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Il segmento testuale Novecento è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 99Analitici , di cui in selezione 1 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]ú bella traduzione sia inadeguata a sostituire l'interpretazione non fu mai del tutto chiaro a lui, mentre fu chiaro, fin da Filologia e storia, a Giorgio Pasquali)1; e quindi era poco sensibile a quel rapporto di zêlos, di « citazioneemulazione », che piú tardi Pasquali teorizzerà con la massima limpidezza nel saggio Arte allusiva del 1942, ma che aveva già attratto l'attenzione e lo studio di filologi tedeschi dell'ultimo Ottocento e del primo Novecento, e di Pasquali stesso nell'Orazio lirico. Pasquali fu sempre ostentatamente ignorato da Marchesi, e tra i due studiosi ci fu sempre reciproca
I G. PASQUALI, Filologia e storia (1920), nuova ed. a cura di A. Ronconi, Firenze 1964, capp. vvi. Ma già Moriz Haupt aveva sentenziato con ragione, benché con una certa paradossalità: « Das Ubersetzen ist der Tod des Verständnisses » (in Ch. BELGER, M. Haupt als akademischer Lehrer, Berlin 1879, p. 248). Anche nei commenti scolastici a classici latini — pur pregevoli per molti aspetti: cfr. LA PENNA, p. 82 — una manchevolezza, secondo me, è costituita[...]

[...]ne ci farà meglio capire il fascino che, malgrado tutte le riserve già accennate e altre che accenneremo, Marchesi esercita su La Penna:
Chi riduce la critica a disquisizioni metodologiche, potrebbe parlare, con sarcasmo, di arti f ex additus artifici; sia pure; ma, se l'arti f ex additus è un artista autentico, perché dovremmo rifiutare i nuovi doni delle Muse? (p. 40).
Egli [...] rimane come uno dei maggiori criticiartisti che abbia avuto il Novecento italiano [...1. Per quante differenze ci dividano, nella concezione storica e nel metodo, dalla critica della prima metà del secolo, ricordo Marchesi, Valgimigli, Perrotta come uomini che sapevano ricevere i doni delle Muse con mani delicate; né a quel tempo né prima né dopo sono mancati studiosi delle lettere che fanno pensare ai porci rufolanti tra le perle. Onoriamo questo amico delle Muse con misura e con rispetto della verità; può darsi che, una volta tanto, lo verità sia piú ricca e affascinante dei miti e delle mistificazioni (p. 96: è la chiusa del saggio).
L'esortazione alla « misur[...]

[...] « falsità » (ché, altrimenti, se in questo mondo lo Spirito regnasse, il dolore e il senso angoscioso di finitudine dell'uomo non avrebbero ragion d'essere), ma di orgoglio ottimistico, di pretesa di fugare il « mistero ». Ancora nel 1956, un anno prima della morte, diceva (Umanesimo e comunismo, p. 32): « Sappiamo che oltre la realtà tangibile e sperimentabile c'è l'ignoto e l'inconoscibile, c'è la favola e il sogno ». Questo, in pieno secondo Novecento, è ancora Graf o Pascoli o addirittura Spencer, non certamente Croce né Bergson. Anagraficamente piú giovane di Croce e di Gentile e, piú ancora, di Bergson, Marchesi restò sempre ancorato a una formazione spirituale anteriore.
Alcuni di quegli intellettuali di formazione tardoottocentesca finirono con l'approdare a una loro religione teistica (come il Graf) o al cristianesimo (come un « minore » molto amato da Marchesi, Giovanni Bertacchi: vedi la commemorazione del Marchesi in Divagazioni, Venezia, Neri Pozza, 1951, p. 127 ss.). Altri, come il Rapisardi, furono sempre combattuti fra materi[...]

[...]iormente accentuata, come mi fa notare Dante Nardo, nella quinta edizione della Storia in confronto alle precedenti (cfr. 8a ed., rist. 1961, i, pp. 223225). Interpretazioni diverse di Lucrezio, che frattanto erano state enunciate, non avevano avuto influsso su Marchesi.
Pur con tutti i nessi fra tardo positivismo e neoidealismo, uno spartiacque rimane abbastanza netto: la filosofia e, piú in generale, la visione del mondo che prevale nel primo Novecento rappresenta una rivincita dell'antropocentrismo e una tendenza alla dissoluzione della materia come limite alla libertà e al « potere » dell'uomo. In Croce e in Gentile, la natura è ridotta a mero oggetto di conoscenza (o di conoscenzaazione) umana; tutto ciò che nell'uomo vi è di debole e di effimero è attribuito all'« io empirico », pura astrazione, mentre l'Io assoluto riassume tutti i caratteri della divinità; in Bergson (come nei suoi piú mediocri precursori francesi) permane, anzi da ultimo si accentuerà, la trascendenza, ma la natura è smaterializzata, investita di vitalismo, cessa qui[...]

[...]ero è attribuito all'« io empirico », pura astrazione, mentre l'Io assoluto riassume tutti i caratteri della divinità; in Bergson (come nei suoi piú mediocri precursori francesi) permane, anzi da ultimo si accentuerà, la trascendenza, ma la natura è smaterializzata, investita di vitalismo, cessa quindi di ergersi di fronte all'uomo come forza ostile. Rispetto a questo spartiacque, Marchesi rimase « al di qua ». La filosofia antipositivistica del Novecento era trionfalistica: negava la scienza ottocentesca, ma negava anche il « mistero », e disprezzava il positivismo come un'epoca di decadenza filosofica. Marchesi, se non si sentiva appagato dalla scienza, ancor piú era irritato dal trionfalismo della filosofia: dall'aspra invettiva contenuta in un saggio del 1910 (SM, ir, p. 669 s., messa in rilievo anche dal La Penna, p. 36) alla drastica asserzione, nel già citato discorso del 1956, che « le costruzioni filosofiche del pensiero puro sono tutte fallite » (Umanesimo e comunismo, p. 32), il suo atteggiamento a questo riguardo non ha mutamenti, [...]

[...]filosofiche del pensiero puro sono tutte fallite » (Umanesimo e comunismo, p. 32), il suo atteggiamento a questo riguardo non ha mutamenti, in un'Italia in cui la maggior parte dei critici letterari e degli storici filosofeggiava, anche se spesso la cultura filosofica di costoro si riduceva a un po' di Croce. Quando, nella già citata commemorazione del Bertacchi (Divagazioni, p. 132) Marchesi contrapponeva « l'ottocento pieno di grandezza » al « novecento pieno di boria », intendeva certo dichiararsi fedele all'ambiente della propria giovinezza; e parlando di « boria » si riferiva, con tutta probabilità, in primo luogo alla filosofia.
L'amore di Marchesi per i « tre presenti » di Agostino (ricordato dal La Penna in un passo che abbiamo citato poco dopo l'inizio di questo paragrafo) non serve, io credo, a gettare un ponte verso il concetto crociano della storia sempre contemporanea, né verso l'Atto puro di Gentile. Croce e, con molto maggiore nettezza e coerenza, Gentile sapevano che una filosofia che pone come unica realtà il Soggetto assolut[...]

[...]i lottare e di prevalere » 9.
Nemmeno accosterei Marchesi — come, sia pure cautamente, fa il La Penna, p. 56, cfr. 36 — a un irrazionalismo vitalistico di tipo nietzschiano
o bergsoniano. Le ragioni le ho in parte già dette; aggiungerei che una cosa è la valutazione del « sapore immediato della vita » espresso dall'arte, quale Marchesi ritrovava nei suoi amati Petronio e Marziale, un'altra è il vitalismo affermatosi tra fine Ottocento e prime) Novecento. « Volontà di potenza », « slancio vitale » sono concetti e sentimenti estranei a chi sentiva tutta la propria vita dominata da « ansietà e sazietà », a chi diceva: « le cose, appena le tocco, mi diventano vecchie » (cfr. Franceschini, op. cit., p. 21), a chi si identificava soprattutto in Seneca (in quel Seneca cosí poco amato da Nietzsche), ossia in un « preparatore alla morte ». Con molte riserve parlerei anche di estetismo, perché Marchesi non ha mai pregiato l'arte per l'arte, ma ha visto in essa, come s'è detto, un modo di rappresentare il dramma umano e di consolare (parzialmente) dall[...]

[...]ordato a p. 87 del libro del La Penna, pur tenendo fermo che non è attraverso le nostalgie staliniste (o stalinisteumaniste) che si può ricreare una prospettiva socialista. Ma certo il suo prestigio di grande umanista dovette, con ragione, apparire prezioso a Togliatti: di qui quelle parole troppo ditirambiche (in un uomo intelligente e, al tempo stesso, freddo e privo di senso dell'amicizia) per essere sincere.
7. Marchesi socialista nel primo Novecento. — Avendo accennato al Marchesi politico, siamo ancora una volta (l'ultima) ricondotti al clima tardoottocentesco della sua formazione. In quegli intellettuali a cui lo abbiamo accostato (Rapisardi, Graf, Pascoli) il « positivismo bisognoso di religione » si collega con una morale della fraternità, che sfocia in un socialismo umanitario, oscillante tra la rivolta anarchica e il solidarismo cristianomassonico, privo di ogni rigorosa base marxista. Che di questo tipo sia stato il socialismo iniziale di Marchesi, si comprende bene dalla lucida sintesi che nel cap. i del suo libro il La Penna ric[...]

[...]re (io credo a una infelicità crescente col crescere della coscienza); ma perché riconosco in essa l'anticipazione teoretica di un fatto assolutamente ineluttabile, voluto dalla legge di evoluzione, e che certo sarà il fatto piú grande e piú mirabile della storia umana » (F. Turati attraverso le lettere di corrispondenti, per cura di A. Schiavi, Bari, Laterza, 1947, p. 116).
Simili adesioni al socialismo, per lo piú, durarono poco. Ai primi del Novecento, Pascoli non era piú socialista da tempo, e Graf cessò di esserlo. Non fu questa la parabola di Marchesi. Eppure anche in lui, accanto alla componente umanitaria, ebbe un notevole peso quel fatalismo che abbiamo notato or ora nella lettera di Graf a Turati. Ancora nel 1956, un anno prima della morte, rievocando in un discorso la sua adesione al socialismo, la attribuiva da un lato a un profondo senso di giustizia offeso per la miseria dei contadini siciliani, dall'altro (dopo brevi fasi di proudhonismo e di mazzinianesimo) alla lettura del Manifesto: una lettura in cui il momento « fatalistic[...]

[...]ressi fatti nella conoscenza del latino tardo soprattutto grazie al Löfstedt, che proprio ad Arnobio aveva dedicato cure particolari ». Ora, il Löfstedt fu, come è noto (non solo nei suoi studi dedicati ad autori o a fenomeni linguistici singoli, ma nella grande opera Syntactica), un critico testuale conservatore, che molto imparò dal Vahlen e dal Wölfin e formò in Svezia una scuola di alto livello. C'è stato, nell'Ottocento e in buona parte del Novecento, un conservatorismo criticotestuale « all'italiana », che in gran parte era rinuncia a interpretare il testo, tendenza a giustificare tutto in ossequio alla « tradizione », rivendicazione grottescamente patriottica di una sorta di « buon senso italico » contro le folli audacie dei filologi tedeschi. Di questo tipo era stato il conservatorismo di Marchesi nelle edizioni anteriori a quella di Arnobio (il che non esclude, come si è visto, che in parecchi casi, a proposito del Tieste di Seneca, egli avesse ragione): sia pure con minore virulenza di un Romagnoli, aveva anch'egli accolto la connota[...]

[...] classicistiche, ciceronianizzanti: lotta che in parte (e senza dubbio con qualche esagerazione) investiva i testi classici stessi, lo stesso Cicerone, meno ligio ad un uniforme ciceronianismo di quanto fosse apparso fin allora. E la scuola svedese aveva avuto come s'è accennato, i suoi precursori in Germania (oltre a precursori italiani piú remoti e rimasti isolati, come Giacomo Leopardi)
e aveva seguaci e alleati, di nuovo, nella Germania del Novecento. Ora, l'edizione di Arnobio non è soltanto una continuazione piú cauta
e bibliograficamente piú aggiornata del vecchio conservatorismo « all'italiana » del Marchesi giovane: è una svolta e un'adesione a questo nuovo conservatorismo, particolarmente necessario per un autore come Arnobio, cosí pieno non solo di volgarismi e arcaismi, ma di espressioni personali, di hapax, quasi tutti disconosciuti dal mediocrissimo editore anteriore al
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 667
Marchesi, August Reifferscheid. Per la prima volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parol[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Novecento, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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