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Il segmento testuale P.P. è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 18Analitici , di cui in selezione 2 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Luigi Salvatorelli, L'azione cattolica in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]ato chiamato il Papa dell'Azione cattolica, ch'egli diceva « pupilla dei suoi occhi ». Acquista, dunque, un valore particolare la definizione che di essa egli ebbe a dare: «la partecipazione dei laici all'apostolato gerarchico della Chiesa » Questa definizione il pontefice riteneva di averla formulata «non senza divina ispirazione»; e precisò di essersi ispirato «ai testi della Sacra Scrittura », cioè a un passo dell'epistola di San Paolo ai Filippesi (IV, 3): «aiuta quelle che lavorano con me nel Vangelo ». Come si vede, San Paolo parlava di donne. La partecipazione dei laici all'apostolato si estende adunque ad ambo i sessi: come, infatti, risulta dalla struttura dell'Azione Cattolica italiana. Tutto ciò si accorda con l'altro richiamo, fatto per essa da Pio XI, al « sacerdozio universale » dei cristiani. Richiamo che forse sorprenderà chi é abituato alla netta, rigorosa distinzione, caratteristica del cattolicesimo, fra clero docente, e popolo, o laicato, discente. Beninteso, nel pensiero del pontefice non c'era nessuna contraddizion[...]

[...]ocente, e popolo, o laicato, discente. Beninteso, nel pensiero del pontefice non c'era nessuna contraddizione fra i due principi, sacerdozio universale del popolo cristiano e clero gerarchico: in quanto che il primo non può né deve essere esercitato se non secondo i dettami del secondo.
L'Azione cattolica, dunque, si proclama antica quanto il cristianesimo. Qui, però, prima di andar più avanti, occorre una distinzione. cc Azione cattolica» ha doppio senso e impiego. La si può intendere secondo il senso letterale del sostantivo astratto «azione »: e allora essa indicherebbe qualsiasi attività svolta da cattolici a pro del cattolicismo. Ma la si può anche riferire — e questo é íl caso piú frequente, soprattutto in Italia a una organizzazione concreta, a un istituto particolare, fattore o dirigente specifico di dette attività cattoliche. E ovvio, tuttavia, lo stretto legame fra i due significati: inquantoché di fatto non ogni e qualsiasi attività a pro del cattolicismo si indica delle autorità ecclesiastiche e dai cattolici militanti con[...]

[...]ività cattoliche. E ovvio, tuttavia, lo stretto legame fra i due significati: inquantoché di fatto non ogni e qualsiasi attività a pro del cattolicismo si indica delle autorità ecclesiastiche e dai cattolici militanti con il termine «Azione cattolica » preso
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nel primo senso; bensì, certe attività specifiche, caratterizzate e unificate da uno spirito e da un obbiettivo comuni: caratterizzazione e unificazione che è, per l'appunto, cómpito dell'Azione cattolicaistituto di assicurare.
La caratterizzazione dell'Azione cattolica quale partecipazione laicale all'opera di apostolato del clero é stata fatta propria, e sistematicamente ripetuta, dal successore di papa Ratti, Pio XII, nonché dalle alte gerarchie cattoliche di ogni paese: ed ha avuto la sua proclamazine « urbi et orbi » nel primo « Convegno mon diale per l'apostolato dei laici» tenutosi a Roma dal 7 al 14 ottobre 1951. Ad esso parteciparono — secondo i dati dell'Osservatore Romano — sessantaquattro paesi e trentacinque organizzazioni nazionali.
Il tema de[...]

[...]odotta dall'affetto alle cose proprie, dissimulato talora pericolosamente dall'attaccamento alla propria terra, alla propria organizzazione. E richiamò la necessità di non perdere un istante di vista alcuni motivi profondi di meditazione: l'u_ miltà di sentirsi nei ranghi, lo sforzo tenace, quotidiano, paziente, di vincere la contraddizione in cui il Salvatore stesso pose i suoi seguaci: « Voi siete nel mondo, ma non del mondo». Era una elevata applicazione del « medice, cura te ipsum », che il Veronese compieva in questo, che potremmo chiamare il suo canto del cigno quale Presidente dell'Azione cattolica italiana.
Al motivo della purificazione individuale, svolto prevalentemente dal Veronese, fu associato quello della spiritualità sociale da monsignor Cardijn, il fondatore della J.O.C. (« Jeunesse ouvrière chrétienne »), istituita nel Belgio ed estesasi felicemente alla Francia: organizzazione fondata sul principio della cristianizzazione del mondo operaio a mezzo degli operai. Mons. Cardijn, con frase suggestiva, definì il momento st[...]

[...]istituita nel Belgio ed estesasi felicemente alla Francia: organizzazione fondata sul principio della cristianizzazione del mondo operaio a mezzo degli operai. Mons. Cardijn, con frase suggestiva, definì il momento storico attuale «l'ora più missionaria della storia della Chiesa D. La trasformazione sociale, irresistibile e necessaria, crea problemi che non possono esser risolti senza una forza spirituale capace di assicurare, attraverso lo sviluppo della coscienza e della responsbialità, la dignità e la libertà dell'uomo. Questa forza spirituale è il cristianesimo. Occorrono cristiani che vivano intensamente il loro cristianesimo in tutta la loro vita personale, e rechino la testimonianza di Cristo e il messaggio della Chiesa in tutti i settori del mondo moderno.
L'arcivescovo di Bombay, mons. Gracias, introdusse addirittura il tema dell'unità mistica della Chiesa, come fondamento, impulso e regola dell'apostolato laico nel quadro dell'obbedienza alle gerarchie. Tutti gli individui battezzati formanti la Chiesa sono uniti in un organi[...]

[...]ovo ordine tanto più si sarebbe potuto dire cristiano quanto maggiormente riuscisse a promuovere, nella giustizia, il bene degli individui e della collettività.
Credo, dunque, di non essere stato interprete infedele di queste affermazioni del cardinal Caggiano e del signor Flory — e più in generale dello spirito dominante nel congresso allorquando, nella Stampa del 14 ottobre 1951, scrissi che da queste affermazioni l'ordine sociale cristiano appariva tt non come costruzione,
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dal di fuori e dall'alto, di forze confessionali, ma come il prodotto organico di una società penetrata dello spirito cristiano ». Seguitavo: «Una concezione simile non richiede, anzi esclude, politiche confessionali, privilegi ecclesiastici, invocazioni o aspirazioni verso un «braccio secolare» interveniente a mantenere l'unità della fede, manifestate fra noi anche recentemente da voci considerate assai autorevoli. Una concezione simile richiede semplicemente un regime di legale e legalmente protetta libertà; e conferma pertanto in pieno [...]

[...]mo scritto su queste colonne: la difesa della libertà e della democrazia é anche la salvaguardia migliore degli interessi religiosi e morali. Quanto é accaduto e accade al di là della cortina di ferro é la riprova di fatto di questa verità fondamentale. S'intende bene che la difesa della libertà e della democrazia noi non la chiediamo all'apostolato dei laici e all'Azione cattolica. Ci auguriamo invece che l'uno e l'altra si ispirino, sempre e dappertutto, ai principe formulati in questo solenne convegno, secondoché abbiamo fedelmente riferito qui sopra. E siamo sicuri che in tal caso si avrà armonia di spiriti e concordanza di interessi fra società religiosa e società civile ».
L'avvocato Veronese ebbe anche a dichiarare che non s'intendeva affatto istituire una organizzazione internazionale dell'Apostolato laico. V'erano bensì talune Federazioni particolari, principale quella degli intellettuali e degli studenti cattolici (« Pax Romana »).
* * *
E interessante confrontare con queste manifestazioni del Congresso l'allocuzione pronun[...]

[...] ». Questa fu l'origine di quelli che si chiamano i movimenti cattolici, i quali, sotto la condotta di preti e di laici, trascinano, con la forza dei loro effettivi compatti e della loro fedeltà sincera, la gran massa dei credenti al combattimento e alla vittoria.
Il tracciato storico é esatto: la prospettiva ricavatane dal Pon
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tefice per l'« apostolato laico » é alquanto differente da quella dominante al Congresso. Ciò apparirà più chiaro riconnettendo questa prima parte del (( messaggio» pontificio con l'ultima, in cui si parla de « il lavoro pratico che l'apostolato dei laici ha compiuto e compie attraverso il mondo intero in tutti i domini della vita umana individuale e sociale D. A proposito di tale lavoro, delle cui specie diverse è fatta una lunga enumerazione, Pio XII credeva di potersi felicitare con i congressisti «della vostra resistenza a quella tendenza nefasta, regnante anche presso taluni cattolici, la quale vorrebbe confinare la Chiesa nelle questioni puramente religiose, lasciando al di fuori l'[...]

[...]di lasciare libero il campo, per la direzione degli affari dello stato, agli indegni e agli incapaci D.
Qui, evidentemente, siamo al di là — molto al di là — di quelle idee di influenza consequenziale, di penetrazione morale, per la modificazione in meglio e la trasformazione della società civile e politica, di cui abbiamo inteso parlare al Congresso. All'efficacia indiretta, al risultato obbiettivo terreno dell'opera soprannaturale — il « soprappiù "» data, secondo il Vangelo, a chi cerca il regno di Dio — subentra qui l'azione diretta, il proposito preventivo, 1'« interventismo» politicosociale; anche se, prudentemente, il pontefice aggiunge che «é difficile formulare su questo punto una regala uniforme per tutti ».
Questi ammonimenti del pontefice sui pericoli di ogni concezione (( puramente religiosa » dell'Azione cattolica, non erano sulla
90 LUIGI SALVATORELLI
sua bocca cosa nuova. Già quattro anni innnanzi, per due volte nel corso di otto mesi, Pio XII aveva manifestato la stessa preoccupazione. Parlando il 22 gennaio 1947 ad[...]

[...]é difficile formulare su questo punto una regala uniforme per tutti ».
Questi ammonimenti del pontefice sui pericoli di ogni concezione (( puramente religiosa » dell'Azione cattolica, non erano sulla
90 LUIGI SALVATORELLI
sua bocca cosa nuova. Già quattro anni innnanzi, per due volte nel corso di otto mesi, Pio XII aveva manifestato la stessa preoccupazione. Parlando il 22 gennaio 1947 ad alcune centinaia di signore e signorine aderenti ai gruppi di « rinascita cristiana» — un movimento o una organizzazione cattolica italiana di cui non ci é accaduto in seguito di sentir menzione — egli aveva affermato risolutamente che «il voler tirare una netta linea di separazione tra religione e vita, tra soprannaturale e naturale, tra Chiesa e mondo, come se non avessero nulla a che fare tra loro, come se i diritti di Dio non avessero valore in tutta la multiforme realtà della vita quotidiana, umana e sociale, é completamente alieno dal pensiero cattolico, é apertamente anticristiano ». Aveva soggiunto che quanta più « oscure potenze » osi sforz[...]

[...]si nel mondo: quella del ritorno allo `spirituale puro'. E con ciò s'intende di confinarla rigorosamente sul terreno strettamente dommatico: l'offerta del Santo Sacrificio, l'amministrazione dei sacramenti, interdicendole ogni incursione, e perfino ogni diritto di esame, sul dominio della vita pubblica, qualsiasi intervento nell'ordine civile e sociale... Pareille vivisection est tout simplement anticatholique ».
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Occorre appena spiegare, per chi ha una qualche conoscenza di storia ecclesiastica, che simili affermazioni di papa Pacelli sono sulla linea tradizionale del cattolicismo romano (per quello grecoortodosso é un altro affare: e ciò spiega la facilità con cui la Chiesa russa ha fatto pace e alleanza col governo sovietico). All'indomani dei patti lateranensi io ebbi ad avvertire (cito da La Chiesa e il Mondo, Roma, 1948, p. 163 s.) « i termini errati nei quali é posto generalmente il problema delle relazioni fra la Chiesa (Cattolica) e lo Stato. Quasi tutti (comprendendo in questi «tutti» anche gli specialis[...]

[...]tà con cui la Chiesa russa ha fatto pace e alleanza col governo sovietico). All'indomani dei patti lateranensi io ebbi ad avvertire (cito da La Chiesa e il Mondo, Roma, 1948, p. 163 s.) « i termini errati nei quali é posto generalmente il problema delle relazioni fra la Chiesa (Cattolica) e lo Stato. Quasi tutti (comprendendo in questi «tutti» anche gli specialisti) sono ipnotizzati dalla visione di due entità di natura non soltanto diversa, ma opposta. La coppia Chiesa Stato viene identificata con quelle religionepolitica, coscienza intima e legge, spirito e materia. Ma la Chiesa cattolica romana ha ricusato sempre, e continua oggi a ricusare più energicamente che mai, di essere considerata come spirito puro; essa crede che questa condizione angelica convenga al mondo celeste, ma non a quello di quaggiù; essa vuol essere un'organizzazione materiale, giuridica, né più né meno dello Stato, mentre al tempo stesso si presenta come l'unica depositaria autorizzata del così eroicamente antigiu ridico Discorso della Montagna ».
Abbiamo inteso Pio XII ric[...]

[...]iesa il diritto — che scaturisce da quello stesso di Cristo — di ammaestrare il genere umano, dar leggi, governare i popoli per condurli alla beatitudine eterna. Dalla nuova festa di Cristo re il pontefice si riprometteva che gli uomini si rammenterebbero essere la Chiesa società perfetta, richiedente piena libertà e indipendenza dal potere civile nell'esercizio del suo ministero di insegnare, governare e condurre alla felicità eterna tutti gli appartenenti al regno di Cristo. La celebrazione della festa ammonirebbe altresì che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza non riguarda solo i privati, ma i magistrati e i governi.
All'ammonimento, si può giurare, governi e popoli non prestarono nessuna attenzione; e la quasi totalità dei fedeli, per primi, non comprese il significato della nuova festa, anche perché non lesse l'enciclica. Dicendo che Cristo era il reggitore dell'umanità non solo spirituale, ma temporale, e la Chiesa l'organo di questo suo reggimento, il pontefice faceva della regalità di Cristo il[...]

[...] tentando un breve schizzo di storia politicoecclesiastica del cinquantennio.
La successione, nel 1903, di Pio X a Leone XIII — il cui pontificato aveva raggiunto e superato i leggendari «annos Petri» — é forse il caso più favorevole per quello schema dell'alternanza fra papa politico e papa religioso il quale ebbe gran voga nel primo venticinquennio del nostro secolo. Ho detto altrove, più volte (particolarmente in «Ricerche religiose », 1949, pp. 163164), in che limiti la distinzione sia accettabile. Essa non implica che un papa «religioso» non tocchi a materie e interessi politici: cosa impossibile, dato l'intreccio dei rapporti sociali umani, e in particolar modo dato il carattere del pontificato romano. Significa invece, quella distinzione, che il papa religioso si comporterà, toccando il terreno dei rapporti con l'autorità civile, in modo diverso dal papa o politico ». La diversità potrà anche sboccare in una maggiore decisione, in una più spiccata intransigenza, in una «totalitarietà ». Ci potrà essere, sotto il papa «religioso », maggiore probabilità di conflitto fra Chiesa e Stato; e, ove i conflitti manchino, una preparazione bellicosa per i conflitti futuri. Con il pontificato di Pio X ci fu l'uno e l'altro: i contrasti con la. Francia, con la Spagna, con la Germania: ,e l'affermazione più risoluta che mai, in fatto e in diritto, del potere assoluto papale, così da potersi parlare di rin[...]

[...]lavorò a concentrare, a raccogliere in se stesso, ad isolare (potremmo dire) il cattolicesimo. Concentration et défense catholiques: con queste parole fu esattamente definita l'opera sua.
A Leone XIII non meno che a Pio XI spetterebbe il titolo di papa dell'Azione Cattolica. Potremmo dire che il primo é stato il fondatore, il secondo il restauratore (e il terzo, papa Pacelli, il trasformatore). L'« Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici rappresenta la prima organizzazione dell'Azione cattolica: si può in proposito consultare con profitto il libro del De Rosa, presso Laterza, L'Azione cattolica. Storia politica dal 1874 al 1904. L'a Opera dei Congressi » rispondeva piuttosto al principio, vigorosamente riaffermato adesso da Pio XII, dell'espansione della Chiesa dal santuario nel mondo civile, che non a quello dell'« apostolato laico» quale abbiamo visto predominare nel congresso omonimo. L'a Opera» — il cui titolo burocratico trovò censure nel campo dell'integralismo cattolico italiano — agiva principalmente nel campo economicosoc[...]

[...]sarono di
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fatto di esistere, data la nuova presenza della Confederazione italiana dei lavoratori (Confederazione « bianca ») — fondata formalmente nel 1918, ma avviata da molti anni prima dalle Leghe del lavoro cattoliche —, e del Partito popolare italiano, fondato nel gennaio 1919. Quest'ultimo raccolse sotto D. Sturzo, coi debiti adattamenti, l'eredità della democrazia cristiana murriana.
Il manifesto di fondazione del P.P.I. è del 18 gennaio 1919; il 30 gennaio usci il manifesto programmatico della riorganizzata «Unione popolare », presidente il Dalla Torre, passato poi alla direzione dell'Osservatore Romano. Era il tentativo di affermazione dell'Azione cattolica, distinta nettamente da qualsiasi partito politico (compreso il P.P.I.), come attività sociale cattolica secondo gli insegnamenti ecclesiastici e gli indirizzi della Santa Sede. L'anno dopo, il 29 aprile 1920, Benedetto XV disse ai congressisti dell'Unione popolare che solo questa faceva cc azione cattolica », mentre altre attività potevano essere «azione di cattolici »: chiara allusione alla C.I.L. e al P.P.I.
Sotto Benedetto XV, tuttavia, le relazioni — che di fatto non potevano mancare — col P.P.I., furono buone, pur mantenendosi la distinzione: e il principio di riorganizzazione dell'Azione, cattolica non trasse l'Unione popolare dall'ombra in cui l'avevano relegata le due istituzioni, politica e sindacale, « di cattolici ». La situazione cambia con Pio XI, concorrendovi in uguale o disuguale misura le tendenze del nuovo pontefice e gli avvenimenti politici italiani.
Pio XI, per mentalità e per carattere, aveva più di una affinità con Pio X; era tuttavia più «politico» e più colto di lui, e soprattutto al posto del pessimismo «contrattile» di papa Sarto portava un ottimistico espans[...]

[...]soprattutto al posto del pessimismo «contrattile» di papa Sarto portava un ottimistico espansionismo: rassomigliando piuttosto, per questo lato, a Leone XIII. Un tale stato di spirito ci sembra di ritrovare nella sua enciclica sulla Regalità di Cristo, che era potenzialmente (come si é accennato) tutto un programma di politica ecclesiastica.
Se per Benedetto XV l'Azione cattolica doveva mantenersi
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nettamente distinta dal P.P., ma senza nessuna, ostilità, per Pio XI questo partito sembra aver fatto figura di «terzo incomodo ». Gli interessi cristiani, l'espansione cattolica dovevano essere tutelati e promossi dall'Azione cattolica, cioè dalla Santa Sede e dall'episco pato, e da questi soltanto. I concorsi necessari sul terreno politico propriamente detto Pio XI li ricercava piuttosto, secondo le sue tendenze conservatrici e autoritarie, nell'intesa diretta coi governi: donde lo sviluppo grandioso da lui dato alla politica concordataria. L'offensiva, pertanto, del fascismo giunto al potere contro il P.P. lo lasciò i[...]

[...]na, ostilità, per Pio XI questo partito sembra aver fatto figura di «terzo incomodo ». Gli interessi cristiani, l'espansione cattolica dovevano essere tutelati e promossi dall'Azione cattolica, cioè dalla Santa Sede e dall'episco pato, e da questi soltanto. I concorsi necessari sul terreno politico propriamente detto Pio XI li ricercava piuttosto, secondo le sue tendenze conservatrici e autoritarie, nell'intesa diretta coi governi: donde lo sviluppo grandioso da lui dato alla politica concordataria. L'offensiva, pertanto, del fascismo giunto al potere contro il P.P. lo lasciò indifferente; e D. Sturzo fu pregato a un certo momento — anzi, in due momenti consecutivi — di trarsi di mezzo, per non recare danno alla religione e imbarazzi alla Santa Sede.
Dopo la soppressione delle libertà pubbliche, a cui il pontefice aveva assistito (per quanto possiamo giudicare da certi suoi atteggiamenti) con neutralità benevola, per non dire con qualche compiacenza, Papa Ratti giunse a concludere — in un triennio di approcci e di trattative iniziate, sospese e riprese — i Patti del Laterano; e la conclusione gli ispirò, insieme a qualche parola cruda all'indirizzo del prostrato liberalismo, il saluto all'uomo tc che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare D. L'art. 1 dello Statuto, riesumato e incluso nel Trattato, le trasformazioni cattoliche in certi istituti statali, anche fondamentali, e — last not least, davvero — la libertà e protezione legale assicurata all'Azione Cattolica gli parvero arra sicura per l'applicazione almeno in Italia del suo programma di riconquista della società a Cristo e alla Chiesa. [...]

[...]— i Patti del Laterano; e la conclusione gli ispirò, insieme a qualche parola cruda all'indirizzo del prostrato liberalismo, il saluto all'uomo tc che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare D. L'art. 1 dello Statuto, riesumato e incluso nel Trattato, le trasformazioni cattoliche in certi istituti statali, anche fondamentali, e — last not least, davvero — la libertà e protezione legale assicurata all'Azione Cattolica gli parvero arra sicura per l'applicazione almeno in Italia del suo programma di riconquista della società a Cristo e alla Chiesa.
Si vide ben presto l'incertezza di questa situazione ecclesiastica, riposante in sostanza su una carta «octroyée », cioè sul beneplacito di un regime discrezionale. E l'incertezza sboccò nel conflitto aperto, precisamente per l'Azione cattolica. Era questa l'unica forza sociale, organizzata indipendente che rimanesse in Italia fuori dell'ambito del fascismo. Appena essa accennò ad uscire, dalle chiese, dalle sagrestie, dai circoli edificanti e ricreativi, per agire nel mondo secondo le esigenze c[...]

[...]lmeno in Italia del suo programma di riconquista della società a Cristo e alla Chiesa.
Si vide ben presto l'incertezza di questa situazione ecclesiastica, riposante in sostanza su una carta «octroyée », cioè sul beneplacito di un regime discrezionale. E l'incertezza sboccò nel conflitto aperto, precisamente per l'Azione cattolica. Era questa l'unica forza sociale, organizzata indipendente che rimanesse in Italia fuori dell'ambito del fascismo. Appena essa accennò ad uscire, dalle chiese, dalle sagrestie, dai circoli edificanti e ricreativi, per agire nel mondo secondo le esigenze costituenti, all'occhio del pontefice, la sua stessa ragion d'essere, il fascismo reagì, secondo la sua natura, con la forza brutale. Il pontefice nell'enciclica «Non abbiamo bisogno» del 29 giugno 1931, prese posizione aperta contro pro
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cedimenti e principi fascisti; ma protestò anche allora di non voler condannare il partito e il regime come tali. L'accordo del 2 settembre 1931, terminante il conflitto, rappresentò una sostanziale vit[...]

[...]do le esigenze costituenti, all'occhio del pontefice, la sua stessa ragion d'essere, il fascismo reagì, secondo la sua natura, con la forza brutale. Il pontefice nell'enciclica «Non abbiamo bisogno» del 29 giugno 1931, prese posizione aperta contro pro
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cedimenti e principi fascisti; ma protestò anche allora di non voler condannare il partito e il regime come tali. L'accordo del 2 settembre 1931, terminante il conflitto, rappresentò una sostanziale vittoria fascista. L'A.C. era mantenuta, ma ne veniva allentata l'organizzazione nazionale e delimitata strettamente l'attività entro il campo puramente religioso, secondo il criterio che abbiamo inteso ripudiare da Pio XII. Due punti sottolinearono questa vittoria fascista: l'impegno di escludere dai dirigenti dell'A.C. coloro che avessero appartenuto a partiti avversi al regime; e il non aver rinnovato il pontefice le obbiezioni contro il giuramento delle organizzazioni giovanili. Rimaneva per il pontificato il vantaggio di aver mantenuto sostanzialmente i quadri dell'A.C., che a suo tempo avrebbero giovato per la ripresa in pieno non solo di questa, ma della D.C. Negli anni di buone relazioni che seguirono fin quasi alla vigilia della guerra — fra i due poteri, quel vantaggio fu bilanciato, e probabilmente superato, dal pregiudizio proveniente alla Chiesa per fatto dell'ambiente «clericofascista» creatosi in Italia: commistione [...]

[...]a» creatosi in Italia: commistione di ortodossia religiosa e di conformismo politico, rievocante i tempi di «Trono e Altare », ma senza il fondamento morale su cui aveva riposato quella antica associazione.
Negli ultimi anni di Pia XI tornò a manifestarsi un distacco fra la Chiesa o meglio, il pontefice personalmente — e il regime, distacco proveniente sostanzialmente dall'aver fatto il fascismo causa comune con il nazismo. Pio XI riaffermò l'opposizione di massima già formulata più volte contra i totalitarismi statali, ma adesso con aderenza assai più efficace alla situazione concreta. Rinacquero contrasti tra fascismo e A.C.
***
Questi contrasti rimasero lontani dalla gravita del conflitto del 1931: e a soffocarli contribuì la successione a papa Ratti di papa Pacelli, il quale desiderava vivamente la buona armonia col regime; e l'avrebbe desiderata anche con quello nazista, solo che Hitler ci avesse messo un po' di buona volontà (e non avesse scatenato la guerra).
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All'inizio, pertanto, del pontificato di P[...]

[...]siderava vivamente la buona armonia col regime; e l'avrebbe desiderata anche con quello nazista, solo che Hitler ci avesse messo un po' di buona volontà (e non avesse scatenato la guerra).
L'AZIONE CATTOLICA 99
All'inizio, pertanto, del pontificato di Pio XII non ci furono novità sostanziali per l'Azione Cattolica: se mai, una accentuazione del suo carattere ecclesiastico e locale (cioè, estraneo alla politica). Le modifiche ai suoi statuti, apportate nell'estate del 1939 dalla commissione cardinalizia preposta all'A.C. da Pio XII — al posto dell'alta direzione personale tenuta dal suo predecessdre — sancivano una più diretta assunzione del governo dell'A.C. da parte dei vescovi per le singole diocesi, e dei parroci per le singole parrocchie, con una trasformazione profonda degli organi direttivi centrale e diocesani: scomparivano il presidente generale (laico) e i presidenti (laici) delle Giunte diocesane. In quanto alla Commissione cardinalizia — il cui segretario (ecclesiastico) assumeva il nome di direttore nazionale dell'A.C. —,[...]

[...]izia — il cui segretario (ecclesiastico) assumeva il nome di direttore nazionale dell'A.C. —, essa si limitava alla nomina di certe cariche e all'emanazione eventuale di norme generali. Particolare caratteristico: alla «tessera» era sostituita la «pagella d'iscrizione », e gli «ascritti» prendevano íl posto dei « tesserati ». Se si legge con qualche attenzione il discorso del papa, il 4 settembre 1940 (l'Italia era entrata già in guerra), alle rappresentanze dell'Azione cattolica italiana, si avverte il carattere accentuatamente religioso, spirituale, trascendente della rappresentazione fatta dal pontefice dell'A.C.; nonché il vivo incitamento agli ascritti perché «rendano il debito rispetto e pre stino la leale e coscienziosa obbedienza alle Autorità civili e alle loro legittime prescrizioni », mentre di un'azione non diciamo politica, ma sociale (nel senso tecnico della parola), non é cenno.
Terminata la guerra, avviata e impiantata la riorganizzazione del paese, la scena cambia. Nel gennaio '46 una commissione episcopale, con a capo il patriarca di Venezia, card. Piazza, viene nominata dal Santo Padre per una nuova revisione degli statuti, che possiamo dire i[...]

[...]o tecnico della parola), non é cenno.
Terminata la guerra, avviata e impiantata la riorganizzazione del paese, la scena cambia. Nel gennaio '46 una commissione episcopale, con a capo il patriarca di Venezia, card. Piazza, viene nominata dal Santo Padre per una nuova revisione degli statuti, che possiamo dire in senso inverso di quella del '39. Una circolare della Direzione generale del 14 aprile 1946 indica una serie di postulati dell'A.C. in rapporto con la preannunciata nuova co stituzione dello stato italiano: la posizione del cattolicismo nella nazione, le relazioni fra Chiesa e Stato, la famiglia e la scuola, la politica sociale, quella internazionale, formano la materia di questi postulati. E alla fine si avverte che nella gara dei program
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mi politici «é doveroso dare la preferenza alla corrente che per il contenuto del suo programma e per le persone che lo sostengono offre le migliori garanzie di attuare una costituzione coerente con i principi cattolici ». Era con ciò stabilito il rapporto di appoggio e[...]

[...]Chiesa e Stato, la famiglia e la scuola, la politica sociale, quella internazionale, formano la materia di questi postulati. E alla fine si avverte che nella gara dei program
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mi politici «é doveroso dare la preferenza alla corrente che per il contenuto del suo programma e per le persone che lo sostengono offre le migliori garanzie di attuare una costituzione coerente con i principi cattolici ». Era con ciò stabilito il rapporto di appoggio e di controllo fra A.C. e D.C.
Il 12 ottobre 1946 — istituita già la repubblica, eletta ed entrata in funzione la Costituente — Pio XII nominò le cariche direttive dell'Azione cattolica italiana. Avv. Vittorino Veronese, Presidente Generale (con due vicepresidenti generali, maschile e femminile); prof. Luigi Gedda, Presidente centrale dell'Unione Uomini di A. C.; dott. Maria Rimoldi, Presidente centrale dell'Unione Donne di A.C.; prof. Carlo Carretto, Presidente centrale della Gioventù maschile di A.C.; prof. Carmela Rossi, presidente centrale della Gioventù femminile di A.C.; sig. Carl[...]

[...]ente centrale delle Universitarie di A.C.; prof. Giov. Batt. Scaglia, Presidente centrale del Movimento Laureati di A.C.; sig. Corrado Corghi, Presidente centrale del Movimento Maestri di A.C.
Questa enumerazione servirà a spiegare la struttura «orizzontale» dell'A.C. italiana, mentre quella verticale l'abbiamo indicata già: centrale, diocesana, parrocchiale. E qui sia accennato brevemente come la struttura più organica e unificata dell'A.C. é appunto quella italiana. Negli altri paesi l'aspirazione della S. Sede era di arrivare a una organizzazione unitaria pienamente equivalente; ma questa aspirazione si é realizzata in modo e misura assai diversi da un paese all'altro, e perfettamente forse in nessuno. I più distanti ne rimangono, crediamo, Francia e Germania, ove la molteplicità e l'autonomia delle precedenti organizzazioni hanno radici più salde. A voler dare maggiori particolari, occorrerebbe poco meno di un altro articolo, con poca utilità per lo scopo di orientamento generale.
Con la riorganizzazione del 1946, l'Azione cattoli[...]

[...]unitario dell'A.C. italiana, mantennero anche sotto Pio XII (se non andiamo errati), e anche dopo la riorganizzazione ultima del 1946, un grado notevole di autonomia (ciò vale ancora di p,iù per la A.C. degli altri paesi, come si è già accennato). La Presidenza Generale,. cioè, sotto il Veronese, si poteva ancora considerare un organo di collegamento e coordinamento superiori, piuttosto che di suprema direzione autoritaria. Questo stato di cose appare notevolmente cambiato da quando al Veronese è successo, al principio del 1952, il Gedda. Il cambiamento avvenne, come si vede, appena qualche mese dopo il Congresso internazionale dell'Apostolato laico su cui ci siamo fermati al principio di quello studio. Mostrammo già una certa differenza di orientamento fra il Congresso medesimo (o almeno la sua maggioranza) e il discorso del Pontefice nell'udienza finale ai congressisti. Il Gedda dovette esser giudicato dal pontefice più vicino del Veronese alla sua propria concezione, più adatto di lui ad incarnarla: e probabilmente tale giudizio, se arrive. alla conclusione decisiva dopo il Congresso, era già andato maturando prima.
Le espressioni congetturali sono ragionevoli in [...]

[...]e hanno il diritto di esprimersi sui fenomeni che avvengono nel settore civico ». Tale diritto, seguitava il Gedda, sarebbe stato esercitato in futuro più di quel che fosse stato in passato, perché di veniva sempre più un dovere. Era il programma esplicito di un superpartito politico confessionale.
Questa manifestazione del Gedda — divenuto solo pochi mesi dopo capo dell'A.C. — e quanto l'ha seguita fino ad oggi nel campo di Azione cattolica, rappresentano attualmente la fase acuta di due questioni politicoreligiose fondamentali. Con la loro formulazione termineremo, avvertendo che si tratta di questioni permanenti, là dove il cattolicismo é la religione predominante: e cioè, non solubili in maniera definitiva, e che a nulla servirebbe affrontare con semplici espedienti, giuridici, o esaminare con disposizioni di spirito iconoclastiche, anche se di fronte a una di esse la società civile non possa adottare la politica dello struzzo.
La prima è quella delle relazioni fra Stato e Chiesa, in, regime di democrazia; e cioè, la questione del[...]

[...] della normale vita religiosa, non può rinunziare — e l'azione sociale nel più ampio senso (e cioè anche politico) della parola, che la Chiesa cattolica ha sempre esercitato ed intende continuare ad esercitare.
La seconda è quella di un altro equilibrio, fra cc Marta e Maria », cioè fra l'azione esterna, sociale, pubblica, del cattolico credente, e la sua vita personale, intima, spirituale: rischiando la prima, col suo sempre più crescente sviluppo, di deviare e soffocare la seconda. E una questione riguardante direttamente la società religiosa, una questione interna della Chiesa cattolica; ma indirettamente, e tuttavia fondamentalmente, interessa la società umana, che di una vita religiosa non può fare a meno.
LUIGI SALVATORELLI



da (9 Domande sul romanzo) Sergio Solmi in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: SERGIO SOLMI
1) Sempre, quando si parla di crisi del mondo contemporaneo, o delle sue singole strutture, comincio ad allarmarmi. Troppo spesso l'evocazione della « crisi » appare un modo comodo di eludere i problemi affogandoli in una apocalittica indeterminatezza. Né si può parlare della « crisi del romanzo », cosi come si parla di crisi della produzione agricola, o di crisi in borsa. Estensivamente parlando, di romanzi, oggigiorno, in Italia, se ne stampano fin troppi. Né, in un senso generale, il romanzo sarà mai in crisi, perché l'attitudine al raccontare è ingenita nell'uomo, come quella al canto, o al disegno.
Tuttavia di crisi, in un senso assai più circoscritto, si può parlare sotto entrambi gli aspetti enunciati nella domanda. Dopo la guerra, non sono sorti che tre o quattro scrittori particolarmente
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notevoli, in aggiunta ai pochi che già si erano rivelati nel periodo precedente come romanzieri compiuti e significativi. Questo potrebbe anche voler dire che il « neorealismo » non ha mantenute tutte le sue promesse. Effettivamente,[...]

[...]ggiunta ai pochi che già si erano rivelati nel periodo precedente come romanzieri compiuti e significativi. Questo potrebbe anche voler dire che il « neorealismo » non ha mantenute tutte le sue promesse. Effettivamente, come opinavo, rispondendo una diecina di anni fa ad una inchiesta, mi pare della R.A.I., il « neorealismo », sorto dal bagno di esperienze aperte e drammatiche degli anni della guerra, dell'occupazione tedesca, della Resistenza, appariva troppo legato alla contingenza per avere radici profonde, e andare, pur negli esempi positivi, molto al di là di quegli elementi di schiettezza immediata, di freschezza descrittiva, di ingenua emotività che il pungolo dell'ora storica eccezionale aveva ridestato su di un piano abbastanza diffuso. Sicché, al pari della contemporanea esperienza cinematografica di quel nome, anche quella fioritura narrativa — spesso rappresentata da diari, o da diari appena trasposti in narrazioni —, fu di breve durata (a parte, beninteso, i pochi scrittori che, inizialmente sorti sotto quel segno, hanno avuto la forza di svilupparsi per vie proprie).
In un altro senso pure si può parlare di « crisi del romanzo », con riferimento stavolta al « ridimensionamento » operato su certi generi letterari (come, in altri campi, su certe forme dell'arte plastica o di quella musicale), da nuovi mezzi di comunicazione offerti dalla tecnica moderna, nonché dalla « standardizzazione » dei bisogni, e quindi dei gusti e dei correlativi prodotti, altro fenomeno costitutivo della nostra epoca. Innovazioni che hanno portato; per fare un esempio, alla morte di quella tipica creazione dello slancio romantico, e della sua intima e generos[...]

[...]certe forme dell'arte plastica o di quella musicale), da nuovi mezzi di comunicazione offerti dalla tecnica moderna, nonché dalla « standardizzazione » dei bisogni, e quindi dei gusti e dei correlativi prodotti, altro fenomeno costitutivo della nostra epoca. Innovazioni che hanno portato; per fare un esempio, alla morte di quella tipica creazione dello slancio romantico, e della sua intima e generosa fusione di letterario e di popolare, che fu, appunto, il romanzo « popolare » o « d'appendice » : e che appare essere stato sostituito, nelle sue finalità di svago e di « transfert » psicologico, dal cinematografo e dalla T.V., nonché da quei prodotti in serie che sono i romanzi polizieschi, i « fumetti », e le novelle sentimentali dei rotocalchi (i quali prodotti, rappresentando essenzialmente « estratti in scatola » di processi psicologici ed emdtivi tipizzati, sono necessariamente impressi da un sostanziale irrealismo — anche se per avventura intriso di elementi brutalmente realistici —, e sono perciò
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destinati ad operare una chiusura, anziché un'apertura, verso la vita, come è invece compito dell'espressione letteraria).
Se si pensa alla totale ostruzione dei canali verso il romanzo popolare tradizionale, propria della narrativa moderna (quei canali che mantenevano invece aperti grandi scrittori del secolo scorso, come Balzac,[...]

[...]lla totale ostruzione dei canali verso il romanzo popolare tradizionale, propria della narrativa moderna (quei canali che mantenevano invece aperti grandi scrittori del secolo scorso, come Balzac, Hugo, la Sand, Manzoni, Dostoiewskj); se si pensa al completo tramonto dell'epica popolare ottocentesca nei suoi esemplari più riconoscibilmente letterari, da Walter Scott a Dumas Padre a Sue fino a Emile Gaboriau, e della fusione che essa operava di rappresentazione storicosociale, psicologia e mito collettivo; se si pensa alla conseguente clausura e « aristocraticizzazione » del romanzo (parallela, del resto, a quella della poesia, della musica e delle arti figurative), si avrà un aspetto di « crisi » su di un piano generale, del resto in atto da molto tempo.
2) Il romanzo cc saggistico » non è una novità nella storia letteraria. Il più o meno frequente intervento dell'autore nella narrazione, sia per trarre il succo morale della vicenda narrata, sia per consolidarne la verisimiglianza di prospettive mediante excursus descrittivi o storici,[...]

[...]resto, a quella della poesia, della musica e delle arti figurative), si avrà un aspetto di « crisi » su di un piano generale, del resto in atto da molto tempo.
2) Il romanzo cc saggistico » non è una novità nella storia letteraria. Il più o meno frequente intervento dell'autore nella narrazione, sia per trarre il succo morale della vicenda narrata, sia per consolidarne la verisimiglianza di prospettive mediante excursus descrittivi o storici, rappresenta già di per sé un atteggiamento « saggistico ». Si pensi all'abbondanza dell'elemento documentario nel romanzo picaresco spagnolo (ad esempio, nel Guzmán de Alfarache, le ampie digressioni sugli statuti dei mendicanti, o sulla vita dei forzati sulle galere), o alla ricchezza dell'osservazione psicologica generale in quello francese del '6 e del '700, o alla divagazione morale e precettistica in quello inglese del '700. Si pensi alla descrizione della peste nei Promessi sposi, o alle grandi parentesi storiche, sociali e filosofiche nei romanzi di Balzac o di Hugo; o, infine, alla sistema[...]

[...]o morale, riflessivo, documentario, in una parola « saggistico ». Laddove nel romanzo classico il narratore non rinunciava, normalmente, ad assumere un
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proprio punto di vista, a fornire un'angolatura generale alla sua prospettiva, il romanziere naturalista — pur non giungendo, evidentemente, a realizzare il suo programma —, mira a trasfondere integralmente il proprio pensiero e sentimento, le proprie reazioni al mondo, nell'apparente anonimità del fatto narrato. Venne poi un tempo in cui, « consule Gide », si vagheggiò una più assoluta tendenza all'anonimità e impersonalità, e si tentò di elaborare un concetto di « romanzo puro », come pura successione e durée di fatti narrati, analogo a quello, che negli stessi anni si era andato dibattendo, di « poesia pura ».
Nulla dunque di più naturale che il romanzo si riavvicini alle sue antiche fonti, sia pure con modi radicalmente moderni, ossia più strettamente integrando l'elemento generale e saggistico alla narrazione, attraverso una prevalenza di procedimenti analitici[...]

[...]ia pura ».
Nulla dunque di più naturale che il romanzo si riavvicini alle sue antiche fonti, sia pure con modi radicalmente moderni, ossia più strettamente integrando l'elemento generale e saggistico alla narrazione, attraverso una prevalenza di procedimenti analitici e diffusivi, così come avviene, anche se in modi tra di loro incomparabili, in un Proust o in un Musil. Soltanto, non credo affatto che il romanzo « saggistico » sia destinato a soppiantare quello « di pura rappresentazione », proprio perché ritengo, all'opposto, che in un mondo di civiltà profondamente diviso come il nostro, sotto la spinta di un più intenso « farsi » storico, urtante contro pesanti resistenze tradizionali, una delle caratteristiche del romanzo, come di altre espressioni letterarie o artistiche, sia la coesistenza di diversissime forme e modi e ideali stilistici e morali.
3) Conosco e apprezzo alcune delle opere che vanno sotto il nome della scuola narrativa francese del « nuovo realismo », o « école du regard » (come l'ha chiamata Emile Henriot). Ma apprezzo assai meno le teorie con le quali i loro autori intenderebbero appoggiarle e giustificarle. Non mi sembra esatto affermare che un tale tipo di romanzo « volge le spalle alla psicologia », bensì che esso tende piuttosto a rilevarla in modi indiretti, o implicandola in movimenti e passaggi di ordine strettamente fisiologico, corporeo, o lasciandola indovinare mediante le tracce enigmatiche che la vicenda romanzesca ha lasciato sugli oggetti visualmente recepiti e descritti, o facendola scaturire per suggestione dall'apparente oggettività di un contesto dialogato ecc. A parte le differenze che presentano tra loro i vari scrittori censés di appar
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[...]rle e giustificarle. Non mi sembra esatto affermare che un tale tipo di romanzo « volge le spalle alla psicologia », bensì che esso tende piuttosto a rilevarla in modi indiretti, o implicandola in movimenti e passaggi di ordine strettamente fisiologico, corporeo, o lasciandola indovinare mediante le tracce enigmatiche che la vicenda romanzesca ha lasciato sugli oggetti visualmente recepiti e descritti, o facendola scaturire per suggestione dall'apparente oggettività di un contesto dialogato ecc. A parte le differenze che presentano tra loro i vari scrittori censés di appar
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tenere a detta scuola, e che rendono assai difficile escogitare per essi un reale denominatore comune (quale vero rapporto c'è fra Beckett, Butor, la Sarraute, RobbeGrillet?), a parte le parziali somiglianze con modi del romanzo poliziesco (in ispecie nel caso di RobbeGrillet), mi pare che quanto può vagamente apparentare quegli scrittori, e far pensare ad un atteggiamento, quanto meno' in una zona assai rarefatta, in certo grado comune, consiste nello sviluppo, in forme narrative, di intenzioni e modi già noti alla lirica francese degli ultimi decenni, diretti ad accentuare l'emozione, per così dire, obliterandola, e in realtà isolandola con reagenti negativi (vuoi d'indifferenza, vuoi di distrazione laterale, vuoi vagamente nostalgici, o scopertamente ironici), in maniera da presentare, per così dire, lo scavo in rilievo, o viceversa.
Roland Barthes, a proposito di RobbeGrillet, ha accennato alla crisi della civiltà borghese, e della relativa psicologia, e, quindi, all'attualità di un « formalismo assoluto » (le dégré zéro de l'histoire). Ma anc[...]

[...], e, quindi, all'attualità di un « formalismo assoluto » (le dégré zéro de l'histoire). Ma anche questa tesi poco mi convince. La psicologia di un mondo in crisi non vuol dire assenza di psicologia, ma piuttosto ambiguità, contraddizione, che quindi può benissimo essere resa, magari in modi anch'essi ambigui e contradditori.
Perciò l'ultimo romanzo di RobbeGrillet, La jalousie, che sembra intenda realizzare in pieno la definizione di Barthes, sopprimendo la psicologia mediante la soppressione dello stesso personaggio principale (ridotto a un ipotetico, astratto e innominato punto di vista attorno a cui ruota il racconto), resta un prodotto eccezionale, il risultato di una specie di scommessa, e in definitiva astratto e volontario. Mentre il precedente romanzo, Le voyeur, presentava, invece, nella forma indiretta di cui s'è accennato, l'evocazione di una realtà psicologica — sia pure bruta ed elementare —, destando di riflesso quella forza emotiva, senza la quale non si dà romanzo, né arte in genere.
Mi sembra poi che rientri solo di scorcio nella pur vaghissima definizion[...]

[...]esa di veder sfociare, alla, fine, la vicenda
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interiore del protagonista in un mito culturale, proiezione sognata di un mito interno.
A mio modo di vedere, il « nuovo realismo » ha comunque il merito di sperimentare energicamente prospettive inedite, sonde ancora impreviste nel Russo dell'esistenza: il che, in un'epoca di incertezza e di cambiamento, mi sembra essere inerente al compito stesso del romanzo.
4) Mi pare che neppure l'« io » del romanzo classico equivalesse in tutto e per tutto a una « terza persona », bensì venisse a costituire, per il narratore, un più sicuro aggancio al punto di vista prospettico. Dello stesso ordine sono gli espedienti usati dalla narrativa classica (e anche in epoche più recenti, fino al Conrad), di interporre, ad esempio, fra l'autore e la vicenda narrata la figura di un terzo, di un testimone ex visis o ex auditis, da cui si finge proveniente la narrazione. Espedienti elementari, diretti a garantire l'autenticità del tono narrativo ricollegandolo alle sue presunte fonti orali, [...]

[...] anche in epoche più recenti, fino al Conrad), di interporre, ad esempio, fra l'autore e la vicenda narrata la figura di un terzo, di un testimone ex visis o ex auditis, da cui si finge proveniente la narrazione. Espedienti elementari, diretti a garantire l'autenticità del tono narrativo ricollegandolo alle sue presunte fonti orali, o scritte.
La « terza persona » direttamente accampata, senza schemi o mediazioni, dal romanzo ottocentesco, presuppone una società più formata e consapevolmente articolata nelle sue strutture, un mondo di valori sufficientemente stabili, per cui la caratterizzazione iniziale del personaggio risulti evidente, spontanea, nel quadro di qualificazioni e caratterizzazioni sociali, di concetti e giudizi generali ben noti e inequivocabili al lettore, su cui l'originalità individuale possa stagliarsi con tutte le sue precise sfumature. La « terza persona » del romanzo d'oggi vive ancora sull'eredità di quel presupposto, con tutta l'ambiguità che essa implica.
L'autobiografismo della narratip„ odierna é invece seg[...]

[...]rticolata nelle sue strutture, un mondo di valori sufficientemente stabili, per cui la caratterizzazione iniziale del personaggio risulti evidente, spontanea, nel quadro di qualificazioni e caratterizzazioni sociali, di concetti e giudizi generali ben noti e inequivocabili al lettore, su cui l'originalità individuale possa stagliarsi con tutte le sue precise sfumature. La « terza persona » del romanzo d'oggi vive ancora sull'eredità di quel presupposto, con tutta l'ambiguità che essa implica.
L'autobiografismo della narratip„ odierna é invece segno d'una fluidità e incertezza di valori, data, fondamentalmente, da un mondo in rapida trasformazione, o, come si dice, « in crisi », per cui l'imperniarsi della narrazione sull'oc io » viene a costituire, per il romanziere, una garanzia di autenticità che altrimenti potrebbe riuscirgli dubbia (e, di riflesso, al lettore). Di fronte ad un mondo, a figure dai lineamenti deformati, mobili od equivoci, quale maggior sicurezza di verificazione che l'offrirli fluttuanti e dissolti, per così dire, n[...]

[...]e impareggiabile, laddove, in Letteratura e vita nazionale, riconosce l'esistenza « di due serie di fatti, uno di carattere estetico, o di arte pura, l'altro di politica culturale, (cioè di politica senz'altro) », soggiungendo: « Che l'uomo politic,;) faccia una pressione perché l'arte del suo tempo esprima un determinato mondo culturale è attività politica, non di critica artistica ». In altri temini, il concetto di « realismo socialista » non appartiene al campo delle poetiche, ma al campo della politica culturale. E lo stesso Gramsci, poco più in là, in quanto « politico », vagheggia infatti una « letteratura funzionale », alla stregua dell'« architettura funzionale », di cui già allora si parlava, senza nascondersi il carattere praticistico della « coercizione » e « pianificazione » occorrenti per farla sorgere.
Oggi, a più di vent'anni di distanza dalla morte di Gramsci, dopo aver constatato in atto la sostanza e i limiti del « realismo socialista », dopo di aver sviluppato, anche per una utilizzazione in profondo di altre corrent[...]

[...]sci, poco più in là, in quanto « politico », vagheggia infatti una « letteratura funzionale », alla stregua dell'« architettura funzionale », di cui già allora si parlava, senza nascondersi il carattere praticistico della « coercizione » e « pianificazione » occorrenti per farla sorgere.
Oggi, a più di vent'anni di distanza dalla morte di Gramsci, dopo aver constatato in atto la sostanza e i limiti del « realismo socialista », dopo di aver sviluppato, anche per una utilizzazione in profondo di altre correnti del pensiero moderno, una fenomenologia dell'arte assai più particolareggiata e complessa di quella che poteva ritenersi implicita nel grande chiarimento crociano, possiamo identificare il problema anche sotto un altro profilo. Sappiamo che l'opera romanzesca è, come ogni altra opera, letteraria o artistica, la risultante, la sintesi di un incontro del singolo con la realtà (e uso a bella posta, per comodità di discorso, questi termini grossolani, perché non si tratta, in effetti, né di un incontro né di una sintesi, ma di un processo unico di esperienza che si matura, coestensivo alla vita stessa dell'uomoartista, e, a sua volta,
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al flusso della realtàambiente). Ora, le teorie del « rispecchiamento », su cui si basa il realismo socialista, anziché far cadere l'accento sul momento della sintesi particol[...]

[...]ingola si autentica, si universalizza nel lettore, come scambio fra individuo concreto così e così foggiato e condizionato storicamente, e altro individuo altrettanto concreto), lo fanno cadere sul momento astratto, avulso, della pura oggettività, o pura corrispondenza esterna alle strutture del reale. Sembrerebbero così configurare non già l'atteggiamento naturale dell'artista, ma un atteggiamento di cronista, nel migliore caso di storico, ma neppure in questi atteggiamenti, a rigore, si può prescindere dal momento particolare, soggettivo dell'esperienza in atto. Questa corrispondenza puramente oggettiva non può quindi risultare che un'ipostasi del reale.
Avviene allora, per la fatale conversione di ogni contenutismo in formalismo, che la parte di invenzione, di agio, di libertà dell'artista, dato il tema « pianificato » e strutturato esternamente, si rifugia nell'episodio, nella pagina, nella frase (ad es., la bella descrizione, la bella, o caratteristica, « tipizzazione »). Così la forma si scinde veramente dal contenuto, e si fa ac[...]

[...]si fa accademica.
In conclusione, se qualche opera che va sotto l'etichetta dei « realismo socialista » si é salvata, o si salverà, sarà sempre in virtù di un equivoco, di una più o meno casuale coincidenza con lo scopo propagandistico, polemico o dottrinale. E, nella sua stessa valutazione, interverranno sempre motivi elasticamente politici, ossia varianti a seconda dei movimenti di contrazione e di distensione imposti dalla situazione e dall'opportunità politica.
Gramsci osservava ancora: « Se il mondo culturale per il quale si lotta é un fatto vivente e necessario, la sua espansività sarà irresistibile, esso troverà i suoi artisti ». Gramsci assegnava quindi alla « coercizione » e al « piano » il compito di una specie di maieutica, per accelerare un processo storico necessario. Ma la realtà é sempre destinata a mostrarsi assai più complicata e difficile di quella sognata nella generosa visione del politico (e lo stesso Gramsci ha sovente perfetta coscienza di questa complessità). L'azione per la nascita di un mondo nuovo, che é fat[...]

[...] » il compito di una specie di maieutica, per accelerare un processo storico necessario. Ma la realtà é sempre destinata a mostrarsi assai più complicata e difficile di quella sognata nella generosa visione del politico (e lo stesso Gramsci ha sovente perfetta coscienza di questa complessità). L'azione per la nascita di un mondo nuovo, che é fatto della
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volontà degli uomini operanti su di una storia padroneggiata solo approssimativamente e parzialmente, é sempre per fatalità laterale al progetto. D'altra parte il mondo nuovo é veramente nuovo anche per la sua prevalente quantità d'imprevisto. Qui é la debolezza del « realismo socialista », che, mirando alla realtà attraverso íI « piano », all'essere attraverso il « dover essere », ne sopisce e ne smorza i contrasti, e ne lascia sfuggire il più vero fondo.
6) Mi riferisco a quanto detto più sopra circa il « romanzo saggistico », della necessaria coesistenza, in un'epoca di rapida trasformazione, di diversi ideali e schemi e modi narrativi. Riesco perciò a conc[...]

[...]oncepire benissimo un ipotetico futuro romanzo fortemente contrassegnato da un denso « mezzo » linguistico (écriture artiste, linguaggio separato e individualmente elaborato, e magari d'invenzione personale, alla Joyce), così come un romanzo linguisticamente, stilisticamente spoglio, che « lasci parlare le case ». Parimenti, in altro campo, vedo la possibilità della coesistenza di un'opera pittorica intensamente « astrattizzata », e di un'altra apparentemente di forme tradizionali, entrambe nuovissime e a pieno livello moderno. Non ho mai creduto nelle mitologie formalistiche dell'avanguardia, ma molto alla intensità e pienezza dell'esperienza e dell'avventura personale, e alla loro istintiva concordanza coi motivi profondi del tempo.
7) Occorre distinguere. Alcuni scrittori di oggi, particolarmente del tipo « neorealista », usano il dialetto, o l'argot o lo slang nei dialoghi dei loro romanzi, nella sua funzione tradizionale caratterizzante e « localizzante », ossia come pura materia oggettiva, a scopo di individuazione realistica di [...]

[...] le cose non stanno più allo stesso modo. Ma qualcosa di un tale carattere — una solidità, un equilibrio destinati a mettere in luce una mancanza, un disquilibrio —, si rivela anche nell'uso più moderno del mezzo. Il denso impasto linguistico e stilistico, col lavorio d'invenzione che esso implica, adempie, nel tono narrativo gaddiano, ad una funzione di schermo, di difesa, di maschera protettiva nell'affrontare una materia che l'autore sente troppo scottante e compromettente, e che un tono « normale » non sopporterebbe. O, se meglio si vuole, di una lente, nello stesso tempo ravvicinante e deformante, interposta fra l'occhio del narratore e i fatti narrati. Difesa di una intimità, solida testuggine protettiva nell'avvicinamento ad una estraneità. L'invenzione verbale e la dilatazione sintattica, con l'intensa messa a fuoco dei particolari, adempiono anche ad una funzione rallentatrice, di sosta e di preparazione — e quindi di sorpresa — in quel difficile processo di avvicinamento.
Tenuto conto di una simile complicata e tormentata disposizione al racconto, l'uso del dialetto, inserito in una strut[...]

[...]ricordare la sua assunzione a félibrige da parte di certi poeti d'oggi (un mezzo tradizionale che diventa nuovo, in quanto impiegato ad esprimere sentimenti sottili e ombreggiati, che sembrerebbero dover sfuggire per principio alla natura arcaica, eguagliante, disindividualizzante, proverbiale dei dialetti. Ed é invece proprio all'ambiguità dell'effetto che é affidata la grazia individuante). Penso, in particolare, alle belle liriche friulane di P.P. Pasolini: del resto, anche l'uso del romanesco nella prosa di ro
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manzo di quest'ultimo risponde, se pure con un più insistito vezzo filologico, ad una disposizione complessa, benché diversissima da quella del Gadda.
Va da sé, peraltro, che mi sembra estremamente improbabile un romanzo « pensato » e scritto integralmente in dialetto. Ritengo, anzi, che il destino di simili sopravvivenze dialettali sia legato alla progressiva fatale scomparsa dei dialetti.
8) Nonostante mi possano essere addotti alcuni recenti esempi contrari, o apparentemente contrari — ma essi dov[...]

[...] risponde, se pure con un più insistito vezzo filologico, ad una disposizione complessa, benché diversissima da quella del Gadda.
Va da sé, peraltro, che mi sembra estremamente improbabile un romanzo « pensato » e scritto integralmente in dialetto. Ritengo, anzi, che il destino di simili sopravvivenze dialettali sia legato alla progressiva fatale scomparsa dei dialetti.
8) Nonostante mi possano essere addotti alcuni recenti esempi contrari, o apparentemente contrari — ma essi dovrebbero venire attentamente analizzati uno per uno —, non credo molto a un'effettiva reviviscenza del romanzo storico, e meno ancora alla possibilità, oggi, di un romanzo nazionalestorico, nell'accezione precisata nella domanda. Per «ricostruire vicende e destini che non siano puramente individuali », appartenenti ad un « blocco » storico del passato, occorrerebbe una piattaforma ideale e ideologica presente assai più salda di quella che può essere consentita in un tempo di rapido mutamento e di conseguenza disorientamento, in cui è già difficile in principio, per l'artista, trovare la via di una propria qualsiasi autenticità. E intendo piattaforma ideale in un senso effettivo, costitutivo, come equilibrio di maturate esperienze e persuasioni interne, non già come adesione, pur sincera, a sistemi e dottrine. Oggi come oggi, penso che il romanziere possa sentirsi assai più intensamente sollecit[...]

[...]te, del letterato italiano. Si veda, ad esempio, come le innegabili qualità di estro fantastico e di garbo narrativo nei racconti di un Buzzati vengano fatalmente, il più spesso, ad ancorarsi a motivi spiccioli di costume, o addirittura a fatti di cronaca; angustiando i propri significati nell'angolatura di una moralità tradizionalistica e piccolo borghese. Maggiore apertura, mi sembra, in alcuni recenti racconti di Bigiaretti.
9) Non rispondo appositamente all'ultima domanda, perché la mia risposta avrebbe un senso solo se appoggiassi, o auspicassi, o prevedessi, l'affermazione di una forma o di una corrente di romanzo sulle altre. Poiché così non penso, e fra le mie predilezioni entrano indifferentemente romanzi cosiddetti realistici, o saggistici, o fantastici ecc., con solo riferimento alla forza e all'intensità della visione che essi esprimono, la mia risposta acquisterebbe il carattere ozioso e svagato di quelle alle consuete inchieste sui e dieci libri da salvare », e simili.
Se, tuttavia, qualche previsione mi é consentito di avanzare sull'avvenire del romanzo, dir) che, da molto tempo, si sono spente le ep[...]

[...]elle alle consuete inchieste sui e dieci libri da salvare », e simili.
Se, tuttavia, qualche previsione mi é consentito di avanzare sull'avvenire del romanzo, dir) che, da molto tempo, si sono spente le epoche unitarie del romanticismo e del naturalismo, in cui si poteva pensare ad una produzione di opere salienti come prodotto di uno slancio espressivo in certa misura comune — anche a non voler parlare di vere e proprie « scuole ». Non credo neppure che siano da attendersi risultati da sforzi in direzione di una narrativa più intensamente autoctona e « nazionale », dato che i caratteri peculiarmente « nazionali » del romanzo si sono in buona misura indeboliti e confusi in questi tempi di Weltliteratur. Inoltre, come sono diventati incerti, da una parte, i confini fra il romanzo e il saggio, o il diario, così possono domani diven tare, o ridiventare, incerti i confini fra il romanzo e la lirica, o fra il romanzo e il dramma ecc.
Da qualche decennio a questa parte, piuttosto, le opere di maggior significato apparse nel campo del romanz[...]

[...]ato che i caratteri peculiarmente « nazionali » del romanzo si sono in buona misura indeboliti e confusi in questi tempi di Weltliteratur. Inoltre, come sono diventati incerti, da una parte, i confini fra il romanzo e il saggio, o il diario, così possono domani diven tare, o ridiventare, incerti i confini fra il romanzo e la lirica, o fra il romanzo e il dramma ecc.
Da qualche decennio a questa parte, piuttosto, le opere di maggior significato apparse nel campo del romanzo mostrano caratteri spiccatamente solitari, e non lasciano dopo di sé continuatori, ma, tutt'al piú, epigoni e imitatori.
Evitandosi, dunque, di considerare il problema sotto riflessi
troppo tecnicistici o ideologici, si deve piuttosto comprendere lo sviluppo del romanzo come facente tutt'uno coi destini della letteratura in generale, identificantisi a loro volta questi ultimi coi destini stessi della storia. Da questo più ampio punto di vista, direi che non mi sembrano probabili in questo tempo mutamenti o rinnovamenti collettivi, ma che sia per ora da contare piuttosto, sul sorgere di opere genuine e solitarie, impegnanti un'intera esperienza di vita nella rivelazione di « spaccati » originali e nuovi della realtà, che ce ne agevolino quella più intensa presa di coscienza che é il fine unico di ogni letteratura.
SERGIO SOLMI


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine P.P., nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---italiano <---naturalismo <---A.C. <---ACLI <---Acquista <---Alfarache <---Altare <---Associazioni <---Azione <---Azione cattolica <---Balzac <---Bigiaretti <---Bombay <---Buzzati <---C.E. <---C.I.L. <---CGIL <---CISL <---Caggiano <---Cardijn <---Carlo Carretto <---Carlo Moro <---Carmela Rossi <---Cattolica Italiana <---Charles Flory <---Chiesa <---Chiesa D La <---Ciò <---Comitati Cattolici <---Comitati Civici <---Concentration <---Concilio di Trento <---Confederazione <---Corrado Corghi <---Così <---Cristo Re <---Cristo-Uomo <---D.C. <---Dalla Torre <---Della Chiesa <---Dio <---Diritto <---Don Romolo <---Dostoiewskj <---Ecco <---Emile Gaboriau <---Emile Henriot <---Fenomenologia <---Gedda <---Gesù Cristo <---Già <---Gracias <---Grosoli <---Guzmán <---J.O.C. <---Jeunesse <---La Chiesa <---La Presidenza <---Le ACLI <---Le Van Duc <---Leone XIII <---Luigi Gedda <---Maria Rimoldi <---Merry del Val <---Mi pare <---Michel Butor <---Moby Dick <---Modification di Michel Butor <---Movimento Laureati <---Movimento Maestri <---Musil <---Non abbiamo bisogno <--- <---Opera <---Opera dei Congressi <---P.P.I. <---Paganuzzi <---Papa <---Papa Ratti <---Papa Sarto <---Pareille <---Patti del Laterano <---Pax Romana <---Pia XI <---Piera Lado <---Pio X <---Pio XI <---Pio XII <---Pizzardo <---Pratica <---Proust <---Provvidenza Ci <---Psicologia <---R.A.I. <---Ricerche religiose <---Robbe-Grillet <---Roland Barthes <---Rommerskirschen <---Romolo Murri <---Sacra Scrittura <---San Paolo <---Sanctam <---Santo Padre <---Santo Sacrificio <---Sarraute <---Scott a Dumas Padre <---Sistematica <---Sotto Benedetto <---Stato <---Stilistica <---Storia contemporanea <---Storia della Chiesa <---Storia ecclesiastica <---T.V. <---Tenuto <---Trono e Altare <---Unione popolare <---Veronese <---Vittorino Veronese <---Volksverein <---Walter Scott <---Weltliteratur <---abbiano <---anticristiano <---attivista <---autobiografismo <---cattolicesimo <---cattolicismo <---conformismo <---contenutismo <---cristiana <---cristiane <---cristianesimo <---cristiani <---cristiano <---crocianesimo <---crociano <---d'America <---dell'Anno <---dell'Apostolato <---dell'Azione <---dell'Indice <---dell'Osservatore <---dell'Unione <---democristiana <---espansionismo <---fascismo <---fascista <---fascisti <---fenomenologia <---filologico <---fisiologico <---formalismo <---gaddiano <---gordiani <---ideologica <---ideologici <---integralismo <---interventismo <---irrealismo <---italiana <---italiani <---laicismo <---lasciano <---liana <---liberalismo <---marxismo <---mitologie <---murriana <---naturalista <---nazismo <---nazista <---neorealismo <---neorealista <---pessimismo <---psicologia <---psicologica <---psicologiche <---psicologici <---psicologico <---quista <---realismo <---resocontista <---riconquista <---romanticismo <---siano <---sindacalismo <---socialista <---stiani <---totalitarismi



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