Brano: [...]ui l'incoerenza è aggravata dalla ricchezza stessa: Marchesi è tra queste ultime [...] Sarebbe strano che noi dovessimo ricorrere a forzature unitarie proprio nell'interpretare Marchesi, che fu cosí attento alle inquietudini, alle incoerenze, alle contraddizioni dell'animo umano. Neppure nel giudizio morale, per es. a proposito dei giuramenti prestati alla monarchia e poi al regime fascista o della sua permanenza nel rettorato dell'Università di Padova sotto la repubblica fascista, è lodevole ricorrere a for
* A. LA PENNA, Concetto Marchesi: la critica letteraria come scoperta dell'uomo; con un saggio su Tommaso Fiore, Firenze, La Nuova Italia (« Biblioteca di cultura », 152), 1980, pp. 138.
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zature per giustificare tutto: guardiamo Marchesi come egli guardò Seneca, cercando di capire, non di condannare o giustificare tutte le sue debolezze. Chiunque discute di queste cose, dovrebbe prima leggersi il suo saggio su Seneca.
Ogni studio critico, ma piú che mai uno studio su una personalità di questa natura, esige da[...]
[...] presa di contatto col marxismo (cfr. La Penna, p. 13). Ancor maggiore è l'estraneità a quell'indirizzo filologico « wilamowitziano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marchesi il fatto poetico ha i propri antecedenti solo nell'esperienza sentimentale, nella psicologia e nella biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
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fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filol[...]
[...]gia, Città di Castello 1914; maggiore consapevolezza dell'ufficio di prima approssimazione a cui la traduzione deve limitarsi è nella prefazione al Bellum Catilinae di Sallustio, Messina 1939, p. v.). Su Marchesi mediocre traduttore in versi, ottimo in prosa (e ben presto egli predilesse la prosa, discostandosi dalla linea RomagnoliBignone), cfr. LA PENNA, p. 37 s. e, piú ampiamente, E. PIANEZZOLA nel vol. collettivo La traduzione dei classici a Padova, Padova, Antenore, 1976, p. 23 ss. Fra le poche traduzioni in versi riuscite, giustamente il Pianezzola (pp. 3638) cita e riporta la monodia di Tieste nell'omonima tragedia di Seneca e una parte del coro delle Troades sulla morte come annullamento.
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incomprensione, credo anche antipatia personale. Forse l'unica allusione a Pasquali (finora, che io sappia, non notata) si trova appunto in Filologia e filologismo, e riguarda ancora quella che a Marchesi sembrava una stortura nella moderna ricerca delle fonti, il voler rintracciare fonti diverse dalle poche dichiarate e confessa[...]
[...] l'amicizia di religiosi, lo spinse piú volte a cercare pace e solitudine in monasteri, pur non facendolo mai deflettere dall'ostilità piú fiera per il cattolicesimo politico, per la Chiesa ufficiale alleata degli oppressori e degli sfruttatori. Di ciò hanno scritto ampiamente, con sostanziale veridicità, due studiosi cattolici, Pietro Ferrarino (Religiosità di Marchesi, ora in appendice a SM, III, p. 1331 ss.) ed Ezio Franceschini (C. Marchesi, Padova, Antenore, 1978, pp. 121 ss., 129 ss.). Ma il Ferrarino, piú sobrio e obiettivo pur nella sua chiara professione di cattolicesimo, si è fermato a tempo, non ha voluto dimostrare l'indimostrabile sugli ultimi istanti di vita di Marchesi; il Franceschini, non per quel meschino spirito di speculazione che ha indotto tanti clericali a inventare conversioni all'ultima ora, ma per una sofferta esigenza di sapere « salvato » il maestro e amico da lui amato con tanta dedizione, ha dato per dimostrata, in piena buona fede, una conversione che, da tutto ciò che sappiamo, non risulta documentabile 2. Ci[...]
[...]nto che piú importa a Marchesi: « Con uguale risolutezza procede la politica unitaria provinciale che tende ad associare l'Italia alle provincie
e a costituire il grande impero romano al posto di quello Stato cittadino che vedeva nelle provincie un semplice campo di sfruttamento » (Storia, i', p. 356). E in un discorso su Augusto tenuto nel 1938 (l'anno del bimillenario augusteo; edito nella collana di « Opuscoli Accademici » dell'Università di Padova, ripubblicato poi nel Cane di terracotta) il giudizio è ancor piú elogiativo. Dove La Penna ha senz'altro ragione, è nell'osservare che
« nella poesia augustea gli aspetti romani, "imperiali", non sono affatto sopravvalutati » (p. 76 s.); non lo sono neanche nel discorso del 1938. Ma, appunto, se alla poesia non competeva di trasformarsi in celebrazione retoricopatriottica, l'u o m o politico Augusto compiva, senza bisogno di Odi romane e di Carmi secolari, il suo compito di dissolutore dello « Stato cittadino », e in quanto tale preparava il terreno alla poesia puramente umana.
La difesa [...]
[...] altro dovrà avvenire il contrario; e molti resteranno i punti dubbi, nei quali, come dice La Penna (p. 101), « non si sa se attribuire la lezione a un errore di scriba o all'estro del retore ». Ma l'edizione di Marchesi rimarrà sempre una tappa molto importante negli studi arnobiani.
Io suppongo che quella che ho chiamato la sprovincializzazione filologica (e linguistica) di Marchesi si debba anche all'influsso degli allievi dell'università di Padova, di uno soprattutto, il solo vero allievo che Marchesi abbia avuto, Ezio Franceschini, che è poi diventato un insigne medievalista. Franceschini ha sempre parlato di Marchesi come di un maestro « irraggiungibile », che, nonostante la grande umanità e la sostanziale modestia, poco o nulla poteva imparare dai suoi scolari. Tuttavia nel suo Marchesi il Franceschini ci ha narrato un episodio significativo (p. xit s.). Nel 1926, sul finire di una lezione sulla tradizione medievale dell'Etica Nicomachea (di cui si era occupato a lungo da giovane), Marchesi accenna a un testo, il
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