Brano: L’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO
Nel 1978 l’istituto di studi verdiani, allora diretto da Mario Medici, pubblicò i due volumi del Carteggio VerdiBoito, a cui si spera possa seguire un giorno la pubblicazione del Carteggio VerdiRicordi, assicurato all’istituto stesso dal tempestivo intervento dell’attuale direttore, Pierluigi Petrobelli. Ciò dovrebbe costituire l’avvio di quella edizione totale dell’epistolario verdiano che la cultura italiana deve a se stessa, edizione che si auspica avvenga così come indica la natura stessa del materiale, per blocchi di carteggi con singoli corrispondenti, assicurando la continuità logica e storica degli argomenti ed escludendo la pazzesca dispersione di un ordine cronologico assoluto, valido ovviamente solo per le frattaglie, cioè per i casi di lettere occasionali.
La pubblicazione del Carteggio VerdiBoito, a cura di Mario Medici e di Marcello Conati, fu resa possibile da una catena generosa d’atti di mecenatismo. Ci fu anzitutto la donazione delle lettere di Verdi a Boito, che quest’ultimo aveva piamente conservato e poi, morendo senza eredi diretti, affidato al proprio esecutore testamentario Luigi Albertini, ultimo direttore del « Corriere della Sera » prima del fascismo. Questi aveva sposato la seconda figlia di Giuseppe Giacosa, legato a Boito da lunga amicizia, e tra la giovane coppia e il vecchio poeta e musico s’era stretto un legame d’affetto che durò fino alla scomparsa del maestro, nel 1918. Fu il 4 novembre 1973 che i figli di Luigi Albertini, Leonardo ed Elena, consegnarono il prezioso lascito all’istituto di studi verdiani nella sua sede di palazzo Marchi a Parma. Si trattava di 141 lettere.
Altre lettere di Verdi a Boito, precisamente trentuno, vennero all’istituto dal lascito del musicologo inglese Frank Walker, molto legato all’istituto stesso, tanto che dopo la sua morte il fratello consegnò all’istituto una cassa delle sue carte. Essa conteneva tra l’altro e qui mi servo delle parole di Mario Medici nella Prefazione « un notes di appunti di mano di Piero Nardi, come dire del più autorevole biografo di Boito, e fogli dattiloscritti, sempre provenienti dal Nardi, relativi a testi di lettere e dispacci indirizzati da Verdi a Boito ». Sono per lo più documenti brevi,152
MASSIMO MILA
d’importanza relativamente minore, ma « attendibili senz’ombra di dubbio » — sono parole di Mario Medici « ed i cui originali sembrano essersi volatilizzati ».
Infine due lettere di Verdi provengono dall’archivio di Sant’Agata dove se ne conserva l’autografo (forse una brutta copia?), e due provengono da altre fonti.
Restava, naturalmente, da ripristinare l’altra voce del dialogo epistolare. Le lettere di Boito a Verdi — salvo due i cui originali si trovano, stranamente, nella Donazione Albertini — sono conservate negli archivi di Sant’Agata, e la cortesia della famiglia CarraraVerdi ne ha consentito le fotocopie all’istituto di studi verdiani. In tutto, 301 lettere, distribuite nell’arco esatto dell’ultimo ventennio dell’Ottocento, e attestanti la collaborazione artistica che produsse l'Otello e il Falstaff, nonché il rifacimento del Simon Boccanegra. Le ultime trattano diffusamente dei Quattro pezzi sacri, per la cui esecuzione, prima a Parigi, poi a Milano e altrove, Boito si batté insistentemente contro la riluttanza e, diciamo pure, la musoneria dell’ottuagenario maestro.
E restava, infine, da trovare i fondi per la costosa pubblicazione. Questa fu resa possibile grazie all’assegnazione all’istituto d’uno dei Premi Mattioli, elargiti dalla Banca commerciale italiana, su proposta congiunta dell’economista Sergio Steve e dello storico Franco Venturi, sobillati con molesta insistenza da chi scrive questo articolo. Ecco dunque riunite 176 lettere di Verdi; in numero un po’ minore quelle di Boito. Ci sono tutte? No, e nella prefazione di Mario Medici si citano casi evidenti di lettere che « dovevano » esserci, ma che sono sparite.
Come in esergo, e riprodotta in facsimile, una lettera di Verdi che non fa parte del carteggio 18801900, ma è molto anteriore. È la lettera che Giuseppe Verdi scrisse a Boito nel 1862 per accompagnare il regalo d’un orologio quale ringraziamento per la collaborazione occasionalmente prestata dal ventenne letterato nell 'Inno delle Nazioni, cantata per coro e orchestra che Verdi, così restio a lavori di circostanza, aveva stranamente accettato di scrivere per l’Esposizione Universale di Londra. Forse perché, sotto sotto, lo rimordeva la coscienza del tempo perduto in quel pasticciaccio, regalò a Boito un orologio: « Vi ricordi il mio nome, ed il valore del tempo ». Figurarsi se Boito non avrà scritto una bella lettera di ringraziamento! Ma non ci rimane: né Verdi né Giuseppina Strepponi potevano prevedere che quel giovanotto sarebbe diventato un giorno tanto importante. Ecco un caso tipico di lacuna sicura.
Tra questo preambolo ed il corpus vero e proprio del carteggio sta come un macigno l’episodio che per lunghi anni tese un velo d’incomprenl’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito
153
sione, se non di ostilità, tra i due artisti. Un anno dopo la casuale collaborazione di Verdi e Boito nell’inno delle Nazioni, Pii novembre 1863, si era rappresentato alla Scala I profughi fiamminghi, prima opera di Franco Faccio, 23 anni, esponente della « giovane scuola » lombarda. In un banchetto per celebrare il successo, contrastato, dell’opera, Arrigo Boito, giovane, scapigliato fautore di quello che allora si diceva l’avvenirismo, avrebbe improvvisato seduta stante la Ode saffica col bicchiere alla mano, dove si brinda « Alla salute dell’Arte italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino ». E si aggiungeva: « Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà Parte, verecondo e puro, / .Su quell’altar bruttato come un muro / Di lupanare ». Con riferimento al festeggiato Faccio, ma fors’anche con un segreto pensierino a se stesso e all’embrionale progetto del Mefistofele.
Purtroppo la cosa non si fermò 11, nell’a[...]
[...]ove si brinda « Alla salute dell’Arte italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino ». E si aggiungeva: « Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà Parte, verecondo e puro, / .Su quell’altar bruttato come un muro / Di lupanare ». Con riferimento al festeggiato Faccio, ma fors’anche con un segreto pensierino a se stesso e all’embrionale progetto del Mefistofele.
Purtroppo la cosa non si fermò 11, nell’allegria un po’ goliardica d’un banchetto fra giovani artisti. L’Ode venne pubblicata, il 22 novembre, nel « Museo di famiglia » dell’editore Treves. Verdi la lesse e incassò. In una lettera a Tito Ricordi commentò asciutto asciutto: « Se anch’io, tra gli altri, ho sporcato l’altare egli lo netti ed io sarò il primo a venire ad accendere un moccolo » (citato in: Giuseppe Verdi, Autobiografia dalle lettere, a cura di Carlo Graziosi [ma: Aldo Oberdorfer], Milano, Mondadori, 1946, pag. 4178, n. 1).
Questo spiega facilmente perché manchino in principio molte lettere di Boito: evidentemente non vennero conservate, trattandosi di persona non grata. A rimuovere questo tremendo ostacolo provvide, molti anni dopo, la paziente diplomazia di Giulio Ricordi, che dopo YAida e le ripetute asserzioni del maestro di avere chiuso col teatro, mal si rassegnava a perdere i prodotti di quella gallina dalle uova d’oro. Come abbia agito piano piano per ristabilire un contatto tra Verdi sdegnato e Boito, che nel frattempo aveva versato alquanto acqua fresca nel vino dei suoi entusiasmi avanguardistici, lo ricostruisce assai bene Mario Medici nella prefazione.
Il 26 gennaio 1871 (Boito lavorava alla revisione del Mefistofele dopo il fiasco alla Scala, ma già aveva adocchiato quel soggetto del Nerone che gli fu poi croce di tutta la vita) Ricordi scrive a Verdi:
Le spedii un libretto dell’Amleto\ ed a proposito entro di botto in un Gran progettoW... eh'Ella sa ch’io rumino peggio di un bue!!... Dunque Ella mi fece motto due o tre volte del Nerone... e vidi che questo soggetto non le spiaceva.
Ieri Boito fu da me, ed io pumfl sparai la cannonata: Boito mi domandò una notte di riflessione, e stamane fu qui, e si trattenne lungamente meco di questo affare. La conclusione si è che Boito si riputerebbe l’uomo il più felice.154
MASSIMO MILA
il più fortunato se potesse scrivere il libretto del Nerone per Lei: e rinuncerebbe subito e con piacere all’idea di fare la musica (prefazione, pag. xxvi).
Si affaccia qui il primo esempio di quella straordinaria devozione di Boito verso il maestro, spinta fino airautoannientamento, che non sarebbe poi mai venuta meno nei venti anni della loro collaborazione. E stranamente Verdi, che più tardi vedremo scrupolosissimo verso i diritti del collega, questa volta non montò in cattedra di correttezza, non ricusò l’offerta generosa, ma in due lettere del 28 e del 30 gennaio tergiversò. « Non posso oggi rispondervi sull’affare Nerone!! Non ho un minuto da perdere. Gran progetto, voi dite! verissimo, ma è realizzabile? » (prefazione, pag. xxvi). E poi (mentre Ricordi assicurava: « Boito, sotto la di Lei direzione, farebbe bene, molto bene »): « Eccomi a voi pel Nerone. È inutile che io ripeta quanto io ami questo soggetto. È inutile altresì che aggiunga quanto mi sarebbe grato aver a collaborare un giovine poeta, di cui ho avuto anche ultimamente, in quest 'Amleto, occasione di ammirare il moltissimo talento » (si trattava del libretto per VAmleto di Faccio).
« Ma voi conoscete abbastanza bene le cose mie, ed i miei impegni... Non ho il coraggio di dire: facciamo, né oso rinunciare a così bel progetto. Ma ditemi, caro Giulio, non potremmo lasciare sospeso per qualche tempo questo affare, e riprenderlo più tardi? » (prefazione, pag. xxvixxvn).
Non se ne fece nulla, ma intanto il grande ostacolo era rimosso. Otto anni più tardi Ricordi torna alla carica col nuovo progetto di Otello, probabilmente mettendo sotto Boito con una certa brutalità d’uomo di affari, senza nemmeno essere ben sicuro che Verdi fosse d’accordo. Certo è che nell’estate 1879 Boito informava ripetutamente il Tornaghi, uomo di fiducia di Ricordi, dei rapidi progressi nella stesura del libretto. « Dirai a Giulio che sto fabricando il ciocolatte » (prefazione, pag. xxvn). E il 24 agosto: « Domani o posdomani affronterò i primi versi dell’ultimo Atto. Tutto sarà finito in tempo » (ibidem). E un mese più tardi: « Se io non consegno a Giulio questa settimana Desdemona strozzata temo ch’egli strozzi me » (prefazione, pag. xxvm).
Quando da questa parte fu sicuro del fatto suo, Ricordi chiese senz’altro a Verdi di poter venire a Sant’Agata in compagnia del poeta, per porre le basi dell’affare. Questa volta sì che Verdi si trincerò dietro un reticolato di precauzioni, di prudenza e di discrezione, e così facendo ci fornì, tra l’altro, la vera istoria del primo germe di Otello. Ecco una lettera, datata 4 agosto 1879 per uno dei soliti lapsus cronologici di Verdi, ma da posticipare almeno al 4 settembre, se non addirittura al 4L’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO
155
ottobre, considerando il fatto che Desdemona era ancora da strozzare il 21 settembre.
Sarà sempre gradita una vostra visita in compagnia d’un’amico, che ora sarebbe s’intende, Boito. Permettetemi però che su quest’argomento vi parli molto chiaro, e senza complimenti. Una sua visita m’impegnerebbe troppo ed io non voglio assolutamente impegnarmi. Come sia nato questo progetto del Cioccolatte Voi lo sapete... Pranzavate meco insieme ad alcuni amici. Si parlò d’Otello, di Sheaspeare [sic], di Boito. Il giorno seguente Faccio mi condusse Boito all’albergo. Tre giorni dopo Boito mi portò lo schizzo d’Otello, che lessi e trovai buono. Fatene, gli dissi, la poesia; sarà sempre buona per Voi, per me, per un’altro et. et...
Ora, venendo qui con Boito, io mi trovo obbligato necessariamente a leggere il libretto che Egli porterà finito.
Se trovo il libretto completamente buono io mi trovo in certo modo impegnato.
Se trovandolo buono, suggerisco delle modificazioni che Boito accetta, io mi trovo anche maggiormente impegnato.
Se poi, anche bellissimo, non mi piace, sarebbe troppo duro dirgli in faccia quest’opinione!
Nò nò... Voi siete già andato troppo oltre, e bisogna fermarsi prima che nascano pettegolezzi e disgusti. A mio avviso, il miglior partito, (se lo credete e conviene a Boito) è quello di mandarmi il Poema finito, affinché io lo possa leggere, e manifestare con calma la mia opinione senza che questa impegni nissuna delle parti.
Una volta appianate queste difficoltà alquanto spinose sarò felicissimo di vedervi arrivare qui con Boito (prefazione, pag. xxvii).
Che la lettera sia da riportare a ottobre, piuttosto che a settembre, pare convalidarlo anche una lunga lettera di Ricordi a Verdi, il 5 settembre, che rispecchia uno stadio non ancora cosi avanzato delle trattative. Con molti salamelecchi l’editore indugia ancora a persuadere il maestro dei sentimenti di devozione che quei giovani scapestrati Boito e Faccio
nutrono per lui. « So, se la memoria non mi falla, che Boito ebbe qualche torto verso di lei; ma carattere nervoso, bizzarro, scommetto che non seppe di commetterlo, o non trovò mai modo di rimediarvi ». Adesso, assicura Ricordi, è tutto diverso: « Nei frequenti nostri ritrovi Boito parlò sempre di Verdi con venerazione ed entusiasmo; se altrimenti, non mi sarebbe amico ». Non solo, ma quando vengono i due compagnoni, Boito e Faccio, nel suo ufficio dove campeggia un grande ritratto di Verdi, lo sogguardano esclamando: « Ma e quello li, proprio non scriverà più? » (prefazione, pag. xxvm).
Le fatiche, un poco untuose, di Ricordi andarono a buon porto:156
MASSIMO MILA
Questa camicia di Nesso dell’editore mi mette sempre in una ambigua posizione!!... poiché per un sentimento di delicatezza temo sempre ch’Ella possa credere che sia Vaffarista che parla!!... e ciò mi ripugna. Certo sarebbe soverchia ingenuità il dirle che un’opera di Verdi non sia una vera fortuna materialmente parlando!!... ma questa idea è cento volte sorpassata e per così dire oscurata dalla immensa indicibile emozione che mi dà il pensiero di un lavoro che renderà sempre più glorioso, s’è possibile, il di lei nome, e farà risplendere di nuova luce quella carissima Arte italiana (ibidem).
Verdi conosceva bene i suoi polli, ossia i suoi editori, italiani e francesi, ed era l’ultima persona a lasciarsi abbagliare da simili sparate, ma questa volta abbassò prudentemente qualcuna delle sue barriere difensive. Il 10 novembre 1879 accusava pacatamente ricevuta del libretto a Ricordi. « Ricevo in questo momento il ciocolatte. Lo leggerò stasera, perché ora ho la testa imbrogliata d’affari » (prefazione, pag. xxix).
Poi si chiuse nel mistero di un lungo silenzio, almeno allo stato attuale dei documenti. Passano nove mesi di qui alla prima lettera del nostro Carteggio, che reca la data del 15 agosto 1880. Ricordi friggeva. Il 24 luglio scriveva a Boito: « È necessario svegliare un poco il nostro Verdi! (...) Io ho il presentimento che Verdi abbia messo un po’ a dormire il moro! » (prefazione, pag. xxx).
Una lettera di Giuseppina Verdi Strepponi a Ricordi, volta a ritardare la decisiva visita di Boito, tanto patrocinata da Ricordi, illustra bene la situazione:
Ella sa, come avvenne l’affare per questo perfido Jago. Si può dire che Verdi è entrato alla cieca e senza volerlo in questa specie di rete. Una cosa ne ha chiamata un’altra e da un niente, da una semplice parola lanciata col bicchiere dell’allegria alla mano, è nato un libretto. Verdi lo ha preso, e benché senza impegno l’ho più volte sentito dire, non senza malumore; Io mi lego troppo
— le cose vanno troppo avanti ed assolutamente non voglio esser costretto a fare, quello che non vorrei, etc. etc. (note alla Lettera 2).
(Si noti, incidentalmente, in questa lettera l’espressione « da una semplice parola lanciata col bicchiere dell’allegria alla mano ». Può darsi che sia una sopravvivenza inconscia. Ma Giuseppina era abbastanza donna e abbastanza malignetta per non ricordarsi che il famigerato brindisi di Boito s’intitolava: Ode saffica col bicchiere alla mano).
In realtà, e sebbene Giuseppina esorti a « lasciare, almeno pel momento, le cose come sono, facendo intorno al Moro il più gran silenzio possibile », la prima lettera del carteggio introduce già in medias res. La progettazione del dramma occupa interamente lo spirito del compositore,l’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito
157
la cui attenzione si appunta sul finale dell’Atto ni, vero punctum dolens dell’opera, come Boito aveva riconosciuto in una lettera a Ricordi, e da questi poi riferita, l’8 novembre 1879, alla moglie di Verdi: « C’è ancora il terzetto dell’Atto 3, pezzo capitale, che mi fa disperare. Di tanto in tanto lo abbandono per mandare avanti qualche altra scena, poi ritorno al terzetto e lo ritrovo più arcigno che mai! » (prefazione, pag. xxix).
Sono cinque le lettere, dal 15 agosto al 2 dicembre 1880, in cui si sviluppa il confronto di librettista e compositore su questo finale terzo di Otello. Poi subentra il progetto di rifacimento del Simon Boccanegra, che occupa 24 lettere, da una lunghissima di Boito del 6 dicembre, fino al 15 febbraio 1881. Seguono alcune lettere d’argomento vario, tra cui l’opposizione di Verdi ad avere il proprio busto nel ridotto della Scala e la machiavellica sottigliezza delle sue argomentazioni per non contribuire di tasca propria a quello di Bellini, quindi ritorna sul telaio YOtello per una cinquantina di lettere, ma con una lunga interruzione, durante la quale il carteggio ovviamente si dirada, dalla fine d’agosto 1881 fino alla drammatica, ma benefica crisi dell’aprile 1884, quando Boito, a Napoli, anche qui in un banchetto d’artisti, s’era forse lasciato scappare qualche parola imprudente, oppure era stato frainteso dal corrispondente del giornale « Roma », che gli attribuì il rammarico di non poter musicare lui stesso il Jago. Verdi, venutone a conoscenza, incaricò Franco Faccio di dire a Boito « che io, senz’ombra di risentimento, senza rancore di sorta gli rendo intatto il suo manoscritto. Più ancora, essendo quel libretto di mia proprietà, glielo offro in dono qualora egli intenda musicarlo » (note alla Lettera 46).
La lunga e un po’ contorta lettera di scuse che Boito gli rivolse è documento commovente della sua devozione. Assicura il maestro d’avere scritto questo libretto « solo per la gioja di vederlo riprendere la penna per causa mia, per la gloria di esserle compagno di lavoro per l’ambizione di sentire il mio nome accoppiato al suo ». Quasi antiveggendo e confutando in anticipo certe illazioni critiche dei giorni nostri, che vorrebbero attribuire all’influenza di Boito un’azione indebita, e non interamente propizia, sulla natura artistica del maestro, sulla sua spontaneità, Boito precisa: « Se io ho saputo intuire la potente musicalità della tragedia Schakespeariana [sic], che prima non sentivo, e se l’ho potuta dimostrare nei fatti nel mio libretto gli è perché mi son messo nel punto di vista dell’arte Verdiana, gli è perché ho sentito scrivendo quei versi ciò ch’ella avrebbe sentito illustrandoli con quell’altro linguaggio mille volte più intimo e più possente, il suono ». Per convincere Verdi con la sua appassionata protesta Boito non esita a rilasciare una commovente confessione della propria impotenza creativa.158
MASSIMO MILA
Maestro, ciò che Lei non può sospettare è l’ironia che per me pareva contenuta in quell’offerta senza sua colpa. Veda: già da sette od otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro) vivo sotto quell’incubo; nei giorni che non lavoro passo le giornate a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell’asino e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfisiato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro soggetto al mondo, neanche l’Otello di Schakespeare [sic], potrebbe distogliermi dal mio tema (...). Giudichi ora Lei se con questa ostinazione potevo accettare l’offerta sua. Ma per carità Lei non abbandoni l’Otello, non lo abbandoni, le è predestinato, lo faccia, aveva già incominciato a lavorare ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito.
Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna e mi scriva presto: Caro Boito fatemi il piacere di mutare questi versi ecc. ecc. ed io li muterò subito con gioja e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nell[...]
[...]a lavorare ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito.
Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna e mi scriva presto: Caro Boito fatemi il piacere di mutare questi versi ecc. ecc. ed io li muterò subito con gioja e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell’Arte io nel mondo delle allucinazioni (Lettera 46).
Verdi accettò le scuse, con una certa degnazione.
Lietissimo di questa nostra spiegazione, che era però meglio fosse avvenuta quando tornaste da Napoli. Ripeto anch’io le vostre parole, per ciò che riguarda Otello. Se n’è parlato troppo! Troppo il tempo trascorso! Troppo i miei anni d’età! E troppo i miei anni di servizio1.!! Che il pubblico non abbia a dirmi troppo evidentemente ‘ Basta ’!
La conclusione si è che tutto questo ha sparso qualche cosa di freddo su quest’Otello, ed ha irrigidita la mano, che aveva cominciato a tracciare alcune batture (Lettera 47).
Era vero che, sebbene Boito gli mandasse subito per Jago « una specie di Credo scellerato (...) in un metro rotto e non simetrico » (Lettera 48), e Verdi lo ringraziasse a volta di corriere (« Bellissimo questo credo: potentissimo e shaesperiano [sic] in tutto »), tuttavia continua ancora nel maestro il distacco che da tre anni gli aveva, come diceva lui, irrigidita la mano. « Intanto è bene lasciare un po’ tranquillo quest’Otello, che è anch’esso nervoso, come siamo Noi; Voi forse più di me » (Lettera 49).
Queste soste che ritardano la composizione di Otello non vanno però attribuite come spesso si ritiene a stanchezza fisica connessa con la vecchiaia. Verdi eXYOtello non lavora a spizzico, né a piccole dosi, come lui stesso amava dare ad intendere e come in effetti avverrà per il Falstaff. S’interrompe talvolta, a lungo, per cause esterne. Quando lavora, la sua applicazione è feroce, tale quale come negli « anni di galera ». Boito nel’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito
159
era impressionato: « Giulio mi disse che Lei aveva già quasi terminato lo strumentale del i Atto!! Badi di non affaticarsi troppo. Il tempo non le manca » (Lettera 79).
Il disgelo avvenne verso la fine dell’anno. Il 9 dicembre, da Genova, Verdi annuncia: « Pare impossibile, ma pure è vero!!! Mah!!!! M’occupo, e scrivo!!... senza pensare al poi... anzi con decisa avversione al poi. Sentite dunque (...) avrei bisogno di quattro versi per ciascuno a parte » (Lettera 53).
Ci fu ancora un’interruzione nell’estate seguente. Verdi si era trasferito a Sant’Agata verso la fine d’aprile, e il 10 settembre 1885 scriveva: «Da che sono qui (ho rossore a dirlo) non ho fatto nulla! Un po’ la campagna, i bagni, il caldo eccessivo e... diciamolo pure, la mia inimmaginabile poltroneria hanno posto ostacolo» (Lettera 59). Ma neanche un mese dopo poteva annunciare: « Ho finito il Quart’Atto e respiro! » (Lettera 60). (Era andato avanti con l’ultimo Atto, saltando sul tormentatissimo terzo.) La composizione non s’interruppe più (« Io non ho finito l’Opera », Lettera 71, 21 gennaio 1886; « Io vado avanti m[...]