolo, lo facevato reale.
Carlo Levi
FRAMMENTI DELL'« UVA PUTTANELLA »
Io
1.
Questò racconto, ispirato solo in parte a fatti realmente avvenuti e a persone anagrafiche, ha rasentato appena l'autobiografia e l'inchiesta che sono gli strumenti più diretti della comunicazione. Per un'autobiografia mancano altri elogi e altri biasimi, e poi si
4 ROCCO SCOTELLARO
sa bene l'inganno di ogni lettera scritta all'amico ed all'amata; per un'inchiesta occorrevano calcoli che possono benissimo non tornare alla fine come accade nella varia pronunzia dello stesso verso in una poesia. Gli appunti presi sono stati un esercizio qualunque di calligrafia e di pittura del momento. Ripetendoli qui, essi hanno la forza fredda degli ossi, dispersi, nemmeno legati in scheletro. L'ordine che non c'è non lo troverete come appunto è nel grappolo d'uva che gli[...]

[...]evano calcoli che possono benissimo non tornare alla fine come accade nella varia pronunzia dello stesso verso in una poesia. Gli appunti presi sono stati un esercizio qualunque di calligrafia e di pittura del momento. Ripetendoli qui, essi hanno la forza fredda degli ossi, dispersi, nemmeno legati in scheletro. L'ordine che non c'è non lo troverete come appunto è nel grappolo d'uva che gli acini sono di diversa grandezza anche a volere usare la piú accurata sgramolatura. Questi sono acini piccoli, apireni, seppure maturi che andranno ugualmente nella tina del mosto il giorno della vendemmia. Cosi il mio paese fa parte dell'Italia.
Io e il mio paese meridionale siamo l'uva puttanella, piccola e matura nel grappolo per dare il poco succo che abbiamo. Infine l'invenzione e la realtà sono ugualmente gratuite, malgrado ogni strumento di misura e di paragone e perciò nessuno — uomini e partiti — si quereli e i giudici, li prego, non diano retta alle chiacchiere.
2.
Disegno generale del libro «L'uva puttanella»
la parte — Le dimissioni que[...]

[...]e rimangono feriti, schiacciati o rotti, come cocci, tuttavia con la loro invincibile personalità animale « Se noi vogliamo, nessuno ci scoprirà » si dicono, anzi, per difendersi.
L'asprezza dei contadini è un carattere individuale inconfondibile; la loro adesione a un movimento è assuefazione incosciente e forzata, la loro speranza è sempre disperata perché gli uomini non vogliono bene agli uomini; per loro le linee di una qualsiasi logica, la più reale e palmare, possono essere sconvolte da un maleficio sempre corrispondente.
6 ROCCO SCOTELLARO
La provvisorietà del mondo orienta il contadino al pieno godimento di una vita, anche misera, stentata e grama; d'altra parte lo induce alla credenza religiosa.
Ma il credo religioso é anch'esso logica costruzione di uomini non c'è niente di veramente credibile.
« Se Dio c'è lo sa lui ». Il Dio è anche il maleficio.
La macchina forse potrebbe urtare contra la loro diffidenza, e vincerla, ma la macchina non é più misteriosa di un serpe. Il giorno di festa è un giorno di dura fatica.
I mort[...]

[...]rrispondente.
6 ROCCO SCOTELLARO
La provvisorietà del mondo orienta il contadino al pieno godimento di una vita, anche misera, stentata e grama; d'altra parte lo induce alla credenza religiosa.
Ma il credo religioso é anch'esso logica costruzione di uomini non c'è niente di veramente credibile.
« Se Dio c'è lo sa lui ». Il Dio è anche il maleficio.
La macchina forse potrebbe urtare contra la loro diffidenza, e vincerla, ma la macchina non é più misteriosa di un serpe. Il giorno di festa è un giorno di dura fatica.
I morti sono l'umiliazione della propria carne ad opera del maleficio.
I vivi sono portatori di maleficio, che o dorme o si sveglia nelle liti, nei furti, negli assassini.
Il padre e la madre sono i primi rivelatori del male.
Le malattie stanno nell'aria e si combinano per inaspettati colpi di vento.
La nascita è un premio prezioso che ci possono rubare e che bisogna assicurare col battesimo.
L'amore non esiste. Esiste il disamore che si esprime nelle combinazioni, negli innesti, nei matrimoni quando due esseri incon[...]

[...]
La nascita è un premio prezioso che ci possono rubare e che bisogna assicurare col battesimo.
L'amore non esiste. Esiste il disamore che si esprime nelle combinazioni, negli innesti, nei matrimoni quando due esseri inconciliabili sono uniti con un ferro rovente del caso. L'atto sessuale riprova soltanto l'aspirazione all'amore.
Siamo qui, senza volontà di vita, con la paura della morte. Il lavoro é un richiamo della terra .che ci vuole sempre più in profondo.
Gli animali e i prodotti della terra sono la misura del nostro essere.
Ma gli uomini, tutti gli uomini e le donne sono diversi da me in tutto.
Siamo uguali nel disamore e nella morte.
4.
Dalla parte del più forte.
Machiavelli accettò per destino irrimediabile la condizione dei governati secondo la convinzione che se anche questi riusci
vano con moti a travolgere i poteri dovevano poi rientrare ai loro posti, essendo determinante la condotta dei potenti a generare o governare la storia.
Machiavelli era più psicologo che storico del suo tempo e quell'economia era rivestita del carattere del signore capace o impotente alle regole del giuoco dell'anima umana.
Perciò non vide né analizzò lo stato dei governati, misurandone le reazioni e distinguendole in spontanee e forzate o provocate e dirette. In Italia i movimenti popolari non sono ancora stati studiati dal punto di vista delle classi inferiori.
Queste mantengono in vita, per sé, l'ordine di idee delle classi più vicine al potere: che si possa essere salvi e godere la relativa comodità restando sempre, col variare dei tempi, dalla parte del p[...]

[...]storico del suo tempo e quell'economia era rivestita del carattere del signore capace o impotente alle regole del giuoco dell'anima umana.
Perciò non vide né analizzò lo stato dei governati, misurandone le reazioni e distinguendole in spontanee e forzate o provocate e dirette. In Italia i movimenti popolari non sono ancora stati studiati dal punto di vista delle classi inferiori.
Queste mantengono in vita, per sé, l'ordine di idee delle classi più vicine al potere: che si possa essere salvi e godere la relativa comodità restando sempre, col variare dei tempi, dalla parte del più forte.
5.
c< Perché così come coloro che disegnano e' paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura dei monti e de' luoghi alti, e per considerare quella de' bassi si pongono alti sopra de' monti, similmente, a conoscere bene la natura de' populi, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella dei principi, bisogna essere populare ».
Machiavelli, Il Principe.
u Vivendo adunque gli uomini intra tante persecuzioni, portavano descritti negli occhi lo spavento dello animo loro, perché, oltre agli infiniti mali che sopportavano, mancava buona parte di loro di poter rifuggire al[...]

[...]; artisti col capo
volante, esseri non esseri, ma uccelli, sia che abbiano o non abbiano
pane e comodi.
Mia madre mi vuole bene, io non le voglio bene, o soltanto
qualche volta per abbandono o malanno provvisorio.
C'é gente che studia e deve arrivare, arriva ed é contenta.
C'é persone che vogliono sposarsi e si sposano.
Io non so che fare, forse mi ucciderò: sarà l'unico gesto nor
male, di cui spero essere capace.
Penso che Dio è l'uomo più furbo di questa terra, sta nascosto
in un buco per manovrarci così bene.
10.
Uva puttanella é l'uva che ha l'acinellatura : consiste nella presenza di acini più piccoli tra quelli di grandezza normale.
Questi acini sono apireni (senza semi) e, se non restano verdi (acinellatura verde), maturano fino a essere più dolci di quelli normali (acinellatura dolce).
L'acinellatura dipende dalla mancata o incompleta fecondazione.
11.
L'uomo dell'Uva puttanella ha il solo problema : l'attesa del giorno in cui a suo dispetto sarà gettato nel tinello per far mosto.
12.
L'uva puttanella era in mezzo ai suoni di tromba di tutti i giornali che annunciavano le vittorie delle elezioni amministrative, ognuno giubilava, nessuno aveva perso.
13.
L'analfabetismo di ritorno — che significava cancellate le tracce degli esami universitari, spente le immagini di fisica, di chimica, delle piante e delle loro famiglie[...]

[...]tto il paese?
Non era contadino, non era un disperato vero, un calzolaio, né un prete, né avvocato, né giudice, per quale legge dunque si muoveva? Né viandante del tutto, carrozzone inerte di un treno, che può passare da un deposito all'altro e girarsi l'Italia.
Uva puttanella che una malattia conosciuta dagli enologhi aveva invaso il grappolo, senza devastarlo del tutto: acini avevano resistito, acini no : questi piccoli sulle raspe non erano più cresciuti da luglio, ma maturati, dolci come gli altri, col sole dentro, la polvere sulla pelle.
II°
1.
Mi ritiravo le notti, con tutti gli atti e i peccati del giorno, solo veramente, eppure mai mi capitava di non essere accompagnato.
Quelli, dov'ero stato a bere e giocare, mi mettevano in mezzo, guerrieri di un re pari loro, con una divisa di fierezza mi scortavano fino alla porta di casa. Avanti e intorno erano nascondigli, vicoli sopra e ai lati; di fronte era l'entrata della casa del mio padrino, senza battenti, dava in una scala e poi, in alto c'era la porta. Era sempre scuro là e n[...]

[...]un ristorante
L'UVA PUTTANELLA 13
aperto, c'è vento di mare, i camerieri stanno al posto loro, la
solita lista.
Mangio a un tavolo, con un bicchiere di fresie, un garofano,
e boccadileone.
A un tavolo grosso le famiglie di 2 carabinieri o appuntati in borghese, un loro parente, dai capelli bianchi e gobbo. Scrivono le cartoline ai colleghi di certe stazioni, dove o comandano o servono.
Qui al lato c'è una vecchia mamma e il figlio. Più in là un padre una madre eleganti e due figlioli sono quelli della macchina targata Roma. Ed ecco, due ragazzi, in divisa di convittori salesiani
e il loro papà.
Andando da Napoli a Cava nel treno si sono sentite le note del mandolino: Ecco, dicevo, capiscono che in certi giorni, come per certe ricorrenze nella vita propria, non è possibile — se si viaggia — andare con le mani in mano. Hanno preso il mandolino
e altri — sentiremo — i loro altri strumenti.
Macché, era una vecchia, capelli cenere spezzava l'unica can zone davanti alle porte dei scompartimenti per prendersi le lire di re[...]

[...].
Il telefonista agente di P.S. licenziato perché non riesce a
trovare il sindaco all'altro capo del telefono.
16 ROCCO SCOTELLARO
23.
Fu dopo aver cantato le glorie delle donne nominate da tutti e di Giovannina — Quant'è bella la Giovannina, si mette in moto senza benzina!
Ella abitava a Fuori la Porta in una casa, l'ultima piantata lungo il viale, si vedeva il suo spigolo conficcato nella roccia e poi c'era la villa di quattro acacie e più distante la cabina elettrica, una cassapanca all'impiedi.
24.
Il serpente nero, steso nel 'muro, era mio padre che mi sbarrava il passo.
25.
Tutte queste malattie di oggi sono perché hanno spogliato i boschi perché prima rimanevano soffocate nelle chiome degli alberi.
26.
Il 1942, quando moristi, volevo sapere da te, dall'altro mondo, che dovevo fare: guerra non la feci. Matteotti. I mietitori, i calzolai, Innocenzo.
27.
— Certo che parlo di me, e di chi dovrei parlare? — dissi ad alta voce al serpente appena lo scorsi. Si girò indietro e scappò via.
28.
La lamiera si scaldava [...]

[...]e lamiere. C'erano le pietre ai lati per tenerle ferme.
Le pietre della fabbrica, un pezzo al confino con Don Raffaele, erano smosse. Mio padre, lo vedevo, « c'é sempre qualcosa da fare » diceva « queste pietre, il grappolo che tocca terra e si
L'UVA PUTTANELLA ]7
infradicisce » basta scavare un poco con le unghie i mattoni al camino della casetta, tu ti vai a sedere, quelli si scostano. E uno tira l'altro.
Si facevano ora le viti largo, non più tutte parevano, a quattro a quattro con le canne a capannello come cabine o case o palazzotti uno in fila all'altro, qualcuna si sradicava, un'altra invecchiava, c'erano due larghi, mancanti di un capannello e mezzo, sei viti, che parevano una piaga, un cimitero.
Il merci era più lungo di Calciano. Montava in un punto e trovava la discesa più ripida dopo.
Era rimasta l'unghia con il ferro.
L'albero di fico, spoglio, era più giovane, i rami erano molli, parevano braccia di adolescenti. Si poteva dar fuoco alla vigna? E come! le foglie secche erano un tappeto, le canne e i tralci avrebbero preso.
L'aliante rosso sangue.
La menta alla prima fabbrica dall'odore penetrante.
I momenti brutti, due tre volte sono svenuto, mi sono svegliato a quest'odore, misto anche d'aglio e aceto.
29.
— Gli pareva di vivere stando in affitto. Dalla sera alla mat
tina lo potevano sfrattare.
Al giocatore sordo bisognava parlare al telefono.
— Io sono il migliore suonatore di chitarra. Mettiamoci alla prova — proclamava il sanch[...]

[...]Santa Filomena in una bara dai bordi dorati: si vedeva la capigliatura nera, il suo viso di giovinetta. Era la fidanzata di San Pancrazio, credono i paesani.
Non pioveva : — Poveri a noi! La festa dei pochi colpi sparati si fece sentire nelle campagne, le gelate tenevano dure le terre, la
neve di marzo era arrivata tardi a germogli fatti.
18 ROCCO SCOTELLARO
— Contentati — dicevano a San Pancrazio i contadini, gli agricoltori, se non c'è di più fuoco come meriteresti.
— Morte e corte: come ti puoi aiutare!
— Secondo la cadenza del discorso.
30.
Strada facendo.
La masseria della Serra Alata é lontana 25 chilometri da Laurenzana, il paese più vicino. È situata a mezza costa, solo più a monte cominciano i primi radi alberi di querce: si vede dal torrente la casa del padrone con un primo e un secondo piano, cui seguono i vani bassi per le stalle delle vacche e il ricovero dei pa stori e dei gualani.
Pancrazio é un giovane di 22 anni, pastore. Si leva dal giaciglio di paglia quando ancora non è l'alba, ma gli uccelli nei pirastri vicini e sulle tegole della masseria fanno già il pandemonio: un altro pastore dorme ancora : il vano é occupato dai due giacigli, ottenuti da assi di legno che si irramano alle estremità da cui pendono secchi, fiscelli, le coppole, le giacche, i b[...]

[...]ta a colla. Ieri sera poi doveva calcinare il grano. E poi ha quattro bambini in braccio e non ha tempo.
— Tu devi fare un servizio a tua moglie, vieni da me, ti affilo un coltello di legno e le tagli l'orecchio e la porti al maresciallo.
— No, poveretta, è tanto impicciata non ha tempo né a prendere acqua né a rappezzarmi i pantaloni.
3 lire di mentine.
Padre figlio e S.S.
32.
Zia Filomena, donna pubblica, di cui ho sentito parlare, avrà più di 70 anni, regola il prezzo dei suoi servizi, secondo il costo del biglietto del cinema, da quando c'è il cinema. E anche possibile un abbonamento. 200 lire un mese di seguito.
33.
L'altra sera sei napoletani installarono su una balilla e un camioncino una bancarella di vendita. Microfono e altoparlante. Si vendevano quattro paia di pantaloni usati al prezzo di lire mille. Gran vendita dapprima. Subito dopo una contadina voleva indietro il biglietto da mille e restituire i quattro pantaloni inservibili.
20 ROCCO SCOTELLARO
Il venditore: « Non cambio niente a nessuno ».
La contadina : «[...]

[...]evano quattro paia di pantaloni usati al prezzo di lire mille. Gran vendita dapprima. Subito dopo una contadina voleva indietro il biglietto da mille e restituire i quattro pantaloni inservibili.
20 ROCCO SCOTELLARO
Il venditore: « Non cambio niente a nessuno ».
La contadina : « Ma se i soldi erano falsi? ».
Il gruppo di pubblico si divide tra i sostenitori della compratrice e gli altri ammirati dai gran discorsi del napoletano, che non poté piú vendere niente e terminò dopo giochi di prestigio per attirare tutto il pubblico per sé e vendere, con un vero comizio sull'educazione civile dei paesi. Non vendette più nemmeno i cinque pezzi di pettine con lo specchio, tutto per cento lire. « Andate in chiesa a rubare », disse alla fine, « cento lire, una lira anteguerra ».
Mangiarono a mezzanotte gli spaghetti e la carne, fumanti su una cucina a petrolio e c'era ancora pubblico. Uno disse : « Vien voglia di mangiare con loro ».
34.
Concetto Valente ce l'ha con questo « fideliter excubat ». Genuflessa (egli commenta) all'altare la sposa dispiega un lembo della veste sotto le ginocchia dello sposo. Tacita promessa di fedeltà.
E poi non so se è sempre lui Valente — trovo scritto in un appunto: « La Luca[...]

[...]asa in piazza.
Solo il vino rompeva la monotonia e creava la guerra del padrone e del sotto.
Di questi giorni ricordo che mi ritiravo a casa sapendo di trovare il baccalà con i peperoni croccanti o questi con le olive fritte che fanno mangiare tanto pane e bere tanto vino.
41.
((Tutti pazzi al mio paese». Il paese era pieno di botte come un asino scorciato.
L'UVA PUTTANELLA 23
Le botte erano diffuse sul corpo, alcune visibili altre no, la più grossa stava sotto il basto. Avevano voglia di dire che il panorama visto da Santa Maria, quello stesso che prese il fotografo di Gravina per la cartolina illustrata di rip. vietata, faceva del paese un treno a vapore, con la torre locomotiva: dove andava? Era un asino, invece, col collo che era il monte e la testa la torre, il dorso la piazza, la groppa la Rabata e la Saracena.
1.
Il convento era rimasto lontano come un buco nella montagna di Sicignano degli Alburni con le loro corone di grosse scatole pallide: sotto, la rotabile con nodi e tratti lunghi che si perdeva nella macchia nera d[...]

[...]stanza di casa sua.
Ninuccio andava alla Pantana ogni giorno, dal mese di maggio fino alla vendemmia restava giorno e notte in campagna, lo rivedevo col sole che aveva preso come se tornasse da un altro paese.
E Innocenzo che non si perdeva mai la domenica in paese e le feste, stava in casa i giorni del morto, quando indossava l'abito della confraternita di Sant'Antonio, guadagnando trenta soldi per ogni accompagnamento.
Mentre Ninuccio aveva più terra, tutta alla Pantana, e un pezzo di vigna anche, ma vicino al paese, Innocenzo andava una volta alla Trinità, un'altra a Malcanale, e alla quota, che era la terra più lontana, nelle Matine.
24 ROCCO SCOTELLARO

Tutti e due, però, parevano come bestiole, o cani o capre, dietro i loro padri e dietro i muli.
Tentavo, aspettandoli la sera, i vecchi giuochi; dovevo aspettarli troppo perché finivano di mangiare tardi la pasta la sera e poi dovevano subito tornare in casa, chiamati dalle mamme, perché la mattina si alzavano presto. Già loro due, Innocenzo stava a pianterreno e Ninuccio sopra alla casa sulla scala, quasi non si riconoscevano più come gli amici dei giuochi di prima, parlavano di altri loro nuovi conoscenti che abitavano lontani dal vicinato, c[...]

[...]CO SCOTELLARO

Tutti e due, però, parevano come bestiole, o cani o capre, dietro i loro padri e dietro i muli.
Tentavo, aspettandoli la sera, i vecchi giuochi; dovevo aspettarli troppo perché finivano di mangiare tardi la pasta la sera e poi dovevano subito tornare in casa, chiamati dalle mamme, perché la mattina si alzavano presto. Già loro due, Innocenzo stava a pianterreno e Ninuccio sopra alla casa sulla scala, quasi non si riconoscevano più come gli amici dei giuochi di prima, parlavano di altri loro nuovi conoscenti che abitavano lontani dal vicinato, chi alla Rabata, chi sotto la piazza, chi alla Saracena, gente che io non conoscevo, me li nominarono come i nuovi eroi.
Allora volli seguirli, perché in quei giorni non avevo nulla da fare e gli studenti abitavano nelle varie città e poi io non ero convinto che avrei continuato la scuola.
Andai alla Pantana con Ninuccio.
2.
Ninuccio tornò da Bologna più assolato in volto di come era: la stessa crosta, che tingeva gli artigiani — sarti e scarpari — che andavano soldati con la [...]

[...]uochi di prima, parlavano di altri loro nuovi conoscenti che abitavano lontani dal vicinato, chi alla Rabata, chi sotto la piazza, chi alla Saracena, gente che io non conoscevo, me li nominarono come i nuovi eroi.
Allora volli seguirli, perché in quei giorni non avevo nulla da fare e gli studenti abitavano nelle varie città e poi io non ero convinto che avrei continuato la scuola.
Andai alla Pantana con Ninuccio.
2.
Ninuccio tornò da Bologna più assolato in volto di come era: la stessa crosta, che tingeva gli artigiani — sarti e scarpari — che andavano soldati con la faccia bianca e oliva e con la lingua rossa e tornavano tinti e bruni, tinse anche lui che aveva preso da quando teneva tre anni tutto il sole caduto sulle terre della Pantana.
Disse che se ne aveva visto bene: femmine a tutta forza e soldi, perché un ufficiale e un civile gli facevano fare il servizio militare nel genio e la guerra contro i tedeschi era un mestiere qualunque, che era quello di tagliare filo di rame delle linee ferroviarie quanto più poteva e di traspor[...]

[...]ccia bianca e oliva e con la lingua rossa e tornavano tinti e bruni, tinse anche lui che aveva preso da quando teneva tre anni tutto il sole caduto sulle terre della Pantana.
Disse che se ne aveva visto bene: femmine a tutta forza e soldi, perché un ufficiale e un civile gli facevano fare il servizio militare nel genio e la guerra contro i tedeschi era un mestiere qualunque, che era quello di tagliare filo di rame delle linee ferroviarie quanto più poteva e di trasportarlo a rocioli in certi posti. Cosi i racconti del padre, Battista, che aveva fatto l'attendente, erano ormai cosa da nulla, e se egli ancora ii contava, certe sere, dinanzi a persone estranee per intrattenersi, Ninuccio puntava con la forchetta i maccheroni lunghi e fingeva di essere attento, nettandosi le labbra quando il bariletto di vino stava per passargli in mano, alle parole del padre, che bevuto e nettandosi con la manica anche lui le labbra, passava il bariletto e diceva: — La vita militare e la guerra di mó é fesseria.
L'UVA PUTTANELLA 25
Se poi lo stuzzicava m[...]

[...]ole del padre, che bevuto e nettandosi con la manica anche lui le labbra, passava il bariletto e diceva: — La vita militare e la guerra di mó é fesseria.
L'UVA PUTTANELLA 25
Se poi lo stuzzicava molto il padre, Ninuccio usciva a dire con tanto di educazione: — I fatti vostri, tatta, li so a memoria; quelli miei me li sono scordati e forse non si possono raccontare perché sono lunghi e non ho buona memoria perché sono capitati veramente ma sono più sogni che fatti.
3.
Facevo lezione agli altri bambini nelle scale di casa: io sul primo pianerottolo con la mia sedia, gli altri ai banchi dei gradini. Erano 7 maschi e 4 femmine la scolaresca. — La scolaresca è disciplinata — diceva il maestro al direttore quando veniva a ispezionarci. La mia non solo era disciplinata, ma atterrita di me. A turno, per un certo gusto appreso dal vero maestro, li mettevo in ginocchio con i ceci sotto, oppure li prendevo con le orecchie per sol levarli da terra, avevo anche la bacchetta. Ninuccio che era il più forte e non si ribellava solo perché gli risol[...]

[...]tolo con la mia sedia, gli altri ai banchi dei gradini. Erano 7 maschi e 4 femmine la scolaresca. — La scolaresca è disciplinata — diceva il maestro al direttore quando veniva a ispezionarci. La mia non solo era disciplinata, ma atterrita di me. A turno, per un certo gusto appreso dal vero maestro, li mettevo in ginocchio con i ceci sotto, oppure li prendevo con le orecchie per sol levarli da terra, avevo anche la bacchetta. Ninuccio che era il più forte e non si ribellava solo perché gli risolvevo i problemi di scuola — quando toccava a lui la penitenza dei ceci, sapeva convincermi di smettere la lezione per finire la punizione : intendevo bene che continuando se ne sarebbe scappato e dovevo fermarlo e ce le saremmo date a scapito del mio prestigio di maestro.
4.
Ero la massima autorità del paese, tanto che il ragazzo canterino mi citò nella sua filastrocca di rampogna con fiero e rispettoso orgoglio: Il sindaco del mio paese — è un giovinotto a posto — che prende De Gasperi — lo mette alla composta ». Capace dunque di stirare il co[...]

[...]to nell'olio. Mastro Innocenzo era il mio genitore. — Quando vuoi — mi disse — preparo una sedia, ti alzi tu, mi alzo io, gli cantiamo le corna a questi camorristi.
Il paese, dopo la venuta degli alleati, pensò alla raccolta, trasportò il grano, la luna era lucente e gli alberi erano ritornati amici. In piazza c'erano i manifesti di Alexander che parlavano così: Io, Alexander, ordino: ma nessuno li leggeva.
26 ROCCO SCOTELLARO
5.
3 caffè, il più stretto, dai tavolini un po' umidi e seggiole di ferro è frequentato dagli operai, primi ci andarono i muratori, adesso la piccola folla è quella solita degli artigiani, dei braccianti, dei manovali e contadini e disoccupati. Sono le sette, due tavolini già occupati per giocare alla scopa una tazza di caffè a chi deve pagarla, gli altri sono attorno a guardare.
Altri, una quindicina, sono fuori, hanno fatto la ruota: c'è Pancrazio lo zoppo, Tre occhi, il Partigiano, l'extrainiere di Don Gaspare, è stato nell'ospedale, è debole, non ritrova posto, e Fuciletto che parlano di più.
Dice Tre occ[...]

[...]folla è quella solita degli artigiani, dei braccianti, dei manovali e contadini e disoccupati. Sono le sette, due tavolini già occupati per giocare alla scopa una tazza di caffè a chi deve pagarla, gli altri sono attorno a guardare.
Altri, una quindicina, sono fuori, hanno fatto la ruota: c'è Pancrazio lo zoppo, Tre occhi, il Partigiano, l'extrainiere di Don Gaspare, è stato nell'ospedale, è debole, non ritrova posto, e Fuciletto che parlano di più.
Dice Tre occhi:
— E brutto se andiamo in alto e poi cadiamo che siamo afflitti.
— Adesso siamo tanto a terra che non ci perdiamo. Lo vedi, quelli che stanno bene s'impiccano e tremano, ma noi no.
Fuciletto è il più basso e fino, pare un ragazzo di dodici anni, invece ha i figli, porta i capelli bagnati stamattina per piegarli il più possibile, le mani le ha grosse e nere di mosto, dice:
— E noi quando saliamo ?
Il Partigiano è alto, gli sta vicino, ha un gozzo che si estende
a. destra, dice: — Hai fatto il bersagliere tu?
Ridono tutti, riprendono Tre occhi e il Grassanese:
— Che ? Ci mettiamo a piangere ? Siamo qui.
Più di così! verrà anche il tempo nostro. È brutto se viene e finisce presto.
— E che non viene — interrompe Fuciletto, — o soltanto all'altalena, alla festa di Fonti.
Quando tutti lo sfottono di nuovo: Io sono riformato, come
mi alzo, con gli intestini? — e si prende la pancia in mano.
Si muove in mezzo a loro la mano del Grassanese, come volesse dire « Aspettate, calma, state sicuri, vedrete ». Poi dice, e sorridono gli altri: — Lasciateli fare, se la sbrigano loro, per noi più nera della mezzanotte non può essere. — Parlano di chi governa, di chi ha soldi terre e comodità.
L'UVA PUTTANELL[...]

[...]ostro. È brutto se viene e finisce presto.
— E che non viene — interrompe Fuciletto, — o soltanto all'altalena, alla festa di Fonti.
Quando tutti lo sfottono di nuovo: Io sono riformato, come
mi alzo, con gli intestini? — e si prende la pancia in mano.
Si muove in mezzo a loro la mano del Grassanese, come volesse dire « Aspettate, calma, state sicuri, vedrete ». Poi dice, e sorridono gli altri: — Lasciateli fare, se la sbrigano loro, per noi più nera della mezzanotte non può essere. — Parlano di chi governa, di chi ha soldi terre e comodità.
L'UVA PUTTANELLA 27
La pensano così, anche Fuciletto che la fa per ridere. Gli ricordano quando tiene riunioni in casa, un porco si mangia, e un altro sfiata le loffe. Pancrazio s'appoggia al battente della porta del caffè, i due bastoni li ha in una mano. Prima ferito per un'accettata in una lite, poi tagliato il terzo interno, fu colpito in guerra all'altra gamba, ma camminava e ubriaco volle andare in bicicletta e si dirupò, ancora gli ruppero la testa; un bell'uomo però, che sia accorciato [...]

[...]a fa per ridere. Gli ricordano quando tiene riunioni in casa, un porco si mangia, e un altro sfiata le loffe. Pancrazio s'appoggia al battente della porta del caffè, i due bastoni li ha in una mano. Prima ferito per un'accettata in una lite, poi tagliato il terzo interno, fu colpito in guerra all'altra gamba, ma camminava e ubriaco volle andare in bicicletta e si dirupò, ancora gli ruppero la testa; un bell'uomo però, che sia accorciato è sempre più lungo di Fuciletto. Si tenne prima una ragazza, poi una bella donna di Lecce che gli è moglie, ha grazia per le femmine, a pensare come fece senza gambe con quella ragazza.
Era ed è calzolaio, fu ferroviere epurato dal regime, vorrebbe riprendere, seduto all'entrata delle stazioni a bucare i biglietti. Più spesso vuole anche lui andare ai lavori industriali nel numero percentuale degl'invalidi. Lo tennero sulla strada," era mortificato, con tutto ciò giocava con la pala; lo presero alla Ravenna che fa l'edificio, con la stessa pala si affaticava davanti alla griglia, poi si sedeva, poi si alzava. — Voglio andare alla quindicina! Guai se lo scartavano. I lavori industriali, le strade, l'edificio scolastico, le fondazioni, i muri di consolidamento, l'Anas, erano l'impiego preferito per la giornata buona, le otto ore e la paga sicura a fine quindicina. I contadini, quando avevano finito i lavori [...]

[...]a brutta parola delle suore, ma poi rise: era la prima volta che rideva. Si tirò il calzone sul ginocchio: « Che avete ? » chiedeva la Madre. «Una pulce! » si grattava sulla gamba di legno.
— Me ne andai che venisti tu: tutto calcolato, dovevo dormire per non scendere al Carmine, a casa. — Pancrazio, sfrattato, tiene una casa al convento disabitato in mezzo alla campagna.
— Avevi bevuto due litri ?
— Si e l'aggiunta. Dovevo prendermi il letto più comodo, sotto la luce e se vomitavo, gli dovevo distruggere le lenzuola.
— Ti hanno accompagnato le guardie ?
— Poveretti, sudavano a fontana. Be, scusa.
— Buon giorno.
— Buon giorno — rispondono tutti.
— Ieri sera mi dettero la quindicina — spiegò Pancrazio —. Fummo a bere da Fagiolo, lo tiene buono, un po' aceto, ma vecchio.
Più tardi, il Partigiano, portava le scale agli elettricisti e saliva con le staffe sui pali, aveva avuto una mezza giornata di lavoro.
30 ROCCO SCOTELLARO
6.
« Nous sommes dans le nihilisme. Peuton sortir du nihilisme? C'est la question qu'on nous inflige. Mai nous n'en sortirons pas en faisant mine d'ignorer le mal de l'époque ou en décidant de le nier. Le seul espoir est de le nommer au contraire et d'en faire l'inventaire pour trouver la guérison au bout de la maladie ».
Da una nota di presentazione di «Espoir, collection dirigée par Albert Camus » dell'editore Gallimard.
Nel 1928, pare,[...]

[...]ile discorso tenuto al farmacista.
1) quante strade illuminate e quante case
2) il mutuo contratto
3) i lampioni a gas e la canzone di rampogna. I tizzoni
4) le nevicate e i pali rotti
5) il mulo ucciso dalla corrente
6) la prima orchestra
7) i furti delle lampade
8) la guerra e l'oscuramento.
Mentre, con la sostituzione dei lampioni a petrolio con la luce a gas, ci fu una reazione e si cantò: cc Giustizia alla comune che ha levato i lampiuni, ha messo la luce a gasso, non si pote dà nu passo »; con la luce elettrica apparvero i contrasti tra chi se la metteva e chi non in casa, ci furono le bestemmie per le zolle espropriate nei terreni dove si piantavano i pali di linea, ci furono le lamentazioni per il mulo ucciso dalla scarica, ma, in complesso, il paese rimase spaurito; dall'epoca del treno già — ma esso era lontano nella valle e solo qualche centinaia di persone viaggiavano o avevano occasione di vederlo vicino dalle terre sul fiume e con le prime automobili e poi con la luce elettra si videro i germogli contorti della nu[...]

[...]ve si piantavano i pali di linea, ci furono le lamentazioni per il mulo ucciso dalla scarica, ma, in complesso, il paese rimase spaurito; dall'epoca del treno già — ma esso era lontano nella valle e solo qualche centinaia di persone viaggiavano o avevano occasione di vederlo vicino dalle terre sul fiume e con le prime automobili e poi con la luce elettra si videro i germogli contorti della nuova generazione e il blocco dei contadini era
sempre più sbigottito e docile, sempre più amaro quando saliva in piazza a sedere sui ferri e le luci si illuminavano.
I contadini dicevano ai figli: — Prima si campava meglio — e, vicino al fuoco, raccontavano i fatti.
32 ROCCO SCOTELLARO
7.
Dal ballatoio, così pub chiamarsi il largo della chiesa, si vede la città naufragata al piano, specie quando piove. I pendii delle montagne, per metà coperte di nebbia, paiono gradini di verde e il primo grano che spunta e le cime di rape gialle.
Quando venne Nicola non ci badai a ciò che fu detto: a Questa è la casa del buon Gesù, chi esce non entra più ».
Ho trovato oggi due donne con le [...]

[...]— Prima si campava meglio — e, vicino al fuoco, raccontavano i fatti.
32 ROCCO SCOTELLARO
7.
Dal ballatoio, così pub chiamarsi il largo della chiesa, si vede la città naufragata al piano, specie quando piove. I pendii delle montagne, per metà coperte di nebbia, paiono gradini di verde e il primo grano che spunta e le cime di rape gialle.
Quando venne Nicola non ci badai a ciò che fu detto: a Questa è la casa del buon Gesù, chi esce non entra più ».
Ho trovato oggi due donne con le borse di paglia e un vecchietto, rossiccio alla barba, ma con tali grosse labbra.
— Si che ci sono ancora i monacelli, ma a quest'ora sono a refettorio, non danno retta a. nessuno.
— E voi che fate ?
— Noi per un altro servizio.
Viva la Santa Pasqua, due donne e il vecchietto rosso, che potrei essere io a 60 anni, aspettano al portone che si sbrighino al refettorio per avere nelle borse di paglia i resti dei monacelli al refettorio.
8.
Sono tornato a questa città, rivedendo la terra più nera e grigia e sassosa e il fosso Rummolo e la Tiera. Dove gli[...]

[...]la barba, ma con tali grosse labbra.
— Si che ci sono ancora i monacelli, ma a quest'ora sono a refettorio, non danno retta a. nessuno.
— E voi che fate ?
— Noi per un altro servizio.
Viva la Santa Pasqua, due donne e il vecchietto rosso, che potrei essere io a 60 anni, aspettano al portone che si sbrighino al refettorio per avere nelle borse di paglia i resti dei monacelli al refettorio.
8.
Sono tornato a questa città, rivedendo la terra più nera e grigia e sassosa e il fosso Rummolo e la Tiera. Dove gli uomini sono gli estranei e le pietre ammucchiate nei campi sul Basento come tumuli, le maggesi tagliate a fianco dei macchieti, sono strane ferite paragonabili alle piaghe che hanno i muli sotto il basto.
Quando bombardavano questa città, si poteva sedere sotto un albero dei monti intorno e bere magari al bariletto e ubriacarsi, gli aerei sciamavano e di notte arrossavano i palazzi.
Dove c'è più gente a lutto. Dove si ricomincia un discorso interrotto al terzo, al quarto giro di passeggio a Via Pretoria. Gli impiegati si vede l[...]

[...]ia e sassosa e il fosso Rummolo e la Tiera. Dove gli uomini sono gli estranei e le pietre ammucchiate nei campi sul Basento come tumuli, le maggesi tagliate a fianco dei macchieti, sono strane ferite paragonabili alle piaghe che hanno i muli sotto il basto.
Quando bombardavano questa città, si poteva sedere sotto un albero dei monti intorno e bere magari al bariletto e ubriacarsi, gli aerei sciamavano e di notte arrossavano i palazzi.
Dove c'è più gente a lutto. Dove si ricomincia un discorso interrotto al terzo, al quarto giro di passeggio a Via Pretoria. Gli impiegati si vede la loro origine umile hanno boria e l'occhio cacciatore per chi viene dal paese.
Certe ragazze sono dieci anni che rompono e riattaccano fidanzamenti.
L'UVA PUTTANELLA 33
9.
Suonata a distesa.
Il primo a vedere con il corpo diviso e i due occhi distanti l'un dall'altro per la sbarra, cui si schiacciava il naso, fu il rubagalline pieno e alto quanto il cancello.
— Com'é che vieni in ritardo ? Non hai a tempo avuto il telegramma di chiamata ? — mi disse, e f[...]

[...] piegò con la chiave alla serratura bassa.
Pensai solo la notte che nemmeno mi volsi all'agente che mi chiudeva per dare prima un addio all'aria abbracciando i ferri e traendo un sospiro per poi farmi prendere nello stuolo degli uomini schierati attorno al rubagalline.
— Noi ti aspettavamo ieri al secondo rancio — riprese. — Tutta la notte siamo stati in pensiero —. Io ero piccolo avanti a lui che adesso riunito nel corpo e visto intero pareva più maestoso sulle due gambe gonfie nei calzoni attillati da militare. Fingevo un sorriso a quelle sue parole che venivano calde dalla grossa bocca dai denti gialli di pane e aspettavo che smettesse quello sguardo orrido e serio. Mi vidi circondato.
Il rubagalline accennò a ridere, gli si strapparono violentemente le labbra e fu strepitoso e gli altri attaccarono dopo di lui. La risata durò con mia meraviglia molti minuti finché spinsi un piede. Dove andavo ? Si misero avanti e dietro, a due, a tre passeggiando. Il rubagalline mi prese il braccio e cominciammo a passeggiare. Sotto la finestra in[...]

[...]hissà per quanto.
Due giovani mi trassero dal rubagalline e mi invitarono alle loro brande, mi sentivo riposato. Mi dettero l'acqua da bere, mi
34 ROCCO St. vt RLLARO
dissero di non sputare per terra, mi offrirono la loro compagnia, mi fecero coraggio, erano della mia zona e ragionammo.
— Che si dice alla libertà ? — venne a chiedermi uno e poi vennero gli altri e rifecero il cerchio.
L'attesa delle mie parole fu lunga, mi rivolsero domande piú specifiche ma io rispondevo con un si o con un no.
— Lasciatelo stare intervennero gli amici della zona, ma il rubagalline fece largo con le braccia, seduto per terra, mi ficcò il suo indice al naso. — Una sigaretta almeno me la dai, nuovo aggiunto ?
Era terribile con la sua faccia, aveva la testa rasa come un mellone; dandogli la sigaretta il suo sguardo mutò, gli vedevo un polipo nella bocca, le labbra si chiusero e negli occhi divenne quieto come un bue. — E grazie — mi disse riaprendo la bocca e affumandomi.
— Ragazzi — si alzò a correre per la camerata, con le braccia aperte voleva vo[...]

[...] gli amici nelle piazze dei paesi che alzano gl'indici e parlano con le mani andando giù e su.
Io non sentivo l'impiantito del camerone liscio di cemento e avevo il capo all'aria. Mi alzai e ripresi, nemmeno il braccio degli amici mi serviva per sostegno, era un autobus, o era una barca ?
Quanti passi facevano i miei colleghi al giorno ? Dove andavano all'assalto? Ritornai alla branda, mi rialzai: — Rubagalline, e tu e voi perché non camminate più piano ? Proviamo, così.
Ma andando piano il camerone aperto alle finestre e al cancello, dove le cose fuori correvano, pareva sbandarsi, era una nave nel mare alto, un battello che raschia sotto e sta per insabbiarsi con urto.
10.
Io volevo di nuovo sedermi per raccontare meglio che cosa avevo fatto, dissero di no, che ci sarebbe stato tanto tempo; li pregai, volevo che sapessero come stavano le cose, mi facevano un piacere, dovevo ricordare io stesso e mettere insieme i particolari.
— No! — gridò un giované bruno alto e magro. — Lascia stare —. Era solo in un angolo, si fece largo tra no[...]

[...]elta, fecero lo sfoggio dei loro scialloni di seta bianca al collo, delle loro scarpine, Peppe portò a ballare la vecchia mia suocera. Lucia era mia moglie. La casa sulla scalinata era di un vano solo, a mezzanotte finirono i balli, fu messo il divisorio tra il nostro letto e la panca col saccone dove avrebbe dormito la vecchia. Tutta la compagnia si spostava nell'altra casa di mio cognato.
— Ma mi vorrai sempre bene? = diceva mia moglie — sono piú vecchia di te, di due anni.
— Io ti vorrò sempre bene.
— Non ci credo assai.
— Ho lasciato la giovine che mi è stata compagna sui treni e ha imparato tutti i vizi della vita.
12.
— Scrivanello, scrivanello! — sentii la voce di Giappone chiamarmi. Lo trovai, questa volta, con le mani in alto al cancello, come lui raramente stava.
Mi disse la guardia che mi vide scattare dalla sedia dell'ufficio: — Non ti compromettere con quello.
Gli risposi : — È un brav'uomo, vuole soltanto farsi un discorso, io ho già finito la tabella della dieta, vado.
— Dimmi Giappone: la tua poesia é forte.
— H[...]

[...]olta la bandiera della funzione. Alzava quella, mdlto umile e rappezzata, dei figli e del costo della vita.
13.
— Dovevo pagare fino all'ultimo quadrante. Ho pagato — dissi al reverendo amico, che, meravigliato, mi fissava per dirmi il suo dispiacere e la sua gioia, che tutti gli uomini sensibili dicono di fronte agli sfortunati la cui sfortuna pare finita. — Ho pagato — gli ripetei. E lui mi guardò strano e pauroso. Io avevo lo sguardo un po' più forte del suo. — Ho pagato per una legge brutale che tu vai predicando per l'Anno Santo. E la solita legge della forza, dovresti saperla a memoria, io la so: «Accordati presto col tuo avversario, mentre sei con lui per istrada affinché per disgrazia il tuo avversario non ti ponga in mano del giudice: e il giudice in mano del ministero: e tu venga cacciato in prigione. Ti dico in. verità: non uscirai di li prima di aver pagato sino all'ultimo quadrante ». Però non mi sono accordato. Perciò mi faranno pagare ancora e tu perderai l'abitudine di venirti a congratulare per la riacquistata libertà,[...]



da Liliana Magrini, Il silenzio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]tavano tra loro che la maglietta e i calzoncini di Michele. Via via che Marco e Nino, rivestendosi, avevano cautamente sfilato di sotto i loro indumenti, la maglietta s'era arrotolata e i pantaloni erano scivolati di traverso sugli steli. Un limone succhiato, scuro di liquerizia, era sfuggito di tasca. Marco rimase un attimo a guardarlo, con una contrazione della gola arsa. Le tre paja di scarpe erano ancora lá, in fila: quelle di Michele un po' più piccole, sulla sinistra il bordo di gomma era in parte staccato dalla tela, e Marco ricordò come ciò impacciasse talvolta Michele, nella corsa.
Il riverbero della costa lo feriva negli occhi: li chiuse, continuando a stringere tra le dita un bottone che gli sfuggiva. Uno, poi un altro, un terzo. La blusa era abbottonata. Riaperse gli occhi, e la luce li ferì di nuovo, aridi di sale. Le sue mani s'agitavano intorno alla fibbia della cintura, cercavano d'affrettarsi: eppure sapeva che quando avesse finito avrebbe dovuto muoversi, lasciare quel riparo che in qualche modo gli faceva davanti il c[...]

[...]. Le cancellò subito, ai suoi occhi abbagliati, un dilatarsi di cerchi incandescenti. Quel riverbero duro gli pesava ora sulla nuca. Lentamente, la vibrazione luminosa si fermò, come al limite di una sfera vuota, nel biancore inerte del cielo e delle acque.
Guardò un attimo verso Nino: cercava con gli occhi tra i bassi scogli che verso il mare interrompevano il greto. Il ciuffo di capelli incollati di sale gli stava ritto sulla fronte, e faceva più sfuggente il suo profilo. Anche Marco guardò da quella parte: nient'altro che pietre piatte contro un orizzonte vuoto.
Improvvisamente, s'accorse che sulla distesa bianca posava, non molto lontano, una barca, rilevata come se l'acqua avesse avuto una
154 LILIANA MAGRINI
durezza di cemento. C'era un uomo, dentro : la sua figura si stagliava precisa, e il braccio teso, e la lenza che teneva in mano: ma non si poteva distinguergli il volto, né capire da che parte guardasse. Anche Nino l'aveva scorto, lo vide trasalire:
«
C'era? »
Per un attimo la chiglia oscillò propagando sull'acqua una v[...]

[...]vò e gli tornò vicino, aveva le braccia tutte intrise di fango. Rimasero immobili qualche tempo, forse abbastanza a lungo. Marco fissava le braccia di Nino dove il fango, asciugandosi, impallidiva e si screpolava. Nino si guardò anche lui le braccia e parve riscuotersi: si mosse, al primo passo sembrò vacillare ma poi si diresse spedito verso una pozza che s'addentrava nel greto. Marco vide che si chinava, e udì un rumore molle d'acqua sollevata più volte con le mani.
Gli parve che rimanesse a lungo. Non osava muoversi. Il lieve rotollo dei ciottoli smossi dall'onda gli serpeggiava ai piedi; si sarebbe detto un lento franamento del terreno, tutto intorno a quei massi lucenti ove l'acqua torpida s'orlava di detriti d'alghe e di schiume giallastre.
Finalmente Nino venne verso di lui, le sue braccia erano gocciolanti e non avevano più traccia di fango. Guardando il suo viso aguzzo, Marco si senti sollevare da un'ira improvvisa. Vigliacco, si disse, vi
IL SILENZIO 155
gliacco. Aveva la stessa faccia, quel giorno che li aveva denunciati, lui e Michele Cataldo, per un vetro rotto a scuola. Strinse i pugni come se ancora si trattasse di questo. Vigliacco. Avrebbe voluto picchiarlo, se non l'aveva fatto allora; ma subito si smarrì nel pensiero di quello che era accaduto. Com'era possibile? nuotavano insieme: e a un tratto, voltandosi, quell'acqua liscia, quel silenzio...
« ... Direbbero che é colpa nostra », disse Nino. Avev[...]

[...]volse un sorriso. Buoni affari? disse Antonio. Ma si, rispose allegramente: aveva già venduta quasi tutta la sua provvista d'americane, a Sottoripa.
« Non so » disse incerta, quando Antonio le chiese se rincasava_ Si misero a camminare insieme verso il colle. « Giacomo dormiva, quando l'ho lasciato », aggiunse dopo qualche momento, in tono lievemente interrogativo. S'era bruscamente oscurata. Aveva un viso liscia e pieno, dai lineamenti minuti: più che espressivo, estremamente mutevole.
« Non l'ho visto in tutto il giorno », rispose Antonio senza guardarla.
Costanza ebbe un lieve sospiro. Andarono avanti per un po' senza parlare. Antonio l'osservava di tanto in tanto di sfuggita. Pur in quella sua espressione grave, Costanza serbava uno sguardo infantilmente curioso, attirato dai passanti, dalle vetrine, dalla strada. Un ragazzo che passava in bicicletta lasciò cadere un pane rotondo dal cesto cigolante sul manubrio: Costanza corse a raccoglierlo, divertendosi a fermarlo mentre rotolava. Un lampo di riso le apparve negli occhi quando [...]

[...] proporzioni... », diceva, cercando le parole e agitando con cura quelle sue mani che il contatto decennale con paste intrise di burro e di zucchero aveva fatto pallidissime e morbide. « Bisogna... ». « Farsi una ragione! », continuò Costanza passandogli accanto, con un inchina burlesco.
Filippo Bertolli, il piccolo pasticcere, si voltò sconcertato, mentre Antonio lo salutava trattenendo a stento una risata. Era la frase, quella,
che ricorreva più sovente nei discorsi sentenziosi del loro vicino. Quante volte l'aveva sentita applicare anche ai Cataldo! Dopo tutto, diceva,
Giacomo non era il primo cui fosse capitata una disgrazia sul lavoro. Adesso Costanza non aveva più quell'aria divertita. Camminava assor
II, SILENZIO 157
ta, mordendosi piano il labbro inferiore. Vivi e morbidi, i lunghi capelli scuri le sfioravano le guance chine.
Voltandosi un attimo, Antonio vide che Bertolli continuava a guardarli con un ghigno acido.
Ad un tratto Costanza scosse la testa, rigettando bruscamente indietro i capelli, e si fermò:
«Non mi va di rincasare subito. Venderò ancora qualche pacchetto, non so... Tanto, neppure Michele sarà in casa, a quest'ora ».
Antonio alzò la mano verso la sua come per carezzarla. Costanza abbozzò un sorriso. Mentre Antonio accennava ad [...]

[...] un garofano che teneva infilato nella blusa «Lo vuole? Ha ancora un po' di profumo ».
Egli prosegui da solo, tenendo il fiore tra le dita un po' impacciate.
« Tuo padre. Non dirglielo », sussurrò Nino vedendo comparire Antonio Stura in fondo alla discesa, e corse via.
Antonio andava piano. Vicino a lui, seguendo il muoversi del corpo nel passo, oscillava la piccola macchia rossa del garofano. Marco fu per scappare anche lui: ma poi gli parve più facile attenderlo che rientrare da solo. Rimase immobile, gli occhi fissi al lieve moto di quel punto vermiglio.
Antonio era ancora lontano, appena fuori dell'ultimo quartiere che la città protende verso i colli, là dove le rotaie del tram si sprofondano nella terra frastagliandosi alla radice di qualche stento filo d'erba. Fra lui . e Marco, la strada d'Oregina s'intagliava sul colle, nuda nel suo asfalto screpolato. In mezzo ai dossi che, dorati da un ultimo sole, mordevano il cielo illimpidito, l'isola d'alte case ingrigiva nella sua squallida opacità di cemento: fitto alveare frettolosam[...]

[...]riferia, che qualche caso amministrativo aveva concretato in quella vastità deserta. Con un sospiro, distolse gli occhi da quell'immagine familiare. Esitando, alzò alle narici il fiore. Era buono, l'odore del garofano: acre, come d'arsura. Il rosso dei petali s'era incupito appena.
Già era vicino, quando dalla china bruna d'erbe disseccate s'alzò, scorrendo tutto intorno il giro dei colli, il grido dei ragazzi: ragazzi di Oregina, dei quartieri più in basso, tumultuosa e sfuggente tribù che passava là intorno le sue giornate. Era un gioco che avevano inventato
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da poco, Antonio non ne conosceva le regole: ma di tanto in tanto, sorgendo da buche invisibili che dovevano aver scavato come trincee, s'alzava limpido un grido : « All'erta! ». Una dopo l'altra, nuove voci lo riprendevano, avvolgendo l'isolato.
Anche Marco ascoltava. Una voce vicina, che non riconobbe, lo chiamò per nome. Si strinse nelle spalle, e andò risolutamente verso Antonio. Pensava che il padre gli avrebbe fatto delle domande, e rinunciò a preparar[...]

[...]o nell'angolo tra il tavolaccio e la finestra, la schiena curva del padre lo proteggeva dallo sguardo di Teresa. Del resto, la donna aveva troppo da fare per occuparsi di lui.
C'era ombra nella stanza, e fumo. I suoi occhi ancora abbagliati distinguevano appena la madre: ma sarebbe bastata la memoria a fargli riconoscere i suoi gesti, quelli di sempre. Come se non fosse stato vero. Ma poteva essere vero? Forse Michele, chissà come, era risalito più in là sulla costa. Forse era a casa, adesso, e rideva dello scherzo che aveva fatto a lui e a Nino...
Antonio scelse fra le asticciole che coprivano il tavolaccio un pezzo di legno greggio e cominciò ad assottigliarlo. Ad ogni colpo di pialla, indugiava a lisciarlo con la palma. Spontaneamente, Marco tese la mano a raccogliere uno dei riccioli chiari che cadevano a lato: ma quando l'ebbe preso non osò carezzarlo col dito svolgendolo, come faceva sempre: lo gettò, e senti dentro una specie di singulto.
Ora Teresa si era messa a parlare, con veloce monotonia appena rallentata dai gesti che st[...]

[...]tto; gli pareva che essa impedisse a tutti, a Teresa stessa, di accorgersi che nessuno parlava.
...Doveva essere tornato, Michele. Ma, e i vestiti? Se era risalito, era certo andato a cercarli. Dirgli che si era trattato di uno scherzo... Se aveva udito come lui e Nino lo chiamavano, se li aveva veduti ripercorrere a nuoto, fino allo sfinimento, quel tratto di mare, allora Michele sapeva.
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Antonio s'era seduto. Non aveva più in mano l'asticciola che aveva piallato. Aveva scelto, ora, un altro pezzo di legno, di un chiarore intatto : serico nelle fibre minute e compatte, e biondo nelle nitide venature. Preso in mano un ferro da incidere, dopo una lieve esitazione lo mosse lentamente, come tracciasse, senza sfiorare il legno, una lunga, meditata linea. Il suo viso appariva assorto. La luce del giorno, ancora viva, lo illuminava in pieno. Soltanto agli angoli della bocca si raccoglieva un po' d'ombra.
Marco spiava i gesti del padre. Ecco, pensava, quando avesse cessato di approfondire quel segno, avrebbe ' alzato g[...]

[...]portato al dottore? » Con un ferro acuminato modificò lievemente il segno. « Duemila ».
Ecco, disse Teresa. Al solito, lui non aveva saputo farsi pagare abbastanza. Lo sfrigolio vivo del pesce nella padella confuse per un momento la sua voce: poi, attraverso il borbottio lento dell'olio, essa ridivenne distinta. Non pensava, Antonio, a quello che lei faticava per far mangiare tutti con quei pochi soldi, disse. Trascinando pesantemente le gambe, più gonfie alle caviglie che al polpaccio ossuto, andava su e giù dalla padella al tavolo, dove prendeva, a due o tre per volta, le
IL SILENZIO 161
sardine infarinate; e ogni volta batteva sul tavolo il cucchiaio con una specie d'irosa stanchezza. A un colpo più forte, Antonio si strinse mag giormente nelle spalle curve « Potresti portare il tagliere vicino al fornello », disse con aria di pacata constatazione più che di consiglio.
« Fai presto a dire, tu... » borbottò Teresa. Con aria esasperata, guardò l'orologio. Ecco, erano già le otto, e aveva ancora da buttare la pasta. Per forza, aveva lavorato tutto il pomeriggio per loro.
Antonio non rispondeva. Immobile, sfiorava con la punta delle dita il legno, come a giudicare al tatto la linea che aveva intagliata. Poi sollevò un attimo la testa, guardando vagamente verso Teresa. L'attenzione che gli affinava il viso chino sembrò smarrirsi in quegli occhi così chiari tra le palpebre arrossate. Poi abbassò di nuovo la testa.
Ad un tratto, Marco avverti [...]

[...]Michele tornasse? Camminava a testa china, senza guardare avanti. Non pareva attendere nessuno. Forse veramente, in qualche modo inspiegabile, Michele era in casa? Se era tornato, anche Nino doveva saperlo, ormai, e facevano apposta a lasciarlo in quell'ansia. L'ira lo stava prendendo di nuovo, come sul greto: ma non solamente contro Nino, adesso, anche contro Michele. Era colpa sua se aveva accettato la gara che Nino aveva proposto, pur essendo più piccolo e avendo meno forza di loro. E perché, ma perché li aveva sfidati, Nino, sicuro com'era di vincere? Rivide il sorriso maligno col quale, già lontano da riva, Nino si voltava a guardare i due che seguivano, ormai distanziati. C'era ancora, in quel momento, Michele? Ma come poteva saperlo? Anche lui, aveva meno forza di Nino: pensava solo a inseguirlo, col cuore che gli martellava, e
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nella bocca quel gusto tepido di sfinimento, più forte della frescura dell'acqua e del morso del sale. Non ne aveva colpa. « Non ne ho colpa » si ripeté, preso da un'accorata pietà di [...]

[...]avendo meno forza di loro. E perché, ma perché li aveva sfidati, Nino, sicuro com'era di vincere? Rivide il sorriso maligno col quale, già lontano da riva, Nino si voltava a guardare i due che seguivano, ormai distanziati. C'era ancora, in quel momento, Michele? Ma come poteva saperlo? Anche lui, aveva meno forza di Nino: pensava solo a inseguirlo, col cuore che gli martellava, e
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nella bocca quel gusto tepido di sfinimento, più forte della frescura dell'acqua e del morso del sale. Non ne aveva colpa. « Non ne ho colpa » si ripeté, preso da un'accorata pietà di sé.
Provò ora un oscuro bisogno di provocare gli sguardi degli altri. Lasciò_ l'angolo dov'era tornato, si fece vicino al tavolo, sotto la lampada, e stette a guardare fisso sua madre che condiva l'insalata.
« Hai brutta cera! » disse Teresa fermandosi. Nel visetto smunto e abbronzato, le palpebre pallide, venate d'azzurro, sembravano larghe e fragili.
Marco senti lo sguardo della madre scorrere su di lui, come se essa cercasse i segni di un nuovo torto che[...]

[...]guardare fisso sua madre che condiva l'insalata.
« Hai brutta cera! » disse Teresa fermandosi. Nel visetto smunto e abbronzato, le palpebre pallide, venate d'azzurro, sembravano larghe e fragili.
Marco senti lo sguardo della madre scorrere su di lui, come se essa cercasse i segni di un nuovo torto che le venisse fatto. La sua mano gli tastava il collo, le ascelle, la fronte, per sentire se avesse la febbre; una mano che interrogava in modo ben più incalzante dello sguardo.
« No, sei fresco », concluse Teresa con aria rassicurata. « E guarda in che stato ti sei ridotto i pantaloni! », aggiunse dopo un momento. Ne scosse la polvere con la mano, Marco si senti oscillare come un fantoccio. « Tutto il giorno che mi sfinisco a lavare e stirare, e guarda come ti riduci! »
E Marco provò quasi piacere a vederla irritarsi così, senza che sapesse. E un senso di forza, appena alterato da un gusto amaro di vendetta.
Antonio mandò un sospiro. « Lascialo stare », disse. «È stanco ».
Lavorava sull'asticciola che aveva piallato prima, già incisa di[...]

[...]n la mano, Marco si senti oscillare come un fantoccio. « Tutto il giorno che mi sfinisco a lavare e stirare, e guarda come ti riduci! »
E Marco provò quasi piacere a vederla irritarsi così, senza che sapesse. E un senso di forza, appena alterato da un gusto amaro di vendetta.
Antonio mandò un sospiro. « Lascialo stare », disse. «È stanco ».
Lavorava sull'asticciola che aveva piallato prima, già incisa di foglie. L'altro pezzo di legno non era più sul tavolo. Il suo viso, piattamente illuminato dalla lampada, era stanco, le sue mani sembravano mortificarsi con impazienza a quel minuzioso lavoro. Teresa diceva che non ne poteva più, Marco non sapeva di che. Antonio depose l'asticciola sul tavolo e la sua mano, serrandosi lentamente, s'alzò greve come se dovesse battere un pugno per accompagnare un violento « basta! »
Ma poi si rilassò e ricadde.
Così impalliditi, nel crepuscolo che tutto intorno scuriva la valle in una morbida densità quasi notturna, i muri d'Oregina facevano avvertire a Marco la presenza di quel mare fermo e ancora bianco, spalancato alle sue spalle.
Stava appoggiato contro la sua casa. Sul campo di calcio, che ave
IL SILENZIO 163
vano un po' alla volta intagliato sul colle, e dove la terra si sco[...]

[...] padre di Nino, gli era arrivato vicino senza che l'avesse udito. Veniva dalla città. « Come va, giovanotto? » chiese con giovialità un po' enfatica, battendogli una mano sulla spalla. Minuto di corpo, il pasticcere serbava, di un'originaria pinguedine, gli occhi sottili, le fossette sul mento e sulle guance, le estremità delicate, e l'affannata lentezza. « Eh, siete nella bella età, voi... Tredici anni Nino, tu dodici: che cosa si può volere di più? »
Non se ne andava. Aveva cominciato uno dei suoi soliti racconti sul tempo che anche lui era ragazzo, e metteva da parte tutti i soldi, e che poi s'era comperato un orologio. Marco s'accorse che parlando non cessava di sorvegliare la strada, sulla quale Giacomo Cataldo stava venendo lentamente verso casa. Quando fu vicino, Filippo si voltò verso di lui con un largo sorriso, come preparandosi a fermarlo.
Giacomo camminava con aria assente. Scorse Filippo all'ultimo momento: gli fece appena un cenno di saluto, e distolse subito lo sguardo, con quella sospettosa e schiva umiltà che gli era a[...]

[...]che violenza.
«Lo hai visto l'altro ieri? » sussurrò Filippo a Marco, assottigliando la fessura degli occhietti curiosi. Marco fece cenno di no. « Me l'ha raccontato Nino », riprese Filippo. « Voleva bastonare Costanza... ».
Se aveva visto! Con gli occhi come ciechi, Giacomo alzava la mano sulla moglie. All'improvviso, Michele aveva preso un fiasco e l'aveva levato contro il padre: pallido, pronto a colpire. Giacomo s'era accasciato sul letto. Più tardi, sul colle, lui aveva visto Michele singhiozzare, il viso premuto a terra. Ma udendo Marco avvicinarsi — le erbe scricchiolavano sotto il piede come sterpi : « Va via! » aveva gridato,
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fuggendo subito più in lá. Quando era riapparso, dopo, s'era messo a giocare al pallone con lui senza dir niente.
Costanza Cataldo usci, venne vivacemente incontro a Giacomo, e lo prese a braccio. A Filippo Bertolli gettò un « Buonasera » squillante,
quasi di sfida, poi si mise a parlare con Giacomo : aveva un viso scherzoso, ma il suo sorriso era così in contrasto con l'aria tetra del suo compagno che finiva col sembrare forzato.
« Come fa, poi... Eccola lá. Sempre allegra! » disse Filippo, con un tono di untuosa e stupita riprovazione, quando furono scomparsi.
Sempre allegra. Anche Teresa lo diceva spesso,[...]

[...] Ma era mutato, da allora: parlava poco, e non stava mai con Marco. Anche stasera era uscito di nuovo, dopo mangiato l'ultimo boccone.
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IL SILENZIO
Era già un sollievo, l'essersi alzati da tavola. Mai le pause erano parse a Marco così lunghe. Quella sensazione gli era diventata cosí greve che s'era domandato, per un attimo, se sapessero già, e facessero apposta, aspettando che lui dicesse ciò a cui tutti pensavano. Fini per non liberarsene più nemmeno mentre parlavano : gli pareva che anche i loro discorsi lenti, distratti, fossero quelli di chi pensa ad altro. Poi Antonio s'era fatto stranamente allegro, raccontava delle storie che facevano ridere Luigi; e allora Marco aveva pensato che se il padre avesse saputo non avrebbe scherzato : e che forse era sempre così, solo che di solito lui faceva meno attenzione.
Appena preso il caffè, anche Antonio s'era alzato dicendo che andava alla Grotta. Teresa aveva scrollato le spalle senza rispondere. Marco rimase là in un angolo ad ascoltare lo sciacquio e i colpi duri delle stoviglie sull[...]

[...]radi capelli, neri ancora ma opachi, gli si sedette vicino. « Vieni qui », disse cingendolo col braccio, I suoi occhi rotondi e irrequieti lo cercavano con sollecitudine avida e stanca: gli rimise a posto il colletto, la blusa male rientrata nei pantaloni. « Stai per perdere un bottone: aspetta che te lo attacco meglio ». Marco ripeté che sarebbe andato: con voce dura, per soffocare le lagrime.
Nel campo di calcio, illuminato dalla notte chiara più che dai fanali, dei ragazzi giocavano ancora. Si sentiva il tonfo del pallone. Due compagni, che passavano correndo, si fermarono:
« Vieni a giocare? »
Fece silenziosamente cenno di no. Lo guardarono un po' stupiti. S'allontanarono, uno si voltò a guardarlo ancora.
Filippo Bertolli stava venendo avanti, con la sigaretta in bocca. Faceva sempre due passi, dopo cena, per digerire.
In quel momento Costanza si sporse dalla finestra e guardò in direzione della città.
« Niente », disse voltandosi verso l'interno. « Si fa tardi ».
« Che cosa c'è? » chiese Filippo.
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Costanz[...]

[...] Bertolli stava venendo avanti, con la sigaretta in bocca. Faceva sempre due passi, dopo cena, per digerire.
In quel momento Costanza si sporse dalla finestra e guardò in direzione della città.
« Niente », disse voltandosi verso l'interno. « Si fa tardi ».
« Che cosa c'è? » chiese Filippo.
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Costanza si ritirò. Filippo scrollò le spalle, mentre la brace della sigaretta gli illuminava sulle labbra un sorrisino. Una volta di piú, il ragazzo dei Cataldo se ne stava in giro per conto suo, certo pensava. Tornò piano sui suoi passi.
Marco girò intorno alla casa, e stette un po' a guardare di lontano i compagni che giocavano a calcio. Poi tornò indietro : voleva sapere se Giacomo e Costanza erano ancora là.
Arrivò, strisciando lungo il muro, fino al punto dal quale si vedeva dentro al pianterreno dei Cataldo. Non poté scorgere che la nonna, in piedi in un angolo della stanza. Il suo viso, chiuso nel fazzoletto nero, aveva, nella sua fissità, un'espressione di solitaria vigilanza. Ma l'aveva sempre vista così; non signif[...]

[...]uo viso, chiuso nel fazzoletto nero, aveva, nella sua fissità, un'espressione di solitaria vigilanza. Ma l'aveva sempre vista così; non significava niente, neppure che fosse veramente sola: sola nella stanza, cioè, e non di quella solitudine che era la sua da quando il marito le era morto, e il figlio maggiore era stato ucciso in guerra, e Giacomo era diventato una specie di straccio. Per lo niù stava seduta, senza un gesto, nello stesso angolo, più polveroso degli altri perché non lo lasciava neppure quando Costanza scopava. Non sembrava occuparsi di qualche cosa che quando vegliava, per delle ore, il figlio ubriaco.
Fuggi per non vederla piú, senza neppure pensare agli altri due. Aveva paura.
Una qualunque porta d'osteria, con la parte superiore di vetro smerigliato. In alto, un'insegna debolmente illuminata da un fanale lontano : La Grotta. Antonio Stura vi andava spesso : per trovarsi con gli amici, diceva vagamente a Teresa. Marcò esitò: non v'era mai entrato.
Un passo risuonò dietro di lui, dalla parte di Oregina: spinse il battente. C'era un piccolo gruppo in piedi davanti alla soglia. Per un momento, Marco non riuscì a scorgere che il soffitto ornato di stalattiti, cui la taverna doveva il suo nome : squallide protuberanz[...]

[...]ontro il muro oltremare, gravi come se assistessero a una cerimonia. Era tutta gente d'Oregina o di quel quartiere al limite della città: operai, artigiani, piccoli impiegati. Quello che stava in mezzo era Giuseppe Spinola, un loro vicino, usciere al municipio : il fratello di Caterina, la vecchia che stava per morire di cancro. Quando le avevano scoperto quel male, s'erano tutti impietositi; ma erano passati tanti mesi che nesssuno si ricordava più di lei se non quando, all'improvviso, s'udivano quei suoi urli di bestia, e suo fratello correva stravolto a chiamare la vicina che le faceva le punture per calmarla.
Si, era proprio Spinola, che con aria riflessiva si passava la mano sul risvolto consunto della giacca; e che per quanto fosse assurdo, aveva tutta l'aria di prepararsi a cantare anche lui. Finalmente alzò la testa, e cominciò. Aveva una voce tremante, che sforzava sugli acuti, facendosi tutto rosso: ma la voce cadeva. Il piccolo usciere continuava allora, esitante, la stessa melodia, con un'attenzione quasi penosa sul viso, co[...]

[...]ntare, sarebbe quello, si disse, il suono che avrebbe emesso con tutte le sue forze. Lo conosceva : lo stesso grido con cui, risalendo dall'acqua, lui e Nino avevano chiamato Michele.
Fu per scappare. Nel lieve movimento che fece, vide finalmente suo padre. Era seduto in un angolo. Vicino a lui, un vecchietto gracile seguiva coi moti del viso il canto degli altri, ora accigliandosi, ora facendo cenni di lieta approvazione. Antonio aveva un'aria più distaccata. Teneva una mano nella tasca dove aveva nascosto il garofano. Marco ebbe di nuovo voglia di fuggire : non aveva più paura soltanto della propria voce, non voleva udire quella di suo padre. Ma non osava spostare i nuovi arrivati per farsi strada verso la porta.
E poi, era in qualche modo attirato dal vecchio. Pareva stesse aspettando che qualcuno cantasse anche per lui: o di poterlo fare lui anche per gli altri, impaziente di vedere che non riuscivano al modo che avrebbero dovuto. Finalmente s'alzò, e venne in mezzo alla stanza. Furono due o tre piccoli gridi rauchi dai quali il canto cercava di svin= colarsi. Poi, scuotendo la testa, disse di no, che stasera non andava. Evitarono di guardarlo quando tornò[...]

[...]. Poi, scuotendo la testa, disse di no, che stasera non andava. Evitarono di guardarlo quando tornò a sedere : tutti, anche il vecchio, con un'aria quasi colpevole.
Sembrava adesso che esitassero ad alzarsi; e quando uno si fece avanti, un giovane, lo fece come se si vergognasse. Cantò bene. Ma gli
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altri parevano meno attenti di prima. E Marco pensò che anche qui ognuno faceva soltanto per sé.
Ritrovò la sua angoscia, e in più uno stupito rimorso di essersene potuto distrarre. Cercò con gli occhi il padre, al solito posto: invece Antonio gli era accanto, si senti guidare verso l'uscita.
Anche Giuseppe Spinola, l'usciere del municipio, usci con loro. Marco aspettava di sentir parlare suo padre con lo stesso imbarazzo di quando pensava che avrebbe cantato. Gli pareva dovesse farlo in modo diverso dal solito, con Spinola: sapeva che si trovavano spesso insieme alla Grotta. Per un po' tacquero. Poi Antonio domandò come stava Caterina. Al solito, disse Spinola. Più avanti, osservò che era proprio una bella sera; doveva[...]

[...]posto: invece Antonio gli era accanto, si senti guidare verso l'uscita.
Anche Giuseppe Spinola, l'usciere del municipio, usci con loro. Marco aspettava di sentir parlare suo padre con lo stesso imbarazzo di quando pensava che avrebbe cantato. Gli pareva dovesse farlo in modo diverso dal solito, con Spinola: sapeva che si trovavano spesso insieme alla Grotta. Per un po' tacquero. Poi Antonio domandò come stava Caterina. Al solito, disse Spinola. Più avanti, osservò che era proprio una bella sera; doveva esserci stato un temporale lontano, perché l'aria era così pulita. Si, disse Antonio, era raro vedere tante stelle. Meno male, disse Spinola; perché nella giornata, in quelle sale chiuse del municipio, si soffocava. Poi li lasciò. Andava a cercare una farmacia aperta, disse. Doveva prendere una medicina per Caterina.
« Sei amico di Spinola ? », chiese quasi involontariamente Marco, con voce timida. « ...Si », rispose Antonio in tono un po' stupito. Parve voler aggiungere qualche cosa. Ma poi tacque.
Il passo d'Antonio era lento, mentre[...]

[...]male, disse Spinola; perché nella giornata, in quelle sale chiuse del municipio, si soffocava. Poi li lasciò. Andava a cercare una farmacia aperta, disse. Doveva prendere una medicina per Caterina.
« Sei amico di Spinola ? », chiese quasi involontariamente Marco, con voce timida. « ...Si », rispose Antonio in tono un po' stupito. Parve voler aggiungere qualche cosa. Ma poi tacque.
Il passo d'Antonio era lento, mentre salivano il colle, ma non più goffo: era un modo pacato di posare il piede, calcandolo bene, come per sentire le asperità e la levigatezza di quel vecchio asfalto tormentato. Eppure parve così breve, a Marco, la strada, e così animata la notte, piena di cigolii di tram, di brusii che salivano dai vicoli lontani della città, attorcigliati come i meandri di una conchiglia e punteggiati di lumi. Davanti a lui, fissi in un rettangolo bianco contro il nero dei dossi, s'avvicinavano i fanali d'Oregina, diversi e soli.
Fissò un cespuglio che stava più avanti, e si disse con calma certezza che quando vi fossero giunti avrebbe pa[...]

[...]per sentire le asperità e la levigatezza di quel vecchio asfalto tormentato. Eppure parve così breve, a Marco, la strada, e così animata la notte, piena di cigolii di tram, di brusii che salivano dai vicoli lontani della città, attorcigliati come i meandri di una conchiglia e punteggiati di lumi. Davanti a lui, fissi in un rettangolo bianco contro il nero dei dossi, s'avvicinavano i fanali d'Oregina, diversi e soli.
Fissò un cespuglio che stava più avanti, e si disse con calma certezza che quando vi fossero giunti avrebbe parlato. In quel momento Antonio, gettando indietro la testa, ebbe un respiro fondo, come accogliesse l'aria della notte. Di nuovo la sua mano toccava piano nella tasca. « Si sta bene », disse. Non fu più la paura a trattenere Marco, ma quasi un timido ritegno. Suo padre pareva talmente tranquillo!
Volle attendere a parlare quando fossero vicini all'ultimo fanale. Là, però, non ne ebbe più il coraggio. Già prima di arrivarci, aveva visto buio il pianterreno dei Cataldo. Questa volta, erano certo usciti a cercare. Non li incontrarono. Dovevano essere andati ad informarsi dai vicini. Non potevano avere nessuna idea precisa su lui e Nino: erano scesi soli, nel pomeriggio, e Michele l'avevano incontrato per caso, in
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città. Ma fra i ragazzi di Oregina, erano loro a stare più spesso con Michele.
Mentre s'avvicinavano, Marco scorse il viso della nonna, ritta nell'ingresso buio della casa. Vide per un attimo i suoi occhi dilatarsi, bianchi, come ne traversava lo sguardo, e subito incupirsi.
In fondo alcuni bambini, fermi sul ciglio della strada, guardavano verso la casa di Filippo Bertolli.
Erano appena rientrati, quando udirono dei passi.
Apparvero Giacomo e Costanza, Filippo Bertolli, e dietro a lui Nino. Per primo si fece avanti Giacomo, scusandosi di disturbare a quell'ora. Quella dimessa cerimoniosità, in lui abituale, colpi Marco come un fatto inatteso.
A[...]

[...]a sua lunga e rigida gamba di legno, che egli stesso aveva pazientemente digrezzato e piallato. Di solito, aveva una cura così attenta di tirarla in disparte.
Quando erano entrati, Antonio s'era alzato vivacemente, lasciando il suo tavolaccio per andar loro incontro; ma s'era subito fermato. Mentre Filippo Bertolli parlava, il suo volto sembrava appesantirsi : l'alta fronte stempiata si raccoglieva in due rughe tra le sopracciglia, e due pieghe più fonde gli scavavano gli angoli della bocca. Guardo infine verso Costanza, con un'espressione dolorosa e quasi incredula, mentre
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la sua destra, in modo quasi insensibile, s'alzava verso la tasca. Ma subito la lasciò ricadere, e abbassò gli occhi. Marco vide le sue dita contrarsi piano.
Gettò finalmente uno sguardo su Costanza. Appoggiata con i gomiti alla credenza, il volto racchiuso tra le mani, sembrava un'estranea che quasi non si occupasse di quello che gli altri dicevano.
Marco s'accorse a un tratto che lo sguardo di Nino cercava i suoi occhi. Tutti gli sguardi erano s[...]

[...] una domanda che non aveva udita, e quasi non se ne preoccupò, gli pareva che almeno suo padre e Costanza ormai sapessero tutto. Fu quasi stupito di sentir dire da Nino: « Come può averlo visto, se siamo stati insieme tutto il pomeriggio? ».
Ma Costanza alzò il viso, girò sugli altri degli occhi interrogativi, supplichevoli. « Sarà andato al Lido » disse Filippo alzando la voce. Non era la prima volta che tardava fino a sera, aggiunse, e un'ora più un'ora meno, i ragazzi non se ne accorgono. « Sará rimasto a guardare la gente che balla », annui Teresa. Aveva cominciato con calore, ma poi, come Antonio s'avvicinava a Costanza, Marco notò che lo sguardo della madre mutava di colpo. « Ha talmente l'abitudine di starsene in giro come vuole », concluse con tono diverso. « Non c'é ragione di preoccuparsi ». « Non c'é ragione », ripeté Filippo con aria di sollievo. Aveva preso un tono di superiorità quasi scherzosa, e parlando agitava le mani lisce, come dimenasse una pasta. Pareva soddisfatto di sostenere la parte d'uomo posato e informato, c[...]

[...] parte d'uomo posato e informato, che non si lascia impressionare da inquietudini puerili.
Sembrava a Marco di scorgerli da lontano, estremamente futili e incomprensibili nei loro gesti. Parlavano per rassicurarsi, era chiaro, per distrarsi. Avvicinatasi alla credenza, Teresa fece sparire furtivamente la zuppiera sbrecciata.
Per la prima volta Marco scambiò uno sguardo con Nino: lo vide pallidissimo, appoggiato al muro.
Nessuno pareva pensare più a interrogarli, come se la risposta di Nino fosse bastata. Marco li guardava uno dopo l'altro, con stupito rancore. Nulla.
Giacomo Cataldo taceva. Con le mani si tormentava il viso: anche lui in disparte, solo. Non sembrava neppure udire, lo sguardo assente. Non gliene importa nulla, si disse Marco. Ripensò con piacere crudele a tutto ciò che Filippo diceva di lui: un vigliacco, cui era bastata una disgrazia per lasciarsi andare; sempre intontito dal vino, era colpa sua
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se le cose andavano a quel modo, in casa; non era neppure un uomo, quello. Trovava una specie di soll[...]

[...] di lui: un vigliacco, cui era bastata una disgrazia per lasciarsi andare; sempre intontito dal vino, era colpa sua
172 LILIANA MAGRINI
se le cose andavano a quel modo, in casa; non era neppure un uomo, quello. Trovava una specie di sollievo nell'odio che destava in lui quel viso inerte. Sui lineamenti da bel ragazzo alterati da un gonfiore flaccido, la pelle esangue, illividita dalla barba non rasa, e i baffetti nerissimi, che un tempo davano più risalto al sorriso sicuro, sottolineavano la piega stanca della bocca. Si serrava nelle spalle, vergognoso e schivo, come qualcuno che fosse lá per caso, e non avesse diritto di prendere parte all'ansia di tutti.
Filippo s'era avvicinato a Costanza, e le batteva leggermente la spalla : « Su, non faccia quel viso. Magari quel moccioso si sta divertendo, e non si ricorda neppure che siamo qui ».
Sulle labbra di Costanza tremò un lieve sorriso, che le fece sembrare ancora più pallide. Gli altri le stavano intorno imbarazzati. Nessuno parlava piú. All'improvviso, la donna scoppiò in singhiozzi.[...]

[...] sottolineavano la piega stanca della bocca. Si serrava nelle spalle, vergognoso e schivo, come qualcuno che fosse lá per caso, e non avesse diritto di prendere parte all'ansia di tutti.
Filippo s'era avvicinato a Costanza, e le batteva leggermente la spalla : « Su, non faccia quel viso. Magari quel moccioso si sta divertendo, e non si ricorda neppure che siamo qui ».
Sulle labbra di Costanza tremò un lieve sorriso, che le fece sembrare ancora più pallide. Gli altri le stavano intorno imbarazzati. Nessuno parlava piú. All'improvviso, la donna scoppiò in singhiozzi.
Per lunghi momenti, non si udì che quel suono lieve, accorato, quasi infantile. Piangeva come se fosse sola, col viso scoperto rigato di lagrime.
Teresa si premette la mano aperta sul petto, vicino alla gola : i suoi occhi rotondi e sbigottiti si fecero lentamente lucidi. Si voltò verso Marco, la sua mano trasalì come se avesse voluto chiamarlo, tria sembrò trattenersi e la premette di nuovo sul petto.
Con aria imbarazzata, Filippo spegneva tra le dita la sigaretta appena acccesa.
Costanza continuava a singhiozzare.
Marco vide suo padre st[...]

[...]a, e non sapesse che. Fece un passo avanti. Anche Marco, involontariamente, s'avvicinò.
S'udì infine Antonio chiamarla piano per nome : « Costanza ».
Fu suo padre, ora, a parlare. Avevano taciuto tutti, si diceva Marco. Perché proprio lui, adesso, faceva così? Con una voce sorda, la supplicava d'aspettare, che non poteva essere accaduto niente, che se voleva sarebbe andato lui a cercare.
Dapprima tremante, la voce di Antonio si faceva via via più pacata. Ma il padre non credeva a quello che diceva, si disse Marco. Lui sapeva perché suo padre parlava. Voleva soltanto che Costanza non piangesse.
Singhiozzando piano, Costanza scuoteva la testa. Anche Teresa e Filippo avevano ripreso a parlare.
Quando Costanza aveva cominciata a piangere, Giacomo s'era na
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scosto il viso tra le mani. Non s'era più mosso. Ma un grido improvviso di Costanza gli fece alzare gli occhi.
« Non voglio. Non voglio. Basta. Ho avuto la mia parte. Dio sa se l'ho avuta ».
Il viso della donna esprimeva una rivolta veemente. Che fosse bella, Marco l'aveva sempre saputo, ma solo perché l'aveva udito dagli altri. Adesso era diverso. « Com'è bella »! si disse. Si sentiva sollevato, rassicurato dalla violenza di lei. Dunque c'era ancora modo di negare, di difendersi...
« Basta. Basta », ripeté ancora Costanza. Il suo viso s'indurì in una contrazione cattiva. « Per forza, il ragazzo non pensa che a scappare. Non può r[...]

[...]andare se venivi anche tu ».
Mente, si disse Marco. Gli conosceva quel viso spento, quella voce rassegnata. Ma almeno oggi, che si trattava di Michele, avrebbe potuto non mentire. Che cosa li faceva dunque tacere, tutti, per paura o per pietá? che cosa nascondevano?
Teresa gettò con violenza le posate in un cassetto.
Finirono per andare. Marco pensare che avrebbe pianto, quando fosse rimasto solo. Ma non poté. Chiuse gli occhi: non sopportava più di vedere le cose, e la cucina, e il bricco del caffè, e gli ultimi piatti sulla credenza, e i rigidi fiori intagliati sulle asticciole, né se stesso, quelle mani che stringevano le ginocchia e poi s'alzavano inquiete.
Si sdraiò sul letto senza svestirsi. Gli pareva che si sarebbe assopito subito, stordito com'era. Ma appena ebbe posata la testa sul cuscino, si senti lucido e desto, col peso degli occhi brucianti contro il bianco delle palpebre chiuse. Tremava. Inutilmente cercava d'irrigidirsi, esasperato da quel tremito che gli faceva avvertire il proprio corpo svuotato, e si propagava al [...]

[...]cchi brucianti contro il bianco delle palpebre chiuse. Tremava. Inutilmente cercava d'irrigidirsi, esasperato da quel tremito che gli faceva avvertire il proprio corpo svuotato, e si propagava al letto malfermo. La testiera, vibrando lieve
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mente, colpiva a tratti il muro. « Dovrebbero sapere », si ripeteva ostinatamente. La loro ignoranza gli pareva senza rapporto col fatto che lui e Nino non avessero detto niente.
Non tremava piú, ora. La sua testa si dibatteva sul cuscino, ma l'immagine che cercava di cacciare tornava: quelle acque bianche e grevi, intatte. Com'era possibile che nulla vi fosse apparso, dopo: e prima, non un grido? Ma forse invece Michele aveva gridato; forse, sentendosi sfinito, li aveva chiamati. Non avrebbero udito ugualmente, lui e Nino, l'acqua sciabordava negli orecchi, il sangue batteva forte alle tempie. «Pensavamo solo a correre », si disse. «Non un momento, ci è venuta l'idea che Michele avesse bisogno che lo aspettassimo. Di questo, avevamo colpa ». Ma Dio, perché gettarla tutta su loro, la[...]

[...]lenii bianchi di spume: e in quella voce piena e uguale, l'orecchio distingueva ora mormorii diversi, e come un ansito, uno strisciare lento e paziente.
Sarebbe bastato scendere giù attraverso i colli, e poi nuotare verso il largo. Era colpa sua, dunque? Si sentiva pronto ad accettarla, la colpa, contro tutti loro. « Sono solo », si disse con un accoramento senza amarezza, e quasi fiero. « Sono solo, e potrei fare anch'io come Michele ».
Molto più in basso, delle forme apparirono muovendosi vagamente, come si svincolassero piano dall'oscurità del suolo : una figura di donna vestita di bianco; e piú scura, una svelta figura d'uomo. Riconobbe il fratello, dopo qualche momento, alla risata un po' brusca; e subito Maria, la sua ragazza: leggera nei movimenti, mentre salivano a fianco il pendio.
Si fermarono abbastanza vicino. Pensò di scappare, ma avrebbe fatto rumore; del resto, cosí fermo contro il colle, i due non potevano vederlo. Luigi si voltò verso la ragazza, nascondendola al suo sguardo. Li udì mormorare, poi all'improvviso sulla schiena scura del fratello, appena profilata contro la notte, vide apparire due braccia pallide, e scorrere inquiete. « Si abbracciano », disse per tranq[...]

[...]ostinate a far presa.
La stretta lama di un riflettore si fermò un attimo sulla lontana oscurità del mare: apparve una breve superficie, scialba e ,vuota.
Fu in quel momento che s'udì il grido di Caterina. Alto, ininterrotto. Un grido d'appello che non lasciava modo a risposta alcuna.
Seguì un rumore lontano di porte chiuse, un mormorio di voci. Giuseppe Spinola doveva aver chiamato la vicina per l'iniezione. Il grido continuava acuto, ancora più acuto, come svincolandosi da un rantolo. Marco l'ascoltava come se lo riconoscesse.
Terminò e si ruppe su un nitido: No!
Tornò per primo Luigi, che venne a lavarsi all'acquaio. Vide che Marco era sveglio.
« Hai sentito di Michele? »
Fece cenno di sì.
« Anche questo dovranno pagare, i signori padroni! » disse con violenza Luigi. Nella collera, il viso ossuto, ma aperto, prendeva una espressione caparbia che lo faceva somigliare molto a Teresa. « Anche di questo hanno colpa! ». Se le cose fossero andate altrimenti, diceva, le donne avrebbero potuto badare ai ragazzi, invece di andare a far[...]

[...]ogo due giorni prima a un cantiere, e che c'erano stati dei feriti, da una parte e dall'altra, e due morti: e che l'indomani sarebbe ricominciato, e le cose si mettevano male. Ma poi,, come se ci fosse un rapporto, nominò di nuovo Michele e Costanza. Fermò un momento l'asciugamano che faceva scorrere dietro la schiena. « Povera gente! come si fa, in quelle condizioni...» Finì di asciugarsi. «Bisogna riuscire a non farsi fregare », disse con voce più sorda, riponendo l'asciugamano.
Si pettinò, poi si voltò a un tratto verso Marco:
« Sai in quanto tempo sono venuto su oggi, in bicicletta, da Piazza
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Principe? Tre primi e dodici secondi. Cosa ne dici? ». Alla prossima gara per dilettanti, disse, era sicuro di vincere. « Voglio vedere la faccia di Maria! » Ebbe un bel sorriso, che gli restituì il suo viso di ragazzino.
Andò finalmente nel bugigattolo adiacente, dove dormiva. Si mosse a lungo, infine Marco udì il cigolio delle molle del letto.
Era stanco di sentir parlare. Di nuovo pensava a Michele come sul colle, e [...]

[...]I
Principe? Tre primi e dodici secondi. Cosa ne dici? ». Alla prossima gara per dilettanti, disse, era sicuro di vincere. « Voglio vedere la faccia di Maria! » Ebbe un bel sorriso, che gli restituì il suo viso di ragazzino.
Andò finalmente nel bugigattolo adiacente, dove dormiva. Si mosse a lungo, infine Marco udì il cigolio delle molle del letto.
Era stanco di sentir parlare. Di nuovo pensava a Michele come sul colle, e che non gli importava più di nulla, perché poteva fare come lui. « Avrei parlato, se volevano. Bastava che avessero voluto ». Ma ormai, non si trattava più di questo. Era come se la cosa non li riguardasse piú. In qualche modo, l'aveva presa su di sé. Con Michele.
Quando Teresa e Antonio entrarono, finse di dormire. Bisbigliavano piano. Attraverso le palpebre appena socchiuse, vedeva la punta dei propri alluci tendere il lenzuolo in una sola rigida linea, fino al petto. Si sentiva stranamente unito e compatto, in quella compostezza e in quel pensiero fermo e tranquillo: posso fare anch'io come Michele.
Gli diede fastidio, quando si coricarono, sentire il calore del corpo di sua madre sotto il lenzuolo.
Dopo qualche tempo, il levarsi della luna gli fece scorgere il viso di Antonio, di una rigidez[...]

[...]ra stanca, diceva ora, tanto stanca; e poi, poi, oh, perché Antonio era così? Ma Marco no, Marco non l'avrebbe mai abbandonata. Non era vero che sarebbe rimasto lá, sempre, con lei? Il suo Marco.
Marco si sentiva avvolgere dal calore che emanava dal corpo di
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sua madre, e da quell'odore noto e vivo, un odore di stanchezza e di lagrime. Il corpo angoloso dì Teresa si faceva, da vicino, ampio e molle. E Marco si sentiva sempre più tendere dal bisogno di appoggiarvisi, di lasciarvisi andare: di piangere, forse. Sentiva il proprio corpo, rigido dalla punta dell'alluce alle palme tese, cedere lentamente. Si disse duramente di no. Non doveva. Ora, doveva essere solo. Separato da tutti. Con Michele.
***
Aveva udito i rumori consueti della mattina: il cigolio del letto, il frusciare della veste infilata in fretta da Teresa, il leggero tonfo dei piedi d'Antonio, premuti l'uno dopo l'altro a terra per calzare bene la scarpa; e mormorii, e la porta che si apriva : rumori precisi eppure lontani, nel dormiveglia cui s'aggrappav[...]

[...]tto e quasi liscio; c'era perfino, attaccato alla finestra, lo specchietto punteggiato di spruzzi di sapone, come di domenica. Era forse per andare in questura che Luigi s'era fatto la barba alla mattina, e non come il solito al ritorno del lavoro. Teresa doveva anche aver pulito le scarpe buone d'Antonio, perché c'era fuori il lucido nero e la spazzola.
Si vesti, poi sedette sull'orlo del letto, preso da una grande spossatezza. Non comprendeva più la propria ira. Soltanto, si sentiva come derubato di qualche cosa. Provò a ritrovare il viso di Michele, come l'aveva visto la sera prima : ma non ne era capace. Per un istante,. gli pareva di afferrarne una linea, isolata: le sopracciglia schiarite dal sole sugli occhi mobili, l'orecchio un po' sporgente sul collo esile. Ma subito lo perdeva.
Pensò vagamente che i questurini sarebbero venuti, e che forse li avrebbero arrestati per aver taciuto; ma senza paura, piuttosto con un'acre soddisfazione.
Fu solamente il ritorno di sua madre a farlo muovere. Teresa mise subito sul fuoco la pentola[...]

[...]ltanto, si sentiva come derubato di qualche cosa. Provò a ritrovare il viso di Michele, come l'aveva visto la sera prima : ma non ne era capace. Per un istante,. gli pareva di afferrarne una linea, isolata: le sopracciglia schiarite dal sole sugli occhi mobili, l'orecchio un po' sporgente sul collo esile. Ma subito lo perdeva.
Pensò vagamente che i questurini sarebbero venuti, e che forse li avrebbero arrestati per aver taciuto; ma senza paura, piuttosto con un'acre soddisfazione.
Fu solamente il ritorno di sua madre a farlo muovere. Teresa mise subito sul fuoco la pentola per il brodo, e vi gettò dentro un pezzo di carne che aveva nella borsa. « Potrà servire anche per loro » disse, con tono quasi di scusa, incontrando lo sguardo di Marco, e accennò con la testa alla casa dei Cataldo. « Non avranno di sicuro la testa per pre
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pararsi da mangiare, oggi ». Quando vide che Marco s'avviava ad uscire, gli raccomandò con aria inquieta di non allontanarsi.
Dall'andito, udì dei passi nella strada, e la voce di Filippo Bertol[...]

[...] la testa alla casa dei Cataldo. « Non avranno di sicuro la testa per pre
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pararsi da mangiare, oggi ». Quando vide che Marco s'avviava ad uscire, gli raccomandò con aria inquieta di non allontanarsi.
Dall'andito, udì dei passi nella strada, e la voce di Filippo Bertolli. Si nascose dietro la porta. « Porto Nino a fare la comunione », diceva Filippo. « Che almeno ci sia chi prega per quel povero figioeu... ».
S'allontanarono.
Più in alto sulla . strada, due suoi compagni, seduti sul ciglio, giocavano a palline, altri stavano intorno. Avevano un'aria distratta e svogliata. I più piccoli seguivano con lo sguardo Nino e Filippo che scendevano lungo la strada. Nino camminava rigido, il padre lo seguiva con quel suo passo saltellante sui piedi troppo piccoli. La giacca scura faceva sembrare ancora più rosea la pelle che traspariva sotto i rari capelli impomatati.
Senza guardare verso il gruppo dei ragazzi, Marco svoltò giù per il colle. Scese, poi s'addentrò nella città, e girò a lungo in uno stato di vago stordimento, scegliendo le vie più deserte. Fu quasi senza pensarci che si trovò ad aver varcato la soglia di una chiesa. Rimase qualche momento intimidito, nella zona di luce rossa che filtrava sul pavi mento attraverso il tendone caduto alle sue spalle.
La chiesa era grande, chiara, intonacata di fresco. Qualche lama di sole tagliava il pavimento tra due lunghe file di banchi vuoti. Dal fondo, al di là di grandi colonne bianche, s'udiva a tratti una voce recitante. Avanzò piano, cercando di non far rumore, fino a che poté scorgere una cappella laterale, immersa nell'ombra, dove un prete officiava davanti ad alcune donne.
D[...]

[...]scomparve dietro la schiena curva del prete. Un tintinnio rapido, come sollevato, della campanella, un suono di respiri trattenuti che riprendevano, un leggero scalpiccio, qualche urto contro i banchi.
Era finito.
Camminò per un pezzo quasi di corsa, senza chiedersi dove sarebbe andato.
Solo quando, passate le strade del centro, si trovò sul declivio dei caruggi del porto, si rese conto che era diretto verso il mare. Camminò svelto, sempre più svelto, con una sola immagine fissa: quell'immobile distesa bianca in cui era sprofondato Michele.
Voleva andare oltre, dove la costa alzandosi si faceva più deserta. Finalmente s'addentrò in ripidi vicoli, scuri come se fossero ancora intrisi dell'umidità della notte.
Lo colsero all'improvviso, allo sbucare di uno di essi, un alito fresco di sale e il vario scintillio di un'acqua tutta increspata e viva.


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IL SILENZIO 183
Udì il suono del mare: il noto fruscio tranquillo dei giorni di bagni, e il rotolio dei sassi che scivolavano, poi tornavano in su spinti da una frangia di spuma.
Camminò lungo la costa, esitante, e suo malgrado sentendo il benessere di quel soffio salato, di quell'ardore asciutto del sole e del vento: gli occ[...]

[...]fruscio tranquillo dei giorni di bagni, e il rotolio dei sassi che scivolavano, poi tornavano in su spinti da una frangia di spuma.
Camminò lungo la costa, esitante, e suo malgrado sentendo il benessere di quel soffio salato, di quell'ardore asciutto del sole e del vento: gli occhi fissi a quel balenare mutevole e vivo. Ritrovava il martellio sonoro del giorno prima, ma nitido e distinto, qua vibrante su una lastra lucente, lá cupo su bulloni, più oltre raschiante su metalli arrossati di ruggine, e ogni suono accompagnato dal gesto di un uomo a piegare, a configgere, a levigare. Dalla lama scintillante che tagliava l'orizzonte, l'acqua s'addentrava azzurra nei bacini, s'apriva dietro un motoscafo in una scia di spuma, lambiva paziente una chiglia, scontornava le pareti scarlatte d'alti vapori in riparazione, giocava lungo il molo in vortici iridati di spuma.
Lo stupì, in quella varia animazione sonora, la calma di un gran cantiere deserto. Nel bacino asciutto, un bastimento inclinato sul fianco e corroso spalancava le sue lamine conto[...]

[...]uto : « vigliacchi ». I militi si fermarono, s'allinearono dalla parte opposta della strada.
Stavano a guardarsi: muti e, ora, tutti altrettanto immobili. Aspettavano. Con quegli sguardi scuri e raggelati, sembravano imporsi a vi
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tenda il gesto che avrebbe permesso di gettare la colpa addosso a qualcuno : come uno schiaffo o uno sputo.
La gola stretta, Marco si ritirò lentamente. Risalì i vicoli che parevano ancora più scuri, adesso. Le mura altissime fra cui erano serrati s'incurvavano in alto, sostenute l'una all'altra da sbarre di pietra cosparse di polvere. Dappertutto, la stessa dura pazienza di donne a cucire sulla porta dei loro antri, la stessa muta pigrizia di ragazzini che giocavano tra le immondizie dei rigagnoli. Qua e là, su scialbi muri squarciati dalle bombe, s'aprivano solitari lembi di cielo.
A un tratto, Marco udì una voce soffocata e insieme stridula, interrotta da ansiti. Avanzò lentamente fino all'imboccatura del vicolo da cui questa proveniva. C'era un gruppo di persone davanti alla [...]

[...]po della sua vittima, come un cavaliere impazzito che spronasse una bestia esanime.
Nessuno si mosse, come se una ignota condanna impedisse a chiunque d'intervenire. Sulla porta, l'uomo continuava a torcersi le mani.
Riuscì a voltarsi. Corse a lungo. Non aveva che un pensiero : salire, lasciare quelle strade precipitanti tutte verso il mare, che ogni tanto balenava in fondo ai crocevia. Ma a mano a mano che saliva, il mare si dilatava sempre più tra le scure fessure dei tetti d'ardesia, fino ad abbracciare, abbacinante, tutta la costa.
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«Ma che cosa, dunque, che cosa? » diceva la voce di Costanza. « Una macchina? Ma si sarebbe saputo. E neppure il mare. Era calmo, ieri, e Michele sa nuotare. E chi avrebbe potuto volergli fare del male? Ma no, é assurdo. E poi, qualunque cosa si sarebbe saputa ». Parlava in modo monotono, uguale nelle domande e nelle risposte, come se le avesse troppe volte ripetute.
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IL SILENZIO 185
Marco s'era seduto a lato della casa, sul filo d'ombra che la separava dalla strada assolata. Udiva Costan[...]

[...]ovane, è questo che pensavi? E io, non lo ero come te? E anche colpa tua ». La sua voce era diventata tagliente. « Tu, si... E anche colpa tua, se è andata così ».
Così?! allora tu lo sai. Lo sai! ». C'era dell'odio, in quella voce, una collera trattenuta che lo fece rabbrividire.
La risposta di Giacomo, stanca e come lontana, si fece attendere.
« L'altra sera... l'altra sera quando è tornato, tu non c'eri... Mi ha detto: vado via e non torno piú. Mi guardava, mi guardava in un modo... Ho paura. Non poteva voler dire questo: ma se penso a come mi guardava... ho paura ».
Non vi fu altra risposta che un gemito, una specie di rantolo. Costanza usci di corsa, e si fermò là, contro il muro, il corpo rattrappito, le mani strette al viso.
Usci anche Giacomo, dopo qualche momento, e si lasciò cadere sullo scalino della soglia. Pareva più sbieco del solito, tutto afflosciato a lato della sua lunga e rigida gamba di legno. Rimase immobile, il
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volto livido e le labbra tremanti. Costanza lo scorse. Nascose il viso dentro il braccio piegato, appoggiata contro il muro: scuoteva la testa con violenza, come per scacciarlo.
« Michele é morto » sillabò piano Marco. La propria voce gli suonò spenta e vuota. Pensò alla calma certezza provata sul colle, nella notte; e al grido della morente. Doveva vederla. Fu questo ad aiutarlo a strapparsi di lá, e a correre verso l'ultima casa d'Oregina.
Passando, scorse tutti i[...]

[...]terina s'alzava ancora dal letto, allora. S'era affacciata al davanzale, ed era rimasta a guardare: l'elica rossa, ruotando, brillava al sole, si spegneva, tornava a brillare, librata.
« Si », rispose come sempre, esitando. Caterina aveva chiuso gli occhi. La cornea e la pupilla s'intravvedevano, ugualmente chiare, tra le palpebre. Sulla facciata di fronte, dei panni stesi s'agitavano sotto lievi raffiche. Era lo stesso vento di quel giorno, ma più molle, estenuato. Sarebbe andato bene ugualmente l'elicottero, si disse Marco. Poi si vergognò di averci pensato : e lo stupì che potesse venire in mente a Caterina.
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Non capiva più che cosa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, la porta del pianerottolo s'aperse piano. Qualcuno si avvicinava, si fermava incerto sulla soglia : poi entrò. Antonio. Evitando di guardare Marco, si diresse verso la seggiola accanto al letto. Sedette con pesante lentezza.
« Ecco », disse questa volta Caterina.
Per un attimo, il respiro di lei parve più rapido. Una lieve contrazione degli zigomi fece risaltare più duramente, nel viso scarno, il suo naso affilato. Poi si rilassò.
« Fa lo st[...]

[...]sa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, la porta del pianerottolo s'aperse piano. Qualcuno si avvicinava, si fermava incerto sulla soglia : poi entrò. Antonio. Evitando di guardare Marco, si diresse verso la seggiola accanto al letto. Sedette con pesante lentezza.
« Ecco », disse questa volta Caterina.
Per un attimo, il respiro di lei parve più rapido. Una lieve contrazione degli zigomi fece risaltare più duramente, nel viso scarno, il suo naso affilato. Poi si rilassò.
« Fa lo stesso », disse.
Antonio gettò di sfuggita sul figlio uno sguardo quasi timoroso. Si coperse gli occhi con la mano, il gomito appoggiato al ginocchio: le sue dita tormentavaño piano le tempie. Lentamente, posò l'altra mano su quella della malata, e la tenne ferma; i tendini sporgenti mostravano un'intensa, crescente pressione. Ad un tratto, con uno spasimo della bocca, Caterina dibatté adagio la testa sul cuscino, su e giù, in modo uguale, quasi calmo. I capelli le s'incollavano alle guance madide. Marco non osava gua[...]

[...]co udì un no sommesso ma violento, e stranamente rauco, come se a stento Antonio avesse trattenuto un grido.
Il viso di Caterina rimase immutato, quasi essa non avesse udito.
Antonio s'alzò, venne verso Marco, e con una pressione della mano sulla spalla gli indicò che uscisse. Ma come accennando a parlare, le labbra della morente vibrarono di un lieve tremito, denudando le gengive pallide.
«Si sta bene sul Righi », disse infine con un tremito più forte delle labbra, che abbozzarono faticosamente un sorriso. Si voltò adagio verso la finestra. « Tira a piovere », disse ancora, lo sguardo alla foschia livida che pesava sull'orizzonte. « $ buono... quando sa tutto di pioggia ».
« ...E di sale » prosegui piano Antonio. « La terra, i capelli... ».
Marco aveva indietreggiato, scostandosi dal letto, come avesse voluto fuggire. Guardava fisso la morente.
C'era quell'odore di pioggia e di sale, ricordò a un tratto, un giorno
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che lui e Michele correvano su una striscia sabbiosa lambita dal mare. I piedi lasciavano sulla [...]

[...]si disse, quand'era corso da lei: ma adesso avrebbe dovuto farlo in altro modo, e non sapeva come. Erano felici, quel giorno, lui e Michele: di questo, appena, avrebbe parlato. O forse, di come gli ronzava il sangue negli orecchi, mentre nuotava : perciò, non si potevano udire gli altri. E avrebbe voluto dire che sapeva molte cose di Michele : sapeva che quando serrava i denti, e gli apparivano sulle guance due chiazze livide, era che non poteva più correre, e non lo diceva; e quando veniva a cercarlo all'improvviso, in certe ore di sole in cui non si vedeva in giro che qualche cane appiattito sul selciato, e gli proponeva di salire sul Righi o dì andare a rubare la frutta
in qualche orto, era perché aveva paura Giacomo, e non lo diceva.
E non avrebbe tollerato che lui lo dicesse.
Ma in questo non c'era niente di cui si potesse parlare. Eppure, ormai, non sapeva pensare ad altro. Tutto s'era fatto così confuso. Riandò con la memoria a quel grido : non sapeva più ritrovarlo.
Caterina aveva lo sguardo fisso alla cresta del Righi. Si ve[...]

[...]certe ore di sole in cui non si vedeva in giro che qualche cane appiattito sul selciato, e gli proponeva di salire sul Righi o dì andare a rubare la frutta
in qualche orto, era perché aveva paura Giacomo, e non lo diceva.
E non avrebbe tollerato che lui lo dicesse.
Ma in questo non c'era niente di cui si potesse parlare. Eppure, ormai, non sapeva pensare ad altro. Tutto s'era fatto così confuso. Riandò con la memoria a quel grido : non sapeva più ritrovarlo.
Caterina aveva lo sguardo fisso alla cresta del Righi. Si vedevano ora lassù, nitide, lontanissime, due persone : una delle tante coppie che salivano con la funivia e vagavano per il colle.
La mano d'Antonio gli premeva di nuovo la spalla, guidandolo verso la porta. Lo segui.
Gli parve, mentre scendevano le scale, che il padre cercasse le parole per dirgli qualche cosa. « Dio, Dio, Dio... » si limitò a borbottare tra i denti.
C'era sulla strada un assembramento di gente, appena fuori del quartiere. Guardò, attraverso la finestra aperta, nel pianterreno dei Cataldo : deserto. C[...]

[...] ».
Nino era tra altri ragazzi che, dietro agli adulti, si serravano per vedere: pallidissimo, ma avevano tutti un'aria così spaurita. L'agente, un uomo dal viso bruno e pigro e dalle palpehre pesanti sugli occhi molto neri, sembrava sorridere mentre parlava : ma forse era solo un'im
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pressione che veniva dall'atteggiamento naturale delle sue lunghe labbra sinuose. Si rivolgeva a Giacomo, che stava seduto su di un paracarro; ma più di lui rispondeva Filippo Bertolli, l'aria premurosa e perfettamente a suo agio, agitando con più circospezione del solito quelle sue caute mani. L'agente teneva in mano un taccuino, e ogni tanto vi scriveva, inumidendo sulla punta della lingua la matita, che vi lasciava una piccola traccia violacea.
Antonio era rimasto un po' indietro, e guardava Costanza che stava a lato del marito, una mano posata sulla sua spalla. Così accasciato, Giacomo pareva piegare sotto quel peso, eppure Costanza non si appoggiava : lo guardava ritta e pallida, tosi tesa che, sembrò a Marco, un colpo l'avrebbe trovata dura come il macigno, o rovesciata di schianto
come un'antenna.
« Ora chiamerà noi », pensò[...]

[...]o io quello che devo fare », disse l'agente seccamente. « So io quello che serve per l'inchiesta ».
Antonio strinse i pugni. Un gruppo di donne davanti ai ragazzi mormorava; l'agente si voltò a guardarle irosamente, le sue labbra si serrarono facendosi dure e sottili. I suoi occhi vagarono dall'una all'altra, infine si appuntarono sui ragazzi, e parve a Marco che fissasse Nino.
« E voi andatevene », gridò con la stessa voce stridula, ma ancora più forte. « Cosa state qui a far confusione, manigoldi? Via, marmaglia! »
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Non aveva guardato dove fossero andati gli altri ragazzi, era corso su per il colle.
Quando si fermò, ansimante, e si voltò, vide due uomini che arrivavano.
Camminavano piano su per la strada. Portavano grossi zoccoli, e piantavano solidamente il corpo sul passo largo. Pescatori. Il gruppo era ancora là, verso le case, compatto intorno all'agente. Nessuno si voltava a guardare i due uomini. Com'erano lenti! Marco li seguiva con gli occhi, passo a passo. Tremava alle folate più fresche che grandi rap[...]

[...]o andati gli altri ragazzi, era corso su per il colle.
Quando si fermò, ansimante, e si voltò, vide due uomini che arrivavano.
Camminavano piano su per la strada. Portavano grossi zoccoli, e piantavano solidamente il corpo sul passo largo. Pescatori. Il gruppo era ancora là, verso le case, compatto intorno all'agente. Nessuno si voltava a guardare i due uomini. Com'erano lenti! Marco li seguiva con gli occhi, passo a passo. Tremava alle folate più fresche che grandi rapide nuvole sembravano smuovere, segnando strie di un biancore di pietra sull'incupirsi del mare. Finalmente gli uomini raggiunsero il gruppo. Qualcuno si voltava, parlava con loro, il gruppo si apriva. Non sapeva che cosa attendesse, spasmodicamente. Era come se qualcosa dovesse prorompere: forse un grido. Ma non s'udì nulla.
Passarono lunghi momenti; infine Marco vide Costanza uscire tra la gente che ondeggiava. Camminava rigida, il corpo inclinato in avanti, tra i due pescatori che le si erano messi a fianco. Egli distingueva anche Antonio, adesso, che procedeva rapid[...]

[...]gruppo si apriva. Non sapeva che cosa attendesse, spasmodicamente. Era come se qualcosa dovesse prorompere: forse un grido. Ma non s'udì nulla.
Passarono lunghi momenti; infine Marco vide Costanza uscire tra la gente che ondeggiava. Camminava rigida, il corpo inclinato in avanti, tra i due pescatori che le si erano messi a fianco. Egli distingueva anche Antonio, adesso, che procedeva rapido come per raggiungerla;. e Giacomo. Gli altri seguivano più lentamente. Per un poco Antonio continuò da solo con dietro Giacomo che arrancava. Poi si fermò ad aspettarlo, e prosegui con lui. Andavano più adagio dei tre che precedevano: eppure Giacomo, oscillando scompostamente sulla gamba di legno, sembrava il solo a correre.
Costanza e i due pescatori erano già nascosti dalle prime case, che ancora i due avanzavano lentamente a metà strada, tra i colli nudi.
A un certo momento, Antonio passò la mano sotto il braccio di Giacomo, cercando di sorreggerlo: ma riuscì soltanto a dare intralcio al suo lungo passo rigido. Quando Antonio si staccò, Giacomo rimase qualche istante immobile, a testa china; poi riprese a camminare, e infine scomparvero anche loro.
C'era una cavità nel terreno, vicino [...]

[...]re intralcio al suo lungo passo rigido. Quando Antonio si staccò, Giacomo rimase qualche istante immobile, a testa china; poi riprese a camminare, e infine scomparvero anche loro.
C'era una cavità nel terreno, vicino a Marco. Era una delle trincee che lui stesso, molti mesi prima, aveva scavato con i compagni. Già v'era cresciuta l'erba.
Vi si appiattò e si sdraiò supino, Io sguardo al cielo opaco. Si sentiva gli occhi bruciati. Ma non provava più quell'impotenza al pianto che dal giorno prima l'attanagliava : era, piuttosto, come se il pianto
IL SILENZIO 191
lo avesse ormai scavato, lasciandolo duro e asciutto e compatto come un ciottolo levigato dall'acqua.
Un aroma forte saliva intorno, insieme a un leggero crepitio, dalle erbe corte e dure. Più tardi si levò il vento: il cielo sembrò indurirsi.
Già impallidiva, quando Marco senti venire di lontano il solito grido: « All'erta! ». S'alzò, aggrappandosi con le mani all'orlo della trincea. Il grido s'avvicinava, meno fitto del solito: così isolata, ogni voce sembrava chiara, e fragile, in quella cerchia nuda. Non c'era più nessuno sulla strada. In fondo, tra le facciate scialbe, i vetri chiusi di Caterina mandavano un riflesso verdastro. Il grido si fermi). Una lunga lunga pausa : le trincee vicine dovevano essere vuote, certo mancavano tutti i ragazzi d'Oregina. L'eco del grido pareva essersi fissata nell'aria. Attese, trattenendo il respiro, che qualcuno lo continuasse; come sperso in quel vuoto in cui la catena si spezzava. All'improvviso — e quasi non riconobbe la propria voce — si senti rispondere: «All'erta! ». Lo ripeté ancora, una, due, tre volte, alto, nitidissimo: «All'erta! All'erta! ».
Lontano, un'[...]



da Ernesto De Martino, Apocalissi culturali e Apocalissi Psicopatologiche in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: APOCALISSI CULTURALI
E APOCALISSI PSICOPATOLOGICHE
Le apocalissi culturali, nella loro connotazione più generale, sono manifestazioni di vita culturale che coinvolgono, nell'ambito di una determinata cultura e di un particolare condizionamento storico, il tema della fine del mondo attuale, qualche che sia poi il modo col quale tale fine viene concretamente vissuta e rappresentata. In questa più larga connotazione il tema non è necessariamente congiunto alla vita religiosa tradizionalmente intesa, ma può affiorare — com'è il caso della varia apocalittica moderna e contemporanea della società borghese in crisi — nella sfera profana delle arti, della letteratura, del pensiero filosofico, del costume; non comporta necessariamente la fine del carattere mondano della esistenza umana, ma può anche assumere il carattere sociale e politico della fine di un certo mondo storico e dell'avvento di un mondo storico migliore, com'è il caso della apocalittica marxista; non è necessariamente esplici[...]

[...]rofana delle arti, della letteratura, del pensiero filosofico, del costume; non comporta necessariamente la fine del carattere mondano della esistenza umana, ma può anche assumere il carattere sociale e politico della fine di un certo mondo storico e dell'avvento di un mondo storico migliore, com'è il caso della apocalittica marxista; non è necessariamente esplicitato nella coscienza degli operatori storici che 'ne sono coinvolti, ma può in modo più o meno implicito manifestarsi nella loro Stimmung, nella loro condotta, nell'orientamento e nella tonalità affettiva dei loro pensieri; e infine non si riferisce necessariamente a movimenti collettivi, a orientamenti complessivi di un'epoca o di una data società, ma può concernere il modo particolare un singolo operatore storico che, nel quadro di determinati condizionamenti ambientali, inaugura o rinnova una determinata sensibilità culturale della fine. E' ormai diventata constatazione banale che l'epoca moderna e contemporanea palesa un rinnovato interesse per le apocalissi culturali, anche[...]

[...] connessi alla feticizzazione della tecnica (e ciò sino alla possibilità estrema della distruzione fattuale della civiltà mediante un gesto tecnico dell'uomo), si comprendono anche troppo le ragioni per le quali la nostra epoca porta un rinnovato interesse per il tema della fine. Ma proprio perché questo interesse affonda le sue radici in reali nodi operativi in cui l'occidente è attualmente impegnato, si avverte l'esigenza di formulare, in sede più propriamente scientifica, il progetto di una ricerca storicoculturale e antropologica, cioè genetica, strutturale e comparativa, che affronti il problema con la maggiore ampiezza possibile di confronto e quindi con la maggiore probabilità di promuovere su questo argomento un sapere realmente chiarificatore.
Ma, a questo punto, si pone un problema preliminare di metodo, dato che un progetto del genere corre sin troppo il rischio di procedere senza una chiara individuazione del fine e dei mezzi, ora smarrendosi dietro il fantasma di una assoluta completezza di informazione su tutte le apocalis[...]

[...]urali, tuttavia tale diversità é tanto poco una molteplicità irrelata che proprio nell'intento di individuare in ciascuno dei quattro contesti lo specifico carattere storicoculturale di ciascuno di essi, si palesa indispensabile il confronto non occasionale, ma sistematico, delle rispettive documentazioni. D'altra parte tale confronto riuscirà con tanta maggiore energia ad individuare differenze storicoculturali estremamente significative quanto più farà al tempo stesso valere la esigenza di una interpretazione unitaria del tema apocalittico nel suo significato antropo
dal medioevo sino alla nostra epoca è il saggio di H. CoaN, The pursuit of the Millennium: revolutionary messianism in the Middle Ages and its bearing on modern totalitarian movements, London 1962.
(3) Com'è noto il tema religioso della periodica distruzione e rigenerazione del mondo e della ripetizione periodica dell'atto cosmogonico è stato ripetutamente trattato da Mircea. Eliade (Le mythe de l'éternel retour, Parigi 1948; Images et Symboles, Parigi 1952; Naissance my[...]

[...]el Cristianesimo, e delle altre religioni dell'ecumene si ritrovano in `Archives de sociologie des religions' n. 4 (lugliodicembre 1957 e n. 5 (genn: giugno 1958), in Sylvia L. Trupp (ed.), Millennial Dreams in Action: Essays in comparative study, 'Comparative Studies in Society and History', Suppl. II, The Hague 1962, e in ' Religions de Salut ', Bruxelles 1962 (Annales du Centre d'Etude des religions, 2).
APOCALISSI CULTURALI ECC. 109
logico più generale. Ora proprio per non smarrire questa prospettiva antropologica unitaria, acquista valore euristico decisivo un quinto tipo di documento apocalittico, quello psicopatologico, che ci mette in rapporto con un comune rischio umano di crisi radicale, rispetto al quale le diverse apocalittiche culturali, comunque atteggiate, si costituiscono tutte come tentativi, variamente efficaci e produttivi, di mediata reintegrazione in un progetto comunitario di essercinelmondo (5). Affinché sia chiaro il valore euristico del documento psicopatologico nel quadro di una ricerca storicoculturale e antr[...]

[...]calittiche culturali, comunque atteggiate, si costituiscono tutte come tentativi, variamente efficaci e produttivi, di mediata reintegrazione in un progetto comunitario di essercinelmondo (5). Affinché sia chiaro il valore euristico del documento psicopatologico nel quadro di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi, occorre in via preliminare chiarire che cosa propriamente si intende per «apocalisse psicopatologica », tanto più che si possono avanzare seri dubbi sulla opportunità di considerare unitariamente, sotto questa denominazione, stati psichici morbosi cui la psichiatria attribuisce un diverso significato clinico. I vissuti di depersonalizzazione e di derealizzazione a carattere semplicemente psicastenico (nel senso di Janet), i vissuti deliranti primari di un oscuro mutamento di senso della realtà nella schizofrenia incipiente, il vero e proprio delirio schizofrenico di fine del mondo, il delirio di negazione nella melancolia, la fine del mondo come elemento allucinatorio di uno stato crepuscolare epilettico[...]

[...]iatria tenda a mettere l'accento sulla distinzione dei diversi modi psicotici di rapportarsi alla catastrofe del mondano, e a ordinare questi modi secondo malattie psichiche diverse o, quanto meno, secondo diverse declinazioni abnormi dell'inderWeltsein e del Mitsein. Ma nella prospettiva storicoculturale e antropologica si tratta di conquistare criteri definiti per distinguere le apocalissi culturalmente produttive da quelle psicopatologiche, o più esattamente per valutare le apo
(6) Nella casistica psichiatrica il tema delirante della « fine del mondo », in quanto esplicito contenuto della coscienza, non è molto frequente, mentre estremamente ricorrenti sono le esperienze di estraniamento, di depersonalizzazione (e di derealizzazione), di perdita della realtà mondana, soprattutto per quanto concerne le fasi iniziali della schizofrenia. Tuttavia — come viene ulteriormente chiarito nel testo— in una prospettiva storicoculturale e antropologica, queste esperienze e quel tema (che la psichiatria per i suoi fini tiene accuratamente distint[...]

[...]sura la diverse apocalittiche culturali. Nel quadro di una bibliografia essenziale sulle apocalissi psicopatologiche — nel senso ampio che qui è stato chiarito — sono innanzi tutto da ricordare i dati relativi alla « perdita della funzione del reale », al « senso di stranezza del reale » e ai « sentimenti di vuoto » contenuti nelle due opere di P. JANET, Les obsessions et la psychastenie, Parigi 1903 e De l'angoisse à l'extase Parigi 1928. Sulla più recente impostazione dei problemi relativi alla depersonalizzatione (e alla derealizzazione) e per la relativa bibliografia sull'argomento, cfr. G. ZANocco, Aspetti strutturali del fenomeno della depersonalizzazione, ' Rivista sperim. freniatr.', suppl. vol. 83 (1959), pp. 343519, e G. VELLA, Il concetto di depersonalizzazione, Roma 1960. In prospettiva psicoanalitica: M. BOUVET, Dépersonalisation et relation d'objet, Parigi 1960 e N. PERROTTI, Aperçu théorique de la dépersonalisation, Parigi 1960 (entrambi estratti dal 21° congresso degli psicoanalisti di lingue romanze). Sui vissuti deliran[...]

[...]eidelberg 1959 (7' ed.: 1' ed. 1913), pp. 82 sgg. e B. CALLIERm, Aspetti piscopatologiciclinici della Wahnstimmung, in H. Kranz (ed.) Psychopatologie heute, Stuttgart 1962, pp. 72 sgg. Sul «mutamento pauroso » nella schizofrenia: C. F. COPPOLA, I limiti della schizofrenia, in ' Ospedale psichiatrico ', 25 (1957), pp. 259 sgg. e A. RUBINO e S. Pmo, Il mutamento pauroso nella schizofrenia, ' Il Pisani' 83 (1959), pp. 527 sgg. Per quel che concerne più propriamente il Weltuntergangserlebnis schizofrenico sono da ricor
APOCALISSI CULTURALI ECC. 111
calissi culturali nella loro concreta dialettica di rischio psicopatologico e di mediata reintegrazione. Lo storico della cultura e l'antropologo non possono contentarsi della ovvietà del fatto che, per esempio, il tema apocalittico del protocristianesimo non è assimilabile a nessun delirio psicopatologico, disforico o euforico, della fine, ma proprio questa ovvietà diventa per lo storico della cultura e per l'antropologo un problema da risolvere: e tanto più questa pretesa ovvietà diventa un no[...]

[...]lturali nella loro concreta dialettica di rischio psicopatologico e di mediata reintegrazione. Lo storico della cultura e l'antropologo non possono contentarsi della ovvietà del fatto che, per esempio, il tema apocalittico del protocristianesimo non è assimilabile a nessun delirio psicopatologico, disforico o euforico, della fine, ma proprio questa ovvietà diventa per lo storico della cultura e per l'antropologo un problema da risolvere: e tanto più questa pretesa ovvietà diventa un non eludibile problema in quanto i caratteri esterni delle apocalissi psicopatologiche sembrano riprodursi anche in quelle culturali, dato che anche le apocalissi culturali racchiudono l'annunzio di catastrofi imminenti, il rifiuto radicale dell'ordine mondano attuale, la tensione estrema dell'attesa angosciosa e d'euforico abbandonarsi alle immaginazioni di qualche privatissimo paradiso irrompente nel mondo. Non è pertanto illegittimo, sempre nella
dare, oltre a A. WETZEL, Das Weltuntergangserlebnis in der Schizophrenie, ' Ztschr. f. Neurologie', 78 (1922),[...]

[...]utori francesi) negli stati depressivi si
veda il testo e i dati bibliografici in H. EY, Etudes psychiatriques, II, Parigi, 1950, pp. 427 sgg. Sulla cosiddetta areazione di Sansone » vedi P. SCHIFF, La paranoia de destruction: réaction de Samson et phantasme de la fin du monde, 'Annal. Méd.Psychol.', 104 (1946), pp. 279 sgg. Ovviamente il tema delle apocalissi psicopatologiche appare variamente nella letteratura psicoanalitica, anzi la prima compiuta descrizione di un delirio di fine del mondo è quella che già nel 1913 FREUD dette nel suo contributo Psychoanalytische Bemerkungen über einen autobiographisch beschriebenen Fall von Paranoia (Dementia paranoides), Ges. Werke, VIII. Si veda, in particolare, Mme SsCHEHAYE, Journal d'une schizophrène, Paris 1950. Infine nella prospettiva della Tiefenpsychologie junghiana, cfr. G. R. JUNG, Symbole der Wandlung, Zurigo 1952, pp. 758 sgg.
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prospettiva prescelta, avanzare l'esigenza di ritrovare — attraverso e al di là delle ineccepibili distinzioni cliniche — un carattere [...]

[...]lità dell'umano su tutto il fronte dell'umanamente e intersoggettivamente valorizzabile. Qui dunque noi siamo di fronte alla apocalisse come rischio di non poterci essere in nessun mondo possibile, in nessuna operosità socialmente e culturalmente validabile, in nessuna intersoggettività comunicante e comunicabile. Il documento psicopatologico della fine mette a nudo tale rischio con una evidenza esemplare, e già solo con ciò consente di valutare più concretamente la qualità tendenzialmente opposta delle apocalissi culturali, almeno nella misura in cui la loro dinamica rende percepibile una mediata restituzione di operabilità del mondo, una riapertura di fatto verso determinate prospettive co
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munitarie di nuove valorizzazioni della vita (quale che sia poi il modo e il grado di coscienza che di questo fatto hanno gli operatori storici impegnati in una determinata apocalittica). D'al tra parte se il dramma delle apocalissi culturali acquista rilievo come esorcismo solenne, sempre rinnovato, contra l'estrema i[...]

[...]ollaborazione fra studiosi di fenomeni culturali e stu
114 ERNESTO DE MARTINO
Se si vuole illustrare il particolare valore euristico che spetta alle apocalissi psicopatologiche nello studio storicoculturale e antropologico delle apocalissi culturali, viene innanzi tutto in considerazione ciò che abbiamo chiamato la apocalittica moderna e contemporanea della società borghese in crisi. La elettività di questo punto di partenza, nel quadro di una più vasta ricerca comparativa, è in rapporto al fatto che della apocalittica d'oggi possiamo parlare in prima persona, cioè in quanto occidentali e in quanto u borghesi» che vivono e combattono i rischi della loro epoca e che sono partecipi di una storia culturale che quei rischi ha maturati. Ciò comporta la possibilità di utilizzare un documento interno di comprensione che soltanto con minore immediatezza è raggiungibile a proposito di altre apocalittiche culturali, come p. es. quella del protocristianesimo o quelle delle grandi religioni storiche o dei popoli cosiddetti primitivi (8).
Tentativ[...]

[...]ti del 1° congresso internazionale di psichiatria sociale (Londra, agosto 1964), di prossima pubblicazione.
(8) Senza dubbio questo documento interno s, per la sua immediatezza, può esporre al pericolo di incaute generalizzazioni antropologiche e di arbitrarie interpretazioni; ma appunto per questo lo studio delle apocalissi culturali della società borghese in crisi dovrà, nell'ulteriore sviluppo del progetto di ricerca, essere integrato in una più vasta prospettiva di controllo e di confronto che abbracci le altre apocalissi storicoculturali e i loro corrispondenti rischi psicopatologici.
APOCALISSI CULTURALI ECC. 115
opere di Hans Sedlmayr e di Robert Volmat (9). Manca tuttavia un confronto sistematico e metodologicamente fondato tra le diverse manifestazioni della apocalittica dì oggi — non solo nell'arte, ma nella musica, nella poesia, nel romanzo, nel teatro, nella filosofia, nel costume — e la corrispondente documentazione psicopatologica, così come manca, in un argomento così tipicamente 'interdisciplinare, l'impiego di chiare [...]

[...]n solo nell'arte, ma nella musica, nella poesia, nel romanzo, nel teatro, nella filosofia, nel costume — e la corrispondente documentazione psicopatologica, così come manca, in un argomento così tipicamente 'interdisciplinare, l'impiego di chiare formule metodologiche di collaborazione interdisciplinare fra lo storico della cultura e l'antropologo da una parte e lo psichiatra dall'altra. Nei limiti di questo saggio, e con l'intenzione di fornire più la proposta di un progetto di ricerca che una ricerca in sé compiuta con k relative conclusioni, saranno qui allineati e commentati alcuni pochi testi indicativi, sufficienti almeno ad impostare il problema: seguirà poi il confronto col documento psicopatologico.
* * *
Un testo letterario che, per la confluenza in esso di molti temi della apocalittica di oggi, può considerarsi un esemplare punto 'di partenza e al tempo stesso la guida e il punto di riferimento dell'ulteriore discorso analitico, é senza dubbio La Nausée di. Sartre (10). Il diario di Antonio Roquentin si apre con la notifica di un mutamento esistenziale esperito in un certo giorno del gennai[...]

[...]ifestano nell'espressionismo, nel futurismo, nel cubismo e nel costruttivismo, nel surrealismo e nell'arte onirica, etc. R. VoLMAT, in L'art psychopathologique dedica, in una prospettica prevalentemente psicopatologica, un intero capitolo alla posizione dell'arte moderna (pp. 215 sgg.). Cfr. anche G. ROSOLATO, in Confina Psychiatrica, 1964, fasc. 4°.
(10) J. P. SARTRE, La nausée, Paris 1938. La traduzione in italiano dei vari passi segue per lo più quella del Fonzi (Milano 1961). I passi riportati in corpo tipografico diverso si ritrovano rispettivamente alle pp. 11 sg., 15, 101 sg., 105, 159 sg. e 153 sg. dell'ed. francese e alle pp. 7 sg., 10, 84 sg., 86, 136 sg., e 171 sg., della trad. italiana.
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Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente la estensione e la natura di questo cambiamento... Sabato i ragazzini giuocavano a far rimbalzare i ciottoli sul mare ed io avrei voluto imitarli, ma d'un tratto mi [...]

[...]tensione e la natura di questo cambiamento... Sabato i ragazzini giuocavano a far rimbalzare i ciottoli sul mare ed io avrei voluto imitarli, ma d'un tratto mi sono arrestato, ho lasciato cadere il ciottolo e me ne sono andato. Dovevo avere un'aria smarrita, probabilmente, poiché i ragazzini mi hanno riso dietro. Questo esteriormente. Ciò che è avvenuto in me non ha lasciato chiare tracce. Debbo aver visto qualcosa che mi ha disgustato ma non so più se guardavo il mare o il ciottolo. Il ciottolo era piatto, con le dita molto allargate per evitare di insudiciarmi... Il curioso è che non sono affatto disposto a credermi pazzo, anzi, vedo chiaramente che non lo sono: tutti questi cambiamenti concernono gli oggetti. O almeno è di questo che vorrei essere sicuro.
In questo appunto diaristico l'inizio del vissuto di mutamento di presenta con una nota di incertezza: Roquentin cerca ancora di minimizzare « la piccola crisi di pazzia » e di appellarsi al regolare e al domestico della vita quotidiana, per esempio al rumore dei passi del commercia[...]

[...] con una nota di incertezza: Roquentin cerca ancora di minimizzare « la piccola crisi di pazzia » e di appellarsi al regolare e al domestico della vita quotidiana, per esempio al rumore dei passi del commerciante di Rouen che ogni fine settimana viene in albergo e ne sale le scale alla stessa ora. A queste annotazioni non datate segue il diario vero e proprio, in cui il vissuto di mutamento inaugura la vicenda:
Mi è accaduto qualcosa, non posso più dubitarne. E' sorto in me come una malattia, non come una certezza ordinaria, come un'evidenza. S'è insinuata subdolamente, a poco a poco: mi sono sentito un pò strano, un pò impacciato, ecco tutto. Una volta installata non s'è più mossa, è rimasta cheta, ed io ho potuto persuadermi che non avevo nulla, che era un falso allarme... Ma ecco che ora si espande...
Ma che cosa e in che senso è mutato? Roquentin avverte un mutamento oscuro nei suoi atti più abitudinari e nelle cose più familiari, per esempio nel modo di prender la pipa o la forchetta e forse nel modo con cui la forchetta si fa prendere. La maniglia di una porta si denunzia nella sua mano come un oggetto freddo che attira la sua attenzione « con una specie di personalitá », il volto dell'autodidatta, figura familiare da anni, è riconosciuta nella sua identità solo dopo alcuni secondi, e nel
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salutarlo con la consueta stretta di mano avverte in quella dell'autodidatta e nel suo braccio che ricade mollemente dopo la stretta, una sorta di estraneità e di bizzarria che accenna al d[...]

[...]istenziali in cui è vissuto lo spaesamento del familiare. L'avventura apocalittica, inauguratasi subdolamente con il ciottolo della spiaggia, investe come per contagio ambiti sempre nuovi del mondano, che entrano in travaglio disfacendosi di ogni evidenza, sicurezza, certezza. Così al caffé le bretelle color malva di Adolfo, cancellate e come nascoste per l'azzurro della camicia, denunziano «una falsa umiltà », son travagliate da uno sforzo incompiuto di esser se stesse, che resta però a mezza strada e che le mantiene in una irritante sospensione: era «come se, partite per diventar viola, si fossero arrestate a mezza strada senza rinunziare alla loro pretesa », sollecitando in Roquentin una scongiurante richiesta di decisione e di compiutezza: « Verrebbe voglia di dir loro: Avanti, diventate viola e non se ne parli più ». Gli oggetti infatti si manifestano a Roquentin affetti da una interna debolezza che li dissolve in uno scenario fittizio, artificiale, irreale, riboccante di terrorizzanti possibilità verso ulteriori naufragi. In modo esemplare questo vissuto è diaristicamente annotato nell'episodio della biblioteca pubblica di Bouville, quando Roquentin, osservando i libri già altre volte accettati nella ovvietà dei loro attributi (i libri «tozzi e pesanti ») e delle loro relazioni con gli altri oggetti dell'ambiente (p.es. con gli scaffali in cui sono allineati, con la stufa, i finestroni, le scale a piu[...]

[...] riboccante di terrorizzanti possibilità verso ulteriori naufragi. In modo esemplare questo vissuto è diaristicamente annotato nell'episodio della biblioteca pubblica di Bouville, quando Roquentin, osservando i libri già altre volte accettati nella ovvietà dei loro attributi (i libri «tozzi e pesanti ») e delle loro relazioni con gli altri oggetti dell'ambiente (p.es. con gli scaffali in cui sono allineati, con la stufa, i finestroni, le scale a piuoli), si accorge che ora essi vanno perdendo il loro carattere di rassicurante argine verso l'avvenire, così come tutto l'ambiente della biblioteca, le appaesate relazioni tra i suoi oggetti, sta abbandonan
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do la sua funzione di fissare i limiti degli accadimenti verosimili che vi posson aver luogo:
...Ebbene, oggi, [questi libri] non fissavano proprio niente: sembrava che la loro stessa esistenza fosse discutibile e che facessero la più gran fatica a passare da un istante all'altro. Stringevo con forza, tra le mani, il volume che stavo leggendo: ma anche le sensazion[...]

[...]ge che ora essi vanno perdendo il loro carattere di rassicurante argine verso l'avvenire, così come tutto l'ambiente della biblioteca, le appaesate relazioni tra i suoi oggetti, sta abbandonan
118 ERNESTO DE MARTINO
do la sua funzione di fissare i limiti degli accadimenti verosimili che vi posson aver luogo:
...Ebbene, oggi, [questi libri] non fissavano proprio niente: sembrava che la loro stessa esistenza fosse discutibile e che facessero la più gran fatica a passare da un istante all'altro. Stringevo con forza, tra le mani, il volume che stavo leggendo: ma anche le sensazioni più violente erano smussate. Niente pareva reale: mi sentivo circondato da uno scenario di cartone, che poteva essere smontato da un momento all'altro. Il mondo aspettava, trattenendo il respiro, aspettava la sua crisi, la sua nausea... Mi sono alzato: non potevo più star fermo in mezzo a quelli oggetti indeboliti. Sono andato alla finestra a gettare una occhiata al cranio di Impétraz. Mormoravo: « Tutto può accadere, tutto »... Guardavo con terrore quegli esseri instabili che forse tra un'ora, tra un minuto, sarebbero crollati. Ebbene, sì, ero lì, in mezzo a quei libri di scienza pieni di scienza, alcuni dei quali descrivevano le forme immutabili delle specie animali, altri spiegavano la quantità di energia che si conserva integralmente nell'universo; ero li, davanti ad una finestra i cui vetri avevano un determinato indice di rifrazione. Ma che deboli b[...]

[...]spediente al quale del resto aveva già ricorso, come quando aveva ten
tato di difendersi dai primi vissuti di mutamento ascoltando il rassicurante rumore dei passi del commerciante di Rouen. Ma questa volta l'espediente é meno efficace:
Al principio di via Tournebride mi sono voltato e ho contemplato con disgusto il caffè illuminato e deserto. Al primo piano le persiane erano chiuse. Un vero e proprio panico si è impossessato di me. Non sapevo più dove andavo. Son corso lungo i docks, ho girovagato lungo le strade deserte del quartiere Beauvoisis: le case mi guardavano correre con i loro occhi spenti. Mi ripetevo con angoscia: dove andare? Dove andare? Tutto può capitare. Di tanto in tanto, col cuore che mi batteva, mi voltavo, mi voltavo bruscamente: che cosa avveniva alle mie spalle? Magari poteva cominciare dietro di me, e poi, quando
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d'un tratto mi fossi voltato, sarebbe stato troppo tardi. Fin tanto che avessi potuto fissare gli oggetti non si sarebbe verificato nulla. Ne guardavo più che potevo, il[...]

[...] con i loro occhi spenti. Mi ripetevo con angoscia: dove andare? Dove andare? Tutto può capitare. Di tanto in tanto, col cuore che mi batteva, mi voltavo, mi voltavo bruscamente: che cosa avveniva alle mie spalle? Magari poteva cominciare dietro di me, e poi, quando
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d'un tratto mi fossi voltato, sarebbe stato troppo tardi. Fin tanto che avessi potuto fissare gli oggetti non si sarebbe verificato nulla. Ne guardavo più che potevo, il selciato, le case, i fanali a gas; .i miei occhi andavano rapidamente dagli uni agli altri per coglierli di sorpresa e arrestarli nel mezzo delle loro trasformazioni. Non avevano un'aria troppo naturale ma io continuavo a dirmi con forza: è un fanale a gas, è una fontanella, e con potenza dello sguardo cercavo di ridurli al loro aspetto quotidiano. Più volte ho incontrato dei bar sulla mia strada: il Caffè dei Bretoni, il Bar della Marna. Mi fermavo, esitavo un poco dinanzi alle tendine di tulle rosa: forse questi caffè ben tappati erano stati risparmiati, forse racchiudevano ancora una particella del mondo di ieri, isolata, dimenticata. Ma avrei dovuto spingere la porta, entrare. Non osavo. Temevo s'aprissero da sole. Ho finito col camminare in mezzo alla strada...
Il mondo familiare, appaesato, dell'utilizzabile, appare dunque, nell'apocalisse vissuta da Roquentin, recedere verso l'assurdo. Questa recessione é inaugurata in modo improvvi[...]

[...] 1932, a proposito di episodi minuti come quello del sassolino sulla spiaggia, prosegue con episodi altrettanto minuti e occasionali, come l'incontro con l'autodidatta, col bicchiere di birra, con le bretelle di Adolfo e con i libri della biblioteca pubblica di Bouville. Come dice Albert Camus in Le mythe de Sisyphe, la sensibilità assurda ha «un inizio derisorio », «una nascita miserabile », esplodendo senza nessuna preparazione apparente nella più comune quotidianità della vita: (( La sentiment de l'absurdité au detour de n'importe quelle rue peut frapper à la face de n'importe quel homme» (11). In modo analogo si configura la «noia» di Moravia, salvo la diversa sfumatura dell'epressione letteraria (12):
La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà. Per adoperare una metafora, la realtà,
(11) A. CAMUS, La mythe de Sisyphe: essai sur l'absurde, Paris 1962 (1' ed. 1942), pp. 24 sgg.
(12) A. MORAVIA, La noia, Milano 1962 (la ed. 1960). Per i due passi riportati, v. p. 7 sg. e 70.
[...]

[...]
quando mi annoio, mi ha sempre fatto l'effetto sconcertante che fa una coperta troppo corta, ad un dormiente, in una notte d'inverno: la tiri sui piedi e hai freddo al petto, la tiri sul petto e hai freddo ai piedi; e così non riesce a prender sonno. Oppure, altro paragone, la mia noia rassomiglia alla interruzione frequente e misteriosa della corrente elettrica in una casa: un momento tutto è chiaro ed evidente, qui sono le poltrone, i divani, più in là gli armadi, le consolle, i quadri, i tendaggi, i tappeti, le finestre, le porte: un momento dopo non c'è più che buio e vuoto. Oppure, terzo paragone, la mia noia potrebbe essere definita una malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di vitalità quasi repentina... Il sentimento della noia nasce in me da quello di una assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della sua effettiva esistenza. Per esempio può accadermi di guardare con una certa attenzione un bicchiere. Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente di cristallo o di metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si spanda, mi sembrerà di av[...]

[...]l totale abbandono dell'attività letteraria (13). Lord Chandos narra all'amico la condizione di apatia e di distacco in cui é caduto rispetto al mondo quotidiano, e la radicale sfiducia nella «parola » come strumento di partecipazione alla realtà e di comunicazione intersoggettiva: «Le parole astratte, di cui la lingua si serve naturalmente per qualsiasi giudizio durante la giornata, mi si spappolavano in bocca come funghi marciti ». Non gli era più possibile esercitare, nei minuti rapporti sociali di ogni giorno, «il semplificante sguardo dell'abitudine », e a dispetto di agni astrazione concettuale tutti i contenuti della conversazione si venivano disgregando in parti, e queste di nuovo in altre parti, in una vertigine di disarticolazioni in fondo alle quali era il vuoto. Fu cosí indotto in un genere di esistenza grigia, che — dice Lord Chandos — a mala pena si distingueva « da quello dei miei vicini, dei miei parenti e della maggior parte dei nobili proprietari di terre di questo impero». Da siffatta « noia della parola», che qui copr[...]

[...]ni assolutamente futili e casuali, come un inaifiatoio abbandonato sotto un noce, un erpice nel campo, un cane al sole, un poveraccio deforme, e simili: in tali istanti felici e vivificanti il contenuto futile e casuale diventava la coppa di una rivelazione inaudita, da cui sgorgava come un'onda di vita superiore che investiva qualsiasi fenomeno dell'ambiente quotidiano: una rivelazione tuttavia troppo viva perché la parola potesse esprimerla compiutamente, così come troppo spento era per la parola il grigio mondo di ogni giorno che precedeva questi fugaci istanti beatificanti e che inesorabilmente si richiedeva su
(13) H. v. HOFFMANNSTHAL, Der Brief des Lord Chandos, in Prosa, II, Frankfurt a. M.. 1951, p. 7.
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di essi. In questa modalità apocalittica ritroviamo i'l «derisorio» che inaugura l'esperienza di Roquentin, ma in termini rovesciati poiché infatti in Roquentin il mondo appaesato entra improvvisamente in crisi di spaesamento in occasione di eventi irrilevanti, mentre in Lord Chandos il mondo stabilmente i[...]

[...]rme ventre che fluttua in questa scatola, nel cielo grigio, non è un sedile. Potrebbe essere altrettanto bene un asino morto, per esempio, gonfiato dall'acqua, e che fluttua alla deriva, a pancia all'aria, in un gran fiume d'inondazione: ed io sarei seduto sul ventre dell'asino, ed i miei piedi sarebbero a bagno nell'acqua chiara... Il bigliettaio mi sbarra la strada: « Aspettate la fermata! ». Ma .lo respingo e salto giù dal tram. Non ne potevo più. Non potevo sopportare le cose fossero così vicine.
Più oltre, in occasione della esperienza della radice di castagno nei giardini pubblici, Roquentin descrive (do strano eccesso» di cui pativa la radice, il suo minaccioso andar oltre le qualità sensibili in una apparente « dovizia » che tuttavia « finiva per diventare confusione » e accennava a sprofondare nel caos. Più oltre ancora, in contrapposizione alla pigra normalità in cui per lo più gli uomini vivono nella moderna civiltà industriale (le loro facce «ottuse e piene di sicurezza »), Roquentin dispiega, a guisa di minaccioso ammonimento, il quadro di una possibile «fine del mondo»:
E se capitasse qualcosa? Se d'un tratto si mettesse a palpitare? Allora s'accorgerebbero della sua presenza e gli sembrerebbe di sentirsi scoppiare il cuore. A che cosa gli servirebbero, allora, le loro dighe, i loro argini, le loro centrali elettriche, i loro alti forni, i loro magli a va
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pore? Ciò potrebbe succedere in qualunque momento, magari subito: i presagi ci son[...]

[...] che una mattina la gente, aprendo le persiane, avvertirà «un senso orribilmente posato sulle case», una minacciosa immobilità carica di latenti tensioni esplosive.
Di questo u universo in tensione » — ovvero di questa « esplosione» del mondo — sarebbe sin troppo facile addurre esempi nella varia apocalittica moderna e contemporanea, soprattutto nella poesia. Basterà qui ricordare il rimbaudiano Nocturne Vulgaire (14), in cui proprio ciò che di piú familiare appartiene alla nostra vita quotidiana — le pareti, i tetti, i focolari, le vetrate — appare come percosso da un soffio di uragano che inaugura una vicenda allucinatoria di metamorfosi e trascina il « veggente » al centro dei suoi evanescenti episodi:
Un souffle ouvre des brèches opéradiques dans les cloisons / brouille le pivotement des toits rongés / disperse les limites des foyers / éclipse les croisées...
* * *
L'avventura di Roquentin costituisce — come si é detto — un testo esemplare per esplorare la sensibilità apocalittica della
(14) A. RIMBAUD, Oeuvres, ed. Garnier, p. [...]

[...]sto ordine può confondersi, franare.
Il crollo di quest'ordine può talora essere vissuto al risveglio. Proust descrive come qualche volta gli accadeva di risvegliarsi nel cuor della notte ignorando dove si trovasse e non sapendo neppure chi fosse, in un disorientamento totale in cui esperiva l'esistere con la primordiale elementarità con cui un animale sente fremere le sue viscere. Dal fondo di questo abisso esistenziale, in cui si apprendeva « piú spoglio dell'uomo delle caverne », una serie di rapide evocazioni lo aiutavano a ricomporre la ovvietà del mondo attuale e di se stesso:
Allora il ricordo — non ancora del luogo dove ero ma di qualcuno di quelli che avevo abitato e in cui avrei potuto essere — veniva da me come un soccorso dall'alto per tirarmi fuori dal nulla dal quale non sarei potuto uscire da solo: risalivo in un istante secoli di civiltà e l'immagine confusamente intravista di lampade a petrolio, poi di un camice col collo ribattuto, ricomponevano a poco a poco i tratti originali del mio io.
Nella vertigine del disorie[...]

[...]attualmente sta come fedeltà non problematica che rende disponibili di volta in volta per la relativa infedeltà della iniziativa egemonica secondo valore) si viene rischiosamente interrompendo, e il progressivo franare di questa rocca, la sua incalzante catastrofe, segna sempre un punto di vantaggio sui disperati conati anastrofici di rimettere pietra . su pietra. Una penosa inversione di segno viene in tal modo guadagnando gli ambiti percettivi più ovvi e familiari, che ora sembrano strani, bizzarri, artificiali, teatrali, irreali, meccanici, fuori quadro, assurdi: e questa inversione di segno, questo moto eccentrico che coinvolge lo sfondo dell'aperabile e rende vacillante qualsiasi punto di appoggio per mantenersi come reale centro operativo, riflettono la caduta della energia presentificante su tutto il fronte della possibile valorizzazione. « Vi è un mondo reale, che deve esistere in qualche parte: prima lo vedevo, ma ora dov'è? », diceva una malata di Janet (18) riecheggiando a suo modo quel u paradiso degli oggetti» che il protago[...]

[...]Psychiatry, London 1958, p. 238.
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tocca, con un certo compiacimento, la scrivania, la macchina da scrivere, il tavolo, ne descrive la materia. Poi prende in mano un portacenere e dice: « Adesso lo sento vivo nelle mie mani, so chi è di maiolica: prima sembrava finto ».
L'inizio della crisi di spaesamento, oltre che repentino, é — per riprendere la notazione di Camus — «derisorio », «miserabile »: tutto pub cominciare dal più ovvio e dal più banale, dai pomodori del mercato come — nell'avventura di Roquentin — dal sassolino della spiaggia. La destrutturazione dello sfondo di domesticità implica appunto questa continua dissipazione nel derisorio, questo restar senza margine di ripresa davanti a dati banali, senza potersi mai raccogliere in quel centro operativo che alimenta il suo calore esistenziale non soltanto con la intenzionalità attuale ma anche con le ovvietà immerse nell'ombra e nell'ombra guardiane di immensi tesori di fedeltà all'umano. Questa dissipazione nel «derisorio» manifesta il suo esatto significato se si tien co[...]

[...]nificato se si tien conto che qui non é propriamente in giuoco questo o quel dato banale (la casa, la frutta, i pomodori), ma la stessa datitá del mondo.
La qualità del semplice vissuto di spaesamento rende comprensibile altre connotazioni morbose che possono successivamente intervenire nello sviluppo dell'accadere psicotico, anche se tali connotazioni possono di fatto verificarsi senza la prefazione di quel visSuto.
Poiché le cose «non stanno più nel loro quadro» (l'espressione è di una malata di Janet) (20), gli ambiti percettivi possono essere coinvolti in un difetto o in un eccesso di semanticità. Il difetto di semanticità riflette il loro distaccarsi dalla rete di relazioni appaesate che li sostiene nel loro significato ovvio e che conferisce loro il calore segreto per cui possono mantenersi nello sfondo: per tale distacco gli oggetti si irrigidiscono, si «mineralizzano », oppure si afflosciano e sprofondano nel nulla, richia
(20) JANET 1928, II, p. 62. Cfr. l'analoga dichiarazione di un altro malato: « Nomina gli oggetti, li ric[...]

[...] richia
(20) JANET 1928, II, p. 62. Cfr. l'analoga dichiarazione di un altro malato: « Nomina gli oggetti, li riconosco se volete, ma questo è tutto: non penso a servirmene, non li situo, non li inquadro s.
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mando, per questa loro catastrofe, l'attualità dell'attenzione, e di
sarticolando, per questo loro eccentrico richiamo, ogni sfondo appaesato possibile. D'altra parte gli ambiti percettivi che cc non Stan
no più nel loro quadro » possono, appunto per questo, essere trava
gliati da un rischioso eccesso di semanticità indeterminata, da una allusività oscura e sospetta, da una tensione interna che li
predispone ad una sorta di esplosione, e infine da un irrelato andar oltre che li sospinge verso il deforme e il mostruoso, accennando a caotiche mescolanze. Vien fatto qui di pensare alla «strano eccesso» della radice di castagno esperito da Roquentin, al minaccioso andar oltre di questa radice in una apparente (( dovizia» che tuttavia (( finiva per diventare confusione ». Ovvero vien fatto di pensare, s[...]

[...]patisce il suo primo vissuto di irrealtà una volta, in campagna, udendo un canto di bambini tedeschi: n ...corsi nel nostro giardino e mi misi a giuocare per far tornare le cose come tutti i giorni » (p. 4).
132 ERNESTO DE MARTINO
qualche cosa di spaventoso stava per prodursi, rompendo il silenzio: qualche cosa di atroce, di sconvolgente. Attendevo, trattenendo il respiro soffocata dall'angoscia, e nulla accadeva. L'immobilità si faceva sempre più immobile, il silenzio sempre più silenzioso, gli oggetti e le persone diventavano ancora più artificiali, staccati gli uni dagli altri, senza vita, irreali. E la mia paura aumentava, sino a diventare inaudita, indicibile, atroce.
La polarità di difetto e di eccesso di semanticità dell'universo in tensione, in quanto riflette la caduta della energia di presentificazione su tutto il fronte del valorizzabile e la disarticolazione e la problematizzazione progressiva e irrisolvente di ogni sfondo appaesato possibile, rende comprensibile il rilievo particolare che, in dati casi, può acquistare il vissuto di essereagitida, con la connotazione fondamentale di una perdita radicale della libe[...]

[...]enza in crisi avverte di essere al centro di una rete di insidie diffuse, di forze ostili, di oscure trame cospirative tessute ai suai danni, esperendo al tempo stesso un continuo spossessamento di sé, un esser esposti irresistibilmente alla perdita di qualsiasi intimità ed a un continuo deflusso dissipatore nel mondo esterno. Per tale connotazione é di particolare interesse il caso di una schizofrenica 'di Storch, che avvertiva t< di non essere più in vita per forza propria», e che viveva la distruzione della propria presenza a'1 mondo sotto la specie di un vero e proprio spossessamento: «Con uno sguardo possono prendersi il mio io come il mio mantello ». E ancora: «Non posso più avere per me nessun pensiero, e nasconderlo agli altri... Io mi perdo negli altri come se dovessi offrirmi come vittima ». L'alterità irrompe nella malata, senza lasciarle margine di libertà, e la malata defluisce nel mondo, é «fuori col vento» (22).
A partire dal vissuto di mutamento come ideale punto di riferimento per la comprensione delle varie modalità dell'accadere psicotico, può acquistare un rilievo dominante non tanto la incal
(22) STORCH, 1950, p. 286 sg.
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zante minaccia apocalittica che grava sugli oggetti, quanto piuttosto il già consumato annienta[...]

[...]ttima ». L'alterità irrompe nella malata, senza lasciarle margine di libertà, e la malata defluisce nel mondo, é «fuori col vento» (22).
A partire dal vissuto di mutamento come ideale punto di riferimento per la comprensione delle varie modalità dell'accadere psicotico, può acquistare un rilievo dominante non tanto la incal
(22) STORCH, 1950, p. 286 sg.
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zante minaccia apocalittica che grava sugli oggetti, quanto piuttosto il già consumato annientamento del proprio corpo e della propria persona, il miserando nonesserci esistenziale di cui si porta il peso immane e la colpa inespiabile. Il trapasso dall'una all'altra accentuazione si rende particolarmente comprensibile in determinati casilimite fra le due. Diceva una malata di Esquirol: « Intendo, vedo, tocco, ma non sento come prima, gli oggetti non si identificano col mio essere, una nebbia cambia il colore e lo aspetto dei corpi» (23). E una malata di Janet, entrando a braccia tese nel laboratorio, come un cieco che procede a .tastoni: «E' come una nebb[...]

[...]iceva una malata di Esquirol: « Intendo, vedo, tocco, ma non sento come prima, gli oggetti non si identificano col mio essere, una nebbia cambia il colore e lo aspetto dei corpi» (23). E una malata di Janet, entrando a braccia tese nel laboratorio, come un cieco che procede a .tastoni: «E' come una nebbia, una nuvola davanti agli occhi che mi impedisce di vedere realmente le cose: mi sembra che le cose stiano per scomparire, che presto non vedrò più nulla e che sono sempre sul punto di diventare completamente cieca ». Qui la «malattia degli oggetti » (si ricordi il passo della Noia più sopra riportato: «La noia per me era simile a una specie di nebbia... ») accenna già ad una malattia del vedere, ad una sorta di cecità affettiva interiore. Se questo ritorno su di sé diventa dominante, l'accento dell'accadere psicotico cadrà non tanto sulla perdita degli oggetti quanto sulla propria miseria esistenziale. « Io non ho più cuore morale, c'è un velo fra me e gli oggetti», dichiarava un'altra malata di 'Lauret (24): nel contesto di questa notificazione la perdita del « cuore morale» non sta come una semplice metafora, ma propria come pregnante esplicitazione del mutamento di segno della stessa energia presentificante. Nel cosiddetto delirio di negazione il vissuto di annientamento esistenziale concerne innanzi tutto la propria personalità morale e intellettuale, per inve stire poi il proprio corpo, gli 'altri, il mondo. Non si ha più pensiero, cuore, sentimenti, nome, età; non si ha più stomaco, lingua, cervello,[...]

[...]tra malata di 'Lauret (24): nel contesto di questa notificazione la perdita del « cuore morale» non sta come una semplice metafora, ma propria come pregnante esplicitazione del mutamento di segno della stessa energia presentificante. Nel cosiddetto delirio di negazione il vissuto di annientamento esistenziale concerne innanzi tutto la propria personalità morale e intellettuale, per inve stire poi il proprio corpo, gli 'altri, il mondo. Non si ha più pensiero, cuore, sentimenti, nome, età; non si ha più stomaco, lingua, cervello, testicoli, sangue, pene; non si ha più parenti, amici; tutto porta il segno della morte, terra, stelle, alberi, stagioni. Nella perdita di ogni possibile progettazione secondo valori intersoggettivi, l'orizzonte del futuro si chiude e il nostalgico paradiso del
23) JANET 1928, II, p. 47.
24) JANET 1928, II, p. 51.
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l'esistenza si riduce alla struggente memoria del passato in cui il mondo c'era ancora, sino al momento in cui il tempo si é rattrappito e il divenire si é fermato. Ecco un esempio particolarmente rappresentativo di questo stato psicotico (25):
— Che età avete?
— Che ne so. Quando il mondo si[...]

[...]JANET 1928, II, p. 51.
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l'esistenza si riduce alla struggente memoria del passato in cui il mondo c'era ancora, sino al momento in cui il tempo si é rattrappito e il divenire si é fermato. Ecco un esempio particolarmente rappresentativo di questo stato psicotico (25):
— Che età avete?
— Che ne so. Quando il mondo si è inabissato credevo di avere 52 anni.
— Come vi chiamate?
— Mi facevo chiamare Celina... Ma ora non ho più nome.
— Siete sposata?
— Vivevo con un uomo chiamato Giovanni. Lo chiamavo mio marito, e non poteva esserlo. Avevamo stabilito di restare insieme 28 anni, sino alla fine del mondo.
— Avete figli?
— Avevo un figlio che dicevo il figlio di Giovanni, ma non era mio figlio.
— Che età ha vostro figlio?
— A quel momento [la fine del mondo] aveva 25 anni: è morto come tutti.
— Perché sembrate così inquieta?
— Ah! Quant'è sciocca, quant'è sciocca questa Celina, essa è dannata, essa ha ucciso tutti.
Diceva una malata di Janet: «Avvenga qualunque cosa, non importa quando, questo non mi riguard[...]

[...] mie letture non erano quelle degli altri operai, ma leggevo autori un pò ricercati. Facevo rilegare i libri quando ero in condizione di poterlo fare. Avevo dei romanzi di Pierre Bourget, di Pierre Loti e di Paul Brulat. Avevo molte opere di Ibsen... Mi si era detto che avrebbero venduto i miei libri. Non potevo ammettere che i miei libri sarebbero stati venduti ad un'asta pubblica o in una via, presso il canale Martin. Ho preferito distruggerli piuttosto che immaginarli nelle mani di qualche zoticone. Essi erano la mia vita. Mi dicevo: avvenga quel che può, questo mondo ò finito per me. Da tempo pensavo che un giorno il mondo sarebbe finito e che io stessa sarei stata la causa di questa fine. Appiccando il fuoco ai miei libri mi rappresentavo una immensa catastrofe, col fuoco e l'acqua e la terra e il vento scatenati nello stesso tempo, in una distruzione universale (27).
Fin qui è stato messo l'accento sulle «somiglianze» fra l'apocalittica d'oggi e le apocalissi psicopatologiche. Quanto alle differenze, si potrebbe far ricorso a molt[...]

[...] serbar tracce di stati psichici morbosi, ma che in quanto effettiva opera culturale testimonia, almeno nel suo specifico carattere di opera dotata di valore, a favore del sano e non del malato; che alcune pretese opere culturali si riducono in realtà a stati psichici morbosi, senza che ciò significhi che i loro autori siano degli psicotici, perché potrebbe benissimo trattarsi di persone normali nella loro vita pratica, o un po' eccentriche o al più leggermente nevrotiche; e infine che vi possono essere opere di alto significato culturale prodotte da individui che
(27) SCHIFF 1946, p. 279 sg.
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nel corso della loro biografia sono stati internati in qualche clinica neuropsichiatrica o che hanno concluso con una psicosi la loro vita altamente produttiva dal punto di vista culturale. Tuttavia per lo storico e per l'antropologo che si propone di ricostruire le genesi e la struttura dei prodotti della apocalittica d'oggi, non si tratta di enumerare statiche u somiglianze » o u differenze», ma di raggiungere di volta in[...]

[...]compito, lo storico della cultura e l'antropologo non possono non avvalersi del sussidio euristico del documento psicopatologico.
D'altra parte il confronto della apocalittica d'oggi con le apocalissi psicopatologiche giova a mettere in evidenza come nella
apparizioni post mortem di Gesù agli apostoli e ai discepoli. Ma questi « ritorni del mortorisorto », che indirettamente testimoniano di una apocalisse imminente che rischiava di non lasciar più nessun margine operativo mondano, appaiono nel Vangelo riplasmati nel senso di restituire progressivamente respiro a quel margine, e di consentire quindi il dispiegarsi di una « civiltà cristiana ». Così l'Ascensione chiude il ciclo delle apparizioni di Gesù, suggellandone la fine con l'invito di non guardar più verso il cielo nell'attesa dell'immediato compimento della promessa: e con l'ultima apparizione di Gesù non la data della parusia viene comunicata, ma l'annunzio di una opera da compiersi sino agli estremi confini della terra mercè dello Spirito Santo e della dynamis da esso conferita. In questa riplasmazione gli stessi « ritorni del mortorisorto » vissuti nel periodo della crisi vengono assunti come prova della Risurrezione, e l'ultima apparizione e la Pentecoste acquistano il significato di garanzia del ritorno definitivo di Gesù, senza dubbio certissimo, ma abbastanza indeterminato nel suo[...]

[...]ività variamente alienata, costituiscono un salutare esercizio in un'epoca come la nostra: in un'epoca, cioè, in cui le contraddizioni della società borghese, i pericoli connessi alla feticizzazione della tecnica, all'uomomassa e alla smaniante mediocrità del scñorito satifecho, e infine la difficoltà di adeguare il quadro dei valori alle rapidissime trasformazioni dei regimi tradizionali di esistenza, prospettano il non eludibile compito di una più umana valorizzazione dell'ordine economico e sociale e la fondazione di una consapevolezza umanistica che, al di là dei prestigi ineccepibili e irreversibili della tecnica e della scienza, preveda e legittimi altre valorizzazioni della vita e altre dimensioni dell'esser uomo (29). Ma nella apocalittica della società borghese in crisi rischia sempre di nuovo di assooutizzarsi il momento della negazione e della distruzione del mondo quotidiano, magari mediante «un long, immense et raisonné dérèglement de tous le sens » o mediante quel protestario idoleggiamento del caotico e del folle che si ri[...]

[...]ofondita: si veda, sull'argomento, G. DORFLES, Fenomenologia e Psichiatria, ia AutAut n. 64 11961), pp. 368 sgg.
(30) H. SRDLMAYR 1961 pp 213 rgg. ha messo in evidenza il rapporto fra la protesta del dostojewskiano e uomo del sottosuolo » e la 4 pazzia deliberata r dei due manifesti surrealisti.
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senza felici inconseguenze, rischia di ridursi alla stimolazione tecnica di vissuti psicotici, alla loro rammemorazione più o meno fedele, o addirittura alla semplice notificazione del loro irrompere. Con ciò si assottiglia — e in casi estremi si cancella — il margine che separa i prodotti della apocalittica d'oggi dal documento psicopatologico, in quanto lo spaesamento artificiale e programmatico del mondo, laSciato senza effettiva ripresa, finisce col confondersi con lo spaesamento radicale della crisi e col suo corteo di irrisolventi conati di recupero e di reintegrazione. La ripresa valorizzatrice del rischio psicopatologico si viene così tramutando in tecnica per secondare tale rischio, e questa tecnica della[...]

[...]a di mantenere sull'orlo dell'abisso. L'immagine d.i un mondo spoglio di memorie operative umane, l'idolo di una natura anteriore ad ogni domesticazione comunitaria dell'uomo in società, rischiano sempre di nuovo di notificare un vissuto cieco e angoscioso che rende prigionieri e lascia senza voce né gesto. Si legge in Camus (31):
L'ostilità primordiale del mondo, attraverso i millenni, risale sino a noi. Per un istante, noi non Io comprendiamo più, poiché per secoli abbiamo compreso in esso solo le figure ed i disegni che vi avevamo già messo anteriormente, poiché ormai le forze ci mancano per adoperare questo artificio. Il mondo ci sfugge perché ridiventa se stesso. Gli scenari mascherati dall'abitudine diventano quel che sono: essi si allontanano da noi... Questo spessore e questa estraneità del mondo, ecco l'assurdo.
((Per un istante, noi non lo comprendiamo più)): ma questo istante critico racchiude già una possibilità di dilatazione morbosa, cioè di declinarsi secondo le modalità delle apocalissi psicopatologiche, dato che queste apocalissi irrompono appunto quando su tutto il fronte dell'operabile vengono meno le «figure » e i ((disegni », cioè le varie intenzioni, che stanno come appoggio latente e come fedeltà implicita di una particolare esplicita problematiz
(31) CAMUS, Op. dt., p. 28.
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zazione e di un particolare esplicito impegno operativo secondo valore: quando cioè viene meno, o recede, o si destruttura, la stessa [...]

[...]e infine alle varie servitù dei vissuti psicotici.
Il. confronto della apocalittica d'oggi con le apocalissi psicopatologiche comporta dunque, per lo storico della cultura e per l'antropologo, il compito di misurare in concreto, cioè nei singoli prodotti della apocalittica moderna e contemporanea, la emergenza e la dissipazione di quelle (( annate morali» che la malata di Janet lamentava di aver smarrito. Ma quel confronto assume un significato più ampio, che non concerne soltanto lo storico di cultura e l'antropologo, ma l'uomo della nostra epoca in generale: rende cioè avvertiti che, rispetto alla dissipazione di quelle (canna
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te morali », cioè dell'ethos del trascendimento valorizzante della vita, impallidisce per importanza la stessa atroce prospettiva della catastrofe fattuale del mondo umano per un possibile conflitto termonucleare. Infatti se la catastrofe fattuale del mondo umano dovesse prodursi magari a casualmente» O « per equivoco» — attraverso un gesto tecnico della mano dell'uomo, ciò signi[...]

[...]Infatti se la catastrofe fattuale del mondo umano dovesse prodursi magari a casualmente» O « per equivoco» — attraverso un gesto tecnico della mano dell'uomo, ciò significherebbe che il mondo era segretamente finito già molto prima e che già poteva capitare qualsiasi cosa, per esempio l'avventura di Gregorio Samoa che una mattina, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto mostruoso: e che già poteva capitare qualsiasi cosa non più nel distacco di un racconto, ma proprio nella realtà, diventata essa stessa allucinatoria e distruttiva.
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da Osvaldo Bayer, Il cimitero dei generali prussiani in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]NERALI PRUSSIANI

Ho visitato spesso il cimitero dei generali prussiani. Sta a pochi isolati dalla casa dove vivo. Vicino all’ex campo di esercitazioni della guarnigione di Berlino che poi, con Hitler, diventò l’aeroporto di Tempelhof e che da circa quarantanni vede sventolare la bandiera degli Stati Uniti. Ogni mattina, dalla mia finestra, entra l’inno nordamericano trasmesso dagli altoparlanti. Ma il cimitero militare, il Garnisonfriedhof, è più lontano; è finito in un angolo isolato. Un cimitero dimenticato e scomodo. Anacronistico. Una testimonianza di ciò che fu. I tedeschi cercano di nasconderlo con vergogna. Non figura in nessuna guida turistica. È un villaggio senza vita, di morti. Ciò spiega perché la ex grande capitale europea abbia una ferita che non si rimargina, una ferita per tutta la vita. Quelli che hanno assistito alla sua sconfitta non vogliono vivere di ricordi. E i giovani si dividono, come sempre, fra quelli che vogliono vivere la loro vita e quelli che combattono per un mondo nuovo.

Mi trovo di fronte alla tomb[...]

[...]o. Le pareti scrostate del tempietto, le neglette corone d’alloro di ferro. Gli operai del cimitero italiani, portoghesi con senso pratico lo hanno scelto come deposito di falci e carriole e sacchi di concime. Mio generale! Generale Louis Triitzchler van Falkenstein, vi hanno proprio dimenticato! Neanche un soldato che sia venuto a portare un fiore al suo generale! E neppure i braccianti dei suoi antichi latifondi ad est dell’Elba si ricordano più del loro Junker, del loro « Giovin Signore ». Con tutto quell’orgoglio, con tutte quelle spalline dorate e gli stivali di cuoio, l’uniforme di taglio impeccabile e il suo monocolo in modo che l’occhio potesse lanciare fulminei sguardi di aquila! Dove è finito tutto questo? I suoi discorsi sulla patria e poi ancora sulla patria e poi sui nemici della patria? Generale Triitzchler von Falkenstein. Già il suo nome da solo faceva paura alle reclute. Gli si confondeva la lingua al solo pronunciarlo. Il suo monumento funebre conserva ancora sulle pareti le impronte di quarantanni fa, quando l’Eserci[...]

[...]nserva ancora sulle pareti le impronte di quarantanni fa, quando l’Esercito Rosso attaccò Berlino da sud per arrivare a Tempelhof. Le pallottole russe sul suo126

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monumento, generale, e li, a pochi metri la bandiera nordamericana da quarantanni. Le ferite aperte sui mattoni. Magari, qualcuno di quei contadini tartari o caucasici tanto odiati, si è divertito a cercare di interrompere il suo sonno marziale a colpi di fucile. Ma più grave di queste ferite è Poblio assoluto del popolo. La gloria teatrale delle fiaccolate e delle vuote parole di onore e patria, vuote, quando sono solo un sinonimo di interessi, privilegi, prerogative.

Mi fermo davanti alla tomba del « maggior generale e generale al seguito di Sua Maestà il Kaiser re Guglielmo Secondo, Bernhard von der Lippe ». Il tempo e Poblio hanno reso quasi illegibili le parole dedicate dallo stesso monarca al « fedele camerata »: « A te spetta l’immortale corona delPonore ». Allori ed un capro maschio coronato. No, non c’è niente di vero, niente e nessuno aspetta il[...]

[...]i sono fiori.

(Ma ci sono fiori a qualche isolato da qui, nel quartiere Britz, vicino alla lapide che ricorda che li è vissuto il poeta libertario Erich Muhsam. Due rose bianche ed una rosso scarlatto. Le sue poesie vengono lette costantemente a teatro, a scuola, nelle stanze degli studenti. Erich Muhsam, a cui un ufficiale del campo di concentramento di Oranienburg frantumò gli occhiali sotto i tacchi dei suoi stivali in modo che non potesse più leggere (e che sarà successo degli occhiali di Rodolfo Walsh?) e gli fracassò i pollici in modo che non potesse più scrivere (che ne sarà dei pollici di Haroldo Conti?). E alla fine lo impiccarono al tubo di scarico della latrina. Erich Muhsam. Ogni giorno ci sono fiori bagnati di rugiada e lacrime per lui).

Generale Ludwig Stern von Gwiazdowski. Ricostruisco le parole della sua pietra tombale: « Mai con le frivolezze della plebe. Il suo spirito fu sempre elevato. Riposa in pace, o ultimo cavaliere dell’eroico esercito di Yorck ». Al suo fianco il colonnello e cavalier Hans Peter Demetrius von Arnim ed il colonnello Victor barone von Eberstein, entrambi con le rispettive mogli, anonime., « E la sua cons[...]

[...]le delle cerimonie. Se n’è andato per sempre l’ultimo picchetto, quello che veniva a portare la morte con gli ottoni ed i rumori del rituale. Qui i generali stanno fra di loro. Uomini dal chepi, dal casco argentato, con nastri, decorazioni, medaglie pendenti. Uomini dalle grandi prebende e dalla grande sospettosità. Il maggior generai Paul von Schmidt scriveva nel 1904: « Dobbiamo continuare a sostenere gli ideali eterni del corpo ufficiali, ora più che mai, difronte al crescente incalzare del socialismo ». Sì, mai dalla parte della « frivolezza della plebe ». Con la patria, non con il popolo. Era un onore essere ammessi ad un ricevimento dei Krupp, di Thyssen e di Mauser, i fabbricanti dei loro ferri del mestiere. Il Kaiser aveva una stanza riservata nella residenza dei Krupp, a Essen, e quella stanza venne poi riservata a Hindenburg e a Hitler. Krupp aveva sempre un posto a tavola per tutti gli amici sudamericani e li, immancabile, c’era il nostro generale Riccheri. Al tavolo del fabbricante di cannoni non c’erano differenze di patria,[...]

[...]per i paesi alleati dell’Europa, come per esempio l’Argentina. La tecnologia militare prussiana cominciò ad invadere i mercati dei nuovi paesi che si andavano liberando nel secolo xix. La sciagurata trinità di politica, militarismo e industria delle armi dell’epoca bismarckiana (l’autentica rivoluzione industriale bellica) impose a quei paesi il modello prussiano. « La Nazione in armi » ma non per contribuire alla soluzione dei problemi sociali, piuttosto per consolidare la « sicurezza interna », i privilegi di classe. Tutto è sicurezza: non solo l’industria, le materie prime, le rotte marittime, la rete fluviale e quella stradale, le frontiere interne ed esterne, il rifornimento della popolazione, ma anche l’educazione, la religione, la cultura, la politica. Per difendersi dal nemico esterno bisogna eliminare il nemico interno che ormai si introduce furtivamente perfino nell’educazione dei bambini e può cosi corrodere le fon128

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damenta della nazione. Tutto è sicurezza, e la sicurezza deve stare dappertutto a vigilar[...]

[...]to per la buona riuscita che gli hanno fatto i soldati argentini, si esalta addirittura di puro godimento, quando descrive come vengono repressi gli operai in Argentina:

Questo paese è amministrato da un governo molto pratico e di ordine. Sinceramente, mi ha fatto molto bene vedere con che vigore reprime qualsiasi tentativo di creare disturbi nello sviluppo della vita pubblica. Nella darsena sud, alla foce del Riachuelo, era ancorata una nave piuttosto grande che, a quanto mi riferirono con eloquenti sorrisi, si stava poco a poco popolando di una ciurma fatta di carne da presidio che la polizia andava arrestando qua e là. Mi facevano notare, inoltre, che, quando si riempiva, cominciava un viaggio turistico verso la Terra del Fuoco dove venivano sbarcati. E lf veramente potevano fare tutto il casino che volevano. Si è parlato molto di uno sciopero generale che avrebbe dovuto cominciare con delle irregolarità nelle numerose linee di tram elettrici, indispensabili mezzi di comunicazione in una città cosi estesa. Ma prima ancora che comin[...]

[...]irregolarità nelle numerose linee di tram elettrici, indispensabili mezzi di comunicazione in una città cosi estesa. Ma prima ancora che cominciasse, c’erano già i soldati appostati davanti e dietro ai veicoli, con il fucile carico e, dalle precedenti esperienze, si sapeva benissimo che quelle guardie non esitavano a premere il grilletto. Così che le agitazioni furono rimandate e fino ad oggi non sono state messe in pratica. Ma, forse, la misura più efficace messa in opera dal capo della polizia di Buenos Aires è stata, prima del giorno prefissato, aver fatto arrestare un gran numero di agitatori anarchici e averli messi in galera con Pavvertimento che di fronte al più piccolo turbamento della festa del centenario avrebbe aperto le porte della prigione e li avrebbe messi nelle mani della popolazione esasperata. Fu permesso ai prigionieri di informare di questa decisione gli amici che si trovavano ancora in libertà. In questo modo li avrebbero potuti pregare di far uso di tutta la loro influenza perché fosse mantenuta la calma. Io vorrei che anche noi tedeschi imitassimo ogni tanto un po’ di questo vigore originale ed edificante e non fossimo sempre così riguardosi!

L’uniforme, il pennacchio e le decorazioni in fin dei conti coprivano il corpo di un carce[...]

[...]iguardosi!

L’uniforme, il pennacchio e le decorazioni in fin dei conti coprivano il corpo di un carceriere, di un assassino vestito a festa. Cosi la pensava Puomo che ci era stato mandato dalla « terra di poeti e di filosofi » per rappresentarla nel Centenario del giorno in cui i creoli, al grido di « uguaglianza, fraternità e libertà », si erano liberati dal colonialismo spagnolo, Lo stesso von der Goltz, tre anni dopo, sarebbe stato uno dei più130

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importanti esecutori del massacro mondiale del 1914, nella sua qualità di comandante in capo del fronte turco.

Ma non solamente uomini di questo stampo hanno seminato nel nostro paese. Vi fu anche chi vi trapiantò l’utopia. Furono i socialdemocratici, i quali a causa della repressiva legge antisocialista di Bismarck dovettero emigrare ed ai quali noi siamo grati per la fondazione di una delle linee delle origini del movimento operaio argentino. Fin dal 1892, questi tedeschi immigrati spiegarono ai loro compagni argentini, spagnoli ed italiani i pericoli del militari[...]

[...]nne e dei bambini a Buenos Aires:

La Fabbrica Argentina di Scarpe di corda dà lavoro a 510 operai, dei quali 460 sono donne e bambine. Il lavoro comincia alle 6 di mattina e dura fino alle 6 del pomeriggio, con un’interruzione di un’ora e mezza a mezzogiorno. Il lavoro viene fatto a cottimo lavoro a cottimo = lavoro criminale —. Un lavoratore zelante può guadagnare « l’enorme » somma di 10 pesos di carta alla settimana, mentre le ragazze non più di 6 pesos. Si producono dodicimila paia di scarpe di corda al giorno. Cioè in Argentina non solo esistono grandi stabilimenti industriali, come in Europa, ma qui vi è, anche, il più grande sfruttamento del lavoro di donne e bambini (« Vorwàrts », 26.3.1892).

Durante tutta la permanenza in Argentina del maresciallo tedesco conte von der Goltz, il colonnello argentino José Felix Uriburu ne fu l’accompagnatore. Venti anni dopo, nel 1930, quel colonnello, ormai con i galloni di generale, realizzerà il primo « golpe » militare contro la democrazia argentina. Così il generale Uriburu ha vinto anche lui la sua guerra. Era un militare convinto che le guerre fossero utili all’umanità. Nel 1915, in un’analisi fatta a tavolino della guerra europea, scriveva: « Ci fa piaceIL CIM[...]

[...]convinto che le guerre fossero utili all’umanità. Nel 1915, in un’analisi fatta a tavolino della guerra europea, scriveva: « Ci fa piaceIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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re dichiarare che all’interesse militare che risveglia in noi questa guerra, va aggiunta una profonda attrazione che deriva dalla grandezza della lotta e dall’eroismo di coloro che l’affrontano ». Ovviamente, il generale Uriburu morì nel suo letto.

Lascio la parte più solenne del cimitero ed entro in un limbo: le tombe dei soldati. Centinaia e centinaia di morti allineati, come in fila per una parata. Solo che stanno in orizzontale e non c’è musica. E non ci sono nemmeno uccellini gorgheggianti e pianti. Soli con una luce grigia che si riflette fra nubi senza forma. Le lapidi sono corrose dal tempo. Fra poco finiranno nell’anonimato. Solo con un certo sforzo si possono ricostruire dei nomi: Anton Mayer, 17 anni; Eberhard Schmit, 18 anni; Josef Kronhuber, 20 anni. Centinaia di lapidi, ma in nessuna frasi come «mai con la frivolezza della plebe » (la plebe è[...]

[...], 20 anni. Centinaia di lapidi, ma in nessuna frasi come «mai con la frivolezza della plebe » (la plebe è frivola ma è quella che viene mandata al fronte), o come «a te l’immortale corona dell’onore». È strano» d’inverno le tombe restano per mesi coperte dalla neve e al posto delle lapidi ci sono dei buchi naturali, come se un calore interno sciogliesse una

o due dita di quella neve. È solamente una differenza di temperatura o c’è qualcosa di più, una protesta calda come il sangue o un grido disperato per uscire da sotto terra? Da quella terra con cui furono ricoperti quando cominciavano appena a percepire i profumi, ad accarezzare la pelle dell’amore, a guardare il cielo e ad ascoltare la pioggia? Non ho mai avuto il coraggio di farlo, ma un giorno mi piacerebbe gridar loro: andiamocene! Lasciate i generali nel loro cimitero! Disertate una buona volta! Disertare, la parola del coraggio civile e della ribellione! Ormai siamo a maggio e le api hanno cominciato a far dischiudere i fiori e ci sono labbra rosee e vino e sieste, e il lavor[...]

[...]delle Forze Navali, la Base Navale di Mar del Piata, la Base Navale di Bahia Bianca sono ormai un triste simbolo in tutto il mondo. La reazione degli ufficiali e dei cadetti argentini contro la manifestazione silenziosa fu immediata: scesero dalla nave e aggredirono a suon di botte e di calci gli studenti tedeschi, dei quali la metà erano donne. Costoro non risposero agli insulti ed alle botte ma mantennero spiegato per tutto il tempo il mòrder. Più tardi, gli ufficiali argentini diranno ai contriti funzionari ufficiali che « era tutta colpa degli esiliati argentini traditori della patria ».

(« Vorwàrts », Buenos Aires, 8 settembre 1892. « Noi, i “nemici della patria” siamo, nonostante tutto, i migliori patrioti, perché siamo convinti che migliaia e migliaia di persone che condividono la nostra ideologia ritorneranno a un certo momento nel nostro paese per dare una mano ad abbattere le vecchie idee, gli anacronismi e sostituirle con idee nuove e migliori. Viva la Germania! »).

L’illusione non muore, l’utopia va avanti. Non può esse[...]

[...]sero l’uniforme e in aprile del 1983 lo mandarono alle Georgine del Sud. Appena arrivato si beccò una pallottola. Lo seppellirono lì. Ecco la storia di un soldato argentino classe 63.

A cento metri da casa mia c’è un enorme edificio di mattoni rossi. È l’ex caserma della guardia dei corazzieri del Kaiser. Oggi c’è la polizia ed è il posto dove si consegnano le patenti per le automobili di Berlino. Su una parete c’è una targa che nessuno legge più: « Questa caserma ospitò il Reggimento della Guardia dei Corazzieri creato nel 1815. Da qui il reggimento partì per il fronte il 3 agosto 1914 con 37 ufficiali, 713 sottufficiali ed i corazzieri. Il 29 ottobre 1918 ritornò dalla sua ultima battaglia a Saint Fergeaux con 31 sottufficiali ed i corazzieri. L’ultimo ufficiale cadde quello stesso giorno nell’ultimo contrattacco ». Penso, in questo caso sono caduti gli ufficiali e sono tornati i soldati. Nelle Malvine sono caduti i soldati e sono tornati gli ufficiali. Ad ogni modo, due aspetti della stessa irrazionalità. Una, l’aggressività montat[...]

[...]sognando di vincere a tavolino la battaglia perduta. Il maresciallo conte von der Goltz descrivendo la battaglia di Gorze, scrive così: « Abbiamo perso molte vite. Ma per quanto ciò ci rattristi, dobbiamo sopportarlo perché la Patria lo esige. Un popolo che vuole essere grande e difendere il proprio onore, non deve avvilirsi per quelle perdite ». Il maresciallo von der Goltz morì nel suo letto, con tre medici al capezzale, a 73 anni. (La domanda più intelligente che ho inteso fare da un giornalista è quella rivolta da Oriana Fallaci al generale Galtieri: Lei è mai stato in guerra?)134

OSVALDO BAYER

Mi allontano dalla tomba dei soldati del 14. In primavera, dei rampicanti pieni di spine gli danno un aspetto da piante d’appartamento. Neppure il verde gli è stato riservato in modo selvatico. Per lo meno poter accomodare le spalle e le braccia morte li, nella terra dove crescono fiori umili, bocche di leone, papaveri e margherite di campo. Sono morti di una guerra dimenticata che non viene ricordata nemmeno più a scuola. Ormai non han[...]

[...] in guerra?)134

OSVALDO BAYER

Mi allontano dalla tomba dei soldati del 14. In primavera, dei rampicanti pieni di spine gli danno un aspetto da piante d’appartamento. Neppure il verde gli è stato riservato in modo selvatico. Per lo meno poter accomodare le spalle e le braccia morte li, nella terra dove crescono fiori umili, bocche di leone, papaveri e margherite di campo. Sono morti di una guerra dimenticata che non viene ricordata nemmeno più a scuola. Ormai non hanno più un volto. Sono soldati senza figli perché sono morti quasi bambini. Forse è ancora viva qualche sorella che li ricorda in due o tre scene: la strada fino a scuola, il pranzo con i genitori, il giorno dell’addio quando partirono per il fronte. I fiori nella canna del fucile. Il Kaiser al balcone, con i suoi movimenti da burattino e le eterne parole di Patria, Dio e Fino all’ultima Goccia di Sangue. Proprio come altri burattini truculenti apparsi in altri balconi di altre latitudini. E i giornali, tutti i giornali. E il popolo, tutto il popolo. Tranne gli incorreggibili. Quelli che von der Golt[...]

[...]ino all’ultima Goccia di Sangue. Proprio come altri burattini truculenti apparsi in altri balconi di altre latitudini. E i giornali, tutti i giornali. E il popolo, tutto il popolo. Tranne gli incorreggibili. Quelli che von der Goltz chiama con arrogante ironia: « gli ‘ apostoli ’ della pace ».

Decido di aspettare il crepuscolo perché è questa l’ora di Georg Trakl per la sua poesia « Grodek », la pagina letteraria che in diciassette versi dice più di un’intera biblioteca contro la guerra: « Nel crespuscolo rimbombano i boschi autunnali / di armi mortali / ...la notte copre ormai soldati moribondi, / il selvaggio lamento delle loro bocche lacerate ».

Georg Trakl, il giovane poeta non potette resistere alla visione di quei corpi massacrati, dei suoi compagni morti nella battaglia di Grodek dove lui stesso porrà fine alla sua vita, li al fronte. I nostri generali delle Malvine continuano a fare colazione. Georg Trake scrive « Grodek » e si suicida.

« Tutte le strade finiscono in negra putredine... ». È la visione fantasmale di ciò c[...]

[...]a famosa per la sua spietatezza sia nei riguardi degli operai in sciopero sia con gli studenti o gli intellettuali « sospetti ». Praticava solo due condanne: quella a morte quando il « rosso » non era recuperabile, e le bastonate quando si trattava solo di persone sospettate contro le quali non c’erano prove. Con Rosa Luxemburg applicarono tutte e due le pene contemporaneamente. Gli autori di questo atroce crimine che nonostante siano trascorsi più di sessantanni continua ad essere un incubo nella storia tedesca furono il capitano di vascello von PflugHartung e i tenenti Vogel e von Rittgen. Prima la colpirono. Ordinarono al soldato Otto Runge di colpirla col calcio del fucile senza pietà. Il tenente Vogel la trascinava Rosa aveva 48 anni torcendole il braccio in modo che i colpi la cogliessero bene. Quando la trascinarono a spintoni in macchina era già semiinconsciente. Il soldato Runge riferirà ai giudici che « quando la ‘ portarono a fare una passeggiata’ il tenente Vogel le sparò un colpo in testa». Buttarono il cadavere nel cana[...]

[...]va agli arresti a disposizione del Potere Esecutivo Nazionale, essendo implicata in attività sovversive ». La comunicazione porta la data del 25.2.1977.

Il 31.3.1977 il denunciante ha ricevuto una citazione della Marina Militare con cui viene invitato a presentarsi il giorno seguente per ordine del Comandante della Base. Il giorno seguente alle 9, il denunciante fu ricevuto dal suddetto comandante accompagnato da un capitano. Costui gli disse più o meno che: Rosa Ana è (o era) agli arresti nella Base ma è stata uccisa dai suoi compagni in uno scontro l’8 marzo.IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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Insoddisfatto da questa risposta, il denunciante insistette nella sua azione legale e un mese più tardi ottenne un certificato di defunzione nel Registro Civile in cui si dice che Rosa Ana è deceduta per « arresto cardiaco, trauma cardiotoracico ». Cioè una causa contraddittoria e completamente diversa da quella addotta dal Comandante e che induce ad altre supposizioni. Il 31 marzo i suddetti ufficiali consegnarono un foglio senza firma che dice: « Cimitero del Parco, tomba 1133 Sezione Tombe Temporanee Settore B », comunicando che la vittima è sepolta in quel luogo. Il denunciante ha cercato di ottenere l’esumazione del cadavere per verificare l’esattezza di quanto riferito nei rapporti[...]

[...]icate in quel momento attraverso le normali vie come misura tattica di controinformazione. A posteriori, le autorità informarono la famiglia di Rosa Ana Frigerio sull’accaduto e comunicarono il luogo dove era seppellito il suo cadavere.138

OSVALDO BAYER

Dobbiamo far notare che il Giudice Federale di Mar del Piata autorizzò, il

25.4.1979, la famiglia a portare via il corpo di Rosa Ana Frigerio per metterlo nel cimitero che gli sembrasse più opportuno, cosa che fin’ora non è accaduta J. Questo spiacevole episodio, tipico di una aggressione non convenzionale, com’è quella che stava vivendo l’Argentina, va interpretato nel contesto della lotta che il popolo argentino insieme alle sue autorità, ha dovuto affrontare contro il flagello del terrorismo ».

La Commissione dell’oEA, il 9.4.1980, nel suo 49° ciclo di sedute ha studiato il caso, alla luce delle informazioni ottenute durante Pindagine ‘ in loco * oltre a quelle già in suo possesso, come pure della risposta del Governo Argentino anteriormente citata, ed ha adottato una riso[...]

[...] sul fronte delle Malvine. Il nostro ufficiale di marina vinse la battaglia contro una ragazza paralitica, Ana Rosa, ma ha perso la battaglia navale).

Il capitano Weller si recherà sul canale per verificare l’esito dell’impresa condotta a termine contro la donna indifesa. Nel giudizio che ne segui, il capitano avrebbe ammesso: « Quando arrivai sul ponte vidi un fagotto scuro sull’acqua ». Il famoso giornalista tedesco Egon Erwin Kisch

che più tardi avrebbe dovuto andare in esilio — scrivendo la cronaca del giudizio, dirà: « Quell’oscuro fagotto era Rosa Luxemburg. La grande erudita, l’autrice di opere sociologiche, una eccellente stilista della lingua tedesca, una donna incredibilmente buona verso gli esseri umani e verso gli animali, e per tutta la vita impegnata a costruire un mondo migliore ». Rosa, colei che scrisse questa frase: « Libertà per i sostenitori del governo, i membri di un partito anche di maggioranza non è libertà. Libertà è sempre e solo la libertà di chi pensa in modo diverso».

Con gli anni si seppe tutto. [...]

[...] Germania e sotto la sua tutela, a causa di alcuni preconcetti e per una certa formazione alquanto ideologizzata che indubbiamente gli appartiene, non semini nella mente di coloro che saranno suoi discepoli, cioè nella mente della gioventù tedesca, idee disgreganti che potrebbero attentare contro la costituzione stessa di una nazione democratica, il che significa attentare in poche142

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parole alla libertà dell’uomo, il bene più prezioso che Dio ha dato a noi mortali costretti ad attraversare tutte le vicissitudini di un mondo sempre più conflittivo. Dottoressa Kaufmann, il dottore Bergalli le potrà fornire artatamente la sua personalissima versione dei fatti che accadono nel mio paese. Non mi preoccupa né ci preoccupa quanto potrà dire fuori dalla verità. La verità è Tarma che i popoli devono imbracciare per difendersi dai falsi profeti che, attraverso la predica della democrazia e del rispetto dei diritti umani, cercano di sovvertire e di cambiare i regimi al fine di, una volta realizzato ciò, annullare la libertà e non permettere la benché minima sopravvivenza di un qualsiasi diritto per i cittadini »).

Il cimitero comi[...]

[...]lore dell’ombra. Assomiglia ad un immenso monumento all’aggressione e all’obbedienza, le due caratteristiche essenziali della vita militare, dell’educazione castrense. La ripetizione stentorea di frasi come « Si vis pacem para bellum », « La guerra è una continuazione della politica con altri mezzi », « La guerra è la madre di tutte le cose » e quelle del generale von Seeckt: « L’onore dell’ufficiale non consiste nel sapere meglio o nel voler di più, consiste nell’obbedienza », trova nel cimitero dei generali la sua migliore espressione, la sua sintesi. Ma c’è ancora una sintesi migliore di questa filosofia militare, ed è l’altro cimitero a circa ottocento metri da questo, dove sono sepolte le vittime dei bombardamenti di Berlino, dal 1943 al 1945. Li ci sono delle lapidi che coprono una madre con cinque figli, delle famiglie intere, dalla bisnonna al bisnipote. Aggressione e obbedienza. « La miglior difesa è l’attacco ». La totale identificazione con la volontà dell’autorità. Il generale è il Papa e il Papa è il generale. « Con questo o[...]

[...]« questioni d’onore », scriveva nel trattato Doveri professionali e sociali dell’ufficiale, nel 1915: « Le relazioni carnali con donne pubbliche sono permesse e non sono affatto riprovevoli in un ufficiale a condizione che avvengano nell’intimità. Ma il militare mette in pericolo il suo onore d’ufficiale se, per esempio, si mostra pubblicamente al braccio di una di queste donne. Con questo comportamento schiaffeggia la società e l’ingiuria tanto più se commette la sfacciataggine di salutare, in questa condizione, le signore che incontra. Quest’ultimo caso è offensivo e ferisce l’onore ».

I codici d’onore, l’obbedienza come principio, fanno si che l’abito faccia il monaco. L’uniforme, le spalline, i segni visibili del rango per mezzo di nastrini e di allori, sono dei mezzi per imporre l’autorità. Il rango affoga qualunque dubbio, qualunque insicurezza, qualunque critica. Non è, pertanto, necessario imporre il proprio parere con l’idea, la discussione, la persuasione fondata su argomenti. Imporsi con questo metodo e questi attributi è[...]

[...]to la difesa della costituzione della nuova democrazia. Questo spergiuro non costituiva per loro mancare all’onore come invece lo era passeggiare sotto braccio di una ragazza « disonorata ». Lo stesso generale Baudissin sottolinea che questa posizione « nazionale » come viene chiamata contro la democrazia fu fatale, perché quegli ufficiali, nella grande maggioranza, nel 1933 passarono armi e bagagli al fascismo hitleriano. Il 2 agosto 1934 dal più alto maresciallo all’ultimo soldato dovettero giurare obbedienza incondiziona144

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ta al Ftihrer in cerimonie ad hoc. Da questo momento, l’esercito tedesco fu una pedina in più nel programma e nella politica di sterminio di Hitler. L’investigazione storicoscientifica attuale sulla base della documentazione ritrovata è giunta alla conclusione che l’esercito non solo era ben informato dei massacri eseguiti dagli squadroni ss ma che vi partecipò direttamente, con l’autorizzazione dei marescialli von Manstein, von Reichenau, Ritter von Leeb, von Kuchler, Ritter von Schobert, il colonnello generale Busch ed il colonnello generale Hoepner, fra gli altri.

(Generale Santiago Omar Riveros comandante di istituti militari nel 1976 nell’alludere alla repressione 19761980: [...]

[...]niversale. L’ex pilota di bombardiere tiene le mani alla stessa altezza, una dietro l’altra e racconta — sorridente e nostalgico — come riuscì a lanciare tutte le sue bombe prima che uno « Spitfire » gli mitragliasse la coda. Le mogli dei veterani lavorano all’uncinetto e, sorridenti, prendono il tè. I nipotini giocano con « Mirages » e « Super Etendard » in miniatura. C’è un che di idilliaco, la pace che si conquista in vecchiaia quando si è compiuto il proprio dovere. Che è la cosa più difficile e scabrosa. La difficoltà consiste nel comportarsi bene nei confronti dell’umanità e di se stessi. Nel 1914 si compiva il proprio dovere usando la pala della fanteria infilata nella Mauser e, nel corpo a corpo, si doveva tagliare così la gola del nemico. Con la baionetta si doveva infilzare il ventre, un poco più sù, il colpo era perfetto quando raggiungeva lo sterno. Nel 1920, generali inglesi, francesi e tedeschi si riunirono per mettere a frutto un’idea: progettare cimiteri comuni per i soldati caduti; tedeschi, inglesi e francesi, tutti insieme, tutti mischiati. Unirli nella morte. Questa parve loro un’idea geniale. E i giornali pubblicarono brillanti editoriali che inneggiavano al valore « umanistico » di una simile idea. Il poeta anarchico tedesco Erich Miihsam propose, invece, di costruire un’unica tomba per tutti i generali, senza differenze di nazionalità, per seppellirceli vivi insieme ai fa[...]

[...]te a guerra finita, nel rapporto finale, gli inglesi espressero la loro sorpresa per i falsi obiettivi scelti dall’aviazione argentina. Invece di concentrare gli attacchi sui grandi convogli di trasporto truppe e far fallire l’attacco si contentarono di attaccare le naviscorta, con effimeri trionfi; arrivarono ai bordi esterni ma non osarono arrivare al centro. Prima di definirli coraggiosi e temerari bisognerebbe ridefinire quei valori. È forse più coraggioso colui che ha una maggiore carica di aggressività, chi vede la sua grande opportunità di emergere nell’unico modo in cui sia capace, cioè sparando all’impazzata, chi, forse, ha collezionato più insuccessi nella sua vita privata e di relazioni? O si tratta della semplice emozionalizzazione della guerra

questa pericolosa seduttrice, come l’ha chiamata Anna Seghers perché altrimenti, come spiegare il fatto che migliaia di semplici soldati si siano lanciati cantando all’attacco delle trincee nemiche nella Grande Guerra? Erano diventati all’improvviso tutti coraggiosi? Il mondo cambierà quando insegneremo nelle scuole il coraggio civile, cioè la capacità spontanea di ribellarsi contro un’ingiustizia? Il « valore » degli aviatori argentini non fu notato affatto durante la brutale rep[...]

[...]di rispetto per la vita dei suoi soldati, specialmente degli alleati italiani. Non gliene importava niente di perdere vite umane pur di raggiungere un obiettivo o di portare a termine un’azione spettacolare. La sua famosa resistenza contro Hitler, nel 1944, è stata solo la fase finale del suo opportunismo: quando si rese conto che era impossibile vincere la guerra cercò di capovolgere la sua situazione. Ma il suo padrone, prima tanto adulato, fu più rapido di lui.IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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(Jorge Luis Borges, l’intellettuale che nel 1976 aveva detto che « i militari argentini erano dei gentiluomini » che però quattro anni dopo, quando il progetto militare cominciò a mostrarsi perdente, passò clamorosamente alla « resistenza » quando andò in Germania, nel 1982, espresse il personale desiderio di incontrare Ernst Jùnger, il geniale e raffinato scrittore, il grande ammiratore della guerra come atteggiamento di virilità e di purificazione, lo stesso che, come tenente dello Stato Maggiore aveva partecipato alla prima guer[...]

[...]a per il fronte: « Domani, sì, forse domani mi schizzerà il cervello fra le fiamme ». Mentre il poeta Trakl non resisterà al dolore di fronte al massacro di Grodek, a Ernst Jùnger gli effluvi della polvere, del sangue, delle viscere incancrenite dei morti e della merda delle trincee lo riempivano di aromi e scriveva:

« Il sangue vorticava nel cervello e nelle vene come prima di una notte d’amore violentemente desiderata, anzi, in forma ancora più calda e stravolgente. Il battesimo del fuoco! L’aria era carica di una mascolinità così debordante che ogni respiro ubriacava, tanto che avremmo potuto scoppiare in pianto senza sapere perché. Oh! cuori maschi che siete potuti arrivare a provare tutto questo! ».

L’ex militare Jùnger, il portavoce dell’estetica della destra, parla con sincerità e fermezza virile: « Ovviamente, noi ci sentiamo più a nostro agio con un nemico di razza che non con un pacifista o con un internazionalista. E certamente, ciò che facciamo in un campo di battaglia, uccidendoci fra di noi, è più importante che finire col formar parte di un enorme purè ». Con la parola purè, Jùnger allude al miscuglio di razze, di nazioni, all’eliminazione delle classi, alla repubblica, in una parola, al socialismo. Più tardi Jùnger si rassegnerà e si dedicherà ad esaltare i valori dell’individualismo. Sempre contro il « purè » ma ormai senza più bisogno del fuoco e dell’acciaio. L’individuo, come una roccia che si oppone al mare, al flusso, all’inondazione. La lunga conversazione fra questi due aristocratici della vita e della parola, JungerBorges, fu di una tenera e cortese nostalgia. Borges realizzava così il suo sogno argentino di parlare con l’ammirato europeo di cui aveva letto Tormenta d’acciaio. L’europeo lo ricevette con educata condiscendenza. Più tardi dichiarerà di non essere molto aggiornato sulla letteratura latinoamericana, ma che tuttavia « per me è stato un piacere conversare con il signor Borges » pronunciato con la g francese).

Mi sembra che sia già suonato l’Angelus. Ora chiuderanno il cimitero. È Torà in cui nei monumenti funebri pieni di fenditure si danno appunta148

OSVALDO BAYER

mento i generali prussiani per spiegare le loro battaglie perdute. Sono vecchi, consumati e curvi ma nelle loro vuote orbite brilla sempre la speranza: un’altra occasione, l’ultima occasione. Questa sì, definitiva. Ora sì che gli « apos[...]

[...]s. Ora chiuderanno il cimitero. È Torà in cui nei monumenti funebri pieni di fenditure si danno appunta148

OSVALDO BAYER

mento i generali prussiani per spiegare le loro battaglie perdute. Sono vecchi, consumati e curvi ma nelle loro vuote orbite brilla sempre la speranza: un’altra occasione, l’ultima occasione. Questa sì, definitiva. Ora sì che gli « apostoli » del pacifismo saranno definitivamente sconfitti.

Quelli che giacciono senza più nessuna speranza, senza nessuna ulteriore occasione, sono i soldati morti. Se ne stanno nel loro limbo dove non sono altro che una massa nebulosa con qualche breve lamento da affogato di tanto in tanto. Questi non torneranno.

(La guerra delle Malvine non è finita, dicono i generali argentini mentre fanno colazione. Ma il pastore Aguila e i marinaretti di 18 anni della « Generale Belgrano » hanno chiuso definitivamente, per i secoli dei secoli. Non ci sarà nemmeno un Giudizio Universale).

Ma nell’attesa della loro battaglia finale e del loro definitivo trionfo, la storia è crudele, cinic[...]



da Saverio Tutino, Come lavora il gruppo dirigente cubano. Castro concepisce il governo come un «comando mobile». Non vi è una sede dove si riuniscano sistematicamente i ministri - Fidel non un ufficio stabile, si porta dietro in tre automobili, libri e incartamenti, viaggia ispezionando l'isola, dando consigli, discutendo con tutti - Singolare testimonianza del ministro Llanusa. in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1967 - - marzo - 4

Brano: [...]nsigli, discutendo con tutti — Singolare testimonianza del ministro Llanusa
Dal rostro inviato L'AVANA, marzo.
Come lavora il gruppo dirigente a Cuba? Non vi è una sede dove si riunisca sistematicamente il governo, né una stanza dove si possa incontrare, di regola, il primo ministro. Si sa che Fidel Castro non ha un ufficio stabile e preferisce portarsi dietro, su tre automobili, i libri e gli incartamenti che gli occorrono, per potere stare il più possibile fuori dell'Avana, ispezionando piani e dando consigli di persona, in tutta l'isola.
Il presidente Dorticos lavora nella sede della presidenza e distribuisce con maggior ordine e sistematicità i suoi numerosi compiti. C'è chi dice che è l'uomo che lavora di più in tutta Cuba: sovraintende agli affari economici, sbriga le questioni protocollari della presidenza, controlla l'amministrazione dello Stato e segue i problemi del partito.
Raul Castro, il fratello del primo ministro, è vice primo ministro e ministro della difesa e anche vice segretario del partito. Raul nel lavoro, non è da meno dei primi due. Inoltre, più di una volta alla settimana si incontra con Fidel sul terreno dello studio per notturne sfide a «baseball» ossia alla «pelota». Anche Raul Castro, come Dorticos, è più rigoroso del fratello in fatto di ordine e di disciplina nel lavoro. Fidel è efficiente a modo suo.
Recentemente uno dei ministri del governo cubano che ha assimilato meglio lo stile di direzione di Fidel Castro – il responsabile dell'educazione e della cultura, José Llanusa – ha descritto in due articoli per la rivista Bohemia, alcune giornate di lavoro del primo ministro insieme col presidente, col vice presidente e altri membri del governo, in giro per le province. La testimonianza è di un certo interesse. Fidel Castro concepisce il governo come un posto di comando. La sede di questo coman[...]

[...]ta provincia e quelli dell'lsla de Pinos.
Nel frattempo Fidel Castro e alcuni altri hanno preso un aereo e sono arrivati nell'isola dei pini e degli agrumi. I giovani che dirigono ora questi «piani» sono alla vigilia di raccoglierne i frutti. «La tristezza sta agli agrumi come la burocrazia alla rivoluzione» sentenzia Fidel.
Vanno a vedere un toro che è figlio di Rosafè, il famoso Rosafè, una tonnellata e mezzo, comprato in Canada: uno dei più più grossi tori del mondo. Rosafè adesso è morto. Forse era stanco. L'inseminazione artificiale a Cuba si può dire sia cominciata con lui: ancora adesso che è morto si distribuiscono alle vacche il suo seme congelato e ce n'è per migliaia. «Avrà figli por molti anni ancora dopo morto» commenta Llanusa. Gli operai che fabbricano la diga non amano il pesco, dicono che ha un cattivo odore, e vogliono più carne. Si vedrà. Fidel Castro tenta invano di convincerli che il pesce è buono. Tornano di notte all'Avana e Fidel corre allo stadio per giocare a pelota. Ma sono pochi quelli che lo seguono:[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Più, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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