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Il segmento testuale Ogni è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Vasco Pratolini, Firenze, marzo del ventuno in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]ll'Italia. E il segreto della sua forza, percui il più ignorante e sprovveduto degli italiani non si sente ma é cittadino del mondo, consiste nella capacità del suo popolo di ricominciare sempre daccapo. Firenze é il centro millenario ed esemplare di queste continue insurrezioni tramutatesi in sconfitte delle classi popolari. Dai Ciompi alla gente del Pignone, é diversa la mentalità, i mezzi d'attacco e di repressione, son diversi i costumi, le cognizioni, le iniziative, come identici i resultati. A una sommossa corrisponde un Michele Lando e c'è un Salvestro dei Medici che gli tiene le redini sul collo, lo guida, lo scatena e lo trattiene a seconda giova alla sua parte, Grassa o Mediana ch'essa sia. Questo popolo si é fatto un'insegna della propria disperazione e gli basta una battuta mordace per scamparne, Esso non ha mai avuto fede nel Destino. Non ci crede. Miele e fiele non li distingue per via di una consonante; sulle sue labbra hanno lo stesso sapore. E il suo stendardo, quel giglio rosso in campo bianco, non è una stigmate sulla s[...]

[...]o progettato, come per dar tempo, diciamo, all'Ammannati, di rilanciare sulle acque dell'Arno il più bel ponte che mai fiume al mondo abbia lambito.
L'ultimo è il ponte alla Carraja. Lo stesso Ammannati disegnò la sua struttura, e senza i suggerimenti di Michelangelo, se ci sono stati, come per Santa Trinita. In origine, ancora nel secolo XIII, lo chiamavano ponte Nuovo: per distinguerlo dal Vecchio, é naturale. Se l'erano pagati gli Umiliati d'Ognissanti, bisognosi di uno scalo per le stoffe che uscivano dal loro convento, situato dirimpetto al fiume e alla porta Carrìa. Costi, essendo il ponte che incontravano per primo, facevano capo i carri provenienti dal contado, nel tempo in cui il porto di Firenze era più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro della terza cerchia;
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 3
e qui, ora cosa c'è di cambiato ? La natura del fiorentino, no. Il suo spirito non l'hanno ammorbidito né le tard[...]

[...]a più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro della terza cerchia;
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 3
e qui, ora cosa c'è di cambiato ? La natura del fiorentino, no. Il suo spirito non l'hanno ammorbidito né le tarde Signorie né i Granducati. Ma sempre si conquista qualcosa, che si è pagato sempre troppo caro. È per questo che ogni volta c'é qualcosa di cambiato.
Firenze medesima, al di là della sua terza cerchia, non può non essere mutata. Essa non si é estesa soltanto nei suoi entroterra, rispetto al fiume, ma si é allungata. Quartieri operai hanno fatto corpo con le antiche Mura. Ora l'Arno entra in città alla Nave a Rovezzano dove c'è un traghetto, percorre sei chilometri non uno, per trovare l'altro traghetto, al di là delle Cascine. E ai due estremi della città, da un secolo o quasi, ci sono due ponti nuovi.
Sono due ponti provvisori che da novant'anni servono all'uso cui sono destinati. Li progettarono degli in[...]

[...]viva ed attiva, stretta com'era dalle sue case, schiacciata tra il fiume, le colline e San Frediano, aveva chiuso il ciclo della sua espansione. Come gremito della sua gente, questo era il Pignone. Sussisteva un terzo nucleo, a suo modo decentrato, con una seconda grande Fonderia e un moderno Pastificio, nel rione delle Cure, ormai tutto villini, dove gli operai ci lavoravano ma non ci stavano di casa. Ora crescendo le generazioni, ci si partiva ogni mattina dal Pignone, per andare a lavorare non soltanto alle Cure, ma a Rifredi; e travasando sangue a sangue, in una vita ch'era per tutti uguale.
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Il Pignone restava la cittadella operaja; tra la sua gente, gravitandovi San Frediano e la campagna, vi si mischiava l'artigianato superstite, e gli ortolani e i braccianti, come la plebe. « La teppa », si diceva. Dirimpetto, sulla riva destra del fiume, si trovava, come adesso, il parco delle Cascine che accompagna l'Arno fin là dove riceve nel suo letto il Mugnone. Costi, c'era l'Isolotto, le montagne d'immondizia [...]

[...]restava la cittadella operaja; tra la sua gente, gravitandovi San Frediano e la campagna, vi si mischiava l'artigianato superstite, e gli ortolani e i braccianti, come la plebe. « La teppa », si diceva. Dirimpetto, sulla riva destra del fiume, si trovava, come adesso, il parco delle Cascine che accompagna l'Arno fin là dove riceve nel suo letto il Mugnone. Costi, c'era l'Isolotto, le montagne d'immondizia che gli spazzini venivano a scaricare da ogni parte della città, e parallele le ultime case del quartiere. Un breve tratto deserto e incominciava il suburbio, il contado, coi primi orti di Monticelli, di Legnaja, di Soffiano. L'altro confine era fuori Porta San Frediano. Divisi dalle antiche mura, San Frediano e il Pignone potevano tenersi d'assedio. Le colline di Bellosguardo e di Montoliveto, erano i contrafforti. Dalla parte del fiume, che li separava entrambi dal resto della città, il Pignone seguitava San Frediano. Chiusa la Porta, messo un posto di blocco all'altezza di Monticelli, bastava una sentinella all'imbocco del ponte Sospe[...]

[...] di Montoliveto, erano i contrafforti. Dalla parte del fiume, che li separava entrambi dal resto della città, il Pignone seguitava San Frediano. Chiusa la Porta, messo un posto di blocco all'altezza di Monticelli, bastava una sentinella all'imbocco del ponte Sospeso, perché il Pignone fosse al riparo dalle offese. Là, a Rifredi, l'apertura dei prati, la zona stessa, distesa come su un'unica lunga strada e sparsa sui due lati, rendevano possibile ogni irruzione. Il Pignone, non potendo operarvi dall'interno, lo si doveva forzare. Fu un assedio che durò gli anni Venti e Ventuno, con colpi di mano, agguati, spedizioni da parte delle Bande Nere, finché la gente del Pignone non si decise essa a una sortita. Questo rappresentò la sua vittoria, la sua tragedia e la sua capitolazione. Ne fu pieno il mondo, il giorno dopo, della sua impresa disperata.
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C'era tutto il Pignone, cotesta sera; c'era mezzo San Frediano; ed erano venuti, alla spicciolata, o ci si era trattenuti, sulla strada di casa, gli ortolani, i braccianti, di Monticelli e di Leg[...]

[...]va. E loro del Pignone, gli promettevano le stesse mazzolate; i ragazzi gli buttavano i rospi dentro lo sportello, i vecchi gli dicevano: « Vergógnati », e vecchi com'erano, anche piú di lui, lo minacciavano col bastone. Le donne gli versavano il soldino: « Come va signor Soffioni? ». Poi sputavano per terra e ci fregavano sopra col piede, le cimbardose.
I due carabinieri andavano su e giú, meglio lasciarli fare. Dalla parte delle Cascine, come ogni sera, c'erano quelle balie e quelle madri, non certo del Pignone, coi ragazzi per la mano, che spingevano la carrozzina. Sull'Arno, e lontano, il traghetto dell'Isolotto, un renaiolo sul barcone. Anche sull'Arno, era come non ci fosse nessuno; o per via del riflesso, non si vedeva. Il fiume scorreva con un certo moto; era calato dopo l'ultima piena, ma era ancora alto da coprire metà degli argini. È sempre così, di primavera. Gonfio, ma calmo, quasi verde e ora tutto barbagli; sotto il ponte schiumava un po', siccome fa un balzo alla pescaja di Santa Rosa, quando tocca San Frediano. Dall'altr[...]

[...]nche di gennaio; o col collo alto che gli pigliava tutta la gola; i pantaloni da soldato, coi gambali, o con le mollettiere. Chi in calzoni a righe, chi vestito di tutto punto, con la lobbia che davvero pareva un signorino. Pochi portavano il fez, cotesto aggeggio lo inalberavano nei cortei; i più erano, come si dice, a zucca vuota. Così, capelli al vento e manganello tra le mani, avevano messo a sedere San Frediano, facendovi irruzione una sera ogni tanto, quando pareva se ne fossero scordati. Fino alla sera della battaglia, che loro erano una cinquantina e si trovarono di fronte altrettanta gente, molta di più. « Un buscherio ». Gli rovesciarono addosso, dalle finestre, l'olio bollente; la teppa di via San Giovanni, ne prese uno e stava per infilarlo alla cancellata del Tiratoio; un altro "fu messo al muro e sorbottato, le donne gli strizzavano i cordoni". Ci fu un morto, ma tra quelli di San Frediano; e dei feriti. Di queste cose non ci si fa mai un'idea; non le scrivono sul
lo VASCO PRATOLINI
giornale, bisogna saper leggere sotto i [...]

[...]posto riparo. Folco continuava per la sua strada, pigliava la gente a tu per tu, gli tirava due schiaffi: « Vai, fila! »
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FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO
IJr
gli diceva. E chi si ribellava, questa era la voce, lo aspettava, calato il sole, e lo tuffava dentro le caldaie della tintoria. Tutte cose che si sentivano dire, che prove ne vuoi avere ? Gli altri mettevano a posto San Frediano; e Folco e i suoi amici, loro tre soli, qualcuno di rinforzo ogni tanto, avevano sparso il terrore da Monticelli a Legnaj a. Entravano negli orti e facevano piazza pulita. Oppure, certe mattine, all'alba, quegli ortolani, partivano come al solito coi barroccini per andare al mercato; e sparivano: loro, il ciuco, il barroccio e quanta c'era sopra. Era la seconda volta nel giro di due anni che succedeva; la gente del Pignone mormorava il nome dell'ingegnere, i giornali puntavano sulla teppa di San Frediano, e la Polizia, erano passati due anni, non aveva cavato un ragno dal buco. Folco era sempre più spavaldo. Smilzo com'era, sembrava di gomma, gli andava tut[...]

[...]vita ».
«Non si tiene più il fiato ».
« Non va mai giù il boccone ».
« Non si dorme la notte ».
« Sembra d'avere il cuore dentro un imbuto ».
« È una disperazione ».
« Da due anni non si sa più quello che pub succedere quando fa buio ».
« Non ci si gode più un sabato sera ».
« E una soperchieria dopo l'altra ».
« Una violenza, e il giorno dopo daccapo ».
« È la seconda volta che devastano la Casa del Popolo ».
« Hanno buttato all'aria ogni bene ».
« Hanno tirato le bombe a mano, avanti d'andar via ».
« Hanno preso il ritratto di Lenin e ci hanno pisciato sopra ». « Hanno bruciato sul ponte le bandiere ».
« Ne hanno mandati altri tre all'ospedale ».
« Ma quest'ultimo delitto, questa volta lo pagano caro ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 17
« Per i padri di famiglia che non sono piú sicuri né sul lavoro
né dentro il loro letto ».
« Per le donne a cui sparano tra le gambe perché si pren
dano paura ».
« Per quelle a cui hanno tentato di fare uno spregio ».
« E per gli usci verniciati con la merda ».
« Per le croci disegnate[...]

[...]a a freno ».
« La legge é tutta dalla parte loro ».
« Mentre per noi, basta si muova un dito, si spalancano le
Murate ».
« Se non la fossa. Come per Spartaco, oggi ».
« Per Spartaco Gavagnini e per tutti quelli morti come lui ».
« E perché chi ci dovrebbe rapresentare non è buono che a
dire: State calmi, non li provocate ».
« Anche loro, via, l'altr'anno, quando si presero le fabbriche,
dettero a vedere d'aver la cacca al culo ».
« Era ogni cosa nostra, si fece una colata che non se ne aveva
memoria ».
« Erano con noi anche i soldati ».
Quando non mancava che fare i sovieti e difendere la nostra,
delle rivoluzioni, ci dissero: Tornate a casa, non è ancora l'ora ».
« Spartaco era calmo, ma si capiva avrebbe dato la testa nel
muro ».
<c Disse: questo ci ridimostra chi sono i socialisti, bisognerà
crescere e togliere di mezzo anche loro ».
« E siccome noi siamo con queste idee e non ci si può mutare ».
« Ci si muta la faccia? ».
« Ci si muta il cognome? ».
« Ci si possono tagliare i coglioni ? ».
c< E il bolscevismo è [...]

[...]resse verso i camerati, riunitisi a capo del ponte.
Sulle due rive del fiume era tornato il silenzio; il sole era tramontato; il cielo si era fatto tutto bianco e celeste, e dalla parte della Carraja si vedeva una falce di luna. Su entrambi i lungarni, c'era il deserto; non una persona risaliva le Cascine. Pareva che la città, non incominciasse 11, dietro le prime case, ma mille miglia lontano, come isolata nel suo traffico e nella animazione d'ogni sera. Ora l'orizzonte era pulito; alle ultime luci della sera, vivide e chiare, di primavera, le due fazioni potevano distinguersi nei loro movimenti, attraverso il ponte che nuovamente le divideva. Ed ora che pareva tornata la quiete, per un istante, in cotesto istante sarebbe esplosa la tragedia.
" Come non fosse successo nulla ", pensò il Masi. " Non hanno perso né un berretto né un pelo ". Folco stava all'ingresso del ponte, col Pomero accanto e dall'altro lato il fascista tutto pece. E come se soltanto allora lo scoprisse vicino: « Bella prodezza, vero? » Folco gli disse, d'improvviso, [...]

[...]
5
Solo, in disparte, era rimasto Tarbé. Il berretto tirato sulla fronte ora, gli occhi balenanti acciaio, si rivolse a Folco, e li fermò tutti:
« Scappate così? Siete dei bei pusillanimi ».
Folco scese dalla macchina e lo affrontò. « Vuoi un par di schiaffi anche te? Su, fila ». Lo trascinò per il braccio: « Cosa vuoi fare? Un'altra bambinata ? ».
Tarbé gli resistette; e Folco, come ritrovando la calma, guardandolo negli occhi, gli disse: « Ogni secondo che si resta qui, se non si rischia la pelle, ci si va vicino. Quelli stanno salendo dalle Cascine col barcone, e sulla piazza... ».
« Insomma tu scappi », Tarbé disse.
« Non scappo, non sono mai scappato. Non dubitare che ï conti li regolo anche da me solo. È gente mia, e la voglio vedere con la bocca per terra. A cominciare da stanotte quando tornerò a casa, per tua norma, capito? ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 29
« Ma intanto scappi ».
« Qui non siamo sul ponte di una nave, Tarbé, siamo su un ponte d'Arno ».
«Ma scappi. Scappi davanti a delle pecore ».
«Non [...]

[...]il corpo di Tarbé, «morto, certo, galleggiava, ma davvero sembrava che nuotasse e intendesse scappare dalla parte dell'Isolotto ». Lo raggiunsero, e quelli che stavano sull'argine, e quelli che si trovavano sul fiume; lo colpirono con le pertiche dai barconi, coi sassi, sulla testa, sul dorso, finché il corpo di Tarbé, « ora nient'altro che la carcassa », affondò lentamente, e per sempre.
Era notte ormai; c'era il chiaro di luna; e rapido più d'ogni altro il Masi, fino allora nascosto tra spalletta e pilone, come in una segreta, scantonò sul lungarno e sul Prato. Carezzava le sue tortore, mentre beccavano le molliche ch'egli aveva sparso sul tavolo; e chiuso nella sua casa, il doppio paletto, la doppia mandata, si domandava: « Domattina, io li bisogna sia. Mi verranno a interrogare. Dimmi tu cosa dovrò dire, dimmi tu cosa gli dovrò inventare? ».
VASCO PRATOLINI



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Togliatti, Il leninismo nel pensiero e nell'azione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]el convegno
le società umane, i gruppi che le compongono e i singoli. Giunge a comprendere, e quindi a giustificare storicamente, tanto l'avanzata quanto la ritirata o l'arresto, tanto la vittoria quanto la sconfitta. Alla base di questa comprensione vi è una critica di se stessi e degli altri, che è momento di azione ulteriore.
Errato sarebbe ritenere che, cosí intesa, la politica possa chiudersi in un assieme di norme, buone per sempre e per ogni luogo. Mi sembrano quindi da criticare coloro che in questo modo trattano l'opera di Gramsci, e in particolare il contenuto dei Quaderni, sforzandosi di avvicinare artificiosamente una parte all'altra, quasi per ricavarne, se non un Vangelo, per lo meno un manuale del perfetto pensatore e uomo d'azione comunista. È certo che esiste un filo conduttore di questa opera, ma questo non si può trovare e non si trova se non nell'attività reale, che parte dai tempi della giovinezza e via via si sviluppa sino allo avvento del fascismo al potere, sino all'arresto e anche dopo.
Tutta l'opera scritta da[...]

[...]n nell'attività reale, che parte dai tempi della giovinezza e via via si sviluppa sino allo avvento del fascismo al potere, sino all'arresto e anche dopo.
Tutta l'opera scritta da Gramsci dovrebbe essere trattata partendo da quest'ultima considerazione, ma è compito che potrà essere assolto soltanto da chi sia tanto approfondito nella conoscenza dei momenti concreti della sua azione da riconoscere il modo come a questi momenti concreti aderisca ogni formulazione e affermazione generale di dottrina, e tanto imparziale da saper resistere alla tentazione di far prevalere false generalizzazioni dottrinarie al nesso evidente che unisce il pensiero ai fatti e movimenti reali.
Alcune tra le parti piú interessanti, ad esempio, delle sparse note raccolte col titolo di Passato e presente sono senz'altro da considerarsi pura elaborazione dei principii di strategia, di tattica e di organizzazione del partito della classe operaia affermati da Gramsci, negli anni dal 1922 in poi, in polemica e lotta contro le tendenze di infantile settarismo estremis[...]

[...]isce e da cui esce il corso degli avvenimenti storici. Il vero contenuto di queste relazioni e di tutto il movimento non si rivela però che attraverso l'azione, nel contrasto tra le classi, nella lotta dei gruppi egemonici per mantenere la propria dittatura e delle classi rivoluzionarie per conquistare il potere, cioè per giungere a conquistarlo attraverso un sistema di alleanze politiche di cui sono le premesse nella struttura e nella storia di ogni società e per mantenerlo e consolidarlo attraverso la costruzione di una società nuova. La conoscenza scientifica alla quale l'opera di Gramsci ci richiama non è dunque quella di una scienza verso la quale si possa evadere, abbandonando o rinviando o guardando dall'alto in basso i compiti della lotta immediata, ma è integrazione e continuazione di un impegno politico che investe tutta la persona, le sue capacità, la sua libertà, la sua esistenza stessa.
Negli scritti carcerari non vi è dunque soltanto la eco delle lotte degli anni precedenti, o la riflessione distaccata sopra di esse, come a[...]

[...]on soltanto egli ne derivò la possibilità della vittoria della rivoluzione e della costruzione socialista in un paese non ancora giunto al piú alto livello dello sviluppo capitalistico; ma dette un solido fondamento alla ricerca e lotta che può e deve essere condotta per inserire nelle contraddizioni del regime borghese la lotta della classe operaia, in modo tale che apra una via rivoluzionaria, una via al socialismo, aderente alle condizioni di ogni paese. Lenin stesso ha parlato delle necessarie variazioni del corso della storia nei singoli paesi, nel quadro di una linea generale di sviluppo della storia mondiale, e ha lasciato prevedere, tra l'altro, quale ricchezza di nuove creazioni rivoluzionarie si sarebbe avuta quando fossero entrati nel corso della rivoluzione le grandi popolazioni del Continente asiatico. Questa è la scena politica mondiale del giorno d'oggi, in sostanza. Ciò non vuol dire, però, che anche al giorno d'oggi la pedanteria del riformismo e del feticismo economista non continui a manifestarsi. Essa alimenta, anzi, u[...]

[...] problemi storicamente concreti, cioè tali che possono essere risolti con un rivolgimento delle strutture sociali e quelli che nell'ambito delle strutture esistenti ancora sono da risolversi, ma la cui soluzione prepara
e rende inevitabile il rivolgimento radicale. La ricerca del limite della iniziativa nella lotta per conoscere e trasformare il mondo assume anch'essa carattere di ricerca obiettiva, scientifica. Sono condannate le evasioni e i sogni, l'astratto proclamare che il mondo va in questa o
26 I documenti del convegno
quella direzione. Le prospettive debbono essere stabilite con una ricerca priva di passione. La realtà, il presente, diventa una cosa dura, su cui occorre violentemente attirare l'attenzione, se si vuole trasformarla. L'intelligenza è pessimista. L'ottimismo incomincia dalla volontà.
4. — Parte essenziale di tutta la dottrina leninista della rivoluzione
e del pensiero di Gramsci è, in questo quadro generale, la determinazione della nuova posizione che la classe operaia viene ad assumere, internazionalmente e in[...]

[...]erca priva di passione. La realtà, il presente, diventa una cosa dura, su cui occorre violentemente attirare l'attenzione, se si vuole trasformarla. L'intelligenza è pessimista. L'ottimismo incomincia dalla volontà.
4. — Parte essenziale di tutta la dottrina leninista della rivoluzione
e del pensiero di Gramsci è, in questo quadro generale, la determinazione della nuova posizione che la classe operaia viene ad assumere, internazionalmente e in ogni paese, nel momento in cui si apre, per la stessa maturità oggettiva della struttura borghese del mondo (capitalismo, imperialismo, colonialismo), la fase del passaggio a una nuova struttura e a un nuovo ordinamento sociale. La classe operaia diventa classe nazionale, perché esistono le condizioni di un nuovo blocco storico, cioè di un nuovo rapporto tra la struttura e le sovrastrutture. Questo nuovo rapporto è reso necessario dallo sviluppo delle forze stesse della produzione e ha quindi inizio un movimento attraverso il quale la nuova classe viene organizzando la propria egemonia e il propri[...]

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come semplici strumenti di direzione politica, cioè, si potrebbe dire, « per i governati delle mere illusioni, un inganno subito..., per i gavernanti un inganno voluto e consapevole » 1. Le ideologie sono, invece, una realtà, parte integrante di tutto lo sviluppo sociale; sono la « vera » filosofia, perché « risulteranno essere quelle " volgarizzazioni " filosofiche che portano le masse all'azione concreta, alla trasformazione della realtà » Ogni ideologia è assieme caduca e storicamente valida. La caducità è espressione d'i un passato, ma è la lotta stessa delle classi lavoratrici che decide ciò che del passato deve essere distrutto. Dal seno, della ideologia, inoltre, sorge sempre una tendenza alla scienza, alla conquista di una verità assoluta, allo stesso modo che nel mondo delle sovrastrutture ideali è sempre presente, in ogni campo, la tendenza allo sviluppo autonomo e alla creazione. Se cosí non fosse, l'umanità non darebbe scienziati, pensatori, artisti, ma solo marionette; non si avrebbe progresso scientifico, non creazione di opere d'arte di valore universale, ecc. La superiorità del marxismo sta nel fatto che, essendo capace di fare questa analisi e queste distinzioni, pub diventare una vera scienza dello sviluppo storico delle società umane in tutti gli aspetti della loro vita.
L'analisi di Gramsci non riduce dunque la funzione degli intellettuali a una strumentalità o a un servizio, la studia nella sua rea[...]

[...]per Gramsci una differenza e quale, nello sviluppo di questi concetti, tra il termine di egemonia e quello di dittatura? Una differenza vi è, ma non di sostanza. Si può dire che il primo termine si riferisca in prevalenza ai rapporti che si stabiliscono nella società civile e quindi sia piú ampio del primo. Ma è da tenere presente che per lo stesso Gramsci la differenza tra società civile e società politica è soltanto metodologica, non organica. Ogni Stato è una dittatura, e ogni dittatura presuppone non solo il potere di una classe, ma un sistema di alleanze e di mediazioni, attraverso le quali si giunge al dominio di tutto il corpo sociale e del mondo stesso della cultura, cosí come ogni Stato è anche un organismo educativo della società, negli obiettivi delle classi
1 Mach., pp. 8283.
2 Mach., p. 128.
Palmiro Togliatti 35
che dominano. La società politica può però assumere una forma di estremo rigore dittatoriale, quando, per i contrasti frastruttura e sovrastruttura, si crea un distacco tra la società civile e la società politica, o si apre, cioè, una delle grandi crisi rivoluzionarie della storia. Allora « si ha una forma estrema di società politica: o per lottare contro il nuovo e conservare il traballante rinsaldandolo coercitivamente, o come espressione del nuovo pe[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] N. Bobbio, Nota sulla dialettica in Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...], ad esempio, nell'espressione « dialettica intellettualimassa » 2. Il significato dell'espressione è che intellettuali e massa non sono termini senza relazione, e neppure a relazione univoca, ma sono termini a relazione biunivoca, nel senso che, come gli intellettuali influiscono sulla massa dando ad essa la consapevolezza teorica delle sue aspirazioni, cosí la massa in fluisce sugli intellettuali, dando ad essi, con l'espressione dei propri bisogni, una funzione storica reale. Gl'intellettuali decadono quando il nesso si rompe. Del resto, questo rapporto tra intellettuali e massa non è che un aspetto del rapporto fondamentale per il marxismo e per Gramsci, a cui si applica il principio dell'azione reciproca, voglio dire del rapporto fra teoria e pratica. Parlando di identità di teoria e pratica, Gramsci intende identità dialettica nel senso di teoria che si giustifica praticamente e di pratica che si giustifica teoricamente. Leggo il passo che mi sembra piú significativo: « Se il problema di identificare teoria e pratica si pone, si pon[...]

[...]Gramsci, nel quale il marxismo è, in quanto filosofia, superiore alle filosofie precedenti, e quindi anche allo hegelismo, solo nella misura in cui ha acquistato piú piena consapevolezza delle contraddizioni, e si pone, anzi, da se stesso came un elemento della contraddittorietà della storia. « In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma
e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente
o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenze e quindi di azione » 1.
Non manca, infine, in Gramsci il riferimento del termine « dialettica » al principio o legge del passaggio dalla quantità alla qualità. Ne parla ripetutamente nella critica al materialismo volgare di Bukharin. In un passo, lamenta che il Saggio popolare non s[...]

[...]ttico che va contro il senso comune, di fronte al quale Bukharin ha capitolato. La mancanza dunque non è casuale: in realtà il vizio principale del pensiero di Bukharin ,è, per Gramsci, di non essere un pensiero dialettico, e un pensiero non dialettico è un pensiero meccanicistico e pretende di far previsioni storiche al pari di quelle che fa lo scienziato della natura, e cosí facendo ottunde il senso storico, snerva la lotta, ostacola o ritarda ogni forma di intervento attivo nella storia. Analoga critica, si osservi, è rivolta al Bernstein: « L'affermazione del Bernstein secondo cui il movimento è tutto e il fine è nulla, sotto l'apparenza di una interpretazione " ortodossa " della dialettica, nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli, come un elemento non dissimile dalle cose materiali, e il concetto di evoluzione volgare, nel senso naturalistico, viene sostituito al concetto di svolgimento e di sviluppo » '2.
Per quel che riguarda l'attegg[...]

[...] 44, 200.
82 I documenti del convegno
aver ripresentato nella struttura il principio di un dio ascoso 4. Basterà ricordare un passo fra i molti che si potrebbero scegliere: « La filosofia del Croce rimane una filosofia " speculativa " e in ciò non è solo una traccia di trascendenza e di teologia, ma è tutta la trascendenza e la teologia, appena liberate dalla piú grossolana scorza mitologica » 2. Solo la filosofia della prassi si è liberata da ogni residuo di trascendenza ed è storicismo assoluto. « Lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa » 3. Ma che intende dire Gramsci quando parla della filosofia crociana come filosofia speculativa? Uno dei sensi di questa accusa si ricollega ancora una volta al concetto di dialettica. C'è in Gramsci il sospetto che la dialettica di Croce sia una dialettica concettuale in antitesi alla dialettica reale, cioè una dialettica delle idee e non delle cose. L'accusa viene formulata in questo modo: Croce avrebbe scambiato il divenire con il concetto del divenire, ond[...]

[...] che Marx rimprovera a Proudhon in un celebre passo della Miseria della filosofia, cosí spesso citato da Gramsci nei momenti cruciali da farcelo annoverare fra le fonti piú importanti della sua riflessione sul marxismo 2. Marx accusava Proudhon di aver frainteso il significato della dialettica, che è movimento di opposti o passaggio dall'affermazione alla negazione e alla negazione della negazione, dal momento che aveva preteso di distinguere in ogni evento storico il lato buono e il lato cattivo, e conservare il primo eliminando il secondo. E spiegava: « Ciò che costituisce il movimento dialettico è la coesistenza dei due lati contraddittori, la loro lotta e la loro confusione in una nuova categoria. Basta in realtà porsi il problema di eliminare il lato cattivo, per liquidare di colpo il
1 M. S., p. 185.
2 M. S., pp. 104, 185, 221; Mach., p. 31, n. 71. «La Miseria della filosofia è un momento essenziale della formazione della filosofia della prassi; essa può essere considerata come lo svolgimento delle Tesi su Feuerbach, mentre la Sac[...]

[...]he cosa della tesi o che sia invece la tesi ad assorbire parte dell'antitesi, il risultato è identico: l'attenuazione del contrasto fra tesi e antitesi.
Norberto Bobbio 85
pensiero dialettico genuino, invece, è quello che mette l'accento sull'antitesi, che considera l'antitesi come negazione reale e totale della tesi, ed è la consapevolezza teorica della rivoluzione. In altri passi, oltre quelli già citati, Gramsci si esprime in questo modo: « Ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino a proporsi di distruggerla completamente e completamente sostituirla » 1;. oppure: « Ogni membro dell'opposizione dialettica deve cercare di essere tutto se stesso e gettare nella lotta tutte le proprie "risorse" politiche e morali, e... solo cosí si ha un superamento reale » z.
Da questa antitesi tra una dialettica del positivo e una dialettica del negativo, Gramsci trae alcune conseguenze decisive per la elaborazione del suo pensiero critico. Due soprattutto mi paiono degne di rilievo. Anzitutto, l'affermazione che l'antitesi prolunghi e conservi la tesi dà origine alla pretesa, che è carattere permanente e costitutivo di ogni riformismo, di elaborare una storia a disegno, e co[...]

[...]ta tutte le proprie "risorse" politiche e morali, e... solo cosí si ha un superamento reale » z.
Da questa antitesi tra una dialettica del positivo e una dialettica del negativo, Gramsci trae alcune conseguenze decisive per la elaborazione del suo pensiero critico. Due soprattutto mi paiono degne di rilievo. Anzitutto, l'affermazione che l'antitesi prolunghi e conservi la tesi dà origine alla pretesa, che è carattere permanente e costitutivo di ogni riformismo, di elaborare una storia a disegno, e come tale soffoca ogni volontà rivoluzionaria. Questo concetto dà esca ad uno dei motivi polemici piú persistenti del pensiero gramsciano, la critica della previsione storica 3. « Realmente si "prevede" — dice Gramsci — nella misura in cui si opera, in cui si applica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato " preveduto ". La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza; ma come l'espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva » 4. 'In seconda luogo, questa falsificazione della dialettica, in quanto con[...]

[...]io e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato " preveduto ". La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza; ma come l'espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva » 4. 'In seconda luogo, questa falsificazione della dialettica, in quanto conduce ad una ricostruzione puramente teorica della storia,. ad uso dei conservatori e dei moderati che temono sopra ogni altra cosa coloro che fanno la storia, è una prerogativa degli intellettuali, « i quali concepiscono se stessi come gli arbitri e i mediatori delle lotte politiche reali » , e sono « quelli che impersonano la " catarsi " del momento economico al momento eticopolitico, cioè la sintesi del processo dialettico stesso, sintesi che " manipolano " speculativamente
1 M. S., p. 221.
2 Mach., p. 71. In un'analoga polemica contro U. Spirito, gli riconosce il merito di affermare « come l'AntiProudhon, che è necessario che i termini dialettici si svolgano in tutta la loro potenza e come " estremismi " [...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Trevisani, Gramsci e il teatro italiano in Studi gramsciani

Brano: [...]rovò. Negli epigoni, quelle inquietudini si stemperano in fastidi e appetiti, la conquista interiore della piena espressione individuale diventa avidità di conquiste di segni esteriori. Basta osservare la differenza che passa fra l'ibseniano Solners e il Sansone di Bernstein, fra Edda Gabler e la Marcia nuziale. A questo punto la borghesia, come classe, è incapace di sostenere ormai la parte che s'era assunta e che aveva assolto. Il dramma, come ogni altra forma di letteratura, si frantumava ai medesimi scogli; non è piú che questione di appetiti e di indigestioni ».
In quel tempo, in Italia, il teatro ottocentesco non dà che un suono lontano e sordo: quello sentimentaleromantico, infatti, è ormai anacronistico, quello d'intreccio non ha piú mordente, e galleggiano sulle acque del teatro i relitti di quel verismo che aveva cominciato a denunziare la corruzione e la decadenza della società borghese, e si era rivelato troppo povera ed ingenua cosa — borghese esso stesso — di fronte a1 travaglio della umanità e allo smarrimento della borghe[...]

[...]mpletezza della compagnia deve, per Gramsci, rispondere l'integrità dell'opera d'arte. Qualche mese dopo, loda lo sforzo di Ruggeri « per dare di Amleto una raffigurazione pienamente umana »; ma censura l'interpretazione dell'opera « perché nelle opere del tragico inglese non c'è solo il protagonista, e la tragedia non è solo la tragedia di questo. La caratteristica del capolavoro (detto cosí all'ingrosso) consiste nella saturazione di poesia di ogni parola, di ogni atto, di ogni persona del dramma; niente c'è di inutile, niente da trascurare, ogni anche piccolo accenno concorre alla catastrofe ed è indispensabile per giustificarla. Rendete solo tragico Amleto e lasciate nella penombra gli altri, e la tragedia corre il rischio di diventare uri dramma da arena, una beccheria capricciosa e casuale. Tutti i personaggi sono grandi nella concezione shakespeariana: fortemente messi in rilievo, e presi nel turbine di fatalità che ha in Amleto la vittima principale ».
La stessa critica a Ruggeri è mossa, durante la stessa «stagione » per l'interpretazione del Macbeth, per aver cercato di ridurre, in quanto gli fosse stato possibile, la tragedi[...]

[...]espeariana: fortemente messi in rilievo, e presi nel turbine di fatalità che ha in Amleto la vittima principale ».
La stessa critica a Ruggeri è mossa, durante la stessa «stagione » per l'interpretazione del Macbeth, per aver cercato di ridurre, in quanto gli fosse stato possibile, la tragedia alla sua persona. Ma nel tempo stesso la sua parola ammonitrice sembra precorrere quelli che un giorno saranno i non rari arbitrii registici; e scrive: « Ogni urto brutale con tutto ciò che è convenzione, mezzo, costrizione violenta, adattamento alle esigenze dell'ora e delle possibilità interpretative, produce squarci dolorosi, mortificazioni umilianti. L'arbitrio direttoriale che toglie e riduce non può non essere sacrilego. L'opera deve rimanere tal quale è sgorgata, vibrante e palpitante di vita, dalla fantasia dell'autore. Ogni parola ha una ragione, ogni atteggiamento fisico e spirituale deriva necessariamente da una personalità che è stata concepita in quel dato modo e in nessun altro ».
Nella larga letteratura, comunque siano definiti i suoi testi, di inse
Giulio Trevisani 295
gnamento per gli attori, da Diderot a Jouvet, Gramsci innesta elementi notevoli.
Il definir grande un attore, egli dice, « vorrebbe dire stabilire una scala di valori, ricorrere a dei confronti, classificare. E invece l'artista non è grande o piccolo: è o non è tale, semplicemente. Lo studio può essere rivolto solo all'osservazione del come lo sia, può essere rivo[...]

[...] queste droghe piccanti. E si tiene nei limiti dell'umanità normale, riuscendo lo stesso, e anzi più efficacemente, a far risentire l'angoscia piú profonda e la gioia piú spirituale ».
Talvolta egli censura l'eccesso di quella ricca dote che è cosí tipica e tradizionale dell'attore italiano, lo spirito di improvvisazione, stimolato dalle ragioni particolari, soprattutto diremmo geografiche, della scena italiana. « Le rappresentazioni solite, di ogni giorno, — egli scrive nel 1917 — non dànno mai occasione a una espressione di sé completa. Sono frammentarie, incerte, provvisorie: le abitudini del teatro italiano obbligano gli attori ad una varietà di interpretazione che non può non es sere a danno della profondità, della compiutezza. C'è sempre un po' di dilettantismo, di nomadismo, di improvvisato nei nostri attori. Le elaborazioni minuziose, capillari, sono ignorate. L'intuizione può supplire in parte, ma non riesce mai a dare quella pastosità intensa di luci che dà la preparazione, il lavoro critico ».
20.
296 1 documenti del convegn[...]

[...]una lunga serie di rappresentazioni, riempirsi, affollarsi, all'improvviso per una serata straordinaria in cui si esumava un capolavoro, o anche piú modestamente un'opera tipica di una moda passata, ma che avesse un suo particolare cachet. Bisogna che ciò che ora il teatro dà come straordinario diventi invece abituale. Shakespeare, Goldoni, Beaumarchais, se vogliono lavoro e attività per essere degnamente rappresentati, sono anche al di fuori di ogni banale concorrenza ». Ma nello stesso tempo afferma che « il teatro non si nutre solo di capolavori »; e, parlando del successo di quegli artisti che
Giulio Trevisani 297
si son fatta una maschera della comicità, onde il loro successo è semplicemente un fatto commerciale, aggiunge che esso è anche un fatto « necessario, in quanto anche la produzione drammatica è in grandissima parte un fatto commerciale e perciò rispettabile ». Questa produzione di ordinaria amministrazione, cioè, sempre che abbia un minimo di dignità e di buon gusto, ha lo scopo di assicurare la funzionalità ininterrotta d[...]

[...]centi e che costituiscono l'impalcatura della struttura economica del teatro italiano; il quale ha una delle sue principali cause di rovina nel regime contrattuale fra teatri e compagnie, fondato su due predisposti scompartimenti stagni dell'utile; che non va diviso, volta per volta, fra teatro e compagnia in ragione della loro partecipazione al costo del prodotto spettacolo, ma secondo una proporzione fissa fra teatro e compagnia, che mette, in ogni caso, il teatro al sicuro dei rischi, e tutti li addossa alla compagnia. La quale si difende attuando il criterio del minor rischio e del minor costo possibili: periodi sempre piú brevi, complessi sempre minori, occasionalità, provvisorietà sempre maggiori, e sempre maggiore decadenza artistica: fondamentale causa ed immediato effetto, questa, della crisi del teatro.
Quanto alle ingerenze, e cioè alle possibili limitazioni della libertà del capocomico nella formazione delle compagnie, ingerenze di cui Gramsci vedeva il pericolo nel rapporto di forze fra i due contraenti, basti pensare come e[...]

[...]nti era solo potenziale nel momento in cui Gramsci scriveva, e che diventò reale due anni dopo, quando al trust degli esercenti fu abbinata la « Sitedrama », società accaparratrice di repertorio nazionale e straniero) l'ingerenza ministeriale ha, come è noto, sotto il governo fascista e quello democristiano, raggiunto il piú alto grado, rappresentando essa la ragione basilare del regime delle sovvenzioni, predisposto appunto in modo da soffocare ogni libertà del teatro. La censura fa il resto, sopprimendo tutto quello che al sovvenzionatore sia sfuggito di sopprimere.
Nel conflitto scoppiato fra il consorzio monopolistico degli esercenti ed i capocomici, Gramsci prese posizione contro il Consorzio, pur mettendo in evidenza il rapporto di forca ed impiccato, fra capocomico e scritturato. Su tutta una serie di sfruttamenti, infatti, quello del capocomico, quello dell'esercente, e — diventato oggi sempre piú grave — quello del proprietario delle mura (che ha cominciato ad imporre la sua partecipazione agli incassi lordi dello spettacolo) po[...]



da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]o.
« Sessanta gradi, non uno di meno ».
César Borgne rise. « Sessanta? ».
Rise anche il ragazzo e ripeté: « Sessanta? >.
76 GIOVANNI PIRELLI
« Sessantacinque? », disse Salomone Croux.
« Sessantacinque? », disse César Borgne, strizzando l'occhio al ragazzo Attilio. Attilio era felice.
«Settanta? », disse Salomone con il tono di chi ha raggiunto un limite oltre il quale non è disposto nemmeno a un atto di fede.
« Settanta! Dice settanta! » Ogni rughetta del viso di César sprizzava allegria. « Settantacinque gradi, amico mio. Settantacinque come è vera che sono qui che ti parlo. Parola di César Borgne ».
« Troppi », disse seccamente Salomone. « Fino a sessanta, a sessantacinque può andare. Settanta é un'esagerazione. Non parliamo di settantacinque. Vuol dire bruciarsi le budella. Troppi. Ne bevo un sorso proprio perché ti sei ficcato in testa di voler festeggiare. Lo bevo perché un amico non lo si abbandona nei momenti difficili. Questo bicchiere e basta. No, non è bene abbandonare un amico nei momenti difficili. E così, eccomi qui [...]

[...]stesa sulla lettiera la mucca ruminava. L'unica sua compagna, una capra, le stava accanto ritta e immobile; dormiva. Il tempo era senza misura, il resto del mondo inesistente.
Aveva, César Borgne, un magnifico paio di baffi. Baffi all'antica, rigonfi sotto le nari, naturalmente discriminati verso le estremità della bocca, conchiusi con due riccioli aderenti alle gote. Baffi che non richiedevano cure, bastava regolarli lungo la linea del labbro, ogni due o tre domeniche, perché i peli non pizzicassero in bocca. Quando era allegro César ne arricciava le punte in fuori, quando era di cattivo umore le arricciava in dentro. Adesso, ogni qualvolta, tra una sorsata e l'altra, deponeva il bicchiere, alzava una mano ed arricciava la punta di un baffo, ora questa, ora quella; questa in fuori, quella in dentro. `L'avrei dato via in ogni caso', si diceva, pensando al prato. `In ogni caso'.
l
QUESTIONE DI PRATI 77
S'arricciava un baffo in fuori, lanciava un'occhiata al ragazzo Attilio. L'approvazione di Attilio: bella roba! Quel figlio di una madre e di chissà quanti padri. Quella mezza cartuccia. Uno che a diciannove anni compiuti — ci avrebbe messo la mano sul fuoco — l'amore lo faceva solo con il proprio cuscino. César beveva un'altra sorsata, deponeva il bicchiere, lanciava un'occhiata a Salomone. `Sta a vedere se questo porco pensa che ho fatto un cattivo affare o se parla per invidia'. Si arricciava la punta dell'altro baffo, in dentro, . rabbiosamente. È che a l[...]

[...]ndice contro Salomone. « Perché ho capito che, se ci vado, in un caso o nell'altro il fregato sono io. Non ci vado », ripeté mentre le vene del collo gli si facevano gonfie, « perché se me lo vedo davanti, l'industriale, il gran signore, finisce che gli spacco il muso. Pochi o molti, mi tengo i quattrini ».
« Ho capito », disse Salomone. « È come pensavo. Hai fatto un pessimo affare ».
« E invece no. Ho preso tanti soldi come tu nemmeno te li sogni ».
QUESTIONE DI PRATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il labbro. « Sono più che tantissimi ». Più lo ripeteva e meno n'era convinto. Era di umore nero[...]

[...]ATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il labbro. « Sono più che tantissimi ». Più lo ripeteva e meno n'era convinto. Era di umore nero. Fissava la bottiglia vuota e palpava sotto la giacca il pacco delle banconote. Se lo sentiva, tra le dita, più smilzo. Eh già. Un bigliettone da diecimila se ne era andato non appena riscosso, ad Aosta, l'assegno. Aveva comperato un paio di scarpe per sua moglie, povera donna. Macché povera donna. Era la moglie di un contadino. Forse che con le scarpe nuove cessava di essere una moglie di contadino ? Aveva fatto compere per tutti. Quattro bambine, quattro regalini. E [...]

[...]straendo dal cassetto della dispensa il coltello del pain deur. « Cosa credi? Che mi faccia impressione infilzare il cuore di una mucca? ».
« Voglio vedere come fai », disse Salomone.
« César, non lo fare, ti supplico, non lo fare », implorò il ragazzo Attilio.
César si fece addosso alla mucca e le diede un calcio nel deretano. La mucca si rizzò sulle gambe posteriori, poi su quelle anteriori. Quando fu ritta arricciò la coda e fece i suoi bisogni. Poi prese a sfiorare con il muso bavoso il piano della mangiatoia, esplorandola, emettendo sbuffi di fiato, sollevando rimasugli di fieno. La capra si svegliò. Alla vista del
QUESTIONE DI PRATI 91
coltello prese a tirare, terrorizzata, la corda a cui era legata. Puntava i piedi, tirava e quasi si strozzava. La mucca Claretta, invece, volse al padrone gli occhi grandi, acquosi e stupidi. Non capiva e infatti non si scompose.
« È ben affilato? », disse Salomone. Voleva divertirsi ma gli era venuto il dubbio che l'uccisione della mucca, fatta malamente, non gli sarebbe piaciuta. Il ragazzo A[...]

[...]le gambe anteriori e ancora le posteriori la tradirono. Non cadeva solo perché sgambettava, e, sgambettando, slittando, crollando ora con il muso ora con il deretano, con quest'ultimo timonando tra le due file di case, la bestia, sebbene contro volontà, muoveva discendendo lungo il vicolo. E con lei muoveva il corteo.
In testa, César. Aveva buone scarpe chiodate e non per niente era stato guida, teneva il busto diritto e appoggiava il piede, ad ogni passo, in modo che i chiodi mordessero il ghiaccio. Reggeva in una mano la lanterna a petrolio, nell'altra la catena della mucca. Il cappella rovesciato all'indietro, il ciuffo ribelle basso sugli occhi, la rotondità dei baffi già imbiancata di brina, cantava con voce baritonale la canzone di quando si sentiva in gran forma. Cantava: «Le duc de Bordeaux ressemble à sa mère sa mère à son pere et son père à mon cu de là fen conclu que le duc de Bordeaux ressemble à mon cu comme deux gouttes d'eaux ». Terminata la canzone gridava, ma senza voltarsi : « Andiamo bene? Bella nottata, eh? ». E [...]

[...] irrigidita la mucca, stava il ragazzo Attilio. Sperava che lo chiamassero. Ma poiché nessuno pareva ricordarsi di lui, gridò su: a Io vado a letto. Non salgo. Non mi va di salire ».
« Vva, vva a ppiangere in brbraccio a quella vvacca », gli gridò, dall'alto, Salomone.
La provocazione fu più forte della paura. Anche il ragazzo Attilio prese a salire. Aveva l'animo oppresso da tristi presagi. Saliva piano, con il cuore in bocca, incespicando ad ogni gradino poiché, trovandosi distanziato dagli altri, la luce della lanterna gli giungeva estremamente fioca. Però saliva. « Ma perché, César, perché non dici cosa vuoi fare? », implorò. Non ebbe risposta alcuna. « Se finisce male », disse, « l'avrai voluto tu ». Ancora non gli badarono. « Cosa credete, che io abbia paura? » Aveva adottato il sistema di salire a quattro zampe. Era un sistema molto più redditizio. Verso la metà della rampa era quasi a ridosso di Salomone.
« Oh, oh, Claretta ». César dava la voce alla mucca, ma non per farla avanzare. Le dava la voce per calmarla, temendo che po[...]

[...]di pochi istanti, da tutti. Si ammassarono alla porticina del campanile, irruppero nell'interno, s'ingorgarono, spingendosi e urtandosi, su per le scale. In cima alla rampa trovarono Salomone Croux e il ragazzo Attilio Glarey.
Attilio era rannicchiato sulle ginocchia, una mano ancora attaccata alla coda della mucca, l'altra infilata sotto la giacca. « Ho freddo », piagnucolava.
Salomone si era rizzato in piedi, fronte ai sopraggiunti. Prevenne ogni domanda: « E ttu », dichiarò, « ttutto uno scherzo di CCésar ».
Laurent Pascal, che era un bravo contrabbandiere, un tipo deciso, diede una spinta a Salomone, schiacciandolo contro il muro, scavalcò il ragazzo Attilio e s'attaccò alla coda della mucca. Lo imitarono altri, quanti, accalcandosi ed allungando le braccia, potevano afferrarla. Tirarono. La mucca, avendo dalla sua la paura, disponeva di una forza incredibile. Se retrocedeva un palmo o due trovava modo, con un colpo di reni, di ributtarsi in avanti. Al termine della spinta in avanti urtava le mani di César avvinghiate alla sbarra d[...]

[...] Una delle due, la cosa non cambiava, la folla lo tirava giù.
Nel medesimo istante in cui, sparato da Cyprien Berthod, un colpo di fucile '91 raggiungeva la mucca a mezzo la fronte e l'abbatteva, César Borgne, mollata la presa, piombava giù senza un grido.
XIII
« Grappa », sospirò. Era caduto nel triangolo fra campanile, lavatoio e pioppo. In quel punto vi era un mucchio di neve accumulata dall'assessore Chénor il quale aveva il compito, dopo ogni nevicata, di
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QUESTIONE DI PRATI
aprire il passaggio alla chiesa e al lavatoio. César vi era precipitato di schiena, ne aveva sfondato la crosta gelata, vi era sprofondato fino al collo. Dalla neve emergevano il viso, reso ancor più terreo dalle macchie scure dei baffi, le avambraccia con le maniche a brandelli e le mani spellate, scarnificate, sanguinolente. La sua unica mossa fu di aprire un occhio, uno solo. Lo rinchiuse subito e restò a palpebre abbassate. « Grappa », ripeté in un sospiro.
Prima ancora che si riavessero coloro che dalla piazza avevano assistito alla caduta, gli f[...]

[...]. Disse: « Salomone ».
«Si?».
« Hanno ammazzato la mia mucca? ».
« Si ».
« Non dovevano. Non dovevano ammazzare la mia mucca. Povera moglie mia. Senza uomo. Senza prato. Senza mucca ». Una lacrima gli spuntò sulle ciglia.
« Tua moglie può sempre andare dall'industriale di Biella », disse Salomone. «Quando l'industriale saprà che tu... mi capisci?... non sarà.
QUESTIONE DI PRATI 109
tanto crudele da non ridarle il tuo prato. Glielo darà in ogni caso. Voglio dire: anche se l'affare che aveva fatto era buono ».
« Mia moglie dovrebbe rompergli il muso », disse César stringendo il pugno sanguinolente. Allentò la stretta, scosse la testa. «Non è bene, no, non è bene che una donna rompa il muso a un uomo. Fammi bere ». Bevve e disse: « Non è bene, no. Meglio dare il danaro a te».
« Il denaro a me ? », disse Salomone. « Io non voglio danaro ».
« Ahi », si lamentò César. « Muoio, Salomone, muoio. Svelto, fammi bere ».
« Perché il danaro a me? », disse Salomone.
« Bevi, Salomone, bevi. Tu fingi di bere. Tu non bevi. Oh, bravo. Quel prat[...]



da Franco Fortini, Che cosa è stato il Politecnico in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]te mie poesie. Le detti a Vittorini e lui in cambia mi fece leggere dei fogli dattiloscritti: il programma di una rivista. Partecipai ad alcune riunioni. Si cominciò a preparare il primo numero del Politecnico. Perché credo opportuno ricor
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FRANCO FORTINI

darlo, oggi? Perché fu l'occasionale teatro di alçune delle contraddizioni mag giori che ci hanno condotti fin qui.
Nel programma, il « settimanale dei lavoratori » prevedeva per ogni numero un articolo di « agitazione culturale »: «La cultura deve partecipare alla rigenerazione della società italiana. Come? »; «Che cosa ha inteso dire Ehrenburg quando ha scritto: «Anche l'ortolano uscirà dai suoi stessi sistemi tradizionali di cultura'e apprezzerà la cultura di Picasso? ».; scritti propriamente politici e riferiti ad avvenimenti del giorno e ai problemi della ricostruzione: «L'alluminio deve tornare nelle case di tutti»; «Quali possibilità di evoluzione porta la legge Gallo nello stato attuale della agricoltura loinbarda»; scritti di storia politicoeconomica estera e ital[...]

[...] l'ortolano uscirà dai suoi stessi sistemi tradizionali di cultura'e apprezzerà la cultura di Picasso? ».; scritti propriamente politici e riferiti ad avvenimenti del giorno e ai problemi della ricostruzione: «L'alluminio deve tornare nelle case di tutti»; «Quali possibilità di evoluzione porta la legge Gallo nello stato attuale della agricoltura loinbarda»; scritti di storia politicoeconomica estera e italiana, quelli che dettero poi il tono ad ogni singolo numero del settimanale, destinati a coprire tutto un vastissimo settore di informazione e di critica. Articoli di « storia della cultura o di agitazione culturale », come, ad esempio, «La cultura per fl New Deal e contro il New Deal », «Il cracianesimo nella scuola italiana attraverso la Riforma Gentile »; studi di analisi criticostorica del pensiero scientificofilosofico (« Tono divulgativo », annotava il programma): « A che punto è il pensiero di Dewey? E possibile una evoluzione dell'esistenzialismo in senso progressivo?»; articoli «ideologici »: «Che cosa significa dittatura del p[...]

[...]gano di diffusione d'una cultura già formata ma uno strumento di lavoro per una cultura in formazione... Compito speciale che il POLITECNICO Si è scelto per contribuire alla formazione in Italia di questa cultura è di fare da legame tra le masse lavoratrici e i lavoratori stessi della cultura ». E, nel n. 5: «Il POLITECNICO... non presume affatto rinnovare la cultura italiana, ma vuole soltanto mostrare che sarebbe una buona cosa rinnovarla ». « Ogni rivoluzione è stata un tentativo più a meno riuscito della cultura viva di strappare il potere a Cesare e alla cultura morta che sempre è serva di Cesare e di instaurar, il «regno dei cieli», cioè il suo regno, sulla terra... Lenin era tipicamente uomo di cultura...» (n. 6). Sono appena passati due mesi dall'uscita del settimanale, e Vittorini, rispondendo a Bo, e ad altri critici del suo primo editoriale, accetta la traduzione del conflitto nella semplicistica contrapposizione di «via di fuori» e «via di dentro », di salvezza di tutti e di salvezza individuale, di storia e antistoria; un co[...]

[...]se (n. 39), Rivoluzione e conversione (n. 39)1 ci fu, da parte mia, un tentativo di riprendere, con accento diversa, quei motivi.
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la più lunga è la via fuori di noi e la più breve quella dentro di noi. Io invece dico che é il contrario: che più breve é la via di fuori. È la via più umile, Carlo Bo, la più umana e terrena: per questo più breve. E quando tu indichi l'altra, da seguire, sei anche tu uno orgoglioso com'è Mila ed ogni idealista: mostri lo stesso orgoglio loro. Che cosa credi? Di potere mai compiere dentro a te solo quella «più grande e più vera rivoluzione »
cui pur aspiri?
Vittorini non vi sostiene (e non potrebbe, tanto vive in lui sono le vene nietzschiane e roussoiane di adorazione della vita e del presente, immuni da contaminazioni di pessimismo esistenziale, di angoscia storica) le tesi d'uno storicismo integrale; ma gli altri polemizzano con lui come se quelle tesi fossero le sue. Sopra la sua testa, si discute coi comunisti, anzi con la
Iunga bestemmia» del pensiero moderno, dalla Riforma ai gi[...]

[...]l Politecnico «una velleitá romantica, un'illusione moralistica, e un abbraccio di generosi malintesi » 3; Alicata e per
3 Quasi con le medesime parole, anni più tardi, G. Pampaloni, giudicherà il Politecnico (in Belfagor) «una generosa illusione n. Con la differenza che, per Luporini, l'illusione moralistica è nell'intento predicatoria, parenetico, del foglio; per Pampaloni è illusorio, probabilmente, nel senso che « Cristo » non è cultura, ad ogni tentativo di sto
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lui Togliatti, che su «Rinascita» (ottobre 1946) dichiara esplicitamente di averne ispirata la nota, rimproverano una « ricerca astratta del nuovo, del diverso, del sorprendente ». Ora é , davvero sorprendente che queste critiche paiono riferirsi al settimanale, ai più scoperti difetti del settimanale, fingendo di ignorare le ragioni del passaggio a rivista e l'autocritica compiuta. Vittorini lo farà ben notare in una prima nota alla lettera di Togliatti (n. 3334). Gli scritti di Luporini, Alicata, Togliatti, hanno insomma un falso scopo — la critica al c[...]

[...]ulla questione di Trieste) nella quale si invitano i comunisti francesi ad un contatto diretto col movimento democratico e operaio italiano prima di giudicare sulla questione di Trieste. E si aggiunge: «Queste parole significano che esiste una situazione nuova per i comunisti nel mondo e che i comunisti italiani sono maturi per comprenderla e darle sviluppo di vita. E finito il tempo nel quale era sufficiente, da parte dei comunisti, `risolvere' ogni questione sul piano dottri
CHE COSA É STATO «IL POLITECNICO )) 193
tro e di discussione per quegli intellettuali che opportunismo o sincera evoluzione politica avrebbero portato, negli anni, seguenti, fuori del Partito Comunista. Una parte di costoro, evidentemente non vorrà che «tornare all'ovile », ma un'altra parte avrebbe potuto costituire una linea ideologica e politica su posizioni non comuniste senza avventurarsi sul piano inclinato della collaborazione _ con la restaurazione idealistica e cattolica. Taluno, per questa supposizione, mi chiamerà ingenuo; non nego che, per uno spregiud[...]

[...]re di tutti i cattivi amici di Politecnico e di Rinascita, l'errore nel quale tu stesso sembri talvolta cadere, è quello di credere che l'unità fra cultura
e politica sia una trovata provvisoria, un matrimonio di ragione, qualcosa che va bene per il tempo di pace... Per me invece è evidente che cultura
e politica sono la medesima cosa, espressa con. mezzi diversi; che, insomma, cóntrasto si può avere soltanto fra due teorie e due pratiche; che ogni volta che un pensiero non ha mano o le ha deboli o che le mani non han pensiero
e lo han fiacco, saranno un astratto « pensiero » ed una volgare « politica ». Insomma non esiste un momento nel quale per ordine di chiunque sia sospeso il dovere di dire la verità... Io credo che, senza orgoglio né umiltà eccessive si debba dichiarare la propria condizione di uomini di cultura
e seguirla fino in fondo dicendo le proprie verità, anche a costo dello scandalo...
Intanto, in Francia e in Italia, i comunisti venivano estromessi dai governi. Della rivista, uscirono ancora quattro numeri di trentadu[...]

[...]assai piattamente 'quantitativa'. Insomma, mi sembra venuto il momento davvero di attenuare la propria flessibilità e di stabilire quale sia il limite di rottura, il limite al quale devi dire che il Partito ha torto oppure non devi dir nulla e tacere... ».
CHE COSA É STATO « Ir, POLITECTTICO » 197
riprendevano a vivere o a vegetare, grazie alla «libera iniziativa privata », senza dar retta ai piani regolatori. E non mancavano, anzi crescevano ogni giorno coloro che in tutto questo vedevano solo una conferma del loro cattolico pessimismo, coltivando amorevolmente quella cattiva coscienza che, negli ultimi anni, par diventata per molti un titolo d'onore.
Così dunque finiva il Politecnico. Pochi mesi più tardi, spento l'ottimismo elettorale del convegno fiorentino promosso dall'Alleanza della Cultura, dopo il 18 aprile e l'attentato a Togliatti, Vittorini, di ritorno dal congresso di Wroclaw, leggeva a Ginevra, alle Rencontres Internationales, una memoria sulla letteratura engagée 7 dov'era riaffermato l'equivoco del quale era morto il P[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Ogni, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---siano <---Storia <---Basta <---Dei <---Filosofia <---Gramsci <---Pratica <---Quale <---Dialettica <---Già <---Lenin <--- <---Ordine Nuovo <---Perché <---Pochi <---Sei <---comunista <---comunisti <---d'Italia <---dilettantismo <---fascismo <---fascista <---ideologia <---italiana <---italiane <---italiano <---marxismo <---marxista <---socialista <---storicismo <---Anche <---Bernstein <---Ciò <---Come <---Compito <---Cosa <---Così <---D'Annunzio <---Del resto <---Ecco <---Logica <---Marx <---Meccanica <---Muovetevi <---Ottobre <---Più <---Rivoluzione di Ottobre <---Scienza politica <---Unione <---Viene <---Voglio <---antagonista <---crociana <---dell'Ordine <---dell'Ottocento <---idealismo <---ideologie <---italiani <---leninismo <---leninista <---materialismo <---opportunismo <---ottimismo <---riformismo <---socialismo <---vogliano <---Abbandonò <---Abbatterla <---Agli <---Ahi <---Aiutate <---Allentò <---Allontanò <---Altolaguirre <---Altro <---Ammannati <---Ancora <---Andiamo <---André Gide <---Andò <---Antonio Labriola <---Aosta <---Appare <---Arte <---Asciugati <---Attaccati <---Attilio Glarey <---Auden <---Auguri vivissimi <---Avaro <---Badate <---Balbo <---Baldassarre Labanca <---Bambin Gesù <---Bambino Gesù <---Bande Nere <---Barnum <---Basterà <---Battendosi <---Bauhaus <---Bel <---Belfront <---Belfront Augusto <---Bellosguardo <---Belva <---Bestemmiò <---Biella <---Bigazzi <---Bisogna <---Boja <---Bollettino <---Bolli <---Bologna <---Bordeaux <---Borgne <---Brigata Sassari <---Bronzino <---Brunod <---Buffalo Bill <---Buffoni <---Bukharin <---Buondelmonte <---Burnham <---C.L.N. <---Calendario del Popolo <---Cambia <---Cantoni <---Capitale <---Capitale di Carlo Marx <---Capito <---Capoversi su Kafka <---Caprera <---Carlo Marx <---Carlo Salinaci <---Carlo Veneziani <---Carogne <---Carrìa <---Casa del Popolo <---Cascine <---Case del Popolo <---Cavacchioli <---Cena <---Cercò <---Certo <---Chagall <---Che César Borgne <---Chenoz <---Chez Maxim 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