Brano: [...]ità di psichiatra fu già nostro collaboratore nella ricerca intorno al e tarantismo pugliese ». Siamo inoltre debitori di alcune indicazioni bibliografiche al prof. Bruno Gallieri della Clinica delle malattie nervose e mentali della Università di Roma.
110 ERNESTO DE MARTINO
rico di palingenesi e di reintegrazione, e la fine come fantasma persistente e come reazione catastrofica aggressiva in quella modalità psicotica che é stata definita «paranoia di distruzione », ovvero, con immagine biblica, «reazione di Sansone» (6). Eppure nella prospettiva di una ricerca storicoculturale e antropologica sulle apocalissi culturali il problema di una valutazione unitaria delle apocalissi pSicopatalogiche é imposta dal carattere stesso della ricerca. Nella prospettiva strettamente psichiatrica si tratta di individuare entità nosografiche e nessi eziologici ai fini della diagnosi e della terapia: si comprende quindi come la psichiatria tenda a mettere l'accento sulla distinzione dei diversi modi psicotici di rapportarsi alla catastrofe del mondano, e[...]
[...]ssuto catastrofico negli stati epilettici v. R. H. STAUDER, Zur Kenntnis des Weltuntergangserlebnisses in den epileptischen Ausnahmezuständen, Arch. f. Psych., 101 (1934), pp. 762 sgg. Per
il delirio di negazione » (sindrome di Cotard degli autori francesi) negli stati depressivi si
veda il testo e i dati bibliografici in H. EY, Etudes psychiatriques, II, Parigi, 1950, pp. 427 sgg. Sulla cosiddetta areazione di Sansone » vedi P. SCHIFF, La paranoia de destruction: réaction de Samson et phantasme de la fin du monde, 'Annal. Méd.Psychol.', 104 (1946), pp. 279 sgg. Ovviamente il tema delle apocalissi psicopatologiche appare variamente nella letteratura psicoanalitica, anzi la prima compiuta descrizione di un delirio di fine del mondo è quella che già nel 1913 FREUD dette nel suo contributo Psychoanalytische Bemerkungen über einen autobiographisch beschriebenen Fall von Paranoia (Dementia paranoides), Ges. Werke, VIII. Si veda, in particolare, Mme SsCHEHAYE, Journal d'une schizophrène, Paris 1950. Infine nella prospettiva della Tiefenpsychologie junghiana, cfr. G. R. JUNG, Symbole der Wandlung, Zurigo 1952, pp. 758 sgg.
112 ERNESTO DE MARTINO
prospettiva prescelta, avanzare l'esigenza di ritrovare — attraverso e al di là delle ineccepibili distinzioni cliniche — un carattere unitario delle apocalissi psicopatologiche che non soltanto le contrapponga alle apocalissi culturali, ma che metta a nudo il rischio dal quale le apocalissi culturali sono sempre di nuovo chia[...]
[...]rra, con le bretelle di Adolfo e con i libri della biblioteca pubblica di Bouville. Come dice Albert Camus in Le mythe de Sisyphe, la sensibilità assurda ha «un inizio derisorio », «una nascita miserabile », esplodendo senza nessuna preparazione apparente nella più comune quotidianità della vita: (( La sentiment de l'absurdité au detour de n'importe quelle rue peut frapper à la face de n'importe quel homme» (11). In modo analogo si configura la «noia» di Moravia, salvo la diversa sfumatura dell'epressione letteraria (12):
La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà. Per adoperare una metafora, la realtà,
(11) A. CAMUS, La mythe de Sisyphe: essai sur l'absurde, Paris 1962 (1' ed. 1942), pp. 24 sgg.
(12) A. MORAVIA, La noia, Milano 1962 (la ed. 1960). Per i due passi riportati, v. p. 7 sg. e 70.
120 ERNESTO DE MARTINO
quando mi annoio, mi ha sempre fatto l'effetto sconcertante che fa una coperta troppo corta, ad un dormiente, in una notte d'inverno: la tiri sui piedi e hai freddo al petto, la tiri sul petto e hai freddo ai piedi; e così non riesce a prender sonno. Oppure, altro paragone, la mia noia rassomiglia alla interruzione frequente e misteriosa della corrente elettrica in una casa: un momento tutto è chiaro ed evidente, qui sono le poltrone, i divani, più in là gli armadi, le consolle, i quadri, i tendaggi, i tappeti, le finestre, le porte: un momento dopo non c'è più che buio e vuoto. Oppure, terzo paragone, la mia noia potrebbe essere definita una malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di vitalità quasi repentina... Il sentimento della noia nasce in me da quello di una assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della sua effettiva esistenza. Per esempio può accadermi di guardare con una certa attenzione un bicchiere. Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente di cristallo o di metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si spanda, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto[...]
[...]e portarlo alle labbra senza che si spanda, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto, ossia che mi si palesi come qualche cosa di estraneo, col quale non ho nessun rapporto, cioè, in una parola mi appaia un oggetto assurdo e allora da questa assurdità scaturirà la mia noia, la quale, in fine dei conti, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne. Ma questa noia, a sua volta, non mi farebbe soffrire tanto se non sapessi che pur non avendo rapporti col bicchiere, potrebbe forse averne, cioè che il bicchiere esiste in qualche paradiso sconosciuto nel quale gli oggetti non cessano un solo istante di essere oggetti. Dunque la noia, oltre che incapacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teorica che potrei forse uscirne, grazie a non so quale miracolo.
E
n, ancora :
La noia, per me, era simile a una specie di nebbia nella quale il mio pensiero si smarriva continuamente, intravvedendo soltanto a intervalli qualche particolare della realtà; proprio come chi si trovi in un denso nebbione e intravveda ora un angolo di casa, ora la figura di un passante, ora qualche altro oggetto, ma solo per un istante e l'istante dopo sono già scomparsi.
Questo spaesarsi del mondo si presenta con una tonalità ed una elaborazione ancora diverse in un altro documento importan
APOCALISSI CULTURAL1 ECC. 121
te per le origini della sensibilità apocalittica moderna, nella lettera che [...]
[...]petto di agni astrazione concettuale tutti i contenuti della conversazione si venivano disgregando in parti, e queste di nuovo in altre parti, in una vertigine di disarticolazioni in fondo alle quali era il vuoto. Fu cosí indotto in un genere di esistenza grigia, che — dice Lord Chandos — a mala pena si distingueva « da quello dei miei vicini, dei miei parenti e della maggior parte dei nobili proprietari di terre di questo impero». Da siffatta « noia della parola», che qui copre la perdita di senso dei rapporti sociali e del monda quotidiano nella società absburgica declinante, Lord Chandos si traeva fuori solo in alcuni rari momenti previlegiati, e a proposito di alcune impressioni assolutamente futili e casuali, come un inaifiatoio abbandonato sotto un noce, un erpice nel campo, un cane al sole, un poveraccio deforme, e simili: in tali istanti felici e vivificanti il contenuto futile e casuale diventava la coppa di una rivelazione inaudita, da cui sgorgava come un'onda di vita superiore che investiva qualsiasi fenomeno dell'ambiente quo[...]
[...]eccentrico che coinvolge lo sfondo dell'aperabile e rende vacillante qualsiasi punto di appoggio per mantenersi come reale centro operativo, riflettono la caduta della energia presentificante su tutto il fronte della possibile valorizzazione. « Vi è un mondo reale, che deve esistere in qualche parte: prima lo vedevo, ma ora dov'è? », diceva una malata di Janet (18) riecheggiando a suo modo quel u paradiso degli oggetti» che il protagonista della Noia istituiva come nostalgica contropartita della loro attuale ((malattia ». La riconquista di questo paradiso dopo una temporanea ecclisse della domesticità del mondo, è delineata con particolare evidenza nel seguente caso (19):
La malata va al mercato e tutto le appare nuovo e artificiale: le case di cartone, le frutta di gesso. Prende in mano un pomodoro, lo guarda incuriosita, e pur riconoscendolo perfettamente, dice fra sé: « Come sono strani i pomodori ». « Vede quella casa li di fronte? —dice la stessa malata — Per me è solo facciata con niente dentro ». Quando la malata viene dimessa, as[...]
[...]bia cambia il colore e lo aspetto dei corpi» (23). E una malata di Janet, entrando a braccia tese nel laboratorio, come un cieco che procede a .tastoni: «E' come una nebbia, una nuvola davanti agli occhi che mi impedisce di vedere realmente le cose: mi sembra che le cose stiano per scomparire, che presto non vedrò più nulla e che sono sempre sul punto di diventare completamente cieca ». Qui la «malattia degli oggetti » (si ricordi il passo della Noia più sopra riportato: «La noia per me era simile a una specie di nebbia... ») accenna già ad una malattia del vedere, ad una sorta di cecità affettiva interiore. Se questo ritorno su di sé diventa dominante, l'accento dell'accadere psicotico cadrà non tanto sulla perdita degli oggetti quanto sulla propria miseria esistenziale. « Io non ho più cuore morale, c'è un velo fra me e gli oggetti», dichiarava un'altra malata di 'Lauret (24): nel contesto di questa notificazione la perdita del « cuore morale» non sta come una semplice metafora, ma propria come pregnante esplicitazione del mutamento di segno della stessa energia pre[...]