Brano: [...]coculturale di quell'opera, in pagine nelle quali l'istanza viva del crocianesimo
— la ricerca della poetica o no del teatro pirandelliano — si arricchisce di altre istanze tipicamente gramsciane, ed il giudizio estetico
poesia o non poesia — si inquadra in un sistema piú largo di giudizi storicoculturali: « il Pirandello si è fatta una concezione della vita e dell'uomo, ma essa è " individuale ", incapace di diffusione nazionalepopolare, che però ha avuto una grande importanza " critica ", di corrosione di un vecchio costume teatrale » 5; e ancora: « il suo teatro vive esteticamente in maggior parte se " rappresentato " teatralmente,
e se rappresentato teatralmente, avendo il Pirandello come capocomico
e regista. (Tutto ciò sia inteso con molto sale)» 6.
Giudizi letterari cosí articolati e distesi non sono però frequenti, e sarebbe difficile, chi si fermasse ad essi, collocare Gramsci tra i critici letterari o parlare di una sua importanza nella storia della nostra critica letteraria.
1 L. V. N., p. 46 sgg.
2 M. S., p. 199.
3 L. V. N., p. 281 sgg.
4 L. V. N., p. 283 sgg.
5 L. V. N., p. 46.
8 L. V. N., p. 53.
Giuseppe Petronio 225
Ma la critica letteraria non consiste soltanto in quel giudicare puntuale e concreto di cui si diceva; che è anzi, questo, come l'ultimo atto, conclusivo, di un lavoro lungo e complesso al quale attendono o collaborano piú specialisti, ognuno con un suo compito prec[...]
[...]e, originali, del pensiero di Gramsci.
Della lezione crociana era rimasta viva in Gramsci l'esigenza di non perdere mai di vista la natura particolare, specifica, dell'opera d'arte, quella natura formale nella quale consiste lo specifico artistico. Nelle note che già abbiamo citate su Pirandello egli insiste continuamente: « Ma in ogni modo rimane da studiare: 1) se esso è diventato arte in qualche momento, ecc. ecc. » 1; « Quello che importa è però questo: il senso criticostorico del Pirandello, se lo ha portato nel campo culturale a superare e dissolvere il vecchio teatro tradizionale, convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica, imputridito nella muffa della vita regionale o di ambienti borghesi piatti e abiettamente banali, ha però dato luogo a creazioni artistiche compiute? » 2. E nelle note raccolte nelle prime pagine di Letteratura e vita nazionale, che sono lo sforzo piú organico del Gramsci per una teoria dell'arte e della critica, questa preoccupazione è costante: « Due scrittori possono rappresentare (esprimere) lo stesso momento storicosociale, ma uno può essere artista, e l'altro un semplice untorello » 3; « Ciò che si esclude è che un'opera sia bella, per il suo contenuto morale e politico, e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato » 4. Dove vi è certo la lezione crociana[...]
[...], p. 50.
2 L. V. N., p. 49.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 11.
228 i documenti del convegno
gretto positivismo che l'Estetica del Croce aveva dissolto; ma vi è anche la lezione fruttuosa del De Sanctis, e vi è lo spirito del piú serio marxismo che, con Marx ed Engels, aveva anch'esso continuamente messo in guardia dal sociologismo, dalla confusione tra contenuto e forma, dal passaggio meccanico dal giudizio storico al giudizio estetico'.
Però le stesse frasi che ho citate, e altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondamentale importanza ad intendere Gramsci: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci) » 2; un passo riassuntivo e incisivo, in cu[...]
[...]erto, Gramsci sa bene che tale è sempre la critica, anche quando affermi o creda di essere oggettiva, al di fuori o al di sopra della mischia. E comincia infatti proprio da lui quello « smascheramento ideologico » del Croce che si è da poco ripreso e che occorre condurre fino in fondo 4; Gramsci, cioè, sa bene che il Croce è il critico di una « fase difensiva » non piú « aggressiva e fervida », o, diremmo noi, che con lui, il piú intelligente e operoso dei conservatori italiani, la critica letteraria si afferma autonoma, non impegnata, formale, perché solo cosí, in una falsa oggettività, isolando il critico, come l'artista, in una torre d'avorio, essa può servire la causa della conservazione culturale e politica: negare la
L. V. N., p. 9.
2 L. V. N., p. 11.
3 L. V. N., p. 7.
4 Cfr. soprattutto E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955; M. ABBATB, La filosofia di B. Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, per cui mi permetto rinviare ad una mia recensione in Mondo operaio, IX, 1956, n. 3.
Giuseppe Petronio 23[...]
[...] per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 17.
2 Per quanto segue mi permetto rinviare ad un mio saggio « Di che fanno la criticai critici? », in Mondo operaio, IX, 1956, fasc. 89.
Giuseppe Petronio 233
storia italiana era stato il suo carattere classista, il non essere popolare
e nazionale, dove però popolare aveva il significato preciso, di classe, che poteva dargli on socialista o comunista educatosi su Marx ed Engels
e tempratosi nelle lotte operaie.
La differenza è radicale, e non solo da un punto di vista ideologico; ché anche qui è possibile osservare come una differenza ideologica divenga immediatamente differenza formale, tecnica, sicché la diversa visione storiografica comporta uno spostamento di accenti in ogni giudizio, e apra prospettive nuove, e determini una problematica fino allora nemmeno intravista.
Indicare nei suoi particolari questa problematica gramsciana non è com[...]
[...]so il De Sanctis, senza forse una precisa coscienza; le aveva escluse coscientemente il neoidealismo italiano, che aveva affermato con orgoglio i diritti della propria classe, sola protagonista di storia. Ora invece queste classi subalterne invadono se non il proscenio lo sfondo; non parlano qualche volta, ma la loro muta presenza colorisce e qualifica il dramma che si svolge piú avanti, cosí come il Convitato di pietra per essere muto non resta però estraneo al dramma, che egli condiziona con la sola sua ombra.
Ecco, allora, che nelle pagine dei Quaderni del carcere è una miniera inesausta di spunti e di temi, altamente suggestivi i piú, che Gramsci ha potuto accennare e porre, non svolgere, ma che affascinano oggi il
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nostro intelletto, e la cui soluzione potrebbe arricchire la nostra visione della storia letteraria italiana. Si pensi, per un esempio solo, all'attenzione rivolta a certe forme popolari d_ letteratura, quali il romanzo d'appendice 1, la bellettristica 2, e si rifletta come, ancora una volta,[...]
[...] del carattere della sua poesia, e spiegherà meglio, o in modo diverso, i caratteri formali dell'opera sua. II che significa poi rivalutare la critica letteraria sottraendola all'arbitrio deI gusto individuale per farne, invece, un'espressione delle grandi correnti culturali e ideali.
Cosí gli appunti o spunti sparsi di Gramsci sono assai suggestivi non solo per lo storico letterario, ma anche per il critico autore di monografie (di monografie, però, idealmente sciolte, sempre, in una storia coerente ed organica!), inteso a studiare questo o quello scrittore. Valga qualche esempio a chiarire.
Manzoni interessò Gramsci soprattutto per la parte ch'egli ebbe nella annosa « questione della lingua » e per quanto poteva giovargli a delineare quella storia dei gruppi intellettuali italiani che era tra le sue ambizioni maggiori. Manzoni, cioè, lo interessò soprattutto per la sua posizione ideologica di « moderato » e di cattolico; e per questo egli studiò seriamente l'atteggiamento psicologico dello scrittore nei riguardi dei suoi personaggi « [...]