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Il segmento testuale Perché è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 2907Analitici , di cui in selezione 81 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte seconda: Dichiarazione sull'operato della polizia in Orgosolo [testimoni Maria Antonia Filindeu (27 anni), Maria Antonia Rubano (21 anni), Teresa Piras fu Pietro(70 anni), Giovanna Vedele di Carlo in Sini(60 anni), Maria Corbeddu di Giuseppe e di Corrias Maria (49 anni),Maria Floris in Menneas(52 anni),Giuseppina Fogu in Murgia(43 anni), Pietro Sorighe fu Giuseppe(72 anni),Giuseppe Moscau fu Andrea(45 anni,pastore),Natale Davoli fu Leopoldo(48 anni,bracciant... in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]co. Fanno una battuta i carabinieri. Mio fratello stava in campagna e lo arrestano : « Non hai fatto niente... Ma sei il cugino di Pasquale Tanteddu ». Lo portano a Nuoro, lo tengono un mese in cella. Poi alla Commissione di confino : 5 anni, ad Ustica.
PI una rovina. A noi, a me e mia sorella ci hanno rovinato. Dovevamo pagare 100 mila lire per gli avvocati e poi spese di viaggio, e pacchi. Ne abbiamo date 30 mila con i sacrifici che sappiamo, perché non ne abbiamo in piú. E intanto dobbiamo tirare avanti: i sacrifici che facciamo non li diciamo, perché la famiglia non deve avere dispiaceri in più. Siamo demoralizzate. Tutta la nostra famiglia é stata distrutta, completamente. Primo: mio fratello, poi: mia cugina Antonia, la sorella di Pasquale, di 22 anni, l'arrestano. Dove si é vista mai una cosa simile? un anno di confino. A Terraferma.
Francesco, mio cugino, incensurato, del 1929, pastore lo arrestano : 2 anni di confino. Ad Ustica.
180 FRANCO CAGNETTA
Antonio, il padre di Pasquale, del 1869, quasi paralitico, lo arrestano : 3 anni. Non si sa dove lo manderanno. È intanto in ospedale. Non si è mai vista una cosa simile.
Francesco Dev[...]

[...]uale: bandito.
Pietro: é morto.
E non basta. Tutta la roba della famiglia ridotta in cenere, distrutta. Il bestiame perduto, andato morto, venduto a forza.
La casa è chiusa. Non ci sta nessuno.
La famiglia non ha fatto niente. Per Pasquale é stata una ingiustizia, all'inizio. Lavorava, aveva le pecore. Tranquillo. Mangiava della resa delle pecore e non dava fastidio a nessuno. Ricercato lui ed il fratello Pietro, accusato non si sa da chi. E perché? 'Per non restare all'ingiustizia del confino sono spariti, sperando che durasse poco. Da allora gli hanno ammucchiato tutto quello che succede. Tutti i reati e tanti che uno solo non li pub fare.
All'inizio c'é stata una ingiustizia.
E a noi, innocenti, ci tocca di stare sotto il terrore. Non diciamo quello che soffriamo! Da qualche tempo la Giustizia non ci viene piú a cercare: non c'é piú nessuno da arrestare in famiglia.
Questo è il vero.
2
RUBANO MARIA ANTONIA, di anni 21:
u Ero la fidanzata di Pietro Tanteddu, latitante e fratello di Pasquale. Ho avuto con lui una bambina: Antonia[...]

[...]è libero, e regge, con me insieme, tutta la famiglia.
Saprete la storia dell'ingiusta persecuzione contro i miei figli per il sequestro del proprietario Congiu di Orotelli, che pagò venti milioni e fu ucciso lo stesso il 1949. I carabinieri avevano pensato che erano stati i miei figli. E sono venuti a cercare i soldi del sequestro in casa mia! Nella perquisizione mi hanno chiesto mille lire ed io glie le ho date,' ma ho chiesto pure di firmarle perché non fossero cambiate con falsità. Si sono rifiutati. E le mille lire non le ho più viste in casa. Hanno lasciato tutto a terra, biancheria e grano. Il 19 dicembre 1949 arrestano Raffaele e Santino, rilasciano Raffaele e il 4 gennaio 1952 arrestano Nicola. Ripigliano Raffaele. E Francesco stesso, dietro promessa dei carabinieri, si costituisce il gennaio del 1953.
Stanno in carcere e si farà giustizia : per quanto della giustizia, stando a quello che ho visto nella mia lunga vita, tante volte bisogna temere. Mio figlio Raffaele non si è ancora costituito, ma se vi racconto quello che gli é su[...]

[...]ffaele e il 4 gennaio 1952 arrestano Nicola. Ripigliano Raffaele. E Francesco stesso, dietro promessa dei carabinieri, si costituisce il gennaio del 1953.
Stanno in carcere e si farà giustizia : per quanto della giustizia, stando a quello che ho visto nella mia lunga vita, tante volte bisogna temere. Mio figlio Raffaele non si è ancora costituito, ma se vi racconto quello che gli é successo l'altro arresto (e lo sa tutto il paese) potete capire perché ci pensa. Il 13 di giugno 1928 — come saprete — ad Orgosolo avevano ucciso un maresciallo dei carabinieri, certo Colomo Antonio, con un colpo solo mentre andava a cavallo. Per ingiustizia hanno accusato proprio a quel mio figlio. Nella battuta abbattevano le porte con le spranghe, arrestavano nudi una ventina. Ed altre cose. Lo hanno arrestato.
O, che dolore, che dolore solo a raccontare! Era il 1928. C'erano certi uomini col capitano, che non si può dire che erano uomini. Lo portano alla caserma di Manemuddas. « Parla ». « Non parlo ». « Parla ». « Non ci ho che dire ». Gli prendono le ungh[...]

[...]ale. Aspetta il risultato dei fratelli. Se sarà il giusto si metterà anche lui a posto ».
INCHIESTA SU ORGOSOLO 183
4
VEDELE GIOVANNA in Sini, di Carlo, di anni 60:
« Sono la madre di Francesco Sini, condannato all'ergastolo. Altri miei due figli, Michele e Gabriele, li hanno buttati nel carcere.
Mio figlio Francesco è come se fosse morto alla famiglia. Il 1. di agosto 1948 succede in Orgosolo un omicidio ed imputano i miei figli: Gabriele, perché la innocenza sua era troppo in mostra lo hannc dovuto rilasciare. Francesco, accusato ingiustamente, si è dato a lati. tante. È uscito per questo Ordine di Questura, e allora ogni delittc che qui succedeva glielo hanno caricato. O figlio! Era sergente mag. giore, otto anni e mezzo : ha "sarvau sa Patria". Due anni prigioniera dei tedeschi. E pure Partigiano. Eroe. Ora ha la sua paga: l'ergastolo! Poi dicono che gli orgolesi debbono essere fedeli!
Durante la latitanza sempre maltrattati, sempre perquisizioni. En. traviano e si mostravano educati, ma disturbavano troppo.
A Cagliari, al nostro[...]

[...]ndare a vederlo. Ci hanno mandati all'elemosina.
Mio marito, il padre, di 85 anni si è paralizzato. Quando è stata condannato il figlio, il 2 di agosto, lo ha preso paralisi dorsale. E ha perso il senno. Guardatelo, a terra: tosse, dolore. Lo stanno mandando al camposanto.
Il 25 maggio, quest'anno, rientravano a Siniscola dalla Gallura gli altri miei figli, Michele e Gabriele. Per la situazione brutta del paese, da 4 anni se ne stavano lontani perché erano terrorizzati. Gabriele guardava le pecore quando gli sono saltati addosso nella campagna, Michele stava in paese a comprare caglio, e arrestano pure lui. Li accusano di una rapina che è successa chi sa dove. Hanno chiesto informazione anche ai ricchi del paese c le hanno avute buone: due ragazzi onesti.
Sono già da un mese alla prigione. Il bestiame quasi abbandonato, a chi lo vuole. Dovevamo mandare un fratello, ma ci abbiamo man
184 FRANCO CAGNETTA
dato un manovale, intanto. Sanno tutti che sono ragazzi onesti. Li guardava uno zio di Siniscola! E i miei figli non erano piú orgolesi[...]

[...]sa qui. Va sempre peggio. Fate per bene nostro una volta tanto! C'è qui in galera tanta gente innocente! ».
5
Mi chiamo CORSEDou MARIA di Giuseppe e di Corrias Maria nata il 9 di dicembre 1905, sposa a Muscau Giuseppe, di anni 73, pastore. Ho quattro figli. Sono Ammonita! Adesso racconto le persecuzioni della mia famiglia.
Mio figlio Fedele, 25 anni, la prima volta fu cercato il 15 di febbraio 1954 dicendo che era appoggiatore di banditi solo perché vicino di casa a Tanteddu, senza che si conoscevano. Il 26 non si era presentato. Allora i carabinieri vengono e prendono un altro fratello, Giuseppe, di 20 anni. Era servo. Sono andati a prenderlo all'ovile, dal padrone. Lo portano nel paese, poi a Nuoro, e lo hanno tenuto al carcere otto giorni. « Sei fratello del latitante ». Non sapeva niente. Lo hanno rilasciato. E dopo venti giorni vengono a casa a prendere me, la madre. Vengo in casa e trovo l'avviso della Questura. « Che c'è? ». « Ti vogliono parlare ». Vado là e mi hanno preso senza una parola. Mi portano al carcere a Nuoro. Non mi h[...]

[...]rilasciato. E dopo venti giorni vengono a casa a prendere me, la madre. Vengo in casa e trovo l'avviso della Questura. « Che c'è? ». « Ti vogliono parlare ». Vado là e mi hanno preso senza una parola. Mi portano al carcere a Nuoro. Non mi hanno lasciato neppure avvisare la famiglia. È rimasta sola una mia figliuccia di tre anni. « Siete la madre del latitante » dicevano. Mi hanno tenuta 32 giorni. Poi mi hanno passata alla Commissione di confino perché non facevo la spia al mio caro figlio. Mi hanno dato due anni per ammonita.
Il giorno che mi hanno lasciato, lasciano me e prendono mio marito, il padre del ragazzo. Non si è reso. È un vecchio di 73 anni ed all'ovile ha lasciate sole 150 capre. E hanno preso pure il nostro bam
INCHIESTA SU ORGOSOLO 185
bino, Andrea, di 13 anni. « Siete il padre e il fratello del latitante ». Poi li hanno rilasciati dopo otto giorni che era a Nuoro.
Vengono a casa lo stesso giorno e prendono mio figlio Giuseppe, un'altra volta. Il 14 marzo, mentre stava a presentarsi per il servizio militare, lo arrestano[...]

[...]s, di anni 52:
Ho due figli, Menneas Giuseppe, 1927, e Menneas Domenico, 1929. Per colpa dei carabinieri li ho come persi tutti e due. Almeno sino a che non mi sarà tolta tanta ingiustizia.
186 FRANCO CAGNETTA
Dunque, Giuseppe il 26 novembre 1953, giorno della morte dell'ingegner Capra, era in campagna in località « Costa 'e turris » a pascolare. All'alba, due ore prima di succedere il conflitto vanno i carabinieri, lo prendono e lo legano. « Perché stai qui e non te ne sei andato prima? ». « Non ne ho nessun motivo ». Esce il conflitto. Il padre stava in « Viriddi » a guidare i maiali con l'altro bambino, del 1934, Onorato. Passano i carabinieri e arrestano a tutti. Il padre ha saputo che il nostro Giuseppe era stato il primo e innocente. Li mandano a Nuoro e gli fanno fare 20 giorni. Poi lo lasciano, senza verbale. Il verbale se lo hanno fatto dopo, come piaceva a loro.
Prendono a Giuseppe: « Tu sei pregiudicato. Ci hai una condanna per tassa del carro agricolo ». « Nossignore ». « E anche un paio di binocoli abusivi ». « Non è vero! [...]

[...]cono: « Sei fratello di un delinquente. Ti daremo due anni di ammonizione ». Lo portano alla commissione. Qui gli danno un anno di confino. Senza nessuna colpa. Fratello di un delinquente? Chi ci aveva a dire? Hanno scaricato sulle nostre spalle, senza averci nessuna colpa. Le cose sono mal fatte ad Orgosolo, non c'è da dire che sono fatte bene. Ma deve pagarle chi non le fa?
INCHIESTA SU ORGOSOLO 187
Che succede? Menneas Giuseppe lo arrestano perché si stancano a cancellare e Menneas Domenico perché é fratello di Giuseppe. Li ho persi dal lavoro senza far male a nessuno. Io e mio marito siamo sposati da 32 anni, abitiamo ancora in casa d'affitto, non diamo lavoro a « sa Zustissia ». Appena ci hanno visto cosí subito hanno pensato a colpirci. Nessuno aveva nessun imputo.
E i danni? Senza figli. Mio marito é vecchio: maiali non ne può portare con un bambino solo di 13 anni. Una parte dei maiali si sono spersi e morti, i carabinieri non hanno voluta lasciare a nessuno. Ce ne sono morte anche di capre. E qualcuna presa. Quattro o cinque giorni sono restate sole, disperate.
Abbiamo anche un[...]

[...]anno visto cosí subito hanno pensato a colpirci. Nessuno aveva nessun imputo.
E i danni? Senza figli. Mio marito é vecchio: maiali non ne può portare con un bambino solo di 13 anni. Una parte dei maiali si sono spersi e morti, i carabinieri non hanno voluta lasciare a nessuno. Ce ne sono morte anche di capre. E qualcuna presa. Quattro o cinque giorni sono restate sole, disperate.
Abbiamo anche una vignetta : la abbiamo lasciata senza lavorare, perché non avevamo possibilità a mettere manovali.
E le spese? Abbiamo messo avvocati e per Giuseppe ci ha preso 10.000 lire e per Domenico 6.000, e altri regali. I viaggi? Almeno trenta, qualcuno piú. 400 lire al viaggio per Nuoro andata e ritorno: una dieci e cinque mila lire. Ed anche adesso stiamo a fare i pacchi, ai figli: li abbiamo fatti il giorno 15. Sette chili per uno di formaggio e lardo. Mio marito è un uomo di sessantanove anni in campagna : a restare in campagna. C'è il bisogno. Nella casa, si può ben comprendere, non c'é nessuno a lavorare. Ci sono le due sorelle che vanno a lavorare[...]

[...]lo portano subito alla caserma. Con Muscau Giuseppe e l'ex fidanzata di Tanteddu, Mariantonia Rubano. La prima cosa che gli chiedono é se è il segretario del P. C. I. « Sissignore ». Allora gli hanno detto subito : « Per questo sei appoggiatore di banditi, ricattatore, fomentatore di scioperi, disposto alla rapina, capace di uccisioni ». Mio marito é un galantuomo. Ha fatto solo il confino, e sempre per politica. Avevano paura che uscisse subito perché non ha mai fatto niente. Allora lo hanno imputato di sette carichi, una per ogni anno che era stato il segretario del partito. Quattro volte lo avevano arrestato :
1) per rapina, assolto
2) per confino, 2 anni
3) per confino, 3 anni (fatti due).
Ora al confino per due anni. Ad Ustica. La colpa è di essere comunista. E comunista io e due figli di 15 e 12 anni. Un terzo, di 1 anno, lo sari. Il danno, potete immaginarlo. Questa donna, che sono io, malata, con i bambini (uno fa il barbiere) e mio marito confinato e malato.
Il nostro « banditismo » è che vogliamo lavoro, tranquillità, e pace [...]

[...]no, lo sari. Il danno, potete immaginarlo. Questa donna, che sono io, malata, con i bambini (uno fa il barbiere) e mio marito confinato e malato.
Il nostro « banditismo » è che vogliamo lavoro, tranquillità, e pace in paese. Chi ci ha a vedere coi banditi? Loro. Come poliziotti, carabinieri. Ma anche il confino, la miseria non ci scoraggiano. Uno ne pigliano e, ingiustamente lo condannano, dieci capiscono come stantio le cose. Lavorano per noi. Perché noi stiamo con la vera giustizia, lottiamo e lotteremo. Sparendo l'ingiustizia spariranno i delitti, il banditismo ».
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SORIGHE PIETRO fu Giuseppe, di anni 72:
« Di tre miei figli vi racconto il calvario.
Antonio, pastore, di anni 33, il 1947 è imputato per una rapina che non ha fatto contro uno di Mamojada da un proprietario di Lanusei. Lo arrestano, lo processano e gli danno sei anni di carcere. Si fa tutti i carceri di Lanusei, Cagliari, Civitavecchia, Asinara. Rilasciato, il 26 dicembre 1953, torna in paese e se ne va in campagna. Per il solo fatto
INCHIESTA SU ORGOSOLO 189
della co[...]

[...] Civitavecchia, Asinara. Rilasciato, il 26 dicembre 1953, torna in paese e se ne va in campagna. Per il solo fatto
INCHIESTA SU ORGOSOLO 189
della condanna precedente, gli dicono subito, infamemente, che é appoggiatore di banditi. Me lo arrestano di nuovo, senza accusa precisa: i mese di carcere a Nuoro, 1 anno di confino a Terraferma. È la prima croce.
Raimondo, pastore, di anni 23, incensurato. Aveva 21 anni la prima volta che lo prendevano perché soltanto stava in campagna — dopo il fatto del fratello — e infamemente lo accusano di appoggiatore di banditi : 3 mesi di carcere, 3 anni di confino. Faccio l'appello e riconoscono la sua innocenza : lo rimandano a casa prima del tempo. Sta in casa pochi giorni, poi se ne deve andare per lavoro in campagna. E allora lo accusano ancora, infamemente, di essere appoggiatore di banditi: 1 mese di carcere, 1 anno di confino. E la seconda croce.
Giuseppe, di anni 33, pastore. Poveretto, é un po' non fermo di mente. E un poco insulso, insomma. Un giorno sta in campagna e, il primo d'anno, lo pigli[...]

[...]in campagna a lavorare: solo per andare c'è la paura dell'arresto. Diteci quando verrà la salvezza da questa giustizia ingiusta, dai diavoli che ci opprimono ».
9
« Sentite e scrivete. Io sono GIUSEPPE MUSCAU fu Andrea, pastore, di anni 45. La mia famiglia esiste da quando é esistito il paese. Per la nostra gloria non abbiamo che un ergastolano in famiglia, un errore della giustizia.
Gli agenti di P. S. e carabinieri scappano quando mi vedono perché io voglio parlare con loro e non accettano che voglio contraddirli. Dicono che siamo ignoranti, che siamo troppo indietro e non possiamo parlare. Ma io pure ho sangue, ho sentimenti. Io pure, se un uomo moderno conduce uno sterzo ne porto cento io, cento pecore, e non tutte di volontà uguale, ubbidienti, come un motore. Io parlo qui per conto mio, ma dico quello che pensa tutto il paese. E non si dice in pubblico per paura poi di persecuzioni e di vendetta, per troppa paura.
Ad Orgosolo le cose non vanno come vanno. E non sono mai andate bene.
190 FRANCO CAGNETTA
Dal 1905 al 1927 c'era una[...]

[...]loro, ricorrere per giustizia. Sentite e scrivete. Qui c'è troppa forza, troppa violenza per davvero. Tutto il paese vi dirà come ci pedinano, ci perquisiscono in casa, ci tormen
1\CHIESTA SU ORGOSOLO 191
tano in campagna, ci ammoniscono per ingiustizia, ci arrestano per ingiustizia, ci confinano per ingiustizia. Il confino é come l'aria qui: si respira di giorno, e notte. Ci mettono in condizione che se uno non è anche un ladro, un assassino, perché non può stare in casa ed in campagna non può lavorare, deve scappare e si dovrebbe far bandito.
E poi si lamentano se si han preso loro il brevetto della fabbrica dei banditi!
Non parliamo allora di lettere anonime, di confidenti per la taglia. Maledetta taglia! Ci vorrebbero vedere spariti tutti, di morte in morte. Ed ora .racconto il mio corricolo di incensurato rovinato.
1) Il 1937, il 9 novembre, vengo arrestato 4 mesi per provvedimento di polizia.
2) I1 1938 mi presento e mi danno due anni di munizione, il 18 marzo.
3) Il 1940 rientro e mi chiamano alle armi. Così mi trovo rubati i [...]

[...]ia e, mi hanno visto, e mi investono un porcetto. Questa non era una disgrazia : effettivamente lo han voluto. Han visto l'impegno mio, Muscau Giuseppe, a salvare i miei porcetti. E allora fanno apposta per venirmi addosso di persona. Li ho scansati e mi hanno morto il mio porcetto, di venti chili. Allora sono scoppiati a ridere e, dopo questo, sono andati di corsa.
Vado al commissario di Orgosolo, dicendo lui che dovevo andare dal maresciallo, perché la macchina era dei carabinieri. E vado dal maresciallo e mi dice lui che il porcetto non si paga. « Io sono venuto da voi non per il porcetto, che ne butto qualche volta, ma per farvi sapere che cosa fate a un orgolese ». Allora, come sempre, hanno cercato di scappare per non parlarmi, come fanno sempre con me i carabinieri e i poliziotti.
192 FRANCO CAGNETTA
9) E il 20 maggio, presentatomi alla commissione di confino — mi hanno di nuovo chiamato — gli racconto questo. Ma il giudice non ha voluto sentire. E mi danno ancora due anni di munizione.
Che cosa é questo? Vogliono solo inasprire.[...]

[...]ogna salutarli ». Mi alzo e a poca distanza, di sei o sette metri, dico: « Buonasera! ». A quella voce il carabiniere si gira e mi mette il mitra sul petto: «Fermo! » dice. Porco di un cane: tenevo i pantaloni nelle mani e gli ho detto: « Piú fermo di così non si può stare ». « Che state facendo? ». Beh, di qui non si discute: « A cacare », gli ho detto. « A cacare, dice, mani in alto! eri nascosto ». « Nossignore, non ero nascosto ». « E allora perché stavi 11? ». « Per la decenza, e per non sporcare la strada che mi faccio ogni giorno ». « Mani in alto, dice (ero sempre a mani in alto coi pantaloni in basso e lo strumento in faccia a loro che prendeva aria) puoi ringraziare il cielo che a quest'ora non sei morto ». «E perché? Vi debbo qualche cosa? Io vi ho detto solo buonasera. E non mi avete
INCHIESTA SU ORGOSOLO 193
neppure intimato il fermo ». « In tutti i modi — dice il carabiniere — tu puoi fare il conto che sei morto. Perché io ho tirato per ucciderti. Si é inceppato il mitra ». E me lo ha fatto vedere. Allora, porco iddio, ci siamo attaccati. « A tutti gli orgolesi può capitare così. Mi avevate ammazzato, fatto a grattuggia col mitra, buttato nelle frasche, e poi dicevate che sono i latitanti ». Se ne sono andati senza chiedere il nome. E mi hanno lasciato così, in fretta e in furia. Che portino almeno dei carabinieri seri, alti .e grossi, e non di quelle burbe che tremano solo a vedere l'ombra che caca e sono così composti che (se non piangessimo per loro) ci fanno ridere ».
11
GARIPPA LUIGI di Antonio Nicolò[...]

[...] carabinieri. All'improvviso mi hanno chiamato: « Mani in alto! ». Per arrivare fin dove stavano loro dovevo per forza saltare un muro. Mi metto a saltare e, per forza, dovevo mettere le mani suI muro, appoggiarmi. Mi hanno di nuovo gridato: « Mani in alto! » puntandomi. Stavano per sparare. Mi ho messo forte spavento. Poi mi hanno cominciato a spingere sino a casa. Mi pungevano in culo con una baionetta. Più di due ore. Dicevano che lo facevano perché non volevo lavorare. C'erano davanti alla casa manifesti comunisti che dicevano che non c'é lavoro. E ci vuole lavoro. Mi hanno detto di strapparli. Io mi ho subito rifiutato. Allora mi hanno dato calci uno dietro l'altro, preso il nome, e mi hanno detto che in paese non potevo più lavorare. Senza nessun motivo. Poi se ne sono andati. Ci avevano voglia di ridere e di scherzare ».
13
DETTORI DIEGO fu Cosimo, pastore disoccupato, di anni 17:
« Il 4 ottobre 1953 in Orgosolo da tanti giorni non trovavo lavoro: avevo fame. Trovo l'amico Crisantu Vincenzo di anni 20, nelle stesse condizioni, e a[...]

[...]duto 150 mila lire, che avevo a venderli, e può giurarlo un negoziante che li acquistava, Melis Antonio di Salargios. Rifaccio la domanda in carta da bollo e me l'hanno rifiutato. Avevo una cavalla in prossimità di SassariPattada, S. Nicolò, e mi hanno negato pure di andare a trovarla, ossia fare una visitina. La cavalla, soletta, se ne é andata sotto il treno, e così la ho dovuta vendere a 25 mila lire al macello, che valeva 100. Questo, tutto, perché sono Orgolese.
Ma adesso vi racconto il sequestro di porci che ho avuto ancora prima. E perché mi hanno arrestato ancora quella volta. Un giorno, il 2 aprile 1949, viene in casa un Turineso, un esattore giudiziale, e mi chiede presto presto 40 mila lire di nobile ricchezza per certi porci che, diceva lui, tenevo in terra Usidda. Io ho 41 anni e sono figlio di famiglia. « Che cosa pago? Io non tengo questi porci e non stanno scritti sul bollettino ». I porci, in vero, sono di Giuseppe, il mio fratello. 120. «Dove sta tuo fratello Giuseppe? ». «Non c'é Giuseppe in casa: sta dalle parti di Baronia. I maiali sono di Giuseppe » rispondo sempre io. Abbiamo gridato un po', e poi l'ufficiale s[...]

[...]e.
« Io — dico — ubbidisco alla Legge ». Dentro mi chiama un ufTiziale : « Che cosa stavi a parlare così male e a minacciare, assassino ». « Io non sono assassino. Non ho fatto niente a nessuno ». Chiama la guardia comunale e gli dice: « Questo qui ti ha minacciato! ». « Nossignore — dice la guardia. — Siamo stati a far parole, come si fa ad Orgosolo ». « Chiedi scusa alla guardia », dice il maresciallo. « Nossignori. Questa parola non la dire) perché é venuto in casa mia e ha tirato fuori la pistola ». Chiama l'esattore Puligheddu e gli dice: « A Mereu lo perdoni? ». «Non ci ho niente da perdonare. Non ha fatto niente ». « Maresciallo, perché fa così », dico io. « Faccia il capostazione, e basta ». Il capostazione dei carabinieri, naturalmente. Come dovevo dire? «Io so tutto ad Orgosolo — dice allora il maresciallo. — Sono 4 giorni che sto ad Orgosolo e so che sei un delinquente, un assassino ». Basta. Penso di prendere il postale per Nuoro, per andare a denunziarlo, ma perché sono ammonito mi ci "vuole un permessino. Volevo andare a Nuoro, al Questore, perché ad Orgosolo la mia denuncia non partiva. Erano le 11. Me lo hanno negato.
Così finisce la prima parte del fatticino.
Verso le 11, il 3 di aprile, dicevo, appena tornato stavo in casa mia e sento che si gridava: « Mereu! Mereu! ». Stavo a dormire giá con mio fratello a terra e lui era ammalato. Ho capito che era per
198 FRANCO CAGNETTA
una vendetta, forse di chi stava in caserma. Mi sono alzato dalla cucina, dove stavo, e vado in un'altra stanza, al piano sopra. Mio fratello poveretto, che ha fatto 6 anni di militare e 22 mesi di prigionia, dormiva. Guardo da una finestra e, senza farmi ve[...]

[...]o a terra e lui era ammalato. Ho capito che era per
198 FRANCO CAGNETTA
una vendetta, forse di chi stava in caserma. Mi sono alzato dalla cucina, dove stavo, e vado in un'altra stanza, al piano sopra. Mio fratello poveretto, che ha fatto 6 anni di militare e 22 mesi di prigionia, dormiva. Guardo da una finestra e, senza farmi vedere, ho visto i carabinieri. Con i mitra spianati. Alzo appena la testa alla finestra e vedo l'esercito intero. Ecco perché ad Orgosolo viene male: che non si viene con la buona maniera, come Giustizia vuole. Se ero un altro potevo avere il fucile e sparare, come a Orgosolo é successo e pub succedere, se si fa troppo male. Quando li ho visti armati mi levo le scarpe e, piano piano, vado ad un terzo piano. Tiro fuori il naso dalla finestra e vedo il maresciallo di prima. Erano carabinieri ma mi ho pensato che potevano anche non essere carabinieri, orgolesi travestiti. E mi poteva per vendetta fare anche un trucco il maresciallo, imputarmi innocente per qualche fatto. Ho risposto allora da quella terza stanza: « Dit[...]

[...]
22 maggio 1954:
« CARTA GONARIO fu Pietro di anni 24 espone quanto segue: Il giorno 22 corrente mese mi trovavo in località "Monteraso" poco distante dal paese assieme ad un vicino di casa Luppu Raimondo di Giuseppe, andati per mangiarci fave e riposarci e dare attenzione. Circa le ore 16 passava la pattuglia dei carabinieri, ci chiamavano chiedendoci documenti : gli sono stati dati documenti. Ove ci diceva : Siete Orgolesi, vi doverei sparare perché dovreste essere tutti sparati, siete tutti delinquenti. Io gli risposi che anche a Orgosolo ci sono persone oneste. A questo punto ci diceva di stare zitti esprimendosi con parole: Miserabile, stai zitto se no prendi cazzotti. Gli risposi che non c'era nessun motivo di dare pugni né cazzotti. Mi rispose che poteva far quello che li pareva a delinquenti. Io gli risposi che non ero un delinquente ma bensì un lavoratore onesto, io e tutti di famiglia, che se trovava qualche cosa che non andava se lo riteneva — poteva benissimo prendermi in caserma. Subito mi ha dato un pugno e mi ha buttato a t[...]

[...]nti. Io gli risposi che non ero un delinquente ma bensì un lavoratore onesto, io e tutti di famiglia, che se trovava qualche cosa che non andava se lo riteneva — poteva benissimo prendermi in caserma. Subito mi ha dato un pugno e mi ha buttato a terra, minacciandomi col mitra di star fermo in terra, se alzavo la testa mi sparava. Poi mi hanno fatto alzare dicendomi di andare avanti verso campagna con loro. Io temevo forte la vita. Gli ho detto: Perché in campagna? prendetemi in paese. C'è un Comando dei Carabinieri e il Commissariato di Pubblica Sicurezza. A questo punto hanno mandato in paese il mio amico dicendogli: Tu vai via, questo lo prendiamo con noi e sarà aggiustato bene bene.
Presomi un pezzo di strada mi sono fermato, sicuro della morte, e supplicando che, se volevano, di portarmi in paese. Così mi sono seduto. Mi mettono di nuovo bracci in alto, prendendomi di nuovo i documenti. Dove me li restituivano dicendomi: Vattene e sarai arrangiato lo stesso. E calci».
Carta Gonario.
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CATGIU PASQUALE di Giuseppe, pastore, di anni [...]

[...]e, la gente di Orgosolo ci ha fame. Aspetta la vostra carne ». Dicevano che davano una raffica di mitra a tutti. Bainzu Sebastiano era malato agli occhi. Un poliziotto gli ha detto che stava ridendo. « Io sono malato. Sono cosí agli occhi per disgrazia ». Allora gli ha dato due calci nel culo ed é passato da carabiniere a carabiniere con i calci nel culo. A me mi hanno arrestato e trattenuto nel carcere di Nuoro per venti giorni in cella comune. Perché minorenne mi davano una pagnotta al giorno, minestra niente. La toglievano i padroni del carcere non per darla ai figli loro, ma per finire alle mastelle dei porci. E al detenuto se si toglie la minestra, si toglie la vita ».
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RUBANO PIETRO, pastore, di anni 67:
« Sono un altro dei pastori fermati in campagna per la morte dell'ingegner Capra. Me ne stavo con le capre, insieme a mio figlio Francesco di 22 anni ed altri pastori, all'ovile "Cogosi" che é assai distante da "Meninfili", dove avvenne la sparatoria. Due ore prima di questa arriva un gruppo di carabinieri. Erano le otto e, armat[...]

[...]o quattro lettere e fotografie, e pure tre o quattro tazzine di caffè, che non ce l'hanno piú ritornate. Ci tengono a Nuoro, in cella, dopo 21 giorni a me mi rilasciano senza dire un'a, e mio figlio Francesco lo prendono invece, senza ragione, e lo spediscono davanti alla commissione di confino. Gli danno tre anni e ora é a Ustica: rovinato lui ed io, il padre.
Se era colpevole dovevano punire pure me, come lui. Stavamo insieme in quel momento. Perché io non ho fatto niente e lui si?
Non si deve poter stare tranquilli nella propria casa; e non si deve andare onestamente a lavorare in campagna! Così, pare, che vogliono.
E questa si chiama giustizia a terra di Orgosolo! ».
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« Mi chiamo PASQUALE MESINA di Antonio nato ad Orgosolo il 30 di gennaio 1939 e da sei anni faccio il pastorello al Supramonte. Perché devo guardare le pecore di famiglia non sono potuto andare a scuola che due o tre mesi e non so scrivere: per questo detto quello che mi é avvenuto ad Orgosolo il 1° di gennaio 1954. Partivamo in campagna di notte verso le 5 io ed il piccolo compagno Mancone Pasquale di Santino, quando arrivati alla periferia del paese, in località su 'unzaiddu i carabinieri ci hanno subito fermato. Faceva freddo e a terra stavano tre pastori a braccia in alto e senza cappotto : Pisano Pasquale, Podda Narciso, e Castangia Graziano. I carabinieri erano tanti come le mosche e non li abbiamo contati. Subito sono[...]

[...] nipote del senatore democristiano Monni e sono ben conosciuto in paese come uomo per bene. Posso dire che non mi posso lamentare rispetto agli altri: non sono stato maltrattato altrettanto, come Cucchedda o Moro, per esempio. Sono riuscito a ritrovarmi il cappotto ».
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CUCCHEDDA GIOVANNI, pastore, di anni 47:
«Il primo dell'anno uscivo dal paese in campagna, per località su 'unzaiddu, solo. Trovo un carabiniere col mitra puntato e mi dice: «Perché scappavi? ». «Io scappavo? Che cosa vuole dire? ». Comincia a prendermi a pedate — e sono stato il prima ad avere in testa colpi di calcio di mitra. A calci mi manda in mezzo agli altri carabinieri e a tutti gli altri pastori che ora sapete i nomi. Poi mi buttano in mezzo al fango. Avevo una giacca nuova e un carabiniere allora si é pulito sopra i piedi dal fango. Se li ha strofinati tanto fino a che si ha pulito bene le scarpe.
Sono rimasto non so quando nel fango e tanti sono stati i colpi che quasi non sapevo più chi ero, né che succedeva. E non sapevo perché.
Ora lo so.
IIn brigadiere [...]

[...] in testa colpi di calcio di mitra. A calci mi manda in mezzo agli altri carabinieri e a tutti gli altri pastori che ora sapete i nomi. Poi mi buttano in mezzo al fango. Avevo una giacca nuova e un carabiniere allora si é pulito sopra i piedi dal fango. Se li ha strofinati tanto fino a che si ha pulito bene le scarpe.
Sono rimasto non so quando nel fango e tanti sono stati i colpi che quasi non sapevo più chi ero, né che succedeva. E non sapevo perché.
Ora lo so.
IIn brigadiere mi ha mandato a casa, dopo molto. Ed io sino ad oggi non ho fatto denunzia, come dovevo, per paura ».
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MANCA GIUSEPPE, pastore, di anni 17:
« Confermo ».
INCHIESTA SU ORGOSOLO 205

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PISANO PASQUALE di Giuseppe, pastore, di anni 35: « Confermo ».
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PASQUALE MORO, da Aritzo, residente in Orgosolo, pastore, di anni 66:
« È oltre un mese che sto con i bagni di aceto ai ginocchi. Il Questore ha detto che il carabiniere che mi ha rovinato doveva perdere il pane. Non gli hanno fatto poi niente. Ed io non sono guarito.
Ero andato a prendere i bu[...]

[...]gavano lo mandavano di là. Io aspettavo di vedere. Chi ci aveva le penne stilografiche glie le levavano. E chi ci aveva gli orologi glieli levavano. I carabinieri li aprivano con il coltello per studiare il macchinario. E non erano specializzati. A uno studente, Menneas Narciso di Francesco glie lo stavano levando.
Intanto a terra stava un mucchio di coltelli, che tutti se li toglievano di dosso di iniziativa loro: e sono rimasti ai carabinieri perché
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INCHIESTA SU ORGOSOLO
nessuno per un coltello ha voluto passare il pericolo di andare a ripigliarlo. Sempre guardavano e arriva il turno mio.
C'era un carabiniere che mi conosceva. Non ci avevo penna, che non la ho avuta mai in vita mia, e non ci avevo orologio perché il mio é troppo grosso a portarlo : è il sole. Poi mi pigliano e mi mandano nell'altra stanza dove stavamo almeno in 100 o 200. « Aprite, aprite, per carita. Qui si soffoca! ». Anche qui la finestra era chiusa. e ci dicevano di non avvicinarci neppure: sparavano subito. C'era il brigadiere Paganello, che ha ucciso a Emiliano Succu. Dopo che ci hanno trattenuto ancora un'ora fermano il fratello di Emiliano, Natale, due altri ancora e Giuseppe Sorighe, il semideficiente. A me mi hanno mandato a casa. Tutto il paese era pieno di carabinieri. E ho saputo che erano entrati pure in casa nostra a bu[...]

[...]
DAVOLI NICOLA di Carmine, pastorello, di anni 12:
« Il primo dell'anno, appena fatta l'alba, il mio babbo mi aveva mandato in campagna a guidare le pecorelle. Esce un carabiniere — ci ho avuto tanta paura — e non mi ha voluto far passare. «Fermo! ». « Io sto fermo ». « Dove vai? ». « A guardare le pecorelle ». Allora mi ha dato un cazzotto e una pedata. Mi fanno la perquisizione e ci avevo una tasca piena di aranci, che me li ha dato la mamma perché era il capodanno. « Anche tu sei uno che mangia gli aranci », dice un altro carabiniere. Me ne ha preso uno e buttato addosso, e un altro me lo ha schiacciato sulla faccia. Poi si é messo a pestare tutti a terra, e non ne è rimasto neppure uno. « Tu sarai certamente il figlio di qualche latitante », mi ha detto il primo. Io mi sono messo a piangere e a tremare. E allora, sempre a cazzotti e a calci, mi hanno cacciato »..
Confermo il racconto di mio figlio : Davoli Carmine, pastore.



da Baratono (relatore per la mozione unitaria) con presentazione di Argentina Altobelli (presidente), e Giovanni Bacci, Discorso di Baratono in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]i il biberon ! (Rumori vivissimi). Parli Baratono ! (Applausi vivissimi. Rumori dai palchi dei comunisti puri). BARATONO: Compagni, io vi prego di non raccogliere le interruzioni e di non fare dialoghi. Alle interruzioni posso rispondere io stesso di volta in volta che me le faranno, e mi procureranno un grandissimo piacere.
Dicevo dunque, semplicemente, che se io prendo la parola dopo la relazione che ho scritto e che è stata pubblicata, gli é perché sono convinto di una cosa: non credo che le sorti del Congresso siano già decise e che quindi, come molti altri affermano, sia perfettamente inutile discutere. Non credo che una discussione aperta, esauriente, chiara, non possa modificare i risultati del Congresso, non possa spostare alcune odierne situazioni le quali sono principalmente basate sopra moltissimi equivoci.
Credo poi che qui si debba parlare non soltanto per i congressisti o per lo stenografo che manderà agli atti per il futuro storico movimento socialista le nostre parole, ma si debba parlare soprattutto pen
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sando a quel[...]

[...] parti, rumori prolungati. In questo momento sale sul banco della Presidenza Giacinto Menotti Serrati, accolto da uno scroscio di applausi entusiastici da parte della grandissima maggioranza dei congressisti, e da urla assordanti da parte della minoranza comunista).
Vi avverto, compagni, che io intendo assolutamente di parlare e starò qui fino a questa sera, magari, ma intendo di esporre tutto il mio pensiero. (Benissimo).
Per il vocabolario e perché non si equivochi, stabiliamo dunque subito, senza che nessuno tumulti, che io chiamerò « comunista » la frazione che cosí si vuol denominare, chiamerò « unitaria » la nostra frazione e chiamerò « concentrista » la terza frazione.
Voci: Riformista ! (Rumori vivissimi).
BARATONO: È questione di nomi, é questione di parole, e le parole hanno il significato che si attribuisce loro ! (Rumori vivissimi e prolungati).
Voci: Ma che fa la Presidenza? Fateli stare zitti !
BACCI: La Presidenza che cosa volete che faccia? Se volete che faccia qualche cosa per tenere a freno il Congresso datele i pote[...]

[...]ine di idee che si ribelli al nuovo, l'antica mentalità che non vuol cedere al fermento del nuovo pensiero; e mi domandavo, anche, se non fosse l'avvenimento che era sotto i nostri occhi questa mattina null'altro che un episodio di quella meravigliosa lotta che la Terza Internazionale va combattendo in tutto il mondo, lotta la quale non ha importanza soltanto nell'interno dei nostri Partiti, ma anche nella compagine di tutte le nazioni moderne.
Perché è la Russia che fa la politica internazionale, non soltanto dall'armistizio in poi, ma da prima dell'armistizio; è la Russia che ha condotto la guerra al suo logico fine: è la Russia che ha provocato la disfatta delle armi nella guerra, la disfatta di tutte le armi; è la Russia che ha provocato poi, davanti al pappagalleggiamento di Wilson, lo smascheramento di Versailles, dell'Intesa, e che ancora oggi seguita a fare la piú grande politica internazionale.
E mi domandavo se questo fatto che qui nell'interno del Partito socialista italiano avviene non fosse che un semplice episodio di questa[...]

[...]agno Graziadei vi ha fatto largamente l'esposizione della questione. Al compagno Graziadei, uomo di studio, uomo di pensiero, abituato ad appoggiare le sue critiche sopra i documenti, io avrei voluto chiedere semplicemente una cosa; l'avrei chiesta alla sua lealtà: di ricordarsi cioè che tutto ciò che egli ha detto ieri, noi lo avevamo scritto, noi, unitari, contro cui egli soprattutto ha diretto ieri i suoi strali: e quindi domando a Graziadei: perché se tu, ieri, a proposito della disciplina dell'Internazionale di Mosca e del modo dell'applicazione dei 21 punti di Mosca sei perfettamente d'accordo con ciò che noi abbiamo detto, ed abbiamo detto in un articolo, non in una conferenza, ma in una relazione ufficiale della nostra tendenza, perché ti pensi tu in disaccordo da noi? Perché tu ci consideri come tuoi avversari? Giacché tu soprattutto intendesti dimostrare a questa assemblea che ci fosse un divario tra coloro che sono con te, e che soli riconosci come comunisti, e noi in questo momenta trattati quasi da socialdemocratici e da traditori.
Noi abbiamo molto chiaramente espresso il nostro pensiero: i 21 punti di Mosca hanno certamente valore internazionale. La Terza Internazionale si è trovata di fronte alla stessa situazione in tutto il mondo: la Seconda Internazionale aveva tradito perché nei Partiti socialisti dei vari paesi c'erano degli elementi socialpatrioti, [...]

[...]desti dimostrare a questa assemblea che ci fosse un divario tra coloro che sono con te, e che soli riconosci come comunisti, e noi in questo momenta trattati quasi da socialdemocratici e da traditori.
Noi abbiamo molto chiaramente espresso il nostro pensiero: i 21 punti di Mosca hanno certamente valore internazionale. La Terza Internazionale si è trovata di fronte alla stessa situazione in tutto il mondo: la Seconda Internazionale aveva tradito perché nei Partiti socialisti dei vari paesi c'erano degli elementi socialpatrioti, c'erano degli elementi socialdemocratici che avevano fatto deviare le Sezioni del Partito. Era un postulato essenziale, una necessità assoluta per la rivolu
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zione russa di pretendere che in tutti i paesi, finalmente, il Partito socialista prendesse la via di sinistra, prendesse la via della rivoluzione, prendesse la via di Mosca, la via della dittatura del proletariato.
In ciò Zinowieff è stato chiarissimo, e noi stessi abbiamo ricordato quella lettera di Zinowieff in data 23 ottobre al proletariato fran[...]

[...]venti punti, trattasi unicamente di decidere se da ora in poi i Partiti socialisti debbano andare verso la rivoluzione e il comunismo, ovvero debbano ancora perdersi per i vicoletti della piccola borghesia stagnante nella società borghese presente ».
Comprendiamo quindi tutta la necessità che aveva il Secondo Congresso della Terza Internazionale di fissare le tesi e di stabilire i 21 punti, e riconoscemmo anzi nei 21 punti fin troppa larghezza, perché per il Partito socialista italiano è troppa larghezza ammettere, anche limitandolo all'arbitrio della Commissione esecutiva della Terza Internazionale, che qualche centrista possa prendere parte alla Direzione stessa del movimento socialista.
Voci: E i riformisti?
BARATONO: Applicazione dei 21 punti di Mosca. Noi siamo perfettamente d'accordo con l'Internazionale di Mosca, la quale domanda a tutti i paesi che la scissione dai riformisti si faccia su queste basi: se fino ad allora era stato concesso, in un modo o in un altro, ai riformisti ed ai centristi di restare nel Partito, da allora in[...]

[...]to socialista esistente. Ci dev'essere una causa piú profonda o piú generale, che non riguarda affatto la disciplina della Terza Internazionale. Si tratta quindi di cercarla, o compagni che avete interrotto dicendo che la causa della nostra diversità di vedute sta nella Terza Internazionale. Si tratta di cercare — e Graziadei mi darà ragione — se ciò che ci divide è una questione di ragione nazionale o è una questione di ragione internazionale.
Perché nel secondo caso chi decide è Mosca, giustamente, legittimamente; ma nel primo caso chi deve decidere siamo noi.
Naturalmente il problema si è complicato per il fatto che nella polemica sono entrati dei compagni che appartengono alla Terza Internazionale, che alla polemica hanno preso parte uomini come Lenin, come Zinowieff, e che dalla loro bocca ci vengono le critiche stesse che per primi ci mossero dei compagni d'Italia, critiche che in gran parte noi avevamo accettato perché riguardanti l'orientamento e la tattica interna del nostro Partito.
Tutte queste critiche, come io osservavo nell[...]

[...]è Mosca, giustamente, legittimamente; ma nel primo caso chi deve decidere siamo noi.
Naturalmente il problema si è complicato per il fatto che nella polemica sono entrati dei compagni che appartengono alla Terza Internazionale, che alla polemica hanno preso parte uomini come Lenin, come Zinowieff, e che dalla loro bocca ci vengono le critiche stesse che per primi ci mossero dei compagni d'Italia, critiche che in gran parte noi avevamo accettato perché riguardanti l'orientamento e la tattica interna del nostro Partito.
Tutte queste critiche, come io osservavo nella mia relazione, in generale vengono fondate sopra una ragione di interpretazione storica, di interpretazione di fatti. Riandando alla vita del nostro Partito, da Bo_ogna ad oggi, si dice che essa presenti delle gravi avarie: che il Partito socialista italiano dopo Bologna, avrebbe avuto occasione di fare una rivoluzione vittoriosa, e non la colse per la presenza nel suo seno di elementi riformisti.
Questa è la piú grave critica che si faccia, ed è una semplice interpretazione di[...]

[...]o alla vita del nostro Partito, da Bo_ogna ad oggi, si dice che essa presenti delle gravi avarie: che il Partito socialista italiano dopo Bologna, avrebbe avuto occasione di fare una rivoluzione vittoriosa, e non la colse per la presenza nel suo seno di elementi riformisti.
Questa è la piú grave critica che si faccia, ed è una semplice interpretazione di avvenimenti accaduti sotto i nostri occhi, dei quali noi siamo competentissimi a giudicare, perché li abbiamo vissuti.
Ancora questa mattina, in quella lettera lettaci dal compagno di
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Bulgaria, si ripetevano le stesse accuse, si alludeva agli stessi fatti; ancora questa mattina si diceva: Voi, socialisti italiani, siete stati sul punto e nella condizione di poter fare la vostra rivoluzione, di appropriarvi del potere politico del vostro paese, e non l'avete fatto perché siete stati troppo teneri verso gli elementi riformisti che sono nel vostro Partito. (Commenti).
Se non è proprio letteralmente esatto, è però questo il pensiero generale...
Una voce dal palco dei comunisti: Non è questo il senso !
BARATONO: Correggerete ancora.
A queste critiche, e quindi ai rimproveri, e quindi alla diversa tattica che dovremmo seguire se queste critiche e questi rimproveri fossero giusti, noi della tendenza unitaria che cosa rispondiamo?
Rispondiamo che noi guardiamo ai fatti, che noi guardiamo gli avvenimenti con occhio piú sereno di voi. Rispondiamo, cari compagni: [...]

[...]amo anche su questo, che mille condizioni propizie ci sono in Italia per la rivoluzione; d'accordo siamo anche su questo: che nelle masse stesse italiane, sia pure in forma impulsiva, sia pure in forma di un meraviglioso istinto generoso che le spinge, nelle masse italiane c'è la possibilità di trascinarle all'evento ultimo. Siamo d'accordo sulla debolezza degli istituti borghesi italiani in confronto degli stessi istituti di altri paesi vicini, perché la libertà relativa che godiamo in Italia è appunto l'effetto della debolezza degli organi costituzionali italiani, i quali non poggiano su una forte e compatta classe dominante; come è anche l'effetto della nostra forza che in Italia è enormemente superiore — in relazione, si intende — alla forza che ha il Partito socialista nei paesi vicini. Siamo d'accordo su tutto ciò.
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Dove non siamo d'accordo? Su particolari, su contingenze di fatto semplicemente.
Per esempio, ne colgo una a volo: quella lettera lettaci dal compagno Kabaktceff a nome dei compagni di Mosca diceva che in Italia c'è [...]

[...] forza che ha il Partito socialista nei paesi vicini. Siamo d'accordo su tutto ciò.
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Dove non siamo d'accordo? Su particolari, su contingenze di fatto semplicemente.
Per esempio, ne colgo una a volo: quella lettera lettaci dal compagno Kabaktceff a nome dei compagni di Mosca diceva che in Italia c'è uno stato di miseria disperata dopo la guerra.
Siamo sinceri, compagni che venite dai lavoratori dei campi e delle città: la miseria ci sarà, perché precipitiamo verso la disoccupazione e la fame, ma disperata miseria non c'era nel giorno nel quale, secondocostoro, noi avremmo dovuto fare la rivoluzione e non l'avremmo fatta per l'intervento dei socialisti di destra. (Oooh, 000h ! Commenti animatissimi e prolungati).
Questi particolari non sono senza importanza, perché servono a dimostrare che appunto sopra queste piccole inezie, sopra queste quisquilie si è voluto artificialmente creare una grave divergenza di opinioni. La borghesia, dopo l'armistizio vedendosi perduta, ebbe l'istinto di lasciar libera la gara dei contadini e degli operai all'aumento di salario. È un fatto.
Voci: E la disoccupazione? E il caroviveri? (Interruzioni. Cornmenti animati. Rumori).
BARATONO: Cercate di interpretare senza malignamenti il mio pensiero. Io non dico che le condizioni dei lavoratori italiani siano assolutamente buone: dico che nell'apprezzamento di un fatto storico[...]

[...]rda il movimento dei metallurgici, anche piccole circostanze hanno il loro valore, e che quindi la diversa interpretazione di un fatto può avere delle gravi conseguenze nella dottrina. (Commenti).
Cosí, per esempio, noi siamo d'accordo che la rivoluzione, pur essendo un fenomeno internazionale, debba incominciare in qualche posto, e che il luogo nel quale possa incominciare la rivoluzione nell'Europa occidentale potrà essere benissimo l'Italia, perché in condizioni piú favorevoli degli altri.
Una voce: Manca il pane !
Voci: Compratelo ! (Vivissima ilarità. Commenti).
BARATONO: Dove, invece, per esempio, non andiamo piú d'accordo è quando i compagni della Russia, e specialmente in una delle ultime lettere inviate agli italiani, ci dicono con tutta tranquillità che non appena il movimento sarà scoppiato in Italia, immediatamente ci verrà l'aiuto della Francia, della Inghilterra, della Russia stessa. (Commenti. Rumori vivissimi).
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MISIANO: Non dice cosí, gesuita ! (Rumori vivissimi e prolungati. Scambio di apostrofi).
ALTOBELLI, pres[...]

[...] allora, specialmente, che la presenza di qualche destro nel nostro Partito avrebbe proprio impedito alla rivoluzione di aver luogo. (Interruzioni).
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Io non ne parlerei (come non citerò, se non per esemplificare, questioni particolari e tacerò del tutto di questioni personali) non ne parlerei se non ci fosse la circostanza che io era nella Direzione del Partita e che nessun altro fra gli oratori potrà riferirne come testimone oltre Gennari, perché Serrati era ancora in Russia, quantunque una vignetta lo rappresenti addormentato, in quei giorni.
Ed anche qui mi rivolgo al compagno Gennari: poniamo la questione nel fatto, senza nessuna intenzionalità, e cerchiamo di ricostruire la storia di quei giorni.
Io ricordo ciò che ho osservato; quelle ore, le ho seguite, le ho vissute; se voi credete che venga in malafede a parlare e a cercare di modificare i fatti, ditemelo subito, piuttosto che interrompermi dopo, ed io tacerò; ma se voi ammettete la buona fede di un uomo, la storia é questa, molto semplice, esposta non per difendere uomini o[...]

[...]
Orbene, io dico a lui la stessa cosa: riconosciamo, compagno Graziadei, che l'aver preso possesso delle fabbriche, nel modo con cui s'è avverato in Italia, era una condizione assai piú propizia di quella che sarebbe stata se in quel momento il Governo, per sue ragioni borghesi, non avesse in certo senso lasciato fare e consentito. Adunque, per intanto, teniamo presente questo fattore. Né diteci subito che c'era una situazione insurrezionale sol perché i nostri operai erano in possesso delle fabbriche, dal momenta che erano in possesso delle fabbriche pacificamente.
Quei giorni, in una prima riunione alla quale presero parte solamente rappresentanti operai delle regioni piú industriali metallurgiche d'Italia, io ricordo che l'atmosfera fu molto pacifica. Erano questi operai forse dei riformisti? No, compagni, erano degli organizzatori...
Voci: Buoni quelli ! (Rumori. Commenti).
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BARATONO: ...erano degli operai diventati organizzatori. Lenin ci ha consigliato di sostituire ai riformisti degli operai; e quelli erano degli operai, come [...]

[...]del Consiglio generale delle leghe noi della Direzione del Partito non avevamo una chiara intenzione, una precisa visione, una certa decisione di portare il movimento piuttosto da una parte che dall'altra. Lasciammo che si convocasse il Consiglio delle leghe. Nel frattempo la situazione generale, piuttosto che migliorata, era peggiorata, come riferirono, del resto, coloro che venivano dalle fabbriche invase, primi fra tutti i compagni di Torino. Perché lo stato d'animo degli operai non era piú a quella altezza di tensione nella quale si trovava i primi giorni. Alcuni di essi, poco educati, troppo utilitaristi forse, già domandavano, soprattutto, che si fornisse loro il mezzo di vivere giorno per giorno se si voleva che rimanessero nelle fabbriche. Mi rivolgo agli organizzatori per testimonianza.
Molte voci: È verissimo.
BARATONO: Vennero dunque quelle due famose giornate che furono impiegate in discussioni fra Direzione del Partito e Confederazione generale del lavoro, dove la Confederazione generale del lavoro, di cui io non intendo affa[...]

[...]vimento. Dico, se si fosse accettato un punto di vista rivoluzionario, ma intermedio...
Una voce: Le mezze misure !
BARATONO: Ah ! Ma tu non sai che cosa sia una rivoluzione: non hai mai letto un libro di storia ! (Applausi vivissimi).
Quando Lenin ha spossessato le fabbriche di Putiloff ha motivato la propria azione affermandone le precise e particolari ragioni, e non ha detto: ce le prendiamo per la rivoluzione ! Ha dato ragioni contingenti perché la rivoluzione non si fa tutta in una mattina. Invece, ed io ve lo dico solo per dimostrarvi lo stato d'animo degli uomini di quel giorno, invece l'urto fra Gennari, rappresentante della Direzione del Partito, la quale all'unanimità gli dette la sua solidarietà, e il Comitato centrale della Confederazione generale del lavoro, fu violento solo per questo: che c'era un'assoluta antitesi, non di tendenze politiche e di programmi, ma di sentimenti e d'abito mentale. Piangevano gli uni e gli
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altri; ma uno diceva: io credo che domani si debba fare il gran salto; e gli altri dicevano: noi ones[...]

[...]la Direzione del Partito, la quale all'unanimità gli dette la sua solidarietà, e il Comitato centrale della Confederazione generale del lavoro, fu violento solo per questo: che c'era un'assoluta antitesi, non di tendenze politiche e di programmi, ma di sentimenti e d'abito mentale. Piangevano gli uni e gli
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altri; ma uno diceva: io credo che domani si debba fare il gran salto; e gli altri dicevano: noi onestamente e lealmente ci spaventiamo perché ci sembra un salto nel buio.
La solita voce: E allora non si fa il dirigente di organizzazioni ! (Interruzioni vivacissime. Commenti animati. Rumori vivissimi. Scambio di apostrofi violente).
BARATONO: Compagni, persuadetevi, non diamo un giudizio, esponiamo un esame dei fatti; persuadetevi che stavano di fronte due concezioni oneste, una rivoluzionaria e una sindacale. (Commenti animatissimi).
GENNARI: E incompatibili. Di qui la necessità della separazione. Voci: Ecco la scissione !
Altre voci: L'ordine del giorno era di Bucco. Ricordatevelo ! (Rumori vivissimi. Scambio di apostrofi).
[...]

[...]ostrofi violente).
BARATONO: Compagni, persuadetevi, non diamo un giudizio, esponiamo un esame dei fatti; persuadetevi che stavano di fronte due concezioni oneste, una rivoluzionaria e una sindacale. (Commenti animatissimi).
GENNARI: E incompatibili. Di qui la necessità della separazione. Voci: Ecco la scissione !
Altre voci: L'ordine del giorno era di Bucco. Ricordatevelo ! (Rumori vivissimi. Scambio di apostrofi).
BARATONO: Io dico questo perché noi, unitari, veniamo accusati di voler difendere i riformisti e il riformismo. E non è vero. Noi difendiamo solamente, per debito di lealtà, questi che sono ancora oggi nostri compagni, perché Bologna ha consentito che fossero ancora nostri compagni, dall'accusa di essere dei traditori, dall'accusa di essere dei complottisti, dei conniventi con la borghesia.
Questa è una posizione di lealtà che noi dovevamo assolutamente lrendere di fronte a quei compagni di Mosca che asserivano: « voi avete nel vostro seno dei traditori e degli opportunisti ». Non avevamo di fronte a noi, quel giorno, dei traditori e degli opportunisti; di fronte a noi quel giorno avevamo uomini che in buona fede, onestamente, secondo la loro convinzione... (Interruzioni. Rumori vivissimi), secondo la loro convin[...]

[...]le posizioni prese.
Una voce: Tu non conosci bene le masse ! (Rumori vivissimi).
BARATONO: Insomma, noi diciamo: nella valutazione delle condizioni e delle circostanze per la riuscita di una rivoluzione vittoriosa, ci volete o non ci volete mettere anche l'elemento che si chiama psicologia dell'operaio; che si chiama preparazione delle masse; che si chiama psi
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cologia di coloro che dirigono e sempre dirigeranno queste organizzazioni. perché anche quando ci andrete voi, i piú puri tra i comunisti, i piú ardenti tra i comunisti, dovrete fare un'opera nello stesso senso che la fanno loro? (Interruzioni. Rumori).
Non dimentichiamo dunque, fra l'altro, che contro l'ordine del giorno BuccoSchiavello e per l'ordine del giorno D'Aragona votarono in maggioranza i rappresentanti delle organizzazioni operaie.
Voci: Senza mandato.
BARATONO: La presenza e l'autorità che si dice avere nel Partito so cialista questa nostra destra non è una causa della mancata rivoluzione, ma è, se mai, un effetto; dimostra appunto che le condizioni d'Italia[...]

[...]votarono in maggioranza i rappresentanti delle organizzazioni operaie.
Voci: Senza mandato.
BARATONO: La presenza e l'autorità che si dice avere nel Partito so cialista questa nostra destra non è una causa della mancata rivoluzione, ma è, se mai, un effetto; dimostra appunto che le condizioni d'Italia, sono tali che questi destri sono ancora oggi compatibili, o erano ancora ieri compatibili nelle nostre file. (Aaah ! Aaah I). Ci potevano stare perché avevano il suffragio delle loro masse. Non si deduce, che domani ci debbano stare. Non si dice che domani il Partito socialista debba seguire la stessa via che ha seguito fino ad oggi; si dice: « andiamo a vanti », ma il passato giudichiamolo onestamente; diciamo che nel passato, non per nostra volontà, non per nostra colpa, non per la presenza di tre, di cinque, di venti persone, ma per condizioni assai piú profonde, e nazionali e internazionali, il rivolgimento non si è potuto eseguire in Italia. Diciamo questo, onestamente, e non divenga quindi un'accusa al Partito socialista italiano non [...]

[...]o questo non abbiamo nessuna eccezione a fare. Siamo pronti a formare nuovi organi piú adatti e piú celeri, come siamo stati i primi a dire che la Direzione del Partito deve essere accentrata e deve imporsi con maggiore autorità di oggi. Siamo stati i primi, noi stessi, a muovere le critiche all'organizzazione passata del nostro Partito.
A tutto ciò siamo disposti, ma non siamo disposti a farci dare dei codardi, dei traditori della rivoluzione, perché noi non lo siamo mai stati ! (Applausi vivissimi. Interruzioni di Bordiga. Rumori vivissimi. Tumulto).
ALTOBELLI, presidente: Sospendo la seduta fino a che tutti non saranno a posto.
(La seduta rimane sospesa per mezz'ora circa. Altobelli ritorna alla Presidenza esortando lungamente l'assemblea e specialmente quelli che sono nei palchi a non provocare tumulti. Quindi dà la parola all'oratore).
BARATONO: Le mie parole tendevano a portarvi sopra constatazioni di fatto dalle quali, se me ne aveste lasciato il modo e il tempo, avrei potuto trarre questa conclusione: che nel Partito socialista [...]

[...]a precisa qualifica, come si fa invece dai compagni di Mosca. Siamo stati in disaccordo non sull'ammettere o non ammettere che Turati, che Treves, che D'Aragona siano alla destra del Partito, ma solamente nel criterio storico su questa tendenza, nella valutazione di socialpatriottismo, alla quale avete poi rinunziato, o di socialdemocrazia, alla quale non rinunziate, intendendola come sinonimo di riformismo,
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nel senso storico della parola, perché nel senso storico della parola riformismo vuol dire collaborazionismo.
Di fronte a questa domanda: «esiste il collaborazionismo come frazione del Partito socialista italiano? » noi avremo errato, la storia dirà poi la sua sentenza ultima di qui a qualche anno, nessuno è profeta nel mondo, ma insomma noi crediamo di poter definire i nostri destri come frazione collaborazionista, in quanto crediamo che non esista una frazione collaborazionista, la quale porti cioè come suo programma e cerchi di attuare nella sua attività di Partito questa tendenza a collaborare con la borghesia.
Direte: sono [...]

[...]no opposti a noi come frazione, e non hanno punto cercato di realizzare la socialdemocrazia, mentre avevano il favore, in un certo momento, della borghesia e dei ministri del re, pronti già a divenire ministri... della repubblica.
Questo volevamo dire. Noi massimalisti, maggioranza del Partito di fatto, storicamente parlando, non abbiamo trovato un'opposizione di una frazione riformista che ci dicesse: « no, voi dovete fare in quest'altro modo, perché questa è la tattica del Partito che noi difendiamo ». Abbiamo invece trovato degli uomini, che stando per temperamento, per abito mentale o professionale, alla destra del nostro Partito, solamente adesso si sono costituiti in frazione concentrista, perché li hanno spinti a costituirla, con la loro opposizione, proprio gli estremisti di sinistra. I nostri destri hanno creato questa frazione artificiosa e artifi ciale, hanno creato una frazione che s'aduna per dire che non esiste come frazione. Perché ieri Graziadei — scusa se ti cito cosí frequentemente, ma ciò avviene honoris causa — ieri Graziadei diceva, a proposito di Frossard: « quelle che contano sono le mozioni, non i discorsi ». E se fosse vero questo, se contasse soltanto la mozione di Reggio, se contasse la relazione di questa frazione non siamo piú di fronte ad un riformismo né ad un collaborazionismo, ma a della gente che ha corretto i suoi errori passati, ed è venuta dietro di noi.
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Di fronte a questo atteggiamento, concludiamo: non possiamo espellere una frazione intera, in quanta frazione; possiamo prendere provvedimen[...]

[...] questo, se contasse soltanto la mozione di Reggio, se contasse la relazione di questa frazione non siamo piú di fronte ad un riformismo né ad un collaborazionismo, ma a della gente che ha corretto i suoi errori passati, ed è venuta dietro di noi.
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Di fronte a questo atteggiamento, concludiamo: non possiamo espellere una frazione intera, in quanta frazione; possiamo prendere provvedimenti individuali, in quanto possono esistere persone che, perché alla destra, individualmente contravvengono alla disciplina del Partito. E queste persone noi le abbiamo diagnostizzate altrettanto crudamente, se non piú di quanto hanno fatto i compagni della frazione comunista.
Si tratta in parte di uomini che hanno compiuto un'evoluzione, soprattutto intellettuale, e che si sono formata la loro mentalità soprattutto attraverso la vita del Partito nei tempi passati, prima della guerra, (panda cioè il Partito era in condizioni assai diverse da ora, appunto perché non c'era quella condizione rivoluzionaria che, voi tutti lo ammettete, la guerra stessa ha pr[...]

[...] disciplina del Partito. E queste persone noi le abbiamo diagnostizzate altrettanto crudamente, se non piú di quanto hanno fatto i compagni della frazione comunista.
Si tratta in parte di uomini che hanno compiuto un'evoluzione, soprattutto intellettuale, e che si sono formata la loro mentalità soprattutto attraverso la vita del Partito nei tempi passati, prima della guerra, (panda cioè il Partito era in condizioni assai diverse da ora, appunto perché non c'era quella condizione rivoluzionaria che, voi tutti lo ammettete, la guerra stessa ha provocato in tutti i paesi; si sono formati una mentalità piccoloborghese, una mentalità dunque riformistoide, non precisamente riformista come programma, ma con un atteggiamento riformista, con una spirito di riformista.
Il loro riformismo consiste principalmente in questo: nel collocare la meta piú in qua della rivoluzione, senza negare la rivoluzione. Guardano l'immediato presente, o vivono nella sfera del parlamentarismo e del possibilismo contingente, senza escludere che domani si possa, si debba[...]

[...]mo e del possibilismo contingente, senza escludere che domani si possa, si debba, si voglia fare la rivoluzione.
Noi respingiamo questa mentalità che è alla destra, ma anche alla sinistra del Partita, e crediamo che sia incompatibile ormai col Partito socialista, per una semplice ragione: che non appena voi in un'azione qualunque ponete come meta qualche cosa al di qua della rivoluzione, fate del riformismo anche se quest'azione fosse violenta. Perché la differenza fra il metodo rivoluzionario e quello riformista non è nella peculiarietá di un certo atto: rivoluzionario sarebbe anche il mio atto di prendere questa bottiglia se questa bottiglia fosse <c tabú », se ci fosse una legge borghese che m'impedisse di prenderla; rivoluzionario è anche un atto sindacale, anche la conquista di un piccolo beneficio operaio, non appena gli diamo l'indirizzo che trascenda verso il fine rivoluzionario, viceversa riformista pub essere anche prendere di mira un ufficiale e colpire le guardie, cari compagni !
Cari compagni, molti di quelli che hanno votato[...]

[...]e, convenitene, anche nella frazione comunista; anche là c'è una destra e una sinistra; anche lá c'è la parte bornbacciana e la parte bordighiana; non mi pare che ci sia una grande omogeneità, una perfetta unità tra queste parti...
BORDIGA: C'è, c'è
BARATONO: Tanto meglio !
Dico dunque, che noi, che viviamo nelle Sezioni, sappiamo che molti compagni, che hanno mandato qui dei rappresentanti aderenti alla frazione comunista, sono rivoluzionari perché credono ad una forma di rivoluzione che non è che l'insurrezione fine a se medesima, alla rivolta, e mentre credono che ogni riforma sia del riformismo, il loro non è che un riformismo all'inverso, già che l'episodio insurrezionale preso in sé anche come pura e semplice conquista del Governo, vale per la rivoluzione come una riforma qualsiasi, un episodio, mentre rivoluzione vuol dire quella che ricostruisce la società tutta quanta.
Quindi, dicevo, la discordia tra noi e molti elementi dell'ala destra è in questa concezione del fine, é in questa volontà del fine che diamo alla nostra azione,[...]

[...]rica nella quale bisogna vivere, alla quale bisogna adattare l'azione giorno per giorno, sorge l'opposizione dalla nostra volontà, dalla nostra finalità trascendentale. La rivoluzione è l'antitesi dell'idea soggettiva a questa realtà oggettiva, a questo terreno storico sul quale noi ci muoviamo. In questa opposizione, assoluta dunque e intransigente, piuttosto kantiana che hegeliana...
Una voce: Crociana !
BARATONo: ...niente affatto crociana, perché non nel soggetto stesso, ma fra soggetto e oggetto, tra volontà morale e possibilità materiale, sta, secondo il Marx, tutto il segreto della prassi rivoluzionaria che realizza la storia, sí, evolutamente, ma a condizione appunto che il fine dell'azione sia rivoluzionario. Si trasforma l'oggetto perché il soggetto vi reagisce secondo un fine che lo trascende: altrimenti ci si adatta, non si è piú causa ma effetto, non si è piú l'avvenire ma il passato. Questo sia detto ai destri. E ai sinistri sia ricordato, viceversa, che la volontà ideale, se si vuol realizzare, deve agire sulla realtà esistente e cimentarsi con la resistenza di questa, commisurando il mezzo al fine, che altrimenti agisce nel vuoto ossia precipita. Tale dunque è la prassi rovesciata di Carlo Marx.
Noi frazione unitaria siamo perfettamente sul terreno marxista, perché non vogliamo chiudere gli occhi alla realtà per fare u[...]

[...]i è piú causa ma effetto, non si è piú l'avvenire ma il passato. Questo sia detto ai destri. E ai sinistri sia ricordato, viceversa, che la volontà ideale, se si vuol realizzare, deve agire sulla realtà esistente e cimentarsi con la resistenza di questa, commisurando il mezzo al fine, che altrimenti agisce nel vuoto ossia precipita. Tale dunque è la prassi rovesciata di Carlo Marx.
Noi frazione unitaria siamo perfettamente sul terreno marxista, perché non vogliamo chiudere gli occhi alla realtà per fare un salto nel buio, mentre cerchiamo di attuare la rivoluzione coi mezzi che ci son dati, con tutti i mezzi, come aveva già detto Marx, che ci sono dati.
Non crediamo — magari fosse, chi non lo desidererebbe? — non crediamo che basti un manipolo audace, intelligente, ardente, a fermentare le masse solo per il suo grande valore idealistico. Questa è una religione, o qualche cosa che può avvenire solo nei primordi di un movimento ideale, una lenta preparazione per il domani; ma se voi convenite che la rivoluzione è un fatto che matura, se voi[...]

[...] esista in Italia — e la presenza di questi giornalisti vi dice che il nostro Partita è il piú rispettato di tutti, anche quando ci insultano, anche quando ci dileggiano. (Applausi vivissimi).
Anche quando ci criticano, anche quando cercano di farci la spia e di mandarci in galera, essi con questo solo preoccuparsi di noi in pagine intere, ogni giorno, dei loro giornali, dimostrano che il nostro Partita è il piú formidabile Partito italiano ! E perché voi volete scinderlo, diminuirlo, impoverirlo? (Applausi vivissimi).
E ritorno ai nostri destri, per concludere su questo punto, senza equivocazione.
Dicevo: esistono dei riformisti di destra che sono tali per mentalità acquisita, ed essi ormai appartengono alla famiglia borghese. I loro argomenti sono delle volte stampati sulle cantonate, nei manifesti, come ragioni contro di noi, e questa ci fa ancora onore: vuol dire che la borghesia ha bisogno di scegliere tra noi gli uomini che ci possano combattere. (Bravo ! Applausi).
Tuttavia, compagni, il passo da Bologna a Livorno deve essere pro[...]

[...] ragioni contro di noi, e questa ci fa ancora onore: vuol dire che la borghesia ha bisogno di scegliere tra noi gli uomini che ci possano combattere. (Bravo ! Applausi).
Tuttavia, compagni, il passo da Bologna a Livorno deve essere propria questo; rivedere la formula « libertà di scuola nella disciplina dell'azione ».
Ieri Graziadei ricordava che egli si è giovato in altri tempi di questa principio: « libertà di pensiero, disciplina d'azione » perché le differenze erano minori. È il contrario, mi pare. Allora le differenze erano molto maggiori, allora veramente c'erano una destra ed una sinistra opposte nel Partito socialista. Ma egli ha ugualmente ragione di concludere, che oggi questa formula é assurda, perché allora non era esiziale, per il Partita, che esistessero degli uomini che parlassero in senso opposto alla volontà dello stesso Partito, ma oggi, se è vero che si sia alla vigilia di questa benedetta rivoluzione, è impossibile ammettere ciò ! (Bene !).
È impossibile, caro Turati — uomo che tutti quelli che hanno vissuto a lungo nel Partito venerano, perché da lui molto hanno impara
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to — è impossibile, caro Turati, è impossibile, caro Treves, che il giorno in cui il Partito socialista decide un'azione, che ormai, badate, ha sempre carattere rivoluzionario, anche se si tratta di un'interpellanza al Parlamento — decide, per esempio, di non permettere l'aumento del prezzo del pane per i poveri — voi veniate fuori a criticare quest'azione ! È assolutamente inammissibile questo ! Abbiate o non abbiate ragione, nello stretto campo scientifico in cui vi mettete a discutere — perché se voi parlaste di economia politica in astratto può essere vero [...]

[...]e, caro Treves, che il giorno in cui il Partito socialista decide un'azione, che ormai, badate, ha sempre carattere rivoluzionario, anche se si tratta di un'interpellanza al Parlamento — decide, per esempio, di non permettere l'aumento del prezzo del pane per i poveri — voi veniate fuori a criticare quest'azione ! È assolutamente inammissibile questo ! Abbiate o non abbiate ragione, nello stretto campo scientifico in cui vi mettete a discutere — perché se voi parlaste di economia politica in astratto può essere vero che sia un vano lavoro quello di cercare di diminuire il prezzo del pane, ma noi facciamo la vita politica, dove c'è una ragione politica al di fuori della scienza... (applausi) — non è ammissibile che in quel momento voi veniate fuori con una critica a questa nostra azione parlamentare.
Non è possibile, caro Turati, il giorno in cui noi tutti riconosciamo che l'orientamento di tutti i Partiti del mondo deve essere verso l'Internazionale, perché essa deciderà delle sorti di tutto il mondo, perché se abbandonassimo l'Internazion[...]

[...] vero che sia un vano lavoro quello di cercare di diminuire il prezzo del pane, ma noi facciamo la vita politica, dove c'è una ragione politica al di fuori della scienza... (applausi) — non è ammissibile che in quel momento voi veniate fuori con una critica a questa nostra azione parlamentare.
Non è possibile, caro Turati, il giorno in cui noi tutti riconosciamo che l'orientamento di tutti i Partiti del mondo deve essere verso l'Internazionale, perché essa deciderà delle sorti di tutto il mondo, perché se abbandonassimo l'Internazionale, se dovesse cadere l'Internazionale in Russia, sarebbe finito per ora tutto il nostro movimento socialista... (Applausi vivissimi).
Voci: Siamo d'accordo !
BARATONO: E quello che dimostro !... non è ammissibile che tu venga fuori con una prefazione che mette in valore un libercolo... (applausi), perché quello che dice il libro non ha importanza come fatto e io posso dipingere lo stesso quadro che si fa delle condizioni della Russia, se vi descrivo molti paesi della nostra Sicilia dove trovo la stessa miseria e la stessa incapacità ad organizzarsi, mentre questa miseria e questa disorganizzazione che è oggi in Russia c'era anche prima, al tempo dello czarismo, e la rivoluzione non poteva modificare in un giorno. Ma a quei fatti dà valore la tua interpretazione di socialista, e quindi è assurdo che tu possa in nome della libertà di pensiero svalutare tutta quanta l'opera rivoluzionaria nel gi[...]

[...]inflessibilmente, tutte le volte, colpito gli atti indisciplinati, inclusevi le manifestazioni di pensiero che sono poi anche esse azioni vere e proprie, se avessimo colpito senza guardare all'elevatezza delle persone, noi a quest'ora non ci troveremmo a questo sbaraglio, a dividere il nostro Partito per alcuni atteggiamenti personali che fornirono le armi alla borghesia contro di noi. (Benissimo).
Ma oltre questi compagni, che sono alla destra perché sono ormai in una sfera di pensiero democratico, in una mentalità borghese, per quanta orientata e simpatizzante verso il socialismo, ed ai quali, quindi, porremo quella famosa domanda: accettate o non accettate d'ora in poi questo che è il nuovo organamento, queste che sono le nuove deliberazioni del Partito socialista italiano, e se non accettate fateci il piacere di lasciarci liberi... (Applausi).
Voci: Siamo d'accordo.
BARATONO: Malti dicono: siamo d'accordo ! Non è vero che siamo d'accordo, perché vi è tutta una frazione che esige siano cacciati Tizio, Caio, Sempronio, facendo i precis[...]

[...]na mentalità borghese, per quanta orientata e simpatizzante verso il socialismo, ed ai quali, quindi, porremo quella famosa domanda: accettate o non accettate d'ora in poi questo che è il nuovo organamento, queste che sono le nuove deliberazioni del Partito socialista italiano, e se non accettate fateci il piacere di lasciarci liberi... (Applausi).
Voci: Siamo d'accordo.
BARATONO: Malti dicono: siamo d'accordo ! Non è vero che siamo d'accordo, perché vi è tutta una frazione che esige siano cacciati Tizio, Caio, Sempronio, facendo i precisi nomi delle persone !...
Voci: No, no !
BARATONO: C'è una frazione che dice: tutti quelli che hanno aderito a Reggio Emilia, solo perché vi hanno aderito debbono andarsene; e qui è la discordia ! Noi siamo d'accordo con Mosca, perché appunto Mosca questo non ha imposto !
Dicevo, oltre queste individualità che hanno ormai una mentalità che rimane arretrata di fronte al movimento rivoluzionario, ci sono altri destri nel nostro Partito che sono a quel posto soprattutto perché sono degli organizzatori.
Voci: Sono i piú pericolosi !
BARATONO: Essi sono alla destra del Partito — come colui che io cito sempre, il nostro compagno Graziadei, ha dimostrato — sono alla destra del Partita, perché sono cosí abituati per le necessità sindacali, poiché gli stessi operai piú rivoluzionari, piú scapigliati sono quelli che li spingono sopra i gradini delle Prefetture e dei Ministeri. (Applausi.
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Vivissime approvazioni). E purtroppo il nostro movimento sindacale è impregnato di questo utilitarismo dovuto alla stessa volontà degli organizzati, ed essi si conformano a questa volontà degli operai.
Ed allora appunto bisogna distinguere e cercare di comprendere e di penetrare la situazione. Noi domandiamo una cosa molto semplice nei loro rapporti: regoliamo il rapporto tra Partito politico [...]

[...]ndere piú forte, piú tenace questa unione, facciamo una cosa sola del Partito e della Organizzazione.
Ah, sí; apriamo le porte, allarghiamo le mura delle nostre Sezioni e il Partito socialista meglio si unifichi con la massa lavoratrice: questo sí, questo corrisponde alle condizioni d'Italia, dove le nostre Sezioni, in generale, non sono e non possono essere quel manipolo di scelti, di esaminati che vi entrino con una chiara coscienza politica, perché nelle nostre Sezioni entrano tutti quelli che domandano di entrare; dove spesso ci si esaurisce nel pettegolezzo, nelle beghe interne, mentre di fuori la massa aspetta la nostra parola come la parola di un redentore; allarghiamo pure le nostre Sezioni, fondiamo di piú il Partito con l'Organizzazione; non facciamo l'opera contraria, non dividiamo invece il Partito socialista, restringendolo, dall'Organizzazione del lavoro, non perdiamo questo enorme vantaggio, che già abbiamo sugli altri paesi, di tener subordinata a noi l'Organizzazione del lavoro. Questa è la visione unitaria. Noi non siamo [...]

[...]che renda piú ferreo il nostro Partita, piú disciplinata la nostra azione; siamo contrari soltanto a tutto ciò che rompe la compagine, la organicità multipla del nostro Partita. Esso oggi é fondato sulla Organizzazione del lavoro. La nostra forza è là; ed è per deprecare il pericolo che questa forza vada perduta, che noi unitari non possiamo acconsentire
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a provocare l'esodo delle organizzazioni dietro i loro organizzatori, cacciandoli, sol perché tali, dal Partito. Il giorno in cui Partito e Organizzazione fossero staccati l'uno dall'altra, vi accorgereste a che si ridurrebbe la forza del solo Partito politico nel nostro paese: appunto perché il Partita politico non è moralmente superiore, né ha condizioni di dottrina, di spirito, di preparazione di nessun genere, superiori alla preparazione, allo spirito delle masse che stanno intorno a noi.
Resta adunque chiaro, o compagni, e questo volevo dimostrare, che non c'è nessun dissenso profondo, razionale, che non c'è nessuna causa essenziale che divida in questo momento il Partito comunista, il Partito massimalista, la grande maggioranza attuale del Partita socialista italiano; che queste differenze si sono volute creare su critiche fatte di certi momenti storici artificialmente inte[...]

[...]te differenze si sono volute creare su critiche fatte di certi momenti storici artificialmente interpretati.
E del resto anche se fossero vere queste critiche, anche se fosse vero tutto quello che voi avete detto del passato del nostro Partito, non è dimostrato ancora che il Partito nostro debba scindersi, non in due, di videndoci dai riformisti, ma anche in tre, dividendoci anche dai comunisti. Non è dimostrata in nessun modo questa necessità, perché non avete potuto e non potete dimostrare, che noi della tendenza unitaria siamo dei socialdemocratici, dei riformisti o degli indipendenti alla tedesca.
Noi abbiamo voluto tutto quello che avete voluto voi, noi abbiamo fatto tutto quello che avete fatto voi, perché siamo sempre stati insieme, abbiamo lavorato concordi fino ad oggi nel Partito. Ci differen ziamo solo in questo: che noi non vogliamo perdere quell'organamento qual'è oggi costituito dal Partito socialista.
Comprendo che ci siano forse altre ragioni che ci dividono, o meglio che distinguono alcuni che capeggiano il movimento della frazione comunista da noi unitari. Può darsi che se noi andiamo ad esaminare minutamente gli scritti di alcuni nostri compagni, troviamo altre differenze, forse piú profonde. Può darsi che ci sia una diversa valutazione, non tanto della storia del nostro Partito, [...]

[...]ifferenza, e che sia necessaria una chiarificazione sui fini rivoluzionari, sul contenuto rivoluzionario della nostra azione.
In tal caso facciamo anche questa chiarificazione.
La Terza Internazionale ci indica esplicitamente come metodo rivoluzionario, la necessità di adoperare due grandi leve che debbono ri
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muovere il macignó borghese: « la dittatura del proletariato, e l'uso della violenza ». Ebbene, può darsi che qui sia il dissenso, perché se qui non ci fosse, non ci sarebbe alcun dissenso.
Può darsi, ed è il fatto, che alcuni interpretino la dittatura del proletariato e l'uso della violenza in modo diverso dalla maggioranza della tendenza unitaria. Questa interpretazione sarebbe quella, lo spiego subito, che intende obbligare l'Italia, il giorno della rivoluzione, ad adoperare questi metodi, che sono generali per tutte le rivoluzioni, nello stesso identico modo con cui sono stati adoperati dai compagni russi, e da formare quindi in Italia, prima un Partito politico rivoluzionario di congiura contro il Governo borghese, al sol[...]

[...]ttatrice, minoranza contro la maggioranza sfruttata, operaia, proletaria; quindi Marx ha detto: a questa menzognera democrazia noi opponiamo chiaramente, realmente, una dittatura. Con questa differenza: che noi saremo dittatori a nome di tutti coloro che lavorano, ossia a nome di tutti coloro che hanno un fondamentale diritto di essere cittadini della nuova civiltà; e riconoscendo che soltanto nel lavoro c'è l'elemento costruttivo della società, perché una società si fonda sopra il lavoro; riconoscendo che quelle classi che vivono e in quanta vivono dello sfruttamento del lavoro e non della produzione diretta, sono classi che non hanno
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dunque diritto ad essere rappresentate nella regolazione, nel Governo di questa società. Noi, socialisti, instauriamo la dittatura del proletariato perché solo in questo modo elimineremo completamente lo sfruttamento. Eliminata come classe dominante la classe degli sfruttatori, non é piú possibile ammettere che al Governo, cioè alla regolazione della società, siano chiamate persone le quali non lavorino, e quindi di diritto non appartengano a questa società. Questo è il concetto della dittatura del proletariato, la quale ad un certo punto col suo svolgimento, ossia non appena si sia annullato il capitalismo, non vi sia piú classe sfruttatrice né possibilità di sfruttare, in quel giorno stesso verrà a coincidere con la piú perfetta democrazia, c[...]

[...]a e si debba imporre agli altri. Se si fa in qualche posto, si fa benissimo. Nego che si possa assumere ciò come nostro programma; soprattutto nego, e insisto ancora sulle condizioni reali dell'Italia, e vi dico che se voi intendete accaparrarvi il diritto ad una dittatura proletaria in Italia nei senso di dare l'assoluto potere nelle mani di una piccola minoranza, non potreste mantenere questo potere in Italia come in Russia (applausi), appunto perché la psiche italiana è diversa da quella russa, perché noi non siamo orientali e questo consesso lo dimostra ampiamente.
Se in Italia ci fondiamo solamente sulla credenza che una minoran
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za possa mantenere il potere, perché minoranza e quantunque minoranza, sulla maggioranza degli operai, corriamo dietro a una chimera. Ciò sarebbe fattibile solamente a condizione di fucilare continuamente la massa dei compagni ribelli, perché in Italia tutti siamo ribelli e ci ribelliamo anche al piú intelligente, al piú onorato, al piú vecchio, al piú austero che ci voglia dettar legge, di cui non siamo consensualmente persuasi.
L'Italia non è la Russia e non sperate di istituire un Partito di selezione, un Partito di congiure segrete, com'era il Partito dei rivoluzionari russi prima della rivoluzione, non sperate dopo di istituire un Governo sul tipo di quello che oggi esiste in Russia.
Analogamente circa la questione della violenza. Anche qui pub darsi che ci siano dei malintesi e degli equivoci. (Segni di vivissima attenzion[...]

[...]luzione, che è tutt'altra cosa, compagni !
Purtroppo si è formata questa mentalità, che discende in parte dalla guerra, dalla teoria dell'assalto frontale alla Cadorna; la mentalità che per impossessarsi del Governo politico, quello che importa sia l'assalto frontale, sia l'assalto sulla piazza, sia il fatto della conflagrazione armata.
Purtroppo questo si crede, da molti. Se fosse cosí, noi dovremmo disperare immediatamente della rivoluzione, perché non avremmo mai un esercito sufficiente da contrapporre all'esercito della borghesia.
Voci: E allora?
BARATONO: Perché non avremmo mai armi sufficienti; per quanto la nostra preparazione segreta fosse rafforzata e intensificata, non avremmo mai armi sufficienti, che come forza bruta, che come violenza si possa contrapporre alla forza bruta, alla violenza legalizzata.
Purtroppo il solo fatto che noi siamo fuori della legge, e che la violenza che ci si contrappone, fosse anche minore, è protetta dalla legge, questo solo fatto ci mette in un'inferiorità schiacciante. Guardate il fenomeno del fascismo, che non dipende dal fatto che gli altri abbiano piú valore, piú coraggio dei nostri compagni, ma dal fatto che [...]

[...]violenza legalizzata.
Purtroppo il solo fatto che noi siamo fuori della legge, e che la violenza che ci si contrappone, fosse anche minore, è protetta dalla legge, questo solo fatto ci mette in un'inferiorità schiacciante. Guardate il fenomeno del fascismo, che non dipende dal fatto che gli altri abbiano piú valore, piú coraggio dei nostri compagni, ma dal fatto che si sa che sparando sono poi assolti, mentre la nostra condizione è ben diversa, perché se si porta una rivoltella siamo messi in prigione. (Applausi vivissimi).
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rift—
Ed allora, compagni, l'uso della violenza ha questo senso, nel « Manifesto dei comunisti »: la violenza si contrappone alla collaborazione dei riformisti, come la dittatura alla democrazia. Solo la violenza ci può portare alla presa di possesso del potere politico, perché non ci si possano fare illusioni che venga mai un istante, caro Modigliani, in cui la borghesia ci dica: « vi lasciamo il posto, venite voi, ché non siamo piú degni di starvi »; ma deve venire il momento del conflitto.
Questa è la necessità della violenza. Ma questa violenza ha valore solo in quanto è a servizio di un'idea, in modo tale, che la forza della idea compensi la debolezza della nostra forza materiale. Vince, la vio lenza, dove la ragione ha già vinto. Vince, credetelo pure, solo in quanto è tal forza morale che convinca anche i soldati e li faccia passare dalla nostra parte. (Appl[...]

[...]nvinca anche i soldati e li faccia passare dalla nostra parte. (Applausi vivissimi).
Solo in questo. E badate, non confondete questo concetto con quello esposto, per esempio, nell'ordine del giorno di Reggio Emilia, che dice: « noi ammettiamo l'uso della violenza nel momento ultimo ». Ma quando sarà il momento ultimo? (Interruzioni. Commenti). Lo sapremo soltanto dopo ! Non ci copriamo dietro questo velo ipocrita di attesa di un ultimo momento, perché l'ultimo apparirà ultimo a cose fatte ! Sappiamo che anche il sacrificio è necessario, che anche il sangue è necessario: esso segna pur troppo le tappe del cammino del proletariato. Affermiamo però questo: la nostra violenza sia strumento di un'idea, sia strumento di preparazione morale. Non crediamo che soltanto la preparazione materiale, che soltanto l'esacerbazione dell'odio, dell'istinto di massa basti a formare un esercito rivoluzionario; si può formare un esercito insurrezionale, ma non un esercito rivoluzionario.
Ed anche qui noi siamo per rincorrere i migliori mezzi, tutti i mezzi de[...]

[...]o che essi lo facciano spontaneamente, pronti, il giorno che rimanendo nel Partito volessero ricadere nelle identiche pecche, pronti a bollarli a fuoco ed a respingerli immediatamente ! (Applausi).
A questi compagni dell'ala destra noi sottoporremo a firmare il ventunesimo punto delle condizioni di Mosca. Ci rifiutiamo soltanto a cacciare via dal Partito Tizio, Caio e Sempronio sul processo fatto al passato o sul processo fatto alle intenzioni, perché nelle intenzioni nemmeno i preti ci possono entrare. Domandiamo la loro adesione, la disciplina che vuol dire adesione ai ventuno punti...
Voci: Aaah, aaah ! Non vogliamo equivoci ! (Commenti animatissimi).
BARATONO: Ma non cercate voi di equivocare ! Non giuochiamo a male intenderci, compagni ! Non è concepibile, e non è mai stata concepibile una disciplina nel Partito che non sia una disciplina morale perché, qual genere di disciplina potete istituire? Quella del carcere? Disciplina vuol dire consenso sempre, e cosí è sempre stato nel nostro Partito. Ditelo, quando ciò non è stato?
Voci: Dopo Bologna.
BARATONO: Non c'è mai stato, compagni, a parte gli atti di disonestà politica, che qui non sono in questione, perché ci possono essere dei disonesti anche nelle file del nostro Partito; non c'è mai stato tra noi patto politico interno del Partito che non abbia implicata l'adesione di tutto lo spirito, di tutta la volontà a quello che si pattuiva !
Vuol dire che fino ad oggi il patto era piú largo, era piú lento, era possibile fino ad oggi ed era ammessa la convivenza delle diverse dottrine; oggi non sarà piú ammessa. E quando si domanda ad uomini onesti, ad uomini che fino a ieri furono i campioni del nostro Partito...
Voci: I crumiri. (Rumori vivissimi).
BARATONO: ...che fino a ieri anche voi compagni c[...]

[...] che si pattuiva !
Vuol dire che fino ad oggi il patto era piú largo, era piú lento, era possibile fino ad oggi ed era ammessa la convivenza delle diverse dottrine; oggi non sarà piú ammessa. E quando si domanda ad uomini onesti, ad uomini che fino a ieri furono i campioni del nostro Partito...
Voci: I crumiri. (Rumori vivissimi).
BARATONO: ...che fino a ieri anche voi compagni comunisti avete delegato a rappresentare il Partito da per tutto, perché ieri il discorso di Turati in Parlamento, l'altro ieri quello di Modigliani rappresentavano sí o no tutto il Gruppo parlamentare?... (Interruzioni. Commenti
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animatissimi e prolungati). Tutto il Partito milanese chiama ogni volta Treves a rappresentarlo nei comizi; le bastonate le hanno prese tutti i deputati, senza diversità di tendenze, fino ad oggi ! (Rumori prolungati).
Presentando dunque una mozione che come la nostra accetta i ventuno punti di Mosca nella loro integrità, e domandando a tutte le frazioni se accettano o non accettano questa mozione, domandandolo a della gente onesta[...]

[...]menti
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animatissimi e prolungati). Tutto il Partito milanese chiama ogni volta Treves a rappresentarlo nei comizi; le bastonate le hanno prese tutti i deputati, senza diversità di tendenze, fino ad oggi ! (Rumori prolungati).
Presentando dunque una mozione che come la nostra accetta i ventuno punti di Mosca nella loro integrità, e domandando a tutte le frazioni se accettano o non accettano questa mozione, domandandolo a della gente onesta, perché se non fosse stata onesta era dovere di denunziarli prima e non di sospettare adesso, noi implichiamo che quelli che votano, vi mettano il loro pieno consenso e la loro volontà. Chi senza alcuna obbligazione esterna mette la firma ad una cambiale, vuol dire che vi consente.
Presentiamo questa cambiale a tutti i compagni, presentiamola a destra come anche a sinistra. (Bene l).
Chi la firmerà, chi consentirà, sarà con Mosca, sarà con l'Internazionale. Ci intendiamo ormai in questo: sarà con la rivoluzione. Sarà con la dittatura del proletariato, come ci siamo intesi. Sara con la preparazione [...]



da Mario Devena, Una giornata laboriosa [dedicato a Vasco Pratolini] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]bastone, si adoperava alla maniera di un beone di raggiungere, pur tenendo il braccio teso, la parte superiore del bastone stesso; si che, per ottenere il suo scopo, ora con cautela ora con aggressività, dava luogo al suo incerto camminare.
In vero, il vino bevuto dall'uomo, che aveva nome Michele Tempo e l'età di sessantaquattro anni, lo ingannava non solo con quel giuoco insensato, ma anche col suggerirgli come ridurre il cammino fino a casa: perché con tanto pretesto lo riconduceva più e piú volte dinanzi all'edificio ornato di statue.
La via, infatti, sotto un cielo di nubi si distendeva simile ad una a e » maiuscola; i cui bracci, quando non percorsi interamente, consentivano un facile errore. Si che l'uomo, mentre un venticello a stento moveva le cime dei platani, spendendo il suo tempo col senno di quegli che seminava sale sulla riva del mare, ritornava ai suoi giri tra l'edificio e i silenziosi palazzi dirimpetto alle statue.
Distinto di aspetto, vestito di cappotto e cappello, era di statura
UNA GIORNATA LABORIOSA 21
superiore[...]

[...]la quale si sosteneva che lui, il funzionario, aveva vissuto parte di una bella vita, « senza gettare margherite o perle dinanzi ai porci '.
Di ritorno dunque dalla serata in suo onore, Michele si era ritrovato in una natte d'autunno a percorrere le vie che si distendevano simili alle lettere maiuscole dell'alfabeto. E si intestardiva nel suo giuoco insensato, mentre le statue dell'edificio lo meravigliavano per la terza volta con la loro mole, perché in lui vi era un contrasto di dolorosi sentimenti inteso a turbare la sua abituale condizione. Infatti, se con la frase che concludeva il discorso dell'amico, gli veniva fatto di subire come una scossa morale, che gia di per sé lo precipitava in uno stato di tumulto e di sconforto; ad un tempo, subiva un doloroso contrasto tra la natura sobria e dignitosa e la imposizione dovuta al vino, che
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gli suggeriva con quel giuoco un comportamento non conforme alla propria natura. E ciò non solo perché il vino facilmente aveva avuto ragione della volontà di lui; .bensì anche perché su[...]

[...]turbare la sua abituale condizione. Infatti, se con la frase che concludeva il discorso dell'amico, gli veniva fatto di subire come una scossa morale, che gia di per sé lo precipitava in uno stato di tumulto e di sconforto; ad un tempo, subiva un doloroso contrasto tra la natura sobria e dignitosa e la imposizione dovuta al vino, che
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gli suggeriva con quel giuoco un comportamento non conforme alla propria natura. E ciò non solo perché il vino facilmente aveva avuto ragione della volontà di lui; .bensì anche perché suole accadere che un cuore, colpito ad un tratto e profondamente, piuttosto che rivolgersi ad alleviare il proprio dolore, si ritrova in azioni capaci soltanto di esasperarlo. E' una conseguenza, questa, che suole stare anzitutto in coloro che non sono abituati ai dolori morali oppure in chi, troppo uso alle sofferenze, per un nuovo sconforto perde l'equilibrio interiore. In Michele, tuttavia, trovava maniera di esprimersi anche perché l'avvilimento che gli nasceva dall'inseguire la parte superiore del bastone, sminuiva per così dire il proporsi dello sconforto e del tumulto del suo animo.
Occupato da tale atteggiamento spirituale, pur volendo persistere nello scopo che dava luogo al suo camminare, ne fu distratto da un passo strascicato che si continuava verso di lui. E come l'animale ad un suono corre al riparo, e dalla tana, il corpo nascosto, sporge il capo per scrutare; ugualmente il funzionario si nascose dietro il tronco di un platano; mentre l'ombra del corpo, proiettata dalla luce di un lampione, si allungava in c[...]

[...]o del caso sulla via che per davvero gli riduceva l'incerto camminare fino a casa. In vero, i passi ora andavano ripetendosi meno incerti, e Michele, dopo essersi trascinato in una strada buia accanto a certe case che non aveva mai vedute, mentre ad un tratto e rumorosamente soffiava il vento dello stomaco attraverso la bocca, aveva preso a sentire come una stretta dolorosa al cuore, senza tuttavia volerne, e per tanto saperne spiegare la causa. Perché lo angosciava una idea che, per l'essere stata ridotta come un ricordo perduto nel fondo torbido della memoria, si agitava dolorosamente in lui, e senza rivelarsi in alcun modo. Si che i pensieri che lo occupavano con chiarezza erano considerati con la fatica di condannati ai ferri; e, non mai soddisfacendo per il peso che, simile all'idea nascosta, li trascinava e li avviliva, davano luogo ad una situazione morale colma di turbamento e di angoscia.
Veniva così a stabilirsi un atteggiamento che modificava per così dire, la condizione precedente all'incontro con il cieco. Se prima esisteva un[...]

[...]tanta fermezza di carattere, che il non cedere non solo avrebbe privato il funzionario della cura e dell'affetto di lei; ma anche dell'amministrazione di quei pochi beni che, dovendo Amelia
vivere da sola con il bambino, era costretta a domandare.
L'episodio di Enzo se aveva interrotto l'accordo dei fratelli Tempo, fino ad allora continuatosi .come una lampada votiva, tuttavia, non aveva dato luogo a rivolgimento di sarta nella loro famiglia; perché il funzionario, costretto a cedere, pur guardando con malevolenza il bambino, si era adoperato in modo che quella situazione, stata da sempre tra lui ed Amelia, fosse di nuovo la benefica realtà di prima. E, sottomettendosi ora a che Enzo frequentasse la scuola, ora a che gli portasse in casa un bastardo pezzato marrone o a curarlo durante qualche malattia nei due anni di convivenza, era riuscito a guadagnare affetto devozione e cura non mai ottenute.
Il bambino era di statura bassa, con un volto cui si attaccavano disordinati capelli chiari sopra una fronte di già larga. La espressione del [...]

[...]canto, pure se detti sommessamente. Mentre la testa gli doleva e la ebbrezza del vino sempre meglio era stata sostituita da un doloroso sentimento, aveva udito la voce di Amelia, che al buio esortava il bambino a non piangere oltre, ora che Fiocco era disteso ai piedi del letto. Ma in vero i ragionamenti della donna, riuscita a suscitare la fiducia il riso e le parole in Enzo, solo involontariamente e brevemente erano state ascoltate da Michele, perché il suo stato fisico e morale, occupandolo del tutto e con intensità, pareva avere stabilito un gran silenzio intorno a lui, di nuovo preda di un groviglio di pensieri. Mentre dalla via, ove gruppi di platani erano alternati ai lampioni orlati di nebbia, la luce filtrava nella stanza per gli scuri socchiusi, il funzionario, nel letto, gli occhi verdi sbarrati contro il buio, sentiva disordinatamente turbinare dentro di
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sé gran numero di sensazioni e tentativi di ragionamenti. E anzitutto un forte dispetto gli procuravano due immagini che si sarebbero dette stare [...]

[...]ringevano gli occhi verdi, lo ingannava con la persuasione di vivere una notte d'estate. E mentre il sonno ormai lo conquistava, come
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un'acqua melmosa che guadagna una sfera pesante, ritrovandosi pres so un prato alla ricerca di un fiare, la cui vista continuamente gli era impedita da mostro che grugniva senza posa, sentiva intollerabile il calore della stagione. Ma, in vero, il suo sentire non trovava rispondenza nella realtà, perché il cielo d'autunno, fatto sprofondare tra le nubi il barlume della luna, mandava nella notte lampi sino agli alberi dove gli uccelli dormivano a coppie.
II
Dalla parete a fiorami verdi pendeva il busto di un cardinale, dipinto rosso in una cornice nera come gli occhi, il bordo di un cappello e l'anello dell'autorità. L'atteggiamento severo della figura pareva convergere la luce degli occhi verso il letto del funzionario disposto, tra il muro di un balcone e quello della porta, .perpendicolare alla parete dirimpetto al quadro. Questo pendeva al disopra di una tavola che, su un panno di feltr[...]

[...]unnale, cadendo, aveva segnato forte un rettangolo del pavimento e i piedi di una poltrona presso il letto del funzionario. Questi, vestito di un completo grigio, nella stanza già posta in bell'ordine, il dorso alla coperta a scacchi del letto, era intento a scrivere in uno dei fascicoli sul panno di feltro della tavola. Sebbene fosse stato costretto dai limiti di età ad interrompere la sua attività di ufficio, pure ugualmente aveva da lavorare; perché il direttore di un tempo, col corrispondergli personali compensi, si serviva dell'esperienza di lui per sviluppare rapporti o relazioni importanti. E, essendogli imposto dal direttore, che l'ironia degli impiegati chiamava Cuorcontento per una espressione sempre irata e triste, di fare uso nel lavorare della penna comune, Michele si serviva del calamaio dalla figura di asino recalcitrante.
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Seduto sull'unica sedia della stanza, ora consultando un libro ora un fascicolo, andava sviluppando un rapporto con un entusiasmo ininterrottamente avvilito da un sentimento nasc[...]

[...]ne. Autorizzazione », aveva detto a voce alta, mentre dalla via il suono di una fisarmonica gli giungeva quasi fosse sonato nella camera accanto. In vero, però, nella stanza divisa da Enzo e da Amelia questa era tutt'altro che intenta a sonare: dopo avere accompagnato a scuola il suo protetto e fatto ordine usando il silenzio in modo da non turbare il fratello, sedutasi pressa il balcone colmo di piante, aveva preso a cucire un costume per Enzo. Perché questi, avendo dato prova di possedere talento nel recitare poesie e raccontini era stato scelto con altri alunni per una recita in costume.
Il suono della fisarmonica, intanto, facendosi udire particolarmente, anche perché espresso da mano inesperta, aveva preso ad aumentare il senso di disagio del funzionario; il quale sentiva che il turbamento del sentimento nascosto di pocanzi ora lo aggrediva con una forza
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dolorosa. E, adoperandosi di attribuire la stretta intorno al cuore al fastidio che gli procurava il suono sgraziato, mentre intingeva la penna nell'asino recalcitrante del calamaio, come per difesa e sollievo si era dato ad individuare il sonatore e il luogo del concerto; percorrendo col pensiero la via che si distendeva con un manto di pece disuguale. Né lunga né corta, né stretta né l[...]

[...]zeggiativo Giogiò, cui il sonatore aveva ridotto il proprio nome, lo induceva, anche per l'esigenza del cuore, a quel paragone i cui termini erano rappresentati dai giovani moderni e quelli delle generazioni passate. E un tale paragone nel momento in cui si liberava dell'umare secreto dai suoi occhi di anziano, lo riportò, attraverso brandelli di pensieri, ad atti di eroismo nei quali si erano distinti loro, giovani del ventiduesimo battaglione. Perché lui, Michele Tempo, aveva combattuto nella guerra del... Erano stati lodati, quelli del ventiduesimo battaglione. E quale accoglienza subirono nel fare ritorno . in patria. Fu una festa. La grande festa che precedette l'altra ancora più memorabile che lo vide, vestito in tutt'altro modo, sposo e marito felic4.
Quanta musica! gli rammentava il motivo osceno della fisarmonica e senza turbarlo, perché del tutto occupato in quel momento a rivedere i ricordi della sua memoria. Finanche il lavoro aveva smesso e, mentre tormentava con la mano la copertina di un fascicolo, con commozione andava dipingendo la sua donna.
Aveva voluto preferirla, anche per la dote di cui ancora godeva con l'abitare lá casa sulla via ad esse; ma, non ostante l'avesse preposta al suo primo amore, non mancava nei momenti di esasperazione di incolparla di una modesta condizione sociale. Di rado, però, il suo atteggiamento portava dolore alla giovane sposa o al figliuolo; il quale poi già a tre anni, con un difetto de[...]

[...] scarsissima considerazione verso le due classi sociali che, pure, in cuor suo non disprezzava per niente. Come é possibile infatti che superstizione e religione si accompagnino nell'animo dell'uomo, senza che
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l'una diminuisca l'altra; ugualmente si dà caso che contrastanti opinioni, non escludendosi reciprocamente, abbiano un medesimo e grave peso. Tuttavia, però, le convinzioni del funzionario non ebbero modo di realizzarsi, perché da solo fu costretto a contare giorni dopo che la moglie ed il figliuolo, per una medesima disgrazia di cui in famiglia si preferiva tacere, presero a riposare il riposo eterno.
Questo ricordo, intanto, di cui la sua memoria come già per la morte dei genitori mancava di particolari, gli aveva fatto luccicare gli occhi verdi, tanto che era stato costretto ad asciugare una lacrima caduta proprio su quel punto del rapporto dove era la parola autorizzazione. Servitosi quindi di una carta assorbente e considerato vagamente la possibilità di ricopiare la pagina, era stato preso da un sentimento, m[...]

[...]ro, tanto che già più volte aveva intinto invano la penna nello asino recalcitrante del calamaio, era come caduto in un assopimento morale che, pure favorendo lo svolgersi della memoria, non gli consentiva oltre commento di sorta. E, ore fattesi giorni e giorni fattisi mesi, e mesi divenuti grigi anni, si era sempre veduto vivere una vita... laboriosa come quella della formica.
« Oh, ma da cosa mai mi lascio distrarre? Di che vado almanaccando? Perché?... Anche se posso consegnare il rapporto domani, è
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bene portarlo a termine subito, stando la... Dio mio, abbi pietà. Invecchio davvero e inseguo i fantasmi. E' quasi completa questa relazione. Quanto male mi ha procurato la cena di ieri sera. E' quasi completa questa relazione a, ripeteva sommesso, mentre, riprendendo a lavorare perché sollecitato lall'idea dell'ufficio, gli veniva fatto di decidere e come subcoscientemente che la pagina da ricopiare non l'avrebbe rifatta e, così ad un tratto, che avrebbe comperato un regalo ad Enzo; sebbene questi in quel momento gli apparisse molto brutto per gli orecchi a ventola.
Ritornato al lavoro intanto, e riuscendo a godere del tepore dell'ambiente, aveva preso a sentire contro la sofferenza che non lo abbandonava una sorta di soddisfazione simile al filo del ragno, che ora pare stare ora no nell'ondeggiare alla luce del sole. Infatti, men tre nella stanza il solicello, superata l[...]

[...] cardinale dipinto in rosso, avvedutosi di essere per terminare il rapporto, non aveva mancato di provare anche se debolmente il benessere e la fiducia che segue un lavoro bene compiuto. Anzi, allora che il suo tossire, venuto meno il suono nella via, sottolineava il silenzio dell'ambiente insieme con il raschiare del pennino, che scriveva l'ultimo periodo della relazione d'ufficio, addirittura un sorriso gli andava increspando le guance rugose; perché una necessità, opposta alla esigenza dello spirito e rivolta a non analizzare i motivi di turbamento del cuore, voleva convincerlo di avere argomento di grande soddisfazione. Si che, disposta bellamente ogni cosa insieme con le cartelle del rapporto completo, spostato d'un poco il lume e l'asino che dalle briglie ora faceva pendere la penna, si era risolto ad uscire per il suggerimento di un pensiero che si adoperava nel tentativo di imporgli la voluta soddisfazione. Alzatosi, dopo essersi portato al balcone per curiosare sulla via, si era avvicinato all'armadio; e, apertolo, trattone il capp[...]

[...]allora che al fondo del cuore gli baluginava l'idea propostasi alla fine del discorso dell'amico: Forse, quegli, aveva errato nel dichiarare che la sua vita era stata spesa...
Inteso dunque come i motivi che gli attanagliavano il cuore in una stretta dolorosa fossero le diverse facce di un medesimo oggetto, la vita, Michele, mentre il suo cuore si attuava con verità, si era rapidamente portato, il giocattolo stretto al petto, nella via ad esse; perché aveva preso a sentire come insopportabile lo stare lontano dalla sua camera.
Raggiunto per tanto la via alberata di platani, ergendosi nel busto come per difesa nel passare tra la vetrina dell'antiquario e l'au tomobile dei pompieri, dopo essersi fatto forza per non guardare verso Giogió e il garzone intenti in un giuoco, con sollievo aveva superato il portone simile al portale di una chiesa. E rinchiusosi nella camera dal parato a fiorami verdi, vinto invano dalla curiosità di scoprire dal balcone il giuoco dei due giovani, si era lasciato cadere sulla poltrona, ormai non piú direttamente i[...]

[...]amente, per il fatto che il nostro intimo porta impresso assai più di quanta riesca ad esprimere.
Vivendo dunque una tale situazione, Michele era tormentato dall'idea, propostasi come domanda, che la sua vita fosse soltanto nei brevi ricordi, ripassati nella memoria in quel mattino, e che tali ricordi erano di tanta povertà, da non lasciargli dubbio intorno alla qualità della spesa di quei valori morali largiti, insieme con gli altri materiali, perché un uomo sia. Nella storia delle cose quotidiane scopriva il suo tempo sminuzzato in una quantità di occupazioni che, piuttosto che richiamargli a mente un uomo ragionevole, gli apparivano simili all'attività della formica nel formicaio. Come la formica, infatti, si dibatte laboriosa senza un progredire morale, e al fine di portare a termine la vita affidatagli dalla Natura; ugualmente lui si era dibattuto, consentendo che i giorni lo avvicinassero ad una méta attraverso un mare di ozio morale.
Quale era stata la sua evoluzione dal tempo della fanciullezza
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all'altr[...]

[...]del suo orizzonte spirituale, nei quali don si era mai preoccupato di penetrare. E, a mano a mano che meglio individuava la propria insufficienza, mentre sotto una diversa luce ormai riandava il passato, sentiva crescergli l'angoscia, a misura che le molte giustificazioni dettesi cadevano come i birilli del giuoco. E ritrovava che il motivo second° il quale poteva dirsi di avere vissuto realisticamente possedeva la forza di un cede, vole giunco; perché una intuizione era venuta a spiegargli la stragrande differenza esistente tra la realtà e la parvenza delle cose quotidiane, cui usa erroneamente, attribuirsi tanto nome. Se fino a quel momento aveva dato luogo a confusione tra la realtà, che solenne si attua con la lentezza dei secoli, e l'aspetto degli accidenti quotidiani, di cui la realtà stessa é ignorante come un mondo delle scorie perdute nella rotazione; ora sentiva come i fatti quotidiani altro non fossero se non un vuoto morale, quando a sé stanti e lontani dalla realtà medesima. Quest'ultima verità, infatti, essendo il provvisorio [...]

[...]prese a portare critica al soffitto della camera segnato di curve e linee, e mentre rigirava disattento il
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giornale, ad ascoltare la voce di Enzo che nella stanza accanto, strette le zampe anteriori di Fiocco, ballava e andava cantilenando:
« Accidenti a tutti i diavoli
quant'è buona pasta e cavoli ».
Infatti, più che le distrazioni esterne, potevano occuparlo soltanto motivi che traessero spunto dal profondo del suo essere; perché la sua anima in quel momento era colma di preoccupazioni e sensazioni forti, da non potere ammettere la propria partecipazione ad inconsistenti esteriorità. Si che solo quando un sentimento di invidia contro la sorella e il benessere di lei lo aggredì, potette anche se brevemente deviare il discorso del cuore e, sorretto da momentanee considerazioni, rifarsi con dispetto al paragone tra le piante del balcone di Amelia e le altre in generale. Provando invidia contro la sorella, gli parve con irritazione che quest'ultima fosse come una prediletta della sorte; la quale, ad esempio, sebbene l'aut[...]

[...]mini come lui. Parendogli di potersi sentire come un rappresentante della più parte dell'umanità, — Un po' più di fortuna, si era detto, e sarei stato un direttore, un po' meno e mi avrebbero qualificato usciere o bidello; qualche attitudine e mi sarei ritrovato ingegnere o medico, notaio o operaio, qualche altra ed eccomi ciabattino o fioraio, arrotino o professore — gli era parso conseguentemente un errare l'ammettere il vuoto dei suoi giorni; perché altrimenti a tutti era da attribuire una tale mancanza.
Intanto, però, il dolore del cuore, che soverchiava tanto la giustificazione quanto la conseguente speranza di un sollievo, per l'attuarsi dello spirito non a lungo gli concesse di trastullarsi come un bimbo che giuochi al seguito di un funerale; e ben presto e facilmente gli chiari che, anche se fosse stato un rappresentante eletto del genere umano, il vuoto del suo animo non veniva a mancare. Soggiogato dunque nuovamente e del tutto dal suo discorso interiore, send l'angoscia stringergli il cuore quasi come una forza fisica; e in quan[...]

[...]upati in un lavoro. Solitamente un tale stato si ritrova quando il dolore fisico e morale ha raggiunto il suo acme, e i pensieri, che ne sono causa ed oggetto, stabiliscono una sorta di groviglio sul cui sfondo si muove tutto quanta può definirsi estraneo al groviglio medesimo. Contro un tale schermo, dunque, si era dapprima debolmente imposta la considerazione che tanto nella via quanto nella camera di Amelia il silenzio pareva risonare; e ciò .perché la sorella ed Enzo, dopo averlo invitato a pranzo, alle risposte negative di lui avevano preso a fare colazione da soli e in altra stanza della caca. Poi mentre l'angoscia alla maniera di una malattia contagiosa ricadeva sul suo secondo pensiero, gli parve come doloroso il paragone tra il lampadario della camera e i lampioni della via : la forma di lanterna dell'uno simile a quella, come capovolta, degli altri era divenuta motivo di umiliazione; si che con minore sofferenza si svolgeva in lui soltanto il ricordo venutogli (talk cantilena:
a Accidenti a tutti i diavoli
quant'è buona pasta e [...]

[...] lui, un bambino, sentiva l'odore del caffèlatte; allora che, mentre per la strada la pioggia sferzava i muri delle case e gli alberi quasi
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spogli, l'impermeabile a cappuccio, si dirigeva verso la scuola, smovendo ogni pozzetta d'acqua con gli stivali di gamma.
La commozione sincera, intanto, dovuta ad un lontano passato, lo aveva reso come una sorta di spettatore riguardo tutto quanto acca deva nella camera accanto; perché aveva sperato che la sua attenzione, così come era stata per la cantilena, gli apportasse sollievo e benessere. E, gli occhi verdi quasi lucenti, una sconfinata sofferenza sul volto rugoso ascoltava con l'atteggiamento di un bimbo povero che pressa un banco di giocattoli spera gliene tocchi almeno uno, il dialogo che sommesso gli giungeva attraverso la parete.
a Non lo credo », aveva continuato Amelia, mentre, mettendo a punto i capelli bianchi sulla tempia e fissando con sguardo benevolo gli orecchi a ventola di Enzo, sollecitava nuove spiegazioni. Si che quegli, allontanatosi da Fiocco, ri[...]

[...]li giungeva attraverso la parete.
a Non lo credo », aveva continuato Amelia, mentre, mettendo a punto i capelli bianchi sulla tempia e fissando con sguardo benevolo gli orecchi a ventola di Enzo, sollecitava nuove spiegazioni. Si che quegli, allontanatosi da Fiocco, riprendeva a dire che a scuola aveva imparato come le giornate, d'inverno, tendessero ad allungarsi e, di estate, al contrario ad accorciarsi.
a Devi crederlo »; aveva insistito, c perché la mia maestra lo ha detto per davvero».
a E che? Perché lo ha detto la maestra non vi può essere errore? ». « È buona ».
a Allora le persone buone non sbagliano mai ».
a Si... sbagliano pure, ma non dicono bugie. Tu nemmeno dici bugie ».
a Allora sono buona, io »? interrogava sorridente Amelia, mentre alla risposta affermativa del bambino, fattasi baciare sulla guancia, continuava ad ascoltare nuove domande:
« Ma tu hai i baffi? Io li vedo. Perché? ».
« Sono vecchiarella, io. Non ti burlerai di me? ».
a Ma perché gli uomini hanno la barba e i baffi, e le donne hanno soltanto i baffi come li hai tu? ».
a Questo... in verità lo ignoro ».
« Gli uomini quando danno un bacio, però, pungono. Lui pure un giorno mi dette un bacio e mi punse; e piangeva. Che paura »!
a Pst! Non a voce alta. Si ode tutto».
a Piangeva, quel giorno », aveva ripreso Enzo con un tono di voce che, volendo essere sommesso, pareva scandire le parole. a Perché? Tu lo sai? ».
a Forse, rammentava che un tempo aveva un bimbo come te ».
a No. Deve avere avuto un grande dolore », contraddiceva Enzo,
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avendo attribuito alla espressione un significato particolare; quel significato, cioè, che tentò di spiegare ad Amelia, facendo ricorso alla favola che con i compagni avrebbe dovuto rappresentare.
Gli uomini grandi piangono solo quando hanno un forte dolore, perché hanno commesso qualche cattiveria: anche questo ha spiegato la maestra. Nella recita che dobbiamo fare... ».
« Avevi detto di non poterne raccontare », interrompeva Amelia che, come sollecitata riprendeva il lavoro di cucito.
« Si, si, é vero. Non posso, non posso proprio », aveva concluso Enzo, mentre i suoi occhi castanei si colmavano di un felice disappunto; allora che Michele, seduto sulla poltrona dirimpetto al quadro del cardinale, rimuginava tra sé la frase, secondo la quale il pianto degli uomini è conseguenza di malvagità. E, mentre il bambino in un impeto di gioia, al pensiero del[...]

[...] un ritorno a quel discorso interiore che partoriva non poco dolore.
Ritornato dunque alla tristezza che gli rodeva il cuore, e sentendo quale sofferenza era calata senza speranza di luce sul suo tardo cammino, Michele era stato vinto da una agitazione, che pareva annullare quel groviglio di pensieri impostosi col soccorso dell'angoscia. Ora infatti, mentre alla luce del solicello ne era subentrata un'altra meno nebulosa, ma anche meno lucente, perché la notte della stagione ama precipitare dal cielo, avevano preso a proporsi in lui quelle domande che lo agitavano fortemente in concerto con il motivo osceno della fisarmonica, ripetutosi involontariamente nella sua memoria. E, allora che ritrovava come solo futili motivi gli avessero creato quella apparenza di realtà capace di assorbire una persona al punto da indirizzarne l'attività, gli occhi in una ottusa espressione, andò interrogandosi intorno ai giorni che il tempo gli aveva raggruppato in passato. E confermando nuovamente il vuoto morale dei suoi anni, in un atteggiamento che domanda[...]

[...]a insufficienza non poteva adattarsi perdono di sorta. Se la carità e l'amore, infatti, possono trapiantare i monti, riempire le valli con gli oceani e ridurre gli oceani a fertili valli, il pecrato contro la pienezza del tempo, non rientrando nel merito dell'umano, rimarrà sempre un tormento senza scampo.
c Come avrebbe potuto rivedere il proprio passato? In quale maniera avrebbe dato un senso alla vita andata? Qu21e suggerimento poteva darsi, perché venisse colmato il vuoto morale dei giorni, che il tempo non avrebbe mai ripetuto? Come imporre... stava per continuare, quando, proprio nel momento in cui il cieco aiutato dal bastone passava per la via ad esse, gli si insinuò nella mente una domanda.
Non sono forse queste... cose, questo interrogarsi, cose... da li bri? da narratori? » era andato chiedendosi con sincerità di cuore, mentre all'interrogazione che poneva come un freno all'andare del dolore, corrispondeva nella mente una pausa, simile pero ad una tregua su un campo di battaglia. Si che lo scorrere incessante del pensiero appar[...]

[...]pinse a vagare, come attraverso una nebbia, per la strada, facendolo imbattere nei lampioni alternati ai platani, nella macchia di calce presso la bottega del cappellaio, nel cartello rugginoso che indicava la fabbrica di bambole e nell'automobile dei pompieri riflessa nella vetrina dell'antiquario. E stava per proporglisi ancora l'immagine del garzone, che, all'altezza dell'emporio, era sul punto di colpire con una pietra un gatto nera, quando, perché il suo animo si attuava senza interruzione, gli venne fatto di mormorare:
« E che, sono cose da libri il chiedere conto di una vita? la scoprire il vuoto dei giorni? il cercare invano la evoluzione morale dal tempo della fanciullezza all'altro della vecchiaia? Sono forse fantasie che non mettono conto l'indagare il significato...) era. per continuare, allora che ne fu interrotto dalla voce di LEnzo, che nella camera accanto aveva interrogato Amelia sul significato di un verbo.
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Interrotto per tanto solo il suo mormorio e brevemente, riprese quelle domande che dicevano della[...]



da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]tente, spidocchiano la testa di un parente o di un vicino. Due o tre fontane. Qualche a maarla » sulla porta.
Gli scoli, nel cortile Cascino propriamente detto, si raccolgono in uno spiazzo fetido. Se d'estate grande è sempre il pericolo del tifo, d'inverno nelle case più basse c'é da morire annegati. Una decina di locali, i più sottoposti, hanno porte, e talvolta finestre, protette da ripari in muratura alti circa settanta, ottanta centimetri, perché la fogna, quando piove, non inondi le case.
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Tutte le costruzioni sono assolutamente inabitabili; in alcune, dai muri sfatti, é troppo pericoloso starci. Alcune stanze sono più pulite, ordinate (queste, nelle tabelle seguenti sono state segnate con « m » : le migliori); ma il tutto deve essere rifatto di sana pianta o rinnovato.
In una stanza c'é un vecchio nudo, seduto su un letto senza lenzuola (c'è solo una coperta di tipo militare): non si capisce se sia paralitico da un lato, come dice lui, o immobilizzato per l'estrema magrezza e debolezza, come dicono i vicini. In un[...]

[...]per un ballatoio pericolante. E in tutte le case, (panda passa il treno, uno deside rerebbe essere fuori, e coi piedi a terra. Un «mura» si sposta oscillando per centimetri alla semplice pressione del pugno.
A un giovane, lo scorbuto ha fatto cadere tutti i denti. In una stanza vive con i giovani sposi un fratello del marito, quasi ventenne.
Da un'altra é stata rapita una ragazza a dodici anni e mezzo. In un'altra erano morti cinque bambini: « Perché io me ne andavo a lavorare — dice la mamma — e lasciavo i picciriddi incustoditi; che ci potevo fare?».
Qui una vedova di 68 anni vive facendo la lavandaia; li un marito, ma il caso é unico, «é morto divertendosi, bevendo troppo vino ». Da un cortiletto, largo tre metri, si scende, curvi, in una grotta di 2,80 X 2,20 nera, madida già d'estate, dove il terreno bagnato cede molle alla persona che si muove: non si capisce — orrido indimenticabile — come possano dormirci in otto.
Di sera soprattutto, « bugliunu gli scarafaggi ».
Nel primo dei «Cortili Cascino» le stanze sono 130 circa per 160 [...]

[...]muove: non si capisce — orrido indimenticabile — come possano dormirci in otto.
Di sera soprattutto, « bugliunu gli scarafaggi ».
Nel primo dei «Cortili Cascino» le stanze sono 130 circa per 160 famiglie; nel secondo sono 80 per un centinaio di famiglie.
Essendo costanti le caratteristiche, si sono considerate 100 stanze consecutive, di cui riportiamo alcuni dati (v. lo specchio intercalato).
La maggior parte delle famiglie, spiegando noi il perché del lavoro, é stata ospitale; alcune opponevano difficoltà perché « non volevano andare sul giornale: tanto le cose vanno sempre avanti così. Vengono specialmente per le votazioni, talianu (guardano), si schifianu o promettono case popolari: ma se ne vanno tutti ».
Le 100 abitazioni, con 118 stanze complessive e 5 ripostigli, ospitano 498 persone: circa 130 famiglie: 14 di queste con libretto di povertà.
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Essendoci un gabinetto in una sola famiglia (« gli uomini puliti vanno sulla ferrovia »), in ogni stanza preparano da mangiare, mangiano, e fanno tanto « i bisogni corporali » che i figli; di media, persone 4,23.
Ne[...]

[...]oglie dice: — Chissi stannu
PAGINE DI UNA INCHIESTA. A PALERMO 149
piangendu: come facemu? — Il marito, certo, che deve fare, che non
s'affida ad andare a rubare. Per questo ci vuole quello nativo.
Certe volte ci donano a credenza.
Aspettamo che Santa Rosalia ci fazza la grazia. Di illuminarci il
cervello alle teste grosse ».
IGNAZIO P.
«Qui nel Cortile Cascino (via D'Ossuna, cortile Grotta), non abbiamo mai lavorato nessuno nei cantieri perché non abbiamo avuto mai lavoro. Siamo tutti cenciaioli in generale, i maschi; le donne, lavandaie. Qualche giovane qualche volta ha trovato lavoro per qualche tempo, qualche cantiere: ma quando, dopo poco, lo lasciavano a spasso, tornava a fare il cenciaiolo che almeno era quasi continuo.
Circa sett'anni fa, circa cinque persone morirono qui di tifo: come infatti siamo stati esiliati nel cortile dai carabinieri, che il cortile era infettivo: nessuno doveva uscire. C'era la sporchezza, fango, rifiuto di pozzi neri; ci sono le donne che al mattino i rifiuti corporali li buttano sulla ferrovia vi[...]

[...]malate diverse decine di bambini. Soprattutto i bambini, morivano di tifo.
Quando ci hanno esiliati i carabinieri, che nessuno poteva uscire fuori, ci portavano da mangiare nelle caldaie. Quando venivano i carabinieri ad avvisarci che portavano da mangiare, sonavano la tromba. E ci venivano centinaia di persone con le latte, queste che ci mettono la conserva, pentole e così, e ci mettevamo in coda, in riga come i militari. Ci davano da mangiare perché non potevamo uscire a andare a lavorare. Per i bisogni corporali andavamo sempre, per forza, nel cortile o, se c'era qualche carabiniere buono, ci lasciava andare sulla ferrovia.
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Nel mangiare, poi, c'era una specie di medicinale per disinfettarci i corpi: e doveva essere purgativo perché tutti i millecinquecento, maschi
e donne, avevamo il corpo sciolto (diarrea).
Il tifo, per forza doveva venire: perché le sporchezze erano trappe, le case sono strette, senza l'acqua, e ci stanno anche otto, dieci, e anche più persone per stanza: piccole celle. Qualcuna con pavimento di terra,
e certe sono grotte. In tante case per sedersi usano pietre o latte di conserva. Pidocchi a quintali. Quando sono morti quelli là, erano pieni di pidocchi che facevano paura. Sono venuti a portare delle polveri disinfettanti e le buttavano dentro le abitazioni, sulle strade, e anche andavano gli uomini e le donne così, vestiti, e ci aprivano la camicia e quelli ci buttavano la polvere dentro.
Anche quest'inverno passa[...]

[...]legge. Tutti questi fuori di casa, l'hanno riuniti tutti e l'hanno portati nelle stanze vuote del mercato. Centinaia di persone messe tutte assieme: come si mettono i cavalli in scuderia. Gli uomini in un posto, le donne dall'altro. Dormivano a terra, con soltanto qualche coperta. Sono stati qualche quattro
o cinque giorni. Insistevano per avere qualche abitazione. Gli regalavano 1500, 2000 lire ogni famiglia e rimandavano da dove erano venuti. Perché dice che case non ce n'erano.
Noi uomini alla mattina, tutte le mattine, chissà da quando (mi ricordo, anche la buonanima di mio padre) andiamo a fare i nostri bisogni corporali sulla ferrovia. Certe volte vengono i Metropoli di servizio e ci danno la multa: 2500 lire. Dobbiamo pagare a caro prezzo pure fare i servizi corporali. Le donne fanno a casa sua nella stanzetta. I bambini fanno o in giro o sulla ferrovia: sei mesi fa c'è andato sotto il treno un piccolo di cinque anni di alcune case più sotto.
A duecento metri dalla Cattedrale, dal centro di Palermo.
Oltre i cenciaioli e le lavand[...]

[...]rezzo pure fare i servizi corporali. Le donne fanno a casa sua nella stanzetta. I bambini fanno o in giro o sulla ferrovia: sei mesi fa c'è andato sotto il treno un piccolo di cinque anni di alcune case più sotto.
A duecento metri dalla Cattedrale, dal centro di Palermo.
Oltre i cenciaioli e le lavandaie, alcuni non fanno nulla, alcun i fanno le bandierine con l'immagine di Santa Rosalia, poche fanno le prostitute ma in altra parte di Palermo, perché li siamo troppo stretti: per non essere viste dal vicino di casa.
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La maggioranza dei bambini non va a scuola. Giocano nel cortile, nella puzza. Quando hanno dodici, tredici anni, le ragazze si cercano subito di sposare. Si sposano fra noi stessi del cortile, tra cenciaioli, tra piccoli cenciaioli e piccole lavandaie.
Sono ritornato da prigioniero l'8 ottobre '44. Circa un mese di viaggio. A casa ho trovato la famiglia mezza morta di fame. Allora non ero sposato. Quando sono arrivato a Palermo, si sono presentati due amici miei, mi hanno chiesto se lav[...]

[...] Circa cinque mesi che ero io al carcere, mi hanno fatto la causa. E mi imputarono per tentato furto, e mi hanno condannato à dodici mesi: non ci avevo avvocato che non avevo da mangiare né per me né per la famiglia. Allora poi mi sono appellato. E mi hanno tolto sei mesi. Così io sono diventato delinquente per la legge. Così io mi sono macchiato le carte.
Quando sono uscito dal carcere, per fortuna non ci sono stato mai più. Ho sofferto molto, perché il mestiere che faccio non guadagno una somma da poter soddisfare la famiglia. Quindi è necessario che mia moglie deve andare a persona di servizio.
Ho avuto la febbre maltese per diciotto mesi. Sono analfabeta come quasi tutti quanti noi. Alla mattina mi alzo alle sette, sia d'inverno che di stagione. Piglio il mio carrettino, andando in giro gridando per la strada. Compro ferro vecchio e oggetti usati e stracci. Il ferro è poco di prezzo: tredici lire al chilo. Quindi nessuno vende a questo prezzo. I soldi per comprare me li da il padrone; anche la carrettina è sua: la paghiamo 50 lire al [...]

[...], questi piccoli, al centro della città, in via Libertà, al Massimo, dove passa la popolazione. Se le guardie l'acchiappano li portano al Malaspina, la casa di correzione. È proibito, é vergognoso: capiscono che è uno smacco per loro stessi.
Quando piove non si lavora: in quasi tutto l'inverno si lavora pochi giorni. Nell'inverno si va da quello della pasta, o quello del pane, per fare un po' di credito. E poi giriamo da una bottega ad un'altra perché uno solo, una volta può fare credito: 1000, 1500 lire.
La gente del cortile nel pomeriggio, stiamo sulla strada al passaggio a livello, con la speranza di guadagnare qualche lira, perché li ci sono i punti di concentramento dei magazzini, e qualcuno può portare un po' di ferro, qualche cosa. C'é chi gioca a caste; c'é chi va alla cantina; c'é chi sta al sole, se non ha soldi. Si parla, nella cantina, di ferro, di rame, della vita della giornata, confortandosi l'uno con gli altri. Io domando a quello: — Quando hai guadagnato? — E lui dice, secondo: — 500, niente, poco. — E ci consoliamo fra noi altri. Questa storia é nata da eredità. La mia famiglia é in questo posto da 110 anni.
Quando noi ci ritiriamo senza nulla, nella maggioranza delle case capitano liti. — Cosa vai a far[...]

[...]fortunato che non mi chiama nessuno, che cosa ci posso fare... — sperando che il giorno dopo si possa guadagnare qualche cosa. Se passa un'altra giornata la stessa, la facciamo a cazzotti, marito e moglie.
È un cortile cieco: noi siamo al corrente solo del mestiere. Nessuno si interessa di quello che capita fuori del cortile, tranne quando ammazzano qualcuno nella città.
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La religione non conta qui dentro, perché la maggioranza sono compagni (io mi devo iscrivere alla D. C. Non per darci il voto ma per poter fare le cose mie) però, a tempo di votazione, viene il prete e qualche borghese, offrendo qualche coppa di pasta, con la speranza di avere il voto. Vengono, la maggioranza, la Monarchia; hanno fatto i tesserini, lasciavano l'indirizzo che dovevano andare a prendere un chilo di pasta. La maggioranza c'è chi ha paura e vota per il partito che loro ci dicono. Paura che il partito sapesse che non han votato per lui. La maggioranza non va in Chiesa, non c'è domenica né giorni di festa. La domenica c'è [...]

[...]DOLCI
corte: non dicendo per) che era sposato, promettendole di sposarla. Mia madre gli si diede.
Nato io, nel 1912, non potevo avere il nome. Mia madre non si sentì la forza di abbandonarmi e mi diede il suo nome. Ricordo solo che giocavo 11 in mezzo a la strada e qualche volta, ricordo, vagamente, mia madre mi lasciava in consegna a qualche vicina per andare a lavorare. Poi, per la spagnola, mia madre s'ammalò e morì. Non si presentò nessuno perché mia madre era considerata armai..., e io sono rimasto íl figlio del peccato di cui . nessuno voleva interessarsi. C'era un mio fratello, figlio del primo padre, il quale era promesso sposo. E fui consegnato alla famiglia della fidanzata. Li in quella casa vi era un giovane il quale andava a borseggiare. E cominciò a insegnarmi a me, prendendo una borsetta da signorina, che si diceva in gergo ladresco «magghia appendente », che io dovevo « sbacchettare », cioè aprire. Lui stesso mi insegnava il modo: il frontino, il mezzo frontino. Che cos'è il frontino? Io dovevo andare avanti un cinque, sei [...]

[...]on parla — e lo portava in giro per le città d'Italia. Io per la prima volta fui ingaggiato da un certo B. La prima volta ero timido, mi veniva come d'andare al gabinetto. Per me era una cosa paurosa, temevo che quello se ne accorgesse e mi desse botte. Da solo non era capace: ma c'era l'altro e mi dava coraggio. Io non volevo dimostrarmi un timido, un vile, e non essere ingaggiato. I soldi poi lui li portava alla famiglia dove stavo, una parte, perché li mangiavo e dormivo. A me,. non mi dava mai la soddisfazione di sapere quello che si trovava dentro i portafogli: apriva
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lui. Potevo riuscire due o tre volte al giorno. E lui faceva da palo, quello che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le famiglie avevano un bambino avviato alla mia stessa strada. Via S. Agostino, Cortile Catarro, Cortile Salaro (Scalilla), e quasi in ogni strada intorno, vi era o un borsaiolo o un centro di insegnamento di borsaioli. E la cosa ancora continua, lì e a Ballar) e alt[...]

[...]i dei negozi: si poteva star sicuri di poter scappare, quando «s'attuzzolava », che significa: era scoperto.
Ci sono anche ora « le squadre » addette per il borsaioli, ci sono gli agenti cosiddetti specializzati, ma non hanno nessuna specializzazione. Allora ce n'erano famose, capitanate dal terribile Sciabbica che ora è in pensione e che ora, per istinto, ancora privatamente va in cerca... — Un altro famoso capo squadra c'era — lu Signorino —, perché era tutto impomatato. Sciabbica correva come una lepre.
Mi ricordo ancora che « scennevo », (mettiamo io ero « apparanzato » con te, e « scendevamo » vuol dire andavamo a « lavorare »), ed all'angolo della via Sant'Agostino con via Maqueda (dove era il centro « di lavoro » delle varie « paranze », vicino a tutte le vetrine e i negozi) veniva « la squadra ». E mi accorsi che era capitanata da Sciabbica. Avvertii subito i compagni, facemmo un dietrofront e ognuno di noi fuggì nei vicoletti. Io corsi a scattafiato fino a casa, che bastava essere preso per rimanere in carcere a disposizione, min[...]

[...]e donne,
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« l'amínule ». Poi ci sono altre « paranze » che operano in direzione « d'u vascu », l'uomo. In che cosa consiste « u sciàmmaru »? Un giovane, spesso dell'età dai dodici ai quindici anni (che sia ben alto d> arrivare con il gomito, allargando il gomito destro o sinistro, a seconda dov'è il portafoglio) passa vicino a quello addocchiato e ci allarga « u sciàmmaru », cioè la mezza giacchetta dalla parte del portafoglio, perché l'altro veda se c'è « u surci ». Se c'è questo poggia la mano destra,. o sinistra, a seconda dov'è il portafoglio, sulla spalla del. giovane apparanzato il quale ripete la prima operazione, allargando la giacca, mentre l'altro si passa la mano sotto l'ascella e acchiappa « u surci ».
Questo fatto avviene con una certa facilità quando l'uomo viene a trovarsi in mezzo a una certa confusione, che pue, essere una carrozza che lo scansa o una bicicletta, quattro persone. E spesso questa canfusione viene creata dagli stessi apparanzati: in questi casi quattro o cinque. La prostituta, diventando pi[...]

[...]ano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
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suo, una specie di gara a chi godeva prima. « Calava u' duce »: che a quell'età non c'era ancora sperma. Una specie di estasi.
Una volta ci hanno portato in quattro in camera da una donna che dedicava le sue opere particolarmente a questi bambini: essa si gettò nel letto supina; il più grandicello, appunto perché tale, ci andò sopra proprio, e gli altri più piccoli, contemporaneamente, lei ne masturbava uno e gli altri due facevano da sé, incitati dalla scena, toccati da essa stessa. Facevano, tenendole un piede, palpandole le cosce, le natiche. Lasciamo stare queste cose che ripugnano, che altrimenti dovrei dire che certe volté a chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livel[...]

[...]to di casa e l'altro, con una cinta in mano, fingeva di cercarmi da tre giorni: mi, vedeva, fingeva di volermi cinghiare, io mi ripavaro abbracciando i ginocchi di uno che prima ci eravamo assicurati che avesse « u surci » ne « la culatta ». Io gridavo, gli stringevo i ginocchi gridando — perdono —, e chiedendo aiuto a quell'uomo. Quello si impietosiva, si chinava cercando di proteggermi dalle busse, e intanto l'altro gli sfilava il portafoglio. Perché io fossi messo a conoscenza che l'operazione era riuscita, vi era un segnale convenzionale: mi faceva « a resta »: raschiava con la gola. Allora io mollavo.
Spesse volte eravamo accompagnati da una carrozzella da nolo, con il vetturino che già sapeva, per precauzione nel caso si fosse scoperti. Una volta in corso dei Mille, qui a Palermo, all'altezza del Mulino Pecoraro, mi vedo venire un uomo che portava una decina di fiaschi vuoti. E ci gettammo per l'operazione. Questo, mentre l'altro gli stava sfilando il portafoglio, se ne accorse. E allora, fingendo che gli stavano cadendo i calzoni, p[...]

[...]ll'albergo. Io avevo un quattordici anni, gli altri erano maturi. Prima ci andarono gli altri, per ultimo io ci passai la notte e questa mi ha fatto raccontare cosa facevamo. La mattina dopo, questa é sparita senza farsi pagare. E ci siamo accorti, quando la polizia ci ha arrestato, che la polizia sapeva tutto quanto io avevo raccontato alla donna. Li s'era a farci da « nona » un brigadiere dei carabinieri, palermitano come noi, che conoscevamo. Perché abbiama pensato che la donna era una spia? La polizia insisteva nel voler sapere da me se il brigadiere, che poi hanno fatto maresciallo, era dei nostri, come io nel... m'ero lasciato scappare.
A quindici anni sono stato proposto per il riformatorio di Santa. Maria Capo a Vetere, provincia di Napoli. Uno di quelli con i quali lavoravo, dispiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa [...]

[...] brigadiere, che poi hanno fatto maresciallo, era dei nostri, come io nel... m'ero lasciato scappare.
A quindici anni sono stato proposto per il riformatorio di Santa. Maria Capo a Vetere, provincia di Napoli. Uno di quelli con i quali lavoravo, dispiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa che feci, perché anch'io volevo starmene libero e ormai mi piaceva girare l'Italia. Difatti dopo Otto giorni fui riformato: ma ancora oggi agli occhi mi é rimasta un po' di congiuntivite cronica, per quello. Tornato a casa, ripresi a gironzolare per l'Italia. In questo periodo riportai due condanne di venti giorni e trenta, segnate ma non scontate perché minorenne. Un giorno fui arrestato a Roma, e da quella questura ebbi fatte le pratiche per essere rinchiuso, questa volta nell'Istituto Vittorio Emanuele III,. in provinzia di . Mantova. E qui fu la mia prima esperienza « rivoluzionaria ». Ci davano botte, il Direttore faceva cose che é meglio non. dire; bastava che noi giocassimo a tamburello quando lui dormiva, durante il giorno, per buscarci due o tre giorni di cella. Andavamo in cucina di notte a scassinare per prendere del pane, o nell'orto per meIoni o pomodori. Abbiamo deciso di denunciarlo: scrissimo una lettera al Podestà del comune,[...]

[...] a mano. Strada lunghissima fino alla scuola e tutta la gente che diceva: — Povarin, povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quelli là non si sa: se il primo lasciava tutto alla legge dell'anarchia, quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo quasi la barba e ero came il padre dei bambini del paese, che erano mischiati insieme nella classe. Mi ricordo ancora che il primo giorno di scuola c'era il maestro che aveva disegnato un triangolo alla lavagna e diceva: — L'area del triangolo si trova moltiplicando la base per l'altezza e dividendo... —, e mi domando: — Tu laggiù l'hai capito? — Io non avevo capito niente ma gli dissi di si. Dettava: — O cavallina cavallina stoma, virgola —, e io scrivevo — virgola —; e poi: — Tu fosti buona ma parlar non sai, punto —, e io scrivevo — punto —.
Avev[...]

[...]a il maestro che aveva disegnato un triangolo alla lavagna e diceva: — L'area del triangolo si trova moltiplicando la base per l'altezza e dividendo... —, e mi domando: — Tu laggiù l'hai capito? — Io non avevo capito niente ma gli dissi di si. Dettava: — O cavallina cavallina stoma, virgola —, e io scrivevo — virgola —; e poi: — Tu fosti buona ma parlar non sai, punto —, e io scrivevo — punto —.
Avevo diciott'anni quando frequentavo la sesta; e perché anda vamo a baciarci in mezzo le aiole, vicino la scuola, con la nipote del Podestà, mi cacciarono dall'istituto. Non ho appreso così nessun mestiere, tranne un pa' di agricoltura li: a me cittadino 'mi insegnavano cose di terra. Andavo a piantare citrioli a piazza San Pietro?
Poi son stato tre anni a Roma. E li imparai a fare il barbiere. Non mi ero dimenticato le vecchie amicizie, ma già incominciavo _a cercare una via nuova. La questura voleva che io stessi a Palermo, io invece volevo stare a Roma, dove il Tribunale mi aveva dato una madre adottiva. E la questura di Palermo, per risolvere[...]

[...]anto alcuni a
Palermo dicevano: Meschina, sta picciotta si consumò. Si pigghiò
unu ca nun have travagghiu —.
Andammo ad abitare in casa della mamma adottiva, che fu l'unico mio conforto. Malgrado la sua povertà ci dava da mangiare. Ci sposammo con la semplicità da poveri. Poco dopo mia moglie s'ammalò, la ricoverammo all'ospedale, io continuavo a non lavorare, le difficoltà aumentavano di giorno in giorno, andavo spesso a letto senza mangiare perché non avevo soldi, andavo a trovare mia moglie all'ospedale a mani vuote. Era assai umiliante per me, non mi sentivo uomo, marito; un giorno che mi fu possibile portarle un'arancia, mi parve giorno di festa. Un'arancia. Che cosa é un'arancia? Eppure per me era tutto.
Mi sentivo isolato da tutti, andavo da un barbiere all'altro per avere lavoro: niente. Volevo andare a trovare qualche mia vecchia conoscenza per rifare quell'altro « lavoro »: la paura di lasciare mia moglie solo mi teneva. Incontrai un giorno un mio amico che borseggiava: mi regalò cinque lire che mi servirono per mangiare due g[...]

[...]o e avevo qualche soldo, cercavo di aiutarla ché suo marito era stato facchino di quelli numerati alla stazione e adesso viveva con una percentuale che gli davano i vecchi compagni di lavoro. Non aveva nemmeno la soddisfazione di un sigaro o di un bicchier di vino, la vita gli era diventata un tormento, ed io in riconoscenza di quanto avevano fatto per me, cercavo di accontentarlo
162 DANILO DOLCI
e, qualche volta, quando litigavano lei e lui, perché lui si era trattenuto qualche coserella di nascosto, cercavo di metter pace: a settant'anni ancora costretto a fare le marachelle. Durante la settimana raschiava tutto il tartume che c'era intorno a la pipa per metterlo in bocca e sentire qualcosa del gusto del tabacco. Quando veniva un po' ubriaco, al sabato, mi strofinava in faccia i baffi umidi e mi diceva: — Povero fijo —. Poi abbiamo litigato con la cugina e siamo venuti a stare a Palermo.
A Palermo (mio padre lo conoscevano, me l'additavano; conoscevo anche mio nonno al quale chiedevo qualche nicheletta per la strada), venni senza nien[...]

[...]cheria. Fui costretto ad andare a parlare a mio padre. Siccome avevo avuto pochi contatti, non lo sentivo questo affetto di padre: ma la necessità mi costrinse a parlarci. Egli permise che io e mia moglie andassimo ad abitare in casa sua. Egli era sposato, con figli. La moglie non ci accolse con entusiasmo ma, siccome comandava il marito, dovette per forza accondiscendere.
Mio padre viveva una vita misera. Era stato cacciato fuori dal Municipio perché era socialista costituzionale. Nei primi giorni, siccome avevo qualche risparmio che mi avevo portato da Roma, ero io che davo da mangiare a tutti. Faceva anche lui lo sbrigapratiche siccome là in municipio aveva gli amici.
Ricordo che una sera, io ancora non ero rincasato, le mie sorelle brontolavano perché non c'era niente da mangiare, quando arrivai io. Mia sorella mi disse: — Gino, u papà have i piccioli e nun vole accattare u mangiare —. Allora mi rivolsi a mio padre per accertarmi. Mio padre mi confermò si di avere i soldi, ma erano relativi ai documenti di una cliente. La sua rettitudine mi meravigliò, conoscendo io quali erano una gran parte degli spicciafaccende a Palermo: imbroglioni e truffatori legati agli uffici dei tribunali, nelle preture, dappertutto. Se tu vuoi un documento falso, attraverso questi si riesce ad averlo.
Ho dovuto poi uscire di casa da mio padre, perché sua moglie[...]

[...]e —. Allora mi rivolsi a mio padre per accertarmi. Mio padre mi confermò si di avere i soldi, ma erano relativi ai documenti di una cliente. La sua rettitudine mi meravigliò, conoscendo io quali erano una gran parte degli spicciafaccende a Palermo: imbroglioni e truffatori legati agli uffici dei tribunali, nelle preture, dappertutto. Se tu vuoi un documento falso, attraverso questi si riesce ad averlo.
Ho dovuto poi uscire di casa da mio padre, perché sua moglie, la sera mentre eravamo coricati su due materassi per terra, ci tirava i sassolini. Per farci credere che nella casa c'erano gli spiriti. Difatti una volta mia moglie voleva uscire per il gabinetto, e mi disse tremando: — Gli spiriti ci sono in questa casa, Gino —: le avevano buttato sassolini. Una sera gli spiriti ce li feci io a sua moglie: nella stanza dove dormiva mio padre e moglie, c'era un altarino da dove ci veniva la luce
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di un lumino dentro la stanza nostra. Allora una sera che arrivavano sassolini, presi una scarpa, la tirai sull'[...]

[...]un lumino dentro la stanza nostra. Allora una sera che arrivavano sassolini, presi una scarpa, la tirai sull'altarino e si spense tutto e gri
dando io: Gli spirdi, gli spirdi! andai sul letto de la signora
madre, avvolto in un lenzuolo e cominciai a menarle pugni in testa. L'indomani facevo il tonto: — Ma che ci su li spirdi? Me ne vaiu allora —. E me ne sono andato.
Mi presi un salone in affitto. Certe volte si poteva perdere un cliente solo perché non lo si aiutava a mettersi il cappotto; o perché non gli si era tirata la giacca dietro, di sotto il cappotto. Quando veniva qualcuno per abbonamenti, li scrivevo in un apposito registro. Gli si dice: — Il
suo riverito nome —, oppure: — Vossia, come si chiama? Il cliente
lo si perde anche per delle piccole mosse, un pelo scordato o un altro barbiere che gli fa più salamelecchi. (Il barbiere romano mi faceva l'orario preciso; e invece quando lavoravo dal napoletano, più meridionale del romano, ci toccava stare a lavorare fin dopo che chiudeva il barbiere dirimpetto: e quello faceva lo stesso, e non si andava a casa che alle dieci).
In cas[...]

[...]se avuto il coraggio di dire subito: — Questo é mio figlio —, cosi come fece mia madre, io non sarei stato eccetera e eccetera), ho dovuto avere un appuntamento con mia sorella in una altra casa e non in quella di mio zio, dove lei stava. Non appena entrato, mio cugino ci presentò. Ci sedemmo in un sofà e restammo lì alcuni minuti senza parlare. Io mi trovavo impacciato: dovevo incominciare io a parlare o lei? Poi mi incoraggiai e le dissi: — Ma perché stai dallo zio e non da papà? — Perché lo zio é senza figli e mi vuol bene e mi ha fatto studiare come papà. Ma perché sei stato tanto lontano? Papà mi ha detto che avevo un fratello ma non mi aveva detto mai dove si trovasse questo fratello —. E anch'io ho saputo, diventato
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grande, d'avere una sorella. Poi mi chiese che scuola avessi fatto, che religione praticavo, se ero fascista, ché allora c'era il fascismo. Io risposi che avevo fatto la sesta, e che non avevo mai approfondito il problema religioso e politico. E mi fece alcuni discorsi sulla religione e sul fascismo, e si meravigliava che non fossi cattolico e fascista. Lei era laureata in lettere. Io alla sua meraviglia risposi che, se[...]

[...], quando mori mio padre. E frequentavo casa sua. Io era già comunista, ora. Mi invitò poi, una volta, in occasione della festa di Natale, a cenare a casa sua. Mi presentai puntualmente; mentre si preparava il pranzo, sonarono alla porta: erano parenti di mio cognato (ché ormai lei s'era sposata). Mia sorella tutta preoccupata mi disse di mettermi in disparte per non farmi vedere. Io me ne sono andato e non ci sono tornato piú.
La prima ragione, perché ero diventato comunista, stava racchiusa nelle sofferenze che avevo passato: comunismo voleva dire, per me, vita nuova e per tutti, lavoro per tutti e redenzione, quindi non più Sciabbica, perché se c'é lavora, non c'é ladri, tranne che per i cleptomani. Questo nell'idea, ora ti dico il contatto fisico come è stato. Io avevo il salone, si viveva d'intrallazzo, io vendevo le sigarette di contrabband che mi venivano fornite direttamente da una guardia di finanza. Io la cosa la facevo senza scrupoli perché si può dire che la facevano tutti i saloni. Mangiavo bene così, mentre intorno c'era fame. Un giorno volevo organizzare una dimostrazione contra l'affamamento: l'ho organizzata. Mi appartai nel retrobottega, scrissi MI manifesto nel quale finivo: — Viva Stalin, viva Roosvelt, viva il Comunismo siciliano.
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Raccolsi soldi per stamparlo, comprai la colla, e fécimo per conto nostro il partito Antifascista d'Azione: e nella nostra intenzione era quello di dare bastonate ai fascisti. Con l'aiuto di alcuni altri miei conoscenti, li andammo ad incollare nelle vi[...]

[...]armi sotto l'accusa di aver trasgredito al manifesto di Alexander. Mi hanno dato: — Lei non conosce il manifesto di Alexander? — Io non conosco niente, la gente muore di fame —. E mi hanno inviato al tribunale militare, il quale mi ha dato un anno con la condizionale.
Dopo alcuni giorni é venuto al salone un maestro di scuola, il quale mi ha invitato, per quello che avevo fatto, ad andarlo a trovare dove avevano sede le riunioni dei socialisti. Perché ancora non avevano il permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare un ordine del giorno che non condividevo e sono stato rimproverato per il mio modo di esprimermi. Avevo presentato la domanda d'iscrizione, ma siccome mi ero stufato, perché si facevano sempre discussioni e io volevo agire, non sono andato più alle riunioni. Poi ci fu l'autorizzazione e aprirono la sede. E rifrequentai. Organizzai una dimostrazione dei barbieri e in questa occasione conobbi un comunista il quale mi disse che il mio posto era nel partito comunista. Io non trovai nessuna difficoltà e mi iscrissi al partito: 1943. Ho cominciato subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo [...]

[...]scussioni e io volevo agire, non sono andato più alle riunioni. Poi ci fu l'autorizzazione e aprirono la sede. E rifrequentai. Organizzai una dimostrazione dei barbieri e in questa occasione conobbi un comunista il quale mi disse che il mio posto era nel partito comunista. Io non trovai nessuna difficoltà e mi iscrissi al partito: 1943. Ho cominciato subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo delle letture in collettivo, con degli operai: abbiamo incominciato col « Materialismo storico e dialettico » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bolscevico, « La città del socialismo » di Gramsci. Da questo libro ho tratto un insegnamento che mi ha servito: la società é come un treno di tanti vagoni, alla testa del quale c'è una locomotiva di tipo moderno, mentre gli altri vagoni rappresentano le fasi della società passata, con tutte le sue [...]

[...] » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bolscevico, « La città del socialismo » di Gramsci. Da questo libro ho tratto un insegnamento che mi ha servito: la società é come un treno di tanti vagoni, alla testa del quale c'è una locomotiva di tipo moderno, mentre gli altri vagoni rappresentano le fasi della società passata, con tutte le sue strutture, con tutti i suoi difetti. Il viaggio viene
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difficile perché questi vagoni sono scarcassati; ogni tanto cade una vite, cade uno sportello. Per cui é necessario, per aggiustarli, la collabora zione di tutti quelli che sono sul treno. E quando tutto é messo a punto, si viaggia speditamente verso la città del socialismo. M'ero fatto una cultura marxista, e continuavo a lavorare da barbiere. Siccome questo mestiere, specie a Palermo, non é tanto redditizio e io ormai ero padre di quattro bambini, cercavo di evadere, far qualche altra cosa. Un giorno parlai ad un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federbraccianti. Ed[...]

[...]estiere, specie a Palermo, non é tanto redditizio e io ormai ero padre di quattro bambini, cercavo di evadere, far qualche altra cosa. Un giorno parlai ad un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federbraccianti. Ed io accettai. In questo periodo la direzione del partito aveva indetto un corso politico per corrispondenza, al quale io partecipai. So io quale sforzo facevo e quale impegno mettevo nello studio, perché avevo coscienza che più mi sarei educato politicamente, piú avrei dato al partito. E ` in questo studio, ricordavo ancora una volta un detto di Gramsci il quale in un suo libro dice: Istruitevi, perché la rivoluzione é rivoluzione di uomini. La società ha bisogno di uomini nuovi, consapevoli —. Studiavo alla luce di un lumina, per risparmiare Ila luce. E un giorno mi venne il dubbio che non sarei stato buono a niente, e che il mio studio non avrebbe approdato a niente, anche perché, per lo studio che facevo, incominciavo ad avere una forma di esaurimento nervosa. Scrissi alla direzione della scuola, a Roma al Partito, per chiedere un consiglio se valesse la pena di continuare, e avevo anche il dubbio che la rivoluzione non sarebbe venuta entro il termine della mia vita. Mi hanno risposto che il solo fatto che io studiassi in quelle condizioni era un fatto positivo, e che la storia non si doveva misurare con la vita di un uomo. Un giorno mi sentii congratulato da un compagno perché avevo risposto bene ai temi finali: il sedicesimo su quattromila. Poi mi hanno messo a lav[...]

[...] forma di esaurimento nervosa. Scrissi alla direzione della scuola, a Roma al Partito, per chiedere un consiglio se valesse la pena di continuare, e avevo anche il dubbio che la rivoluzione non sarebbe venuta entro il termine della mia vita. Mi hanno risposto che il solo fatto che io studiassi in quelle condizioni era un fatto positivo, e che la storia non si doveva misurare con la vita di un uomo. Un giorno mi sentii congratulato da un compagno perché avevo risposto bene ai temi finali: il sedicesimo su quattromila. Poi mi hanno messo a lavorare nel Comitato Direttivo e quindi condividevo la responsabilità del lavoro, in direzione dei contadini.
La prima volta che andai a tenere una riunione in un paese di provincia, i contadini attendevano il responsabile in prima persona. Trovai la stanza addobbata a festa. Quando videro che ero io, mi dissero : — Ma comu; tu venisti? Avia a venere P... —. E io ebbi la sensazione che si fosse creato il mito uomo e fin da allora mi sforzai a dire ai contadini che non ci sono, nella lotta di classe, inter[...]

[...]i la stanza addobbata a festa. Quando videro che ero io, mi dissero : — Ma comu; tu venisti? Avia a venere P... —. E io ebbi la sensazione che si fosse creato il mito uomo e fin da allora mi sforzai a dire ai contadini che non ci sono, nella lotta di classe, interessi particolari, e quindi l'uomo si perde di fronte alle masse. Specie quando
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questo non sa interpretare questi interessi. Me ne tornai contento perché quella deferenza che mi aveva accolto quando arrivai, s'era mutata in affetto e in simpatia perché, malgrado non sapessi ancora esprimermi in termini tecnici, avevo saputo parlare un linguaggio da uomo che aveva lottato per il diritto alla vita. E li c'è la redenzione: in principio avevo lottato solo e per me...
Mi inviarono al Congresso nazionale della Federbraccianti a Mantova, nel '49: e li ho avuto la sensazione viva che i contadini siciliani, che in quel momento si accingevano ad occupare le terre dei baroni, non erano soli nella lotta, ma con tutta la classe operaia italiana. M'é venuto da piangere quando una popolana leccese, salita sul podio, scusandosi di non sapere l'italiano ha[...]

[...] non mi stancherò mai di lottare assieme alla mia compagna e non m'importano le bastonate della polizia —.
Poi sono tornato e subito andato a Marineo, dove c'era in corso la lotta per l'occupazione delle terre. Trovai li un compagno il quale aveva generato una confusione da non capirci piú niente, e l'indomani alla testa dei contadini mi portai sul fondo che occupammo. In quell'occasione ho ricevuto una lezione dura, dal punto di vista pratico: perché mentre io, con la lettura dei kolcos in Russia, invitavo i contadini alla coltivazione collettiva, essi invece procedevano allo spezzettamento e alla lavorazione individuale. Si preoccupavano di delimitare la loro porzione, con una cinta, delle pietre, le redini del mulo, come quando sul treno si precipita la gente all'occupazione dei posti, buttando cappelli, borse, giornali.
A me la cosa sembrava strana e chiamai un contadino, dicendo che la cosa non era giusta; e questo mi rispose — Scusami compagno Gino: se io lavoro il terreno col mulo, e quello lo lavora solo, all'ora del prodotto io n[...]

[...] ficurinni se ti tira una scoppiettata chi la vede poi? Iddu se n'andò.
Verso sera se ne venne un'acqua terribile che arrivato al paese, in. casa di un contadino m'infornarono i panni. Noi ce ne eravamo andati
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ma due vollero rimanere attaccati alla terra: non volevano muoversi. E i . carabinieri, quando questi rimasero soli, vennero ad arrestarli.
Non so con precisione come siano andate a finire le cose perche la sera, stessa, tornato da li, andai a Montelepre, per l'occupazione del feudo vicino e poi li mi misero in galera.
Nello stesso tempo anche i contadini di Cinisi, Carini, Partinico,. Terrasini e Montelepre si agitavano per avere le terre del Piano degli Aranci. Si stabili che io dovevo andare a visitare questi comuni per rendermi conto di cosa avveniva. Intanto era stato organizzato un comizio a Carini dove avrei dovuto parlare io. Siccome nella piazza v'era la festa del Santo Patrono, si decise che avrei parlato dentro i locali della Camera del lavoro che trovai affollatissima. I pressi d[...]

[...]e internazionale ed &a mi trovavo a Montelepre, centro del banditismo.
Alcune volte pensavo che trentasei capi contadini, in Sicilia, erano già caduti sotto il piombo dei sicari. Chissà... Eppure avevo commesso delle imprudenze: da Montelepre ero andato a Carini, assieme a un contadino, a piedi, prendendo in mezzo le trazzere. Una volta da Partinico a Montelepre. Tu capisci? Neanche durante la guerra di liberazione avevo pensato a questo, forse perché li il nemico lo avevo di fronte; qui invece da un momento all'altro mi poteva capitare di ricevere una schioppettata da dietro un palo di fichidindia.
Una sera mentre parlavo nella Camera del lavoro di Montelepre é venuto un carabiniere che mi invitò a seguirlo in caserma perché mi voleva parlare il maresciallo. Ci dissi che ci sarei andato appena finito. Vi andai, una ventina circa di contadini mi vollero accompagnare. Il maresciallo, che già mi aspettava, ostentando una certa calma, mi invitava a sedere — Mi scusi se I'ho disturbata. Sa, qui é una zona pe
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ricolosa ed è nostro compito sapere chi sono i forestieri. Scusi, ma lei che cosa è venuto a fare a Montelepre? Senta, non creda che io ce l'abbia con la camera del lavoro, anch'io sono operaio, anzi le dico di più: ho conosciuto personalmente a Torino la moglie di Togliatti... ». Quando me ne a[...]

[...]'era il coordinamento. Siccome tutta la zona era perlustrata dai carabinieri, ci preoccupavamo come dovevamo riuscire ad andare sul fondo senza farci arrestare. Era chiaro che non potevamo andare tutti in massa, altrimenti saremmo stati scoperti e arrestati. Siamo stati a discutere due ore nella camera del lavoro, tutti i dirigenti della zona, per pensare a tutte le trazzere, i sentieri, come conveniva meglio per non farci scoprire. Io ascoltavo perché non conoscevo la zona. A un certo momenta decisero che ci saremmo partiti a gruppi di quattro, di cinque, fingendo di andare a zappare. E fissandoci un appuntamento a Case Nuove, e quando saremmo stati tutti là, a bandiere al vento, saremmo andati a Sagana, e di li scendere alla Piana degli Aranci al feudo.
Siccome dovevano venire anche dagli altri paesi vicini, i responsabili andarono ad avvisare. Io rimasi a Carini e l'indomani all'alba andavamo a topoliare (bussare) casa per casa: — Turi. Arrisvegliati,
che emu a ghire alla terra. Nun ne vuoi terra? La terra!!!... E par
timmo, così a gr[...]

[...]zale antistante alla caserma e li l'ufficiale improvvisò una specie di comizio dicendo di stare attenti che queste cose la legge non le permette. Lo interrompemmo dicendogli di fare il carabiniere e non i comizi.
Intanto i contadini non se ne volevano andare che avevano visto che noi, tutti i dirigenti, non ci lasciavano andare, e capirono che eravamo arrestati. Intanto tutta la polizia li cacciava coi mitra: — Via. Avanti. Andatevene. — Allora perché non nascessero provocazioni, noi stessi dicevamo ai contadini: — Avanti, itevinne alle vostre case.
Ritorna la staffetta intanto, mentre i contadini se ne vanno, e dice che avevano accerchiato Montelepre e per quello i contadini non avevano potuto venire. Quello che era tornato era un tipo in gamba, setten trionale, che non aveva paura né di banditi né di carabinieri; li arringò e li condusse all'occupazione del feudo. Ma poi glie lo hanno tolto.
Intanto a me e gli altri ci condussero vicino a dei camion che erano sullo stradale. Intanto arrivò una macchina, l'ufficiale si fece sotto e fece[...]

[...]ra una confusione di odori... Dopo sei mesi, appena uscito dal carcere (dove avevo intanto potuto approfondirmi nello studio delle questioni sociali; avevamo costituita la cellula « Sagana » e abbiamo fatto qualche reclutato), ritornai alla Federbraccianti, alla mia attività normale.
Quando é venuto Eisenhower in Italia per ispezionare le truppe, la popolazione aveva inscenato una dimostrazione contro la guerra. Io mi trovavo in piazza Massimo, perché volevo partecipare anch'io. Ad un dato momento non so cosa é avvenuto, una confusione, ho visto spingere una donna su una camionetta e l'Onorevole Colajanni che,
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qualificandosi come deputato regionale, cercava di dissuadere la polizia ad arrestare quella donna. Si è gridato: — Viva la Sicilia. Viva il Parlamento Siciliano — credendo che stessero arrestando Colajanni. E successo un parapiglia. Cominciò la solita girandola della celere e mi sono sentito afferrare per il collo da un scelbino. Pur mostrando il mio distintivo (lo porto «abusivamente », la ga[...]

[...]e,
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qualificandosi come deputato regionale, cercava di dissuadere la polizia ad arrestare quella donna. Si è gridato: — Viva la Sicilia. Viva il Parlamento Siciliano — credendo che stessero arrestando Colajanni. E successo un parapiglia. Cominciò la solita girandola della celere e mi sono sentito afferrare per il collo da un scelbino. Pur mostrando il mio distintivo (lo porto «abusivamente », la galera c'è, perché è un mio diritto: lo Stato mi passa la pensione di guerra ma l'Associazione mutilati non mi vuole iscrivere perché ero pregiudicato: e adesso, a dir questo, voglio vedere se sono anche capaci di levarmi la pensione), mi hanno bastonato
buttato sulla camionetta e ci condussero alla Faletta dove trovai uomini e donne arrestate, provenienti da Piana dei Greci dove era stato ammazzato Damiano Lo Greco, un contadino che dimostrava pure per la pace.
Sono stato undici giorni in camera di sicurezza, poi portato al carcere e deferito alla commissione per il confino di polizia. Nel carcere appresi il valore che aveva « l'Unità » che, malgrado la galera, mi teneva in contatto col partito. Anzi, un giorno, aprendo [...]

[...]ezzo la folla. Anzi, mi disse apposta :
Nella folla mancano i portafogli. — Io mi sentivo come male, umiliato. Intorno a me, in un ambiente di gran lusso, sentivo i profumi di alcuni paltò posati sui divani di velluto e delle sigarette di lusso. Insiste, indicando il mio paltò che avevo comprato sulla bancarella della roba « americana)): — Come, lei porta questo cappotto di lusso?
Fui ammonito per due anni (non potevo far più attività politica perché non potevo più andare nei paesi, secondo il regolamento di polizia. Dovevo forse andare dai marescialli e dirgli: — Sono un ammonito che debbo fare una riunione ai contadini? — Anzi, in quel tempo ritengo che il partito mi tenesse a quel posto per un senso di solidarietà, perché non mi perdessi). Cercavo continuamente di sfuggire il passato
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e loro insistevano invece per inchiodarmici. Quando tu arrivi li, loro cercano di reclutare il loro cliente: spie, confidenti.
A me capitò che continuamente venivo chiamato al Mandamento, ora per una scusa, ora per l'altra. Una volta il Commissario mi disse: — Tu (ero ,già padre di cinque figli) mai sei stato in carcere? — gli risposi: — No. — Allora lui mi promise che mi avrebbe fatto togliere l'ammonizione. Poi mi mandò a richiamare, e aveva sul tavolo il mio incartamento: — Come, mi dicesti che non c'eri sta[...]

[...], ora per l'altra. Una volta il Commissario mi disse: — Tu (ero ,già padre di cinque figli) mai sei stato in carcere? — gli risposi: — No. — Allora lui mi promise che mi avrebbe fatto togliere l'ammonizione. Poi mi mandò a richiamare, e aveva sul tavolo il mio incartamento: — Come, mi dicesti che non c'eri stato mai carcerato e invece... Ma io ci dissi a Vossia che non ero mai stato carcerato politico. — Prese una posizione paternalistica: — Ma perché non ti fai l'affari tuoi. Tu non sei nato per la politica. Ognuno nasce per la sua strada. Cercati tin lavoro... — Me lu dicesse Vossia soccu avissi a fare. — Mettiti qualche posto di fichurinni, di... — Ma se mancu mi vulite dare la licenza perché sono pregiudicato! E m'ammunistivu. — Ma tu la vuoi l'ammonizione. Se fai una vita tranquilla, e mi porti qualche notizia... A me solo direttamente... Senza parlare con nuddu...
A Palermo dicono: — A tia pensu! piuttosto mi sarei ammazzato, piuttosto che fare il cioccolattaro.
A Palermo, per dire a uno « spia », ci si dice «cioccolattaro ».
I cioccolattari sono una specie di associazione, delle ganghe, costituite abitualmente da pregiudicati, quattro o cinque. Prendono un centinaio di cioccolatti, dentro ci mettono dei bigliettini con scritte delle cifre che vanno da 10 a 500, a 3000, a 4[...]

[...] nel passato, e buttano piú sotto. Almeno quando sono così detti « uomini d'onore », hanno un certo prestigio, sia pure nella malavita; dopo, divenuti pure dei traditori, perdono anche il legame con le vecchie amicizie, schifati da tutti.
Il rapporto fra le autorità e tutta la gente che campa e non campa, é l'elemosina, il paternalismo : quando c'é. Chi ci ha bisogno, per esempio i venditori di mussu o milza, di avere per forza la merce da uno, perché ce n'é poca, lo considerano come un loro piccolo Dio: che basta che questo gli levi la partita, per morire dalla fame. Questi poveracci poi votano dove dice questo piccolo ras; votano per la partita, che a loro glie ne frega della politica, in genere. Qui ci si infilano i mafiosi per portare voti dove dicono i ras. Ma la mafia é un'altra cosa: quando a una bottega ci fanno uno scasso, questi si interessano nei diversi quartieri del ricupero della merce del loro protetto. Il proprietario poi ci paga « un pizzu : i picciotti vonno mangiare ».
Adesso faccio di nuovo il barbiere ambulante, che h[...]

[...]
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Minasola! Minasola! — Il portone si chiude, si riapre. — Scusi ha chiamato Geraci? — Per favore il mio tesserino. — Venga domani. — Ma io sono ammalato. — Che cosa posso farci io?
È una torre di Babele, non un ufficio di collocamento.
Certe volte rifletto che son trascorsi quarantadue anni di vita senza aver approdato a niente. Però penso che parte dei miei anni li sto spendendo per agevolare gli altri, perché altri non siano costretti a fare le mie esperienze. Poi, ritengo di vivere per un obbligo verso la mia famiglia, verso i miei figli, verso il partito, che ritengo sono state le lotte, le esperienze del partito che mi hanno reso uomo nuovo. Spesso la mattina, quando mi alzo prima di andare a lavorare, vado al lettino dove dor mono due dei miei bambini e, baciando il più piccolo, penso che almeno lui ha le carezze e i baci che io non ho avuto. — A qualcosa servo anch'io — mi viene da pensare anche se mi rimane...
Questa mia vita passata così e che a un certo momento mi dava una specie di compl[...]

[...] occasioni. Specie quando bisognava avere la forza politica e morale di fare trionfare alcuni princìpi di democrazia interna del partito.
Ad esempio. Ero responsabile provinciale degli Amici dell'Unità. Un giorno, durante la penultima campagna elettorale, entrando nella stanza adibita a mio ufficio, non trovai più né tutto il materiale del mio lavoro né il tavolo, niente. Andai a trovare tutto vicino al gabinetto, alla rinfusa. Cercai di sapere perché e non mi fu possibile saperlo. Seppi solo che cosí aveva disposto uno dei dirigenti. Ho avuto una specie di collasso e rimarginavo ancora... Avevo dei dubbi: ero o non ero? Poi in un'altra sezione lavoravo ma andavo di peggio in peggio fin che un giorno fui chiamato dal compagno B. Il quale con argomenti e con modi fraterni mi ha ridato fiducia nel lavoro e nella mia persona. Dopo aver sentito che lui ancora mi stimava, siccome é il maggiore responsabile, ah!..., mi sentii rinascere.
Se io dovessi continuare a lottare, misurando questa mia forza con le cose che vedo e con alcuni uomini che m[...]



da Natalia Ginzburg, Le piccole virtù in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]o; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere.
Di solito invece facciamo il contrario: ci affrettiamo a insegnare il rispetto per le piccole virtù, fondando su di esse tutto il nostro sistema educativo. Scegliamo, in questo modo, la via più comoda: perché le piccole virtù non racchiudono alcun pericolo materiale, e anzi tengono al riparo dai colpi della fortuna. Trascuriamo d'insegnare le grandi virtù, e tuttavia le amiamo, e vorremmo che i nostri figli le avessero: ma nutriamo fiducia che scaturiscano spontaneamente nel loro animo, un giorno avvenire, ritenendole di natura istintiva, mentre le altre, le piccole, ci sembrano il frutto d'una riflessione e di un calcolo e perciò noi pensiamo che debbano assolutamente essere insegnate.
In realtà la differenza é solo apparente. Anche le piccole virtù provengono dal profondo del nostro istinto, da[...]

[...] grandi, generano un'atmosfera che porta a quelle conseguenze. Non che le piccole virtù, in se stesse, siano spregevoli: ma il loro valore é di ordine complementare e non sostanziale; esse non possono stare da sole senza le altre, e sono, da sole senza le altre, per la natura umana un povero cibo. Il modo di esercitare le piccole virtù, in misura temperata e quando sia del tutto indispensabile, l'uomo può trovarlo intorno a sé e berlo nell'aria: perché le piccole virtù sono di un ordine assai comune e diffuso tra gli uomini. Ma le grandi virtù, quelle non si respirano nell'aria: e debbono essere la prima sostanza del nostro rapporto coi nostri figli, il primo fondamento dell'educazione. Inoltre, il grande può anche contenere il piccolo: ma il piccolo, per legge di natura, non può in alcun modo contenere il grande.
Non giova che cerchiamo di rammentare e imitare, nei rapporti coi nostri figli, i modi tenuti dai nostri genitori con noi. Quello della nostra giovinezza e infanzia non era un tempo di piccole virtù: era un tempo di forti e sonor[...]

[...]cevano né prudenza, né astuzia; non conoscevano la paura del ridicolo; erano inconseguenti e incoerenti, ma non se ne accorgevano mai; si contraddicevano di continuo, ma non ammettevano mai d'essersi contraddetti. Usavano con noi un'autorità, che noi saremmo del tutto incapaci di usare. Forti dei loro prìncipi, che credevano indistruttibili, regnavano con potere assoluto su di noi. Ci assordavano di parole tuonanti; un dialogo non era possibile, perché appena sospettavano d'aver torto ci ordinavano di tacere; battevano il pugno sulla tavola, facendo tremare la stanza. Noi ricordiamo quel gesto, ma non sapremmo imitarlo. Possiamo infuriarci, urlare come lupi; ma in fondo alle nostre urla di lupo c'é un singhiozzo isterico, un rauco belato d'agnello.
Noi dunque non abbiamo autorità: non abbiamo armi. L'au
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torità, in noi, sarebbe un'ipocrisia e una finzione. Siamo troppo consapevoli della nostra debolezza, troppo malinconici e malsicuri, troppo consci delle nostre inconseguenze e incoerenze, troppo consci dei nostri difet[...]

[...]egando com'è bello conservare il denaro invece di spenderlo, in modo che, dopo mesi, ce ne sia molto, un bel gruzzolo di denaro; e come sia bello resistere alla voglia di spendere, per poter comprare, alla fine, qualche oggetto di pregio. Ricordiamo d'aver ricevuto in regalo, nella nostra infanzia, un salvadanaio eguale; ma dimentichiamo che il denaro, e il gusto di conservarlo, era al tempo della nostra infanzia meno orribile e sudicio di oggi: perché il denaro, più passa il tempo, e più è sudicio. Il salvadanaio, dunque, è il nostro primo errore: abbiamo installato, nel nostro sistema educativo, una piccola virtù.
Quel salvadanaio di coccio dall'aspetto innocuo, a forma di pera o di mela, abita per mesi e mesi nella stanza dei nostri figli ed essi si abituano alla sua presenza; s'abituano al piacere di introdurre, giorno per giorno, il denaro nella fessura; s'abituano al denaro custodito là dentro, che là, nel segreto e nel buio, cresce come un seme nel grembo della terra; s'affezionano al denaro, dapprima con innocenza, come ci s'affezi[...]

[...]ATALIA GINZBUI{G
gazzi si sentono soli e delusi: non c'è più il denaro nella stanza, custodito nel ventre della mela, e non c'è più nemmeno la rossa mela: c'è invece un oggetto a lungo vagheggiato in vetrina, e di cui noi gli abbiamo vantato l'importanza e il pregio: ma che ora, nella stanza, sembra grigio e disadorno, appassito dopo tanta attesa e dopo tanto denaro. Di questa delusione i ragazzi non incolperanno il denaro, ma l'oggetto stesso: perché il denaro perduto conserva, nella memoria, tutte le sue lusinghiere promesse. I ragazzi chiederanno un nuovo salvadanaio e nuovo denaro da custodire; e rivolgeranno al denaro dei pensieri e un'attenzione che è male gli siano rivolti. Preferiamo il denaro alle cose. Non è male che abbiano sofferto una delusione; è male che si sentano soli senza la compagnia del denaro.
Non dovremmo insegnare a risparmiare: dovremmo abituare a spendere. Dovremo dare spesso ai ragazzi un po' di denaro, piccole somme senza importanza, sollecitandoli a spenderle subito e come gli piace, seguendo un momentaneo cap[...]

[...]o subito rotte, i ragazzi rimarranno un po' delusi, ma dimenticheranno rapidamente sia quella delusione e le minutaglie, sia il denaro; anzi associeranno il denaro a qualcosa di momentaneo e di stupido; e penseranno che il denaro è stupido, come è giusto nell'infanzia pensare.
E giusto che i ragazzi vivano, nei primi anni della loro vita, ignorando che cos'è il denaro. A volte questo è impossibile, se siamo troppo poveri; e a volte è difficile, perché siamo troppo ricchi. Tuttavia quando siamo molto poveri, quando il denaro è strettamente legato a un fatto di sopravvivenza quotidiana, a una questione di vita o di morte, allora esso si traduce così immediatamente agli occhi d'un bambino in cibo, carbone o panni, che non ha il modo di guastargli lo spirito. Ma se siamo così così, né ricchi né poveri, non è difficile lasciare che un ragazzo viva, nell'infanzia, senza saper bene che cos'è il denaro e senza curarsene affatto. E tuttavia è necessario, non troppo presto e non troppo tardi, spez
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zare questa ignoranza: e s[...]

[...]i, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l'invito al risparmio non è piú rispetto per una piccola virtù, non è astratto invito a portare rispetto ad una cosa che non merita rispetto in se stessa, come il denaro; ma è un rièordare ai ragazzi che non è molto il denaro di casa, è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte a una cosa che. appartiene a noi come a loro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto e non troppo tardi: e il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi.
Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere liberi di fronte al denaro. E non c'è dubbio che, nelle famiglie dove il denaro viene guadagnato e prontamente speso, dove scorre come limpida acqua di fonte, e, praticamente, non esiste come denaro, è mena difficile educare un ragazzo ad un simile equilibrio, a una simile libertà. Le cose diventano complicate là dove il denaro esiste ed esis[...]

[...]getti che alcuni loro compagni certo piú poveri posseggono da tempo. E quando poi gli viene regalata la bicicletta che desiderano, il regalo é però accompagnato dalla severa raccomandazione di non sciupare, di non prestare a nessuno un oggetto così di lusso, e che é costato tanto denaro. I richiami all'economia, in casa, sono perenni e insistenti: c'è l'ordine di comprare i libri di scuola usati, i quaderni allo Standard. Questo avviene in parte perché i ricchi spesso sono avari, e perché si credono poveri; ma soprattutto perché le madri, nelle famiglie ricche, piú o meno inconsapevolmente, hanno timore delle conseguenze del denaro e cercano di proteggerne i figli foggiandogli attorno una finzione di abitudini semplici, perfino avvezzandoli a piccole privazioni. Ma non c'é sbaglio peggiore che far vivere un ragazzo in una simile contraddizione: il denaro parla ovunque, nella casa, il suo linguaggio inconfondibile: é presente nelle porcellane, nelle mobilia, nella pesante argenteria, é presente nei comodi viaggi, nelle sfarzose villeggiature, nei saluti del portinaio, nelle cerimonie dei servi; è presente nei discorsi[...]

[...]ere un ragazzo in una simile contraddizione: il denaro parla ovunque, nella casa, il suo linguaggio inconfondibile: é presente nelle porcellane, nelle mobilia, nella pesante argenteria, é presente nei comodi viaggi, nelle sfarzose villeggiature, nei saluti del portinaio, nelle cerimonie dei servi; è presente nei discorsi dei genitori, è la ruga sulla fronte del padre, la plumbea perplessità dello sguardo materno; il denaro ç ovunque, intoccabile perché forse spaventosamente fragile, è qualcosa su cui non é consentito scherzare, un funebre dio a cui non ci si può rivolgere che con un sussurro; e per onorare questo dio, per non molestare la sua luttuosa immobilità, bisogna portare il cappotto dell'anno prima diventato stretto, studiar la lezione su libri sfasciati e cenciosi, divertirsi con la bicicletta del contadino.
Se vogliamo educare i nostri figli, essendo ricchi, ad abitudini semplici, dev'essere però ben chiaro che tutto il denaro risparmiato usando simili abitudini viene speso senza parsimonia per altra
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gente. S[...]

[...]tirsi con la bicicletta del contadino.
Se vogliamo educare i nostri figli, essendo ricchi, ad abitudini semplici, dev'essere però ben chiaro che tutto il denaro risparmiato usando simili abitudini viene speso senza parsimonia per altra
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gente. Simili abitudini hanno un senso soltanto se non sono avarizia o timore, ma libera scelta, in mezzo alla ricchezza, della semplicità. Un ragazzo di famiglia ricca non impara la sobrietà perché gli si fanno portare dei vestiti vecchi, o perché gli si fanno mangiare a merenda delle mele verdi, o perché lo si priva d'una bicicletta che desidera da lungo tempo: quella sobrietà in mezzo alla ricchezza é una pura finzione, e le finzioni sono sempre diseducative. In questo modo imparerà soltanto l'avarizia e la paura del denaro. Privandolo d'una bicicletta che desidera e che potremmo comprargli, non faremo che frustrarlo d'una cosa legittima per un ragazzo, non faremo che render meno lieta la sua infanzia in nome d'un principio astratto, senza giustificazione nella realtà. E tacitamente verremo ad affermare di fronte a lui che il denaro é migliore d'una bicicletta: e invece è necessario che lui [...]

[...]fronte a lui che il denaro é migliore d'una bicicletta: e invece è necessario che lui sappia che una bicicletta é sempre meglio del denaro.
La vera difesa dalla ricchezza non é la paura della ricchezza, della sua fragilità e delle viziose conseguenze che può portare: la vera difesa dalla ricchezza é l'indifferenza al denaro. Per educare un ragazzo a questa indifferenza, non c'é altro modo che dargli del denaro da spendere, quando esiste denaro: perché impari a separarsene senza cruccio e senza rimpianto. Mi si osserverà che così un ragazzo s'abitua ad avere denaro da spendere, e non potrà più farne senza; se domani non sarà più ricco, come farà? Ma é più facile non aver denaro quando abbiamo imparato a spenderlo, quando abbiamo imparato come vola via in fretta fra le mani; é più facile fare a meno del denaro quando l'abbiamo ben conosciuto, che non quando gli abbiamo tributato, nell'infanzia, reverenza e paura, abbiamo sentito la sua presenza all'intorno e non ci é stato permesso di alzare gli occhi a guardarlo in viso.
Appena i nostri fi[...]

[...] non ci é stato permesso di alzare gli occhi a guardarlo in viso.
Appena i nostri figli cominciano ad andare a scuola, noi subito gli promettiamo denaro in premio, se studieranno bene. E un errore. Noi così mescoliamo il denaro, che é una cosa senza nobiltà, ad una cosa meritevole e degna, quale é lo studio e il piacere della conoscenza. Il denaro che diamo ai nostri figli, dovrebbe esser dato senza motivo; dovrebbe esser dato con indifferenza, perché imparino a riceverlo con indifferenza; e dev'esser dato non
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perché imparino ad amarlo, ma perché imparino a non amarlo, a intenderne il vero carattere, e la sua impotenza ad appagare i desideri più veri, che sono quelli dello spirito. Elevando il denaro alla funzione di premio, di punto d'arrivo, di obbiettivo da raggiungere, noi gli diamo un posto, un'importanza, una nobiltà, che non deve avere agli occhi dei nostri figli. Affermiamo implicitamente il principio — falso — che il denaro è il coronamento d'una fatica e il suo termine ultimo. Invece il denaro dovrebbe essere concepito come il salario d'una fatica: non il suo termine ultimo, ma il suo salario, cioè il suo legittimo credito: [...]

[...]— falso — che il denaro è il coronamento d'una fatica e il suo termine ultimo. Invece il denaro dovrebbe essere concepito come il salario d'una fatica: non il suo termine ultimo, ma il suo salario, cioè il suo legittimo credito: ed è evidente che le fatiche scolastiche dei ragazzi non possono avere un salario. E un errore minore — ma è un errore — offrire denaro ai figli in cambio di piccoli servizi domestici, di piccole prestazioni. È un errore perché noi non siamo, per i nostri figli, dei datori di lavoro: il denaro familiare è altrettanto loro quanta nostro: quei piccoli servizi, quelle piccole prestazioni dovrebbero essere senza compenso, volontaria collaborazione alla vita familiare. E in genere, credo si debba andare molto cauti nel promettere e somministrare premi e punizioni. Perché la vita raramente avrà premi e punizioni: di solito i sacrifici non hanno alcun premio, e sovente le cattive azioni non sono punite, ma anzi a volte lautamente retribuite in successo e denaro. Perciò è meglio che i nostri figli sappiano fin dall'infanzia, che il bene non riceve ricompensa, e il male non riceve castigo: e a questo non è possibile dare nessuna logica spiegazione.
Al rendimento scolastico dei nostri figli siamo soliti dare una importanza che è_ del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero tropp[...]

[...]ando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni. In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello é un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e irrisorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, é necessario lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d'essere continuamente incompresi e misconosciuti, e di esser vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi. I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. E' falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi é puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti. Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non [...]

[...]llo che a noi sembra ozio é in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti. Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati su un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell'energia e dell'ingegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito. Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell'insuc
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cesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidirne la limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo l[...]

[...]consapevolezza di poter fare una cosa meglio degli altri, e amare questa cosa al di sopra di tutto, é la sola e unica possibilità, per un ragazzo ricco, di non essere per nulla condizionato dal denaro, di essere libero di fronte al denaro: di non sentire, fra gli altri, né l'orgoglio della ricchezza né la sua vergogna. Egli non s'accorgerà neppure degli abiti che porta, dei costumi che lo circondano, e domani sarà capace di qualunque privazione, perché l'unica fame e l'unica sete
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sarà in lui la sua passione stessa, che avrà divorato tutto quanto é futile e provvisorio, l'avrà spogliato di ogni abitudine o atteggiamento contratto nell'infanzia, e regnerà sola sul suo spirito. Una vocazione é l'unica vera salute e ricchezza dell'uomo.
Quali possibilità abbiamo noi di svegliare e stimolare, nei nostri figli, la nascita e lo sviluppo d'una vocazione ? Non ne abbiamo molte: e tuttavia ne abbiamo forse qualcuna. La nascita e lo sviluppo d'una vocazione richiede spazio: spazio e silenzio: il libero silenzio dello spazio. Il[...]

[...]he intercorre fra noi e i nostri figli, dev'essere uno scambio vivo di pensieri e di sentimenti e tuttavia deve comprendere anche profonde zone di silenzio; dev'essere un rapporto intimo, e tuttavia non mescolarsi violentemente alla loro intimità; dev'essere un giusto equilibria fra silenzio e parole. Noi dobbiamo essere importanti, per i nostri figli, e tuttavia non troppo importanti: dobbiamo piacergli un poco, e tuttavia non piacergli troppo: perché non gli salti in testa di diventare identici a noi, di copiarci nel mestiere che facciamo, di cercare, nei compagni che si scelgono per la vita, la nostra immagine. Noi dobbiamo essere, con loro, in un rapporto d'amicizia: eppure non dobbiamo essere troppo i loro amici, perché non gli diventi difficile avere dei veri amici, a cui possano dire cose che tacciono con noi. La loro ricerca d'amici, la loro vita amorosa, la loro vita religiosa, la loro ricerca d'una vocazione, é necessario che siano cinte di silenzio e d'ombra, che si svolgano in disparte da noi. Mi si dirà che allora la nostra intimità coi nostri figli si riduce a ben poca cosa. Ma nei nostri rapporti con loro, dev'essere contenuto tutto questo per sommi capi, e la vita religiosa, e la vita dell'intelligenza, e la vita affettiva, e il giudizio sugli esseri umani; noi dobbiamo essere, per loro, un sempli[...]

[...]pirito. Ma se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l'abbiamo rinnegata e tradita, allora possiamo lasciarli germogliare quietamente fuori di noi, circondati dell'ombra e dello spazio che richiede il germoglio d'una vocazione, il germoglio d'un essere. Questa è forse l'unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l'amore alla vita genera amore alla vita.
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AVVENTURA DI UN COMMISSARIO
Non è che stessi male in casa mia con mia madre, fino a quattro mesi fa, quando ho dovuto andarmene. Spesso, nel piccolo appartamento di via Lanciani dove adesso vivo solo, la nostalgia mi prende; e insieme a mia madre e alla casa mi torna in mente anche mio padre, che pure é morto tanti anni fa. E l'immagine di lui che mi ritorna é sempre la stessa, e mi porta di tanto indietro nel.tempo: é mio padre che stappa champagne e brinda con gli occhi pieni di lacrime quando io ho appena vinto il concorso per l[...]

[...]ualmente sugli omicidi che avessi risolto. Io dicevo che il mio é un mestieraccio, che dovevo sempre sporcarmi con la gentaccia, e che per di più guadagnavo poco. Poi, se mia madre non tornava presto in salotto, con un pretesto mi rifugiavo nella mia stanza; e in questo caso rivedevo la ragazza un attimo nell'ingresso, per salutarla quando se ne andava. Se invece mia madre tornava prima del tempo minimo che dovevo rispettare, mi toccava ballare. Perché mia madre mi diceva « met
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ti un disco », e poi ordinava « suvvia, ballate ». Io ero impacciato, e spesso il mio corpo pesante sbagliava il ritmo; ma la ragazza m'incoraggiava. Qualche volta poggiava la sua guancia alla mia e mi si addossava. Mamma fingeva di non vedere.
La sera, poi, mi domandava le mie impressioni. Io tacevo, o rispondevo con rade parole, ad abbandonare l'argomento. Giuseppina origliava, nascosta dietro la porta.
In due anni saranno sfilate in casa mia trenta ragazze: alcune una sola volta, altre — quelle che mia madre riteneva le più idonee — più vo[...]

[...]cancello dell'ascensore e ho infilato di forza Giuseppina nella cabina, senza dire una parola.
Poi un giorno mia madre me ne ha fatto una grossa. Forse vedendo in pericolo la sua autorità, o imminente la mia rivolta, ha fatto venire a Roma zio Alfonso.
Zio Alfonso, fratello di mio padre, vive a Napoli, é scapolo e lavora in un'industria farmaceutica. Passa come la persona più autorevole della famiglia, certo per l'aspetto serio, ma soprattutto perché la sua passione é l'araldica (ha fatto tante ricerche sulla nostra famiglia e ne parla sempre). E affabile e misurato, ma confida troppo spesso ai parenti il suo pentimento di non essersi sposato.
E entrato nella mia stanza con un sorriso commosso e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che era venuto a Roma per alcune ricerche araldiche da compiere in Vaticano: si trattava di giustificare un «attacco» che ad un suo amico stava molto a cuore, a Napoli non gli sarebbe stato possibile. Ha continuato parlandomi del suo lavoro in fabbrica,
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poi mi ha detto che avrei[...]

[...]ho fatto lo sbaglio, e adesso lo pago... La serva mi ruba... I parenti mi danno fastidi... La sera torno a casa, e chi trovo? Nessuno... E che vuoi riparare, a sessantacinque anni? ».
« Ti ringrazio ma il matrimonio non fa per me, e so pensare da solo alla mia vita » l'ho interrotto.
« La fregatura tua è stata quella di essere figlio unico » ha ribattuto. « Questo è il fatto ».
Ci siamo messi a strillare tutti e due. Non ho un ricordo preciso perché ero in preda all'agitazione, ma devo essere stato violento e forse anche volgare, perché ad un certo momento lo zio ha detto « quand'è così... », ed è andato in cucina da mia madre. Io mi sono messo a leggere un romanzo giallo, ma una nebbia davanti agli occhi mi ha impedito di capire.
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Poco dopo zio Alfonso è tornato da me. « Ti saluto » ha detto. « Ti dico una cosa soltanto: non dimenticare il tuo nome ».
L'ho accompagnato alla porta. Nel corridoio ha battuto l'ombrello in terra ad ogni passo. Per salutarmi mi ha abbracciato, e mi ha baciato sulle guance. Poi quando è stato sul pianerottolo si è voltato, mi ha puntato l'ombrello sul petto, a farmi male u[...]

[...]uò andare, mamma » ho detto. « Adesso non ti bastano più le ragazze, adesso mi cacci in casa anche i parenti».
Mia madre non mi ha risposto; ha tratto dalla tasca un fazzoletto e si è messa a piangere. Giuseppina è andata via.
Io sono uscito e sono andato in ufficio, e quella sera ho conosciuto Wanda.
La stava interrogando il maresciallo Porzio, intorno ad una rissa assai violenta che era scoppiata la mattina su un tram. Io ero entrato da lui perché mi pareva di aver dimenticato un'agenda sul suo tavolo, e il grande corpo di Wanda mi aveva subito impressionato. Lei aveva volto di scatto il capo verso di me, e mi aveva guardato con diffidenza.
Stava deponendo a favore del fidanzato. Nel tram un uomo l'aveva toccata, il fidanzato se n'era accorto e aveva reagito, altri erano intervenuti. Sono rimasto ad assistere all'interrogatorio.
Mentre rispondeva, Wanda si toccava le labbra, e ogni tanto si stirava la gonna sulle cosce. Quando Porzio nelle domande si è fatto incalzante, ha strillato: ha detto che quell'uomo l'aveva toccata e pizzicat[...]

[...]mandato uno sguardo lungo con gli occhi neri bellissimi. Poi si é alzata e ha detto « la prima volta che capita in un commissariato ». In piedi era goffa, e parlava impacciata. Pareva vergognarsi delle forme abbondanti.
L'ho accompagnata alla porta. Salutandola le ho tenuto la mano a lungo, lei me l'ha stretta forte.
Dopo un minuto é tornata, più goffa. « Scusi » ha chiesto a me, « questo fatto lo saprà il principale? ».
« No » ho risposto. « Perché dovrebbe saperlo ? ».
« Sa » ha spiegato, « sono preoccupata... Oggi non è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wanda mi ha sorriso con sicurezza, come se si aspettasse la mia visita. Subito ha chiamato il proprietario e m[...]

[...]; «credevo che quello non lo facesse apposta, il tram era pieno e stavamo stretti ». Lei gli voleva bene ma era stanca. Lui faceva una brutta vita e non dava affidamento: una condanna a tre mesi per un'altra rissa, una condanna a sei mesi per atti osceni in un giardino pubblico, un'assoluzione per insufficienza di prove in un processo per truffa. Faceva il commesso in un negozio di pezzi di ricambio per automobili.
L'ho interrotta per chiederle perché non avesse detto la veritá al maresciallo.
« Non riesco a volergli male dopo quattro anni, non me la sono sentita di andargli contro » ha risposto. Ha bevuto un po' di vino,
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e poi « ci credi che mi ha sverginata lui? » mi ha detto con malizia. Io ho notato che mi aveva dato del tu, mi sono tolto gli occhiali e le ho preso una mano. Non ho risposto alla domanda e ho chiamato il cameriere per pagare.
Siamo usciti e siamo saliti nella macchina. « Ti accompagno a casa » le ho detto.
Abitava in un brutto palazzo di via Famagosta. È scesa appena io mi sono ferma[...]

[...]ua mi ha emozionato. Aveva la bocca piú rossa del solito, la lingua smagliante spesso si affacciava tra le labbra per inumidirle, i tratti del viso le si erano induriti. Le ho detto: « Scendiamo, allontaniamoci un po' ».
« Tu sei matto » ha ribattuto lei, fra incredula e canzonatoria. « Con questo tempo! ».
Siamo andati qualche volta a mangiare nelle trattorie fuori mano, una volta siamo andati a Rieti. Non siamo potuti andare nella sua stanza perché a Wanda non era permesso portarci uomini: mi aveva già detto, i primi giorni, che la padrona su quel punto era irremovibile. Io mi sforzavo di trovare soluzioni, ma le possibilità che mi passavano per la testa urtavano contro la necessità di salvaguardare la mia posizione: negli alberghi avrei dovuto esibire un documento, delle stanze che affittano clandestinamente diffidavo.
Sicché, un pomeriggio che mia madre doveva andare con Giuseppina a trovare una cugina ammalata, ho fatto venire Wanda a casa mia. Siamo andati subito nella mia stanza. Wanda diceva «ho freddo »; poi nel buttarmisi contr[...]

[...]a mia tessera di funzionario quando c'ero andato, giacché non avevo altri documenti addosso.
Wanda è venuta spesso a prendermi in ufficio, in quei giorni. Una volta l'ho trovata che chiacchierava con Porzio, nell'anticamera. Lei era addossata al muro, Porzio le stava assai vicino e le parlava in una maniera ad un tempo ammiccante e languida, da corridoio di treno. Appena mi ha visto si é fatto serio e si é scostato.
Quelle visite mi seccavano, perché non mi pareva conveniente che in un commissariato venissero donne come Wanda a prendere i funzionari. Sicché un giorno l'ho pregata di non venire più; lei mi ha sorriso e mi ha detto « va bene ». Allora ha cominciato ad aspettarmi in un bar vicino, e presto ha fatto amicizia con la cassiera. Quando io arrivavo mi pareva che parlassero di me, con una certa complicità. Una sera ho spiegato a Wanda la necessità di una riservatezza assoluta, in un rapporto come il nostro. « Non parlare mai dei fatti nostri » le ho detto.
Abbiamo continuato a girare con la macchina, a fermarci in posti solitari, [...]

[...]ta. Mentre camminavamo per le strade del centro mi tratteneva davanti alle vetrine dei negozi, era allegra e m'indicava ad alta voce gli oggetti esposti. Molti la notavano, e spesso mi arrivavano parole salaci.
Un giorno mi ha chiesto di portarla a ballare. Io le ho detto di no, ma lei mi ha pregato. Allora ho mandato un agente a casa a prendere un vestito scuro che avevano dimenticato di mettermi nelle valigie; e ho aspettato il primo giovedì, perché in questo giorno si ballava in un locale prossimo alla Stazione del quale conosco il proprietario, e — inoltre — perché non volevo andare nei locali la notte. Siamo entrati nel dancing presto, insieme a quelli dell'orchestra. Siccome Wanda ballava con movenze insistite, mi sono limitato ad un tango.
Com'era diversa dalle ragazze che mía madre mi cacciava in casa! Si dondolava sulle sedie, si grattava dappertutto senza pudore, al telefono strillava. Mangiando sbatteva le labbra; un giorno le ho detto « fa' piano, mi sembri un cane », e lei ha riso.
Una volta mi ha detto che era nata alla Garbatella. Quando aveva dodici anni lavava le teste da un parrucchiere del Corso, e aveva imparato a fatica le strade del [...]

[...]a salutato Porzio, che si è alzato e si è inchinato, e ha voluto aprirlo lei. « E proprio bello » ha detto appena ha estratto il frullatore dall'involucro. « Vado a vedere come sta in cucina ».
Porzio mi ha ripetuto che quel regalo era una schiocchezza, ma che partiva dal cuore, ed io dovevo badare al pensiero.
Wanda è tornata e si è seduta. Porzio ha preso a parlarmi di certi lavori murari che in ufficio ormai urgevano, ma io non l'ho seguito perché Wanda aveva intanto accavallato le gambe e le stava muovendo, in maniera che la veste le salisse. Mi sono messo gli occhiali per seguire bene la moina, e ho guardato Wanda malamente. Porzio, continuando a parlare con la voce fattaglisi adesso fessa, ha fatto una faccia tragica: cercava di non guardare le cosce di Wanda ma non ci riusciva. Io ho portato il discorso ad una conclusione, e l'ho congedato.
Subito dopo avergli chiuso dietro la porta, ho schiaffeggiato Wanda con violenza. Lei s'è riparata la faccia, e ha negato di aver voluto mostrare alcunché. « Troia » le ho detto. « Sarai sempre[...]

[...]oi sia mo andati sulle montagne russe. Quando il vagoncino pareva che preci pitasse, rideva in una maniera brutale. Ha anche strillato, e le é uscita un po' di bava.
Qualche giorno dopo, entrando una sera nella stanza di Porzio, l'ho trovato che parlava al telefono a bassa voce, confidenziale e compreso. Appena ha visto che ero io ad essere entrato ha detto « adesso la lascio, scusi... ». Chi parlava con lui deve aver insistito per trattenerlo, perché Porzio ha detto .« abbia pazienza, signora, la devo proprio salutare ». Detto « signora » mi ha guardato con timore evidente, forse simultaneo al pentimento di aver pronunziato la parola superflua; poi rapido ha collocato il microfono al suo posto. Io dovevo parlargli dei lavori murari da farsi, ma il sospetto mi ha assalito, e gli ho detto « vieni da me più tardi ».
Sono tornato nella mia stanza. L'atteggiamento di Porzio mi faceva certo che chi parlava al telefono con lui era mia madre, o era Wanda. Ho fatto spazio sul tavolo perché le carte non mi distraessero.
Una tresca di Porzio con W[...]

[...]ra » mi ha guardato con timore evidente, forse simultaneo al pentimento di aver pronunziato la parola superflua; poi rapido ha collocato il microfono al suo posto. Io dovevo parlargli dei lavori murari da farsi, ma il sospetto mi ha assalito, e gli ho detto « vieni da me più tardi ».
Sono tornato nella mia stanza. L'atteggiamento di Porzio mi faceva certo che chi parlava al telefono con lui era mia madre, o era Wanda. Ho fatto spazio sul tavolo perché le carte non mi distraessero.
Una tresca di Porzio con Wanda era nell'ordine del possibile, ma mi sembrava poco probabile: Porzio, se scoperto, si sarebbe rovinato; Wanda avrebbe perso cose preziose, difficili per lei a raggiungersi al di fuori di me. Era più probabile che ci fosse mia madre, all'altro capo del filo. Forse si era messa in contatto con Porzio, e da lui si aspettava notizie sul mio conto, suggerimenti sul da farsi. (Porzio conosceva bene il mondo, e tutti se ne avvedevano; tanto che talvolta mi pareva che il ruolo reciproco che svolgevamo nel nostro rapporto fosse casuale e no[...]

[...]o Porzio restava una persona d'onore, ed io non avrei ecceduto da una sfuriata. Però — mi sono riscosso — al telefono poteva anche essere un'amica di Porzio, alla quale lui aveva dato del lei a causa del mio ingresso nella stanza; o addirittura una donna qualsiasi che gli avesse telefonato per motivi d'ufficio: una parente di un « fermato » per avere notizie, un'affittacamere o una negoziante per pratiche relative alla licenza. Ma in questo caso perché Porzio avrebbe salutato la donna tosi affrettatamente? Poteva chiudere la telefonata in un modo limpido! E se fosse stata proprio Wanda? Se si fosse camuffata bene agli occhi miei, mostrandomisi come una ragazza semplice, bisognosa d'affetto, e fosse invece una donnaccia sempre disponibile, pronta a rischiare tutto per un'ora d'amore con questo o con quello, con Porzio, per esempio, che in fondo avevo sorpreso una volta nel corridoio dell'ufficio che la avvinceva con le parole?
Non m'importava niente, a quel punto, che mia madre mi controllasse e tramasse con Porzio. Ma invece, ridisponendo [...]

[...]t'anni? O, non piuttosto, mai?
Porzio mi ha informato con garbo e competenza, assai concreto nella definizione dei lavori, del tutto scevro dal timore di poco prima. Ed io sono riuscito a parlargli serenamente, reprimendo bene il fondo tempestoso; gli ho offerto una sigaretta, e forse ho ecceduto nella cordialità : come il maestro che a scuola interroga il ragazzo che giudica malvagio, e si sforza di essere imparziale, e magari gli alza il voto perché non si sospetti prevenzione.
In uno dei giorni successivi ho ricevuto in ufficio una lettera di mia madre. Riconoscendo sulla busta la sua calligrafia, ho pensato ad una possibile conferma dell'ipotesi del suo complotto con Porzio. Ma il tenore della lettera non era cos' liberatorio. Su un foglio abbondantemente bordato di nero (giacché frattanto sua cugina era morta) era scritto: «Quanti anni credi che possa vivere ancora tua madre? Lo sai come vivi? Pensa a tuo padre che é morto, e torna ». Non c'era firma.
Mi sono messo a pensare. Certo, regalando un po' di soldi a Wanda e tornando da mi[...]

[...]subito asciugata le mani e l'ha letta con molta attenzione. « Decidi tu » ha sorriso dopo. Io ho ostentato serenità, e ho ribattuto che non avevo niente da decidere: ero andato via di casa, e basta. Casomai avrei visto — ho aggiunto — di rimettermi con mia madre in rapporti normali. K Fai bene » ha detto lei, e mi ha restituito la lettera. Poi, fat
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tasi improvvisamente seria : « Ma senti un po' » ha soggiunto, « perché me l'hai fatta leggere? ».
In una mattina molto limpida, della primavera che ormai era in fiore, non avevo voglia di lavorare, e soffrivo di dover stare in ufficio. M'ero affacciato alla finestra, e guardavo alcuni gatti che giocavano e rischiavano continuamente di essere investiti dalle automobili. Alle undici ha squillato il telefono. Era mia madre.
« Nicola, vai subito a casa tua » ha detto senza convenevoli.
« Perché? » ho risposto assai stupito.
« Vai a casa tua, subito... Avrai una sorpresa ».
« Che ne sai tu, di casa mia ? » ho strillato.
« Devi andare a casa tua, subito » ha ripetuto.
« Ma perché, si può sapere? ».
« Resta col dubbio, se vuoi » ha detto mia madre, ed ha interrotto la comunicazione.
Ho cercato di Porzio per dirgli che mi allontanavo, ma non l'ho trovato. Sono sceso precipitosamente, e sono salito su una camionetta. Ho detto all'agente di correre. Al portone di casa mia l'ho mandato via, e sono corso sù.
Ho aperto la porta di colpo, e ho sentito delle voci sommesse che venivano dal soggiorno. Vi sono entrato, e ho trovato Wanda ed un uomo seduti sul divano, che si abbracciavano. Lei era in sottoveste, lui in camicia. Con lo stesso colpo d'occhio ho visto sul divano a[...]

[...]levo dire le signore anziane... Sua madre ha insistito, ha parlato con mia moglie... Ci ha invitati anche a pranzo, una volta... C'era un suo parente di Napoli.. ».
«Zio Alfonso » l'ho interrotto.
« Il nome non lo so... Era un signore distinto, magro; un fratello di suo padre, mi pare... Il piano l'ha fatto lui ».
« Quindi mia madre ti telefonava spesso, qui ».
« Sissignore ».
« E la signorina, non ti ha telefonato mai? ».
«No... Ma scusi, perché mi avrebbe dovuto telefonare? ».
È un mese che vivo solo. Non ne ho motivi fondati, giacché sono certo che se tornassi a casa mia madre verrebbe ormai a patti: la persuaderei a non ostinarsi a volermi vedere sposato. In più, questa condizione di scapolo solitario mi pare ingiustificata, per qualche verso eccessiva.
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Qualche volta mi prende un'ansia carezzevole di tornare da mia madre (che non mi ha più cercato), di ricomparire di sorpresa davanti a Giuseppina. Ma poi succede che debbo correre in ufficio, o che ho sonno, o che debbo lamentarmi con la serva perché le cami[...]

[...]e verrebbe ormai a patti: la persuaderei a non ostinarsi a volermi vedere sposato. In più, questa condizione di scapolo solitario mi pare ingiustificata, per qualche verso eccessiva.
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Qualche volta mi prende un'ansia carezzevole di tornare da mia madre (che non mi ha più cercato), di ricomparire di sorpresa davanti a Giuseppina. Ma poi succede che debbo correre in ufficio, o che ho sonno, o che debbo lamentarmi con la serva perché le camicie sono stirate male.
Adesso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allargare i miei interessi, perché se ne giovi la carriera. Pare che nessuno sia venuto a conoscenza dei miei casi, e questo è assai importante. Con Porzio, corrono i rapporti di sempre; sebbene, una tal quale maggiore rigidità, da parte mia, stia agevolando lo svolgimento del lavoro.
La sera, vado spesso al cinema. Se non esco, mi faccio cocktails di frutta col frullatore, e leggo romanzi gialli. Ho anche comprato un fonografo, e alcuni dischi di canzoni. Ogni tanto li ascolto, mi prende uno struggimento breve e penso a Wanda, che fa all'amore chissà con chi.
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da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte terza: Vita di Giuseppe Marotto pastore orgolese in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...] Orgosolo il 28 agosto 1925. Mio babbo, di Aritzo, venuto sin da ragazzo ad Orgosolo per motivi di lavoro, ivi poté sistemarsi in qualità di boscaiolo e, allora, si sposò con mia madre, una donna casalinga, dipendente da una famiglia povera di piccoli pastori di Orgosolo. Dalla loro unione ebbero una famiglia di 7 figli, quattro maschi e tre femmine. Io fui il quarto della famiglia.
Dall'infanzia ero molto affezionato degli animali, forse anche perché in distrazione i genitori e i famigliari più grandi non mi davano che il cagnolino o l'agnellino. Ricordo un episodio di quando avevo quattro anni, che fui colpito di febbre malarica e mi tormentava la testa e piangevo sempre. Per distrarmi la mamma si é dovuta imprestare un cagnolino, la qual presenza riusciva a vincere il dolore e farmi divertire se piangevo. Se pur non mangiavo chiamavano il padrone del cane, un ragazzo del vicinato, e minacciavano di prendermi il cane: ciò sentito... sempre pronto a ridere e a mangiare, anche quando la febbre era piú infuocata.
In età scolastica i miei g[...]

[...]ell'inverno del 1938, per causa di una polmonite, moriva il mio fratello più grande: e non ostante fossi colpito in pieno dall'appello fraterno e sentissi il desiderio di vederlo per l'ultima volta, non fu possibile spezzare l'abitudine dei padroni, ed era una parola tornare prima che tornassero le pecore a s'Orgulesu, nell'Orgolese.
Nel '38 tornai nuovamente con mio zio che aveva un centinaio di pecore, ed aveva deciso di rompere con i padroni perché troppo stanco di fare per oltre quarant'anni il servo. Il primo anno ce la siamo cavata discretamente. Il secondo, cioè il '940 per il '41, non abbiamo potuto trovare pascolo invernale, ed avendo fatta una pessima annata, ci furono morte più della metà delle pecore, e per poco non siamo morti anche noi. Allora cominciavo a capire che la vita del pastore orgolese non era un incanto come si figurava da bambini, e, nonostante fosse rimasta impressa la simpatia per le bestie e il pastore, indietreggiava quella prima idea di possedere un proprio gregge, vedendo di rimpetto una tragica realtà: cioè[...]

[...]accendati, riflettendo al distacco dalla famiglia, dal paese, dal bestiame che molti avevano abbandonato, e dal mestiere che ci permetteva di venir incontro alle esigenze famigliari, molti cominciarono ad accusare delle malattie. Stavano senza mangiare, fumavano molto, mangiavano delle cose indiscrete per farsi venir la febbre, ed un mio cugino, dopo aver fatto
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questa vita per una diecina di giorni, ottenne la convalescenza perché, pur essendo di corporatura normale, non pesava allora nemmeno cinquanta chili. Uno accuse, la malattia dell'orina e passarono una quindicina di giorni prima che fosse preso all'ospedale orinandosi addosso e camminando con un bastone come un uomo di ottant'anni. Uno accusò dolori reumatici facendosi gonfiare il ginocchio a pugni e camminando zoppo per oltre un mese, cioè finché non ottenne la convalescenza. Io ero contrario alla vita militare, ma lo ero ancor più a fare anche la minima cosa che potesse dannare la salute. E dopo tre mesi di cosi detto ammaestramento con le armi, siamo stati sc[...]

[...] Uno accusò dolori reumatici facendosi gonfiare il ginocchio a pugni e camminando zoppo per oltre un mese, cioè finché non ottenne la convalescenza. Io ero contrario alla vita militare, ma lo ero ancor più a fare anche la minima cosa che potesse dannare la salute. E dopo tre mesi di cosi detto ammaestramento con le armi, siamo stati scelti tutti i Nuoresi a fare una compagnia dimostrativa in Cesano di Roma. I signori ufficiali credevano che noi, perché ignoranti,' avremmo dimostrato bene alle Eminenti visite degli Ufficiali Americani di essere degli ottimi servi, di sentirci soddisfatti di rifare un Esercito con le loro armi ed i loro metodi. Ma avveniva il contrario e dopo 3 o 4 giorni abbiamo fatto sciopero per il rancio, dato che ci davano sempre peperoni e cavoli in brodo, avevamo stabilito che nessuno si doveva presentare a prendere il rancio. Ma quando venne a conoscenza il signor Capitano, un vecchio fascista, fece l'adunata e ci portò inquadrati a prendere i peperoni: e lui si piazze. di fronte alla marmitta, mentre noi si doveva pa[...]

[...]uirlo. Il sergentino andò in bestia, ordinò l'alt e ci apostrofò con minaccie di essere il comandante, e, che se un prossimo comando gli veniva disubbedito, ci avrebbe fatto correre fino a creparci. Ripeté l'ordine e venne respinto di nuovo. Fu il colmo della rabbia del comandante, ed infuriato lanciò la sfida: chi non vuole correre alzi la mano. La alzai per primo, poi seguirono i miei paesani che portavo al fianco. E mi chiese con rabbia: — Tu perché non vuoi correre? «Per dimostrargli che questi farabutti di sardi — come lei ha voluto chiamarci ieri sera — non sono affatto disposti a farsi prendere per il naso da leccappiatti come lei, che fino ad ieri ha fatto buon servo a Mussolini ». Nel sentirsi ripetere le frasi pronunciate la sera prima perdette le staffe e rinunciò ad affrontare il comando. Dopo avermi minacciato che mi denunciava ci piantò li e corse in caserma a chiamare il Tenente. Quando rivenne con il Tenente era un lupo sdentato, non mordeva piú: non ebbe nemmeno il coraggio di aprir bocca quando il Tenente chiese perché ci [...]

[...]rsi prendere per il naso da leccappiatti come lei, che fino ad ieri ha fatto buon servo a Mussolini ». Nel sentirsi ripetere le frasi pronunciate la sera prima perdette le staffe e rinunciò ad affrontare il comando. Dopo avermi minacciato che mi denunciava ci piantò li e corse in caserma a chiamare il Tenente. Quando rivenne con il Tenente era un lupo sdentato, non mordeva piú: non ebbe nemmeno il coraggio di aprir bocca quando il Tenente chiese perché ci rifiutavamo di eseguire gli ordini del sergente che era un brav'uomo. Fu accolto da un grido generale: « Non lo vogliamo! Non vagliamo essere comandati dai fascisti! ». Il sergentino fu messo in riposo. La sera siamo rientrati un po' in ritardo con un compagno di Fonni e, mentre ci mettevamo in branda, un tipo del Logudoro, che faceva il lavativo ed era sempre schifato, ci intimò con tono minaccioso di stare zitti. Per il modo che si atteggiò, ci siamo messi a ridere. Costui si alzò e tirò una scarpa in faccia al fonnese. Io, che gli stavo a fianco, gli detti una schiaffo e si mise a piang[...]

[...]usare un diverso linguaggio per i Sardi e per la Sardegna.
Il più che mi piaceva era uno di Bologna che parlava sempre contro il militarismo e la guerra, lo sfruttamento da uomo ad uomo, ed era un Partigiano. Leggeva sempre il giornale, era informato di tutto, i suoi argomenti mi facevano restare a bocca aperta. Quando gli chiesi come mai lui parlava così bene contro le ingiustizie, il fascismo, la guerra, mi stupì con la risposta: « Parlo così perché leggo l'Unità ». Che cosa sarà mai questa Unità? Io credevo che si trattasse di qualche libretto di canzoni, perché io, nella qualità di pastore di Orgosolo, non avevo letto che qualche libretto di poesia in sardo, e fu proprio nelle poesie dialettali di Salvatore Poddighe dal
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titolo: « Sa mundana cummedia » che avevo letto in rima quegli argomenti, pressappoco, del Bolognese. Ingenuamente dissi se questa unità era scritta in sardo o se non era « Sa mundana cummedia » in Bolognese. Rimase sorpreso e mi guarda in faccia per vedere se volevo sfotterlo. Ma la mia sincerità lo indusse a spiegarmi che era un giornale Comunista. Mise la mano in tasca, tira fuori una copia e disse: «Leggila [...]

[...] attenzione tutta la sera e, meditando, quella fu la prima scoperta del mondo politico. Da quel giorno io cercavo di leggere, di studiare, per fame del mio spirito, e, attraverso pensieri e ragionamenti a me prima sconosciuti, cominciavo a rafforzare e piú nutrire quell'ideale di fratellanza umana che già « Sa mundana commedia » mi aveva indicato. Cambiai metodo, da allora, con i litigi che, per difendere la Sardegna, finivano sempre a
cazzotti perché non avevo argomenti seri contro gli avversari
e, da allora, dicevo che se la Sardegna era « pecoraia » e « terra bruciata » non era colpa dei pastori e dei sardi, ma di governanti e capitalisti forestieri, che 1a avevano spogliata e spogliavano delle sue ricchezze e avevano appiccato fuoco, una volta, alle sue terre, rendendole sterili e deserte.
Rimasi circa due anni in Piemonte ed in Liguria e spesso ora, se io parlavo così, cioè giusto, mi mandavano in prigione e mi facevano trasferimento. Per gli uflicialetti fascisti ed i camorristi ero diventato lo Spettro. Ovunque, anche dai meno c[...]

[...]iopero fatto contro lo sfruttamento sul rancio.
Rientrai a casa i primi di febbraio del '47. In casa mi accolsero con gran gioia e festa. Giorni e giorni, qualche ora dopo, parlavo delle condizioni della famiglia: erano tristi. Che cosa dovevo fare?
Un giorno stavo con mia madre e chiedo se esiste in paese un Partito Comunista, come, infatti, esisteva. La mamma mi interrompe con disprezzo e mi dice che quelli sono pochi e mal voluti dai ricchi perché parlano male di loro e della religione. «Proverei il pia grande dispia
INCHIESTA SU ORGOSOLO 249
cere — diceva — se ti ascoltassi a fare propaganda comunista. Perché, anche se hanno ragione i poveri, vengono soffocati dalla potenza dei ricchi. E tutto questo funziona male al mondo » . Preferii cambiar discorso.
La mia sorella più grande si era sposata con un giovane pastore, cd il giorno stesso mio cognato mi chiese: se ero contento che lui era in trattative per prendere un gregge di maiali a mezzadria, e preferirebbe prenderli con me. Acconsentii alla proposta ed andai a vedere i maiali. Le consuetudini della mezzadria erano le seguenti: se i maiali erano più di 50 si dovevano tenere per 5 anni; se meno per 3 anni. Ero contento perché, in annate di ghia[...]

[...]erii cambiar discorso.
La mia sorella più grande si era sposata con un giovane pastore, cd il giorno stesso mio cognato mi chiese: se ero contento che lui era in trattative per prendere un gregge di maiali a mezzadria, e preferirebbe prenderli con me. Acconsentii alla proposta ed andai a vedere i maiali. Le consuetudini della mezzadria erano le seguenti: se i maiali erano più di 50 si dovevano tenere per 5 anni; se meno per 3 anni. Ero contento perché, in annate di ghiande, nelle nostre campagne si poteva guadagnare qualcosa con i maiali. Ma la nostra speranza fu presto delusa, perché poco dopo qualche mese appena passò la peste suina, e da 30 che ne avevamo ne rimasero solo 5. Il padrone, un proprietario di Nuoro, per la prima aveva promesso di soccorrerci molto: siamo, a stento, riusciti a convincerlo a comprarcene altri 10 maiali per farne 15, almeno. Ed abbiamo fatto tutto il nostro meglio, con ogni sacrificio, per poterli poi aumentare. Difatti, alla fine del '49, prima ancora dei tre anni stabiliti, avevamo oltre 200 capi. Ci eravamo solo preoccupati di far crescere i maiali, senza ricavare niente per tre anni, rimettendo di tasca le spese necessarie: intenti a pater[...]

[...]ppena giunti in caserma il maresciallo esclamò: « Mi dispiace, caro Marotta, ma questa volta non dipende da me. Non ostante voi ve la prendiate sempre con me. Sono venuti da Nuoro, con la macchina, apposta per prendere te ». A Nuoro mi condussero nella caserma principale ed un carabiniere di scorta riferì della mia presenza al capitano. Costui, con un'aria di mercante, mi venne subito incontro toccandomi le catenelle che già mi mordevano i polsi perché troppo strette. E con la faccia del padrone, disse rivolto ai carabinieri: « Chi ha messo queste manette? ». Scattando come una burba il capo scorta disse: « Io, signor capitana ». Il capitano, sghignazzando, con uno strillo disse: « Sono troppo larghe P. Per questa volta ti dò 5 più 3. Di rigore ». Lo interruppi dicendo che mi avevano preso dal lavoro, che ero un cittadino onesto.
La sera stessa fui condotto al carcere mandamentale di Sorgono (quello di Nuoro era troppo pieno), e mi chiusero in una cella e vi fui 3 giorni senza interrogato, che non mi davano acqua o pane, al terzo giorno, q[...]

[...] hanno tirato fuori. Mi condussero in ufficio dal mare
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sciallo, che mi interrogò su una rapina avvenuta tempo prima nella foresta di Urzulei, e disse che il giorno ero stato visto nel Sopramonte con la banda di Liandru, latitante. Risposi che Sopramonte era più di un anno che non passavo, e che se sosteneva di avermi visto con la banda Liandru, un latitante che non conoscevo, questa era un pretesto infame: volevano colpirmi perché comunista. « Intanto — dicevo — avete oltraggiato già il mio fisico, e questo è un sopruso, in quanto non avete il diritto di torturare un individuo lasciandolo tre giorni senza mangiare, ancor prima di interrogarlo. Per quel giorno che dite io ci ho prove buone, alibi, e intanto mi rifiuto di rispondere prima che non mi avete fatto mangiare e bere ».
E per ogni altra domanda rispondevo: « Viva il Comunismo! ».
Il maresciallo non tardò a farsi sostituire da un altro in abiti civili, e costui, con aria lusinghiera, fingendo di non saper nulla', mi chiese: « Perché ti hanno portato? ». « Perc[...]

[...]diritto di torturare un individuo lasciandolo tre giorni senza mangiare, ancor prima di interrogarlo. Per quel giorno che dite io ci ho prove buone, alibi, e intanto mi rifiuto di rispondere prima che non mi avete fatto mangiare e bere ».
E per ogni altra domanda rispondevo: « Viva il Comunismo! ».
Il maresciallo non tardò a farsi sostituire da un altro in abiti civili, e costui, con aria lusinghiera, fingendo di non saper nulla', mi chiese: « Perché ti hanno portato? ». « Perché stavo lavorando ». Incalzò ripetendo: « Vuoi rispondere bene e dirmi perché ti hanno arrestato? ». « Ho già detto la verità, ed ora aggiungo che sono 3 giorni che non mi davano pane, nemmeno acqua ». E che volevo sapere se mi avevano portato per motivi di giustizia o per farmi morire di fame. Ordinò che mi fosse dato subito da mangiare e, dopo mangiato, mi tradusse in una camionetta; e siam partiti con il tenente e due marescialli per riportarmi a Nuoro. Le varie domande rivoltemi in viaggio per i banditi e per le rapine finivano in argomento politico. « Tu sei un comunista » dicevano. « Evviva il Comunismo! » dicevo io.
La sera mi lasciano a Nuoro e il giorno dopo [...]

[...]resta, un certo Capra, che nulla sapeva nei miei confronti. Ed io ho pensato che si stava cercando ora, di giustificare il mio arresto. Il Capra si trovava in casa, quando i carabinieri lo avvisarono di venire alla caserma; ma la moglie — allarmata come tutto il paese dell'arrivo di un borghese sconosciuto, con la macchina dei carabinieri, che pensavano trattarsi di qualche spia in
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INCHIESTA SU Or,GOSDL0
cerca di accusare qualcuno, chi sa perché (come spesso fanno i carabinieri) — disse che ìl marito non era in paese. Lasciarono l'ordine, appena rientrato, di andare in caserma, ma costui si dette alla macchia e rimase più di 15 giorni senza rientrare in paese. La sera venne un capitano e, con finzioni di gentilezza, dicendosi da poco ospite della Sardegna, e trovandosi molto seccato per lo stato primitivo e l'arretratezza delle campagne sarde — massime i contadini che non conoscevano ancora la trebbia — mi osservò con rammarico che il male peggiore della Sardegna erano i banditi: rapinatori di strada che erano ragazzi di Orgosolo: ed[...]

[...]organizzato uno sciopero a rovescio, in una strada vicinale, già progettata, che volevamo costruire.
Il giorno prima dello sciopero incontro il maresciallo e mi dice: « Io sono a conoscenza di questo sciopero. Ti sfido che qualsiasi cosa accade tu sei il responsabile. Perciò, se vuoi, lo sciopero si può evitare ». Risposi che non sapevo niente di questa decisione di cui lui parlava e, in quanto a me, sarei stato il primo ad andare ad avvisarlo, perché io lo ritenevo più ancora che normale, data la tragica situazione che la disoccupazione aveva creato nel paese. Che, se era interessato che la gente di Orgosolo si procurasse da vivere onestamente, doveva lui stesso promuovere lo sciopero, non reprimerlo. Sembrò quasi di assentire e mi licenziò.
La mattina presi una vecchia conchiglia di mare, che gli antenati usavano ad Orgosolo per suonarla nei grandi richiami — sa corronetta —e con quanto fiato avevo nei polmoni me la metto a suonare. Subito, nel punto stabilito per lo sciopero, si trovano un centinaio di lavoratori, con picconi e badili,[...]

[...]l maresciallo decisero di sospendere i lavori, e lavorava mo appena da 10 giorni quando ci venne annunciata la sospensione con la scusa che finiti i fondi. Rispondemmo che del milione di lire non si erano spese neanche duecentomila lire e che noi avevamo bisogno di lavorare, di fare la strada. Che malgrado l'ordine del Sindaco non smettevamo di lavorare. E abbiamo cosi continuato per venti giorni ancora, senza ricevere un solo soldo ma contenti, perché facevamo una strada che era stato il sogno, irrealizzato, di tutti i nostri antenati. Io facevo il caposquadra e un giorno mi feci sostituire perché dovevo andare alla vigna. Ed il giorno vennero una diecina di macchine ed arrestarono tutti gli operai. Nel paese ciò suscitò indignazione ed il Sindaco chiese, anch'egli, le dimissioni. Io, quando venni dalla vigna e appresi la notizia, mi mordevo le dita per non essermi trovato, e la sera, dalla rabbia, mi venne pure la febbre. L'indomani tornai al lavoro con altri due — aspettavo che mi arrestassero — e invece, no, verso le 10 vennero i carabinieri e mi chiesero le generalità. Dissero che questa era una buona opera, e non mi arrestarono.
Dopo una diecina di giorni i lavoratori furono rila[...]

[...]cere di dette città ci facevano stare almeno una settimana, dormendo per terra, nelle peggiori celle, senza ricevere posta dalle famiglie, sottoposti a una serie continua di abusi da parte dei secondini. Quando siamo arrivati ad Ustica, dopo 40 giorni, eravamo più morti che vivi, e la stessa sorte veniva e viene riservata tutt'ora ai poveri confinati, e di tale orrore mai nessuno ebbe a protestare. A nessuno dei confinati riesce ad indovinare il perché di un viaggio così storto, se non con l'unico scopo di massacrare il confinato, dato che facendo CagliariPalermo si potrebbe arrivare con 34 giorni di viaggio.
' Ad Ustica trovammo già un buon numero di paesani — una trentina di sardi, e quasi tutti Orgolesi — una trentina di Siciliani, ed altrettanti, o forse una ventina fra calabresi e altro resto d'Italia. Noi orgolesi eravamo quasi tutti giovani incensurati e, come tali, ci sentivamo uniti come uno solo, aiutandoci a vicenda per affrontare tale ingiustizia, ed altrettanto si può dire, in altri gruppi, di tutti i sardi, quasi tutti di pro[...]

[...] arrivati ci consegnarono una carta di permanenza, ed in essa venivano spiegate le regale del confinato. Nel consegnarmi la carta, a differenza degli altri, mi fu chiesto da un Brigadiere se ero già iscritto Comunista. Alla risposta affermativa mi intimava di tenere canto come la carta di permanenza mi imponeva di non fare politica, neanche in modo occulta. Dissi: « Mi avete confinato, o falsi, solo per ragioni politiche. Non vedo la ragione del perché in Ustica potete vietarmi di fare la politica ». Nella carta suddetta si trovava inoltre il divieto di saltare i limiti di circolazione stabiliti dalla P. S., che erano fissati nelle uscite del paese: perciò si era obbligati di restare entro quell'« antro », cioè quella fossa di insetti, come era di solito chiamarla. Se non con speciali permessi della P. S. non potevamo uscire se non per motivi di lavoro. Come domicilio ci assegnarono dei cameroni, specie di scuderie di cavalli, costruiti dal fascismo. Per vivere ci erano assegnate 300 lire al giorno, e di queste ce ne davano solo la metà, c[...]

[...]cosí tiravamo avanti. Chi era viziato di fumare od altro, doveva fare il «ruba cic
che» o cercare di procurarselo famiglia. Io, come altri, che non
volevamo pesare sulla famiglia né rubare, abbiamo preferito liberarci del tabacco, vino ed altro. L'unico vizio che non mi son potuto levare, e non riuscivano a levarmi, era quello di acquistare e diffondere il giornale Unità. Anzi questa, nelle mie condizioni di confinato, era l'impresa più attiva perché difficile per me, che mi costava spese e rischi. Spese: perché non tutti i confinati concepivano l'importanza di un giornale, e riuscivano a privarsi di qualche soldo per il versamento; in colletta, di 25 lire giornaliere e, alla fine, se pur potevo, facevo tante volte io il versamento, di tasca mia. Rischi: per il livore anti comunista che dominava in quello sparuto paese « Colonia di infamia ». Tante volte per tale attività rischiavo di andare al « forno » — così era nominata la cella di punizione.
Nell'appello che mi preparò l'Avvocato, la pena mi fu ridotta di 2 anni. Il 20 settembre del 1952 avevo già scontato la pena, e rientrato in paese.
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[...]opero. Fu una grande vittoria dei Disoccupati! E riuscimmo per gli altri, e cioè per gli occupati nella foresta, a fargli prendere un camion, a darci gli attrezzi, ad assicurarci. Io venni assunto come capo squadra nel cantiere Comunale. Avevamo ottenuto il lavoro: che altro vi era di indispensabile? E chi in paese era rimasto? Neanche l'ombra!
E la pace?
Qualcuno potrebbe ridere a questo punto e dire: quando c'è il lavoro la pace viene da sé, perché i lavoratori occupati per la costruzione di strade, taglio di foresta ecc. non hanno tempo di far male: guadagnano di che vivere onestamente.
Questo è un punto di vista troppo semplicista.
Se c'è lavoro non tutti lavorano. Ma non è questo il punto: é che sempre, e questi ultimi anni specialmente, a noi Orgolesi ci hanno portato molte tragedie e molti odii. Sulla situazione di disoccupazione si sono fatte le montature poliziesche col comprare le spie, e, con queste, sono venuti rastrellamenti, arresti, confino, galera. Dai fuori legge ricatti, e omicidi.
Dopo tutti questi gravi avvenimenti [...]

[...]in alto, come se si aprisse loro il cielo.
Si decise insieme di mettere al corrente le Autorità Provinciali, insomma lo Stato (e questa era la questione più importante o urgente), se erano disposti a venire ad un compromesso con Orgosolo: sospendere quelle misure di forza che con mal consiglio, per rovina nostra e loro pure, erano soliti pigliare. E in cambio non più furti, e non più ricatti, non più sequestri e non più morti.
Acconsentirono: «Perché il paese fosse pacificato — dicevano ci
impegniamo a liberare i confinati, i perseguitati, a non fare più ingiustizie, e cioè arresti alla cieca, maltrattamenti, tortura ».
L'unico mezzo che si è potuto trovare nel paese dai promotori per garantire il rispetto del patto era il mezzo antico del giuramento. Il prete, i d. c. avevano imposto di farlo sulla Croce: quello che contava era la parola, che è più antica della Croce. Avevamo accettato: « Verrà S. E. il Vescovo, ed il prete. Sono loro gli iniziatori, i nostri benefattori ». Anche questo. Tanto sanno tutti che vivono questi per mentire,[...]

[...]sto. Tanto sanno tutti che vivono questi per mentire, per seminar zizzanie, per farsile aquile — e non corvi, come sono — con le penne degli altri.
Cominciamo a preparare squadre per giurare in tutto il paese, scelto un capo — o un uomo importante — per ogni famiglia: in questo modo ognuno doveva impegnarsi a dimenticare, a non fare le offese, e a collaborare con un comitato per la pace ed il benessere del Paese.
Fu un lavoro lungo e difficile perché in un paese duramente col
INCHIESTA SU ORGOSOLO 263
pito come Orgosolo non c'é una sola famiglia che non abbia una volta, o molte piú, avuto un'ingiustizia. Profonde. Ci sono famiglie che avevano ciascuna due o tre omicidi ricevuti o inflitti. Ma, grazie agli sforzi di persuasione, si decise di giurare e il 3 febbraio 1953, eletti 50 « probbi viri » si consacrò la «Pace » con solenne giuramento del Comitato in una cerimonia pubblica, alla presenza di invitati. Ci fu una festa poi, giorno e notte, all'aperto, e si mangiarono non so quanti agnelli e capretti, e fiumi di birra e di vino. E i t[...]

[...] con solenne giuramento del Comitato in una cerimonia pubblica, alla presenza di invitati. Ci fu una festa poi, giorno e notte, all'aperto, e si mangiarono non so quanti agnelli e capretti, e fiumi di birra e di vino. E i tenores cantavano.
Io fui eletto membro del Comitato e presi attiva parte in tutto, persuadendo nel paese, nel partita. Dopo questo pareva davvero che si potevi respirare!
Il Comitato aveva fatto come una Legge in 13 articoli perché ogni membro « indipendentemente dalla sua famiglia e parte, fede politica e religione » facesse mantenere il giuramento. Il Comitato non doveva sostituirsi alle forze di P. S. ma, nei limiti del lecito e del possibile, do
veva anticipare o sostituire pure, se si vuole — la Giustizia, al fine
di evitare ogni delitto ed ogni ingiustizia.
Dopo qualche mese dal giuramento, di discordie e di uccisi si credeva che non rimanesse il ricordo che di un triste passato. I confinati, in numero di sei, invece, non erano rientrati, malgrado le promesse. Le Autorità, lo Stato, non mantenevano la parola.
[...]

[...]gretario della Sezione, il compagno Murgia, un uomo di 50 anni da oltre 6 mesi malato che era stato confinato nel 1950 dopo 15 giorni di carcere. Ed altre volte prima.
Io, per oltre tre mesi fui fuoriuscito. I carabinieri, forse istigati dagli infami signorotti del paese — che sentono la coscienza poco pulita nei confronti del popolo — sapendomi affezionato alla causa degli afflitti, cercavano di braccarmi, come fossi un orribile assassino. Ora perché amo la pace e non il banditismo mi affido ai miei carnefici: so che a lungo subiremo ancora ingiustizie ma chi crede nella pace, nella vera giustizia, al fine trionferà...
Nessuno che voglia giudicare onestamente, di quanti mi conoscono, potranno mai credere che Peppino Maiotto, colui che si é sempre battuto per la pace ed il benessere dei lavoratori, si sia mai ridotto alle condizioni di un comune delinquente, di un volgare assassino.
Io ho superato e, nel mio piccolo, combattutto quella bassa mentalità del terrorismo individuale e del comune delinquente. Non solo il
INCHIESTA SU ORGOSOLO[...]



da Enzo Collotti, Noterelle e schermaglie. Lo straordinario Goethe-Institut di Lisbona 1969-1976 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: 728 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
Mi piace citare questi versicoli di Scialoja raccolti da Porta perché piú di tanti altri altamente intonati mostrano come sia possibile far emergere dall'analisi del mezzo espressivo una critica non solo negativa delle sue possibilità; l'ambiguità, il sempre presente « altro senso » del nostro parlare è messo in rilievo attraverso un'intenzione comica, umilmente ma tanto piú in modo significativo (è necessario ricordare che anche il nonsense ha delle regole e non significa semplicemente « privo di senso »?).
Fuori di polemica, mi sembra che le capacità che si intravedono, che la magari caparbia fiducia nella forza della propria parola che è presente in tanti p[...]

[...]rClason, catapultato a Lisbona nella fase calante della dittatura di Salazar, colpita a morte dalla guerra coloniale che ha letteralmente dissanguato il paese, interessano certo per l'atteggiamento dell'intellettuale democratico (quanti direttori di istituti di cultura della Bundesrepublik citano Rosa Luxemburg?) che rappresenta una delle potenze egemoni dello schieramento atlantico in un paese in cui la dittatura è tollerata dagli alleati anche perché il Portogallo è una base Nato di importanza strategica insostituibile, una testa di ponte verso l'Atlantico e verso l'Africa. Ma interessano soprattutto per la dicotomia che rivelano tra ciò che i suoi superiori si attendono da lui e il modo in cui egli interpreta i suoi compiti; tra l'atmosfera del mondo delle ambasciate e degli istituti dl cultura stranieri (l'italiano compreso), vera enclave all'interno della società portoghese, preoccupata solo di superficiali funzioni di rappresentanza o tutt'al piú animata da spirito di colonizzazione nei confronti del paese che la ospita, e il tipo di [...]

[...]ettative di subalternità dall'altra; tra il disinteresse dei suoi superiori per il terreno sul quale egli deve operare e la curiosità che egli ha di conoscere a chi deve rivolgersi (un paese con il reddito piú basso d'Europa, meno di metà di quello italiano, il 33 per cento del reddito proveniente dall'agricoltura, con il 3 per cento del latifondo che controlla il 61,3 per cento della superficie coltivabile, con il 3040 per cento di analfabeti), perché, è la sua convinzione incrollabile ribadita contro il sabotaggio dei suoi collaboratori, « il lavoro culturale comincia con il modo di trattare la gente ».
Si può vedere il libro di MeyerClason appunto come la testimonianza di un democratico, ma anche come il documento di ciò che non deve essere una politica culturale, prima ancora di quello che essa può essere. Tutte le istruzioni che egli riceve parlano il catalogo delle cose proibite: la censura e l'autocensura, che nel caso specifico regnano nel Portogallo di Salazar e di Caetano, sono anche la legge della burocrazia del GoetheInstitut. [...]

[...]sere una politica culturale, prima ancora di quello che essa può essere. Tutte le istruzioni che egli riceve parlano il catalogo delle cose proibite: la censura e l'autocensura, che nel caso specifico regnano nel Portogallo di Salazar e di Caetano, sono anche la legge della burocrazia del GoetheInstitut. Non cercare rischi, non correre pericoli, non sfidare nessuno, non cercare cattive compagnie, non esportare autori tedeschi non conformisti (ma perché proprio Mitscherlich?), non fare tante altre cose, non dare nell'occhio, farsi i fatti propri tra tedeschi, siamo un istituto tedesco e programmiamo solo iniziative in lingua tedesca. Il congedo dal vecchio direttore: « Quando nel villaggio arriva un nuovo parroco, se è saggio per due anni lascia tutto come prima ». « Per favore, niente Spiegel, niente letteratura progressista, niente edizioni Suhrkamp, in particolare poi niente letteratura marxista... Brecht e Grass sotto chiave... Lei sottostà all'ambasciata! È l'ambasciata che decide sul suo programma... ». Non fare attività politica, non [...]

[...]le conferenze di Otto d'Asburgo nei clubs ufficiali. L'ambasciatore protesta contro l'intervento di Werner Herzog a un seminario sul cinema tedesco; risposta di Herzog: « il mio nuovo film si chiama Ciascuno per sé e Dio contro noi tutti ». MeyerClason deve lottare contro la dittatura, ai cui occhi il Goethe appare ora una « cellula segreta del partito comunista portoghese illegale », ma piú ancora contro i rappresentanti della Bundesrepublik. « Perché vedere sempre tutto in chiave cosí critica? » si domanda l'ambasciatore e forse è anche sincero nel suo tranquillo conformismo.
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Che cosa cambia la rivoluzione del 25 aprile? Accresce la sintonia di MeyerClason con l'ambiente locale, la sua volontà di prestare gli strumenti dei quali dispone al servizio dell'emancipazione di un popolo da un incubo cinquantennale, registra acutamente stati d'animo e attese, risponde positivamente a tutte le sollecitazioni della gente del luogo, concede l'istituto persino per l'assemblea di una formazione politica incorrendo ancora [...]

[...]el 25 aprile? Accresce la sintonia di MeyerClason con l'ambiente locale, la sua volontà di prestare gli strumenti dei quali dispone al servizio dell'emancipazione di un popolo da un incubo cinquantennale, registra acutamente stati d'animo e attese, risponde positivamente a tutte le sollecitazioni della gente del luogo, concede l'istituto persino per l'assemblea di una formazione politica incorrendo ancora una volta nella censura dell'ambasciata. Perché quello che non sembra cambiare è appunto l'atteggiamento delle autorità ufficiali della Bundesrepublik. Una rapida annotazione sul Portogallo nuovo:
Parole d'ordine della stampa per il primo maggio: 'Il popolo non ha piú paura. Le nostre armi sono i fiori. La poesia sulla strada. L'esercito portoghese è anche popolo. La grande sfilata a braccia conserte'.
Scolaro portoghese della Scuola tedesca: `Gli insegnanti tedeschi se la fanno nelle brache'.
La stampa tedesca: `La rivoluzione portoghese ha sgomentato il mondo occidentale' (p. 276).
In questi casi l'A. non commenta neppure, la vecchia[...]

[...]onserte'.
Scolaro portoghese della Scuola tedesca: `Gli insegnanti tedeschi se la fanno nelle brache'.
La stampa tedesca: `La rivoluzione portoghese ha sgomentato il mondo occidentale' (p. 276).
In questi casi l'A. non commenta neppure, la vecchia arma dell'ironia ha pur sempre una sua forza dirompente. Il doporivoluzione si presenta ancora piú difficile del prima e non solo per le difficoltà reali che la rivoluzione deve affrontare, ma anche perché sono presto all'opera i suoi nemici. Nell'ottobre del 1974, Willy Brandt, non piú cancelliere ma pur sempre presidente della SPD, è a Lisbona circondato dalle insidie di un ambiente interessato a denigrare la rivoluzione: « Chissà se W. Brandt avverte in quale inadatto ambiente è costretto a parlare? ». MeyerClason registra con sensibilità assai pronta il processo attraverso il quale la rivoluzione ristagna mentre la minoranza silenziosa diventa mag
gioranza. L'attività del GoetheInstitut diventa un barometro sensibile del rapporto tra lo sviluppo della rivoluzione e quello dei suoi appoggi [...]

[...]ta solo la vicenda personale di un intellettuale tedesco a contatto con una funzione pubblica; non interessa soltanto la politica culturale della Bundesrepublik, aiuta anche a comprendere che cosa la « democrazia » occidentale poteva dare al Portogallo e che cosa non ha dato. Aiuta a capire i limiti posti all'autogoverno e alla volontà di trasformazione di un piccolo popolo dalla logica di potenza di opposti schieramenti di ben altre dimensioni. Perché anche il Portogallo vive sulla sua pelle l'ipoteca che gli è imposta dalle esigenze di una strategia che non gli appartiene ma alla quale viceversa appartiene il Portogallo. Perché l'ordine tornasse a regnare a Lisbona dovevano accadere molte cose e probabilmente anche il ritorno di MeyerClason in Germania rientrava tra queste condizioni.
ENZO COL LOTTI



da Giovanni Pirelli e Piero Malvezzi (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza europea in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]ati di Liberazione Nazionale; ma furono nel loro insieme, (ignorandosi qui volutamente gli insulti di una parte della stampa neofascista) serie e impegnate. Perciò ci parve di essere su di una buona strada e di dover fare, su di essa, un passo avanti.
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 3
Dapprima pensammo ad una seconda raccolta di lettere di partigiani, non più limitata al tema dei condannati a morte. Ne facciamo qui cenno perché è una ricerca che qualcuno dovrà compiere (e subita, prima che altro materiale vada disperso!) rifacendosi al lavoro che l'Omodeo compi sulle lettere dei combattenti della prima guerra mondiale e da cui emerge, sia pure limitatamente ai ceti intellettuali borghesi, la storia morale delle generazioni che in quella guerra si sacrificarono. Noi ci orientammo invece verso un lavoro che fosse la diretta estensione delle Lettere italiane e iniziammo, d'accordo con l'Editore Einaudi, le ricerche per una raccolta di Lettere di Condannati a morte della Resistenza Europea.
Le ragioni di questa ricerca[...]

[...]deve inginocchiare e si attende il colpo. Le vittime stanno in riga ed attendono il loro turno. Intanto devono sistemare ordinatamente i primi, i fucilati, nelle fosse, in modo che lo spazio sia ben sfruttato e ci sia ordine. L'intera procedura non dura molto. Dopo una mezzoretta gli indumenti dei fucilati sono di nuovo nel lager. Finita l'azione il consiglio degli ebrei ha ricevuto un conto di 30.000 zloty per pallottole consumate, da pagare... Perché non possiamo gridare, perché non ci possiamo difendere ? Come si può veder scorrere tanto sangue innocente e non dire nulla, e non fare nulla, e aspettare ciascuno la medesima morte ?
Così, miseri e senza pietà dobbiamo finire. Credete forse che vogliamo finire così, morire così ? No! No! Non vogliamo! Nonostante tutte queste esperienze, l'istinto di conservazione sembra diventare più forte, più intensa la volontà di vivere quanto più s'avvicina la morte. Non si riesce a comprendere nulla.
Miei cari, David giace al cimitero ebraico. Non so dove giac
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RES ISTENZA EUROPEA 7
cia la mam[...]

[...]a o di fargli capire qualcosa.
8 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Meglio sarebbe di non angustiare con niente la sua vecchiaia. Decidete voi, siete, ora, più vicini a lui e alla mamma.
Scrivetemi, vi prego, che ne è di Gustina e mandatele i miei più affettuosi saluti. Che sia sempre forte e coraggiosa e che non rimanga sola col suo grande amore, che io sento continuamente. Vi è in lei ancora tanta giovinezza e sentimento perché possa avere il diritto di rimanere vedova. Volevo che fosse felice e vorrei che lo fosse anche senza di me. Dirà che non è possibile. Ma è possibile. Nessun uomo è insostituibile. Nel lavoro, come nei sentimenti. Ma tutto questo ancora non 'scriveteglielo. Quando ritornerà, se ritornerà.
Voi, ora, vorreste forse sapere (vi conosco!), come vivo. Viva del tutto bene. Anche qui ho del lavoro, libri e giornali ed oltre a ciò non sono solo in cella, cosicché il tempo passa... anche troppo presto, come dice il mio compagno.
Il trattamento qui è molto buono, come dappertutto dove sono stato finora[...]

[...]umo delle rose!
Sarò felice, Hedvika, di ricevere ancora tuoi scritti. Sii forte
e coraggiosa.
Tuo
Josef
ANTONIE BEJDOVÄ
Cecoslovacca, operaia, moglie del redattore del giornale giovanile « Mladé Gardy » Karel Elsnic. Lavora nella Segreteria dei Sindacati Rossi di Moravská Ostrava e continua tale lavoro durante l'occupazione nazista e dopo che, nell'autunno del 1941, il marito viene suppliziata dai tedeschi. Nel luglio 1943 viene arrestata perché sospettata di spionaggio a favore dell'U.R.S.S., condannata a morte e suppliziata a Berlino il 9 settembre 1944. (Lettera tratta dalla raccolta « Poslední Dopisy », Svoboda, Praga, 1946)
Berlina Ploetzensee, 8.9.1944
Mio caro Kájus"ka,
mi ricordo di te, passerottino mio caro, e ti penso, ti penso, ma ormai non posso mai più ritarnare da te. Debbo lasciarti, per quanto ti abbia voluto tanto bene. Ma tu non essere triste, la tua mamma sta ormai molto bene e (seguono 2 righe cancellate dalla censura).
Una sola cosa desidero da te: studia bene, in modo da comprendere tutto bene e da diventar[...]

[...]pà ». Che puro amore infantile, che grande amore racchiude il suo animo!
Ma questi che ci hanno condannato a morte non hanno forse bambini? Non capiscono gli errori, non hanno compassione? Certo per se stessi trovano sempre unn giustificazione, ma quando, se non altro per i nostri figli, dovrebbero mitigare la condanna, essi dicono che la legge non lo permette. Che sciocchezze! Ma forse non sentono un amore altrettanto forte per i propri figli? Perché, se lo sentissero, agirebbero in altra maniera. Mi ricordo le parole del generale Koco Stojanov che mi ha detto: « I giudici pensano ai bambini ». E adesso non posso capire né forse lo capirò mai: come si può dire che pensano ai bambini quando pronunziano delle sentenze simili?
« Il governo é forte e può affrontare tutto ». Ma se questo é vero perché mi fucilano?
21 novembre 1943
Una nottataccia inquieta, e come può essere quieta quando ti aspetti che in mezzo al silenzio ti vengano a prendere. Oh queste sanguinose fucilazioni, non finiscono mai. Gli altri prigionieri mi guardano con un sorriso, si sforzano di calmare, di confórtare, che altro possono fare? L'incertezza sopratutto rende inquieti, ma il desiderio di vita é tanto grande. Vorrei essere di nuovo al mio lavoro, sento il bisogno di lavorare, di una stanchezza fisica, di ripensare, la sera, buttato sul letto pulito, al lavoro fatto. Come ti senti bene quando vedi che il lavoro[...]

[...]piccato. (Lettera tratta dalla raccolta u Poslednata im Duma », Edizioni del Partito Comunista Bulgaro, Sofia, 1952)
12/XI/1941
Non penso alla morte, penso a te e ai bambini. Beka, tu devi vivere, per i bambini e per te stessa. Botuscev mi ha mostrata la fotografia dei suoi figlioli: come li ama! E io non argo meno la mia famiglia.
Katja, Nivko, figli miei, vostro padre vi ama tanto e pensa solo a voi. Ma bisogna morire. Un giorno voi saprete perché vo stro padre ha dovuto morire. Ricordate che vostro padre, oltre a voi, ha amato altrettanto il suo popolo e nel suo popolo vedeva voi. Io muoio perché voi possiate vivere, miei cari.
Vi bacio Nicola Sopov
ISTVÁN PATAKI
Ungherese, nato a Budapest nel 1914. Operaio metallurgico e capo dei giovani metallurgici, è uno degli organizzatori dell'insurrezione armata del 1944. Arrestato con numerosi compagni il 23 novembre 1944 nella fabbrica Manfred Weisz, oggi Mattia Rákosi, di Csepel, viene con essi suppliziato, il 24 dicembre 194', nella prigione di SopronKöhida. (Lettera inedita avuta dall'Associazione Ungherese Combattenti della Libertà)
Miei cari,
sono assolutamente tranquillo e sereno. Ho sempre detto che non sarei vissuto oltre i trent[...]

[...]on sarei vissuto oltre i trent'anni, ma voi non volevate credermi.
16 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Mi hanno condannato a morte. I miei ultimi pensieri sono per voi.
Mia piccola Margit, un addio particolare a te. Sei mia sorella minore, ma sei sempre stata anche il mio modello. Sei un carattere forte, non ti abbattere nemmeno ora. Prosegui sulla via che hai iniziato e lotta a denti stretti per lo scopo della tua vita: perché ne vale la pena.
Lo dico anche ora: ne vale la pena.
Mamma, non piangerei! Io ti ho procurato molte ore amare, ma ora perdonami, e pensa con affetto a tuo figlio che era tanto ansioso di affetto. Da voi ho ricevuto tutto quello ch'era possibile. Vi ringrazio di avermi tanto amato e di essere stati tanto premurosi per me.
Emike, sorellina mia, pensa, nella tua vita, che hai avuto un fratello che ti ha voluto tanto bene ed è morto per una idea: perché era degna che si morisse per lei.
E tu, Laci mio, cerca di mitigare agli altri il dolore che io ho causato con la mia morte.
Babbo, vecchio [...]

[...]ne vale la pena.
Lo dico anche ora: ne vale la pena.
Mamma, non piangerei! Io ti ho procurato molte ore amare, ma ora perdonami, e pensa con affetto a tuo figlio che era tanto ansioso di affetto. Da voi ho ricevuto tutto quello ch'era possibile. Vi ringrazio di avermi tanto amato e di essere stati tanto premurosi per me.
Emike, sorellina mia, pensa, nella tua vita, che hai avuto un fratello che ti ha voluto tanto bene ed è morto per una idea: perché era degna che si morisse per lei.
E tu, Laci mio, cerca di mitigare agli altri il dolore che io ho causato con la mia morte.
Babbo, vecchio mio! So che mi hai voluto tanto bene e che tu soffri che io me ne vada. Ti consoli il sapere che hai una famiglia per la quale merita vivere e lavorare. Fa' per la famiglia, anche in avvenire, tutto quello che puoi. Vogliatevi bene, perché solo l'affetto dá senso alla vita.
Perdonatemi se sto filosofeggiando, ma credetemi, io sento così, mi fa bene dirvi questo per l'ultima volta e mi pare di essere tra voi e di conversare e parlare con voi.
Mi congedo da tutti: non mi sarebbe possibile nominarli uno a uno.
Mia adorata mamma, babbo, sorelle mie, vi abbraccio con caldo affetto.
Pista
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LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
ZOLTÁN SCHOENHERZ
Ungherese, nato a Ko"síce nel 1905. Segretario del Partito Comunista Ungherese, dopo quattro anni di attività clandestina viene arrestato, il 6 luglio 1942, e cons[...]

[...]l Sinodo « Hiere stehe ich und kann nicht anders! ».
Non muoiono per6 tutti quelli che vengono sulla terra. Ho lavorato molto e muoio con la convinzione che continuerò a vivere nel mio lavoro: So che il mio lavoro non é stato inutile. Se nascessi un'altra volta, e potessi rivivere, non potrei vivere diversamente. Come ho vissuto, così muoio.
Spero che potrete trovare un certo conforto in mio figlio Gyuri. Non lo viziate, educatelo severamente, perché possa sostenere il suo posto nella vita in ogni circostanza.
Spero che gli ultimi giorni della vostra vita non trascorrano nella tristezza e siano ancora dorati dalla gioia. Mia sorella, mio zio e la sua famiglia potranno ancora arrecarvi gioia.
Cara sorellina, io ti penso ancora molto spesso come quando eri ancora piccola piccola, a sei anni, come quando si giocava ancora insieme. Poi la .vita ci ha separati.
Ancora davanti a te c'é una vita meravigliosa. Ti auguro che sia la più bella possibile e forse potrai servirti ancora dei consigli che ti diedi l'altra volta. Tesoro mio, Klára sore[...]

[...]uattr'ore sarò ancora in questa cella, se fra trenta ore sarò ancora vivo. Ma alla morte é tolta ogni amarezza, non la tristezza, naturalmente, ma non é forse que
20 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
sta quasi dolce? Proprio ora lo sento fortissimo, ora che da una indefinibile e profonda unione con te ritrovo la via verso le parole, le idee.
Donde ci verra questa cosa che con magica forza tocca i nostri animi e li unisce? Perché questa sorgente non sgorga sempre? Sedevo sul duro sgabello della mia cella, come cento e cento ore prima d'allora, e mi trovai profondamente immerso nel tutto: nella natura, nell'uomo, nell'arte. La differenza fra la vita e la morte era scomparsa in un'unica gioia, quella d'esistere...
28 marzo 1943
Mezzogiorno e trenta. In questo momento quattro compagni di martirio sono stati prelevati dalla cella... Così, due o tre volte la settimana, mi conducono sull'orlo dell'abisso, e mentre mi costringo di guardarvi dentro con calma, aspetto la piccola spinta che basterà a farmi precipitare...
4 a[...]

[...]ncora di ringraziamento al destino che mi ha concesso di amarti e di vivere sette anni con te. Avrei tanto voluto rivederti ancora una volta, ma poiché non mi sono concessi favori, sono troppo fiera per fare una richiesta inutile, così non ho nemmeno inoltrato la domanda di grazia, dato che la mia morte é comunque un fatto deciso.
Sono a colloquio con te, mio caro. In questo momento ti ho fatto promettere che non resterai troppo a lungo triste, perché mi toglieresti la tranquillità degli ultimi giorni, che mi é necessaria per quando devo attraversare la porta oscura.
Nessuno dovrà poter dire di me, senza mentire, che io abbia pianto, che sia stata attaccata alla vita e che per essa io abbia tremato. Ridendo voglio concludere la mia vita, così come l'ho amata ridendo, e ancora l'amo.
Mio caro Cay, adesso voglio dirti addio. In questa pena non ci sono rimasti altri amici fuorché il coraggio ed una rapida morte. Ti saluto per l'ultima volta, mio caro. Ti ripeto adesso in questa ora estrema: la mia vita senza di te era nulla, solo per opera [...]

[...]dendo, e ancora l'amo.
Mio caro Cay, adesso voglio dirti addio. In questa pena non ci sono rimasti altri amici fuorché il coraggio ed una rapida morte. Ti saluto per l'ultima volta, mio caro. Ti ripeto adesso in questa ora estrema: la mia vita senza di te era nulla, solo per opera tua ha avuto un significato ed un contenuto. E questo adesso mi aiuta. Pensa ogni tanto a me, ma non essere triste. Sono serena e molto tranquilla. Mi sento consolata perché comprendo che é necessario.
Ogni bene per te, per il tuo avvenire
la tua Erika
22 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
HERMANN LANGE
Tedesco, nato a Leer (Ostfriesland) il 16 aprile 1912. Cappellano della comunità di Lubecca, svolge attività cospirativa nei locali gruppi giovanili cattolici. Arrestato a Lubecca il 15 giugno 1942, viene decapitato ad Amburgo, il 10 novembre 1943, insieme ad altri due cappellani cattolici e ad un pastore protestante. (Lettera inedita avuta dalla Redazione del periodico «Die Tat » di Francoforte sul Meno)
Quando riceverete questa lettera [...]

[...]assato dei contributi del Partita Comunista! Dalla mia cella finora due sono stati condotti all'esecuzione, da una delle celle attigue pure due, da un'altra ancora uno. Dal 23 novembre 1942, nei 55 giorni cioè che mi trovo qui, sano state giustiziate circa 110 persone. Visto che il « periodo di grazia n dura circa 90 giorni, secondo le supposizioni delle vittime designate, qui in questa cella ci si sente relativamente sicuri. Dico relativamente, perché alcuni sono stati giustiziati dopo neanche 40 giorni. Tutti questi dati sono mere supposizioni. Nessuno sa niente di preciso. Non udiamo e non vediamo nulla del mondo. Meno di tutto sappiamo dei nostri affari personali. E poiché anche i nostri parenti non sanno nulla, ci tocca aspettare, aspettare, finché la cella si apre e saremo condotti alla esecuzione. Il nostro solo mezzo di informazione è il tubo del cesso. Al secondo piano e sopra an
LE'TERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 25
cora vi sono dei prigionieri che hanno diritto all'acquisto di un giornale e che ci forniscono[...]

[...]ella cella. Era maturo da molto tempo. Durante i temuti giorni delle esecuzioni egli se ne stava spesso ore ed ore davanti alla porta e cercava di capire se e quanti venivano condottii alla esecuzione. E poi, il 6 gennaio, del tutto inatteso venne il suo turno. Nel bel mezzo del lavoro, senza sospetto, sperando in qualcosa di meglio, lasciò sorridendo la cella senza un addio. Da allora siamo Walter ed io soli.
In due si sta meglio, per l'aria e perché ci figuriamo sempre di essere in tanti. Walter sarebbe stato uno dei migliori con cui costruire un nuovo mondo di pace. Pur sentendomi triste al pensiero che non potrò vedere la pacifica ricostruzione che seguirà questa guerra spaventosa, mi consola tuttavia il pensiero che essa vi libererà dal bisogno e che non dovrete peroccuparvi del vostro futuro benessere.
Nella serena attesa della mia morte imminente ho spesso riflettuto sulla mia vita passata e l'ho riesaminata. Il cappellano delle carceri mi ha molto gentilmente voluto dare in lettura un Nuovo Testamento che mi ha evitato molte ore d[...]

[...], privato, ed il rispetto per gli altrui sentimenti religiosi é dovere elementare di un uomo educato e perbene. Anche dal punto di vista nazionale non mi sento colpevole. Non ho mai concepito l'internazionale come un fattore ostile, avverso al nazionalismo, ma come una intesa ragionevole dei vari interessi nazionali nell'interesse di un fecondo sviluppo di tutta l'umanità. Mi sono sempre riconosciuto come parte della mia Patria e del mio popolo, perché considero popolo e nazione non come qualcosa di artificioso e casuale, ma come fenomeno naturale, storicamente determinato. La mia posi
26 LETTERE DI CONDANNATI A. MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
zione democratica mi conduce verso il socialismo internazionale che unisce i popoli.
Sono una vittima di questi tempi terribili, come molte, molte migliaia prima e dopo di me. Devo morire perché la solidarietà umana mi é filtrata nel sangue e nell'animo, perché stimo superiore alla mia salvezza personale il rispetto verso il mio prossimo, verso i miei compagni di lavoro.
I più affettuosi, caldi saluti e baci d'addio dal vostro
papà
LEOPOLD BRTNA
Austriaco, nato a Vienna il 31 marzo 1921, falegname ed autista. Dall'età di sedici anni partecipa all'attività, poi divenuta clandestina, di varie organizzazioni giovanili comuniste. Arrestato dalla Gestapo a Urfahr i1 3 dicembre 1942, viene tradotto ed interrogato nella locale sede della Polizia, quindi inviato nel campo di concentramento di Mathausen ed ivi fucilato, senza processo, il 18 settembre 19[...]

[...]dubbi: io sono convinto che il domani apparterrà all'operaio. Perciò sopporto piil facilrhente il mio destina. Avreste dovuto sentire la nostra solidarietà nella prigione, vi sareste resi conto che un tale movimento
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 27
non può perire. Questo stendardo rosso sangue, cui é legata la vittoria, riordinerà il mondo e merita che si lasci la vita per esso. Invero, nessuno di noi muore volentieri, perché avremmo ancora molti compiti da risolvere; ma se così deve essere, allora avvenga con ferrea decisione.
Visto che ora sono dunque un delinquente, non dovete tuttavia disperarvi: il basto non è ancora spezzato. E necessario restare forti fino all'ultimo respiro. Mostrate che il dolore, la sofferenza, la vecchiaia, il terrore non vi possono spezzare. I genitori da cui sono nati figli di questo genere, sono lottatori anche essi. Ed é anche per questo che sono fiero di voi! Vi ringrazio tante e tante volte del bene che mi avete fatto, nonostante la vostra povera. Tutto ciò non lo si può pagare n[...]

[...]tto ciò non lo si può pagare nemmeno con l'oro; e così ve ne ringrazio con ciò che ho di piú alto, con il mio spirito proletario. E tutto ciò, cari genitori, che vi posso offrire in questo momento.
Nel Landesgericht II ho vissuto con molta solidarietà, e il compenso per questo dritto modo di vivere l'ho sentita quando mi sono congedato dai miei compagni di sofferenza... Certo, ho pianto quando li ho salutati, ma si trattava di lagrime di gioia, perché mi accorsi che essi avevano approvato il mio contegno. Ciò mi ha rafforzato nella mia convinzione che la mia posizione non era perduta. Chi dei borghesúcci può immaginarlo che oggi dei giovinetti, ragazze e ragazzi, alcuni di nemmeno diciassette anni, affrontano la morte sorridendo? Ecco il nostro movimento: fedeli al motto: non curatevi dei sacrifici, della dura sorte, avanti, sia il vostro detto, libertà o morte!; essi si avviano al patibolo, convinti nella loro vittoria. Un sol desiderio ci anima tutti: la libertà. A questo fine sacrifichiamo tutto. Ma la nostra morte richiede che voi cont[...]

[...]vanti, sia il vostro detto, libertà o morte!; essi si avviano al patibolo, convinti nella loro vittoria. Un sol desiderio ci anima tutti: la libertà. A questo fine sacrifichiamo tutto. Ma la nostra morte richiede che voi continuiate ad essere forti, fino ad incassare il debito che ancora deve essere saldato, oggi. Vi posso assicurare che nemmeno il vostro Poldi si nasconde dietro i nostri eroici caduti, e non rimpiange in nessun modo la sua vita perché ora vogliono la sua testa! No, per me c'é solo un avanti, e non una vergognosa diserzione della bandiera. So cosa mi attende, ed aspetto con animo sereno quella giornata.
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Già il mio avvocato mi ha fatto un quadro del mio nuovo ambiente, cioè nel suo intimo mi ha dato per perduto. Io sapevo e conoscevo la mia posizione sin dalla prima giornata del mio arresto, ma non mi volevo arrendere, per quanto Kohim avesse rivelato tutto. Il mio motto era: guadagnare tempo vuol dire guadagnare mezza vita. Ma, se quest'ultimo atto non mi sarà risp[...]

[...]opportare da combattente.
La mia vita l'avevo già conclusa il 3 dicembre '42, e non ho perciò desideri, soltanto vi pregherei di una cosa: Anni, finché se lo merita, consideratela come mia moglie. Essa è giovane, forse non mi ha capita, ma ci siamo amati, e se il destino non ci avesse toccato così duramente, forse sarebbe diventata più saggia. Essa, dopo tutto, è stata tirata su in un altro mondo. Il suo destino mi addolora molto, e sono triste perché non sono stato in grado di aiutarla.
Era mio destino essere lottatore, e non l'ho mai dimenticato. Voglio ancora salutare tutti i conoscenti qui, i Leder, anche essi mi comprenderanno e ciò fa bene. Salutami anche Prinz, le mie zie, i miei zii e le cugine. Peperl mi resterà sempre in un felice ricordo, per me era più di un cugino. Se nella mente faccio passare la fila dei parenti, mi rimangono ben pochi che mi abbiano compreso. I nostri nonni, Dada e Babi, quei deliziosi vecchietti, come piangeranno quando l'irrequieto Poldi non verrà più, ah si, Babi, egli è morto perché voleva vivere umana[...]

[...]tutti i conoscenti qui, i Leder, anche essi mi comprenderanno e ciò fa bene. Salutami anche Prinz, le mie zie, i miei zii e le cugine. Peperl mi resterà sempre in un felice ricordo, per me era più di un cugino. Se nella mente faccio passare la fila dei parenti, mi rimangono ben pochi che mi abbiano compreso. I nostri nonni, Dada e Babi, quei deliziosi vecchietti, come piangeranno quando l'irrequieto Poldi non verrà più, ah si, Babi, egli è morto perché voleva vivere umanamente. Perciò lo chiamano traditore ecc. ecc. Ma consolati, cara nonna, muoio per una buona causa e sono felice. Ma migliaia e migliaia di persone si dissan guano e non sanno perché. Non sono triste, so che la nostra morte coopererà ad un più felice avvenire di molti.
E con ciò, cari genitori, voglio terminare. Su con la testa, se no non potrete vedere le stelle e il rosseggiare del mattino, si, si avvicina con passi giganteschi la giornata in cui i proletari di tutto il mondo si riuniranno per marciare sotto il sole dolce di maggio. Non camminate curvi! Anche a voi sorriderà il raggio di sole sulla mia bara. Vi chiamo coraggiosi genitori: siate coraggiosi e fieri: voi avete posto le fondamenta e la gioventù costruirà su di esse. Così il nostro stendardo non si ammaina [...]

[...]ri di tutto il mondo si riuniranno per marciare sotto il sole dolce di maggio. Non camminate curvi! Anche a voi sorriderà il raggio di sole sulla mia bara. Vi chiamo coraggiosi genitori: siate coraggiosi e fieri: voi avete posto le fondamenta e la gioventù costruirà su di esse. Così il nostro stendardo non si ammaina mai, ed è questo
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA ' 29
ciò che vogliamo. Vi auguro salute ed una tarda età perché possiate vedere il compimento della nostra opera. Con fierezza per i miei coraggiosi genitori termino con un forte: Evviva il Fronte Rosso.
Vostro figlio Leopold
P. S. Vi prego, salutate anche la coraggiosa mamma di Franzl Reingruber, e ringraziatela per il suo grande aiuto. Anche il suo dolore é un ammonimento per il movimento, anche a lei bisognerà porgere ringraziamenti perché per lei la vita é stata durissima. La saluta uno dei suoi figli.
Leopold
ELEF'E1'IRIOS CHIOSSÈS
Greco, nato al Pireo nel 1923, studente in lettere e filosofia. Appartenente ad una formazione partigiana che affiancava l'opera dell' EAM, viene arrestato al Pireo, il 19 febbraio 1942, mentre stampa un giornale clandestino, e fucilato al Pireo il 5 giugno 1942, con otto exufficiali della R. Marina greca. (Lettera inedita tradotta da amici greci dall'originale esistente negli archivi dell'Arcivescovado di Atene)
'Cara mammina, papà e sorelline,
oggi 5.6.42 ci fucileranno. Affrontiamo la morte[...]

[...]'ultima volta la vostra benedizione. Perdonateci. Se potete sapere in quale cimitero ci seppelliranno, allora vi aspettiamo. Venite ad accendere la nostra piccola candela.
Vi mandiamo tutta la nostra roba e siamo certi che giungerà nelle vostre mani. Non vi agitate! Non é poi una gran cosa. Per l'umanità sono stati uccisi milioni di giovani. Forse loro non avevano una mamma ? Questo pensiamo e non sentiamo tanta pena. Non abbiamo altro da dirvi perché non ci viene in mente nulla_
Vi abbracciano i vostri figli
Marinos Anghelos
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 31
KIM MALTUEBRUN
Danese, nato ad Edmonton (Canada) l'8 luglio 1923. Nel 1944 interrompe la carriera nella Marina Mercantile per dedicarsi alla lotta clandestina. Nel dicembre dello stesso anno é arrestato dalla Gestapo e suppliziato nell'aprile successivo. (Lettera tratta da u Kim P, Thaning e Appels Forlag, Copenaghen, 1945)
Cella 411, 4 aprile 1945
Cara mamma,
con Jt rgen, Niels e Ludvig sono stato condotto davanti al tribunale militare. Siamo stati con[...]

[...] rendertene conto. Io non sono che una piccola cosa, ed il nome sarà presto dimenticato, ma l'idea, la vita e l'ispirazione che mi pervasero continueranno a vivere. L'incontrerai ovunque, sugli alberi in primavera, negli uomini sul tuo cammino,. in un piccolo e dolce sorriso. Incontrerai ciò che ebbe un valore per me, l'amerai e non mi dimenticherai. Crescerò e diventerò maturo, vivrò in voi, i cui cuori ho occupato, e voi continuerete a vivere, perché sapete che mi trovo davanti a voi e non dietro voi, come forse eri portata a credere. Ho scelto una strada di cui non sono pentito, non sono mai venuto meno a quanto era nel mio cuore, ed ora mi sembra di vedere una certa correlazione. Non sono vecchio, non dovrei morire, ma tuttavia mi pare naturale e semplice. E soltanto il modo brusco che ci spaventa in un primo momento. Il tempo é breve, i pensieri sono molti. Non capisco il perché, ma il mio animo é sereno. Vorrei esser stato un Socrate, ma il pubblico é mancato. Sento la sua stessa calma, e vorrei che ve ne rendeste completamente conto.
In fondo é assai strano esser seduto qui, intento a redarre questo documento per la vita. Ogni parola resta impressa, non può esser modificata, mai mutata.
J¢rgen scrive di fronte a me, abbiamo vissuto insieme, ora moriamo insieme, due compagni. Sono stato con Poul, avevamo molte opinioni differenti, ma egli sa cos'ho in me e cosa posso dare. Senti come una lama che ti taglia l'animo, é il dolore, si dice, ma
32 LETTERE DI CONDANNAT[...]

[...]loro di esser sempre avvolti nel dolore. La verità è che dopo il dolore giunge la profondità e dalla profondità sorge il frutto.
A me niente taglia l'animo, è così, e te ne devi render conto. Ho qualcosa che vive e arde in me, amore, ispirazione, chiamala come vuoi, tuttavia qualcosa che non riesco ad esprimere. Ora muoio, e non so se ho acceso una piccola fiamma nell'anima di qualcuno, una fiamma che mi sopravviverà, ma sono ugualmente sereno, perché ho visto e so che la natura è ricca, nessuno nota se un germe viene calpestato e muore, perché dovrei dunque rattristarmi io, (panda vedo tutta questa ricchezza che vive ?
Ci sono poi i bambini, che mi sono sentito vicini in queste ultime ore, ero felice di rivederli e di vivere nuovamente con loro. Ho sentito il mio cuore palpitare al pensiero di loro, e spero che cresceranno da uomini che sanno guardare oltre gli argini della via. Spero che il loro animo possa svilupparsi liberamente e mai sotto un'influenza unilaterale. Salutameli, il mio figlioccio e suo fratello.
Vedo che svolta prendono le cose nel nostro paese, ma ricordati, e ve ne dovete ricordare tutti, che il sogno non dev[...]

[...]ra tratta dalla raccolta « De Sidste Timer », Berlingske Forlag, Copenaghen, 1946)
13 marzo 1945
Cara mamma e papà,
questa mia lettera sarà dunque il mio ultimo saluto a voi. Oggi ho saputo la mia condanna. La pena capitale. Molto probabilmente avrete già saputo cosa ho fatto. Ho partecipato a varie azioni di sabotaggio e sono corresponsabile dell'uccisione di un ufficiale tedesco, ed ora é finita. Il pensiero non mi preoccupa eccessivamente, perché, da (panda partecipavo a quelle cose, ero preparato alla possibiltà che il peggio si verificasse.
Mi dispiace soltanto di non avervi avvertiti, quando mi recavo da voi in ferie, ma ogni volta pensavo che sarebbe andata bene, e non c'era dunque ragione di informarvene. Per quanto riguarda il motivo che mi ha spinto ad agire come ho agito, non mi resta che dire che ho obbedito alla mia convinzione, e l'avvenire mostrerà se era giusto o no.
Non mi é facile coordinare i pensieri, volevo dirvi tante cose, ma non trovo le parole.
Non pensatemi come morto, pensate alle belle ore che abbiamo passa[...]

[...] ciò che avete
fatto per me durante la mia infanzia e gioventù.
Perdonatemi.
Leif
CHART J'S APPELMAN
Olandese vissuto in Belgio, nato a Villersle Bouillet, fucilato alla cittadella di Liegi il 26 novembre 1943. (Lettera avuta dall'Armée Belge des Partisans)
Miei cari fratelli e cari compagni,
vi scrivo questa lettera, 7 ore e 50 prima della mia morte.
Paul, quando Jean ritornerà dalla Germania gli dirai che non mi é dispiaciuto di morire perché da quando ho lasciato casa sapevo quello che facevo. Non prendermi per un bugiardo, ma andremo alla fucilazione cantando, perché noi non moriremo come molti nel letto, ma per la nosta libertà, per il Belgio, per la nostra Patria. Mio caro fratello Jean, quando ritornerai io sarò già morto, ma è una morte difficile da guadagdarsi in tempo di pace, ma facile da guadagnarsi in tempo di guerra.
Jean, fatti coraggio e soprattutto tieni alto il morale, perché un giorno non ci si vedrà sulla terra, ma in cielo.
Mio caro Paul, la tua pipa l'ho regalata ad uno dei miei migliori amici, che mi ha dato da mangiare e me ne ha data un'altra, con la quale ho molto fumato, è molto buona, conservala come mio ricordo. Sebbene sia un tedesco mi ha abbracciato, aveva le lacrime agli occhi. Mio caro Paul, mi saluterai i compagni Adrien, Edgar, Paul Delise e sua moglie e Willy, Pauline e madrina, Arturo Jacques, mi saluterai pure il signor Jacques, Allaert, Laruelle, il signor Vicario ed il signor Curato. Pregate per noi, questo vi farà del bene.
Ecco un verso [...]

[...]. Mio caro Paul, mi saluterai i compagni Adrien, Edgar, Paul Delise e sua moglie e Willy, Pauline e madrina, Arturo Jacques, mi saluterai pure il signor Jacques, Allaert, Laruelle, il signor Vicario ed il signor Curato. Pregate per noi, questo vi farà del bene.
Ecco un verso che abbiamo composto nell'ultima nostra ora:
35
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
« Il sole si alza all'orizzonte, ma la mia vita è al suo declino Perché lassù noi vivremo, cantando con gioia le lodi di Dia ». Miei cari fratelli, compagni, addio! Addio!
Sono nato olandese. Ho lavorato olandese. Ho pregato in olandese. Sono stato prigioniero olandese. Muoio olandese.
Viva Cristo! Viva il Belgio! Viva l'Olanda! Viva la libertà!
Charles Appelman
JACQUES GUY
Belga, nato a Veviers, fucilato alla cittadella di Liegi il 29 febbraio 1944. (Lettera avuta dall'Armée Belge des Partisans)
Caro papà e cara Mamy,
eccovi una seconda lettera nella quale vi racconto come tutto é andato. Siamo stati traditi. Arrivato alla Piazza Vieuxtemps, mi sono visto[...]

[...]fustigate che cadevano come la pioggia. Ma mai, davvero mai, ho fatto il nome di nessuno. Avrei potuto salvare la mia testa, ma ho preferito nulla fare e nulla dire che potesse tradire la patria.
Ti renderai conto che dopo tutto questo ho il coraggio sufficiente per essere fucilato. Che è una bagatella in confronto a tutto quello che ho sopportato.
Parecchie persone debbono ringraziarmi per non aver fatto il loro nome. Ed ora sono fiero di me, perché ho resistito a tutto ed ho salvato molte vite.
Vi sarò riconoscente di far conoscere questo resoconto a Gilberte così come alle associazioni di cui facevo parte.
Il mio corpo resterà nel cimitero militare di Liegi e morirò da vero belga. Viva. il Belgio!
Guy Jacques
sempre belga
morto per la Patria
JV LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
(Biglietto trovato negli abiti di Jacques Guy dopo la sua morte)
Un'ultima parola per dirvi che per parte mia non ho mai denunciato o incolpato alcuno, malgrado le numerose fustigate che ho ricevuto per farmi parlare.
Avrei potuto s[...]

[...]ene, ma oggi te ne dò una più dolorosa di tutte: fra due ore, cioè alle quindici di questo pomeriggio, sarò fucilato dal plotone d'esecuzione.
Sono stato condannato a morte 1'11 aprile e sarò fucilato a 18
40 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
anni ed un mese giusto: muoio da valoroso che ha la coscienza di non aver fatto che il suo dovere. Voglio proprio, cara mamma, che tu non ti faccia del cattivo sangue per tuo figlio, perché io non sono più da compiangere, parto per raggiungere il regno di Dio dove sari) molto felice: quelli che sono più da compiangere siete voi, tu ed il mio amato papá.
Prima di morire, domando perdono a tutte le persone a cui ho fatto del male e perdono tutte le persone che mi hanno fatto del male..
Tu andrai a trovare Clémence, Léon, i miei cugini, le mie cugine, così come Henriette e tutta la sua famiglia. Voglio anche abbracciare Antoine e Renée, così come la nonna e Huguette. Andrai da Suzanne e abbraccerai tutti, questa è la mia ultima volontá. Soprattutto, soprattutto, mammina mia cara,[...]

[...]Milli resterete sole al mondo.
Ho volñto seguire la mia idea e adesso mi domando se di fronte a te avevo il diritto di farlo.
Perdonami, mammina, se ti cagiono questo grande dolore. Ti avevo pur detto che mi sembrava poco naturale restar vivo solo io fra tanti compagni morti.
Adesso andrò con loro. Doveva finire così.
Ancora una volta, mammina, perdonami.
Anche Milli deve perdonarmi e dille che se spesse volte ci si bisticciava, era proprio perché ci volevamo bene.
Quando il dolore ti sembrerà insopportabile, rifugiati in lei, ti sarà di grande sollievo.
42 LUTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Ricevi da tuo figlio il più affettuoso abbraccio e tanti, tanti
baci, anche per Milli. Per l'ultima volta perdonatemi.
Vostro
Valerio
PAOLA GARELLI
Italiana, nata a Mondovì (Cuneo) il 14 maggio 1926, pettinatrice. E collegatrice e rifornitrice di viveri e materiale per le formazioni partigiane operanti nella zona di Savona. Arrestata nella notte fra il 14 ed il 15 ottobre 1944, il successivo lo novembre viene fucilata all[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] M. Tronti, Alcune questioni intorno al marxismo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]ico in cui è implicita, in prospettiva, la possibilità di una considerazione scientifica della storia in generale, cioè di una scienza della storia.

Hegel+Ricardo+Robespierre : sono le fonti tradizionali per la filosofia della prassi. E con Robespierre abbiamo da intendere evidentemente310

I documenti del convegno

il pensiero politico francese. Eppure non troviamo nei Quaderni una consapevolezza precisa di questo problema; senza dubbio perché manca in essi una conoscenza diretta di quella giovanile critica interna allo Stato borghese che conduce Marx ad una resa di conti decisiva con i principi dell’89 e alla scoperta di tutte le implicazioni teoriche e pratiche che vengono prodotte dalla distinzione e dal rapporto, storicamente costituìtosi, di società civile e società politica.

Tutto un nesso di problemi che permettono al giovane Marx di raggiungere un primo fondamentale risultato: cogliere le aporie fondamentali e il vizio di fondo, contemporaneamente, nella struttura logica del metodo hegeliano, nel pensiero politico del mo[...]

[...]uttura e sovrastruttura, intanto è possibile in quanto viene scoperta la contraddizione logica e il contrasto storico all’interno della struttura stessa.

In Marx dunque Hegel, Ricardo e Robespierre non sono presi a sé, come momenti di una pura storia delle idee; essi sono tre aspetti, tra loro complementari, di una medesima realtà, cioè di un tipo specifico di società, sono già parte di questa società, sono una parte quindi dell’oggetto. Ecco perché l’analisi del loro pensiero è già, e non può non essere già, l’analisi della società borghese. Perché la società borghese è anche Hegel, Ricardo e Robespierre, cioè è anche il pensiero della società borghese. Anche il pensiero dunque è riguardato come un oggetto.

Ma qui bisogna stare attenti, perché si pone un problema di estrema delicatezza: di come riuscire a salvare la pur necessaria distinzione all’interno di una organica unità. Perché se è vero che il pensiero della società borghese è già la società borghese, è anche vero che non è tutta la società borghese. Cioè se anche il pensiero viene riguardato come un oggetto, questo non vuol dire che il pensiero è tutto l’oggetto, che il pensiero esaurisce l’oggetto. Se quest’ultima condizione si verificasse noi avremmo, in conseguenza, un pensiero definitivo, conclusivo: un’unità assoluta, attualistica, comunque di origine idealistica.

L’esigenza dell’unità fa perdere qui la necessità della distinzione. Ma ce l’errore opposto: una volta distinto, per usare dei termini tradizion[...]

[...]ismo, di tutta la filosofia speculativa. Hegel non

1 M. S., pp. 2401.

2 Galvano Della Volpe, Marx e lo Stato moderno rappresentativo, Bologna, 1947, p. 12.Mario Tronti

313

ha bisogno di essere concluso; Hegel è già la conclusione. È proprio la conclusione che Marx rifiuta. E allora non si può dire che la filosofia della prassi ha incorporato in sé alcuni valori « strumentali » dello stesso metodo speculativo (ad es. la dialettica) \ Perché la dialettica hegeliana è già tutto il metodo speculativo; e proprio questo metodo, in Hegel, giustifica, rende possibile, anzi rende « necessario », il sistema della filosofia speculativa.

Questi concetti ci serviranno in seguito. Affrontiamo invece un problema preciso; uno di quei problemi che sotto una veste apparentemente filologica nascondono un serio contenuto di pensiero. Gramsci dice, per lo più, « filosofia della prassi », quando deve dire marxismo. E credo che siamo d’accordo nel ritenere non casuale la scelta di questa espressione. Certo che oggi chi dice « filosofia della prass[...]

[...]ano solo il modo di procedere teoretico; e di concepire e fissare la pratica soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Ed in effetti Feuerbach nel l’Essenza del Cristianesimo distingue l'atteggiamento dei greci che considerano la natura con mente teoretica e trovano quindi l’armonia dell’uomo col mondo, dall’atteggiamento degli ebrei che considerano il mondo solo dal punto di vista pratico e si trovano in disaccordo con la natura, perché « fanno della natura la serva umilissima del proprio interesse, del proprio pratico egoismo» 2. La correzione di questo concetto dà a Marx la possibilità di innalzare anche l’elemento pratico su di un piano teoretico, di rivendicare anche nell’elemento pratico un contenuto teoretico.

Propone quindi una concezione dell’oggetto, del reale, del sensibile

1 M. S., p. 201.

2 Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, Milano, 1949, voi. I, p. 99.314

I documenti del convegno

non più soltanto sotto la forma di oggetto e di intuizione, ma come attività sensibile umana, come attivit[...]

[...]ono omogenee ed eterogenee nello stesso tempo ». Cosi come sarebbe assurdo un parallelo tra Cristo e san Paolo: CristoWeltanschauung e san Paoloorganizzatore; essi sono ambedue necessari nella stessa misura e però sono della stessa statura storica. Si potrebbe quindi parlare di cristianesimopaolinismo, cosi come si parla appunto di marxismoleninismo 2.

Scienzaazione dunque come due fasi omogenee ed eterogenee nello stesso tempo. Proprio cosi: perché in Marx e nel marxismo la scienza si presenta già come scienza attiva., e l’azione si presenta già come azione scientifica. La teoria si presenta come una teoria pratica perché la pratica viene scoperta come una pratica teorica. Ma questo non vuol dire che ci sia una identità immediata di scienzaazione, di teoriapratica. Permangono le due fasi, nella prima delle quali la pratica viene vista in funzione teorica, mentre nella seconda la teoria viene usata in funzione pratica. Ecco perché — dice Gramsci in una nota che credo ci interessi da vicino — « Ecco perché il problema dell’identità di teoria e pratica si pone specialmente in certi momenti storici cosi detti di transizione, cioè di più rapido movimento trasformativo, quando realmente le forze pratiche scatenate domandano di essere giustificate per essere più efficienti ed espansive, o si moltiplicano i programmi teorici che domandano anehessi di essere giustificati realisticamente in quanto dimostrano di essere assimilabili dai movimenti pratici che solo cosi diventano più pratici e più reali » 3.

È nota la battaglia che Gramsci conduce per rivendicare al marxismo roriginalità, l’autonomia, l[...]

[...]solo cosi diventano più pratici e più reali » 3.

È nota la battaglia che Gramsci conduce per rivendicare al marxismo roriginalità, l’autonomia, l'autosufficienza di cuna vera e propria Weltund

1 M. Sp. 38.

2 M. S., p. 76.

3 M. S., p. 39.Mario Tronti

319

Lebenschauung, di una concezione generale del mondo e della vita. «La filosofia della prassi — egli dice — è nata sotto forma di aforismi e di criteri pratici per un puro caso, perché il suo fondatore ha dedicato le sue forze intellettuali ad altri problemi, specialmente economici... » \ Una trattazione sistematica della filosofia della prassi « deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolgere quindi coerentemente tutti i concetti generali di una metodologia della storia e della politica, e inoltre dell’arte, dell’economia, dell’etica e deve nel nesso generale trovare il posto per una teoria delle scienze naturali » 2. E infatti « ogni sociologia presuppone una filosofia, una concezione del mondo, di cui è un frammento subordinato » 3. La stessa dialettica, [...]

[...]eve necessariamente fallire e la sua sistemazione logica risulta apparente e illusoria. Fino ad allora non è possibile una esposizione formalmente dogmatica, stilisticamente posata, scientificamente serena 5. Ecco il motivo profondo che riesce a spiegarci la « forma » specifica che assume la ricerca gramsciana. Egli concepisce il marxismo come una teoria che è « ancora allo stadio della discussione, della polemica, dell’elaborarazione » 6 : ecco perché egli non si accinge a sistemare, a manualizzare questa teoria, ma si accinge soltanto a discutere, a polemizzare e quindi ad elaborare. Il marxismo può diventare una concezione generale del mondo, ma non lo è ancora diventata; può produrre una cultura di massa che abbia quei noti caratteri, ma non l’ha ancora prodotta; può rivendi
1 M. 5., p. 125. Il corsivo è mio.

2 M. S., p. 128.

3 M. S., p. 125.

4 M. S., p. 132.

s M. Sp. 131.

6 M. S., p. 131.320

I documenti del convegno

care una direzione egemonica nell’ambito dell’alta cultura, ma non l’ha ancora conquistata.

Il [...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Vita sfortunata di Ziu Marrosu Gangas vecchio orgolese in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]una caccia. Hanno ammazzato due mufloni e sei sette cinghiali. Dopo ce l’abbiamo cotto uno sotto terra, al fuoco.

Gli ha detto a Corbeddu: — Tu sei un grande capocaccia!

Allora passa un cinghiale, gli ho tirato e quello è morto.

— È un tuo degno alunno! — dice, CoiPodda.

E si è preso quello ancora. Poi si è andato e a noi tutti versava98

FRANCO CAGNETTA

tabacco, dinari, dicendo che quando veniva la combinazione, di scrivergli, perché amante di trovarsi a caccia.

Anche col Sindaco di Oliena abbiamo avuto di queste cacce. E una volta, rubate le pecore, viene lui e ci dice, tutto tranquillo:

— Vai a Mamoiada, va a tale casa. Gli porti queste pecore.

E ci danno vino, tabacco, munizioni. E quando ci ha visti ci ha detto :

— Prendete una pecora.

E così ce l’abbiamo mangiata subito, insieme.

Adesso vi dico la prima rapina grave che mi hanno imputato. Era la famosa rapina di Tortoli, il 1° ottobre 1899, in casa del fratello del vescovo De Pau di Lanusei, che duecento o trecento latitanti si presero tutto Toro, d[...]

[...]ina grave che mi hanno imputato. Era la famosa rapina di Tortoli, il 1° ottobre 1899, in casa del fratello del vescovo De Pau di Lanusei, che duecento o trecento latitanti si presero tutto Toro, dieci casse, e sgozzarono un servo. Anche un latitante fu lasciato senza la testa e le mani, tagliate, per non farlo conov scere.

Io ero in età di soldato e vado a farlo. In fortezza al 28° artiglieria. Ho avuto fortuna e fatto due anni invece di tre, perché ho tirato un numero alto. Tornavo proprio il giorno prima di quella rapina. Ma ora mi penso che ero a Bologna, il 1° ottobre 1899.

Mi mettono dentro mentre ero in Fundales di Sopramonte, a « Osporrai », coi maiali. Vengono sopra i carabinieri, quattro o cinque, ed io scappo. Sono caduto e mi acchiappano. E allora mi portano a Oliena e a Nuoro. Dopo un paio di giorni viene il giudice istruttore:

12 o 13 capi di accusa. Quello che li stuzzicava era il fatto di Tortoli. Mi fanno lavorare:

— Dite la verità. Con chi stavate il 1° ottobre, in rapina di Tortoli ?

Cera accanto un mio pare[...]

[...]onosceva dal vestire).

— Di Orgosolo.

— Dite — dice. — Non per male. Ma dove eravate la notte tale, ad ora tale.

— A casa mia. « Porca miseria — penso io. — È un gendarme ».

Gli dico a tale e tale posto.

— Non è vero! Tu ti trovavi fuori dalla tua abitazione, dalla parte di ***.

Io dico : — Sì. Può essere — e stavo per mettere la mano al coltello.

Allora chiama sua figlia e le dice: — Nina, ti ricordi di quest’uomo?

— Sì, perché c’era un raggio di luna e l’ho conosciuto in volto.

Porca madonna, stavo proprio per dare un colpo!

— Ci avete fatto bene — dice l’uomo. — Non temete. Bevete ora e grazie, grazie davvero.

Allora gli ho manifestato e siamo stati amici. Tanto tempo.

Una volta, invece, vado a rubare maiali senza prenderne uno solo per me. La sola volta che è successo. Questa volta mi viene un uomo102

FRANCO CAGNETTA

in casa. E siamo soli. Mi dice che c’è un suo cognato che ci ha perduto tutto il gregge.

— È possibile? — dico io.

— Sì. È stata la mancanza di erba, di acqua. E poi la volpe[...]

[...]mo come vivi.

Dicono: — Bene. — E tutti d’accordo siamo andati prima a casa di un mio zio. Ci avevamo la faccia con un po’ di nerofumo e un fazzoletto scuro. Andiamo a mezzanotte e bussiamo.

— Come vi chiamate?

— Mi chiamo Gangas Luigi. Faccio il pastore.

— Adesso vi prendiamo e vi portiamo al cimitero. Siamo anime dannate.

Incomincia a gridare, a chiamare la moglie.

— Beh, che ci avete di bevere?

Tirano un po’ di vino.

Perché adesso ci avete calmato il fuoco d’inferno che ci brucia partiamo. Torneremo domani.

Si son chiusi in casa e li abbiamo sentiti pregare.

Andiamo allora in casa di un altro vicino e gli chiediamo:

— Diteci il vostro nome. E dite, poi, chi siete.

— Puddighino Antonio Michele. Son porcaio.

— Voi siete avvisato a morire. Siamo le anime d’inferno.

— O Dio mio, Dio mio. Pietà, pietà!

— O morite di volontà vostra o vi facciamo ammazzare.

— Dite un poco. C*è anche un mio parente, tale, là dove siete?

— Altro che! Ma si vede poco.

Allora, per la contentezza, si è dimentic[...]

[...]omo.

— Quell’uomo sarai te.

10 mi interesso solo di pecore, non di omicidi. E quel colpo dato non era di pecoraio, era di capraio. Come era. E così poi lo hanno arrestato: pastor capraro.

Coi carabinieri, del resto, ci ho avuto sempre dispiaceri. Sono stato abituato, sin da piccolo, a guardarli con sospetto. Quando gli potevo dare una via falsa per cercarvi latitanti, o anche per gusto, lo ho sempre fatto. Non mi sbaglio contro di loro, perché lo ho provato su me stesso.

Una volta tornavo a casa, un poco ubriaco. Trovo due carabinieri. Uno era un certo Crapoledda di Putomajore. Mi sono messo a parte.

— Fermati!

L’altro carabiniere se ne è andato.

— Oh, sei tu, Ganga — dice Crapoledda. — Andiamo. Qui ci vogliono due maiali. Andiamo a rubarli insieme.

— Guarda, Crapoledda, che non mi inganni. Pure io ci ho la mia parte.

Quanto era buono, porca madonna!

Subito l’ho preso. Siamo andati e, con queste braccia, gli colgo due maiali. Li portiamo a casa: li abbiamo ammazzati e li puliamo bene bene.

La mattina viene C[...]

[...]ove le aveva nascoste; quando un pastore rubato veniva nel nostro inferno potevamo dirgli dove le pecore stanno e quanto doveva pagare: la percentuale, in carne o in soldi, veniva a noi.

Non ci siamo messi d’accordo solo per il prezzo, e allora si son presi uno di Oliena, un certo ziu Piraele. Stava in casa e faceva il capodiavolo che parlava : lo ha fatto tanti anni. Ma è una fortuna che non110

FRANCO CAGNETTA

mi son messo a farlo io, perché, per poco, non stava davvero per andar a Satana.

Viene un giorno uno di Oliena, un suo paesano, e, alPimprovviso, mentre quello stava a mugghiare e grugnire, quello lo ha conosciuto Piraele e non demonio.

— Chi sei tu?

— Io sono Satanasso.

— O, tu sei Piraele, mio paesano.

— Stai zitto, stai zitto.

E quello: — Ti sparo — e ha preso il fucile.

— No, no. Per pietà. Non sparare. Io sono Piraele. Ma lasciami vivere, guadagnarmi il pane. Sono un povero diavolo.

Quello lo ha lasciato e si è messo davvero in mezzo Satana. Perché ne hanno mandato così più di uno alla rovina. U[...]

[...]no, e, alPimprovviso, mentre quello stava a mugghiare e grugnire, quello lo ha conosciuto Piraele e non demonio.

— Chi sei tu?

— Io sono Satanasso.

— O, tu sei Piraele, mio paesano.

— Stai zitto, stai zitto.

E quello: — Ti sparo — e ha preso il fucile.

— No, no. Per pietà. Non sparare. Io sono Piraele. Ma lasciami vivere, guadagnarmi il pane. Sono un povero diavolo.

Quello lo ha lasciato e si è messo davvero in mezzo Satana. Perché ne hanno mandato così più di uno alla rovina. Un pastore di Fonni si è venduto sino all’ultimo pelo di pecora, e pure la casa.

Le cose non mi andavano più bene. E intanto gli anni passavano. Decido così di andare all’America, e questa volta con certi sardi che pensavano a tutto per le carte e per il resto.

Il 1910 parto e il viaggio — Gesù — dura 15 o 16 giorni.

Arriviamo a un porto e c’era una isoletta con tanti tavoli per bere il vino. Finalmente.

Arrivo in America, del Sud, e sono stato a Buenos Aires, Cordova, Santu Agustinu, Toccumannu.

Sempre lavorando: alle ferrovie a co[...]

[...]ore. Bisogna prima pensare a farsi conoscere buttando il giorno prima uno straccio nostro, che il cane si abitua all’odore. Se non si ha tempo si deve pensare a calmarlo con il buttare un pezzo di carne, o meglio una polpetta avvelenata, o col cacciarli con qualche sasso o col fucile. In antico si faceva la presura : con parole o una pelle di gatto : e non è bene.

Ma un cane in proprio può servire, oltre che per difesa e contro i cani altrui, perché si può abituarlo a pigliare una pecora da un gregge, quella che gli indicate; e a guidare e a difendere tutto il gregge, quando è rubato.

È meglio fare la rapina mai in proprio territorio: si può essere conosciuti, e può essere un amico.

È meglio fidarsi dell’uomo coraggioso, sia compagno di rapina o rapinato, che del vile. Non si sa mai che cosa, per viltà, può fare: o vi uccide o, per sbaglio, potete ucciderlo. E siete nei guai.

All’invenzione di ciascuno è affidata, di volta in volta, la riuscita. E tutti i trucchi sono buoni per catturare le pecore, ma che siano grasse, belle: bi[...]

[...]ego, di Antonio Maria?

Ma ora passo ad un altro argomento più allegro che devo dire: i preti.

Io con i preti ci ho avuto sempre poco a che fare. E quelle volte che ci ho avuto a che fare con loro, soldi ne ho fatti. Sempre. Ce ne hanno tanti!INCHIESTA SU ORGOSOLO

121

Cera, all’esempio, un prete Tanno che mi dovevo maritare. Ci vado lì per questa storia. E lui mi dice:

— Beh, la sai la Dottrina?

— La Dottrina? \

— Sì.

— E perché?

— Se non conosci la Dottrina non ti posso confessare. E se non ti confessi non ti sposo.

— Allora — dico io — la so. Mi dia un libro.

Dice: — Sai leggere?

— Sicuro — dico io.

Lo dà.

— Ma, per favore, mi dia anche una lira per il tabacco. A leggere mi stanco, vado al sonno. E un sigaro sveglia.

Mi dà una lira: — Ritorna domani!

Mi ha dato tre giorni di tempo. Mi tengo il libro. E dopo quei giorni mi vede:

— E il libro?

— Ohi, ohi, ohi! Me l’ho perso in campagna. Avevo fatto una baracca di frasche. Si prende il fuoco e il libro si è bruciato.

— O Maria Santissi[...]

[...]e cosa ha fatto?

— Se ne è andato via, ma non poteva più abbaiare.

— Beh, beh. Seguite a bevere.

— Adesso, dunque, vi racconto un altro fatto.

— Ma uno vero, uno vero. Per la mia predica.

— L’altro giorno — dico —i, vedete, esco e trovo un altro cane. Lo abbiamo preso in tre o quattro e lo abbiamo spellato e pulito proprio bene. È uscito vivo. E andava borbottando.

— O mamma mia, Dio mio, questo è peccato!

E questo era vero: perché quel cane lo ho scorticato vivo. Se ne è andato, il cane, e torna a casa sua : quando è tornato i padroni di casaINCHIESTA SU ORGOSOLO

123

tutti spaventati! Non sapevano come è stato questo fatto. E il cane è stato vivo 4 o 5 giorni ancora. Perché lo ho fatto? Per passatempo.

Un’altra volta, ora, ero ad un paesotto che si chiama Lollove un padre, un Frate. E diceva sempre di sé: io ho un cane come nessuno. Questo cane era un cane di vaglia: abbaiava e mozzicava pure solo!

Dico io: — Vuole scommettere che il cane con me non è buono ad abbaiare?

— Beh — dice. — Dieci lire. Scommetto. Dieci lire.

Il cane era dentro. Io mi metto a pochi passi e gli faccio la presura. Gli ho legato la lingua. Mi avvicino e non abbaia.

Appena visto questo il prete si alza e mi dice spaventato: — Avete qualche segreto. Me lo dovete dire, che so[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Perché, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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