Brano: [...]li interessi, di cui sono gli esponenti, stavano agli antipodi. Ognuno sarebbe rimasto, per quanto é possibile, sulle sue posizioni, cercando di ottenere il massimo beneficio dalle circostanze occasionali. E cosí é andata. Parlare di un piano, in queste condizioni, sarebbe stato pura ipocrisia o demagogia. Al massimo, si sarebbe potuto parlare di intenzioni, lodevoli ma non impegnative.
In questo stato di necessità, il P.C.I., e analogamente il P.S.I., non volendo far naufragare l'esperimento Milazzo, avevano poco da scegliere. Non potevano varare quel piano di rimodernamento dell'agricoltura che, fino a quando erano stati all'opposizione avevano additato come una lontana speranza, ma che, essendo sia pure indirettamente al potere, avrebbero dovuto formulare con impegni e scadenze precise. Dovevano quindi, per forza di cose, accontentarsi di 'esercitare quel tanto di autorità che avrebbe consentito di esaudire almeno in parte ciò che il loro elettorato si attendeva da essi. Ma non era molto; e soprattutto non era sufficiente a produrre que[...]
[...] dei contadini siciliani che è una necessità improrogabile per l'isola.
Visto che con quella maggioranza si è dimostrato impossibile impostare un piano, tecnicamente preciso e politicamente realizzabile, vien da chiedersi se ce ne sarebbe un'altra più omogenea per un programma di rinnovamnto dell'economia agraria. L'impressione, finché si rimane nel campo delle ipotesi, è positiva; in sostanza i dirigenti dei principali partiti — D.C., P.C.I. e P.S.I. — non hanno un orientamento inconciliabile per quanto si riferisce allo sviluppo dell'agricoltura isolana. Anzi c'é da ritenere che se dai propositi di massima si passasse allo studio delle trasformazioni e riconversioni colturali, dell'incremento e miglioramenti della zootecnia e della riforma del credito agrario, si intenderebbero piú facilmente. Sono i rapporti tra i partiti che ostacolano, per altre ragioni, l'elaborazione e l'accordo su un programma di rimodernamento agrario e non viceversa.
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Sta di fatto, però, che tale programma è ancora nel[...]
[...]tecatini, ,o della Sincat, non possono risolvere il probelma della disoccupazione siciliana; possono stimolare con la loro presenza uno sviluppo produttivo che dovrebbe elevare al massimo l'occupazione. Il loro contributo alla soluzione del problema è più efficace come concorso indiretto che come apporto diretto. Non ci si deve attendere quindi miracoli da Gela : gli esperti non prevedono più di 3000 assunzioni. _
A questi ridimensionamenti psicologici si aggiungono alcune riserve circa altri aspetti del progetto. Tra le critiche che ad esso vengono mosse due sembrano meritevoli di confutazione nell'interesse della Sicilia. Si osserva che il progetto prevede la costruzione di un porto a Gela, a carico della Regione. Quanto verrà a costare quest'opera? Dieci miliardi, secondo alcuni, 20 secondo altri. E una cifra piuttosto grossa, se si pensa alle altre opere non meno necessarie e urgenti che gravano sul bilancio siciliano. Si osserva inoltre che l'entrata in funzione del complesso di Gela potrebbe aggravare la crisi nel settore dell[...]
[...]scono al monopolio. Bisogna poi tener presente che i siciliani sono molto intelligenti, ma anche diffidenti. Un silenzio di tomba in una materia così delicata, quaIe é quella di promuovere e finanziare attività industriali che possono, anzi dovrebbero, generare lauti profitti a beneficio di un certo numero di imprenditori, si presta a facili e pesanti sospetti.
Ma, lasciando da parte le considerazioni di ordine morale e le riflessioni di natura psicologica, vi è una ragione pratica che rende necessaria la rottura del silenzio. L'ex Presidente Milazzo, accogliendo la richiesta dei sindacati e del P.C.I., aveva annunciato la creazione di un Comitato incaricato di elaborare un piano di sviluppo economico e sociale dell'isola. E un piano del genere non avrebbe potuto certo tacere sui compiti spettanti alla Sofis.
Quali sarebbero state le linee fondamentali di questo piano non é dato sapere. Vari sono i problemi da risolvere e gli interessi da conci
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liare; ma alcune questioni pregiudiziali sembr[...]
[...]si era andata sgretolando e consumando negli ultimi anni: un'incarnazione più sveglia e dinamica, capace di utilizzare il suo atavico qualunquismo per sviluppare una politica spregiudicata nei metodi ma tenace nei fini.
Si é detto che la politica di questa destra era obbiettivamente di sinistra. Vero fino a un certo punto. Nella fase iniziale di convergenza autonomistica, il movimento di Milazzo può aver reso un prezioso servizio al P.C.I. e al P.S.I., in quanto ha impedito il ricostruirsi in Sicilia di una maggioranza dominata dalla D.C. e, di riflesso sul piano nazionale, ha alimentato la crisi della formula Segni. Ma per quanto si riferisce allo sviluppo dell'economia isolana, ed in particolare alla industrializzazione, non si può dire che vi sia mai stata una vera identità di obbiettivi fra le due ali su cui si reggeva il governo Milazzo. Al contrario, vi è sempre stato un inconciliabile contrasto. E ancor oggi, quel contrasto perdura: la partita, chiusa con la fine dell'esperimento Milazzo, rimane aperta all'interno della Sofis. Può d[...]
[...]ine politico o in spese improduttive.
Ciò sarebbe stato un disastro non solo per l'isola ma anche per coloro
che si sono addossati il compito di liberarla dalla sua dolorosa arretratezza. Per il P.C.I. era necessario che l'esperimento Milazzo avesse esi
to positivo; ed era necessario che lo avesse avuto al più presto. Altrimenti le speranze suscitate dal risveglio autonomistico si sarebbero tradotte in amaro e sfiduciato risentimento.
Per il P.S.I. il problema era ancor più delicato. Avendo appoggiato, sia pur con qualche riserva ed esitazione, l'esperimento Milazzo, i socialisti comprendevano che non avrebbero potuto sottrarsi alle conseguenze di un eventuale insuccesso. Anch'essi, per la partecipazione indiretta al potere, si sentivano impegnati ad impedire il fallimento di un tentativo di progresso accelerato sul piano regionale. Per il P.S.I. che è, in campo nazionale, assertore dell'alternativa democratica, si poneva, però, l'imbarazzante dilemma se considerare o no la formula siciliana come una esemplificazione della prospettiva additata al paese. La politica di Milazzo — ci si chiedeva — era quella che si sarebbe voluto riprodurre al livello del governo nazionale? Palermo sarebbe dunque stato un banco di prova per ciò che si sarebbe dovuto ritentare a Roma. Ma il P.S.I. ha sempre esitato a considerarlo tale e non si è fidato di dare quell'esperimento a modello per il resto del paese.
Ancor più impacciata e preoccupata è stata la D.C. La frazione che
da essa si era distaccata per dar vita al movimento di Milazzo non era
quella che aveva dimostrato in precedenza di avere una propensione
per l'apertura a sinistra. Al contrario era sostanzialmente l'ala conser
vatrice del partito, allarmata dai propositi e soprattutto dai metodi di Fanfani e dei fanfaniani. Andandosene, quella frazione spostò l'equilibrio interno della DC. siciliana, che si venne a trovare [...]