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Il segmento testuale Perché è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Angelo Muscetta, Memorie del cavaliere Angelo Muscetta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]ato e dorato, che in quell'epoca erano molto ricercati e andavano a ruba. Fu tale lo sviluppo che mio padre fu costretto fittane due depositi, uno presso la Posta Vecchia, e un altro via Porta Rufina, depositi che servivano per lo smistamento, per la distribuzione all'ingrosso, sia al capoluogo, sia in provincia, e fu necessario prendere un altro garzone, e comprare un carretto ed un asinello. L'unica difficoltà era l'organizzazione che mancava, perché mio padre era analfabeta, e la merce nei depositi era messa alla rinfusa, senza scaffali.
D'altra parte, il caffè gestito da mia madre (donna astuta, lavoratrice, e piena di volontà) non era meno remunerativo dell'altro negozio, perché lei preparava i liquori correnti dell'epoca e cioè rosolio, anice e rhum, ed aveva sviluppato una clientela invidiabile. Io avevo cinque anni (incredibile ma vero), di Natale, con l'aiuto della serva e di qualche garzone, confezionavo applicando le etichette e capsule, scrivendo su ogn'uno di esse (perché erano anonime) il contenuto del liquore. L'alcool, ricordo benissimo, costava lire 1.15 al litro. Sentivo in me già l'orgoglio di essere un grande fabricante di liquori e papà un grande grossista di terraglie e cristalli. L'incassi giornalieri erano favolosi, pur non superando mai le cento lire, e quasi tutto bronza, monete grandi che io mi dilettavo a fare coppi (1) da 5 lire. Le mie sorelle crescevano bene, tranne Carolina che, per aver preso latte cattivo da una nutrice, era un poco malandata.
I progetti dei miei genitori erano grandiosi, si progettava la prima chiusura a me in un collegi[...]

[...]ettavo a fare coppi (1) da 5 lire. Le mie sorelle crescevano bene, tranne Carolina che, per aver preso latte cattivo da una nutrice, era un poco malandata.
I progetti dei miei genitori erano grandiosi, si progettava la prima chiusura a me in un collegio, e poi la sorella Maria, ma purtroppo, il destino per me non doveva essere tanto benigno, come in seguito narrerò. Comunque io e mia sorella Maria incominciammo a frequentare una scuola privata (perché in quell'epoca non esistevano asili infantili) e la serva ci accompagnava, e poi ad ora di pranzo veniva a rilevarci.
La mattina del 17 settembre 1884 ore undici, che ricordo benissimo pur avendo sette anni, Benevento fu colpito da una forte scossa di terremoto, e quel garzone di Avellino senza pensare alle cose più necessarie, andò in cucina, prese la pentola dove bollivano due piedi di smarrimento, mandò a rilevare noi alla scuola, e tutti prendemmo di vitello e scappò in campagna.. Mia madre, passato il primo momento
(1) Cartocci
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la via della campagn[...]

[...] dove rimase in permanenza. quattro mesi, rimanendo lei al capezzale, dove finalmente si guarì. Intanto per non chiudere il negozio di vendita a minuta e il caffettuccio, fece venire due sorelle sue da Saviano, (e da questo proposito ricordo a tutti che i migliori nemici sono i parenti) ed insieme alla serva e [al] garzone,. fecero man bassa di quello che era rimasto, così fu completato quasi la distruzione della casa, che il mio povero padre, e perché no? anche. mia madre, con sudore di sangue avevano acquistato.
Tirando avanti alla meglio, e per la lunga convalescenza di mio padre, e per la tenacia di mia madre fino al mese (non ricordo) dell'anno 1886 rimanemmo a Benevento. Però ai miei genitori sopravennero (malgrado fossero giovani) due cose. Mio padre divenne apatico, e poveretto non aveva torto, e a mia madre la mania di cambiar casa e paese, che completò il disastro. Ci trasferimmo ad Avellino, io pieno d'intelligenza, e desiderio vivo di entrare in convitto, sogno che svanì, rimanendo coll'aver frequentato pochi mesi la terza elem[...]

[...](molto affettuose per il saccheggio fatto) e nell'anno 1887 ci trasferimmo a Saviano. Tale trasferimento era contrario a mio padre, ma mia madre 10 convinse con uno stratagemma: quella casa era piena di spiriti, spiriti che, neanche farlo apposta, apparivano durante l'assenza di mio padre. A questo proposito, chiedo perdono alla mia povera mamma, di queste accuse necessarie per la narrazione esatta, e non vorrei mi maledicesse, dall'altro mondo, perché l'ho amato e venerato can quell'affetto che si deve ad una madre, che ve n'é una sola. Mio padre, buono, onesto e lavoratore, acconsentì a questo altro trasloco (e molti altri dolorosi ne seguirono). A Saviano fittammo una casetta modesta per dormire, un piccolo deposito per la merce, con una stalla annessa: perché, dimenticavo dire che era rimasto, per fortuna, l'asinello e il carretto.
Il paese non consentiva la vendita a minuta, e mio padre iniziò la vendita nei paesi limitrofi e nei mercati. Naturalmente niente serve, niente garzoni: per quest'ultimo, a malincuore, lo confesso, lo rimpiazzai io, curando e governando, strigliando il somarello, a cui mi ero affezionato molto, unico forse superstite di una triste famiglia agiata. Si usciva quasi tutte le notti per trovarci presto sui mercati, e il sabato sera (vuoi sabato inglese, vuoi sabato fascista) si usciva alle venti di sera caminando tutta la n[...]

[...]zzai io, curando e governando, strigliando il somarello, a cui mi ero affezionato molto, unico forse superstite di una triste famiglia agiata. Si usciva quasi tutte le notti per trovarci presto sui mercati, e il sabato sera (vuoi sabato inglese, vuoi sabato fascista) si usciva alle venti di sera caminando tutta la notte, per trovarci al mercato di domenica mattina a Caiazzo, vicino a Piedimonte d'Alife, e questo mercato non si poteva trascurare, perché il più redditizio. Venivo su grandicello, ero un pochino invidioso di qualche mio compagno che vestiva molto meglio di me, ed a furia di insistenza, ottenni, per la prima volta, un vestito nuovo, che mia madre comprò a credito da una sua sorella che aveva negozio di tessuti e siccome questa sorella di mia madre non aveva figli, pensò bene mia madre non pagarglielo più: pagò,, s'intende, solo al sarto, pochi soldi. Descrivervi la moda della confezione è inutile, ricordo solo questo, che le mani si affaticavano per trovare le tasche, e dimenticavo dirvi che la stoffa [non era] di marca Made Eng[...]

[...]) che prese tanto a ben volere il mio povero padre, che gli cambiò adibendolo ad un lavoro piú leggier°. E mio padre buono, ma molto buono (e lo dico fino alla noia) scriveva, 'o meglio faceva scrivere delle lettere pieno di entusiasmo, esprimendo il desiderio di essere raggiunto da noi: non poteva restare piú solo, era troppo preso dalla nostalgia della famiglia. Ed infatti dopo pochi mesi, e precisamente l'11 novembre 1888 (ricordo questa data perché S. Martino, onomastico di un parente che ci accompagnò a Napoli all'Immacolatella Vecchia) e dopo di aver provveduto tutte le carte necessarie e i biglietti (tre interi, lire 12 cadauno, e lire 6 mezzo biglietto per mia sorella Carolina), c'imbarcammo su un vaporetto francese della Compagnia Fraissinet. La prima impressione fu di mia sorella Maria, che appena messo piede nella barca, credendo di affondare lanciò un forte grido, poveretta non aveva mai visto il mare. Ci installammo sul vapore in la classe (senza gabine, e cioè sopra coverta, per terra). Mia madre aveva provveduto di tutto: pan[...]

[...]he avevamo fatto amicizia con diverse donne
(1) hiel ms. : «anche se non inocui«.
(2) Grand chemin d'Aix.
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atripaldesi, che come noi raggiungevano i loro cari. Erano passate circa venti ore che stavamo a bordo e nessuno aveva toccato cibo. Facevamo a gara, a chi piú rovesciava (per il mal di mare) non abituati, e credo che a stento rimasero gl'intestini: i limoni furono la nostra salvezza, e ci trovammo una buona provvista, perché quel parente Martino ce lo aveva consigliato. Sopravvenne la notte, e verso le ventuno arrivammo al golfo di Genova, golfo pericoloso, come diceva il personale del vapore. Fu tale una tempesta, che tutti credevamo fosse vicino la nostra fine. Le grida maggiori furono degli atripaldesi che invocavano S. Sabino, e tutti gli altri invocavano il loro protettore.
Fu tale lo spavento e la compassione, che il capitano diede ordine di farci passare tutti dalla coverta ai saloni di prima e seconda classe. Non l'avesse mai fatto: riducemmo quei tappeti e quei mobili un porcile, da tutta la biancheria [...]

[...]o da questo zio. Mio padre ebbe cura di comprare una gallina per farci un ottima tazza di brodo (tanto necessaria a mettere a posto il nostro intestino rimasto privo di alimento per quattro giorni) malgrado la mancanza di suppellettili, che man mano venivano comprati, con qualche piccolo risparmio: tantoppiú che mio padre, per il suo carattere buono, e per la sua onestà e attaccamento al lavoro, dal Capo reparto, (che Doi divenne nostro compare, perché un figlio suo fu tenuto a battesimo da mio padre) ebbe un posto di fiducia, e la paga salì a lire 4,30 giornaliera, e con 10 straordinario spesse volte toccava le lire 5, somma favolosa per quei tempi.
Eravamo felici, raccolti nella nostra famiglia, senza rimpianto della vita beata di Benevento, insomma eravamo allegri nella nostra miseria. Dimenticavo raccontarvi la funzione del battesimo di un figlio del Capo reparto. Esso venne celebrato in una piccola chiesetta di campagna, perché noi vivevamo quasi alla periferia, e il nostro rione abbondava, o meglio era una colonia di atripaldesi e sa[...]

[...]o da mio padre) ebbe un posto di fiducia, e la paga salì a lire 4,30 giornaliera, e con 10 straordinario spesse volte toccava le lire 5, somma favolosa per quei tempi.
Eravamo felici, raccolti nella nostra famiglia, senza rimpianto della vita beata di Benevento, insomma eravamo allegri nella nostra miseria. Dimenticavo raccontarvi la funzione del battesimo di un figlio del Capo reparto. Esso venne celebrato in una piccola chiesetta di campagna, perché noi vivevamo quasi alla periferia, e il nostro rione abbondava, o meglio era una colonia di atripaldesi e salernitani, quest'ultimi ogn'uno possedeva un carretto, e faceva il commercio di frutta e verdura. Uscito dalla chiesa, mio padre ebbe cura (dopo il suggerimento di qualche paesano) cambiare un cinque franchi d'argento in soldini piccoli, e buttarli dietro al corteo di piccoli ragazzi, che rotolando nella polvere facevano a gomiti per raccoglierli. A casa del compare Capo reparto vi fu un pranzo di gala. Debbo confessarlo, fu il primo pranzo di lusso che incominciai a vedere. Non ricordo[...]

[...]essarlo, fu il primo pranzo di lusso che incominciai a vedere. Non ricordo le portate che furono numerose, ne ricordo solo due, un antipasto assortito, compreso burro (che non avevo mai mangiato), ravanelli, che tante volte avevo mangiato per companatico nelle taverne, quando andavo con mio padre, e polli. Ripeto non ricordo il resto, ricordo solo che fu un pranzo che non finiva mai, e che noi non potevamo ricambiare con la famiglia del compare, perché mancava il necessario, i piatti e i bichieri. Avevamo un bel tavolo da pranzo comprato per pochi soldi ossia un tavolinetto con tre piedi, e il quarto fu messo da mio padre con un'assicella di legno rubata da me in un attiguo giardino. Eppure eravamo tanto felici. Solamente io non potevo rimanere indifferente, volevo in certo qual modo venire in aiuto al mio povero padre, ma ero piccolo di età, vecchio e procace in esperienza, e pieno di volontà. Un giorno passai per una piazza caratteristica, chiamata Piazza Pantagone, poco distante da noi (che potrei uguagliare a Piazza Francese di Napoli),[...]

[...]nziché cuciti, e [da] qualche altro arnese utile per un ciabattino. E ricordandomi che a Sa
viano avevo con un ,mio cugino imparato a fare qualche cosa, avrei
potuto sfruttare il vicinato per la riparazione delle scarpe. Mi avvicinai alle diverse bancarelle, e da un calcolo esatto o approssimativo,
occorrevano 1012 lire. A mio padre non osavo chiederle, per non guastare il già modesto bilancio, e come sempre si fà, mi rivolsi a mia madre, non perché lei avesse dei risparmii, ma per avere qualche consiglio. Difatti mi consigliò di farne richiesta all'unico parente, mi rivolsi a lui, ed a titolo di prestito mi feci anticipare lire 15 che spesi per tutto l'occorrente, con una cassetta vecchia che mia madre si fece dare [d]al droghiere dove facevamo la spesa, e così con quella cassetta costruii alla meglio il famoso bancariello di ciabattino. Ebbe inizio il lavoro, il mio propagandista fu il nostro portiere, un vecchio, con la moglie piú vecchia di lui: poveretto, viveva anche lui nella piú squallida miseria, spesse volte mia madre gli scend[...]

[...]e vecchie della portiera, che non sapevo da che punto incominciare, però la propaganda fece il suo effetto, ed i clienti aumentavano giorno per giorno, e i guadagni con soddisfazione venivano consegnati a mia madre, che mi baciava con tanta effusione, e si rallegrava di aver un figlio d'oro, come lei diceva. Alla domenica non mancava mai un bel pezzo di carne in abbondanza e un buon ragù. Restituii al parente le lire 15, e gli anticipai lire 20, perché mi accompagnasse dal suo sarto (perché lui vestiva molto elegante) per farmi fare un bel vestito ma di buona stoffa, pagandolo ratealmente. Ed infatti fu il primo vestito di lusso che indossai. Feci delle amicizie, con degli amici facevamo qualche merenda al mare che distava poco da noi. Ero un bel ragazzo, avevo una bella vocina, e una sera eravamo seduti vicino ad un tavolo dove sorbivamo una birra poco distante da uno dei tanti ristoranti sul mare, che noi frequentavamo solo di passaggio, ed incominciai a cantare qualche canzonetta napoletana. A questa ne seguirono delle altre, dopo pochi minuti si alzò un signore dal tavolo (c[...]

[...] é valido.
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accorsi che era un patito di Rittardo (I) per le canzoni napoletane, e promisi di andarci la domenica prossima, tantoppiú che abitava alla Caposelle, Boulevard St. André poco distante da noi; e ritirandomi a casa raccontai in famiglia tale incontro.
Le cose mie andavano benino, lo sviluppo cresceva giorno per giorno ma il mestiere scelto di ciabattino non era adatto per me, giovanotto svelto, 'e perché rio? di alte vedute, era un mestiere adatto per un vecchio. Una mattina nel recarmi a fare delle compere di certi articoli per il mio lavoro, passando per il corso della strada principale che da Marsiglia portava a Aix, lessi nella vetrina di un grande negozio di scarpe (non potevo uscire dalle scarpe) due cartellini uno in italiano e l'altro in francese: « Cercasi ragazzo, per commissioni dai dieciquindici anni ». Entrai nel negozio, ma di francese non conoscevo che buon giorno, buona sera; grazie, arrivederci. Chiesi del proprietario il quale era oriundo genovese, e capiva e parlava bene l'[...]

[...]orso della strada principale che da Marsiglia portava a Aix, lessi nella vetrina di un grande negozio di scarpe (non potevo uscire dalle scarpe) due cartellini uno in italiano e l'altro in francese: « Cercasi ragazzo, per commissioni dai dieciquindici anni ». Entrai nel negozio, ma di francese non conoscevo che buon giorno, buona sera; grazie, arrivederci. Chiesi del proprietario il quale era oriundo genovese, e capiva e parlava bene l'italiano, perché come ho detto innanzi, quel rione era abitato da migliaia d'Italiani: un simpatico uomo sulla trentina, al quale riuscii molto simpatico. Ma mi fece comprendere che non poteva assumermi in servizio, senza il libretto di lavoro, e che per avere questo era necessario il certificato di terza classe elementare francese, però poteva, in via provvisoria, assumermi in qualità di apprendista, naturalmente senza stipendio. Io accettai per le sole ore del mattino, e si rimase cosí di accordo, ed il lunedì successivo alle otto del mattino, [andai] a prendere servizio.
La domenica alle ore diciassette r[...]

[...]e feci le mie scuse. Mi ricevette nel suo studietto piccolo, ma pulito ed elegante, cosí come il resto della casa. Fece a me diverse domande, e volle sapere che cosa facevo, e chi erano i miei genitori. Gli raccontai in breve la mia posizione, ed i guai passati della mia famiglia, gli raccontai anche che l'indomani sarei andato core apprendista da quella grande calzoleria, il di cui name era Battista Sassone, che per fortuna il maestro conosceva perché cliente. Dissi che sarebbe stato mio desiderio prendere servizio come commissionario, ma non avevo il libretto di lavoro. Il maestro mi ascoltò benevolmente, e mi promise farmi avere il certificato di terza classe Elementare Francese (necessario per avere questo libretto di lavoro), se io avessi con buona volontà frequentato
(1) Si dicevano cosí gli appassionati dei cantastorie e dell'eroe popolare dei romanzi cavallereschi, Rinaldo.
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.uiti .i giorni alle ore sedici la sua casa, per aver lezione gratis da lui. Lascio immaginare la gioia che provai a questa generosa offert[...]

[...] cioè spazzare il grande negozio, spolverare, mettere in ordine i diversi scaffali. Dimenticavo dirvi che questo proprietario, era sposato da due anni con una francese e da pochi mesi era padre di una bella bambina, a cui aveva messo nome Luisa, e che i genitori chiamavano « petit'Isa ». Sempre volentieroso ed ossequiente, acquistai la simpatia dei coniugi Sassone, tanto che oltre il compito di apprendista mi era serbato il compito di cameriera, perché tenevo buona parte della mattinata in braccia la piccola Isa che finivo anche per addormentarla, cantandole la strofetta in francese, che dalla madre avevo finito per imparare a memoria:
Dor, dor, bellange d'amour
Jusqua tombò jei te sairè fidele (').
Povera frase francese, ma dopo cinquantaquattro anni è ancora troppo!
La clientela del giovane ciabattino cresceva giorno per giorno, ma dovetti mio malgrado rinunziare. Ero molto occupato la mattina per fare l'apprendista; ma che apprendevo? solo di fare la balia, e cantare la ninnananna, e nel pomeriggio a fare scuola con una passione viol[...]

[...]preparando, e mia madre rispose che stava preparando il ragù, ossia la salsa per condire i maccheroni. Ringraziò ed usci. Mia madre, orgogliosa per il complimento, al momento del pranzo, preparò un piatto di maccheroni, e lo portò alla francese vicina di casa. Non
(1) Il domicile indicato sul libretto di lavoro è Traverse des Moulins, 8
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l'avesse mai fatto. Questa francese avrebbe voluto quel piatto tutte le domeniche, anche perché la loro cucina è orribile.
La vita era gaia e felice, nella nostra miseria. Qualche volta si faceva anche qualche scampagnata al mare: mia madre curava portare qualche cosa, e si inaffiava con qualche bichiere di birra. Avevo incontrato altri amici, e qualche domenica andavamo a fare delle passeggiate nel giardino zoologico, molto bello, e ricco di moltissimi animali di tutte le specie. Si era arrivato al 15 agosto del 1889. Detto giorno si festeggiava su una collina, come se fosse il Vamero di Napoli, e vi era un santuario dedicato alla Bonne Mère de la Garde, ed ognuno portava una merenda,[...]

[...] diventato l'idolo del mio rione, dopo quello che avevo fatto in silenzio per la mia famiglia, ed a testimoniare tale narrazione (che potrebbe essere ai lettori miei superstiti,. figli, nipoti ecct. esagerazioni) sarebbero il primo Antonio Spaccamonte, attualmente spedizioniere sulla Piccola Velocità di Avellino, e gli eredi di Elena Pappacena di Sarno, ma che avevano dei parenti sulla strada di PianodardineAtripalda. Ho nominato lo Spaccamonte, perché in quell'epoca era mio compagno a Marsiglia, ed una domenica girammo diverse case, non ci riuscí trovare un mazzo di carte italiane per farci una partita, e finimmo in un caffè dove vi era un ballo pubblico (e di questi ne abbondava Marsiglia) e si ballò fino a sera tardi.
Ai principii di luglio, sempre di quell'anno, mia madre fu presa di nuovo dalla nostalgia dell'Italia, ma non avevamo mezzi, il nostro padrone di casa, un Ebreo fino al midollo, minacciava metterci fuori di casa, e mia madre lo tacitava (perché mio padre non sarebbe stato capace) di aspettare qualche giorno, perché da un m[...]

[...]rammo diverse case, non ci riuscí trovare un mazzo di carte italiane per farci una partita, e finimmo in un caffè dove vi era un ballo pubblico (e di questi ne abbondava Marsiglia) e si ballò fino a sera tardi.
Ai principii di luglio, sempre di quell'anno, mia madre fu presa di nuovo dalla nostalgia dell'Italia, ma non avevamo mezzi, il nostro padrone di casa, un Ebreo fino al midollo, minacciava metterci fuori di casa, e mia madre lo tacitava (perché mio padre non sarebbe stato capace) di aspettare qualche giorno, perché da un momento all'altro Cl doveva arrivare un vaglia dall'Italia: vaglia che non doveva arrivare, perché la vera intenzione, (confesso la verità) di mia madre, era quello
di non pagarlo, perché milionario, e si era rifiutato di farci un piccoloaccomodo in cucina.
Espressi al mio principale la decisione dei miei genitori, che volevano rimpatriare, e si rammaricò tanto. Volle vedere i miei genitori per disuaserli da tale decisione, ma non ci fu verso. Voleva per forza.
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farmi rimanere con lui, come un figlio, assumendo qualunque responsabilità, ma specie mio padre non ne volle sapere.
Decisi allora di darmi da fare, per le dovute pratiche. Avevo saputo che per le famiglie bisognose vi era una disposizione del console italiano a Marsiglia: concedeva il viaggio gra[...]

[...]rsiglia palmo per palmo, e tutte le mattine alle nove mi recavo al palazzo del console alla Rue Canebière per vede re se la pratica nostra era ultimata. L'usciere capo, un tipo nervoso, non mi dava neanche il tempo di domandare, e mi mandava fuori dalle scatole. A furia di andare, a furia d'insistere tutti i giorni, una mattina non vi era quell'usciere capo, che tanto aveva preso ad odiarmi, e con buoni modi cercai persuadere quello di servizio, perché mi avesse annunziato al Console Generale. Questo si mise a ridere e mi rispose: — Ma siete pazzo, volete essere ricevuto dal Console? Se mai, al suo segretario —. Fui contento lo stesso, e difatti fui introdotto al suo cospetto, narrando ogni cosa, e mi ascoltò col massimo interesse. Dopo di che, chiamò un impiegato per sapere a che punto stava la mia pratica, ma la mia domanda era sul tavolo e nessuna informazione ancora era stata chiesta. Il segretario diede ordine, in mia presenza, che le dette informazioni il giorno dopo dovevano essere pronte. Fui licenziato ed avvertito di ritornare dop[...]

[...]almente, si degnò introdurmi da lui. Ricordo che fui ricevuto molto benevolmente col sorriso sulle labra, compiacendosi della mia sveltezza, dicendomi che la pratica rispondeva esattamente alla verità, e che avrei potuto ritirare, fra qualche giorno, da un ufficio (che non ricordo) i biglietti d'imbarco, e che la partenza era fissata per il 12 agosto, con una vapore francese. Vi era una sola difficoltà, che questo vapore impiegava cinque giorni, perché vapore misto, e che doveva fermarsi a Genova e Livorno per carico e scarico di merce, e che avrei dovuto provvedere per il cibo, per tutti questi cinque giorni.
Andai a casa tutto contento e ci preparammo ogni cosa. Ricevetti dal mio principale come premio un orologio d'argento, grande, fuori moda, con una chiavetta per dargli la corda, senza catena, e al posto di essa misi un cordoncino colorato, orologio che conservavo come ricordo, ma che poi dopo tanti anni, non trovai piú, e lire 100, che
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consegnai a mia madre, che negli ultimi giorni preparò il nec[...]

[...] non trovai piú, e lire 100, che
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consegnai a mia madre, che negli ultimi giorni preparò il necessario per alimentarci durante il viaggio. Salutai tutti gli amici, non escluso il maestro elementare, a cui esternai tutta la mia riconoscenza, e volle essere cantato per l'ultima volta una canzonetta napoletana a lui tanto cara (peccato che non ricordo il titolo). Mi diede il suo indirizzo, che ricordo benissimo (perché per cinque sei anni gli scrivevo: Doctor Luis Lecouvré, Rue della Paix, 34 Marseille). Non era professore, ma gli piaceva essere chiamato Doctor. Salutai con mia madre la signora francese (dei maccheroni) con grande soddisfazione di mia madre, che se ne era liberata. Dimenticai di dirvi che negli ultimi tempi mi ero fidanzato con una signorina di pari età, Lauretta Marengo, figlia di un italiano della riviera Ligure, allevatore di maiali (molto ricco), maiali che andava a caricare in Algeria, e mi voleva molto bene. Naturalmente il primo amoretto innocuo en passan, ma che la Lauretta nel suo[...]

[...]vatore di maiali (molto ricco), maiali che andava a caricare in Algeria, e mi voleva molto bene. Naturalmente il primo amoretto innocuo en passan, ma che la Lauretta nel suo cuore aveva preso ipoteca. Salutammo quella famiglia con cordialità
e la signora mi regalò un salame, dicendomi: Piccolo Angelo, lo
mangerai in viaggio.
Si era agli sgoccioli per la partenza, e mia padre pensò di caricare le poche suppellettili su un carrettino, di notte, perché avevamo paura che l'Ebreo padrone di casa ci avesse fatto sequestrare i materassi, unici oggetti di valore. Ed infatti, alle ore tre di notte partimmo alla volta del porto, scaricammo le masserizie in un angolo, verso le dieci passammo la visita in breve per la sola formalità, ed alle undici del giorno 12 [correggi: 2] agosto del [1891] sul vapore r« Marco Minghetti » di Palermo] c'imbarcammo, prendendo posto (unito ad altri emigranti, forse pili poveri di noi) in coverta (1). Alle tredici incominciammo a bordo il primo pasto, e si partì alle ore sedici, tempo bellissimo. Salutammo Marsiglia [...]

[...] la sola formalità, ed alle undici del giorno 12 [correggi: 2] agosto del [1891] sul vapore r« Marco Minghetti » di Palermo] c'imbarcammo, prendendo posto (unito ad altri emigranti, forse pili poveri di noi) in coverta (1). Alle tredici incominciammo a bordo il primo pasto, e si partì alle ore sedici, tempo bellissimo. Salutammo Marsiglia col suo grande porto, e anche il santuario della Bonne Mère (2) della Garde, a cui rivolgemmo una preghiera, perché ci facesse arrivare sani e salvi. Alla sera facemmo il secondo pasto con appetito e tutta la notte fu deliziosa, mare bellissimo, contrariamente a quello burrascoso dell'andata. Col mare bellissimo e con la paura passata del padron di casa di Marsiglia ci sviluppò tale un appetito, che in meno di ventiquattr'ore avevamo esaurito la scorta che avrebbe dovuto bastare cinque giorni. Arrivammo a Genova alle ore tredici del giorno dopo. Fummo avvisati che potevamo scendere per sole quattro ore, e che alle ore diciassette dovevamo trovarci tutti a bordo. Sbarcammo io e mia madre per comprare qualch[...]

[...]le di mia madre, suore zia Peppa e zia Filomena, in attesa di stabilirci, forse ad Avellino. Ed infatti dopo quattrocinque giorni, partimmo io e mio padre alla volta di Avellino, pregando la sorella di mio padre, zia Angelarosa, il marito zio Sabino e zio Sabatino (che abitava alla casa del Notaio Titomanlio padre in via Beneventana) pregando questi parenti venirci in aiuto, anche a titolo di prestito, per iniziare il lavoro. Ma intanto, un poco perché le loro case non andavano bene, un poco per farci assumere una certa responsabilità, pregarono il compare Fusco perché c'improntasse qualche cosa, per iniziare il lavoro.
Qui entriamo nella terza fase, e potrei dire « dall'ago al milione »..
Verso la fine di agosto, sempre del medesimo anno, il compare Fusco consegnò a mio padre 8 coppi da lire 5 cadauno di bronzo, cioè in tutto lire 40 (ed a questo proposito, in cuor mio non è mancata la riconoscenza verso i1 compare Fusco) che furono le prime fondamenta,
e l'inizio basillare del mio lavoro.
Con lire 40, che avevano quel valore a quell'epoca, comprammo un carrettino e un somarello, mezzo malandato, non vispo come il somarello che avevamo prima di emigra[...]

[...]tto grande, ed un letto ad una piazza e mezza, che dormivo io e le sorelle;
e questa casa è quella dove abita attualmento lo spazzino Erricuccio, di fronte alla casa dove abitava Mariuccia alla ferrovia. Fu pattuito lire 12 mensili, compreso una stalluccia che si accendeva dal portone vicino a Santomauro. Col nostro piccolo carretto facemmo tre viaggi, per portare i letti, materassi, un comò e una colonnetta, residui della mobilia di Benevento, perché il resto fu tutto venduto. Questa residua di mobilia la rimanemmo a Saviano, quando partimmo per Marsiglia,
e finalmente mia madre fu sodisfatta per questo trasloco e che tu l'ultimo.
Fuori i Platani, e propriamente di fronte al nuovo Ospedale, vi era una fabbrica di vetro soffiato, ossia vetro ordinario chiamato comunemente niretti e carrafoni. Questa fabrica [era] gestita da Luigi
68 ANGELO MUSCETTA
Masullo, vecchia conoscenza di mio padre, il quale ci accordò un credito che non doveva superare le lire 100, credito che veniva estinto appena venduta la merce, ripigliando l'altro. Il lavo[...]

[...]rica [era] gestita da Luigi
68 ANGELO MUSCETTA
Masullo, vecchia conoscenza di mio padre, il quale ci accordò un credito che non doveva superare le lire 100, credito che veniva estinto appena venduta la merce, ripigliando l'altro. Il lavoro procedeva benino, e si arrivava fino alla provincia di Foggia. Io mi sentivo umiliato guidare quel carretto, ché quando era carico mi toccavo seguirlo a piedi. Non solo. Ma per le salite mi toccavo a tirare, perché il povero somarello non ce la faceva. Eppure ero felice. Per le discese, salivo a cavallo e cantavo sempre, specie quando si avvicinava l'ora del pasto alla sera. In quell'epoca in tutte le taverne si mangiava a pasto, il mezzogiorno e la sera, e si aveva per ogni pasto insalata verde, maccheroni, o pasta e fagioli, baccalà o carne, formaggio, pane e vino senza limiti. Ogni pasto costava soltanto soldi 13. Però io e mio padre, non consumavamo che solo il pasto della sera, saltando quello di mezzogiorno, perché il bilancio non consentiva, e mio padre si era prefisso di farsi qualche capitalucc[...]

[...]r le discese, salivo a cavallo e cantavo sempre, specie quando si avvicinava l'ora del pasto alla sera. In quell'epoca in tutte le taverne si mangiava a pasto, il mezzogiorno e la sera, e si aveva per ogni pasto insalata verde, maccheroni, o pasta e fagioli, baccalà o carne, formaggio, pane e vino senza limiti. Ogni pasto costava soltanto soldi 13. Però io e mio padre, non consumavamo che solo il pasto della sera, saltando quello di mezzogiorno, perché il bilancio non consentiva, e mio padre si era prefisso di farsi qualche capitaluccio proprio, e non essere schiavo di un solo fornitore, il quale ne incominciava a profittare. Si tirò avanti cosí per due anni e piú, lavorando notte e giorno, e il mio compagno di lavoro era Sabino Venezia, il di cui padre era il nostro padrone di casa, e usciva una sera si e una sera no, col carretto carico di verdura che portava a vendere sui mercati, camminando tutte le notti per fare arrivare fresca la verdura sui mercati. Quello che era insopportabile era il sabato sera che si doveva partire, per trovarci[...]

[...]enezia padre, nostro padrone di casa. Il figlio non era tagliato per fare quella vita, aveva un mulo e un cavallo bilancino, che voleva alienare insieme al carretto piú grande del nostro, io incominciai a sondare i1_ terreno, per comprarci il solo mulo e il carretto. Eravamo amici intimi, acquistammo il mulo per lire 75 (un bel mulo),
e il carretto 70 lire, pagando metà anticipato e l'altra metà alla fine del 1893. Per me fu di grande sollievo, perché non ne potevo piú: quel somaretto andava cosí lento, da non fare neanche un chilometro all'ora. Col mulo andavamo benino, facevano diversi paesi in un giorno,
e gli affari progredivano sensibilmente. Mi ritiravo a casa, mi lavavo,
e andavo da zio Sabino, il quale gestiva una bella trattoria, con sala da pranzo e giardino, e molti clienti ferrovieri, che venivano da Napoli a mangiare. E facevo il cameriere insieme ad una serva, ed avevo cosí a tavola con loro una buona cena.
Mio padre aveva restituito al compare Fusco le lire quaranta ed aveva messo da parte qualche cosa. Vi era in quell'ep[...]

[...]llane e cristalli, e poco per volta, con questi nuovi articoli gli affari andavano molto bene. Diventammo importantucci, s'incominciava a girare per .i paesi grandi: Ariano, S. Angelo dei Lombardi. Fittavamo un basso, facendo bella esposizione di tutto, e le migliori famiglie acquistavano dei servizii completi. Io andavo in giro, con un grosso paniere, pieno di articoli piú eccentrici, che il popolino acquistavano con piacere. Per mangiare bene (perché mio padre mi manteneva a stecchetto) escogitai un bel mezzo: mi fidanzavo con tutte le figlie di tavernaie e di bettoliere. Ero diventato un bel giovanotto, mettevo in armonia quella gente di paese che vivevano vegetando, cantavo qualche canzonetta ed avevo in cambio le migliori pietanze, con contorno di qualche bacio. Ero sempre felice, ma qualche volta pensavo anche la vita zingaresca che facevo. La cosa tragica era la sera. Si arrivava in una taverna, quando vi era qualche lettino disponibile, lo riservavo a lui, ed io mi riempivo il sacco pieno di paglia, e lo piazzavo fra le due stanghe [...]

[...]ro nostro, andai a Napoli per fare delle spese, ed oltre il contanti ottenemmo lire 2.500 di credito, firmando 5 cambiali da lire 500 cadauna a breve scadenza.
La fiera incominciava il 29 agosto di ogni anno, ed aveva la durata di sei giorni.
Incominciammo a portare i primi carichi il 22 agosto, e, con l'aiuto di un garzone, preparai con delle casse vuotate della merce un lungo tavolo di oltre dieci metri a sinistra e di cinque metri a destra, perché lo spazio di quest'ultimo era ostacolato da colonne. Fu tale la preparazione, e tali gli articoli nuovi, che tutti i signori di quei paesetti venivano con le loro serve o colone con grandi ceste, che riempivano di tutti gli articoli (specie i fini).
Non vi descrivo la fiducia che da questi clienti avevo acquistata, che non facevano patto. Facevo il conto su un pezzo di carta, tagliavano qualche lira dispara, non per contestare il prezzo, ma per avere la soddisfazione, troppo nota, in quelle donne, di risparmiare. In quell'anno vendemmo quasi tutto, rimanendo qualche poco di merce dispari che[...]

[...]vo il conto su un pezzo di carta, tagliavano qualche lira dispara, non per contestare il prezzo, ma per avere la soddisfazione, troppo nota, in quelle donne, di risparmiare. In quell'anno vendemmo quasi tutto, rimanendo qualche poco di merce dispari che vendevamo l'ultimo giorno a qualche rivenditore locale. Dimenticavo, che la caratteristica della fiera era la sera, ed in una diquelle sere, quando la folla sostava per ammirare non per comprare, perché compravano o di mattina o nel pomeriggio, ne feci una delle mie. Feci cucinare mezzo chilo di maccheroni, e mettendolo in un vaso da notte (nuovo però) gridavo ad alta voce: — La mia porcellana è perfetta, liscia, che si può utilizzare anche un vaso da notte usato —. (Ma il mio era nuovo).
I1 mio concorrente barese, che si era messo fuori del convento, credendo che la clientela a prima vista comprasse da lui, ma fece pochissimi affari. Prima di lasciare S. Egidio, volle farmi delle proposte per l'anno prossimo, fare una società. Avevo diciotto anni ed avevo una certa esperienza, e gli rispos[...]

[...]ovo).
I1 mio concorrente barese, che si era messo fuori del convento, credendo che la clientela a prima vista comprasse da lui, ma fece pochissimi affari. Prima di lasciare S. Egidio, volle farmi delle proposte per l'anno prossimo, fare una società. Avevo diciotto anni ed avevo una certa esperienza, e gli risposi che non avevo difficoltà a fare tale società, solamente gli articoli che rimanevano invenduti doveva ritirarli chi li aveva portati, (perché io ero sicuro di vendere gli articoli che acquistavo con gusto, e difficilmente ne rimanevano invenduti). Rimanemmo cosí d'accordo. A noi conveniva tale società, per due ragioni. La prima, non vi era concorrenza, e vendevamo esattamente con un guadagno abbastanza forte, e la seconda perché il barese portava degli articoli correnti, ma ricercati, per esempio delle grosse lan
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gelle di terra cotta di Grottaglie (Taranto) per conservare olio, vino, peperoni in aceto, i piatti per contadini, e tante altre cose, in modo che il cliente da noi trovava tutto. Ai miei articoli avevo aggiunto coltellerie e posaterie di alpacca e falso alpacca.
Il capitale era cresciuto abbastanza. Avevo l'aria di grossista, incominciavo a fornire dei piccoli rivenditori, ad Atripalda ed Avellino. Si rese necessario fittarsi un locale per mettere un magazzino e deposi[...]

[...]e rimaneva. Il cliente protestava, io dicevo prontamente che tale articolo era finito quella mattina.
Eravamo al maggio del 1896, e piú che io, il mio povero padre era soddisfatto di aver ripigliato il suo mestiere, e che rendeva abbastanza. Questo rendimento fece balenare l'idea a mio zio Sabino, marito di zia Angelarosa, sorella di papà, di mettersi in socio con noi; società, se cosí vogliamo chiamarla, che mio padre non potette rifiu. tarsi, perché i primi soccorsi l'avevamo avuto da lui. Il guaio lo passai io, perché questo zio era anche analfabeta, e non del mestiere, essendo lui proprietario e gestore di trattoria e di una piccola camera per uso di albergo. Ci preparammo per l'altra fiera di S. Egidio a Montefusco, lavorando come un cane per la contabilità, perché anche questo barese, era analfabeta. Insomma io che avevo frequentato la seconda classe elementare e due mesi della terza, ero un padreterno. Ma solamente alla divisione dei lucri e della merce, incominciarono a sorgere delle dificoltà, ed allora mi convinsi che nessuna società potevamo fare.
Occorre tornare qualche anno indietro, e precisamente nel settembre del 1890.
Frà i moltissimi clienti di mio zio Sabino, vi era il Capotreno Recine di Montefusco, che poi doveva diventare prima cognato e poi suocero mio, ed un giorno raccontò a mio zio che la moglie a Napoli si era partorito di una be[...]

[...]nessuna società potevamo fare.
Occorre tornare qualche anno indietro, e precisamente nel settembre del 1890.
Frà i moltissimi clienti di mio zio Sabino, vi era il Capotreno Recine di Montefusco, che poi doveva diventare prima cognato e poi suocero mio, ed un giorno raccontò a mio zio che la moglie a Napoli si era partorito di una bellissima ragazza, ed aveva bisogno di una nutrice urgentemente. Mio zio voleva un gran bene a questo Capotreno; e perché assiduo suo cliente, e perché della nostra provincia, gli promise il suo interessamento. Lo zio Sabino aveva una sorella che si chiamava Lena, moglie di un operario di Sarno, Luciano Pappacena, che lavorava a Pianodardine, dove vi era una fabrica inglese di filati,
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il di cui proprietario si chiamava Turner. Questa zia Lena da poco si era partorito di una terza figlia, che fatalità volle dopo quindici giorni gli mori. Rimasta così la madre piena di salute e latte buono abbondante, lo zio Sabino telegrafò al Capotreno Recine che portasse la bambina perché aveva pronto la nutrice. Infatti il giorno dopo [...]

[...] si chiamava Lena, moglie di un operario di Sarno, Luciano Pappacena, che lavorava a Pianodardine, dove vi era una fabrica inglese di filati,
72 ANGELO MUSCETTA
il di cui proprietario si chiamava Turner. Questa zia Lena da poco si era partorito di una terza figlia, che fatalità volle dopo quindici giorni gli mori. Rimasta così la madre piena di salute e latte buono abbondante, lo zio Sabino telegrafò al Capotreno Recine che portasse la bambina perché aveva pronto la nutrice. Infatti il giorno dopo arrivarono ad Avellino, il Capotreno, la moglie e la bambina che si chiamava Amelia. Si aggiustarono per il prezzo, e altre modalità, e fu affidata alle cure di questa zia Lena, che era una bella e simpatica donna.
Tutte le domeniche (io avevo tredici anni) e per la cupa (1) di S. Lorenzo (perché questa nutrice zia abitava al bivio della cupa, sulla strada che da Pianodardine porta ad Atripalda: abitazione caratteristica, perché aveva esternamente una scalinata) andavo da questa zia, perché aveva cura di conservarmi sempre un piatto di maccheroni di zita che io nell'ora di merenda, mangiavo con avidità. Spesse volte per riscaldarmi i maccheroni, mi affibiava in braccia questa piccola Amelia, che cresceva bellissima e che io divoravo con baci innocenti. Passato il periodo di allattamento, il padre ritirò questa bambina, con gran dispiacere di mia zia, vuoi per la morte della figlia, vuoi perché gli aveva dato latte, tanto si era affezionata.
I rapporti tra il Capotreno Recine e mio zio Sabino non solo rimasero cordiali, ma si cementarono fraternamente. Si era alla fine di giugno del 1896. Mio zio Sabino, malgrado i miei diciannove anni, voleva che io sposassi, sapendo che questo Capotreno aveva una sorella signorina a Montefusco, e lo sapeva perché la trattoria di mio zio era il punto d'appoggio di lettere e pacchi, sia da Napoli per Montefusco che da Montefusco a Napoli. Un giorno mio zio abbordò questo Capotreno che era in vena, e gli disse queste testuali parole: — Don Carlo, mi è venuta un'Idea. Perché non facciamo sposare Angelino con vostra sorella? — Il Capotreno su due piedi non sapeva che cosa rispondere, e disse: — Poi vedremo.
Stavano così le cose. Io senza approfondire troppo a questa proposta, seguitavo a lavorare con passione. E si avvicinava l'epoca della fiera di S. Egidio e siccome avevo ricevuto da questa fiera delle belle soddisfazioni e incoraggiamenti, aumentavo con maggiore esperienza, e l'esposizione diventava sempre interessantissima. Ero diventato l'idolo di tutta la clientela eletta, di tutte le signore: aspettavano con pazienza delle ore, perché loro dovevano contrat[...]

[...]Poi vedremo.
Stavano così le cose. Io senza approfondire troppo a questa proposta, seguitavo a lavorare con passione. E si avvicinava l'epoca della fiera di S. Egidio e siccome avevo ricevuto da questa fiera delle belle soddisfazioni e incoraggiamenti, aumentavo con maggiore esperienza, e l'esposizione diventava sempre interessantissima. Ero diventato l'idolo di tutta la clientela eletta, di tutte le signore: aspettavano con pazienza delle ore, perché loro dovevano contrattare solamente con Angelino. I successi crescevano senza misura fino al marzo 1897. un fatto nuovo sopravvenne e fatalità volle che dovevo cambiare mestiere.
(1) Via di campagna, delimitata da siepi.
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Il padre di Maioli, appaltatore, propose a mio zio Sabino la gestione del buffet alla stazione di Avellino; e mio zio, per l'avidité di diventare proprietario di un buffet, accettò senz'altro, e si stipulò, tramite il compare Fusco, il contratto di cessione tra il vecchio gestore Amedeo Fontana di Brescia, ottimo organizzatore, che per r[...]

[...]atti dopo quattro anni si trasferirono a Saviano, poi a Napoli, a Cagliari, Iglesias, e poi a Palermo dove mori: i figli intelligenti, con educazione benina, però sciuponi, (come la madre), e sfortunati.
Presi le consegne del buffet, alla Stazione, e siccome questo mio zio, sardo cucinava molto bene, pregai mio zio Sabino di prenderlo in servizio, in qualità di cuoco, per lire 10 mensili. Ebbe inizio il mio nuovo lavoro, di cui ero profano, sia perché non avevo mai frequentato caffé (per mancanza di denaro), sia perché non avevo nessuna cognizione di liquori e di ristorante. Avevo un poco di pratica della trattoria di mio zio Sabino, ma era una cosa diversa. Sempre tenace e sempre passione nel lavoro, tutto ciò che iniziavo lo portavo a buon fine. Una sola volta feci una brutta figura, ed era il terzo giorno della mia gestione. Si presentarono al banco un signore ed una signora, chiedendo due coca. Li pregai d'attendere un minuto, e chiesi aiuto a questo zio cuoco, perché non aveva interpretato bene la richiesta, e tanto io che questo zio sardo ci lampicchevamo il cervello, ma poi mi decisi tornare al banco[...]

[...]vevo nessuna cognizione di liquori e di ristorante. Avevo un poco di pratica della trattoria di mio zio Sabino, ma era una cosa diversa. Sempre tenace e sempre passione nel lavoro, tutto ciò che iniziavo lo portavo a buon fine. Una sola volta feci una brutta figura, ed era il terzo giorno della mia gestione. Si presentarono al banco un signore ed una signora, chiedendo due coca. Li pregai d'attendere un minuto, e chiesi aiuto a questo zio cuoco, perché non aveva interpretato bene la richiesta, e tanto io che questo zio sardo ci lampicchevamo il cervello, ma poi mi decisi tornare al banco, e con molte scuse feci intendere che eravamo sprovvisti di quello che chiedevano. Ed il signore un poco irritato mi disse: — Ma come dite di non averne, mentre li in quello scaffale ce ne sono diverse bottiglie? — Ed infatti la richiesta sua si riferiva ad un liquore chiamato Elixir Coca. Feci le mie scuse di nuovo, giustificando che da soli tre giorni avevo preso servizio.
74 ANGELO MUSCETTA
Avevo preso buona cognizione del mio compito, che espletai (co[...]

[...]omento l'andamento dell'esercizio del buffet. Malgrado le mie nuove occupazioni, vi era la gestione amministrativa dello sviluppato e crescente lavoro dei cristalli e porcellane,
e danaro di questa azienda spesse volte veniva impiegato per otturare le falle della trattoria, che con l'apertura del buffet, era diventata passiva. Di questo caos ne avevano tratto profitto i clienti ferrovieri che erano centinaia al giorno, e che venivano da Napoli (perché ad Avellino allora non vi era nessun deposito). E costoro mangiavano a credito, ordinando dei pranzi luculliani, e per la bontà di mio zio, che andava a Napoli per riscuotere tutti i mesi, erano piú quelli che non pagavano, che quelli che pagavano, ed i morosi ritornavano a venire a mangiare ed alle rimostranze di mia zia Angelarosa, sua moglie, che lavorava giorno e notte in cucina, lui rispondeva che era senza camicia, mentre ora ne aveva diverse. Si era arrivato al luglio del 1896, epoca che dovevo preparare gli acquisti per la prossima fiera del 29 agosto ed io tanto ci tenevo, perché i m[...]

[...] che andava a Napoli per riscuotere tutti i mesi, erano piú quelli che non pagavano, che quelli che pagavano, ed i morosi ritornavano a venire a mangiare ed alle rimostranze di mia zia Angelarosa, sua moglie, che lavorava giorno e notte in cucina, lui rispondeva che era senza camicia, mentre ora ne aveva diverse. Si era arrivato al luglio del 1896, epoca che dovevo preparare gli acquisti per la prossima fiera del 29 agosto ed io tanto ci tenevo, perché i migliori frutti
e le maggiori soddisfazioni li avevo ricevuto da quella fiera. Durante la mia assenza la gestione del buffet veniva assunta da mio zio proprietario, ma tutti volevano Angiolillo, tutti cercavano Angelino, e non posso nascondervi, che su questo lui era un poco invidioso. Vennero i giorni che precedevano la fiera, e con un carico di sei carretti grandi trasportammo su quella fiera di campagna della merce di primizia moda e di gusti indovinati, che i migliori negozii di tutta Napoli non possedevano.
Fu un successone. Le migliori famiglie dei paesi viciniori si fermavano ad am[...]

[...], che gli dobbiamo far sposare una nostra nipote. — Vi era un
gran negoziante di articoli svariati e bene assortiti di merceria, confezioni dell'epoca per signore, signorine e contadine, molto ricco, il quale avanzò con mio padre proposte di matrimonio di una sua figlia. Ed un altra proposta del genere [fu quella] di un forte negoziante in tessuti di Monteforte Irpino. E quando fu la sera mia madre a tavola ne parlò, tutti ci mettemmo a ridere, perché avrei dovuto sposarmi con quattro. Solamente dopo seppi che la sorella del Capotreno Recine e la nipote di Don Ciccio Bocchino era la stessa cosa. Finí la cosa cosí, imballammo quel poco di residuo della merce, e tornammo ad Avellino, soddisfatto anche quell'anno del risultato.
Ricominciavo la mia vita di cameriere, gestore, sguattero, padrone del buffet, nonché amministratore dell'azienda di cristalli e porcellane, e nel fare qualche sommario, grossolano, chiamiamolo bilancio, a modo mio, mi avvidi che in tutte le aziende vi erano passività, o meglio i guadagni venivano assorbiti dalle trat[...]

[...]istalli e porcellane, e nel fare qualche sommario, grossolano, chiamiamolo bilancio, a modo mio, mi avvidi che in tutte le aziende vi erano passività, o meglio i guadagni venivano assorbiti dalle tratte, che mensilmente scadevano, e che purtroppo bisognava pagarle, per acquisti sia di generi per il buffet sia per quelli di porcellana etc., nonché le cambiali ancora rimaste per il riscatto del buffet. Cercai parlare con buoni modi a mio io Sabino perché, mentre era irruento e violento, aveva un cuore d'oro. Aveva la mania di continuare a fare credito ai ferrovieri che non pagavano, ed alla fine del mese che andava a Napoli per riscuotere, non riscuoteva neanche la terza parte. Tirammo ancora avanti fino alla fine del 1896, e nel marzo del 1897 mio zio Sabino ebbe un attacco di gotta che a stento era immobbilizzato, e sopra uno dei due divani che avevamo nella sala da pranzo del buffet guardava gl'incassi. A fine marzo si doveva andare a Napoli per la solita riscossione mensile, e fu la prima volta che delegò a me. Non conoscevo Napoli, che, [...]

[...]ETTA
Antonio di Cassino. Era la seconda sera che stavo in loro compagnia, dopo di aver mangiato, facemmo una passeggiata a piedi dalla ferrovia alla Galleria. Lessi un manifesto che al S. Carlo si rappresentava La Forza del Destino, con dopo il Ballo Excielsior, e al loggione di quinta fila (non numerato a quei tempi) si pagava lire 1.25 a persona. Proposi ai miei amici di andare: tutti profani di opere liriche. Ma per convincerli, ce ne volle, perché loro preferivano farsi una partita con qualche litro di vino. Io tenevo lire 2.40, somma che potevo disporre, loro invece erano diretti padroni e potevano spendere senza parsimonia. Facemmo i biglietti, e salimmo i cinque ordini di posti. Vi garantisco che senza avere inizio ancora il primo atto, ero contento di aver speso 1.25 fosse anche per vedere il solo teatro illuminato che per me rappresentava la prima entrata in paradiso.
Capitai a sedermi vicino ad una signora francese, che, solo oggi concepisco, doveva essere qualche governante, perché era munita di un bellissimo binocolo, che fors[...]

[...]evo disporre, loro invece erano diretti padroni e potevano spendere senza parsimonia. Facemmo i biglietti, e salimmo i cinque ordini di posti. Vi garantisco che senza avere inizio ancora il primo atto, ero contento di aver speso 1.25 fosse anche per vedere il solo teatro illuminato che per me rappresentava la prima entrata in paradiso.
Capitai a sedermi vicino ad una signora francese, che, solo oggi concepisco, doveva essere qualche governante, perché era munita di un bellissimo binocolo, che forse doveva appartenere ai suoi padroni, e tra un atto e l'altro, la pregavo di farmelo tenere qualche minuto. Ebbe inizio il primo atto, e solo allora compresi come si vivesse in un grande centro, con tutto quel paradiso terrestre, e con le ricchezze in mostra, della prima e seconda fila dei palchi, dove si ammiravano i gioielli piú fini, accoppiato ai decolté della noblès napoletana. Quei zoticoni dei miei amici caddero in braccia a Morfeo per tutta la durata dello spettacolo. Quale fu il mio stupore, quando incominciò il Ballo Escelsior, che si co[...]

[...]9 agosto 1897 vedemmo entrare in una cameretta del convento, adibita da noi a sala da pranzo e camera da letto, due formose contadine con delle grosse ceste piene di ogni bene di Dio, dicendo a mia madre che venivano da parte di Don Ciccio Bocchino, e che erano sue colone. Le ceste contenevano gnocchi, carne di vitello, polli arrosto, pane, vino e frutta in abbondanza. Ave
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vano fatto questo atto di cortesia, perché la nuora di Don Ciccio, Donna Mariannina, madre di Manfredo e del Dott. Bocchino, ci teneva far rimanere per sé (segnandoci Venduto) ancora in esposizione un servizio di piatti che era una meraviglia: però ci teneva, un poco vanitosa, perché le altre famiglie lo vedessero. Il terzo giorno, nel pomeriggio (vi erano pochi clienti) vedo avvicinare una donna anziana ed una signorina, per scegliere un bichiere col manico. La signorina, nel chiedermi il prezzo, s'incontrò col mio sguardo, e siccome aveva un dente avanti piú grande, come suo fratello, gli domandai: — Scusate signorina, siete forse sorella al Capotreno Recine? — E lei mi rispose di sí, chiedendomi il perché di questa domanda, e come conoscessi suo fratello. Dissi che per caso l'avevo conosciuto ad Avellino, e che gli rassomigliava moltissimo, e il nostro discorso fini cosí. Gli dissi il prezzo del bichiere, è lei di rimando mi disse: — Però siete molto carestoso (1). Acquistò lo stesso il bichiere, salutarono e andarono via, chiamai a mia madre (ché essa veniva sempre alla fiera) e gli raccontai questo episodio.
Io non potetti pronunciarmi dippiú, perché ignoravo se il Capotreno ne avesse fatto qualche .accenno alla sorella.
Finí la fiera, sempre con ottimi risultati, e tornammo ad Avellino ed[...]

[...]di questa domanda, e come conoscessi suo fratello. Dissi che per caso l'avevo conosciuto ad Avellino, e che gli rassomigliava moltissimo, e il nostro discorso fini cosí. Gli dissi il prezzo del bichiere, è lei di rimando mi disse: — Però siete molto carestoso (1). Acquistò lo stesso il bichiere, salutarono e andarono via, chiamai a mia madre (ché essa veniva sempre alla fiera) e gli raccontai questo episodio.
Io non potetti pronunciarmi dippiú, perché ignoravo se il Capotreno ne avesse fatto qualche .accenno alla sorella.
Finí la fiera, sempre con ottimi risultati, e tornammo ad Avellino ed a mio zio raccontai il piccolo episodio, dicendogli che ne avevo ricevuto buona impressione. Pregai mio zio Sabino di parlarne di nuovo al fratello Capotreno perché a sua volta ne avesse parlato a Don Ciccio Bocchino suo tutore, alla zio Canonico e a zio Francischiello, e poi saremmo andati a Montefusco, a parlare di ogni cosa. Passarono due mesi dalla fiera, ed il fratello Capotreno Carlo Recine era stato a Montefusco e ne aveva parlato alla sorella, ed agli zii, e cosí id 15 novembre 1897 nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefusco, io, lo zio Sabino, e il compare Fusco — ed eravamo diretti alla casa dello zio Don Ciccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima alla casa della sposa, e cosí facemmo. Per quanto pre[...]

[...]o, e il compare Fusco — ed eravamo diretti alla casa dello zio Don Ciccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima alla casa della sposa, e cosí facemmo. Per quanto preavvisati della nostra visita, la futura sposa rimase sorpresa, e dopo di averci lo stesso ricevuti ci disse gentilmente che la richiesta doveva essere fatta in casa dello zio Bocchino, giusto come si era rimasto stabilito, si parlò del piú e del ;meno, e bastò questo perché i nostri cuori incominciassero a battere all'unisono, e bastò fra noi due .un furtivo sguardo (che è il primo linguaggio dell'amore) per intenderci. Preceduti da un buon tratto, da una strada diversa lei si diresse dallo zio Bocchino suo tutore, e dopo poco anche noi raggiungemmo l palazzo, che era in fondo al paese. Ci presentammo, ed arrivato al mio turno, lo zio Bocchino disse: — Ma
(1) Caro
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io conosco bene Angelino, figlio di Amato — Diventai rosso come un gambero, perché ricordavo che in quella casa, negli anni precedenti, dalla
piazza del mercato portavo dei cesti[...]

[...]nisono, e bastò fra noi due .un furtivo sguardo (che è il primo linguaggio dell'amore) per intenderci. Preceduti da un buon tratto, da una strada diversa lei si diresse dallo zio Bocchino suo tutore, e dopo poco anche noi raggiungemmo l palazzo, che era in fondo al paese. Ci presentammo, ed arrivato al mio turno, lo zio Bocchino disse: — Ma
(1) Caro
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io conosco bene Angelino, figlio di Amato — Diventai rosso come un gambero, perché ricordavo che in quella casa, negli anni precedenti, dalla
piazza del mercato portavo dei cesti di roba, che lo zio Bocchino acquistava da mio padre, ed io come misero ,garzoncello andavo in quella casa, perché la zia Luisella Recine Bocchino mi riempiva le tasche piene di frutta a secondo la stagione, oltre un bel pezzo di pane, con salame o formaggio, e altro ben di Dio. Lascio a voi lettori, figli nuore nipoti, la mia grande umiliazione, entrare in qualità di futuro sposo, in quella casa, che diversi anni prima avevo vergogna e paura di sporcare i pavimenti, con le scarpe piene di chiodi.
S'intavolarono le discussioni, e superate quelle piú essenziali, cioè le simpatie suscitate reciprocamente, fra me e la sposa, si parlò della posizione reciproca, non per farne un mercato, ma perché bisognava d[...]

[...] o formaggio, e altro ben di Dio. Lascio a voi lettori, figli nuore nipoti, la mia grande umiliazione, entrare in qualità di futuro sposo, in quella casa, che diversi anni prima avevo vergogna e paura di sporcare i pavimenti, con le scarpe piene di chiodi.
S'intavolarono le discussioni, e superate quelle piú essenziali, cioè le simpatie suscitate reciprocamente, fra me e la sposa, si parlò della posizione reciproca, non per farne un mercato, ma perché bisognava dar conto allo zio Canonico, allo zio Francischiello e al fratello Capotreno di residenza a Napoli. Quindi lo zio Bocchino si riservò dare una risposta entro quindiciventi giorni. Ci offrirono del vino perché s'era fatto tardi, per quanto il compare Fusco ripetute volte fece comprendere che eravamo digiuni, e su questo fecero orecchie da mercanti, e per questo fatto rimase un detto, fino alla morte del povero compare Fusco, il quale diceva: — Alla richiesta della mano della signorina Recine a Montefusco, bevetti a digiuno tre bichieri di vino.
Rimasti cosí d'accordo ci salutammo, e verso la fine del paese comprai del pane, prosciutto e vino, e facemmo ritorno a casa, ove i famigliari domandarono l'impressione ricevuta della sposa e dei parenti. E cosí si doveva aspettare la risposta.
Io intanto [...]

[...] una casa e terra, ancora in comune col fratello Carlo
Capotreno. Però mio zio Sabina e mia zia Angelarosa mi donavano lire 1.000 ciascuno alla rispettiva loro morte, e ,il contante della sposa veniva ipotecata su una loro casa, e quindi .garentita; lo zio Sabino s'impegnava fare tutte le spese del matrimonio, mobilio, vestiti per me e per la sposa, quel poco di oro, ecct. ecct.
I zii della sposa quasi non volevano aderire a questo matrimonio, perché non avevano voluto accettare due .matrimoni, uno di un ricco orefice di Gesualdo, e un altro in quell'epoca esattore di Montefusco, tutti e due ricchi, di buona famiglia, ma di pessimi precedenti giovanili. Lo zio Bocchino si alzò, e disse ai famigliari tutti: — Io per conto mio e ne assumo piena responsabilità, son del parere di dare in sposa mia nipote Vincenzina ad Angelo Muscetta, povero, come voi volete, ma ricco di esperienza, e sopratutto onesto lavoratore. — E credetemi (disse a loro) la nostra Vincenzina, non gli mancherà mai nulla —. A queste parole, tutti si pronunziarono consenzie[...]

[...]a fui suo ospite: la sua abitazione era poco lontana dalla casa della fidanzata, e dal balcone della mia camera da letto alla finestra della camera da letto della fidanzata ci divideva un piccolo vicolo stretto. Io dormivo in un letto grande insieme a questo zio, letto con quattro materassi di lana, che io non ne avevo la massima idea: di una sofficità che, per me, quei tre o quattro giorni di permanenza a Montefusco rappresentavano un paradiso, perché ad Avellino id mio letto era un piccolo materasso su un tavolo da pranzo, e il riposo era solo di trequattro ore. A questo proposito, voglio raccontarvi un piccolo episodio. Una sera faceva un freddo terribile, per l'abbondante neve caduta, e quando mi ritirai all'ora solita, le ventuno circa, mi aspettavano raccolti lo zio Giacomino e la zia vicino ad un grande camino ben acceso, con delle frittelle calde e del vino speciale, e malgrado da poco avessi cenato, non potetti esimermi a fare loro compagnia. Dopo mi disse la zia: — Angelo, si vede che hai sonno, tu sai la camera dove sta, puoi and[...]

[...], e una scatola di cerini. Io rimasi male, ma piú male e umiliato rimase mio zio Sabino, il quale mi disse queste testuali parole: —Dapo il tuo fidanzamento, ti sei circondato di invidia e gelosia, però questo risultato negativo non ha fatto altro che cementare il mio bene e la mia fiducia, per quanto quest'ultima, mai perduta —. Voleva darmi
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del danaro, ma rifiutai energicamente, dicendogli: — Non mi serve, perché a Montefusco non mi fanno mancare neanche le sigarette. — Mi vestii in fretta, presi la mia piccola valigetta, presi pasto nella carrozza, facendo le mie scuse ai miei compagni di viaggio, chè per un contrattempo li avevo fatti attendere venti minuti, e partimmo.
Posso assicurarvi che furono tre ore di tortura per me, avrei voluto ritornare in Francia perché ero sempre in corrispondenza col mio antico principale Sassone Battista, odiavo mio zio Sabina, odiavo il mio vicinato e volevo andar via lontano da quella gente malvagia. Erano due le cose che m2 trattenevano, i miei genitori (e debbo confessarlo, piú segnatamente mio padre) e la mia Vincenzina, che amavo piú di me stesso, ed ero riamato ugualmente. Certo era i1 primo amore vero, sentito, ed ingoiai quest'altra pillola abbastanza amara. Questi furono i pensieri che in me stesso fantasticai durante le tre ore idi viaggio, avevo una voglia matta di piangere, ero buono di animo, tenero ancora d[...]

[...]nte, balenandomi nel cervello di commettere qualche sciocchezza. Però fidavo sempre nella preghiera, e di cui non mi sono mai staccato, e nella mia vita ho trovato sempre conforto. Un giorno mia zia Angelarosa, [di] nascosto del marito Sabino, venne a trovarmi e si rammaricò per quello che era successo, e lo stato mio compassionevole e disperato. Mi mandò subito dalla trattoria da mangiare, e venne di nuovo ad assicurarsi, se io avessi mangiato, perché quasi da tre giorni non avevo toccata cibo. Intanto Vincenzina mi scrisse da Montefusco, che aveva saputo che erano sorte delle questioni serie, tra noi e zio Sabino: i soliti amici e invidiosi s'erano preso la briga di scriverle una lettera anonima informandola di tutto, aggiungendo perfino che il matrimonio sarebbe andato a monte. Supplicandomi di scriverle tutta la verità, e conoscendo il mio tipo affettuoso, non mancò d'incoraggiarmi, di avere fede in Dio per il nostro destino. Un giorno, profittando che lo zio Sabina era a Napoli, ed analizzando bene le cose, riconobbi che il torto era d[...]

[...]ino, che funzionava sempre da cuoco, e si ritirò. Fui quella sera un poco contrariato per .il suo atteggiamento ancora severo, e pensando che il lavoro di pacificazione l'avrebbe preparato la zia Angelarosa sua moglie, andiedi a riposare per qualche ora nella stanzetta su una tavola, l'unica camera mia da letto, per diversi anni; camera da letto che da giorno funzionava da sala da pranzo, e la sera la tavola funzionava da letto: stanzetta umida, perché terra piena, e il sole si vedeva a scacchi. Quella vita durò per circa tre anni, e tutta quell'umidità fu la causa farmi perdere in pochi anni uno per uno tutti í denti. Passarono dei giorni, mi riappaciai (e con me, anche i miei) con zio Sabina. Lettere dalla fidanzata Vicenzina venivano tutti i giorni, chiedendomi spiegazione del dissidio, ed io rispondevo che tutto era finito. Si era arrivato alla fine di luglio ed alla prima domenica di agosto si celebrava a Montefusco la festa di M.M.S.S. del Carmelo. Un giorno chiamai in disparte mia zia Angelarosa, e gli dissi che quello era il momento[...]

[...]la fidanzata un regalo di un bracciale d'oro. Infatti il venerdì
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che precedeva la festa di domenica, zia e mia sorella Maria partirono per Montefusco, senza nessun preavviso. Lascio a voi immaginare la sorpresa e la gioia della mia fidanzata, con la zia, nel vederle arrivare: questa era per loro la conferma di quanto io gli avevo scritto, cioè l'avvenuta pacificazione. Naturalmente la gioia non era completa, perché mancavo io, però la mia mancanza . era giustificata, perché tutti in una volta non potevamo lasciare il buffet.
La mia tortura era quella di vedere la festa da Avellino e non poterci andare. Mi spiego in che modo io vedevo la festa da Avellino. La chiesa del Carmelo a Montefusco era situata al principio del paese e proprio sul fronte del paese verso Avellino, .e su una piazzetta vicino alla chiesa venivano addobbate delle bellissime luminarie, che erano ben visibile dalla nostra stazione ferroviaria di Avellino, quindi il sabato, vigila della festa, fu per me una tortura, vedere da lontano quella festa, e non poterci andare. Non riposai tutta la nott[...]

[...]a lievi, sia per l'oscurità, sia per attraversare montagne dissabitate, ma a quell'età non si conoscono ostacoli. Diventai una lepre, superai la distanza di circa otto chilometri tutto in salita in un'ora e venti minuti (però abbastanza sudato), scorsi da lontano che la mia fidanzata, e i miei [e] i suoi zii e zie erano seduti innanzi ad uno dei caffè improvvisati, ascoltando la musica di fronte che eseguiva l'ultimo pezzo, e cioè il canzoniere, perché dopo questo avevano inizio i fuochi artificiali. Non posso descrivervi l'impressione che tutti provarono, nel vedermi arrivare a quell'ora a piedi dalla stazione di Prata, e alquanto sudato. Bevetti due birre, ci godemmo i fuochi artificiaili, ed a casa ci aspettava una bella cena, residuo di un pranzo cucinato dalla zia Angelarosa, provettissima, ed espertissima nell'arte culinaria; gnocchi, carne, polli insalata, ecct., inaffiata con ottimo vino. Quale gioia fu per noi fidanzati, può descri
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verlo solo chi ha sofferto di simili mali: con grande soddisfazione dei parenti [...]

[...]issipate quelle voci messe in giro da invidiosi, i. quali avrebbero visto con piacere andare in fumo questo matrimonio. La cena fini alle tre e mezzo del mattino, e dopo di aver bevuto due tazze di caffè miscelato con la cicoria (surrogato in voga e che costava due soldi il pacchetto, e il caffè puro costava, bello e tostato, 4 soldi l'oncia: come dire 3 lire e centesimi il chilo), presi commiato dal mio tesoro, distacco doloroso, ma necessario, perché ho conosciuto da che ero piccolo solo il senso del dovere, e poi eventualmente il senso (se pure) del diritto, e in compagnia dell'alba che si schiudeva mi incaminai a piedi (perché in quell'epoca non si aveva neanche lontanamente l'idea dell'automobile) e raggiunsi la stazione di Prata: che dopo pochi minuti arrivò i!1 primo treno da Benevento, e giunsi puntualmente alle sette del mattino, giusto come avevo promesso a mio zio. Ero felice, ogni frainteso era scomparso, lavoravo notte e giorno, e vedevo avvicinare il giorno tanto da me sperato e coronato dopo sacrificii, il mio sogno.
Il 21 novembre 1898 partimmo da Avellino in carrozza, io, lo zio Sabino, il compare Fusco, il Notar Capriolo, e il suo segretario, e ci recammo a Montefusco in casa di Don Cuccio Bocchino z[...]

[...]te. Non debbo nascondere la mia emozione, quando in quella stessa casa entravo da ragazzo a portare degli oggetti che mio padre gli vendeva in piazza, e che in cambio la signora Bocchino, zia in primo grado della sposa; mi porgeva per regalo della frutta e colazione, e quel giorno sedevo a mensa in qualità di futuro sposo al posto d'onore. Credetemi, nella vita ho subito delle umiliazioni, dei sacrifici, delle privazioni, del lavoro snervante, e perché no? della fame, cosa che non auguro al mio piú acerrimo nemico, ma in compenso ho avuto delle poche, ma belle soddisfazioni, che mi sono state di sprono a tutte le difficoltà che nel sentiero della mia vita ho sopportato con francescana rassegnazione.
Con la speranza che il giorno tanto desiato presto si avverasse, si era arrivato al 10 gennaio del 1899, giorno che si fissò la data del matrimonio per .i'1 9 febbraio 1899. Infatti tale giorno, di giovedì, S. Sabino, partimmo da Avellino con quattro. carrozze di gala, alle ore sei del mattino, e andammo a Montefusco, ed in casa sempre di
MEMO[...]

[...]ente dalla signora Donna Mariannina Bocchino, nuora di Don Ciccio Bocchino e madre del Dottor Bocchino. Il cerimoniale sarebbe riuscito superiore ad ogni aspettativa, se non fosse stato funestato da un contrattempo, e cioè il mancato intervento allo sposalizio dell'unico fratello della sposa Carlo, Capotreno a Napoli delle F.F. dello Stato: coincidenza da tener presente. Iil fratello Carlo (unico fratello) non potette intervenire allo sposalizio perché la figlia Amelia (di cui è una protagonista di queste memorie, come rileverete nei primi capitoli, e che poi divenne mia seconda moglie) era in quel periodo in fin di vita, ammalata di tifo, che in seguito fortunatamente superò.
Dopo la cerimonia, si partí alla volta di Avellino, accompagnati da quasi tutti i parenti intimi e fioccava la neve piacevolmente. Ad Avellino nella casa dove abita adesso Siani Vincenzo, ci aspettava un lauto banchetto. A questo proposito debbo precisare una cosa. Mio zio Sabino aveva i suoi gravi difetti, ma aveva anche i suoi meriti, e cioè ci teneva a fare bella [...]

[...]i vita, ammalata di tifo, che in seguito fortunatamente superò.
Dopo la cerimonia, si partí alla volta di Avellino, accompagnati da quasi tutti i parenti intimi e fioccava la neve piacevolmente. Ad Avellino nella casa dove abita adesso Siani Vincenzo, ci aspettava un lauto banchetto. A questo proposito debbo precisare una cosa. Mio zio Sabino aveva i suoi gravi difetti, ma aveva anche i suoi meriti, e cioè ci teneva a fare bella figura, un poco perché aveva assistito a due lauti e lussuosi banchetti, un poco anche per riguardo ai parenti venuti da Montefusco, tutti parenti 'rispettabili e perché no? dei veri signori.
Noi avevamo un cuoco abruzzese al 'buffet, che era qualche cosa di speciale, ed a lui lo zio Sabina affidò l'incarico di un menù speciale, dall'antipasto alla lasagna imibottita (perché era carnevale) alla galantina di pollo, al gattò di mariaggio ed ogni ben di Dio. Per non esagerare, il cuoco e un aiutante, altre le donne di famiglia, lavorarono tre giorni. Fu un elogio di tutti i commensali, e segnatamente della zia Carmela che dimenticavo dirvi intervenne allo sposalizio con zio Sabatino vestito in lungo con redingote, e lei con un cappellino eccentrico (che costava pochissime lire per la sua rimontatura). I regali (per quanto in quell'epoca poco si usassero) pur tuttavia i'l piú di valore era il biglietto di lire 25 dello zio Franceschiello. Però il regala di zia Carmel[...]

[...]sei anni lavorava benino con i ferrovieri ed anche privati, e che poi si decisero lasciare, per esercitare insieme a me il buffet per economie di spese. Passarono cosí tre anni di matrimonio, ed ero già padre di due figli Amato e Sabino, lavoravo come non avevo mai lavorato in vita mia, notte e giorno, coadiuvato da mia moglie Vinoenzina, che era animata di tanta volontà, e spesse volte per forza maggiore in cucina toccava lavare anche i piatti (perché delle volte in poche ore dovevano essere servite centinaia di persone). Io che servivo a tavola insieme ad una cameriera col sudare che mi colava sulla fronte, guardavo con umiliazione mia moglie Vincenzina, la quale, poveretta, a prescindere di essere di buona famiglia, non aveva in casa sua mai mossa una sedia da un punto all'altro, ed ora la vedevo lavare i piatti. Credetemi, non esagero, correvo nella latrina della ferrovia, e sfocavo a pianto tutta l'umiliazione: avrei voluto centuplicare il mio lavoro, pur di non assistere ad un simile spettacolo, eppure credetemi eravamo felici.
San c[...]

[...]are il mio lavoro, pur di non assistere ad un simile spettacolo, eppure credetemi eravamo felici.
San costretto ripetere ancora una volta, che per il cuore di mio zio, le cose finanziarie andavano da male in peggio, si era arrivato al punto che tutti i fornitori non volevano farci più credito, centinaia di ferrovieri mangiavano e non pagavano, cambiali che andavano iñ protesto, interessi che si accumulavano, le banche ci chiudevano i sportelli, perché [sul] l'unica casetta vicino a1 Ponte dell'acquedotto di Serino, era ipotecata la dote di mia moglie; ed io vedevo aprire un baratro innanzi a me spaventoso.
Una mattina nel buffet mio zio Sabino con gli occhi fuori dell'orbite e con una rivoltella spianata verso di me, pretendeva una mia firma ad una cambiale, che io non volevo mettere. Per fortuna mio zio fu chiamato dal Capo stazione, ché doveva pagare il canone del buffet scaduto da parecchio tempo. Spaventato presi mia moglie, e mia so rella Mariuccia e scappai in casa, col preciso proposito di non tornare mai più al buffet e piansi ama[...]

[...]rigida, di fronte alla ferrovia, e mi decisi andare a Napoli o meglio a S. Giovanni a Teduccio da RichardGinori per fare degli acquisti: naturalmente lire 500 in contanti, ed il resto di un vagone di merce (che costava lire 3000 circa) in cambiale.
Mio zio Sabino vomitava fiele, e non sapendo che dispetto farmi, mi precedette di qualche giorno, ed andiede a S. Giovanni a Teduccio da RichardGinori, insinuando a questa ditta di non farmi credito, perché ero un nullatenendo e imbroglione. Non ebbi nessuna sorpresa quando mi recai a S. Giovanni, e la ditta suddetta mi disse che era spiacente non potermi accontentare col farmi credito, come aveva fatto le altre volte con mio zio Sabino, perché la Direzione di Milano cosí aveva dato disposizioni. Però io fui previggente, perché mi avevo portato la copia dei capitoli matrimoniali, e che tutte le cambiali venivano firmate anche da mía moglie Che disponeva della sua dote di oltre 6 mila lire.
Convinsi con le buone maniere 11 Dirigente del deposito della S. A. RiehardGinori di S. Giovanni a Teduccio, anche in omaggio che ero figlio di un vecchio loro cliente, e che per tanti anni (modestia a parte) era il modello di onestà.
Ritornai a casa pieno di gioia, e dopo due giorni, come stabilito, tornai a S. Giovanni con mia moglie per caricare il carro ferroviario, e firmando gli effetti per lire 3.600 oltre l'anticipo di l[...]

[...]i arrivò il vagone di merce nuova e bellissima, malgrado la sicurezza di mio zio Sabino che io non avrei avuto mai il piacere di avere un vagone di merce con un credito (a quei tempi colossali) di lire 3.600.
Il lavoro ebbe inizio, mio padre lavorava giorno e notte per i mercati viciniori, Atripalda compreso, avrei voluto accompagnare mio padre col carretto, ma non volli farlo, non per il lavoro, né per ver
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gogna di farlo, (perché il lavoro onesto, qualunque specie di lavoro, anche umiliante non mi aveva fatto mai impressione); ma per non dare adito alle persone che mi avevano sempre invidiato, dopo il mio matrimonio, perché non potevano rendersene ragione come io ero stato capace di apparentare con una delle prime famiglie di Montefusco. Presi un garzone e lo misi al servizio di mio padre.
Si lavorava benino, e si sbarcava alla men peggio il lunario. Fu venduto primo vagone di merce, molto prima del previsto. I'l mio capitale iniziale, al netto di interessi e delle spese generali, da lire 500 sali a lire 900, le cambiali con la società RichardGinori furono pagate con puntualità, a questo fece seguito il secondo e terzo vagone, i miei due figli Amato e Sabina crescevano un amore, ed eravamo felici e invidiati. L[...]

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si appianavano per il meglio, ma il lato finanziario era sempre ristretto. Il 20 aprile 1903 un'altra tegola mi doveva ancora cadere sul capo. Mia moglie Vincenzina si ammalò di tifo, dibattendosi fra la vita e la morte per tre mesi. Fui costretto far venire sua zia Filomena da Montefusco, colei che per tanti anni gli aveva fatto da madre, e dovetti allontanare i bambini Amato e Sabino, inviandoli a casa di mia madre, perché il medico curante aveva proibito in modo assoluto che fossero rimasti nella medesima casa, anzi proibirono anche a me di coricarmi nel medesimo letto. Ma questo era assurdo, perché non avevo la forza di allontanarmi, anche a costo di morire insieme a lei, tanto più che il suo desiderio era quello di essere fatto ogni cosa da me, iniezioni, disinfezioni, somministrazioni di medicinali ecct., e salivo e scendevo centinaia di volte le scale, sia per attendere il mio lavoro al buffet, sia assistere amorevolmente a lei, notte e giorno. Questo è niente: la cosa più ;tragica, mancavano i saldi per comprare i medicinali, i miei modesti capitali, nel commercio di porcellane e cristalli erano esauriti, a mio zio non potevo chiedere dippiú, perché sapevo le sue condizioni, ed allo[...]

[...] quello di essere fatto ogni cosa da me, iniezioni, disinfezioni, somministrazioni di medicinali ecct., e salivo e scendevo centinaia di volte le scale, sia per attendere il mio lavoro al buffet, sia assistere amorevolmente a lei, notte e giorno. Questo è niente: la cosa più ;tragica, mancavano i saldi per comprare i medicinali, i miei modesti capitali, nel commercio di porcellane e cristalli erano esauriti, a mio zio non potevo chiedere dippiú, perché sapevo le sue condizioni, ed allora pregai un fornitore di vino, certo Iandiorio di Montefredane, di mettermi una firma ad una cambiale di lire 200 e passarla a una banca chiamata « Credito Irpino », firma che mi accontentò, per non rifiutarsi, però ebbe cura di avvisare segretamente il Direttore di quella banca di non far passare quella cambiale allo sconto. Io intanto tutti i giorni facevo la via crucis da Avellino alla ferrovia per incassare quelle lire 200, e mi portavano in giro: oggi, domani. Finalmente un mio amico, impiegato su quella banca, mi disse segretamente tranello, che quell'a[...]

[...]ca di non far passare quella cambiale allo sconto. Io intanto tutti i giorni facevo la via crucis da Avellino alla ferrovia per incassare quelle lire 200, e mi portavano in giro: oggi, domani. Finalmente un mio amico, impiegato su quella banca, mi disse segretamente tranello, che quell'amico a cui avevo pregato per la firma, mi aveva fatto. Non sapendo a chi Santo dovessi rivolgermi, presi di nascosto tutto l'oro di mia moglie (dico di nascosto, perché sapevo che lei era contrario a farlo pignorare) e lo pignorai ricavandone lire 350, giurando a me stesso che a qualunque costo prima che lei si fosse alzata, avrei messo a pasta il suo oro. Erano passati due mesi, e per fortuna era passata fuori pericolo, però era diventata uno scheletro perfetto. Ero felice che il pericolo era scomparso, quando venne a supporazione una iniezione fatta, e dovette avere un taglio, taglio che fu una fortuna (malgrado prorogasse di molto la sua convalescenza), perché da quel taglio usci tanta materia d'infezione da riempire due catinelle. Occorsero delle forti c[...]

[...]) e lo pignorai ricavandone lire 350, giurando a me stesso che a qualunque costo prima che lei si fosse alzata, avrei messo a pasta il suo oro. Erano passati due mesi, e per fortuna era passata fuori pericolo, però era diventata uno scheletro perfetto. Ero felice che il pericolo era scomparso, quando venne a supporazione una iniezione fatta, e dovette avere un taglio, taglio che fu una fortuna (malgrado prorogasse di molto la sua convalescenza), perché da quel taglio usci tanta materia d'infezione da riempire due catinelle. Occorsero delle forti cure ricostituenti perché cinquanta giorni dovette alimentarsi di acqua del Serino e latte d'asina. Per i cibi a lei adatti durante la convalescenza non me ne mancarono al buffet.
Fortuna, nella sfortuna, sognai un sogno, e siccome non ero stato mai amante del giuoco del lotto, giuocai quattro numeri, che non ricordo, e ne usci fuori un terno, che data la modesta giocata di 30 cen
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tesimi presi lire 275. Fu la mia salvezza: raggranellai il resto della somma, e riscattai ii pegno mettendo a posto l'oro prezioso, che avevo come un ladro prudentemente trafugato. Credetemi, non esagero, vi so[...]

[...]enso la Provvidenza, mi ha dato come contropartita, delle grandi soddisfazioni, mi sono sempre forzato a mantenere quel prestigio che ad ogni uomo onesto s'impone, sobbarcandomi ad ogni specie di lavoro, pur di avere l'orgoglio, che col mio sudore, dovevo portare avanti la famiglia. Purtroppo però per tante difficoltà, avevo bisogno di essere coadiuvato da mia madre, dalle mie sorelle e dalla moglie: queste erano per me delle grandi umiliazioni, perché avrei voluto lavorare solo, ed avere la soddisfazione di dire: Ho io il dovere di portare a casa il necessario. Ma tante cose nella vita non si possono avere, però ricordo ai miei figli (se qualc'uno è ancora scapolo) all'epoca che leggeranno, se pure leggeranno, queste noiose mie memorie, di scegliere bene la compagna della loro vita, una donna che abbia delle doti, non importa se non ha dote, perché solo la buona compagna è capace a farci progredire ed a guidarci, ed a sopportare con rassegnazione il travaglio continuo della nostra vita, piena di dolori, di sagrificio, di privazioni.
Si era arrivato al 1904 e le cose del buffet si avviavano ad un lieve miglioramento, e in quell'anno mio zio Sabino ricevette dal Brasile da un suo cognato, marito della sorella, una rimessa di lire 2.800 con preghiera di comprarci una casetta, perché il loro progetto era quello di vdlersi rimpatriare con la famiglia. Questa rimessa fu di un gran sollievo, perché mio zio Sabino, profittando ohe vi era una pianta disponibile (l'attuale fabricato) alla ferrovia, pensò di iniziare il lavoro, e costruire un fabricato, composto di dodici vani, oltre i scantinati. Si iniziarono i lavori, vennero altre rimesse dal Brasile fino a raggiungere la somma di lire 8.500. La casa fu ultimata, e con l'appaltatore Maiali padre fu stabilito che la resta dell'importo del fabricato venisse pagata in tre annualità. Mio zio Sabino e mia zia Angelarosa si stabilirono nel nuovo fabricato, e segnatamente nella camera attuale n. 8 col balcone prospiciente sul piazzale della st[...]

[...] ordinavo dei maccheroni, carne e vino, gli mettevo una bottiglia di vino di tre quarti per ogni persona, avendo cura di mettere ad ogni uno dei bichieri grandi, ed alle loro proteste, che il vino era troppo, una bottiglia per ciascuno, io gli rispondevo: — Si paga a consumazione —. Ma intanto, le bottiglie erano di tre quarti, i biéhieri erano grandi, le bottiglie si vuotavano presto, e facevano i bis diverse volte. Per me era un lavoro enorme, perché quelli che arrivavano col treno di mezzanotte, bisognava lavorare fino alle due di notte. Alle quattro dovevo riaprire il buffet, quindi il mio riposo era di due ore su di un materasso messo sopra un tavolo, in quella piccola stanzetta umida, che a quarant'anni fu la causa della perdita di tutti i miei denti. Però di contro a tanto lavoro e tanti sagrifizii, vi era l'incoraggiamento del guadagno. Io facevo il fattorino accaparratore di albergo, io il f acchino, io il cameriere, io il padrone: mi trasformavo a secondo del bisogno. Ti guadagno era soddisfacente, perché mentre noi si lavorava co[...]

[...]e il buffet, quindi il mio riposo era di due ore su di un materasso messo sopra un tavolo, in quella piccola stanzetta umida, che a quarant'anni fu la causa della perdita di tutti i miei denti. Però di contro a tanto lavoro e tanti sagrifizii, vi era l'incoraggiamento del guadagno. Io facevo il fattorino accaparratore di albergo, io il f acchino, io il cameriere, io il padrone: mi trasformavo a secondo del bisogno. Ti guadagno era soddisfacente, perché mentre noi si lavorava con centesimi, questi immigranti pagavano con dollari, che in quell'epoca i'l dollaro quotava lire 4,20 italiane. Il bello era, portavo le valigie internamente dalla stazione al buffet e mi regalavano; li servivo a tavola, ed avevo la mancia; li accompagnavo in camera (portando le valigie), ed avevo altre regalie. e mia zia Angelarosa, mia moglie Vincenzina, mio zio Sabino in cucina ridevano a crepapelle, per tante mie trovate, per tante mie barzellette. Una sera arrivarono trentadue immigranti, che dal loro vestire avevano l'apparenza di essere molto ricchi (sempre caf[...]

[...]chista col piattino, non lo dimentico mai, raccolse lire 41 che in quell'epoca era una forte somma. La buonanima di Vincenzina, mia moglie, e lo zio Sabino e zia Angelarosa, non potevano fare a meno di commentare le mie gioviali trovate. Quanta ero felice.
Nel gennaio del 1905 rimpatriarono dal Brasile il cognato di mio zio Sabino con la moglie e tre figli, e naturalmente si piazzarono in casa nostra a mangiare e dormire. Ne avevano il diritto, perché mio zio doveva a loro, se si era costruito la casa. Intanto il mio dubbio incominciava a rodermi il cervello, pensando che questi nipoti, due donne e un maschio, giovanotti, potevano farmi dare lo sgambetto, per piazzarsi loro con lo zio, e io con moglie e due figli potevo trovarmi sul lastrico. Affidai il mio destino alle preghiere, ed una forza occulta mi fu di sprone: diventai dinamico, instancabile, e con il lavoro enorme che si era venuto a creare si aveva bisogno di aiuto, di altro personale, e naturalmente mio zio Sabino cercò utilizzare i suoi parenti, che tornati dal Brasile erano di[...]

[...] sempre il parente della Regina e non _del Re), feci breccia nell'animo di zio Sabino, diventando il suo beniamino, e non ebbe lui né il coraggio, né la malvagità di cambiare quell'affetto sincero verso di me.
Intanto però mio zio Sahino cercava una soluzione per liberarsi di cinque persone adulti, che da diversi mesi erano a suo carico, incapaci di mettere, o spostare una sedia da un punto all'altro, ma che in sostanza avevano un certo diritto perché dall'America avevano inviato del denaro, per costruirsi o comprare una casa. E tutto questo non era una cosa facile.
Mio zio Sabino possedeva una casa dopo il palazzo Maioli prima del ponte dell'acquedotto del Serino, composta di quattro vani ed accessorii, e su questa casa era stata ipotecata la dote di mia moglie Vincenzina. Ed un giorno, profittando della malattia di mio zio Sabina, gli suggerii che la questione dei parenti brasiliani si poteva risolvere nei modi seguenti: cedere a costoro la casa di quattro vani, su cui era gravata l'ipoteca, facendo passare detta ipoteca alla casa fabri[...]

[...]esso, ma sarai tu responsabile, direttore —. Perciò nei pochi righi qui avanti vi dicevo che debbo la mia fortuna alle circostanze del pranzo, che cementarono l'affetto tra me e mio zio Sabino, che nel 1907 fece il testamento a mio favore, mercè sempre l'interessamento del compare Ciro Fusco.
Lascio a voi descrivere la mia gioia e quella di Vincenzina mia moglie, che vedevamo sicuro coronato il premio dei nostri sacrificii, del nostro lavoro, e perché no? delle nostre privazioni. E dico privazioni, perché non ho voluto descrivere minuziosamente qualche difetto di mio zio Sabino, difetto sopportato da me e dalla povera mia Vincenzina con francescana rassegnazione, poiché mentre ai clienti che non pagavano gli si dava da mangiare, bere, dormire, sigarette e servitù, a noi veniva lesinato un poco di caffè nél latte per i bambini, Amato e Sabino, e che la madre doveva mandare a comprare 4 soldi per volta, dal padre di Esterina, Nicola Magliaro, che aveva negozio ad Atripalda. E quanti pianti a tavola, perché i piccoli Amato e Sabina non gli piaceva il formaggio (mentre oggi ne vogliono una grattug[...]

[...]tto di mio zio Sabino, difetto sopportato da me e dalla povera mia Vincenzina con francescana rassegnazione, poiché mentre ai clienti che non pagavano gli si dava da mangiare, bere, dormire, sigarette e servitù, a noi veniva lesinato un poco di caffè nél latte per i bambini, Amato e Sabino, e che la madre doveva mandare a comprare 4 soldi per volta, dal padre di Esterina, Nicola Magliaro, che aveva negozio ad Atripalda. E quanti pianti a tavola, perché i piccoli Amato e Sabina non gli piaceva il formaggio (mentre oggi ne vogliono una grattugia) e dovevano mangiarselo per forza. La carne la mia povera zia ce lo doveva dare di nascosto, e tante e tante altre cose, che non vale la pena elencarle.
Prego i miei nipoti di prenderne atto, non esagero...
Si era arrivato nel 1908. E' vero che era pieno di responsabilità, gli affari progredivano giorno per giorno, le cambiali ed altri debiti venivano gradualmente eliminati, avevo anche eliminato i clienti morosi. Chi non pagava alla fine del mese, non aveva più niente, le cose andavano normalizzand[...]

[...] che non vale la pena elencarle.
Prego i miei nipoti di prenderne atto, non esagero...
Si era arrivato nel 1908. E' vero che era pieno di responsabilità, gli affari progredivano giorno per giorno, le cambiali ed altri debiti venivano gradualmente eliminati, avevo anche eliminato i clienti morosi. Chi non pagava alla fine del mese, non aveva più niente, le cose andavano normalizzandosi poco per volta, lavoravo molto dippiù, ma ero tanto felice, perché incominciavo a sentirmi un poco più sicuro del mio avvenire, o meglio dell'avvenire dei miei due figli. Avevo trent'uno anno, con tanto lavoro di vent'anni e con figli grandicelli, non ero ancora proprietario di un pacchetto di sigarette. Avevo estinto il debito dello zio Francesco Bocchino, il residua del mio commercio delle terraglie lo avevo dato al mio povero padre, per farlo continuare a vivere, eppure ero tanto tanto felice. Ricevevo solo dei rimproveri dalla mia povera Vincenzina
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 95
mia moglie, perché lavoravo troppo e tutte le sere mi ritiravo pieno [...]

[...] due figli. Avevo trent'uno anno, con tanto lavoro di vent'anni e con figli grandicelli, non ero ancora proprietario di un pacchetto di sigarette. Avevo estinto il debito dello zio Francesco Bocchino, il residua del mio commercio delle terraglie lo avevo dato al mio povero padre, per farlo continuare a vivere, eppure ero tanto tanto felice. Ricevevo solo dei rimproveri dalla mia povera Vincenzina
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mia moglie, perché lavoravo troppo e tutte le sere mi ritiravo pieno di sudore, anche nei mesi freddi. Pensavo tra me e dicevo a me stesso: — Con questa vita che faccio, morirò presto —. Invece il destino, la Provvidenza non mi abbandonava: al momento che scrivo ho sessantasette anni, seguito a lavorare, seguito a vivere.
Intanto la salute di mio zio Sabino peggiorava giorno per giorno per la malattia di gotta che soffriva, e il 18 febbraio del 1909 morì, lasciando nel dolore la moglie zia Angelarosa, noi tutti e tutti coloro che lo avevano conosciuto, e che a tutti aveva beneficato. Effettuai dei solenni fune[...]

[...]e nella camera n. 8 abitata dal defunto zio Sabino, e alla stanzetta attigua n. 7 si trasferì la zia Angelarosa, con i miei due figli Amato e Sabino, mentre nel basso, dove attualmente esiste la trattoria di Melella Giordano, abitava mio padre, mia madre, e le mie due sorelle, tornate da S. Giorgio del Sannio.
Il lavoro del buffet era di molto aumentato: poco per volta pagai tutti i debiti lasciati dal mio povero zio, fino all'ultimo centesimo, perché non volevo che si parlasse male di mio zio defunto. Posso garantirvi che la mia felicità era completa, lavoravo con la mia povera moglie Vincenzina senza limiti.
Nel novembre del 1909 avvenne un forte diluvione nella provincia di Salerno, producendo fortissimi danni, con la caduta di un ponte ferroviario e con la distruzione di parecchi chilometri della ferrovia. E proprio in quell'epoca vi doveva essere un forte passaggio di truppe che dovevano prepararsi per la Libia, e tutte queste truppe dovettero passare per molti giorni per Avellino, finché non fosse riattivata la ferrovia nel Salernit[...]

[...]nistrato delle cartine astringenti credendo fosse diarrea, mentre era un emoraggia interna. Certo, o il destino crudele, o la fatalità di un errore, la mia povera Vincenzina alle ore 22 del 1° luglio volò la sua anima al cielo, lasciando nel più duro dolore a me e i poveri figli in età che avevano ancora bisogno della guida amorosa e materna. La cosa più tragica, che dovemmo nascondere al mio povero padre la grande sventura che mi aveva colpito, perché mio padre voleva piú bene a lei, che a me. Ma al mattino seguente, il 2 luglio, i gridi e i pianti dei poveri figli Amato e Sabino (che io la sera prima avevo fatto allontanare, inviandoli a casa di mia madre) e tutti i parenti di Montefusco, fecero intravedere la realtà della sventura al mio povero padre, che mi volle al suo capezzale, e fondere le mie lacrime alle sue. Mio padre che (secondo il Dottore Aufieri) doveva morire, visse ancora ventotto giorni, e quel santo uomo che sopportò con tanta rassegnazione le sue sofferenze, per non arrecarmi altri Mori, tutte le volte, e dieci minuti pr[...]

[...]iorni ritornarono, volevano almeno rinfrancarsi dell'affetto paterno dopo di aver perduto quello materno. Sabino si lasciò convincere andare a Solofra da un nostro compare, che eravamo legati come fratelli, ma dopo pochi giorni si ammalò di scarlattina, dibattendosi fra la vita e la morte, tenendomi nascosto ogni cosa. Una domenica volli andare a trovarlo, e quale fu la mia sorpresa vederlo seguire scalzo, con un cero acceso, ad una processione, perché era una festa e la commare di Solofra gli aveva fatto fare un voto se si sarebbe salvato, e came infatti si salvò.
Così si chiuse il primo episodio della mia vita travagliata che non conobbe altro che lavoro sacrificii, privazioni, e che avrebbe dovuto godere qualche poco di felicità. Rimanere privo di un padre che mi coadiuvava, e la moglie che mi seguiva nel lavoro fino all'eroismo! E giuro che al momento che scrivo questi tristi ricordi, e che son passati 36 anni, mi si chiude la gola come se volessi strozzarmi per un rimorso (che mi rimarrà eternamente), se rimorso si può chiamare, per n[...]

[...]ore).
Certo però, e questo posso giurarlo, che mai e poi mai mi sarei sposato in seconde nozze, con un'altra donna, al solo pensiero che mi avrebbe maltrattato i due figli, che per lei erano estranei. Passarono ancora tre mesi, e il padre diede il suo consenso, ma sempre con titubanza. Si andò avanti cosí, ma io mi avvedevo che le cose del buffet non andavano troppo bene, e che cuoco, cameriere e persone estranee dovevano sottrarmi della merce, perché vedevo dal mio bilancio anche mensile, che non potevo continuare. Tirai avanti per tredici mesi, e mi decisi lasciare il buffet, vendendo tutti i suppellettili al mio successore Avagliano padre, rimanendo solo l'albergo con l'accordo col nuovo proprietario, che ci saremmo scambiati i clienti da me per dormire e da lui per mangiare. Rimasi per due mesi senza far nulla ma pensai subito, che se avessi continuato cosí, la mia vita sarebbe stata breve, poiché da una attività intensa, non si può passare ad una passività completa. A questo si aggiunge anche la riprovazione del mio futuro suocero per[...]

[...] Avagliano padre, rimanendo solo l'albergo con l'accordo col nuovo proprietario, che ci saremmo scambiati i clienti da me per dormire e da lui per mangiare. Rimasi per due mesi senza far nulla ma pensai subito, che se avessi continuato cosí, la mia vita sarebbe stata breve, poiché da una attività intensa, non si può passare ad una passività completa. A questo si aggiunge anche la riprovazione del mio futuro suocero per questo secondo matrimonio, perché pensava che sarei rimasto in mezzo a una strada. Mi diedi da fare, chiamai Raffaele Petrillo, padre di Orlando, e feci fare i scaffali alla meglio, per iniziare alla meglio la vendita di coloniali, liquori, riso, pasta e olio. Possedevo un capitale liquido di circa 10 mila lire, somma colossale per quell'epoca, e il mio programma fu quello della pasta alimentare: vendere tale articolo quasi a prezzo di costo, come specchio per le allodole. Mi portai a Gragnano e mi presentai dai fratelli Parlato, uno dei primi pastificii di Gragnano, famoso per esportatore in America in quell'epoca, ed ottenn[...]

[...]icolo, ai piccoli dettaglianti.
Ero molto soddisfatto, avevo l'aria già di un grande grossista: dall'acquisto di kg. 5 cioccolato, incominciavo a ritirare dalla Svizzera (Compagnie Suisse di Lugano) i primi kg. 50 di cioccolato speciale a lire 2.60 il chilo franco Avellino con pagamento a 60 giorni tratta, e così per lo zucchero, caffè, pepe ecct. Durante questo periodo, la mia povera Amelia, zia Angelarosa si occupavano per la vendita a minuto perché erano diventate molto provette, ed io mi incaricavo per la vendita all'ingrosso, e per gli acquisti. La mia casa si allietò del primo figlio Carlo, poi Vincenzina che insieme a Umberto, e Mario venuti dopo, furono cresciuti su sacchi di pasta, farina, e persino nei tiretti del caffè, senza tante sottigliezze, né bambace, né
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paramenti di seta, merletti ecct., ma solamente con l'affetto materno e paterno: á. quali gioivano, lavorando e cantando. Che bei giorni felici! Si andò avanti fino al 1914, epoca che scoppiò la prima Guerra Mondiale, guerra sentita d[...]

[...] dovevo prepararmi ogni cosa, e cioè pacchi di pasta da 123 chili e così per lo zucchero. Però la sera ero aiutato dalle figlie del controllore Venturi, che eravamo più che parenti e spesse volte la sera a mezzanotte si finiva a maccheroni aglio ed olio cucinati sapientemente da mia suocera o, meglio, zia Cristina.
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Si andò avanti cosí fino al 1916, venne il richiamo di mio figlio Amato, e fu per me un grande dispiacere, sia perché esso veniva tolto dagli studii, sia perché aveva solo diciassette anni, e fino a quella età non aveva conosciuto privazione, disagi. Fu destinato al 3° Genio telegrafista con destinazione a Firenze, perché io, prevedendo il suo richiamo, gli avevo fatto apprendere in ferrovia l'esercitazione all'ufficio telegrafico. Dolorosamente la sua partenza capitò verso la fine di giugno arrivando a destinazione il 1° luglio, anniversario della morte di sua madre. E ricordo la prima lettera scritta da lui che mi accennava di aver dormito sulla paglia, la prima volta, e la triste coincidenza di data, e fu per me il primo pianto e lo strazio doloroso di un figlio lontano. Però, sempre diplomatico, cercò tutti i mezzi di evitare fare le prime nozioni della recluta con i suoi disagi. Dopo tre mesi vi fu un cor[...]

[...]zi detto, di avere l'esonero). Ma pensavo che se questo esonero andasse a monte, avrei dovuto rimanere l'azienda a due donne con due figli, di cui tre piccoli.
Andai a casa con altri otto della mia classe, di Avellino e provincia, e dopo di aver aspettato quattro ore vidi passare un Maggiore medico, mi avvicinai e dissi — Signor Maggiore, siccome siamo di Avellino, vi saremmo molto grati se ci visitaste al più presto: tanto la visita è inutile, perché se ci fondete tutti nove non riuscireste fare un soldato. — Facendo dello spirito, risultato: tutti abili.
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Comunque ebbi l'esonero, fui subito incaricato per gli acquisti. Da un mese la città era senz'olio, e in due giorni comprai ad Andria q.li 450 olio, dalla Sardegna 250 q.li di formaggio, tanto che ebbi un elogio dal Prefetto, il quale mise a mia disposizione fondi e personale. Ero soddisfatto, sia per l'esonero, che mi dava l'agio di guardare la mia azienda. La notte per me non esisteva, la passavo in treno, sui carretti, e pur di fare bella figura [...]

[...]antina chiedendomi in francese una camera, e fu molto soddisfatto quando gli risposi anche in francese che potevo ospitarlo. Presi le sue generalità, e gli domandai che cosa fosse venuto a fare,
e con tutta la franchezza mi disse che doveva acquistare 45 mila q.li di vino. Allora gli risposi che ero mediatore di vino (cosa che non avevo mai esercitato) e lui tutto contento di essersi imbattuto in me che gli faceva da mediatore, e da interprete, perché non conosceva neanche una parola di italiano. Dal suo vestire dimesso non gli si attribuiva l'aria di un milionario quale effettivamente era, e mi raccontò tutta una storia. Nativo di un paese di confino con la Germania (Epinal) dove aveva due stabilimenti vinicoli, e un altro in Svizzera era stato espulso dalla Francia per tre anni (non gli domandai per delicatezza il motivo) e durante la guerra '14'18 Epinal fu occupato dalla Barbaria Tedesca, che invase i due stabilimenti, saccheggiando centinaia di migliaia bottiglie di champagne, e centinaia di migliaia [di] ettolitri di vino. Due figli [...]

[...]heggiando centinaia di migliaia bottiglie di champagne, e centinaia di migliaia [di] ettolitri di vino. Due figli in guerra, e una sola signorina figlia, che ebbe l'astuzia di murare in uno scantinato denaro gioie
e titoli che possedeva. Volle condurmi a cena nel buffet, e mi accorsi che aveva per me già una simpatia. Il mattino seguente ci mettemmo in viaggio per i possibili acquisti di vino. Dimenticavo dire che lui si era diretto ad Avellino perché conosceva le pregiate qualità.
Nolleggiammo una carozza e ci recammo a . Pratola, Tufo, e Altavilla, ma rimase poco soddisfatto per le qualità, perché voleva un tipo piú leggiero, allora gli consigliai di andare nel Nolano. Il giorno dopo ci recammo a Nola dirigendosi dal comm.re Giugliano mio amico,
e dopo l'assaggio di diversi campioni, mi disse sottovoce che era ottimo. Prima di stringere l'affare mi riservai dal compratore e dal venditore centesimi 50 per quintale per ciascuno (in quell'epoca la mediazione era di soli 25 centesimi). Conclusero il contratto alla presenza di un avvocato per 5 mila quintali di vino al prezzo di lire 12.50 per q.le, messo in una stazione della Campania in serbatoi
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del compratore. Feci[...]

[...]17 caricai 156 vagoni: certo, un lavoro non indifferente, il giorno nelle campagne nostre e nel serinese ed alla sera l'andamento del mio negozio e spaccio comunale. Non conoscevo stanchezza, non conoscevo riposo, conoscevo solo la soddisfazione morale e il conforto che solo una moglie intelligente sa dare.
A titolo di cronaca, queste patate che spedivo a Roma venivano vendute dagli spacci comunali lessate a lire 0.60 il chilo, prezzo politico, perché costavano crude molto di piú. Non voglio atteggiarmi a vittima del lavoro o del sagrificio, ma vi prego di credermi che se avessi quella età e quel conforto familiare, incomincerei da capo.
Che cosa non ho fatto in vita mia, tutti i mestieri, e tutti riuscivano a meraviglia, perché fatti con passione.
Utilizzai quei guadagni fatti col vino, patate o fagioli, nocciole, mele ecct. fabbricando il seguito a quello vecchio, — prevedendo la sistemazione dei primi figli Amato e Sabino, che si sposarono e furono sistemati. E nelle tre camere al primo piano del nuovo fabricato la prima fu adibita a salottino e passaggio, la seconda a camera da letto di Sabino, e la terza a camera da letto di Amato, mentre tutto il secondo piano fu esibito tutto per Albergo.
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da intervento di Giovanni Bacci, Una mozione d'ordine (sull'inversione dei punti all'ordine del giorno) in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]d è del pari evidente, che, in questa discussione, entrerà di straforo la questione di quello che abbiamo fatto fino ad oggi, ed avrà piena cittadinanza di discussione quella che rappresenta l'avvenimento storico piú saliente di questi ultimi tempi, cioè il Congresso della Terza Internazionale.
È evidente, quindi, la necessità di invertire l'ordine del giorno, ed io ritengo che non occorrano altre parole per sostenere questa assoluta necessità, perché se occorresse qualche altra parola, io vi vorrei domandare come potremo discutere la relazione morale del nostro Partito attuale, la relazione politica, senza che si affaccino ad ogni momento nelle nostre discussioni il pro ed il contra di quello che ha già discusso Mosca.
Come si potrebbe evitare la discussione dello sciopero metallurgico, in cui due tendenze cozzavano nell'ambito dei mezzi per allargare o restringere, o limitare il movimento allora scoppiato? E come potremo evitare che questa discussione sullo sciopero dei metallurgici non dilaghi nelle due scuole che si affacciano ed esis[...]

[...]cuta subito, in luogo del terzo punto il comma che è al sesto posto, cioè « indirizzo politico del Partita », e che a questa questione si allacci la questione di cui al punto quinto, relativa al Congresso di Mosca, e che in seguito, se il Congresso lo crederà, si scenda alla discussione della relazione fatta dalla Direzione del Partito.
BACCI GIOVANNI: A nome della frazione unitaria, e l'unità non è un fantoccio per noi... (applausi vivissimi), perché noi sentiamo che l'unità è l'anima stessa del proletariato... (applausi vivissimi e prolungati. Commenti ironici da parte dei comunisti), a nome della frazione unitaria, e per le stesse ragioni svolte dal compagno Misiano, dichiaro
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che la nostra frazione accetta l'inversione dell'ordine del giorno da lui proposta. (Benissimo).
LAZZARI (applausi prolungati. Grida di « Viva Lazzari »): Compagni, data la premessa fatta dal compagno Bacci, io mi sarei aspettato che la sua conclusione fosse per domandare che l'ordine del giorno fosse trattato cosí come ci è stato presentato. E sono stato ass[...]

[...]andare che l'ordine del giorno fosse trattato cosí come ci è stato presentato. E sono stato assai sorpreso di sentire il compagno Bacci concludere in modo del tutto contrario alla sua premessa.
Io sono qui per domandare ai compagni del Congresso che essi respingano la domanda di inversione dell'ordine del giorno, sia in omaggio a quel principio di unità di cui è stata rivendicata la dignità dal compagno Bacci, sia per una ragione di necessità.
Perché io capisco che lo zelo dei nostri compagni, dei quali si è fatto eco il compagno Misiano, li porti qui a dire: sentite, tutte le materie che sono all'ordine del giorno e che riguardano delle questioni interne di Partito, che riguardano il suo andamento, i fatti da esso compiuti, la sua storia di questi anni che passano dal Congresso di Bologna ad oggi, possono essere considerate come accessorie, e la questione principale è quella dell'indirizzo del Partito; ma io vi dico, o compagni, che noi siamo venuti qui al Congresso per potere acquistare tutte quelle cognizioni che ci sono necessarie, on[...]



da intervento di Costantino Lazzari, Una mozione d'ordine (sull'inversione dei punti all'ordine del giorno) in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]andare che l'ordine del giorno fosse trattato cosí come ci è stato presentato. E sono stato assai sorpreso di sentire il compagno Bacci concludere in modo del tutto contrario alla sua premessa.
Io sono qui per domandare ai compagni del Congresso che essi respingano la domanda di inversione dell'ordine del giorno, sia in omaggio a quel principio di unità di cui è stata rivendicata la dignità dal compagno Bacci, sia per una ragione di necessità.
Perché io capisco che lo zelo dei nostri compagni, dei quali si è fatto eco il compagno Misiano, li porti qui a dire: sentite, tutte le materie che sono all'ordine del giorno e che riguardano delle questioni interne di Partito, che riguardano il suo andamento, i fatti da esso compiuti, la sua storia di questi anni che passano dal Congresso di Bologna ad oggi, possono essere considerate come accessorie, e la questione principale è quella dell'indirizzo del Partito; ma io vi dico, o compagni, che noi siamo venuti qui al Congresso per potere acquistare tutte quelle cognizioni che ci sono necessarie, on[...]

[...]l giorno, formulata dal compagno Misiano, la metto a partito.
È approvata, dopo prova e controprova. (Applausi).
E, allora, do la parola al compagno on. Graziadei, come uno dei relatori.
Discorso Graziadei
GRAZIADEI, relatore: Compagni, quale sia il fine che ci proponiamo, risulta dai modesti documenti che i seguaci della circolare Marabini hanno reso noti a suo tempo al Partito.
Noi non siamo una frazione, siamo una circolare... (si ride), perché il fine stesso che ci proponiamo è tale da non richiedere, anzi, è tale da persuadere di evitare la costituzione di una frazione.
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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Caracciolo, A proposito di Gramsci, la Russia e il movimento bolscevico in Studi gramsciani

Brano: [...]ciste, se ne aggiungono altre. Vi è intanto una povertà di documentazione da parte di testimoni oculari. I protagonisti della Internazionale comunista, che potevano recare importanti testimonianze da vari angoli visuali, sono in gran parte scomparsi, o nelle rare pubblicazioni memorialistiche hanno mostrato di restare strettamente legati, nella protesta o nella disciplina, agli strascichi attuali di antiche polemiche. Questo non ci fa disperare, perché è nel mestiere dello storico muoversi fra testimonianze nelle quali la verità è offuscata da mille circostanze soggettive. $ però, in un campo già scarso di documentazione, una nuova ragione di cautela critica.
Vi è poi un altro fatto deplorevole, ed è la mancanza assoluta, al giorno d'oggi, di fonti russe utili a questo genere di ricerca: carte degli archivi di partito, di governo, della Internazionale. La questione è stata
98 I documenti del convegno
sollevata piú volte, per esempio al congresso internazionale di scienze storiche dei 1955, per quanto riguarda gli archivi diplomatici. Lo [...]

[...]a anche dall'idealizzazione, dalla trasposizione in una propria diversa inquadratura politica del grande rivolgimento in atto. Sono gli anni dell'entusiasmo essenzialmente libertario per questo nuovo edificio che sarà « una organizzazione della libertà di tutti e per tutti, che non avrà nessun carattere stabile e definito, ma sarà una ricerca continua di forme nuove, di rapporti nuovi, che sempre si adeguino ai bisogni degli uomini e dei gruppi, perché tutte le iniziative siano rispettate purché utili, tutte le libertà siano tutelate purché non di privilegio » 2.
Qualche cosa di questa volontà di interpretare la esperienza russa in un modo piú prossimo alla propria esperienza nazionale che allo svolgimento obiettivo dei fatti, seguita anche nel periodo di maggiore responsabilità politica di Gramsci. Non vi è in questo né una incapacità di osservazione né in alcun modo una mistificazione. Vi è piuttosto, da un lato il risultato di quel lungo isòlamento dei socialisti italiani dalla vicenda russa, che Gramsci stesso aveva deplorato 3, e dall[...]

[...]solo dalla massa stessa e solo attraverso i Consigli di fabbrica. La massa non si lascerà piú lusingare dalle promesse mirabolanti dei capi sindacalisti quando si abituerà, nella pratica dei Consigli, a pensare che non esistono diversi metodi nella lotta di classe„ ma uno solo: il metodo che la massa stessa è capace di attuare, con suoi uomini di fiducia, revocabili ad ogni istante; quando si convincerà che i tecnici dell'organizzazione, appunto perché tecnici, perché specialisti, non possono essere revocabili e sostituibili, ma se non possono essere revocabili e sostituibili devono essere limitati a funzioni puramente amministrative, non devono avere nessun potere politico. Tutto il potere politico della massa, i1 potere di indirizzare i movimenti, il potere di condurre la massa alla vittoria contro il capitale, deve essere degli organismi rappresentativi della massa stessa, del Consiglio e del sistema dei Consigli, responsabile dinanzi alla massa, costituito di delegati che, se appartengono al Partito socialista oltre che alle organizzazioni sindacali, s[...]

[...]è quello che per Gramsci garantisce che vi sia pienezza di egemonia proletaria, e organica partecipazione alla direzione statale. Attraverso il controllo esercitato dai Consigli, « la classe operaia, essendosi conquistata la fiducia e il consenso delle grandi masse popolari, costruisce i1 suo Stato » 2. Il momento dell'egemonia, del consenso è essenziale alla rivoluzione.
Ora per Gramsci l'esempio russo soddisfa compiutamente a questa esigenza. Perché « in Russia tende a realizzarsi cosí il governo col consenso dei governati, con l'autodecisione di fatto dei governati, perché non vincoli di sudditanza legano i cittadini ai poteri, ma si avvera una compartecipazione dei governati ai poteri. I poteri esplicano una immensa opera educatrice, lavorano a rendere colti i cittadini, lavorano alla realizzazione di quella Repubblica di saggi e di corresponsabili che è il fine necessario della rivoluzione socialista... » 3.
Emerge l'idea di una egemonia che deve essere in atto già prima della rivoluzione, e nel corso di essa e dello stabilimento delle basi del nuovo Stato; l'idea di uno Stato che si crea attraverso un lungo lavoro preparatorio, un periodo e una lotta median[...]

[...]a rivoluzione. Per questo egli, vedendo la Rivoluzione russa di lontano, non poteva immaginarla che come un blocco di consapevolezza e di egemonia bene acquisita. Egli riteneva che tanto il proletariato industriale quanto quello agricolo fossero preparati, anche culturalmente, alla direzione della nuova società 1. Insisteva sul « carattere essenzialmente democratica dell'azione bolscevica, rivolta a dare capacità e coscienza politica alle masse, perché la dittatura del proletariato si instaurasse in modo organico e risultasse forma matura di regime sociale economicopolitico » 2. Sottovalutando le preoccupazioni che i bolscevichi, specialmente dal periodo della N. E. P. in poi, avevano a proposito della immaturità della classe operaia, della ristrettezza del ceto politico dirigente, e della pericolante egemonia sui contadini, respingeva ogni possibilità di soluzione che significasse in qualche modo paternalismo o repressione in luogo di allargamento del consenso.
Non possiamo qui altro che proporre sommariamente questo argomento di grande r[...]



da Massimo Mila, L'antico e il progresso nel carteggio tra Verdi e Boito in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]di Verdi che non fa parte del carteggio 18801900, ma è molto anteriore. È la lettera che Giuseppe Verdi scrisse a Boito nel 1862 per accompagnare il regalo d’un orologio quale ringraziamento per la collaborazione occasionalmente prestata dal ventenne letterato nell 'Inno delle Nazioni, cantata per coro e orchestra che Verdi, così restio a lavori di circostanza, aveva stranamente accettato di scrivere per l’Esposizione Universale di Londra. Forse perché, sotto sotto, lo rimordeva la coscienza del tempo perduto in quel pasticciaccio, regalò a Boito un orologio: « Vi ricordi il mio nome, ed il valore del tempo ». Figurarsi se Boito non avrà scritto una bella lettera di ringraziamento! Ma non ci rimane: né Verdi né Giuseppina Strepponi potevano prevedere che quel giovanotto sarebbe diventato un giorno tanto importante. Ecco un caso tipico di lacuna sicura.

Tra questo preambolo ed il corpus vero e proprio del carteggio sta come un macigno l’episodio che per lunghi anni tese un velo d’incomprenl’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e[...]

[...]Nazioni, Pii novembre 1863, si era rappresentato alla Scala I profughi fiamminghi, prima opera di Franco Faccio, 23 anni, esponente della « giovane scuola » lombarda. In un banchetto per celebrare il successo, contrastato, dell’opera, Arrigo Boito, giovane, scapigliato fautore di quello che allora si diceva l’avvenirismo, avrebbe improvvisato seduta stante la Ode saffica col bicchiere alla mano, dove si brinda « Alla salute dell’Arte italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino ». E si aggiungeva: « Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà Parte, verecondo e puro, / .Su quell’altar bruttato come un muro / Di lupanare ». Con riferimento al festeggiato Faccio, ma fors’anche con un segreto pensierino a se stesso e all’embrionale progetto del Mefistofele.

Purtroppo la cosa non si fermò 11, nell’allegria un po’ goliardica d’un banchetto fra giovani artisti. L’Ode venne pubblicata, il 22 novembre, nel « Museo di famiglia » dell’editore Treves. Verdi la lesse e incassò. In una lettera a Tito Ric[...]

[...]licata, il 22 novembre, nel « Museo di famiglia » dell’editore Treves. Verdi la lesse e incassò. In una lettera a Tito Ricordi commentò asciutto asciutto: « Se anch’io, tra gli altri, ho sporcato l’altare egli lo netti ed io sarò il primo a venire ad accendere un moccolo » (citato in: Giuseppe Verdi, Autobiografia dalle lettere, a cura di Carlo Graziosi [ma: Aldo Oberdorfer], Milano, Mondadori, 1946, pag. 4178, n. 1).

Questo spiega facilmente perché manchino in principio molte lettere di Boito: evidentemente non vennero conservate, trattandosi di persona non grata. A rimuovere questo tremendo ostacolo provvide, molti anni dopo, la paziente diplomazia di Giulio Ricordi, che dopo YAida e le ripetute asserzioni del maestro di avere chiuso col teatro, mal si rassegnava a perdere i prodotti di quella gallina dalle uova d’oro. Come abbia agito piano piano per ristabilire un contatto tra Verdi sdegnato e Boito, che nel frattempo aveva versato alquanto acqua fresca nel vino dei suoi entusiasmi avanguardistici, lo ricostruisce assai bene Mario Me[...]

[...]il di lei nome, e farà risplendere di nuova luce quella carissima Arte italiana (ibidem).

Verdi conosceva bene i suoi polli, ossia i suoi editori, italiani e francesi, ed era l’ultima persona a lasciarsi abbagliare da simili sparate, ma questa volta abbassò prudentemente qualcuna delle sue barriere difensive. Il 10 novembre 1879 accusava pacatamente ricevuta del libretto a Ricordi. « Ricevo in questo momento il ciocolatte. Lo leggerò stasera, perché ora ho la testa imbrogliata d’affari » (prefazione, pag. xxix).

Poi si chiuse nel mistero di un lungo silenzio, almeno allo stato attuale dei documenti. Passano nove mesi di qui alla prima lettera del nostro Carteggio, che reca la data del 15 agosto 1880. Ricordi friggeva. Il 24 luglio scriveva a Boito: « È necessario svegliare un poco il nostro Verdi! (...) Io ho il presentimento che Verdi abbia messo un po’ a dormire il moro! » (prefazione, pag. xxx).

Una lettera di Giuseppina Verdi Strepponi a Ricordi, volta a ritardare la decisiva visita di Boito, tanto patrocinata da Ricordi, illus[...]

[...]accoppiato al suo ». Quasi antiveggendo e confutando in anticipo certe illazioni critiche dei giorni nostri, che vorrebbero attribuire all’influenza di Boito un’azione indebita, e non interamente propizia, sulla natura artistica del maestro, sulla sua spontaneità, Boito precisa: « Se io ho saputo intuire la potente musicalità della tragedia Schakespeariana [sic], che prima non sentivo, e se l’ho potuta dimostrare nei fatti nel mio libretto gli è perché mi son messo nel punto di vista dell’arte Verdiana, gli è perché ho sentito scrivendo quei versi ciò ch’ella avrebbe sentito illustrandoli con quell’altro linguaggio mille volte più intimo e più possente, il suono ». Per convincere Verdi con la sua appassionata protesta Boito non esita a rilasciare una commovente confessione della propria impotenza creativa.158

MASSIMO MILA

Maestro, ciò che Lei non può sospettare è l’ironia che per me pareva contenuta in quell’offerta senza sua colpa. Veda: già da sette od otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro) vivo sotto quell’incubo; nei gio[...]

[...]ià incominciato a lavorare ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito.

Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna e mi scriva presto: Caro Boito fatemi il piacere di mutare questi versi ecc. ecc. ed io li muterò subito con gioja e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell’Arte io nel mondo delle allucinazioni (Lettera 46).

Verdi accettò le scuse, con una certa degnazione.

Lietissimo di questa nostra spiegazione, che era però meglio fosse avvenuta quando tornaste da Napoli. Ripeto anch’io le vostre parole, per ciò che riguarda Otello. Se n’è parlato troppo! Troppo il tempo trascorso! Troppo i miei anni d’età! E troppo i miei anni di servizio1.!! Che il pubblico non abbia a dirmi troppo evidentemente ‘ Basta ’!

La conclusione si è che tutto questo ha sparso qualche cosa di freddo su quest’Otello, ed ha irrigidita la[...]

[...]ra s’intratteneva col suo eccezionale librettista.

Comincia con la Lettera 118 la storia del Falstaff. Una lettera scritta da Montecatini il 16 luglio 1889, che presuppone anch’essa, come già era avvenuto per YOtello, qualche antefatto. Boito doveva aver mandato al maestro uno schizzo dell’opera, quello che ai tempi del Piave Verdi chiamava la « selva », e questo schizzo si è perduto. A Sant’Agata non c’è. Il primo proposito era recentissimo, perché Verdi chiude questa lettera dicendo: « Questo Falstaff o Comari che era due giorni fà nel mondo dei sogni, ora va prendendo corpo, e può diventare una realtà? Quando? Come?... Chi sa! » (Lettera 118). Secondo un articolo di Giulio Ricordi nella « Gazzetta Musicale di Milano » del 30 novembre 1890, il progetto era nato « nell’estate dello scorso anno 1889 », durante una presenza di Verdi a Milano. « Parlando con Arrigo Boito appunto dell’opera comica, questi afferrò la palla al balzo e propose a Verdi un soggetto, e non solo propose, ma con rapidità meravigliosa si può dire che in poche ore ab[...]

[...]lta morbosamente i nervi.

Ma lo scherzo e il riso della commedia esilarano la mente e il corpo.

Lei ha una gran voglia di lavorare, questa è una prova indubbia di salute e di potenza. Le Ave Marie non le bastano, ci vuol dell’altro.

Lei ha desiderato tutta la sua vita un bel tema d’opera comica (...). C’è un modo solo di finire meglio che colYOtello ed è quello di finire vittoriosamente col Falstaff (Lettera 121).

Ci vollero tre anni perché Verdi potesse scrivere, il 20 settembre 1892: « Ho consegnato a Tito il terzo atto di Falstaff » (Lettera 200). La composizione si era svolta abbastanza lentamente, con frequenti soste non dovute, questa volta, ad altre occupazioni, come per l'Otello, ma per vera e propria stanchezza senile. « In quanto al pancione Ahi ahi!!! Non ho fatto nulla!! » (Lettera 154). Oppure: «Ho lavorato poco ma qualche cosa ho fatto » (Lettera 156). « Il pancione non va avanti. Sono sconcertato e distratto » (Lettera 159). Di « quattro mesi perduti » si parla in una lettera di Boito a Verdi (Lettera 162 e n.) e [...]

[...]e: «Ho lavorato poco ma qualche cosa ho fatto » (Lettera 156). « Il pancione non va avanti. Sono sconcertato e distratto » (Lettera 159). Di « quattro mesi perduti » si parla in una lettera di Boito a Verdi (Lettera 162 e n.) e in una di Verdi a Ricordi, e sono i mesi che vanno dal novembre 1890 al marzo 1891,l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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quando Verdi, tra l’altro, aveva dovuto accompagnare la moglie a Milano perché si sottoponesse alle cure del prof. Todeschini. L’8 settembre 1891 Boito scrive tutto allegro: « Ho sentito dire che il Falstaff è terminato. Evviva!! » (Lettera 180), e Verdi è costretto a smentire: «Non è vero che io abbia finito il Falstaff » (Lettera 181). Una lettera dell’11 maggio 1892, quando l’opera è davvero quasi finita, e già si pensa all’esecuzione, ai cantanti, alle scene, ai costumi, denuncia una umanissima crisi nell’artista che si avvicinava all’ottantina: « E poi... Finirò io quello che mi resta a fare?... In questo momento mi sento così stanco, così svogliato che mi pare imp[...]

[...]oro collaborazione. Ma da un punto di vista più propriamente critico, quali prospettive apre questa pubblicazione?

Si tenga presente che non si tratta, per lo più, di inediti. Su 301 lettere sono totalmente inedite 81, e non delle più importanti, salvo una mezza dozzina. Spesso sono biglietti brevi degli ultimi anni, qualche volta162

MASSIMO MILA

dispacci telegrafici. Le altre, quelle più significative, sono note in tutto o in parte, o perché pubblicate isolatamente, o perché citate parzialmente — sbocconcellate, per così dire — dagli studiosi che hanno avuto la fortuna di prenderne conoscenza. Non c’è quindi da aspettarsi capovolgimenti critici o rivelazioni sensazionali, anche se il collegamento organico costituisce un quadro d’insieme ben più completo di quello che si poteva ipotizzare quando la conoscenza di queste lettere era sparpagliata.

Ma il fatto è che proprio il carteggio tra Verdi e Boito riveste oggi caratteri di attualità eccezionale. Tutte le lettere di Verdi sono preziose, si capisce, ma si dà il caso che il rapporto VerdiBoito sia, come si suol[...]

[...]lpa vostra) non aumenti sino alla fine. Il punto culminante è al finale del Second’Atto (...). Temo anche che l’ultimo Atto, malgrado quel po’ di fantastico, riesca piccolo con tutti quei piccoli pezzi Canzoni Ariette et. et. » (Lettera 118). E così è rimasto, malgrado l’ingegnosa giustificazione di Boito che invocava il diverso regime teatrale di comico e tragico (« Nella commedia quando il nodo sta per sciogliersi l’interesse diminuisce sempre perché il fine è lieto», Lettera 119, scritta a Milano il giorno dopo di quella di Verdi da Montecatini!), e malgrado gli sforzi spesi dai due artisti per rimediare al difetto. L’occhio di lince di quell’infallibile uomo di teatro ch’era il vecchio Verdi aveva visto giusto.

Ma è vero che nel Falstaff sono meno frequenti i suoi interventi per chiedere correzioni e ritocchi. Genova, 17 marzo 1890: « Il primo Atto è finito senza nissun cambiamento nella poesia; tale e quale me l’avete dato Voi. Credo che lo stesso avverrà del second’Atto, a meno di qualche taglioL’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGI[...]

[...]rdi, « l’orchestra rugge, ma rugge piano. È necessario, però, che alla fine anche l’orchestra faccia sentire la sua formidabile voce (...). Avrei quindi bisogno di due versi, per far gridare tutto il mondo. Che in questi versi non manchi la parola Vendetta! » (Lettera 23).

Di Boito è invece la saggia esortazione a « evitare il cambiamento di scena » nel primo Atto (dopo il Prologo) per il dialogo dell’agnizione tra Amelia e Boccanegra. Primo, perché « tre scene in un atto mi pajono troppe, distruggono quell’impressione di unità così necessaria alla vita bene organizzata dell’atto ». Ma soprattutto: « Pensi che di tutto il dramma questo giardino è la sola scena ridente. Tutte le altre sono gravi, solenni o cupe. Vi abbondano troppo gli interni: Sala del Consiglio, Camera del Doge, aula Ducale. Poiché in questo principio del prim’atto siamo all’aria aperta, restiamoci più che possiamo » (Lettera 16). È un’accorta riflessione teatrale, che va alla radice dei difetti da lui impietosamente segnalati nel vecchio libretto di Piave, con la lunga[...]

[...]« Povero Otello, Non tornerà più qui!! » (Lettera 88). Ancora due anni dopo sentivano quel gran vuoto. « Basta », scriveva Boito dalla villeggiatura canavesana di San Giuseppe, il 9 ottobre 1888, « Vorrei che ritornasse quel tempo quando ogni nostra lettera aveva per tema lo studio d’una grande opera d’arte » (Lettera 107). Verdi si baloccava con la scala enigmatica d’un’Ave Maria, e Boito quasi lo prendeva in giro: « Molte Ave Maria ci vogliono perché Lei possa farsi perdonare da S. S. il Credo di Jago » (Lettera 115). Salta fuori perfino (nota alla Lettera 117) la notizia sorprendente del progetto verdiano d’un poema sinfonico su La notte dell’innominato, ne parlò in un articolo su Manzoni e Verdi ne « La Lettura » nel giugno 1923, un misterioso X. Y., che asseriva di tenerne il racconto da Boito, con particolari circostanziati sulla trama sonoranarrativapsicologica del lavoro.

Perciò si capisce la prontezza con cui fu accolta da Verdi la proposta del Falstaff, sapientemente architettata da Ricordi con la complicità di Boito. « Facciam[...]

[...]a i matrimoni ci vogliono, senza le nozze non c’è contentezza (...) e Fen. e Nan. devono sposarsi. Quel loro amore mi piace, serve a far più fresca e più solida170

MASSIMO MILA

tutta la commedia. Quell’amore la deve vivificar tutta e tanto e sempre per modo che vorrei quasi quasi eliminare il duetto dei due innamorati ».

O come mai voleva eliminare il duetto degli innamorati, se a questo amore dei giovani ci teneva tanto? Evidentemente perché avrebbe voluto farne una specie di basso continuo, anzi, ostinato, di tutto Vatto, e il duetto gli pareva forse che lo isolasse indebitamente nella nicchia di un pezzo ben definito. Sotto sotto, non si andrebbe forse lontano dal vero subodorando qui un caso di conflitto tra Pideale del dramma musicale, sostenuto dal modernismo di Boito, e il vecchio tipo di melodramma a forme chiuse, a cui nemmeno nel Falstaff Verdi intendeva infliggere un ostracismo totale. E il duetto, che Verdi aveva esplicitamente approvato nella lettera precedente (« È meglio il Duettino Fan. Nan. nella prima Parte »), r[...]

[...]liggere un ostracismo totale. E il duetto, che Verdi aveva esplicitamente approvato nella lettera precedente (« È meglio il Duettino Fan. Nan. nella prima Parte »), restò.

Il 18 agosto 1889 fa capolino l’idea della fuga che coronerà l’opera. « Voi lavorate spero? Il più strano si è che lavoro anch’io!... Mi diverto a fare delle fughe!... Si signore: una fuga... ed una fuga bufa... che potrebbe star bene in Falstaff!... Ma come una fuga buffa? perché buffa? direte Voi?... Non so come, né perché ma è una fuga buffai », Lettera 128).

Boito s’affrettò ad approvare. « Una fuga burlesca è quella che ci vuole, non mancherà il posto di collocarla. I giuochi dell’arte sono fatti per l’arte giocosa » (Lettera 129). In Boito c’era un pizzico di dannunzianesimo avanti lettera. Non per niente aveva preceduto l’immaginifico nel letto, diciamo nei favori di Eleonora Duse. E chi dubitasse della sua venerazione per Verdi e della sincerità delle attestazioni dirette che gliene faceva, dovrebbe considerare le dichiarazioni a terze persone, in particolare all’attrice cui lo legava allora una passio[...]

[...]lo aveva interrogato sui suoi propositi, attribuendogli l’intenzione di musicare un Romeo e Giulietta (« Vous en mourez d’envie »), non solo aveva potuto onestamente smentire questa ipotesi, ma aveva anche avuto la faccia tosta di non dire una parola sul Falstaff a cui stava lavorando: « Je vous affirme qu’Otello est ma dernière oeuvre » (note alla lettera 147).172

MASSIMO MILA

Chissà come s’era divertito a dire sostanzialmente la verità, perché certo, finché il Falstaff non fosse finito, VOtello era la sua ultima opera!

Subentrano poi problemi di scene, di costumi, di regìa e di cantanti. Verdi spedisce Boito di qua e di là, ad ascoltare soprani e contralti (la parte del protagonista era da sempre destinata a Maurel, anche se Verdi gliela faceva cader dalPalto). Come Quickly, Boito avrebbe visto bene la giovane Guerrina Fabbri, che infatti lo diventerà, ma assai più tardi, con Mugnone e poi con Toscanini. Per la « prima » Verdi preferì la più esperta Giuseppina Pasqua. In un Don Pasquale al Teatro Manzoni pareva a Boito « d’aver [...]

[...]di non condivideva. L’arrabbiatura che si prese quando il critico Noseda riferì sul « Corriere della Sera » da Berlino, dove

il Falstaff era stato rappresentato il 6 marzo 1894: « Fa piacere annunciare un vero successo del Falstaff senza il bis del Quand’ero paggio »! (Il Noseda firmava i suoi articoli con uno pseudonimo ch’era tutto un programma: Misovulgo.) « Cosa vogliono questi avveniristi, questi i... », insorse Verdi (Lettera 214).

E perché in un’opera comica non si potrà fare una cosa leggera e brillante? In che offende l’estetica quel piccolo squarcio? Lascio da parte il motivo musicale, ma è in situazione. Falstaff deriso per la grossa pancia dice quando ero paggio ero sottile... È scritto bene per la voce; è istromentato leggermente; lascia sentire tutte le parole non disturbate dai soliti contrappunti (mal educati) che interrompono il discorso principale: armonizzato correttamente... Che male c’è dumque [sic] s’è riuscito popolare?!!... E così si fa la critica! Poco male per me che ho finito, e poi io non ci bado come non v[...]

[...]assano la loro vita all’albergo della Giarrettiera (...). Io non ricordo e credo che non si sia visto mai, un’opera la quale abbia saputo penetrare come questa nello spirito e nel sangue d’una popolazione » (Lettera 203).

In realtà, invece, Boito doveva rendersi conto ch’era penetrata ben poco e che s’era trattato d’un successo di stima, soprattutto di ammirazione per la tarda età del maestro. Di qui la sua insistenza, nella medesima lettera, perché Verdi presenzi alla rappresentazione di Roma (per Otello non ci era andato). « Una forma d’arte novissima com’è questa del Falstaff non deve essere abbandonata dall’autore dopo un primo esperimento (...). Creda, Maestro, la sua presenza è necessaria. Io non ho detto questo per l’Otello ma lo dico ora perché la manifestazione del Falstaff è ancora, e di molto, superiore a quella dell’Otello, è una vera rivelazione e non bisogna abbandonare il pubblico di Roma e lasciarlo solo davanti a questa opera d’arte così profondamente nuova ».

Boito valutava benissimo l’anticipo enorme che il Falstaff segnava sulle consuetudini della musica italiana in quel tempo e non si faceva illusioni sulla possibilità che venisse allora veramente compreso. Scriveva al Bellaigue, forse nel gennaio 1894: « Comme Vous avez raison d’aimer ce chef d’oeuvre! et quel bienfait pour l’art quand tous arriveront à le comprendr[...]



da Andrea Binazzi, Raffaele Pettazzoni in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]a diventato titolare della cattedra di Storia delle religioni dell’Università di Roma voluta da Gentile 10. Quest’ultimo, sempre nel 1925, aveva raccomandato a Ernesto Codignola una collezione di «Testi e documenti di tutte le religioni più importanti» progettata dal Pettazzoni. « Ti raccomando », scriveva Gentile, « questo progetto di una collezioncina di Testi religiosi del Pettazzoni. Io credo che Vallecchi dovrebbe accogliere questa proposta perché la materia, come sai, presenta oggi un interesse larghissimo tra le persone colte non meno che tra gli studiosi; e poi il Pettazzoni dà tutte le garanzie di serietà e di coscienza » n. Vallecchi non pubblicò la collana, che uscì poi, alcuni anni dopo, presso Zanichelli di Bologna.

Ma questo interessamento e questa buona disposizione del Gentile non devono trarre in inganno. Non risulta infatti che il filosofo siciliano abbia mai modificato il giudizio che della storia delle religioni e del Pettazzoni aveva formulato in due recensioni pubblicate sulla « Critica » del 1922, una dedicata a Di[...]

[...]ere celeste nelle credenze dei popoli primitivi del Pettazzoni e l’altra alla traduzione italiana della Storia delle religioni del Foot Moore. Opera « insigne » quest’ultima « che con poderoso sforzo abbraccia tutte le religioni storiche dei popoli civili, e ne traccia con discreta larghezza e copia di particolari la storia... », ma storia « da erudito... da critico... da spirito indifferente a quell’umanità, che crede di poter studiare soltanto perché se n’è tratto fuori per mettersela innanzi e poterla guardare meglio... Ma rimane sempre inesplorata quella tale sorgente da cui tutti i problemi derivano, e in cui è il principio di tutti questi fatti ». Manca a una storia delle religioni così concepita « quel senso della vita comune ed eterna più che storica, ideale più che reale o contingente, onde si ha propriamente il diritto di congiungere insieme e riconnettere, per quanto è possibile, tutte le religioni in una sola storia » 12. Segue di poco a

9 Cfr. G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna 1980, p. 55.

10[...]

[...]icolare civiltà di cui fa parte, e in organica connessione con le altre sue forme, quali la poesia, l’arte, il mito, la filosofia, la struttura economica, sociale e politica: concezione ovvia, che fu già variamente applicata allo studio della civiltà europea e, più recentemente, allo studio delle civiltà primitive » (pp. 910). Certo, si tratta di una enunciazione generalissima, ovvia dice l’autore, insoddisfacente anche, potremmo aggiungere noi, perché quell’« organica connessione » indica un orizzonte generale entro cui muoversi, non davvero un modello esplicativo. Ma va tenuto presente da dove si parte, va tenuto conto delle teorie con le quali il Pettazzoni ha dovuto porsi in relazione e anche di un movimento interno che sembra avere caratterizzato sempre il suo pensiero. Evoluzionismo, comparativismo tipologico, teoria del monoteismo originario non consideravano la connessione tra i fatti religiosi e il modo di essere complessivo di una civiltà e delle diverse società. Di qui la sua polemica degli anni Venti verso quelle posizioni teori[...]

[...] tentando di seguirlo in alcune analisi attraverso le quali egli cerca di individuare le forme specifiche in cui una religione si connette con la civiltà alla quale appartiene e non dimenticando quel presupposto dal quale egli si fece sempre guidare

nella polemica con lo Schmidt come in quella con il van der Leeuw che cioè l’indagine sui diversi aspetti della vita religiosa di un popolo deve sempre preoccuparsi di organizzare i dati empirici perché essi possano dire

26 La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921, p. vii.

27 Gli ultimi appunti, ora in Religione e società, cit., p. 125.RAFFAELE PETTAZZONI

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qualcosa sulle concezioni che vi si riflettono e deve rinunciare a pensare che essi debbano essere piegati a supporto di teorie generali.

Significativo, da questo punto di vista, è il saggio sulla lapidazione, da considerarsi lavoro preparatorio della Confessione dei peccati, dove è in questione il rapporto tra « legge sacrale » e « legge morale ». È pericoloso, secondo il Pettazzoni, lasciarsi g[...]

[...] rinunciare a pensare che essi debbano essere piegati a supporto di teorie generali.

Significativo, da questo punto di vista, è il saggio sulla lapidazione, da considerarsi lavoro preparatorio della Confessione dei peccati, dove è in questione il rapporto tra « legge sacrale » e « legge morale ». È pericoloso, secondo il Pettazzoni, lasciarsi guidare nella ricostruzione di una pratica di questo tipo, da quanto troviamo codificato nel diritto, perché da questo saremmo indotti a credere che la lapidazione avesse avuto fin dall’inizio « una particolare connessione » con i reati di furto. « Anzi », aggiunge il Pettazzoni, « è verosimile che nell’opera relativamente tarda di codificazione e sistemazione giuridica facilmente sia stato oscurato o alterato il senso primitivo della lapidazione, quale invece si potrà cogliere soltanto risalendo alle fasi più arcaiche: quelle fasi in cui alla forma primitiva della società corrispondeva anche una religione primitiva, ed anche la lapidazione potè ben avervi un carattere religioso, ma secondo un tipo [...]

[...]o del consenso degli intellettuali al fascismo, come sembrano invece pensare M. Lospinoso e A. M. Rivera nei loro interventi pubblicati in aa.w., Matrici culturali del fascismo, Bari 1977, pp. 225256.

32 C. Pavese, Lettere. 19261950, a cura di L. Mondo e I. Calvino, voi. n, Torino 1966, p. 667.188

ANDREA BINAZZI

comparativismo che rappresentava quanto di più fecondo e suggestivo fosse stato prodotto in tanti anni di lavoro. Suggestivo, perché, per quanto ci si sforzi di assumere un punto di vista relativistico, sembra insopprimibile, nel campo dell’indagine antropologica ed etnologica, questa tentazione del mettere a confronto le culture e le religioni e le società in modo tanto più appassionato quanto più esse sono lontane tra loro, quasi per un bisogno di sintesi, o forse di possedere una chiave di lettura unica.

La « mitologia comparata » sorta a seguito della rivoluzione copernicana prodotta dall’applicazione, nel 1800, della linguistica allo studio della mitologia, approdava alla conclusione che tutti i popoli della famigl[...]

[...]ste due posizioni antitetiche, cioè fra il particolarismo della “mitologia comparata”, applicata soltanto a ciò che è linguisticamente comparabile e l’universalismo indiscriminato della comparazione antropologica, estesa a tutto ciò che è formalmente ed esteriormente comparabile, c’è posto per una terza via che, badando alle differenze non meno che alle somiglianze, eserciti la comparazione su tutto e soltanto ciò che è comparabile storicamente, perché appartiene a civiltà omogenee »33. Il Pettazzoni esprime in questi termini quella che chiama « rivalutazione storicistica del comparativismo » e precisa più analiticamente, tornando al motivo degli attributi: « L’attributo dell’onniscienza è una nota costante che accompagna l’idea di Dio nel suo svolgimento: non l’idea astratta di Dio in un teorico svolgimento uniforme (secondo lo schema evoluzionistico dei tre gradi, animismo, politeismo, monoteismo), bensì una particolare idea di dio, culturalmente condizionata nella sua formazione e storicamente differenziata nel suo sviluppo » (ivi, p. 63[...]

[...] che lo studio degli attributi divini lo aveva portato lontano e aveva ben visto, moltissimi anni prima, il Banfi quando gli aveva riconosciuto il merito di aver colto le forme della vita religiosa di un popolo « nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi » guardandosi da definirle « secondo

33 Vonniscienza di Dio, cit., pp. 632633.RAFFAELE PETTAZZONI

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astratte e indeterminate categorie della religiosità » M. Perché il problema, alla fine, si riduce a questo, di vedere se e come è possibile mantenere contemporaneamente l’esigenza di ricostruire la genesi storicoculturale dei diversi aspetti della vita religiosa di un popolo o dei diversi attributi del divino e quella della comparazione tra le religioni e le culture. Il Pettazzoni lo risolve sottolineando il fatto che la religione è una forma della civiltà e che perciò la comparabilità non è fra le religioni, come se ci fosse una universale religiosità di cui ognuna sarebbe specificazione particolare, ma tra le civiltà. Dagli eventuali tratti comuni a que[...]

[...]ligione. Il Signore degli animali non è il riflesso di un trascendente Essere supremo. Il Signore degli animali, che assiste l’uomo nella aleatoria impresa della caccia, piena d’incognite e di rischi, che gli fa scoprire la pista della selvaggina (Boscimani), che gliela spinge dentro alle trappole (Algonkini settentrionali), che gli apre gli occhi per vederla (Damara), che lo fa mirar dritto per colpirla (Pigmei), questo è il suo Essere supremo, perché da lui dipende giorno per giorno la sua esistenza, perché egli ha in mano la sua vita e la sua morte (L’onniscienza cit., p. 648).

« Zeus », scrive il Pettazzoni nell’introduzione alla nuova edizione (1953) della Religione nella Grecia antica, « porta scritto in fronte il suo trasparente indoeuropeismo. Ma Zeus non è più per noi, come era per la ‘ mitologia comparata soltanto la forma greca dell’essere supremo celeste comune a molti popoli nomadi ed allevatori » (p. 15). Ma in questa introduzione il discorso va oltre, e il quadro d’insieme dell’interpretazione delle divinità greche viene riplasmato, anche se il Pettazzoni sembra preoccupato di pr[...]

[...] coronamento » della ricerca prima pianificata, tuttavia la concentra « definitivamente... su l’attributo dell’onniscienza divina come complesso ideologico e come esperienza religiosa ».

Come riprova della fecondità di questa direzione assunta dalla ricerca,RAFFAELE PETTAZZONI

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ma anche per spiegare una diffidenza molto accentuata verso posizioni di tipo speculativo (quelle che conducono a respingere come sterile un certo metodo non perché tale si sia rivelato, ma perché non coerente con il sistema filosofico assunto come valido), è utile soffermarsi un momento sul capitolo ddT Onniscienza dedicato a Giano, certamente uno dei più belli delPintera opera, veramente emblematico del modo di procedere del Pettazzoni. Le fonti letterarie, artistiche, iconografiche vengono utilizzate con grande equilibrio e armonia, per il contributo che ognuna può dare per l’interpretazione di questa famosa divinità. C’è tutta una tradizione secondo la quale, com’è noto, Giano sarebbe il nume della ianua e il suo bifrontismo non sarebbe che un riflesso delle due facce della porta. [...]



da Taylan Ozgur, Una strage per i generali [sopratitolo: Verso la dittatura aperta in Turchia] [sottotitolo: La tragedia di Kizildere non ha ancora una sua versione credibile. Sospese le attività politiche di tutti i partiti e si annuncia una nuova «costituzione». Le tre fasi della repressione dal marzo 1971 a oggi. Crisi economico-sociale e instabilità politica] in KBD-Periodici: Rinascita 1972 - 4 - 7 - numero 14

Brano: [...]izia, non appena accortesi che i tre ostaggi erano stati uccisi dai guerriglieri, avevano assalito la casa uccidendo questi ultimi. Poi, terza versione, che vi erano stati combattimenti ravvicinati e che la casa era stata occupata corridoio per corridoio, stanza per stanza (singolare davvero! si tratta di una casetta contadina piccolissima), e che vistisi perduti i guerriglieri avevano assassinato i tre tecnici. Troppe veramente queste versioni perché godessero di una loro credibilità. Ma nessuno aveva potuto smentirle: se sopravviveva infatti una larva di Parlamento, la libertà di stampa era già morta da tempo.
Adesso però la domanda ritorna in termini drammatici: chi ha voluto il massacro di Kizildere? chi aveva interesse a provocare un. fatto di sangue destinato a sollecitare forti emozioni e utili turbamenti? La risposta è semplice, adesso; e non è difficile comprendere che guerriglieri e tecnici siano morti sotto l'intenso bombardamento delle artiglierie governative. Non è difficile comprendere che la vita dei tre tecnici della NATO [...]

[...]era stato anche un altro particolare tema che aveva, allora, un po' stupito. Erim aveva parlato di un complotto co munista appena stroncato e su questa base aveva ricevuto lodi per la strenua difesa delle libertà in Turchia e soprattutto nuove armi per l'esercito.
Si sa: in paesi come la Turchia tutto ciò che è opposizione democratica viene ricondotto al comunismo. Tuttavia il parlare di complotto organizzato aveva suscitato una certa sorpresa. Perché ci si chiedeva, proprio ora? a quale fine? La risposta è giunta ora. Si stava preparando — in questo caso sì, un complotto concordato con gli Stati Uniti
— il nuovo colpo di Stato. E Kizildere doveva esserne la scena madre.
Vista di qui la sequenza degli avvenimenti ha una sua logica inesorabile. Il massacro non si era ancora compiuto in quello sperduto villaggio di montagna, che già si passava a una nuova fase della repressione contro tutte le opposizioni: una « fase decisiva » come ha annunciato il governo, con l'obiettivo di « schiacciare » il malcontento e ristabilire una volta per tutt[...]

[...]li, espansione piena della democrazia, piena riconquista dell'indipendenza nazionale. Di fronte a questa prospettiva si sceglie ovviamente la strada opposta: un irrigidimento della dittatura. Dopo aver abolito la libertà di stampa, messo fuori legge i partiti di sinistra, distrutto l'autonomia delle università, reso dipendente il potere giudiziario, ora si passa anche alla repressione di ogni forma di vita politica. E si arriva a questo non solo perché c'è in Turchia una reazione feroce nel difendere i suoi privilegi. Vi si arriva anche perché gli Stati Uniti considerano troppo importanti le basi della NATO in Turchia.
Ma le bombe che rompono il silenzio della notte qui a Ankara, come in molte altre città turche, fanno pensare che non si tratterà di una impresa facile.
Verso la dittatura aperta in Turchia
Una strage
per i generali
La tragedia di Kizildere non ha ancora una sua versione credibile. Sospese le attività politiche di tutti i partiti e si annuncia una nuova costituzione ». Le tre fasi della repressione dal marzo 1971 a oggi. Crisi economicosociale e instabilità politica
Nelle foto: il comando di polizia che ha comp[...]



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]necessaria ma solo la meccanica esteriorità » 2. Al contrario non di rado alla forza di un metodo preciso e di una chiara concezione la forma frammentaria offre la possibilità di puntualizzare le « piccole cose » in un voluto contrasto con la tendenza a « vedere le cose oleograficamente, nei momenti culminanti di alta epicità ». « Nella realtà — si legge in un testo esemplare— da dovunque si cominci a operare, le difficoltà appaiono subito gravi perché non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occorre sempre cominciare da piccole cose... la “ piccola cosa ” viene a sdegno; è meglio con
1 L., p. 39.

2 M. S., p. 131. Cfr. p. 179: «Dissoluzione [in Croce} del concetto di u sistema ” chiuso e definito e quindi pedantesco e astruso in filosofia : affermazione che la filosofia deve risolvere i problemi che il processo storico nel suo svolgimento presenta volta a volta. La sistematicità è ricercata non in una esterna struttura architettonica ma nell'intima coerenza e feconda comprensività di ogni soluzione particolare. Il pensiero[...]

[...]”, come fatto reale, che si presenta come fenomeno di 44 speculazione ” filosofica ed è semplicemente un atto pratico, la forma di un contenuto concreto sociale e il modo di condurre l’insieme della società a foggiarsi una unità morale. L’affermazione che si tratti di 44 apparenza ”, non ha nessun significato trascendente e metalfisico, ma è la semplice affermazione della sua 44 storicità ”, del suo essere 44 mortevita ”, del suo rendersi caduca perché una nuova coscienza sociale e morale si sta sviluppando, più comprensiva, superiore, che si pone come sola 44 vita ”, come sola “realtà ” in confronto del passato morto e duro a morire nello stesso tempo. La filosofia della prassi è la concezione storicistica della realtà, che si è liberata da ogni residuo di trascendenza e di teologia anche nella loro ultima incarnazione speculativa; lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa ».

3 L., p. 41.

4 Quaderni della Critica, 10, 1948, pp. 789.402

Le relazioni

Non diverso discorso dovrà farsi, del re[...]

[...]” cosi detti, o anche solo il 66 problema filosofico ”, che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia. La precedenza passa... alla storia reale dei mutamenti dei rapporti sociali, dai quali quindi... sorgono (o sono presentati) i problemi che il filosofo si propone ed elabora.... Se la filosofia è storia della filosofia, se la filosofia è “ storia ”, se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali iin cui gli uomini vivono), e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e cosi via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia, si fa anche filosofia... » 2.

Commentare questo testo fino in fondo, seguirne la genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un’analisi completa del pensiero di Gramsci, che a me non compete: sarebbe necessario infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che lo portò a leggere, o a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx3. Ma in tale prospettiva, e nel modo d’intendere il filosofo

1 L., p. 137 (sull[...]

[...]magari, a un certo Machiavelli, oppose un’altra possibilità interpretativa, cosi a un 'altra storia d’Italia volle saldare un’altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storicistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un’Italia capace di riscattare in tutta la sua storia altre possibilità costantemente vinte, soffocate o mistificate. E proprio perché era un politico e non un filosofo — e con ciò si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un professore — non si preoccupò di raccogliere in candidi mazzolini temi incontaminati perché a tutti estranei, ma combattè sul1 terreno reale, nella situazione reale, ed affrontò l’unica posizione veramente operante in Italia (e non a caso era tale), veramente potente, e con essa si impegnò: ne prese talora il linguaggio, vide l’ambito della sua validità, non ne sottovalutò né l’importanza, né la forza, né le conquiste reali. Oggi può sembrare che sulla linea RomagnosiCattaneo ci fosse una forza teorica più robusta: e può darsi1; ma in un’Italia non a caso culturalmente

1 Gobetti, nel ’24, indicava fra « i maestri più diretti del Gramsci » Salvemini, del Cattaneo grande ammiratore[...]

[...]avelli non l’abbia scritto mai; ov’è, in certo modo, la verifica della tesi gramsciana deH’erasmismo di Croce; anche se è da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l’ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po’ convenzionale)3.

1 P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).

2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).

3 Le due « figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la « passione » di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l’Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla « politica » del M. intorno al ’25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943,[...]

[...] è stile da “ manifesto ” di partito »2. Manifesto e profezia: dover esser che si fa costruttivo dell’essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau.

« L’opposizione SavonarolaMachiavelli — scrive — non è l’opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se noti diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno Stato, né capitano di un esercito : ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un

tosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all’indagine della realtà»).

1 Mach., pp. 6, 9, 141; P., p. 34; I., pp. 345.

2 Mach., pp. 13, 15, 9.Eugenio Garin 415

politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non può non occuparsi del “ do[...]

[...]metodi della filologia e della critica... ». Che son parole che andranno messe a confronto con le altre su Kant : « la formula kantiana, analizzata realisticamente, non supera [un] qualsiasi ambiente dato, con tutte le sue superstizioni morali e i suoi costumi barbarici; è statica, è una vuota forma che può essere riempita da qualsiasi contenuto storico attuale e anacronistico (con le sue contraddizioni...). La formula kantiana, sembra superiore perché gli intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare... » 3. Nella « staticità » formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica, nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un Machiavelli « Marx del po~

1 Mach., pp. 10, 3940.

2 Mach., pp. 147, 117
3 P., p. 202.4[...]

[...]me pie, o fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, ma anche fra i più rigorosi e seri moralisti.

Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questo Machiavelli, non è difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, ma al suo popolo, non a qualunque cultura, ma alla cultura italiana del suo tempo; intellettuale non velleitario, ma uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato: ecco il profilo dell’intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta sopranazionale, che salda il sapere al fare, che al posto dell’atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verità come ricerca e lavoro comune. Nella « figura » di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato il proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce ma dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci co[...]

[...]ecisiva « separazione » degli intellettuali italiani, come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica CroceErasmo.

Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsci enumerare con mentalità notarile difficoltà d’ogni sorta; altrettanto facile quanto sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i limiti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perché non sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, o di crociani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le radici di quelle posizioni di Gramsci che meno soddisfano: da un Erasmo convenzionale allo scarso rilievo dato alla tradizione scientifica dal ’500 in poi; daH’atteggiamento di fronte agli illuministi del 700 alla svalutazione di non poche posizione dell’ ’800. Una serie di ricerche inEugenio Garin

All

questa direzione sarebbe certo giovevole, ma non destinata a incidere sensibilmente sulla prospettiva cosi originale in cui l’opera di Gramsci si colloca. Quando più volte,[...]

[...] che il giustificatore, quando essere ingiusti è necessario, e bisogna dannarsi e non salvarsi, l’olimpica serenità gocthiana è piuttosto irritante che consolante. Gramsci — l’aveva già notato Gobetti (che per questo gli fu vicino) — è invece l’espressione dell’intransigenza morale più aspra nel campo della cultura; l’imperativo più forte alla lotta per la libertà 1, anche a costo di perdere l’anima, a costo di riuscire odiosi alle anime belle : perché l’umanità si serve nella volontà ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniche, perché la verità è cosa comune, con un linguaggio comune. Ed è questa verità comune, non oracolare e non fuori del tempo, ma che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, quella che Gramsci cerca e per cui lotta: per questo, oltre le parti, egli è di quanti in Italia intendono lavorare insieme intorno a problemi precisi (alle « piccole cose » ), con semplicità, con quanti più uomini è possibile. Sarà indulgenza alla retorica, ma come non concludere con la conclusione di quelTultima lettera al figlio? « io penso che la storia ti piace, come piaceva a m[...]

[...]tutta umana, di uomini e per uomini, quella che Gramsci cerca e per cui lotta: per questo, oltre le parti, egli è di quanti in Italia intendono lavorare insieme intorno a problemi precisi (alle « piccole cose » ), con semplicità, con quanti più uomini è possibile. Sarà indulgenza alla retorica, ma come non concludere con la conclusione di quelTultima lettera al figlio? « io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi, e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa ».

1 P. Gobetti, La rivoluzione liberale, Torino, 1950, p. 117: «La figura di Lenin gli appariva come una volontà eroica di liberazione: i motivi ideali che costituivano il mito bolscevico... dovevano agire... come l’incitamento a una libera iniziativa operante dal basso ».



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Fortunati, Come è possibile che una società sia sana quando si lavora per essere in grado di non lavorare più? in Studi gramsciani

Brano: [...]parassiti, per vivere sul cosí detto lavoro passato (che è metafora per indicare il presente lavoro degli altri »); per superare una società che « in realtà distrugge sé stessa », è certo necessario modificare i rapporti di produzione, e, pertanto, dare vita ad un ordinamento statuale che « adegui la società civile » a una nuova struttura economica.
Ma il monito di Gramsci ci avverte che se la condizione è necessaria, non è sufficiente, proprio perché l'adeguamento implica e presuppone una fase storica in cui e per cui deve, attraverso una complessa interdipendenza di elementi strutturali e sovrastrutturali, alimentarsi e incarnarsi il bisogno del lavoro, che rappresenta l'espressione storica della civiltà socialista.
L'analisi, dunque, della distribuzione umana delle forze di lavoro e di consumo da arma critica della società capitalistica diventa uno strumento per la costruzione e per il consolidamento storico della società socialista.
E quando, come nel nostro paese, si prospetta la possibilità di una via al socialismo, che non implica[...]

[...]ei
146 1 documenti del convegno
rapporti di produzione, dall'altro, dobbiamo sempre piú comprendere le ripercussioni delle forme di distribuzione. La portata e la tendenza dei rapporti di produzione nella società capitalistica non possono essere soltanto analizzate per caratterizzare le espressioni antagonistiche nascenti dall'antagonismo essenziale: debbono essere intravviste negli orientamenti della produzione, dei servizi, della burocrazia. Perché solo in questo modo acquista un significato critico e sintomatico l'analisi concreta delle forme di distribuzione, e si riuscirà a capire tutto il meccanismo capitalistico nella attuale fase storica.
D'altro canto, nelle ricerche relative ai paesi socialisti, non è solo il ritmo di sviluppo dell'attività produttiva che deve essere indagato, perché il piano si dimensioni armonicamente nel tempo e nello spazio, è anche il modo e la classificazione della distribuzione di massa che debbono costituire sempre piú elementi indispensabili della ricerca teorica e della strumentazione politicoeconomica.
Nell'adeguamento della società civile alla struttura economica socialista, la distribuzione diventa, a mio avviso, in realtà un elemento decisamente strutturale. E in questo senso si configura la prospettiva del lavoro come bisogno.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Trevisani, Gramsci e il teatro italiano in Studi gramsciani

Brano: [...]endeva alla ricerca ed alla valorizzazione della personalità umana — si lasciava invadere dal teatro francese, con Bernstein e Bataille da una parte e la pochade dall'altra. Bernstein, « abile alchimista di parole » fra i creatori « per uso industriale » di « un mondo fittizio di avventurieri, di donnine allegre, di vecchi intriganti e di vecchi satiri »; « riduzione meccanica » e « visione artificiosa del mondo, utilissima ai fini del successo, perché offriva un'inesauribile miniera di spunti, di intrighi, di intrecci, non domandava sforzi di fantasia, non domandava
Giulio Trevisani 289
elaborazioni faticose ». Tentava, ora, Bernstein, di trarre motivi dalle sofferenze e dalle angosce quotidiane dovute alla guerra: ma « la guerra — osservava Gramsci — non può far diventare poeta un mercante di parole ». Bataille, « scrittore moralisteggiante » , « che annega la vita nel tenerume sentimentale, che esaspera e diluisce due o tre spunti drammatici in un oceano di tenerume poetico ». Egli « sublima le creature della sua fantasia, assegna loro[...]

[...]ra libresca e scolastica ». Perciò esse non erano poesia.
Solo importante tentativo di rinnovamento della scena italiana fu, in quegli anni, il teatro del « grottesco », nel tempo stesso in cui sorgeva l'astro pirandelliano.
Del grottesco dice Gramsci: « Questi giovani adempiono pure a un compito: rendere intollerante la vecchia moda del teatro romantico da appendice » e riescono anche a quello di portare ad un tono piú elevato la recitazione, perché « spoltriscono i facili schemi irrigiditi degli attori ». Della commedia capostipite, La maschera e il volto di Chiarelli, piace a Gramsci, nel 1917, la spregiudicatezza con cui l'autore, costruendo la macchina convenzionale che regge i tre atti, non nasconde la volontà del convenzionale. Il suo lavoro — egli dice — è pertanto opera di sincerità, e ha un grande valore per l'educazione estetica del pubblico, per correg
Giulio Trevisani 291
gere il gusto del pubblico, attutito e fatto lapposo dalla falsa grandezza
e dall'artificio abilmente nascosto nel teatro solito »; e loda « l'abilità
e[...]

[...], egli includeva tra queste, come è noto, « uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato ed ha contribuito a determinare».
Il capolavoro del periodo precedente ai Sei personaggi, è, indubbiamente, Liolà, che egli giudica « una delle piú belle commedie moderne » : il contadino siciliano in cui Gramsci vede « l'uomo della vita pagana, pieno di robustezza morale e fisica, perché uomo, perché se stesso, semplice umanità vigorosa », « efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica », l'opera che non po
Giulio Trevisani 293
teva non ferire profondamente la mentalità cattolica; e Gramsci ricorderà piú tardi le chiassate degli studenti clericali torinesi alla prima di Liolà, quando — nei tempi dell'accanimento della Civiltà cattolica e dei critici teatrali cattolici contro Pirandello — osserverà che, in effetti, il grande scrittore siciliano si stac[...]

[...] organica », l'opera che non po
Giulio Trevisani 293
teva non ferire profondamente la mentalità cattolica; e Gramsci ricorderà piú tardi le chiassate degli studenti clericali torinesi alla prima di Liolà, quando — nei tempi dell'accanimento della Civiltà cattolica e dei critici teatrali cattolici contro Pirandello — osserverà che, in effetti, il grande scrittore siciliano si stacca dal verismo borghese e piccoloborghese del teatro tradizionale perché la concezione umanitaria e positivistica del verismo non era anticattolica; e, invece, la tendenza filosofica pirandelliana, qualunque ne siano il contenuto, i limiti, la coerenza, è sempre
indubbiamente anticattolica ».
Nel chiudere la prima parte di questa comunicazione riguardante le recensioni teatrali, mi si permetta di osservare che ai critici d'oggi Gramsci offre lezioni di costume e di stile.
Caratteristica della sua critica teatrale è il suo antiintellettualismo. Il linguaggio di Gramsci è semplice: familiare il tono; chiara l'esposizione del fatto e limitata all'essenziale. I giu[...]

[...]ltri molto scadenti, se non addirittura pessimi, che servono solo per il chiaroscuro, per dare maggiore risalto ai primi, con quanto scapito dell'effetto generale di una recita, è facile a chiunque capire ».
Alla completezza della compagnia deve, per Gramsci, rispondere l'integrità dell'opera d'arte. Qualche mese dopo, loda lo sforzo di Ruggeri « per dare di Amleto una raffigurazione pienamente umana »; ma censura l'interpretazione dell'opera « perché nelle opere del tragico inglese non c'è solo il protagonista, e la tragedia non è solo la tragedia di questo. La caratteristica del capolavoro (detto cosí all'ingrosso) consiste nella saturazione di poesia di ogni parola, di ogni atto, di ogni persona del dramma; niente c'è di inutile, niente da trascurare, ogni anche piccolo accenno concorre alla catastrofe ed è indispensabile per giustificarla. Rendete solo tragico Amleto e lasciate nella penombra gli altri, e la tragedia corre il rischio di diventare uri dramma da arena, una beccheria capricciosa e casuale. Tutti i personaggi sono grandi n[...]

[...]a cui la vita del teatro è sotto:posta e dei mezzi che devono non ostacolare ma favorirne lo sviluppo. Sarebbe stato da ricordare il suo insegnamento l'anno scorso, in occasione di una polemica che fu intitolata « Arte e cultura » e che piú esattamente sarebbe stata intitolata « Arte e Teatro ». Gramsci sostenne che i diritti e i valori dell'arte dovevano essere rispettati in teatro come essenziali ai suoi fini nel tempo stesso ideali e pratici, perché senza di questi ultimi non esisterebbe teatro e la sua opera rimarrebbe nell'ambita della letteratura. Battendosi contro « l'insincerità psicologica, la bolsa espressione artistica », la forma « crassamente sguaiata » o « romanticosentimentale » della vita sessuale, Gramsci denunzia l'impresa teatrale Ghiarella che, a Torino, sta « lentamente abituando » il pubblico « a preferire lo spettacolo inferiore, indecoroso, a quello che rappresenta una necessità buona dello spirito » . Scrive: « Non è vero che il pubblico diserti i teatri; abbiamo visto dei teatri, vuoti per una lunga serie di rappre[...]

[...]emplicemente un fatto commerciale, aggiunge che esso è anche un fatto « necessario, in quanto anche la produzione drammatica è in grandissima parte un fatto commerciale e perciò rispettabile ». Questa produzione di ordinaria amministrazione, cioè, sempre che abbia un minimo di dignità e di buon gusto, ha lo scopo di assicurare la funzionalità ininterrotta degli spettacoli; a tener « caldo », come si dice in gergo, « il locale », condizione prima perché i capolavori possano giungere al pubblico; Gramsci, nel suo realismo, ne aveva la perfetta comprensione.
La seconda parte di questa comunicazione riguarda l'atteggiamento di Gramsci di fronte al teatro considerato come fatto economico, con contributi ancora validi nell'attuale fase della vita teatrale italiana. Piú particolarmente ci riferiamo ad un gruppo di articoli che, scritti in occasione di una agitazione della categoria capocomicale contro gli esercenti di teatro, considera l'organizzazione pratica, cioè economica, del teatro come fatto avente fine in se stesso e per la sua influenza [...]

[...] nazionale — come organizzazione pratica di uomini e di strumenti di lavoro, non è sfuggito dalle spire del maelström capitalistico... l'industrialismo ha determinato le sue necessarie conseguenze. La compagnia teatrale, come complesso di lavoro retto dai rapporti che intercedevano nell'arte medioevale tra il maestro e i discepoli, si è dissolta: ai vincoli disciplinari generati spontaneamente dal lavoro in comune — lavoro di natura particolare, perché tendente a fini di creazione artistica — sono successi i " vincoli " che legano l'intraprenditore ai salariad, i vincoli della forca e dell'impiccato ».
Piccoli impresari locali, in verità, non erano mai mancati; erano sorti già dopo il crollo del mecenatismo principesco ed aristocratico; ma, come fenomeno generale, il mondo dei comici era costituito da compagnie girovaghe, piú o meno zingaresche, di tipo paternalistico, sotto una direzione nel tempo stesso artistica ed amministrativa. A queste compagnie si erano andate sostituendo, dalla fine dell'Ottocento, vere e proprie aziende capocomic[...]

[...]elle noccioline americane e dei rinfreschi ghiacciati, l'industria teatrale non esiterà un istante a farsi rivenditrice di noccioline e di ghiacciate, pur mantenendo nella ditta l'aggettivo " teatrale " ».
Dei danni che certamente deriveranno, e già cominciano a derivare, al teatro drammatico, l'industria teatrale, osserva Gramsci, non si preoccupa poiché, a causa del monopolio e della perversione del gusto, i suoi affari prosperano ugualmente. Perché dovrebbero, infatti, preoccuparsi i proprietari teatrali? Le compagnie, scrive Gramsci, « se vogliono vivere e lavorare devono passare sotto le forche caudine dei patti, dell'ingerenze, dei repertori, che il Consorzio impone ».
Fissiamo subito la nostra attenzione su questi tre temi proposti da Gramsci: patti, ingerenze, repertori; poiché si tratta di una tematica quanto mai attuale per porre in discussione le ragioni che impedivano allora e tanto piú impediscono oggi — in una situazione nuova ma analoga — quella libertà del teatro che è condizione assoluta per la sua esistenza.
Quanto ai p[...]

[...]itare lungamente, allorché, un paio d'anni dopo, nel 1919, gli attori si fecero a chiedere all'Associazione dei capocomici miglioramenti economici. Zacconi disconobbe la Lega el'ingiuriò, ma dové piegarsi innanzi ad uno sciopero compatto.
Ad altro sciopero gli attori furono costretti in Milano nel gennaio 1922: durò circa un mese e fu sorretto dalla solidarietà di tutti i lavoratori del teatro della città; ma fini con la sconfitta degli attori, perché i capocomici si allearono, questa volta, con i proprietari di teatro; i quali erogarono i fondi per la costituzione della prima corporazione fascista e crumira. Fu, in questa occasione, scoperto dai lavoratori del teatro un documento quanto mai significativo: una sottoscrizione promossa dall'Associazione
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Proprietari ed Esercenti di teatro, iniziata da Chiarella, con L. 5.000, ed altrettante da Zerboni, « per arginare le continue pretese delle leghe rosse ».
Credo che il contributo dato da Gramsci fra il 1917 e il 1919 allo studio del teatro come fatto economico sia di [...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Perché, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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