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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Cessi, Problemi della storia d'Italia nell'opera di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Roberto Cessi
PROBLEMI DELLA STORIA D'ITALIA
NELL'OPERA DI GRAMSCI
(Appunti)
1. Storicismo e dogmatismo: storia e storiografia.
Per comprendere e precisare l'impostazione e la validità storiografica del Gramsci è necessario tener presente i limiti della sua concezione.
L'interpretazione storicistica della concezione del mondo non si traduce in un dogmatismo astratto e pregiudiziale: sia pure che, aderendo ai principi engelsiani della evoluzione umana, si distacchi dallo storicismo idealista e da quello positivista, o dal vecchio materialismo empirico.
lo storicismo gramsciano si riduce a un economismo puro e grossolanamente materialista. La storia, nel pensiero del Gramsci, si identifica in concomitanza con la politica e la filosofia, nella vita stessa, sia che si consideri come accadimento del passato, ovvero attuazione del presente, o previsione del futuro, e non si dissolve in una logica formale, propria dell'idealismo, o in un « fatalismo » naturalistico, che considera l'uomo come agente biologico o un astratto « homo oeconomicus »; ma si realizza in una serie di rapporti, che in vario grado di sviluppo e di intreccio costituiscono il tessuto della vita, sul quale operano gli aggruppamenti umani, nelle loro perenni alternative ed evoluzioni.
Storia non è storiografia: questa non è che interpretazione di quella, e, come tale, è soggetta ai difetti di conoscenza e, coerentemente, di rappresentazione unilaterale, di illusioni, o di presunzioni.
Assai facile, per esempio, nella presunta ricerca delle cause, scambiare per falsa prospettiva cause contingenti e accessorie con cause efficienti e primarie, e scambiare anche cause con effetti. La relatività
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della conoscenza limita perciò i valori obbiettivi della storiografia, i cui limiti di errore devono essere contenuti con una applicazione metodologica rigorosa. Di qui i valori di ordine metodologico, che costituiscono premessa aIl'indagine storiografica, non soltanto come strumento meccanico, ma soprattutto come atto introspettivo del processo umano.
Considerando perciò il perenne divenire del mondo come una ininterrotta successione di stati, che, secondo la legge engelsiana, si alternano con la maturazione e l'esaurimento della rispettiva funzione, il Gramsci proponeva alla ricerca storiografica l'identificazione dei rapporti di causa ed effetto, dei valori delle cause efficienti e di quelle subalterne, della formazione dei gruppi associati, del doro sviluppo fino alla piú elevata forma di organizzazione (nazione, Stato, partito, ecc.), dell'origine, dell'evoluzione e della funzione delle ideologie, dei valori culturali e del posto che essi occupano, delle reazioni, che questi riflettono nella serie dei rapporti umani.
Al vaglio di queste prospettive esaminiamo non la concezione storica del Gramsci, che sarebbe quanto dire la concezione del mondo, che si colloca nel quadro del materialismo storico, ma i profili storiografici, che si inquadrano nella sua concezione storica.
2. 1 momenti della storiografia gramsciana: Rinascimento e Risorgimento.
In particolare due sono i momenti, che hanno fermato l'attenzione del Gramsci: il Rinascimento e il Risorgimento, nella loro genesi e nei loro elementi costitutivi.
Per il Gramsci, il Rinascimento fu reazione al sistema municipalecorporativo ereditato dal mondo feudale e dalla scolastica, ma non lo superò.
Egli trovò manifesta espressione dei due termini nel profilo di due uomini: Machiavelli e Guicciardini, nell'uno dei quali sembra riflettersi 10 sforzo innovatore, che cerca la soluzione dei problemi dell'età sua, al di sopra del municipalismo, nel quale faticosamente si muove la società contemporanea; nell'altro, lo spirito conservatore, che vive delle vecchie ideologie maturate dall'impalcatura signorile, che non sa superare la struttura dominante.
Roberto Cessi 49
Il Gramsci trova un motivo di resistenza all'esuberante vigore machiavellico (che ,piú correttamente interpreta nei suoi valori politici e sociali piuttosto che nella vieta tradizione moralistica) nel difetto in Italia di una Riforma, che servisse di strumento a un processo di unificazione, quale ebbe la Germania e in parte la Francia; e piú ancora nel mancato accostamento alle masse popolari e il permanere di un distacco fra queste e le classe dirigenti, che impedí il formarsi di un processo e di una coscienza nazionale.
Quali i termini cronologici, quale la genesi e quale l'influsso dell'organizzazione ecclesiastica, come elemento politico piú che come fattore ideologico? Questi sono i problemi che il Gramsci propone e non restano senza ripercussione sull'immobilismo della cosí detta società barocca.
E quale la connessione col Risorgimento?
Ed anche questo termine, come pure quello di Rinascimento, che significa? Si .può convenire col Gramsci nel contestare il valore di termini cronologici, sia pure assunti a titolo indicativo: muovere dal Congresso di Vienna val quanto muovere dall'assedio di Torino del 1706, o risalire senz'altro all'età dei Comuni. II problema non sta nei termini cronologici, ma nei valori politicosociali del processo rivoluzionario; nella sua genesi, nella sua continuità e negli aspetti, che assume nelle successive fasi, in cui si realizza, dalla crisi settecentesca al cosí detto Risorgimento ottocentesco.
3. 1 presupposti rivoluzionari del processo storico.
Esattamente il Gramsci propone alle origini di quella un motivo agrario anche se egli adotta un concetto alquanto restrittivo, nazionalecontadino, che, a mio avviso, merita qualche riserva.
L'esigenza agraria è stata l'argomento che ha ispirato sia nella pratica che nella dottrina il lento formarsi della coscienza rivoluzionaria francese, fino allo sbocco nel moto convulso .e giacobino, che ha coronato la fase decisiva.
Fu quella che argutamente il Gramsci definisce rivoluzioneprogressiva, di cui il giacobinismo espresse il contenuto piú costruttivo, e successivamente neutralizzata da quella che fu detta controrivoluzione e che meglio può definirsi rivoluzioneconservatrice.
50 I documenti del convegno
La rivoluzione continuò dopo il tramonto del giacobinismo, ma in senso conservatore, compenetrandosi nel risorgimento ottocentesco, cosí come si era svolto anche in Inghilterra, sboccando in un movimento liberale.
In Italia, la fase rivoluzionariaprogressiva, secondo il Gramsci, è mancata o almeno ebbe breve risonanza, perché è mancato un movimento nazionalecontadino, un incontro cioè con la massa popolare (e in realtà l'elemento rurale costituiva la massa preponderante), è mancato l'impulso giacobino, e conseguentemente ha reso assai lento e faticoso il processo di unificazione politica.
Si potrebbe osservare che il problema della terra in Italia aveva aspetti assai diversi da quello frances[...]

[...]sí come si era svolto anche in Inghilterra, sboccando in un movimento liberale.
In Italia, la fase rivoluzionariaprogressiva, secondo il Gramsci, è mancata o almeno ebbe breve risonanza, perché è mancato un movimento nazionalecontadino, un incontro cioè con la massa popolare (e in realtà l'elemento rurale costituiva la massa preponderante), è mancato l'impulso giacobino, e conseguentemente ha reso assai lento e faticoso il processo di unificazione politica.
Si potrebbe osservare che il problema della terra in Italia aveva aspetti assai diversi da quello francese, per diverso regime, e si accostava piuttosto (fatte, si intende, le debite riserve di proporzione e di prospettiva per alcune caratteristiche fondamentali dell'aristocrazia rurale) a quello inglese, e di questo rispecchiò lo spiritoinformatore (tendenze liberali antigiacobine).
Ma è indubbiamente felice l'intuizione dello storicismo del Gramsci nell'individuare il termine fondamentale dei grandi processi rivoluzionarii: nel rapporta di massa con il duplice aspetto nazionale e agrario (contadino), nel quale si inseriscono le energie subalterne individuali e collettive. E questa espressione deve essere intesa nelle sue funzioni tecniche in confronto con quelle dominanti.
Nel concetto di massa non sussiste unità, omogeneità: anzi è contraddistinto da gradi diversi di eterogeneità, che si identificano nelle diversità nazionali, intese non in senso politico o morale, ma in senso di rapporti sociali, dei quali il preminente è quella legato alla terra.
Le grandi rivoluzioni del tempo moderno sono state impostate, nazionalmente, sul problema agrario, dal cristianesimo (abolizione della schiavitú) al municipalismo rinascimentale, se si vuol estendere l'era rinascimentale alla comunale (abolizione della servitú della gleba), al Risorgimento esteso al settecento (abolizione del privilegio immunitario aristocratico), con i quali coincidono coerenti ideologie sintetizzate nella espressione politica e morale di libertà: la libertà tacitiana del nuovo ordine scaturito dal lento dissolversi dei rapporti della società pagana, contrapposta alla servitus delle classi dominanti alla vigilia della crisi dello Stato imperiale; la libertà municipale, che dall'età dei comuni in poi si oppone all'universalismo della scolastica; la libertà risorgimentale che fa
Roberto Cessi 51
leva sul liberismo e sul liberalismo; ciascuna attuazione di un ordine nuovo, che non si arresta nel passato o nel presente, ma si protende nel futuro.
E un ordine nuovo è in atto.
In chiara e precisa sintesi il Gramsci ha individuato la fisionomia del Risorgimento italiano, comune del resto a quello delle altre nazioni, che ii d'Azeglio riassumeva nella formula: proprietà, religione, famiglia.
Nella sua vigorosa e incisiva critica, che inconsapevolmente coltiva qualche eredità romantica, il Gramsci poneva l'accento sul termine proprietà (proprietà privata), come quello che nel processo risorgimentale era diventato « istituto fondamentale dello Stato [la religione e la famiglia erano strumenti configuranti nella loro intima funzione ai fini della salvaguardia della proprietà) garantito e tutelato sia contro gli arbitrii del sovrano che contro le invasioni dei contadini espropriati » 1.
La nuova società si è sciolta da ogni vincolo collettivo e si è ricostruita intorno all'« individuocittadino », cui ha conferito la « libertà » di una illimitata concorrenza. Ma questa « libertà» ha trovato un limite nella diseguale distribuzione dei mezzi di produzione e di lavoro, si che 'l'illimitata « libertà » degli uni si è tradotta nella « servitú » degli altri.
Già a suo tempo Mazzini ne intuiva gli effetti quando incitava i lavoratori a combattere per la propria causa come membri di una classe, dopo aver combattuto e essersi sacrificati per gli altri come cittadini senza alcun compenso: ma egli allora non riusciva a superare il pregiudizio di classe, ricadendo in un solidarismo paralizzatore.
La nuova società però non aveva eliminato le contraddizioni, dalle quali risorgeva il perenne contrasto tra rivoluzioneconservazione e rivoluzioneprogressista: alle vecchie aveva sostituito le nuove, sulla base di nuovi rapporti tra capitale e lavoro, non piú corporativi ma salariali.
La sanzione giuridica conferita al principio della società borghese aveva rivendicato ad essa la prerogativa di perpetuità: ma il divenire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale è antitetico al concetto di perpetuità.
« La critica marxista all'economia liberale — ben sottolinea il Gramsci — la critica al concetto di perpetuità degli istituti umani economici e
1
0.N., p. 4.
52 I documenti del convegno
politici: è la riduzione a storicità e contingenza di ogni fatto, è una lezione di realismo agli astrattisti pseudoscienziati, difensori delle casseforti » 1. Ed è cosí che, « riconosciuto giuridicamente come una perpetuità il principio della società borghese, si inizia l'era del proletariato ».
Il proletariato nasce dalla stessa esigenza di conservazione della borghesia, inizialmente beneficato dalla concorrenza borghese, con l'apparente offerta di « libertà » di collocamento della propria opera nella presunzione di ottenere le condizioni piú vantaggiose, tosto annullata dal vincolo salariale, con tutte le conseguenze economiche, sociali, e politiche, che esso comporta.
« Il movimento operaio è la riscossa spirituale dell'umanità — osserva il Gramsci — contro i nuovi e spietati feudatari del capitale; è la reazione della società che vuole ricomporsi in armonico organismo solidale e retto dall'amore e dalla pietà. Il "cittadino" viene rinnegato dal "compagno "; l'atomismo sociale viene rinnegato dall'organizzazione » 2.
Si profila un nuovo concetto di « libertà », quella « libertà », che nasce dalla liberazione dalle contraddizioni, che corrodono la società, superando la contrapposizione di classe.
Anche questa « rivoluzione » trova il suo primo fermento nel problema agrario: il cartismo ed il falansterismo erano stati gli epigoni del giacobinismo, che aveva cooperato al consolidamento delle strutture borghesi.
I nuovi fermenti nascono sul terreno salariale e nell'ambito delle masse rurali. In Italia il progressivo turbamento dei primi decenni dopo l'unità politica, dalle grandi inchieste agrarie di stile borghese, ordinate a titolo di preventiva difesa, ai moti contadini dei fasci siciliani e di quelli della pianura padana, pionieri del risorgimento proletario; in Russia le agitazioni agrarie della seconda metà del sec. XIX, sono stati il preludio di quella « rivoluzioneprogressiva » che è in atto, con le alternative, che ogni sforzo trasformatore delle strutture sociali comporta nell'ordine politico e in quello ideologico.
E questa è storia, è cioè vita in atto e nel suo piú complesso divenire, e non semplicemente storiografia.
1 O. N., p. 4.
2 O. N., p. 5.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Alderisio, Riflessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi in Studi gramsciani

Brano: Felice Alderisio
RIFLESSIONI DI A. GRAMSCI SUL CONCETTO DELLA FINALITÀ` NELLA FILOSOFIA DELLA FRASSI
facilmente riconoscibile che tutta la materia raccolta nel volume postumo di Gramsci Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce presenta un andamento asistematico e rapsodico, e spesso ha un carattere meramente filologico, anziché speculativo, per quanto il volume stessa riesca largamente informativo ed illuminante su di un notevole gruppo di questioni anche d'interesse strettamente filosofico e dottrinario. Ed. anche, o specialmente, le riflessioni sporadiche e per lo piú vaghe e indirette ivi contenute sulla finalità, o teleologia, nel mondo naturale e soprattutto nel mondo umano — la quale categoria, per quanto intervenga solo occasionalm[...]

[...]mo storico e la filosofia di B. Croce presenta un andamento asistematico e rapsodico, e spesso ha un carattere meramente filologico, anziché speculativo, per quanto il volume stessa riesca largamente informativo ed illuminante su di un notevole gruppo di questioni anche d'interesse strettamente filosofico e dottrinario. Ed. anche, o specialmente, le riflessioni sporadiche e per lo piú vaghe e indirette ivi contenute sulla finalità, o teleologia, nel mondo naturale e soprattutto nel mondo umano — la quale categoria, per quanto intervenga solo occasionalmente, o per lo piú inconsapevolmente, nelle pagine degli autori piú insigni della filosofia della prassi e del materialismo storico, è necessariamente intrinseca e implicita in tale dottrina, ed è particolarmente valida per distinguerla, anche meglio che non si sia fatto neI passato, dal comune indirizzo del naturalismo positivistico o dello schietto materialismo, — sono state pensate e scritte da Gramsci in forma filologica, immediata e intenzionalmente provvisoria, se non proprio di sfuggita; e ciò forse è avvenuto assai piú in considerazione della gran difficoltà del tema e dell'impegno critico da esso richiesto, che non per il misconoscimento o la svalutazione di esso in ordine alla più compiuta. e soddisfacente concezione della natura e della storia nella filosofia della. prassi. E quindi ovvio e naturale per me che il tema di questa comunicazione rispetti e quasi rispecchi nella sua trattazione l'indole e l'andamento delle riflessioni gramsciane che ad esso si riferiscono, fino a la sciare allo stato semplicemente allusivo o alquanto indeterminato quegli
54 I documenti del convegno
spunti di idee, che cosí furono abbozzati nei quaderni del carcere, donde fu tratta la materia per il suddetto volume.
Gramsci ha affermato che la « filosofia della prassi è una concezione nuova, indipendente, originale », e che la sua indipendenza e originalità è quella « di una nuova cultura in incubazione, che si svilupperà con lo svilupparsi dei rapporti sociali »; ha scritto inoltre che « la filosofia della prassi è uguale a Hegel piú Davide Ricardo » 1, in quanto i nuovi canoni metodologici introdotti da Ricardo in economia « hanno avuto un significato d'innovazione filosofica » (cosicché, ad es., il principio della legge di tendenza nell'homo oeconomicus e nel mercato determinato « è stata una scoperta di valore anche gnoseologico », ed « implica appunto una nuova concezione della necessità e della libertà» 2); e infine — ancora piú determinatamente — ha scritto che « la filosofia della prassi è una riforma e uno 'sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca di liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico ». In altri termini, ritenendo egli che la proposizione di Engels del « passaggio dal regno della necessità al regno della libertà » debba essere analizzata ed elaborata « con molta finezza e delicatezza », è quindi — ciò che è ancora piú significativo — pervenuto alla franca ammissione di un'etica o moralità del materialismo storico, cosí scrivendo:
1 M. S., p. 90.E da aggiungere che G. ha anche rilevato la diffusa opinione che la filosofia della prassi è una pura filosofia, cioè « la scienza della dialettica » , ed ha altre due parti, che sono « l'economia e la politica »; e che essa con tali tre parti « rappresenta il coronamento e il superamento del grado piú alto che verso il '48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni piú progredite d'Europa : la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e l'attività e scienza politica francese » (M. S., pp. 1289). Ma egli ha badato soprattutto a rilevare l'importanza della dialettica, che è « dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia [...]

[...]enza delle nazioni piú progredite d'Europa : la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e l'attività e scienza politica francese » (M. S., pp. 1289). Ma egli ha badato soprattutto a rilevare l'importanza della dialettica, che è « dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza politica », e ad intendere la filosofia della prassi « come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero, in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo, tradizionali espressioni delle vecchie società » (M. S., p. 132). Mi par degno di rilievo anche il buon apprezzamento che G. fece del Lange, giudicandolo uno storico coscienzioso ed acuto, che ha del materialismo « un concetto assai preciso, definito e limitato, e perciò... non considera materialistici il materialismo storico e neanche la filosofia di Feuerbach » (M. S., p. 152).
2 G. intende il « mercato determinato » di Ricardo come un « determinato rapporto di forze sociali in una determinata struttura dell'apparato di produzione », il quale rapporto viene «garantito (cioè reso permanente) da una determinata superstruttura politica, morale, giuridica » (M. S., p. 99).
Felice Alderisio 55
« La base scientifica di una morale del materialismo storico è da cercare, mi pare, nell'affermazione che "la società non si pone compiti per la soluzione dei quali non esistano già le condizioni di risoluzione ". Esistendo le condizioni, "la soluzione dei compiti diviene ` dovere', la ` volontà ' diviene libera ". La morale diventerebbe una ricerca delle condizioni necessarie per la libertà del volere in un certo senso, verso un certo fine e la dimostrazione che queste condizioni esistono. Si dovrebbe trattare anche non di una gerarchia dei fini, ma di una graduazione dei fini da raggiungere, dato che si vuole "moralizzare" non solo ogni individuo singolarmente preso, ma anche tutta una società d'individui » 1. Qui non occorre gran fatica per vedere conciliate la condizionalità storica, su cui insiste il materialismo storico per l'efficacia dell'azione economicopolitica, con l'esigenza etica propria del libero volere agente secondo fini suggeriti soprattutto dalla detta condizionalità e da realizzarsi, se necessario, anche con un rovesciamento della prassi; onde il progresso sociale riesca una moralizzazione sociale. Ma il detto volume contiene un'altra riflessione, molto ampia e forse meglio introduttiva alla filosofia della prassi, e con la quale Gramsci vedeva questa filosofia presupporre il passato culturale della Rinascita e della Riforma, la filosofia tedesca e la Rivoluzione francese, :il calvinismo e l'economia classica inglese, il liberalismo laico e in senso lato lo storicismo, che sta alla base di tutta la concezione moderna della vita. E di tutto questo complesso movimento « la filosofia della prassi è il coronamento », quale «riforma intellettuale e morale », e anche quale dialettizzamento del « contrasto tra cultura popolare e alta cultura » : essa è « una filosofia che è anche politica, e una politica che è anche filosofia ». Però essa « attraversa ancora la sua fase popolaresca », non essendo cosa facile ï1 suscitare da essa « un gruppo d'intellettuali indipendenti »; è ancora « la concezione di un gruppo sociale subalterno senza iniziativa storica,
1 M. S., p. 98. In questo capitoletto, intitolato [...]

[...] complesso movimento « la filosofia della prassi è il coronamento », quale «riforma intellettuale e morale », e anche quale dialettizzamento del « contrasto tra cultura popolare e alta cultura » : essa è « una filosofia che è anche politica, e una politica che è anche filosofia ». Però essa « attraversa ancora la sua fase popolaresca », non essendo cosa facile ï1 suscitare da essa « un gruppo d'intellettuali indipendenti »; è ancora « la concezione di un gruppo sociale subalterno senza iniziativa storica,
1 M. S., p. 98. In questo capitoletto, intitolato « Scienza morale e materialismo storico», è difficile cogliere sicuramente il senso inteso da G. nel distinguere «una gerarchia dei fini » da « una graduazione dei fini »; ma mi par verosimile che egli abbia alluso ad una successione storica dei fini individuali e sociali, ed all'azione, o «missione» storica, della classe progressiva che via via li realizza, senza una possibilità assoluta che la storia del progresso sociale sia modellabile su di una gerarchia troppo anticipata nel tempo, — cioè precostituita, o prepostera, — dei fini stessi, che sono solamente da attendersi se e come la storia effettiva li realizza.
5.
56 I documenti del convegno
che si amplia continuamente, ma disorganicamente, e senza poter oltrepassare un certo grado qualitativo », finché non si arrivi al possesso dello Stato, all'esercizio reale di una egemonia sociale, che solo può permettere « un certo equilibrio organico nello sviluppo del gruppo intellettuale ». Ed anzi la filosofia della prassi è divenuta anch'essa « pregiudizio » e « superstizione », o è quasi « l'aspetto popolare dello storicismo moderno » , « contiene in sé un principio di superamento di questo storicismo». È anche accaduto, nella storia della cultura, che ogni volta che è affiorata la cultura popolare, e dalla « ganga popolare » — in una fase di rivolgimento — « si selezionava il metallo di una nuova classe», si è avuta una fioritura di « materialismo »; e che viceversa « nello stesso momento le classi tradizionali si aggrappavano allo spiritualismo».. « Hegel, a cavallo della Rivoluzione francese e della Restaurazione, ha dialettizzato i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiritualismo, ma la sintesi fu " un uomo che cammina sulla testa ". I continuatori di Hegel hanno distrutto quest'unità, e si è ritornati ai sistemi materialistici da una parte e a quelli spiritualistici dell'altra. La filosofia della prassi, nel suo fondatore, ha rivissuto tutta questa esperienza, di hegelismo, feueibacchismo, materialismo francese, per ricostruire la sintesi della unità dialettica: " l'uomo che cammina sulle gambe ". Il laceramento avvenuto per l'hegelismo si è ripetuto per la filosofia della prassi, cioè dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica, ha cercato d'incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir» 1 (di lunga vita per la classe di. cui la cultura idealistica è stata ed è l[...]

[...]ca: " l'uomo che cammina sulle gambe ". Il laceramento avvenuto per l'hegelismo si è ripetuto per la filosofia della prassi, cioè dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica, ha cercato d'incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir» 1 (di lunga vita per la classe di. cui la cultura idealistica è stata ed è l'esponente).
È facile qui rilevare che Gramsci intuiva nella concezione hegeliana — a parte la cattiva riuscita di essa in una sorta di uomo capovolto, che cammini sulla testa delle idee, e non sulle gambe dei bisogni e delle forze reali — una sintesi di due momenti della vita e del pensiero, e vedeva pure, in corrispondenza o analogia col laceramento avvenute nella scuola hegeliana, anche un laceramento avvenuto nella filosofia. della prassi, spesso degenerata in pregiudizio o superstizione materialistica e deterministica. Onde egli avvertiva che se la filosofia della prassi aveva
1 M. S., pp. 867.
Felice Alderisio 57
ragione di affermare che ogni « verità » creduta eterna ed assoluta « ha avuto origini pratiche e ha rappresentato un valore provvisorio (storicità di ogni concezione del mondo e della vita) », bisognasse ancora ammettere — per quanto la cosa fosse difficile farla comprendere « praticamente » — che una tale interpretazione storicista delle verità supreme del mondo e della vita « è valida anche per la stessa filosofia della prassi, senza scuotere quei convincimenti che sono necessari per l'azione » , e senza perciò dedurre dallo storicismo « lo scetticismo morale e la depravazione ». Insomma Gramsci qui riassume nella concettosa riflessione già riferita la sua veduta circa la filosofia della prassi: « Ecco perché la proposizione del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà deve essere analizzata ed elaborata con molta finezza e delicatezza » 1.
Altra considerazione di Gramsci che a me sembra pure orientata o convergente verso il nostro tema è quella sul concetto di regolarità e necessità nello sviluppo storico, a cui giunse il « fondatore della filosofia della prassi » (Marx); ma non proprio per « una derivazione dalle scienze naturali », bensí con « una elaborazione di concetti nati nel terreno dell'economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ricardo », (la cui impostazione delle leggi economiche Gramsci riteneva necessario studiare). Infatti Ricardo « non ha avuto importanza nella fondazione della filosofia della prassi solo per il concetto di " valore " in economia, ma ha avuto un'importanza " filosofica ", ha suggerito un modo di pensare e d'intuire la vita e la storia ». Tale modo di pensare è, detto alla buona, « il metodo del posto che, delta premessa che dà una certa conseguenza »; ed a Gramsci parve che esso « debba essere identificato come uno dei punti di partenza (stimoli intellettuali) delle esperienze filosofiche dei fondatori della filosofia della prassi ». Ma l'economia classica dette luogo a una « critica dell'economia politica », la quale è partita dal concetto de[...]

[...]perienze filosofiche dei fondatori della filosofia della prassi ». Ma l'economia classica dette luogo a una « critica dell'economia politica », la quale è partita dal concetto della « storicità » del mercato determinato e del suo cosiddetto « automatismo », mentre gli economisti puri concepivano gli elementi o fattori economici come « eterni », « naturali ». « La critica analizza realisticamente i rapporti delle forze che determinano il mercato, ne approfondisce le contraddizioni, valuta le modificabilità connesse all'apparire di
1 M. S., p. 95.
58 i documenti del convegno
nuovi elementi e al loro rafforzarsi, e presenta la caducità e sostituibilità della scienza criticata;... trova nel suo intimo gli elementi che la dissolveranno e la supereranno immancabilmente, e presenta l'erede, che sarà presuntivo finché non avrà dato prova manifesta di vitalità » '.
Non si tratta dunque di un automatismo statico, immodificabile dal giuoco delle forze economiche e dal loro risultato, ma variabile col variare dei rapporti delle forze; ed è un automatismo in cui entra « l'arbitrio » individuale o collettivo (che è l'elemento storicistico per eccellenza). e L'elemento arbitrario », dell'individuo, di consorzi sociali, dello Stato, come Gramsci riconosce — ha assunto « un'importanza che[...]

[...]ale »
mediante interventi arbitrari, « misura diversa, imprevedibili», per quanto esso non faccia sparire del tutto il vecchio « automatismo », il quale può continuare a verificarsi « su scale piú grandi di quelle di prima per i grandi fenomeni economici, mentre i fatti particolari sono impazziti» (o si hanno le crisi economiche, che modificano la vita economica, soprattutto a causa dell'elemento arbitrario). Queste e simili considerazioni ritiene Gramsci di dover fare onde « prendere le mosse per stabilire ciò che significa regolarità, legge, automatismo nei fatti storici », e senza che con ciò si tratti «di scoprire una legge metafisica di determinismo, e neppure di stabilire una legge generale di causalità. Si tratta solo di rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze relativamente permanenti, che operano con una certa regolarità e automatismo ». In altri termini non si può indicare una vera e propria « legge» dei fatti storici, eterna ed immutabile; ma l'accennato « elemento della filosofia della prassi » (derivato, secondo Gramsci, soprattutto dall'impostazione delle leggi economiche fatta dal Ricardo) « è poi, nientemeno, il suo particolare modo di concepire l'immanenza » . Nel senso finora chiarito « il concetto di necessità è strettamente connesso a quello di regolarità e di razionalità » . Non è la necessità nel senso
1 M. S., pp. 99100. A proposito del modo di pensare la vita e la storia conseguentemente alla forma e al metodo dell'economia politica del Ricardo, Gramsci qui annota che bisogna vedere, o meglio studiare, il concetto filosofico di caso e di legge, il concetto di una razionalità e di una provvidenza perché —come solitamente è accaduto — si finisce, da un lato, « nel teleologismo trascendentale, se non trascendente », e dall'altro lato — col concetto di caso — « nel materialismo metafisico, che il mondo a caso pone».
Felice Alderisio 59
speculativo astratto, ma « nel senso storico concreto », poiché « esiste necessità quando esiste una premessa efficiente e attiva, la cui consapevolezza negli uomini sia diventata operosa ponendo dei fini concreti alla coscienza collettiva, e costituendo un complesso di convinzioni e di credenze potentemente agente come le " credenze popolari ". Nella premessa devono essere contenute, già sviluppate o in via di sviluppo, le condizioni materiali necessarie e sufficienti per la realizzazione dell'impulso di volontà collettiva, ma è chiaro che da questa premessa " materiale ", calcolabile quantitativamente, non pub essere disgiunto un certo livello di cultura, un complesso cioè di atti intellettuali e da questi (come loro prodotto e conseguenza) un certo complesso di passioni e sentimenti imperiosi, cioè che abbiano la forza di indurre all'azione " a tutti i costi ".
Come si è detto, solo per questa via si pub giungere a una concezione storicistica (e non speculativaastratta) della "razionalità" nella storia » (e quindi anche della cosiddetta irrazionalità — relativa anch'essa, com'è relativa la razionalità — nella storia stessa).
Da quanto precede risulta una innegabile intuizione da parte di Gramsci della presenza del fattore arbitrio, anzi del fattore razionalità, cioè di una legge immanente, nonché di una finalità ed autodeterminazione (se consapevole o inconsapevole, o con entrambe le accezioni, ora non importa indagare) nella storia e nella vita umana. E di una tale intuizione si possono rintracciare altre chiare indicazioni .non solo nell'opera finora citata, ma anche in altre. Ma è anche innegabile che di quel concetto Gramsci ebbe piú il senso e l'avvertimento che non l'intendimento pieno e spiegato, onde egli della questione della razionalità o immanenza della storia umana e della teleologia, come finalità naturale e interna alle cose e come idea umana operante nella storia, dovette limitarsi a dare solo alcune interessanti indicazioni piú che altro +filologiche, che potevano soltanto preludere ad una necessaria trattazione teoretica, ma non soddisfarla, ancor meno eluderla. Tuttavia quanto egli riuscí a considerare sull'argomento fu segno per lui di un chiaro e fermo
i M. S., p. 101. Qui G. ricorda i concetti di « Provvidenza » e di « fortuna » come sono stati adoperati speculativamente dai filosofi idealisti italiani, specialmente dal Croce, del quale occorreva vedere il libro sul Vico, « in cui il concetto di Provvidenza è tradotto in termini speculativi, e in cui si dà inizio all'interpretazione idealistica della filosofia vichiana ».
60 1 documenti del convegno
orientamento, e tale orientamento è sempre valido e necessario per la migl[...]

[...]cor meno eluderla. Tuttavia quanto egli riuscí a considerare sull'argomento fu segno per lui di un chiaro e fermo
i M. S., p. 101. Qui G. ricorda i concetti di « Provvidenza » e di « fortuna » come sono stati adoperati speculativamente dai filosofi idealisti italiani, specialmente dal Croce, del quale occorreva vedere il libro sul Vico, « in cui il concetto di Provvidenza è tradotto in termini speculativi, e in cui si dà inizio all'interpretazione idealistica della filosofia vichiana ».
60 1 documenti del convegno
orientamento, e tale orientamento è sempre valido e necessario per la migliore intelligenza e il piú sicuro quanto necessario sviluppo della filosofia della prassi.
Ed ecco ora l'osservazione piú diretta e calzante sul concetto della finalità, lasciataci da Gramsci nei suoi « quaderni », per quanto anch'essa sia rimasta alla fase di una semplice obiezione polemica e di una vaga e generica presa di posizione teoretica. E un'annotazione avente per titolo « La teleologia » 1 e fa parte delle molteplici critiche che Gramsci scrisse contro il Manuale popolare di sociologia marxista di Bukharin. Egli fra l'altro lamentava che tale libro proprio « nella questione della teleologia » apparisse piú vistosamente difettoso, poiché a tale proposito quel saggio popolare presentava « le dottrine filosofiche passate su uno stesso piano di trivialità e banalità, cosí che al lettore pare che tutta la cultura passata sia stata una fantasmagoria di baccanti in delirio... Cosí il Saggio presenta la quistione della teleologia nelle sue manifestazioni piú infantili, mentre dimentica la soluzione data da Kant. Si potrebbe forse dimostrare che nel Saggio c'è molta teleologia inconscia, che riproduce senza saperlo il punto di vista di Kant: per esempio il capitolo sull'Equilibrio tra la natura e la società» 2. Ed a questo proposito, tanto del vieto finalismo teologico o trascendente ed intrinseco (degenerante spesso ad un livello volgare ed infantile), quanto di una teleologia razionale e scientifica (che ben poteva meritare di essere adoperata anche
M.S., pp. 1645.
2 La critica qui fatta da Gramsci a Bukharin è tanto piú seria e degna di meditazione in quanto egli vi denunziava un metodo riprovevole di esporre le dottrine storiche, poiché, a causa di esso, « un lettore serio, che estenda le sue nozioni e approfondisca i suoi studi, crede di essere stato preso in giro, ed estende il suo sospetto a tutto l'insieme del sistema. È facile parere di aver superato una posizione abbassandola, ma si tratta di una pura illusione verbale. Presentare cosí burlescamente le questioni può avere un significato in Voltaire, ma non è Voltaire chiunque voglia, cioè non è grande artista ». Ma sull'argomento della finalità si può rendere un po' di giustizia anche al Voltaire (filosofo a modo suo, ma non senza acume pari alla sua spregiudicatezza, oltre che grande artista). Egli infatti si professò, al suo tempo, e in mezzo a tanto materialismo democratico, un causefinalier, c'est à dire un imbécile, e scrisse delle sagge riflessioni nel suo Dizionario filosofico (alla voce Fin, cause finale), distinguendo i fini fittizi e innat[...]

[...]uò avere un significato in Voltaire, ma non è Voltaire chiunque voglia, cioè non è grande artista ». Ma sull'argomento della finalità si può rendere un po' di giustizia anche al Voltaire (filosofo a modo suo, ma non senza acume pari alla sua spregiudicatezza, oltre che grande artista). Egli infatti si professò, al suo tempo, e in mezzo a tanto materialismo democratico, un causefinalier, c'est à dire un imbécile, e scrisse delle sagge riflessioni nel suo Dizionario filosofico (alla voce Fin, cause finale), distinguendo i fini fittizi e innaturali da quelli manifestamente naturali e razionali, per cui iniziò il suo ragionamento con questa ferma battuta: « Il parait qu'il faut être force pour nier que les estomacs soient faits pour digérer, les yeux pour voire, les oreilles pour entendre».
Felice Alderisio 61
dalla scienza naturale, e di essere accortamente adottata dalla filosofia della prassi), Gramsci prese posizione a questo punto in una lunga e concettosa nota, valendosi del pensiero di Kant, di Goethe e di Croce. In tale nota Gramsci comincia col citare dalle Xenie del Goethe (nella traduzione del Croce)' l'esortazione satirica contro il finalismo volgare: «Il Teleologo: — II Creatore buono adoriamo del mondo, che, quando — il sughero creò, inventò insieme il tappo » ; poi riporta questa breve ed importante chiosa del Croce stesso: « Contro il finalismo estrinseco, generalmente accolto nel secolo decimottavo, e che il Kant aveva di recente criticato surrogandolo con un piú profondo concetto della finalità »; poi egli si attacca di nuovo al Goethe, scrivendo che questi « altrove e in altra forma » aveva ripetuto « questo stesso motivo », e infine ne dichiara la derivazione dal Kant riportando questi giudizi del Goethe: « Il Kant è il
più eminente dei moderni filosofi, quello le cui dottrine hanno maggiormente influito sulla mia cultura; la distinzione del soggetto dall'oggetto
e il principio scientifico che ogni cosa esiste e si svolge per ragion sua propria ed intrinseca (che il sughero, a dirla proverbialmente, non nasce per servir di turacciolo alle nostre bottiglie) ebb'io comune col Kant, ed io in seguito applicai molto studio alla sua filosofia». Da ultimo Gramsci trae il succo di tali anteriori motivi di pensiero, e conclude [...]



da Alberto Moravia, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Il comunismo al potere e i problemi dell'arte in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO*
IL COMUNISMO AL POTERE
E I PROBLEMI DELL'ARTE
Un conto é sostenere e dimostrare che l'arte è sovrastruttura e un altro é pretendere che l'artista ne sia consapevole e faccia di questa consapevolezza la ragione della sua arte. Non hanno mai pensato i marxisti che l'arte comincia invece proprio a partire dalla inconsapevolezza dell'artista di ogni determina.tione extrartistica? E che un'arte che accettasse la loro definizione sarebbe paragonabile ad una donna che si definisse da se stessa venale? E che non è un caso che l'arte esplicitamente sociale sia soltanto un trascurabile episodio nella generale storia dell'arte di tutti i tempi? E che la poesia, insomma, nasce da un'illusione di autonomia? E che ogni determinismo, non soltanto quello economico, fa avvizzire l'arte come un soffio di aria gelida su un fiore appena sbocciato?
(N, d. R.) Ci é sembrato utile iniziare con questo primo fascicolo una inchiesta sull'arte e il comunismo. Diciamo subito che la nostra attenzione era particolarmente rivolta (ma non in modo esclusivo) ad esplorare i punti nei quali questo rapporto si presenta con carattere più accentuato di crisi: ossia da un lato in quegli scrittori che, provenendo da una formazione culturale più complessa, hanno abbracciato la jede comunista ed avvertono il travaglio di adattarsi a questa ortodossia; e dall'altro in quegli scrittori che, avendo abbandonato il partito comunista, sentono tuttavia di non poter rinunciare alle istanze sociali che lo alimentano.
Diciamo anche subito, non senza rammarico, che sotto questo aspetto la nostra inchiesta ha incontrato difficoltà tanto insormontabili da doversi considerare fallita. Noi non siamo alieni dall'apprezzarne le valide ragioni; fra di esse, non ultimo, il pudore che ogni uomo ha di rompere il riserbo intorno ai drammi sp[...]

[...]bracciato la jede comunista ed avvertono il travaglio di adattarsi a questa ortodossia; e dall'altro in quegli scrittori che, avendo abbandonato il partito comunista, sentono tuttavia di non poter rinunciare alle istanze sociali che lo alimentano.
Diciamo anche subito, non senza rammarico, che sotto questo aspetto la nostra inchiesta ha incontrato difficoltà tanto insormontabili da doversi considerare fallita. Noi non siamo alieni dall'apprezzarne le valide ragioni; fra di esse, non ultimo, il pudore che ogni uomo ha di rompere il riserbo intorno ai drammi spirituali non) interamente risolti.
I saggi che pubblichiamo sono quanto finora siamo riusciti a realizzare, di quel nostro progetto più ambizioso. Ci auguriamo che essi abbiano un seguito. L'inchiesta
rimane aperta.
4 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
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Il problema sociale non puó toccare l'arte che attraverso la mediazione della natura. Giacché l'arte è il dialogo dell'uomo con la natura, dialogo iniziato agli albori dell'umanità, quando non c'erano religioni tanto meno partiti e, da allora, mai più interrotto. Le caverne di Altamira esistevano prima di Cristo e prima di Marx.
* * *
I marxisti vorrebbero un'arte completamente sociale, senza residui evasioni di alcun genere. La ragazza che ama l'operaio perché questi ha oltrepassato la « norma » di lavoro, buon esempio di questa pretesa. E forse riusciranno nel loro intento. Ma quel giorno scopriranno che la « norma » ha assunto un carattere erotico. La natura regna nell'arte, non la società.
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Quando tutto é stato detto sull'arte, l'ultima parola spetta pur sempre agli artisti. Il brodo di pollo non si fa se non c'é il pollo. In certi casi il pollo scappa sulla cima del campanile e la caldaia dell'acqua continua a bollire invano.
* * *
L'esame delle opere d'arte dei paesi comunisti rivela negli artisti una preoccupazione d'ordine pratico predominante: far la propaganda all'ideologia di stato, essere in regola con questa ideologia, non far nulla che possa suonare non soltanto come disaccordo ma anche come indifferenza a questa ideologia. Perché questa preoccupazione ci appare diversa da quella, poniamo, dei primitivi italiani i quali, tuttavia facevano arte cristiana e soltanto quella? Perché i primitivi italiani non potevano essere che cristiani, mentre i comunisti potrebbero ancora oggi essere o non essere comunisti. C'è, insomma, tuttora una possibilità di scelta e dunque, purtroppo, anche di coercizione. E basta l'ombra della coercizione per far sfumare la poesia. I comunisti dovranno conquistare il mondo intero prima di avere un'arte degna di questo nome.
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La teoria della sovrastruttura dovuta al momento in cui Marx scrisse i suoi libri. Un cattivo momento per l'arte, senza dubbio, ma pas
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seggero. Due secoli prima, Marx non avrebbe trovato appigli per la sua teoria. La teoria dell'arte come sovrastruttura é legata al problema della produzione industriale dell'arte e non porta che ad una nuova definizione, di specie sociale ed economica, dell'arte mancata, del[...]

[...] comunisti dovranno conquistare il mondo intero prima di avere un'arte degna di questo nome.
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La teoria della sovrastruttura dovuta al momento in cui Marx scrisse i suoi libri. Un cattivo momento per l'arte, senza dubbio, ma pas
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 5
seggero. Due secoli prima, Marx non avrebbe trovato appigli per la sua teoria. La teoria dell'arte come sovrastruttura é legata al problema della produzione industriale dell'arte e non porta che ad una nuova definizione, di specie sociale ed economica, dell'arte mancata, dell'arte brutta. L'arte riuscita, l'arte bella non c'entra.
* * *
L'arte come sovrastruttura fa pensare a tanti altri determinismi che non funzionano se non nei casi minori: l'arte dei galeotti, l'arte dei pazzi, l'arte dei ciechi, l'arte dei bambini e via dicendo. Ma la grande arte non é sovrastruttura, essa rassomiglia alla struttura, non ne deriva.
***
Il valore educativo dell'arte é enorme ma esso diminuisce nella misura che l'arte si allontana dalla natura. Bandite dall'arte la natura con le sue contraddizioni, la sua varietà, il suo capriccio, la sua libertà
e avrete un'arte priva di potere educativo, qualunque sia la ideologia che l'inspira. Allo stesso modo un soggiorno in riva al mare fortifica; ma un soggiorno in una stanza in cui sia dipinta una marina non fa alcun effetto salutifero.
Il collasso presente universale dell'umanità non è che il risultato di due guerre spaventose. Non c'è bisogno di essere grandi profeti per prevedere che tra un secolo o due, l'umanità avrà ritrovato un'immagin[...]

[...]rtà
e avrete un'arte priva di potere educativo, qualunque sia la ideologia che l'inspira. Allo stesso modo un soggiorno in riva al mare fortifica; ma un soggiorno in una stanza in cui sia dipinta una marina non fa alcun effetto salutifero.
Il collasso presente universale dell'umanità non è che il risultato di due guerre spaventose. Non c'è bisogno di essere grandi profeti per prevedere che tra un secolo o due, l'umanità avrà ritrovato un'immagine decente di se stessa. Intanto, pero, essa é simile a un ubriaco lordo
e insanguinato che si guardi in uno specchio e si meravigli di trovarsi tanto orribile. Secondo taluni essa dovrebbe continuare a guardarsi in questo specchio, secondo altri essa dovrebbe sostituire lo specchio con l'oleografia di un uomo sobrio e pulito. Pochi pensano che sarebbe meglio che essa si nettasse e si riposasse. E anche quelli che lo pensano non rinunziano a proporre sia lo specchio sia l'oleografia.
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Gli artisti dei paesi occidentali sono scandalizzati e addolorati dall'arte dei paesi orientali. Ma se invece di scandalizzarsi e di addolo
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rarsi, riflettessero un momento che quell'arte esiste soltanto in quanto esiste l'arte occidentale, penserebbero piuttosto a battersi il petto e a dire « mea culpa ». Cosi il capitalismo nei riguardi del comunismo e in genere per ogni aspetto della vita civile, nell'uno e nell'altro campo.
I casi son[...]

[...]li che lo pensano non rinunziano a proporre sia lo specchio sia l'oleografia.
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Gli artisti dei paesi occidentali sono scandalizzati e addolorati dall'arte dei paesi orientali. Ma se invece di scandalizzarsi e di addolo
6 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
rarsi, riflettessero un momento che quell'arte esiste soltanto in quanto esiste l'arte occidentale, penserebbero piuttosto a battersi il petto e a dire « mea culpa ». Cosi il capitalismo nei riguardi del comunismo e in genere per ogni aspetto della vita civile, nell'uno e nell'altro campo.
I casi sono due: o come vuole il marxismo l'arte é una sovrastruttura e allora poiché é giusto risalire dalla sovrastruttura alla struttura ossia dai frutti all'albero, bisognerà pensare che la struttura in certi paesi orientali, oggi, non é quale ce la descrivono; oppure il marxismo, almeno per quanto riguarda l'arte, erra e allora bisogna pensare che, semplicemente, gli artisti di quei paesi valgon poco. In tutti e due i casi il marxismo esce malconcio, il che pensiamo sempre gli avverrà quando vorrà esorbitare dal campo economico e sociale che gli é proprio.
La libertà politica per l'arte non é una condizione sine qua non: grande arte fiori anche in tempi di nessuna libertà. L'arte, per fiorire, ha bisogno assoluto di un'altra cosa: che il corpo sociale sia fatto della stessa materia di cui é fatta l'arte. Ora, materia dell'arte, è la varietà infinita della natura. Se il corpo sociale, per mezzo del fanatismo religioso o politico, ha ridotto o soppresso in se stesso la varietà della natura, l'arte potrà anche essere liberissima, ma non fiorirà.
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Ogni sistemazione dell'arte in base ad una teoria estrinseca all'arte medesima è per lo meno arrischiata e pregna di delusioni. Immaginate un momento il contrario: la politica concepita secondo dettami estetici. In realtà tali sistemazioni sono atti di prepotenza dell'attività predominante su quella che provvisoriamente sembra meno importante. La politica é predominante in questo secolo, dunque sembra logico inferirne che tutte le altre attività umane debbano esserle ancelle. Ma fate che la marea politica si ritragga e si vedrà che il suo flusso non ha cambiato che la cosa politica, lasciando inalterati gli altri campi.
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 7
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Il caso di Dostoieschi, bandito dalle ristampe nel suo paese, pone la questione della finale conciliazione con la storia. Dostoieschi é bandito perché evidentemente la partita del comunismo con la storia non é ancora chiusa. Ma quando sarà chiusa? Il giorno che Dostoieschi sarà riconosciuto anche nel suo paese come un grandissimo scrittore oppure il giorno in cui non si parlerà più di Dostoieschi e perfino il suo nome sarà cancellato dalla memoria degli uomini?
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Il fronte dell'elettrificazione, il fronte dell'industria pesante, il fronte del romanzo, il fronte del cinema... quante volte abbiamo veduto le opere di poesia messe sullo stesso piano e confuse con quelle d'ingegneria e di meccanica. Tuttavia, lo stato sovietico, dopo trent'anni e più di comunismo, pue, presentare al mondo opere pubbliche gigantesche, ma non un Guerra e Pace, non un Boris Godunof, gli equivalenti poetici, sulla scala della grandezza, di quelle opere pubbliche. Perché? Al contrario degli operai e degli ingegneri, gli artisti hanno forse sabotato la produzione? Oppure si tratterebbe di due fronti diversi, nel primo dei quali valgono i piani e le direttive e nel secondo proprio la mancanza di piani e di direttive?
Il vizio segreto del cosidetto realismo socialista é, per dirla con una formula spiccia, di essere realista su tutto fuorché sul socialismo. E poiché il socialismo in certi paesi ò tutto, di non essere sovente realista affatto. Ora non si dà realismo se non totale, senza riguardi, rispetti, compromessi, convenzioni, limiti di sorta. Le società del passato, fossero esse feudali o borghesi o schiaviste o patriarcali, nei loro buoni momenti furono sempre capaci di esprimere un tale realismo. Una società che invece non ne sia capace é una società che per qualche motivo non sa, non vuole, o non può vedersi qual é realmente.
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L'arte di classe, o arte ufficiale risponde con sufficiente precisione al concetto deteriore dell'arte intesa come sovrastruttura proposto dal marxismo. I comunisti dichiarano volentieri che tale arte di classe o
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8 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
arte ufficiale o arte sovrastrutturale cesserà di esistere, appunto, quando sarà stata raggiunta la soèietà senza classi. Perché allora l'arte dei paesi orientali, più forse di ogni arte contemporanea, offre gli aspetti noti dell'arte di classe o ufficiale o sovrastrutturale? La risposta non pare dubbia: l'arte non ha affatto bisogno di una rivoluzione per essere vera arte, basta che l'artista attinga per conto suo alla zona nella quale le classi non ci sono, mai ci furono, mai ci saranno, alla poesia. Come, infatti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, senza aspettare la rivoluzione comunista, fecero i veri artisti. D'altronde l'arte dei paesi orientali ha un tal carattere di arte di classe perché il proletariato in quei paesi si considera tuttora proletariato ossia classe e non è ancora riuscito a ritrovare in se stesso l'uomo, vecchio o nuovo, ma senza classi.
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Le correlazioni tra l'arte e la società non sono di ordine morale o moralistico come vorrebbero far supporre tutti coloro che annettono alla parola decadente un significato negativo; bensì di ordine tecnico. L'arte é in rapporto con la vitalità di una società, non con la sua moralità.
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L'arte è memoria, la propaganda profezia. Però i profeti non hanno mai vaticinato altro che disastri. Profeti ottimisti, ecco la grande novità.
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Se l'arte é sovrastruttura, come mai riesce a sopravvivere alla struttura? Perché mai leggiamo ancora l'Iliade, sopratruttura, a quanto si dice, del feudalesimo arcaico greco? E che cos'è che garantisce vita eterna alla sovrastruttura? E perché la struttura transeunte é considerata più importante della soprastruttura che non lo è?
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Le idee dei[...]

[...] Profeti ottimisti, ecco la grande novità.
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Se l'arte é sovrastruttura, come mai riesce a sopravvivere alla struttura? Perché mai leggiamo ancora l'Iliade, sopratruttura, a quanto si dice, del feudalesimo arcaico greco? E che cos'è che garantisce vita eterna alla sovrastruttura? E perché la struttura transeunte é considerata più importante della soprastruttura che non lo è?
* * *
Le idee dei comunisti sull'arte sono giuste, chi potrebbe negarlo? Nello stesso termine di realismo socialista é contenuta una riflessione critica inoppugnabile: l'arte fu sempre realista o non fu affatto e inoltre essa fu sempre legata direttamente o indirettamente alla ideologia
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 9
del momento. Il realismo è dunque inseparabile dall'arte, almeno da quella europea; l'ideologia anche. Che c'è dunque di strano che lo stato socialista chieda agli artisti il realismo socialista? Rispondiamo che la stranezza consiste nel fatto che, al contrario della Chiesa e d'ogni altro organismo totalitario del passato, lo stato socialista sappia tutte queste cose, cioè che abbia una coscienza critica e storica così sviluppata. In questo senso lo stato socialista, così intellettualistico e così pragmatistico, entra nella dialettica della decadenza alla quale pretenderebbe di sottrarsi.
Quando tutto é stato detto, bisognerà pur affermare che in realtà l'arte non interessa il comunismo. E che questo sia vero lo dimostra la semplicità della ideologia marxista per quanto riguarda l'arte. Tanto più notevole se paragonata, poi, alla complessità delle teorie marxiste sui problemi sociali ed economici. Il marxismo non si interessa all'arte come, poniamo, non si interessa alla religione. La diversità di atteggiamento del marxismo di fronte all'arte e alla religione deriva dal fatto che, mentre il marxismo vuol soppiantare la religione, esso non vuole che servirsi dell'arte. E infatti tutte le teorie del marxismo sull'arte non tanto riguardano l'arte nella sua intimità quanto l'arte nel suo rapporto con la società e con lo stato, ossia, in altri termini riguardano appunto l'utilità dell'arte.
Un romanzo descrive una battaglia. La descrizione della battaglia non garba ai dirigenti di un certo paese orientale. Il romanzo viene rifatto secondo le indicazioni dei dirigenti. Ciò che colpisce in questo rifacimento secondo autorità non è la docilità dello scrittore l'imposizione dei dirigenti. Ciò che colpisce è invece il prevalere di una concezione di artificio, di razionalità, di tecnica, di fattura su quella di poesia, di ispirazione, di originalità, di creatività. Di una concezione, insomma, classica o per lo meno classicheggiante, su quella romantica. Si pensa, per analogia, ad estetiche che sembravano tramontate e che invece, a quanta pare, torneranno in auge. Tanto per fare un esempio Boileau non avrebbe trovato niente da ridire su una simile imposizione
10 INCHLESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
dell'autorità sull'artista. Che differenza c'é infatti tra il realismo socialista e « l'artifice agreable » del poeta di corte di Luigi decimoquarto?
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Ci si meraviglia che certi scrittori e critici d'occidente, di fede marxista, difendano l'arte dei paesi orientali che, a parere di molti, essi non potrebbero invece non giudicare assai severamente. E si parla in questi casi di disciplina di partito. Ma secondo noi si tratta invece di uno scambio avvenuto nel profondo dell'animo tra ideologia e realtà. Per i comunisti l'ideologia è la realtà, e que[...]

[...]ull'artista. Che differenza c'é infatti tra il realismo socialista e « l'artifice agreable » del poeta di corte di Luigi decimoquarto?
* * *
Ci si meraviglia che certi scrittori e critici d'occidente, di fede marxista, difendano l'arte dei paesi orientali che, a parere di molti, essi non potrebbero invece non giudicare assai severamente. E si parla in questi casi di disciplina di partito. Ma secondo noi si tratta invece di uno scambio avvenuto nel profondo dell'animo tra ideologia e realtà. Per i comunisti l'ideologia è la realtà, e quella che la gente comune chiama realtà non é nulla. Se la realtà non dà ragione all'ideologia, tanto peggio per la realtà. si potrebbe dar torto a quegli scrittori e critici comunisti, almeno da un punto di vista psicologico. Lo scambio di solito é avvenuto in loro in condizioni drammatiche che sono poi quelle di tutte le conversioni. In quei momenti, davvero, l'ideologia é la realtà; e se non lo é, la conversione non puó aver luogo. Più tardi, di fronte all'arte come a qualsiasi altra manifestazione o attività umana, ciò che avvenne con lacerazione e dolore al tempo della conversione, si ripete facilmente, in maniera quasi automatica.
* * *
Le idee dei comunisti sull'arte sono costantemente presentate in stretta correlazione con le loro teorie economiche e sociali e confuse con esse. Chi in parte o del tutto approva le teorie economiche e sociali del comunismo é portato così ad approvare anche le idee estetiche o per lo meno a considerarle con favore. Ma questa confusione non puó portare che ad accettare una concezione estetica rozza e semplicistica. L'arte, infatti, mentre puó benissimo avere un contenuto proletario, per i suoi moduli formali e tecnici é invece legata alla maturità del gusto, della coltura e della capacità espressiva. Come dire che essa dipende per questo aspetto così importante, non dalla giustizia distributiva bensì dal livello di coltura e di gusto raggiunto in una data società. Questo fatto non è mai stato smentito nella storia; e l'arte, qualunque `fosse il suo contenuto, é sempre stato un prodotto tardo e aristocratico. L'arte appare infatti sempre all'apice delle civiltà, essa é il fiore
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 11
terminale della pianta umana. Ogni volta, invece, che ci fu prevalenza di masse culturalmente immature, come, tanto per fare un esempio, durante le invasioni barbariche, si verifica del pari oscuramento o addirittura interruzione del fatto artistico. II significato ultimo del Itlnascimento sta appunto nel ritrovamento del fatto artistico, delle sue leggi, e [...]

[...]rte, qualunque `fosse il suo contenuto, é sempre stato un prodotto tardo e aristocratico. L'arte appare infatti sempre all'apice delle civiltà, essa é il fiore
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELL'ARTE 11
terminale della pianta umana. Ogni volta, invece, che ci fu prevalenza di masse culturalmente immature, come, tanto per fare un esempio, durante le invasioni barbariche, si verifica del pari oscuramento o addirittura interruzione del fatto artistico. II significato ultimo del Itlnascimento sta appunto nel ritrovamento del fatto artistico, delle sue leggi, e della sua autonomia dopo il diluvio barbarico. I barbari che affluirono in Italia nell'alto medioevo, avevano certamente malte cose da dire ma non le dissero se non quando, appunto, non furono più barbari. Così il proletariato (e specie quello dei paesi in cui il sonno sociale si doppiava di sonno biologico) ha certamente molte cose da dire; ma non le dirà se non quando _avrà la capacità di dirle, ossia quando cesserà di essere proletariato. Nel frattempo le opere d'arte che ci vengono presentate come opere del proletariato, debbono, nel caso migliore, essere considerate come segni di impazienza.
Ë un errore credere che il realismo socialista abbia impedito nei paesi orientali l'apparizione di un nuovo Michelangelo o, per lo meno, di un nuovo Picasso. Con ogni probabilità se in quei paesi il regime liberale subentrasse ad un tratto a quello socialista, gli artisti di quei paesi forse imiterebbero quelli occidentali (sebbene non sia sicuro), ma non oltrepasserebbero certo il livello artistico alquanto basso della loro presente produzione. Gli é che in quei paesi c'é stata una rivoluzione con conseguente decapitazione della classe colta e che dirigenti e popolo vi fanno un sol'bloce°, con gli stessi gusti, le stesse concezioni, lo stesso grado di coltura. I capi di quei paesi non la pensano, per quanta riguarda l'arte, in maniera diversa dagli operai e dai contadini. Le opere d'arte che essi additano all'ammirazione del popolo sono quelle che essi sinceramente preferiscono. E così avviene in tutte le rivoluzioni. Persino la rivoluzione francese che portò al potere una classe già da lungo tempo preparata e raffinata come la borghesia, produsse all'inizio del secolo un'arte più grezza e più peritura, quella del primo romanticismo. In questa prospettiva, si deve giudicare il susseguente decadentismo come una sistemazione, in senso classico di quel primo romanticismo.
12 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
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Ciò che colpisce di piú così nelle opere d'arte dell'occidente come in quelle d'oriente è la povertà del temperamento individuale. Un pittore come Tiziano farebbe un sol fascio così degli astrattisti come dei realisti socialisti. Ai primi direbbe: «Dipingetemi una mano che è una mano »; ai secondi: « Infondete nei vostri ritratti di generali e uomini politici il senso di potenza, di gloria e di poesia che seppi mettere nei miei ». Abbiamo nominato Tiziano per indicare un certo livello di maestria tecnica e di altezza di ispirazione; non per additare un modello irripetibile così in occidente come in oriente.
I comunisti non riconosceranno mai che le opere d'arte dei paesi orientali sono di scarso valore artistico. E come potrebbero? Essi non credono al vero bensì al verosimile, alla natura bensì alla ragione, alla realtà bensì all'ideologia, alla poesia bensì all'artificio, alla spontaneità creativa bensì alla volontà costruttiva. Essi faranno dell'arte certamente, un giorno o l'altro, ma loro malgrado e senza rendersene conto.
I comunisti sembrano propugnare un'arte classica. Diciamo « sembrano» perché nulla é sicuro in un regime così sicuro come la dittatura, sia pure del proletariato. Dunque, partendo dal presupposto marxista che ogni società nel momento della sua massima funzionalità e necessità storica esprime un'arte perfettamente oggettiva e completamente realistica, senza reticenze compromessi, evasioni, parzialità, insomma classica, i comunisti contrappongono questo momento solare a quello del tramonto ossia della decadenza di ogni società, decadenza che si esprimerebbe invece in un'arte malsanamente soggettiva, incompleta, astratta, evasiva, reticente e insomma, appunto, decadente. E evidente che in questo caso la distinzione tra poesia e non poesia salta e viene sostituita da quella di classicità e di decadenza, ossia di completezza e incompletezza, cioè, in altri termini, di maggiore o minore coraggio, capacità e volontà della società di rappresentarsi qual é, in tutti i suoi aspetti, anche in quelli negativi e di riconoscersi in questa rappresentazione e di servirsene e di farne strumento di mi
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glioramento e di progresso. Dunque, una volta di più, niente poesia o non poesia, ma, ad un livello eguale di poesia, rappresentazione totale o parziale, classica o decadente. Ma la società comunista in quanto si vanta di essere l'erede di tutte le società della storia e il loro coronamento finale, dovrebbe dare origine all'arte più classica, più completa che si possa immaginare e questo indefinitamente e senza interruzioni di sorta. Si vede, così, come nell'ideologia comunista non c'è posto per le smentite anche minime della realtà. Tutto é tirato a fil di logica, tutto é razionale, il comunismo non può non produrre la società perfetta e la società perfetta non può non produrre l'arte più alta. In questa situazione l'artista che voglia discutere con il comunismo fa figura di avvocato dell'irrazionalità, ossia del nulla, per non dire del male_
Non si vede, perché, dopo avere accettato e confermato l'autonomia del fatto linguistico, quell'uomo di stato orientale non faccia lo stesso per l'autonomia del fatto artistico. Non se ne vede il perché sebbene lo si possa indovinare: la lingua, come ebbe a dire quell'uomo di stato, non é borghese socialista, é simile alle locomotive: é un mezzo. Invece l'arte può essere, é un fine. Ora non può esserci altro fine se non quello della rivoluzione socialista.
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Perché realismo socialista e non, poniamo, neoclassicismo? Perché l'ultima arte oggettiva europea fu quella naturalistica. Gli stati non sono mai all'avanguardia, checché se ne dica. La Chiesa è ferma a Raffaello che fu il grande mediatore tra il mondo dell'Antico Testamento e l'Ellenismo. Gli stati conoscono la storia, non l'estetica.
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Tra l'alienazione dell'operaio e l'alienazione dell'artista non c'è alcun rapporto. L'operaio é alienato in quanto, nell'economia di mercato, egli é una merce come tutte le altre, ed essendo tale viene defraudato, in base al prezzo di mercato, del plus valore, ossia di ciò
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che rappresenta appunto il suo valore di uomo. Ma l'artista, invece, crea un oggetto per il quale non c'è mercato (o, se c'è, non é quello degli oggetti di necessità che hanno costantemente un mercato) e il cui prezzo non esiste, in realtà, in denaro o in specie. Il prezzo del l'opera d'arte l'artista l'ha già ricevuto con la gioia provata creandola. In altri termini, al momento della consegna del libro all'editore, della musica al direttore d'orchestra, del quadro al mercante, l'artista è già stato pagato e quanto riceve in seguito é un regalo o comunque un pagamento senza rapporto alcuno con la merce fornita. Così l'alienazione dell'artista consisterà nell'impedirgli in parte o del tutto quella tale gioia cui si é accennato, nella quale consiste [...]

[...]ente un mercato) e il cui prezzo non esiste, in realtà, in denaro o in specie. Il prezzo del l'opera d'arte l'artista l'ha già ricevuto con la gioia provata creandola. In altri termini, al momento della consegna del libro all'editore, della musica al direttore d'orchestra, del quadro al mercante, l'artista è già stato pagato e quanto riceve in seguito é un regalo o comunque un pagamento senza rapporto alcuno con la merce fornita. Così l'alienazione dell'artista consisterà nell'impedirgli in parte o del tutto quella tale gioia cui si é accennato, nella quale consiste il suo vero rapporto con la società. Invece l'operaio il cui rapporto con la società é determinato dalla sua facoltà di acquisto e la cui espressione (inclusa quella artistica) comincia a partire dal momento in cui il plus valore, direttamente o indirettamente, gli viene versato nella sua integrità, l'operaio, diciamo, sarà alienato quando sarà appunto privato di questo plus valore e ridotto a merce più meno simile a quella che egli fabbrica. Dunque, riassumendo: l'alienazione dell'operaio è di specie economica, quella dell'artista di specie espressiva. E di conseguenza si impedisce all'operaio di essere uomo riducendolo a merce e pagandolo per tale; all'artista di essere uomo riducendolo a operaio e pagandolo per tale. E ancora: l'operaio che viene colpito nella mercede non potrà essere uomo e perciò neppure artista, ma l'artista colpito nell'espressione nonché uomo non potrà neppure essere operaio perché egli era già uomo in partenza ossia dotato originariamente di quelle facoltà espressive che nell'operaio si liberano soltanto .nel momento in cui egli comincia ad essere uomo. Finalmente, colpendo l'artista, si colpisce anche, indirettamente, l'operaio che nell'artista vede il suo supremo ideale umano di libera e completa espressività.
Il comunismo tenta di assorbire la cultura e l'arte dell'occidente nei. suoi uomini e prodotti migliori, in modo da lasciare alla borghesia soltanto gli uomini e i prodotti deteriori. Questo tentativo potrebbe anche riuscire. Ma resta dubbio che il risultato sarà quello che si aspettano i comunisti.
A. MORAVIA IL COMUNISMO AL POTERE E I PROBLEMI DELCARTE 15
singolare che nei paesi orientali, dove è predominante una ideologia storicistica, si abbia invece una concezione precettistica dell'arte. Ma queste sono le sorprese dello storicismo che finisce per mordersi la coda con la logica conclusione dell'avvento di una società senza storia. Dunque un'arte senza sviluppi, fissa ad un ideale immobile.
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La forza della polemica comunista per l'arte sta, più che negli argomenti, nel carattere mortuario e suicidale di grandissima parte dell'arte dell'occidente. I comunisti hanno buon gioco a dimostrare che tale arte é l'espressione di un cupio dissolvi generale che non può non avere le sue origini fuori dell'arte medesima. Ma essi stessi non sanno proporre, di contro a quest'arte occidentale, che delle teorie. Dei loro prodotti artistici tutto é stato detto quando si é detto che sono il frutto della buona volontà. Ora con la buona volontà si costruiscono le fabbriche, ma non si fa della poesia.
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I comunisti non tanto propongono un'arte nuova, quanto, pur forse senza rendersene conto, una sospensione dell'arte. Così, in campagna, un campo troppe volte coltivato, si lascia senza semina per due o tre stagioni in modo che si riposi e ripigli forza. Il cristianesimo, in una simile circostanza, decise che l'arte pagana, la sola possibile in quel tempo, era opera del diavolo. I comunisti non credono al diavolo bensì alla decadenza, immoralità, corruzione e rovina del capitalismo. In realtà così il cristianesimo allora come il comunismo oggi sono strumenti della natura esausta che chiede riposo. Ma gli uomini non amano ammettere di essere determinati da semplici leggi biologiche; e così nel campo dell'arte la . stanchezza é chiamata, poniamo, astrattismo e il riposo, realismo socialista.
S'intende che queste note riguardano i rapporti dell'arte col comunismo al potere. Per i rapporti dell'arte con il comunismo all'opposi
16 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
zione, le cose si svolgono in maniera normale, come per i rapporti dell'arte con qualsiasi motivo ispiratore. Anzi il comunismo all'opposizione, facendosi forte di molte istanze generose ed universali, ispira direttamente o indirettamente un'arte assai viva, polemica e aliena dai compromessi, di protesta e di rivolta. Ma una volta il comunismo al potere il motivo polemico ovviamente scompare, sostituito da quello celebrativo. L'arte allora entra in crisi ed é appunto tale crisi che abbiamo cercato di illuminare in queste note. È evidente d'altra parte che allo stato comunista, per quanto riguarda l'arte, si offrono due vie soltanto: o l'arte di propaganda e agiografica che si nutrirà sia della polemica contro i nemici esterni del comunismo sia di rievocazioni ed esaltazi[...]

[...]iena dai compromessi, di protesta e di rivolta. Ma una volta il comunismo al potere il motivo polemico ovviamente scompare, sostituito da quello celebrativo. L'arte allora entra in crisi ed é appunto tale crisi che abbiamo cercato di illuminare in queste note. È evidente d'altra parte che allo stato comunista, per quanto riguarda l'arte, si offrono due vie soltanto: o l'arte di propaganda e agiografica che si nutrirà sia della polemica contro i nemici esterni del comunismo sia di rievocazioni ed esaltazioni di personaggi e avvenimenti del comunismo; oppure l'arte classica, intendendo per classica un'arte dalla quale sia stata espunta ogni polemica sociale (nello stato comunista diventata inutile) e che tratti dell'uomo non più come di un prodotto di date condizioni sociali ed economiche ma come di qualche cosa di immutabile e di eterno, . come, appunto, avviene nell'arte classica. L'arte classica é, del resto, l'arte per eccellenza delle società che non si pongono ancora o non hanno ragione di porsi una questione sociale. La società comunista è, appunto, una di tali società, avendo risolto, una volta per sempre e con soddisfazione di tutti, la questione sociale.
* * *
I rapporti tra l'arte e la realtà, finché il comunismo é all'opposizione, potranno o dovranno essere determinati, per gli artisti di fede comunista, dall'ideologia marxista. Ma non si vede come questi rapporti, una volta il comunismo al potere, possano essere determinati dalla stessa[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] S. G. Graziano, Alcune considerazioni intorno all'umanesimo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Salvatore Giacomo Graziano
ALCUNE CONSIDERAZIONI
INTORNO ALL'UMANESIMO DI GRAMSCI
Nel quadro generale del pensiero gramsciano, nel suo contributo a sviluppare il marxismo come autonoma e integrale applicazione del. marxismoleninismo alla realtà italiana, particolare importanza, nell'attualità di certi problemi, assume la concezione della filosofia della prassi come umanesimo assoluto. Qui si vuol dire: importanza non di una definizione, ma di una concezione coerentemente sviluppata sul piano teorico, come sintesi e come elementi di sintesi, e concretamente inserita e connessa in una realtà storica nazionale: importanza della maniera. attraverso la quale si afferma l'umanesimo di Gramsci: sia come umanesimo assoluto che si risolve nello storicismo assoluto della filosofia della prassi, risultato di tutta la storia precedente; sia come concezione che,. inserita nella storia della società e della cultura italiana, si apre in una. prospettiva concreta e operante. Come concezione che, compenetrata nella realtà, assume significato preciso di fronte ai problemi e agli avvenimenti attuali: prendendo posizione, negando o affermando, difendendo l'importanza della persona umana. Come concezione che non può essere separata dalla particolare azione storica necessaria alla sua realizzazione. Umanesimo, quindi, che nella consapevolezza di una dialettica unità di filosofia e ideologia (in senso gramsciano) trova il suo vero significato, iI suo concreto e vivo valore. 'In Gramsci è presente la società italiana non resa evanescente in generici riferimenti, ma nella sua storia passata. e presente, nei suoi contrasti, nelle sue classi, nei suoi gruppi. Egli « pensa » in riferimento ad una « condizione umana » ben configurata
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nelle sue contraddizioni. ipotizzare l'uomo in una condizione umana predeterminata significa farne un feticcio. Affermare in concreto l'importanza della persona umana significa porre e risolvere i problemi della sua concreta libertà, niella consapevolezza dei condizionamenti delle determinate fasi storiche e delle forze sociali che dialetticamente vi sono impegnate. L'uomo di cui parla Gramsci è ben lungi dall'essere l'uomo in astratto e non soltanto perché considerato entro coordinate non metafisiche speculative, ma perché considerato nella sua capacità di comprendersi nei suoi rapporti sociali storici divenendone forza modificatrice, nella sua determinata azione, per la reintegrazione di se stesso. Per una reintegrazione in senso marxista. Continua e avvertita è la critica che Gramsci volge contro le astrazioni filosofiche e ideologiche quali: il partito in genere, le classi in geniere, l'umanità in genere. u ... La natura umana è l'insieme dei rapporti sociali storicamente determinati, cioè un fatto storico accertabile, entro certi limiti, coi metodi della filologia e della critica » 1. « Inoltre: l'insieme dei rapporti sociali è contraddittorio in ogni momento ed è in continuo svolgimento, sicché la "natura " dell'uomo non è qualcosa di omogeneo per tutti gli uomini in tutti i tempi » 2. Tutti i problemi sono da Gramsci posti in maniera conseguentemente storicistica. Porre il problema dell'uomo in generale, in generali condizionamenti, è una astrazione. Non si può quindi parlare cli un umanesimo che non sia assoluto storicismo. Come pure non si può parlare di umanesimo senza affrontare alcuni problemi che specie entro il campo del pensiero marxista assumono particolare importanza.
In che senso la filosofia della prassi di Gramsci assume la dimensione di autonoma concezione del mondo: di fronte al pensiero precedente, alle componenti storiche del marxismo stesso e alle formulazioni che esso ha avuto? e con quali nessi con le altre sovrastrutture e con la struttura? con quale connessione con l'azione?
ovvio che marginali annotazioni non possono non rivelarsi inadeguate di fronte a questi interrogativi — e alla molteplicità di questioni che vengono a porre — e non considerarsi tali esse stesse: utili, semmai, per un avvio all'esame e alla ricerca.
1 Mach., p. 8.
2 Mach., p. 200.
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Per Gramsci, che il marxismo si sviluppi come « struttura di pensiero completamente autonoma e indipendente », è condizione necessaria alla sua natura di teoria « rivoluzionaria » che si può affermare come tale nella misura in cui è « elemento di separazione e distinzione consapevole dal vecchio mondo » e capacità di esercitare la propria egemonia sulla cultura tradizionale. Operante autonomia che è criterio della stessa ortodossia la quale « non deve essere ricercata in questo o quello dei seguaci della filosofia della prassi, in questa o quella tendenza legata a correnti estranee alla dottrina originale, ma nel concetto fondamentale che la filosofia della prassi " basta a se stessa ", contiene in sé tutti gli el[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Massucco Costa, Aspetti sociologici del pensiero gramsciano in Studi gramsciani

Brano: Angiola Massucco Costa
ASPETTI SOCIOLOGICI DEL PENSIERO GRAMSCIANO
Premesso che non esiste per Gramsci una sociologia filosofica che non coincida con la filosofia della prassi o il materialismo storico, non sembri incongruo l'affermare che egli non esclude la possibilità di una ricerca sociologica, a confini limitati, di carattere empirico.
Due orientamenti, soltanto in apparenza contraddittori, dominano il pensiero gr:msciano nei confronti di questo problema: il primo è il netto rifiuto della sociologia positivistica; il secondo è l'ammissione della possibilità di una sociologia scientifica, ricomprendendo in questo nome piuttosto le scienze sociali che non uno schematismo classificatorio generico e una ricerca di astratte strutture e costanze.
La contraddizione, di fatto, non esiste, poiché proprio il positivismo, e specie alcuni suoi rappresentanti, non avevano, per Gramsci, capito il diritto della scienza non già all'astrattezza arbitraria e sterile, ma alla feconda astrazione euristica.
La critica all'astrattezza fu da Gramsci fatta soprattutto per l'economia, ma ha senso per tutte le scienze, e ancora piú per quelle che meglio aderiscono al processo di sviluppo delle condotte umane nei loro impegni collettivi.
Certo le scienze sociali constatano soltanto, o promuovono le tecni che di un possibile controllo, o dimostrano il prevalere di alcuni valori e la loro inerenza ad aspettazioni particolari: esse non possono, presentandosi come scienze, dare come assoluto, e neppure assolutizzabile nel significato storicistico, alcun valore. Ma possono contribuire a chiarirne le
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condizioni di scelta e di accettazione e il significato pratico che ne deriva. Pertanto possono anche servire di strumenti culturali per una definita azione politica. D[...]



da Giuseppe di Vittorio, Premesse della unità del movimento sindacale in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 3 - agosto

Brano: LA RINASCITA 3
Premesse della unità del movimento sindacale
Per valutare esattamente la portata politica
e storica dell'unità sindacale raggiunta in Italia, sulla base del Patto di Roma, mediante la costituzione dell'unica Confederazione Generale Italiana del Lavoro, è neeessario ricordare la situazione sindacale preesistente al fascismo
e che non era, naturalmente, che uno dei riflessi della situazione politica generale del paese, nella quale fu possibile al faseismo la conquista del potere, malgrado l'opposizione decisa della classe operaia e della grande maggioranza del popolo. Bisogna richiamarsi alla situazione prefascista perchè è certo ehe essa, nelle sue grandi linee, si sarebbe riprodotta quasi automaticamente, nel campo sindacale, se non ci fosse stato il Patto unitario di Roma; come lo ha confermato ciò ehe è avvenuto nelle prime regioni liberate "del Mezzogiorno, dove con la rinascita dei Sindacati liberi sorsero due Confederazioni, una rossa e una bianca.
Riferendoci alla divisione sindacale del pe
riodo prefascista, non teniamo eonto delle scis
sioni secondarie che si verificarono nell'ambito
del movimento sindacale che possiamo generi
camente definire rosso, come la scissione anar
cosindacalista, l'autonomismo del Sindacato
Ferrovieri e di altre Federazioni e Camere del
Lavoro. Queste scissioni, secondarie nello stesso
campo classista, avevano il carattere d'opposizione all'indirizzo riformista e accentratore della vecchia Confederazione Generale del Lavoro: opposizione che avrebbe potuto (e dovuto) esercitarsi all'interno della stessa Confederazione, attorno alla quale tutti i Sindaeati elassisti, secessionisti od autonomi, non cessavano di gravitare. Del resto, queste scissioni erano, sotto certi aspetti, una espressione della crisi di sviluppo del movimento operaio e socialista moderno ed erano tutte in corso di superamento, giacchè la vecchia Confederazione Generale del Lavoro, tra il 1921 e il 1923, andava gradualmente riassorbendo tutti i Sindacati e parti di essi che se n'erano staeeati in precedenza.
La vera e profonda divisione sindacale, quella che ebbe le più gravi conseguenze per tutti i lavoratori — e che avrebbe potuto averne ancora, e di più gravi — era quella ehe divideva i lavoratori organizzati in due campi distinti e perciò inevitabilmente in lotta tra loro: il campo dei Sindacati rossi (fondamentalmente delle correnti comunista e socialista) e il campo bianco dei Sindacati cattoliei. Era questa, dunque, la divisione fondamentale che bisognava superare ed eliminare, se si voleva veramente realizzare l'unità sindacale in Italia. E questo risultato fu raggiunto col Patto di Roma. Ma, per far sì che questo risultato sia duraturo, è anehe necessario scoprire le cause della profonda lacerazione che si era prodotta nel campo del lavoro, per vedere se ed in quale misura esse sono state superate, per cui il perpetuarsi della Iacerazione stessa sarebbe stato l'effetto di un puro mimetismo, privo di ragioni oggettive.
Quali furono, dunque, le cause determinanti d'una scissione sindacale a base religiosa, in un paese come il nostro, dove non c'è stata ci può essere lotta di religioni? Noi crediamo di ricercarle nell'ambiente storico particolare in eui sorse e si andò sviluppando il movimento operaio in Italia.
E' noto che, in ragione del ritardo con cui sorse e si sviluppò l'industria in Italia, anche il movimento operaio moderno sorse naturalmente in ritardo rispetto ad altri paesi. Ma se vogliamo riportarci alle prime origini del movimento operaio italiano, dobbiamo risalire alle Società Operaie di Mutuo Soccorso, che sorsero nel periodo del Risorgimento e sotto l'impulso di quel primo movimento di riscossa nazionale, dal quale esse ricevettero un'impronta particolare. Infatti, la prima Società Operaia italiana sorse a Torino proprio nella fase dei più ardenti entusiasmi popolari del 1848, ad iniziativa dell'operaio tipografo Vincenzo Steffenone. E questa esordi nella sua attività con tendenze sindacali molto più spiccate delle consorelle che sorsero più tardi, essendo riuscita, nello stesso anno .della sua nascita, a concordare un vero e proprio contratto collettivo di lavoro (una « tariffa »), che risulta essere il primo contratto del genere stipulato in Italia.
Ben presto altre Società consimili sorsero nello Stato ligurepiemontese nel quale, — data la funzione storica che il Piemonte si era assunta, — le condizioni oggettive erano più favorevoli al sorgere di organizzazioni popolari ed operaie. In effetto, al I Congresso Operaio Italiano, ch'ebbe luogo ad Asti nel 1853, parteciparono ben 30 Società Operaie del Piemonte e della Liguria. In seguito, specialmente dopo la guerra del 1859, nella misura stessa in cui si sviluppava il processo di unificazione nazionale e si realizzavano, quindi, condizioni di maggiore libertà, sorgevano e si moltiplicavano le Società Operaie, di categoria e generali, anche in altre regioni d'Italia. Tanto che, nel 1867, si contavano già 537 Società Operaie ed il loro numero salì ad oltre 900 nel 1870.
In origine, queste Società non avevano quasi nulla del Sindacato. Erano delle Società Operaie e patriottiche di mutuo soccorso, senza contorni più definiti.. Ma non v'è dubbio che attraverso queste sue Società, la classe operaia faceva i primi timidi passi per differenziarsi dalle altre classi e tendeva a portare un proprio contributo alla rivoluzione nazionale ed a dare una propria interpretazione alla parola libertà, da tutti acclamata — allora come ora — ma alla quale gli operai davano — e danno anche ora — un contenuto più concreto di giustizia sociale, ehe invece era ed è tuttora temuto e combattuto aspramente dai ceti reazionari, per i quali la parola libertà non ha mai avuto, e non avrà mai, altro significato che quello di riconoscere ad essi la libertà di aff a
4 LA RINASCITA
mare il popolo per moltiplicare le proprie ricchezze. Queste tendenze della classe operaia si esprimevano col suo schieramento all'estrema sinistra del movimento nazionale. Quasi tutte le Società Operaie [...]

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4 LA RINASCITA
mare il popolo per moltiplicare le proprie ricchezze. Queste tendenze della classe operaia si esprimevano col suo schieramento all'estrema sinistra del movimento nazionale. Quasi tutte le Società Operaie avevano acclamato a proprio Presidente onorario l'eroe del. Risorgimento che più di ogni altro simboleggiava le speranze e le aspirazioni sociali delle masse popolari: Garibaldi.
E poiché l'esistenza, allora, della « questione romana », aveva dato a tutto il movimento del Risorgimento un'impronta nettamente anticlericale (nonostante l'effimero successo ch'ebbe la prima fase della politica di Pio IX), era naturale e inevitabile che anche le Società Operaie ricevessero e portassero per lungo tempo la stessa impronta anticlericale, sia nel periodo in cui esse furono influenzate direttamente dal Mazzini, sia nei periodi suecessivi in cui furono influenzate dal Bakunin e poi penetrate dai primi rudimenti dell'ideologia marxista.
Ora, il movimento sindacale moderno sorse in Italia appunto sulla base delle antiche Società Operaie. Si ricorderà, infatti, che fu il Congresso Nazionale delle Società Operaie di Milano (il 2 e 3 agosto 1891), che lanciò ai lavoratori italiani la parola d'ordine di organizzarsi in Sindacati e in Camere del Lavoro, come unico mezzo di autodifesa collettiva contro l'eccessivo sfruttamento padronale. Noi possiamo considerare quel congresso come l'atto di nascita ufficiale del nostro movimento sindacale organizzato su scala nazionale. Sorto sul troncone delle vecchie Società Operaie, poteva il movimento sindacale italiano non ereditare da esse una spiecata impronta anticlerieale? Il fatto è ehe questa impronta fu ereditata e si andò poi aecentuando quando i cattolici tentarono di ostacolarne la marcia. Per i cattoliei, contrastare il cammino ascensionale del movimento operaio, con la sua impronta anticlericale e socialista, fu uno degli aspetti principali della loro lotta contro il dilagare dell'anticlericalismo. Per i cattolici militanti di parte popolare e democratica, quindi, si poneva questo dilemma: o rimanere ostili al movimento operaio e confinarsi nella stessa trineea coi ceti padronali e aristocratici retrivi e reazionari, accampati come nemici del popolo e del progresso, oppure dar vita a un proprio movimento sindacale che conciliasse la difesa delle giuste rivendicazioni dei lavoratori con le proprie convinzioni religiose. Naturalmente, lo stesso dilemma si poneva alla Chiesa cattolica come tale e su un piano molto più generale.
Per l'a Chiesa cattolica un'opposizione esclusivamente negativa al movimento operaio e socialista racchiudeva il rischio di diventare e di apparire alla coscienza di milioni di lavoratori, come la chiesa dei ricchi e come strumento della lotta di questi contro i poveri. Il che avrebbe determinato un crollo della sua influenza sulle grandi masse popolari. Anche la Chiesa come tale, dunque, aveva interesse a dar vita a un proprio movimento sociale e sindacale. Fu in queste particolari condizioni storiche che sorse il movimento sindacale cattolico, mentre appare ovvio che, se il movimento sindacale preesistente non avesse avuto la spiccata impronta ant[...]

[...]r vita a un proprio movimento sociale e sindacale. Fu in queste particolari condizioni storiche che sorse il movimento sindacale cattolico, mentre appare ovvio che, se il movimento sindacale preesistente non avesse avuto la spiccata impronta anticlericale di cui abbiamo parlato, tanto la Chiesa quanto i singoli cattolici militanti di parte popolare e democratica, avrebbero avuto più grande interesse — dal punto di vista della difesa della religione — di far parte di quel movimento, anziché formarne uno proprio, secessionista, che limitava la loro sfera d'azione e soprattutto d'influenza. E questo, cioè, il mantenere un movimento sindacale unito, — era ed è tuttora il più grande interesse di tutti i lavoratori.
Ma il sorgere del movimento sindacale cattolico suseitò le più cupide speranze nei circoli padronali e reazionari d'ogni risma — clericali e anticlericali — i quali seorgevano in esso l'antidoto del movimento operaio, lo strumento destinato ad arrestarne la marcia. Perciò i circoli reazionari fecero sempre del loro meglio per approfondire la divisione dei lavoratori in rossi e bianchi, e gridavano allo « scandalo ogni volta che un Sindacato cattolico concordava e svolgeva un'azione comune con un Sin dacato classista. Non è per caso, per motivi etici e religiosi, che ancora oggi il Risorgimento Liberale definisce aberrante ed antinaturale l'unità sindacale fra la corrente cattolica e quella comunista e socialista. Il fatto è che i padroni — cattolici o massoni — sono stati sempre uniti nella stessa organizzazione, senza ehe nessun Risorgimento Liberale se ne scandalizzasse. Non si capisce perché dovrebbero scandalizzarsi i lavoratori della propria unità! Ed essi se ne scandalizzano così poco, che l'hanno rapidamente realizzata in tutte le ' province dell'Italia liberata, senza nessuna eccezione.
Gli è che i motivi storici che determinarono l'orientamento anticlericale del movimento sin
dacale italiano, e quindi resero inevitabile
la naseita d'un sindacalismo particolare cattolico, — sono stati completamente superati. La divisione sindacale, nell'attuale situazione dell'Italia, non avrebbe nessun motivo valido, nessuna base obiettiva. Essa non potrebbe essere desiderata e provocata che dai padroni più esosi e reazionari, i quali vedono nella divisione dei lavoràtori la principale possibilità di batterli tutti.
La stessa Chiesa cattolica, per le sue finalità religiose, non avrebbe' nessuna convenienza a sollecitare la rinascita d'un movimento sindacale particolarista cattolico (anche sotto forma di Associazioni professionali) perchè non avrebbe nessun interesse a spingere altre correnti a fare lo stesso, a provocare quindi una scissione sindacale di fatto ed a riaccendere per questa via i focolai spenti dell'anticlericalismo tradizionale.
Intanto, quale ampiezza assunse il vecchio movimento sindacale cattolico? Quali vicende caratterizzarono il suo sviluppo?
Certuni dei militanti sindacali cattolici fanno risalire la nascita del loro movimento ad un Congresso cattolico tenuto nel 1894, nel qua
LA RINASCITA 5
le furono elaborate ed emanate per la prima volta alcune norme d'azione social e sindacale, ispirate ai principi della famosa enciclica Rerum Novarum. Basandosi sulla logica cristiana, intesa in un senso angusto e formale, secondo la quale anche padroni ed operai sono fratelli (e quindi debbono collaborare e non lottare tra di loro) l'accennato congresso stabilì di contrapporre ai Sindacati di classe dei Sindaeati cattolici misti, nei quali avrebbero dovuto organzzarsi assieme padroni e lavoratori. Ma la realtà dei fatti non tardò ad aver ragione della logica formale. Infatti, un successivo congresso cristianosociale, che si tenne a Bologna nel 1903, dovette costatare il fallimento del tentativo di formare dei Sindacati misti di padroni e lavoratori, e decidere la costituzione di Sindacati di tipo classista, composti, cioè, esclusivamente di lavoratori (1). E' da quell'anno che data la ,ereazione dei primi Sindaeati operai cattolici.
Questo movimento, per quanto sostenuto attivamente dai parroei, si sviluppò assai stentatamente, nonostante che nel campo puramente religioso la Chiesa cattolica non avesse nessun rivale in Italia. Infatti, solamente nel 1911 fu costituito un primo organismo nazionale cattolico di carattere sindacale, denominato « Unione economicosociale dei Cattolici a, che dichiarava di contare 104.164 aderenti, in grande parte contadini.
L'eccessiva lentezza con cui si sviluppava in quegli anni il movimento sindaeale cattolico, non era dovuta soltanto alla grande popolarità che si erano già conquistata i preesistenti Sindacati rossi, con le clamorose vittorie ch'essi avevano riportate, riuscendo a strappare ai padroni e allo Stato dei miglioramenti economici e morali molto notevoli, in favore di tutti i lavoratori. Quella lentezza era soprattutto dovuta al fatto che l'azione sirdacale dei cattolici era, in quell'epoca, tr[...]

[...]dini.
L'eccessiva lentezza con cui si sviluppava in quegli anni il movimento sindaeale cattolico, non era dovuta soltanto alla grande popolarità che si erano già conquistata i preesistenti Sindacati rossi, con le clamorose vittorie ch'essi avevano riportate, riuscendo a strappare ai padroni e allo Stato dei miglioramenti economici e morali molto notevoli, in favore di tutti i lavoratori. Quella lentezza era soprattutto dovuta al fatto che l'azione sirdacale dei cattolici era, in quell'epoca, troppo timida, troppo impregnata della concezione corporativa e collaborazionista che aveva condotto il movimento socialeeattolico al fallimento dei sindacati misti; era ancora — crediamo noi — troppo direttamente controllata e frenata da veseovi e prelati conservatori, influenzati a lor volta da circoli padronali. E ciò mentre i lavoratori, compresi i lavoratori cattolici militanti, erano costretti a constatare che solamene con l'azione collettiva più energica i Sindacati riuscivano a piegare la protervia dei padroni ed a conquistare le loro giuste rivendicazioni.
Una conferma di quanto abbiamo asserito crediamo di ,trovarla nello sviluppo impetuoso che lo stesso movimento sindacale cattolico ebbe dal 1918 al 1922, quando, ,aceanto al Partito
(1) Si ricorderà anche che il fascismo volle esordire, nel campo sindacale, con la creazione di « Corporazioni miste ». composte di padroni e di lavoratori, appunto per realizzare la piena collaborazione di classe, ch'era il nucleo centrale del'e sue «teorie» sociali. Ma poi dovette anch'esso rinunciarvi e creare dei Sindacati separati di padroni e di lavoratori, che i fascisti, per pudore collaborazionista, chiamavano « dirimpettai ».
popolare italiano, sorgeva la Confederazione Italiana dei Lavoratori, che si componeva di 10 Sindacati Nazionali di categoria e di 25 Uffici del Lavoro (questi ultimi corrispondevano alle Camere del Lavoro). Fu questo il periodo aureo anche del sindacalismo cattolico. Fu il periodo in cui i Sindacati cattolici non si limitavano più a predieare la collaborazione di classe, non raeeomandavano più ai propri aderenti di continuare a lavorare durante gli scioperi proclamati dagli altri sindacati. Fu, invece, il periodo in cui anche i Sindacati cattoliei organizzarono e promossero degli scioperi per far trionfare le legittime rivendicazioni dei lavoratori: scioperi eondotti separatamente ed anche in co mune eoi Sindacati: rossi. In altri termini, i Sindacati cattolici ebbero un notevole sviluppo quando e dove dimostrarono di essere anch'essi arditi ed energici difensori degli interessi dei lavoratori. Questa esperienza è ricca d'insegnamenti!
Il 1921 segna l'apice dello sviluppo di tutti i sindacati liberi italiani. Ecco i dati numerici relativi alle due Confederazioni antagoniste di allora: Confederazone Generale del Lavoro, iscritti: 2.200.000; Confederazione Italiana dei lavoratori, iscritti: 1.178.00, in maggioranza contadini.
Per una esatta valutazione dei rapporti di forza in quell'epoca fra le due Confederazioni, bisogna tener conto di numerose organizzazioni che, pur muovendosi nella grande scia della Confederazione Generale del Lavoro, (quali: l'Unione Sindacale Italiana, il Sindacato Ferrovieri Italiani, la Federazione Nazionale dei Lavoratori dei Porti, la Camera del Lavoro di Genova e provincia e numerose altre Camere del Lavoro autonome), non erano iscritte alla Confederazione stessa. Il Sindacato Ferrovieri vi aderì più tardi nel 1923. Computando gli aderenti alle citate organizzazioni, si può calcolare che il numero degli iscritti al comnlesso dei Sindacati rossi che facevano capo alla Confederazione Generale del Lavoro, nel 1921, slinerasse largamente i tre milioni. Comunque, i dati riportati dimostrano che la divisione nel campo del lavoro era ormai un fatto tutt'altro che trascurabile.
La scissione sindacale cattolica ebbe una presa relativamente debole sulla classe operaia propriamente detta dei grandi centri industriali, ma aveva assunto vaste proporzioni fra le masse contadine, specialmente in alcune regioni del Nord: per cui la scissione stessa aveva' soprattutto il carattere d'una profonda divisione fra la classe operaia ed i contadini, fra le città e la campagna. Il che non ne diminuiva la gravità.
Una lunga e tragica esperienza ci ha insegnato ch'era appunto sulla divisione sindacale che anche nel[...]



da Georg Lukacs, Problemi della coesistenza culturale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: NUOVI ARGOMENTI
N. 6971 LuglioDicembre 1964
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE
Qualunque possa essere l'esito immediato degli attuali colloqui per la pace, é certo che nei prossimi decenni la coesistenza pacifica tra il mondo borghese e quello socialista acquisterà importanza sempre crescente, E poiché le discussioni attuali intorno a questo tema mostrano per lo più una notevole confusione sia nella determinazione dei fondamenti sia in quella delle prospettive, ci sembra opportuno esaminare brevemente i problemi teorici più generali che stanno alla base di questo complesso.
I
Soprattutto da parte dell'Occidente, si sottolinea di continuo che fino a quando l'Unione Sovietica non avrà rinunziato al suo obbiettivo, cioè il comunismo mondiale, non si potrà mai parlare di vera coesistenza. Sul piano teorico, questo ci sembra un discorso vuoto, mentre sul piano pratico esso significherebbe — per lo meno — il perpetuarsi della guerra fredda. Infatti, chiunque abbia una conoscenza anche approssimativa dell'essenza economica del capitalismo e del socialismo, dovrebbe sapere che entrambi i sistemi, a differenza di precedenti strutture economiche, hanno, in base ai loro stessi fondamenti, un carattere di universalità. Entrambi poterono sorgere soltanto sul fondam[...]

[...]del socialismo, dovrebbe sapere che entrambi i sistemi, a differenza di precedenti strutture economiche, hanno, in base ai loro stessi fondamenti, un carattere di universalità. Entrambi poterono sorgere soltanto sul fondamento per cui il mondo intero é diventato sul piano economico, e per ciò stesso anche politico, una struttura intrinsecamente interdipendente. In entrambi vi é la tendenza a modellare il mondo secondo la propria forma specifica, possono rinunziare a questo tentativo obbiettivamente necessario senza contemporaneamente rinunziare a se stessi. Di conseguenza, il problema reale può essere posta soltanto così: dal momento che
i
2 GEORG LUKACS
la guerra atomica, e con essa ogni guerra capace di sovvertire il mondo, esce dall'ambito delle possibilità reali, con quali mezzi queste
tendenze di sviluppo totalmente universalistiche possono operare per realizzarsi ? Pertanto, un modo pratico e razionale di rapporta tra questi due grandi sistemi può essere cercato soltanto sulla base del presupposto di queste attività necessariamente universali.
Ciò significa che la coesistenza dei due sistemi — dopo aver e[...]

[...]reale può essere posta soltanto così: dal momento che
i
2 GEORG LUKACS
la guerra atomica, e con essa ogni guerra capace di sovvertire il mondo, esce dall'ambito delle possibilità reali, con quali mezzi queste
tendenze di sviluppo totalmente universalistiche possono operare per realizzarsi ? Pertanto, un modo pratico e razionale di rapporta tra questi due grandi sistemi può essere cercato soltanto sulla base del presupposto di queste attività necessariamente universali.
Ciò significa che la coesistenza dei due sistemi — dopo aver eliminato dapprima di fatto e poi su un piano sempre più decisamente istituzionale la possibilità di soluzioni belliche — può essere soltanto una forma nuova della lotta di classe internazionale. In una conferenza da me tenuta nell'estate del 1956, indicavo già che la domanda di Lenin «chi a chi?» é il fondamento dinamica di agni coesistenza, di ogni dialogo all'interno della coesistenza. Da parte marxista, ciò é stato sempre affermato. Ora ciò che importa é che i politici e gli ideologi occidentali pervengano alla convinzione che anche la loro posizione, sia che venga esaminata nel campo della politica e dell'economia, della filosofia o dell'estetica, é una posizione di classe e non già la « rivelazione» di una ragione posta al difuori della società. Da tale convinzione non scaturisce affatto che i dialoganti debbano intendere il proprio punto di vista in modo relativo. Possono benissimo continuare a considerarlo l'unico giusto, così come facciamo noi marxisti; il riconoscimento teorico dell'inevitabilità del fondamento di classe nella pretesa di universalità sociale da parte dell'avversario, non deve portare ad un relativismo autocritico, giacché tale pretesa, pur essendo riconosciuta inevitabile sul piano sociale ed economico, può essere criticata su quello teorico come contraddittoria e insostenibile, così come avviene per l'ideologia capitalistica del punto di vista del marxismo. Di conseguenza, non si tratta di compiere ritirate concessioni, ma soltanto di comprendere storicamente la posizione reale dell'avversario, di polemizzare contro ciò che egli realmente intende e deve necessariamente intendere, partendo dal suo punto di vista.
Il principio realmente attivo che determina la tendenza all'universalità di una 'formazione sociale, risiede naturalmente
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE 3
nella struttura e nella dinamica della sua economia. Pertanto, una analisi veramente ampia ed esauriente della coesistenza dovrebbe prendere le mosse di qui. Ma poiché il nostro obbiettivo non è cosí ampio, dobbiamo limitarci su questo problema ad alcune osservazioni, per poter giungere al più presto al nostro tema specifico. Innanzi tutto, una eliminazione istituzionale. della guerra prima o poi dovrà portare all'abbandono di qualsiasi discriminazione nelle relazioni economiche. Tali discriminazioni, infatti, sono sostanzialmente una preparazione economica della guerra, e il fatto che potenti organizzazioni monopolistiche possano sfruttare una situazione di questo tipo per propri interessi più ristretti, non muta sostanzialmente il quadro complessivo, anche perché tutte le misure discriminatrici dal punto di vista economico sono strumenti della guerra fredda, e questa, una volta eliminata stabilmente la guerra vera e propria, dovrà scomparire prima o poi, più facilmente poi che prima.
E' chiaro che soltanto la competizione economica tra i[...]



da Luca Toschi, Varietà e documenti. Un romanzo sconosciuto nella Toscana neoclassicista in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: VARIETÀ E DOCUMENTI 697
UN ROMANZO SCONOSCIUTO
NELLA TOSCANA NEOCLASSICISTA
1. Un excombattente di Missolungi, ritiratosi in volontario esilio nel contado campano, riceve un messaggio: il mittente, per lui persona quasi sconosciuta, lo invita a recarsi immediatamente a Napoli per comunicargli un segreto, tanto importante da non potersi affidare alle carte. La mattina dopo, « a ore undici, con tempo sereno, con vento di Ponente segnando il termometro 18.8, l'igrometro 64, ed il pluviometro 0,02 », dopo falsa partenza su mula troppo ombrosa, ha inizio il viaggio, circa quaranta miglia fatte un po' a piedi, un po' in diligenza, per la campagna, per la città, visitando manicomi, caffè affollati, alberghi, teatri, negozi alla moda, case nobili e borghesi, catapecchie. Alla fine il segreto resterà tale: colui che ne possedeva la chiave nel frattempo sarà morto.
Potrebbe trattarsi dell'intreccio di una moderna opera dell'assurdo; è invece l'esile trama attorno a cui è stato costruito il Viaggio di tre giorni, pubblicato anonimo nel 1832 (Firenze, Stamperia Granducale all'Insegna di Pallade). L'autore si può identificare con certezza in Luigi Ciampolini, uno sconosciuto per la critica, o quasi: napoleonico prima, liberale poi, è in Grecia durante la guerra d'Indipendenza contro i Turchi; neoclassicista, che non disdegna però una professionale collaborazione con l'« Antologia », è ai suoi tempi scrittore pressoché ignorato. Eppure conosce Leopardi, Giovan Battista Niccolini, il tragediografo e carbonaro Francesco Benedetti, Giovanni Rosini, il Giordani, Filippo Pananti, ed è noto al Foscolo; anzi, l'incontro con quest'ultimo, come ci confessa in una sua breve autobiografia finora inedita, si rivelò per lui molto importante: « `Io vi conosco', mi disse egli il Foscolo, venendomi incontro e stendendomi cortesemente la mano, e mi recitò il sonetto La Venere Italica scolpita da Antonio Canova [stampata dal Ciampolini nel 1812], facendomi encomio che soddisfece molto alla mia ambizioncella. E Foscolo era uno di quegli scrittori, che mi andava a genio e per le sue poesie e per le stravaganze del suo vivere e per quella fibra risentita che mi pare di avere comune seco lui ».
Il Viaggio di tre giorni si colloca alla fine di una carriera caratterizzata da un perdurante sperimentalismo che, dopo la pubblicazione di canonici Idilli (1817 e 1822), si era misurato con le storie coeve (Le guerre dei Sulliotti contro All Bascià di Janina: Commentario, 1827), per approdare infine, nel 1832, alla narrativa con La presa di Ravenna (cronaca del sec. VIII). Con ciò il Ciampolini non si proponeva certamente di intervenire nella querelle del giorno, scrivendo un romanzo storico in antitesi al modello romantico dominante (segni in tal senso appaiono marginali); tentò solo un approccio preliminare ad un codice a cui, piú che a qualsiasi altro, il pubblico di quegli anni sembrava interessarsi. Una scelta di genere, quindi, che rivela un intellettuale attento al mutamento allora in atto del proprio ruolo e animato dalla precisa volontà di impegnarsi in un lavoro che avesse una reale incidenza sociale, al di là della logica imposta da rigidi schieramenti culturali. Dopo poco, infatti, confermò l'elezione romanzesca, e stavolta,
VARIETÀ E DOCUMENTI
698
messe da parte titubanze e mezze misure, propose col Viaggio una soluzione antitetica rispetto a quelle che il romanzo italiano si ostinava ad offrire.
È noto che la nostra narrativa, uscendo da una stagione settecentesca povera di elaborazioni originali e faticando a coprire la crescente domanda di una borghesia sempre meno sprovveduta, pagava il prezzo di una dura, crisi non piú arginabile con semplici variazioni sul solito tema (d'importazione) dell'historical novel. Il Ciampolini, allora, proponeva l'abbandono di ogni mediazione, anche storica, per la ricerca di un piú diretto confronto con il presente. L'intenzione dispiacque a tutti, ai neoclassicisti, certamente, ma non meno ai loro avversari i quali si mostravano titubanti — un'estrema autocensura? — a dare cittadinanza letteraria a materiali attinti dalla contemporaneità, preferendo relegarli, semmai, con ombre e contraddizioni, nella narrativa popolare. Anche il Tommaseo, che oggi gode di una seconda fortuna proprio come sperimentatore, al momento di annunciare il volumetto sull'« Antologia », lo liquidava come « uno scherzo d'ingegno », e nient'altro; poco davvero per un lettore altrove cosí attento.
2. La scelta dell'impianto odeporico come asse portante del Viaggio di tre giorni colloca saldamente il romanzo all'interno di una tradizione letteraria che, per quanto finora ignorata dalla critica, ebbe eccezionale diffusione nei primi decenni del secolo. Comparvero in quel periodo il Viaggio e maravigliose avventure d'un veneziano ch'esce la prima volta delle lagune e si reca a Padova ed a Milano, di Francesco Contarini, il Viaggio nelle mie tasche, di Luigi Bassi, solo per citare i due libretti giunti al grande pubblico che rispecchiano i limiti piú caratteristici di questi prodotti: il primo, edito a Milano dal Silvestri nel 1818, riesce ad andare oltre il semplice divertissement, risultato massimo a cui era pervenuto il suo autore ai tempi delle polemiche antifoscoliane e del « Poligrafo », ma dimostra un'ispi[...]



da Enzo Collotti, Noterelle e schermaglie. Lo straordinario Goethe-Institut di Lisbona 1969-1976 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: 728 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
Mi piace citare questi versicoli di Scialoja raccolti da Porta perché piú di tanti altri altamente intonati mostrano come sia possibile far emergere dall'analisi del mezzo espressivo una critica non solo negativa delle sue possibilità; l'ambiguità, il sempre presente « altro senso » del nostro parlare è messo in rilievo attraverso un'intenzione comica, umilmente ma tanto piú in modo significativo (è necessario ricordare che anche il nonsense ha delle regole e non significa semplicemente « privo di senso »?).
Fuori di polemica, mi sembra che le capacità che si intravedono, che la magari caparbia fiducia nella forza della propria parola che è presente in tanti poeti meritino di essere indirizzate a mete forse piú ardue ma certo meno illusorie. Altrimenti, per tornare ai termini del discorso di Antonielli, si avrà davvero piú una « corporazione » che una « società di poesia », e sarà ancora lecito parlare della nuova Arcadia nel vecchio senso desanctisiano.
EDOARDO ESPOSITO
LO STRAORDINARIO GOETHEINSTITUT DI LISBONA, 19691976
Un libro straordinario, un grande scrittore, un letterato colto e raffinato, esperto di letteratura e della civiltà lusitana, con alle spalle una lunga esperienza brasiliana, traduttore e mediatore di culture. Cosí si rivela nei suoi Diari portoghesi Curt MeyerClason, che dal settembre del 1969 alla fine del 1976 ebbe la ventura di dirigere il GoetheInstitut di Lisbona [Portugiesische Tagebücher (19691976), Königstein/Ts. Verlag Autoren Edition im Athenäum Verlag, 1979, pp. 417]. Un capitolo quindi della politica culturale all'estero della Repubblica federale tedesca. E bisognerebbe aggiungere un capitolo assai felice, se il GoetheInstitut non avesse ritenuto opportuno, allo spirare del contratto, privarsi della collaborazione di un uomo che nel panorama della politica culturale esterna della Bundesrepublik ha rappresentato certamente un'eccezione. Errore del GoetheInstitut? Esperimento? Calcolo? Forse tutti questi elementi insieme portarono alla nomina di MeyerClason, insieme probabilmente alla sottovalutazione della personalità dell'interessato, refrattario a farsi ridurre al rango della gestione burocratica e soprattutto ad assimilare gli stereotipi della concezione dell'ordine e della politica culturale come pura gestione dell'esistente iscritti nei regolamenti e nelle istruzioni della casamadre, costruite sull'esercizio costante di censura e autocensura, appena coperte dall'ipocrisia (dopotutto, si trattava di gestire fondi del contribuente tedesco...) del servizio pubblico e del rispetto per la collettività.
Non fosse servito ad altro, l'errore del GoetheInstitut ha dato a MeyerClason la possibilità di offrirci con questo libro una testimonianza di grande civiltà e di grande umanità, di uno spirito di indipendenza e di libertà che certo non rifletteva i valori e le istruzioni che un direttore del Goethe avrebbe dovuto
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[...]tà di offrirci con questo libro una testimonianza di grande civiltà e di grande umanità, di uno spirito di indipendenza e di libertà che certo non rifletteva i valori e le istruzioni che un direttore del Goethe avrebbe dovuto
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rappresentare a Lisbona. Un valore di testimonianza doppiamente significativo in quanto MeyerClason si è trovato a dirigere l'istituto di cultura di un paese della Comunità economica europea nel Portogallo a cavallo tra la dittatura e la rivoluzione dei garofani del 25 aprile del 1974. È singolare come attraverso le pagine di questo libro la frattura tra MeyerClason e i suoi superiori, anziché ricomporsi, dopo il 25 aprile finisca per allargarsi: non ultimo motivo d'interesse della sua testimonianza e motivo per riflettere anche sul modo in cui il mondo ufficiale occidentale, e in particolare della Bundesrepublik, ha vissuto la rivoluzione dei garofani, nella quale invece la nuova sinistra europea uscita dal 1968 fini per investire in parte le sue frustrazioni, in parte, la reale speranza che dalla periferia dell'Europa, da una posizione piú vicina al terzo mondo che all'Europa, potessero nascere i germi di un processo di trasformazione di tipo nuovo, non legato a nessuna delle vecchie ipotesi rivoluzionarie, non solo una rivoluzione senza violenza, fatta da soldati che non sparavano ma che inalberavano i garofani rossi sulla bocca dei fucili, ma la rivoluzione di un popolo intero, uscito sulle strade e sulle piazze di Lisbona invasa dalla « trasparenza leggendaria della luce lusitana », che è uno dei connotati, quella luce, quel colore, dell'atmosfera carica e insieme sonnolenta (non è un caso che uno degli interlocutori privilegiati di MeyerClason sia José Cardoso Pires, l'autore de Il delfino tradotto da noi l'anno scorso dagli Editori Riuniti) dalla quale l'A. legge i segreti e i pensieri nascosti di un popolo schiacciato e represso dalla dittatura e da una secolare letargia, una sorta di introversione (l'encoberto) , un'altra faccia della sua m[...]

[...]ia della luce lusitana », che è uno dei connotati, quella luce, quel colore, dell'atmosfera carica e insieme sonnolenta (non è un caso che uno degli interlocutori privilegiati di MeyerClason sia José Cardoso Pires, l'autore de Il delfino tradotto da noi l'anno scorso dagli Editori Riuniti) dalla quale l'A. legge i segreti e i pensieri nascosti di un popolo schiacciato e represso dalla dittatura e da una secolare letargia, una sorta di introversione (l'encoberto) , un'altra faccia della sua malinconia piú che della sua solitudine (la saudade), due concetti chiave della civiltà e della società portoghesi, ma animato anche da una infinita e costruttiva pazienza, da una volontà di emancipazione piú forte di quel lungo lavoro di interiorizzazione delle proprie frustrazioni cui sembrava averlo costretto la pratica dell'autocensura, esercitata per decenni anche solo per sopravvivere.
Le reazioni di MeyerClason, catapultato a Lisbona nella fase calante della dittatura di Salazar, colpita a morte dalla guerra coloniale che ha letteralmente dissanguato il paese, interessano certo per l'atteggiamento dell'intellettuale democratico (quanti direttori di istituti di cultura della Bundesrepublik citano Rosa Luxemburg?) che rappresenta una delle potenze egemoni dello schieramento atlantico in un paese in cui la dittatura è tollerata dagli alleati anche perché il Portogallo è una base Nato di importanza strategica insostituibile, una testa di ponte verso l'Atlantico e verso l'Africa. Ma interessano soprattutto per la dicotomia che ri[...]

[...]o l'Atlantico e verso l'Africa. Ma interessano soprattutto per la dicotomia che rivelano tra ciò che i suoi superiori si attendono da lui e il modo in cui egli interpreta i suoi compiti; tra l'atmosfera del mondo delle ambasciate e degli istituti dl cultura stranieri (l'italiano compreso), vera enclave all'interno della società portoghese, preoccupata solo di superficiali funzioni di rappresentanza o tutt'al piú animata da spirito di colonizzazione nei confronti del paese che la ospita, e il tipo di legame che egli tende viceversa a stabilire con la società locale, si direbbe proprio con la gente, abbattendo gerarchie e separatezze volute piú che dai regolamenti da una tradizione fatta di superiorità non certo culturale (il marco pesante non è solo un fatto di oggi) da una parte
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e di aspettative di subalternità dall'altra; tra il disinteresse dei suoi superiori per il terreno sul quale egli deve operare e la curiosità che egli ha di conoscere a chi deve rivolgersi (un paese con il reddito piú basso d'Europa[...]



da Saverio Tutino, I problemi dello sviluppo della democrazia socialista. Cuba: offensiva contro la burocrazia. Trentunomila impiegati inutili erano negli uffici: lavorano adesso nell'artigianato, nell'industria e nell'Università - sull'organo ufficiale del partito due colonne dedicate alla «critica popolare» - Totalmente rinnovato il quotidiano della sera «Joventud Rebelde» - Si allarga il numero dei compagni con compiti di responsabilità - 160 mila fra uomini e donne al lavoro per due giorni e due notti ... in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1967 - - novembre - 22

Brano: I problemi dello svilippo della democrazia socialista
Cuba: offensiva contro la burocrazia
Trentunomila impiegati inutili erano negli uffici: lavorano adesso nell'artigianato, nell'industria ed all'università — Sull'organo ufficiale del partito due colonne dedicate alla «critica popolare» — Totalmente rinnovato il quotidiano della sera «Juventud Rebelde» — Si allarga il numero dei compagni con compiti di responsabilità — 160 mila fra uomini e donne al lavoro per due giorni e due notti nell'Escambray per piantare caffè
Dal nostro corrispondente
L'AVANA, novembre
Una grande offensiva democratica si è sviluppata a Cuba nei mesi scorsi e sta raggiungendo il suo apice in questi mesi. I comitati di difesa della rivoluzione hanno celebrato il loro settimo anniversario con l'assunzione di nuovi, importanti compiti nel quadro dello sviluppo del potere locale. Nei giornali, alla radio, nelle assemblee di rendiconto delle amministrazioni locali si è incoraggiata una campagna di critiche popolari, e questa si è sviluppata in tutta libertà, con andamento travolgente e salutare. La campagna contro il burocratismo, condotta con riforme soprattutto negli uffici ministeriali dell'Avana ha ottenuto pieno successo e viene continuata.
Questa campagna ha incoraggiato le masse popolari a avere fiducia nel metodo e nella struttura del potere. Si è provato che questo non si cristallizza, come avveniva, in passato. Non si è avuto aprioristico rispetto per nessuno: anche responsabili provinciali di partito sono stati destituiti, in questi ultimi mesi. Intanto si costituisce in fretta il partito dovunque non era ancora presente: scuole, ministeri, università. Nei sindacati vige uno stile nuovo di lavoro e nelle fabbriche si raccomanda che ogni piano venga elaborato dal basso, in riunioni dettagliate e ristrette. con tutti gli operai.

Il congresso
L'offensiva cominciò l'anno scorso, alla fine d'agosto, con un congresso dei sindacati che rinnovò da cima a fondo l'apparato e i metodi dell'organizzazione. In quell'occasione Fidel Castro segnalò forme di abuso di potere e di mancanza di senso di responsabilità che andavano abolite, in tutte le istanze della amministrazione. La centrale sindacale di Cuba si spogliò di una quantità di funzionari inutili e prese l'aspetto di una organizzazione più impegnata e più vicina alle masse. La lotta contro il burocratismo era già Impegnata da oltre un anno, ma non procedeva bene: s'incrostava a sua volta nel seno di commissioni che andavano burocratizzandosi. Alla fine del '66 le commissioni furono liquidate e rifatte.
In sei mesi, trentunmila impiegati inutili sono stati scovati negli uffici e liberati dai loro ozi ciarlieri. La loro dignità ne ha guadagnato: adesso, ventisettemila di essi ringraziano l'operazione che ha dato un segno nuovo alla loro esistenza. Conservando intatta la loro remunerazione, quindicimila stanno lavorando nell artigianato, nell'industria del tabacco e in altre imprese produttive, settemila stanno studiando all'università, in scuole preparatorie, in centri di istruzione tecnica. Altri cinquemila sono stati messi in pensione o sono usciti dal paese. Rimangono poco meno di quattromila recalcitranti che non accettano nessuna proposta di soluzione e ai quali sarà presto sospeso lo stipendio, perché non si convertano — ha scritto il Granma — «in parassiti con pensione vitalizia»
Nella fase più accesa della battaglia per eliminare questa forma di burocratismo — eccedente di impiego negli uffici — molti amministratori sono stati denunciati pubblicamente, sui giornali, per avere inventato posti di lavoro inutile o superfluo. Sullo slancio di questa critica pubblica, i giornali non hanno più cessato di denunciare errori e malefatte.
Il Granma ha pubblicato frammenti di Lenin su «come devono essere i nostri giornali». Lenin invocava che si pubblicasse la lista nera degli elementi antisociali, che si dichiarasse la guerra ai «conservatori della tradizione del capitalismo»: non aveva ritegno ad accusare anche gruppi di operai attaccati ai costumi del capitalismo che erano modello di disordine, disgregazione, sudiciume, banditismo e oziosità.
L'organo ufficiale del partito ha aperto due colonne della terza pagina alla «critica popolare» con il motto: «Ogni problema deve avere soluzione o spiegazione». Una altra rubrica è quella delle domande: il popolo chiede e risponde una persona competente. Anche la radio e la televisione hanno cominciato a dare ampio spazio alla critica e agli interrogativi che si formulano dalla base. Ma il giornale che si è dato con più slancio alla funzione critica è Juventud Rebelde. il quotidiano della sera che esce nella capitale.
A Cuba, il quotidiano della sera appartiene alla gioventù. Juventud Rebelde aveva cominciato a uscire al posto del vecchio La Tarde nello autunno del 1965. Per un anno visse stentatamente, cercando una formula: era chiaro che non osava essere un vero giornale. Mancava anche nel partito e negli organismi di governo, la percezione delle possibilità di un giornalismo effettivo. Ma alcuni mesi fa, col tipico atteggiamento deciso dei cubani quando intraprendono un'azione, Juventud Rebelde cambiò direzione, impaginazione e contenuti. I titoli cominciarono a colpire ogni giorno nel segno. La faccia del giornale prese un piglio battagliero, libero, pieno di respiro.

Un esempio
Oggi Juventud Rebelde è diventato il giornale più ricercato: in ogni sua pagina è entrata la critica, seria e mordente, condotta con scrupolo e obiettività, ma anche con un'ampiezza spietata. Juventud Rebelde, di Cuba, è un esempio intelligente di giornalismo socialista. Non a caso, il giornale è stato rilanciato e si è affermato nel pieno di una grande offensiva democratica. Questa ha dilagato nelle assemblee di rendiconto delle amministrazioni locali. Tutto il popolo partecipa a queste assemblee. Salvo scivolamenti in questioni personali, prontamente frenati, questi confronti diretti tra amministratori e amministrati si svolgono in maniera esemplare: l'ambiente è mantenuto corretto dalla reciproca tolleranza, che è una dote squisitamente cubana. Vi si denuncia qualsiasi ingiustizia, qualsiasi pecca che abbia una conseguenza sociale. Quelli che più impressionano sono gli accenni critici a una morale civile che non corrisponde all'idea che il popolo si fa della rivoluzione: I casi d[...]

[...]rsonali, prontamente frenati, questi confronti diretti tra amministratori e amministrati si svolgono in maniera esemplare: l'ambiente è mantenuto corretto dalla reciproca tolleranza, che è una dote squisitamente cubana. Vi si denuncia qualsiasi ingiustizia, qualsiasi pecca che abbia una conseguenza sociale. Quelli che più impressionano sono gli accenni critici a una morale civile che non corrisponde all'idea che il popolo si fa della rivoluzione: I casi di nepotismo, di clientela. Nessuno di questi avrebbe mai potuto essere denunciato prima della rivoluzione.
Ma anche dopo la rivoluzione per alcuni anni, mentre si cercava la strada di una democrazia non formale, si è presentata l'occasione che incoraggiasse una critica popolare ampia, garantita. Ora questa energia viene consapevolmente liberata: «La cosa più importante — ha detto Armando Hart, segretario organizzatore del partito — è quella di sviluppare il contatto col popolo, stare attenti a ciò che il popolo pensa e vuole. Allargare ogni giorno il numero di compagni con responsabilità e affrontare la analisi dei problemi con il popolo, tenendo presente che il popolo non è ancora sufficientemente informato di tutta l'ampiezza dei piani della rivoluzione...».
Ritardi e pregiudizi di una falsa moralità vengono combattuti sul piano dei fatti, dalla gioventù medesima. Non si può imporre dall'alto una morale diversa. conviene incoraggiarla con misure amministrative. Basta lasciare che si evolva. Vi era una certa tendenza, anche nella direzione rivoluzionaria, a considerare questi problemi ancora in maniera autoritaria, un po' conservatrice. Prevale però, a poco a poco, la tendenza opposta. Le giovani generazioni maturano da sé una visione nuova della vita, che coincide con quella dei dirigenti rivoluzionari. Le idee chiare che in privato Fidel Castro esprimerà a qualunque interlocutore intelligente sui problemi della persona, del matrimonio e dei rapporti fra i sessi, la gioventù e l'amore, non possono essere oggetto di decreti: ma esse filtrano nell'atmosfera sostanzialmente democratica che lotta contro i residiui di ipocrisia.La grande offensiva democratica in corso facilita tutti gli sviluppi; aiuta i giovani a creare a Isola de Pinos una comunità di lavoro di tipo nuovo; ha aiutato ancora, nelle scorse settimane, a mobilitare centosessantamila uomini e donne, giovani e anziani sulle montagne dell'Escambray per piantare caffè – due giorni di lavoro e due notti sotto la pioggia – in un clima di incredibile entusiasmo. Perché non dovrebbe aiutare tutte le spinte liberatrici, anche quelle recondite della cosiddetta intimità, a risolversi sul piano di una umanità nuova, sincera, priva di inibizioni? Con la moltiplicazione parallela delle occasioni per lavorare e creare, e di quelle per pensare e criticare, a Cuba sembra proprio che si stia trovando il punto giusto di un socialismo che forma un nuovo cittadino, cioè l'uomo nuovo.
Saverio Tutino


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Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine , nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---siano <---italiano <---italiana <---Pratica <---italiani <---Dialettica <---Ciò <---abbiano <---marxista <---socialista <---Logica <---ideologia <---ideologico <---Così <---marxismo <---Del resto <---Perché <---comunista <---Filosofia <---Diritto <---fascismo <---socialismo <---Gramsci <---Stato <---ideologie <---realismo <---comunisti <---ideologica <---Ecco <---Meccanica <---fascista <---italiane <---materialismo <---Lenin <---Più <---Scienze <---Storiografia <---capitalismo <---d'Italia <---ideologiche <---marxisti <---storicismo <---Basta <---Dinamica <---Dio <---Già <---Poetica <---dinamismo <---idealismo <---socialisti <---Estetica <---Marx <---Sociologia <---comunismo <---cristiano <---filologico <---leninista <---ottimismo <---sociologia <---Francia <---Noi <---Però <---Quale <---cristianesimo <---ideologici <---imperialismo <---leninismo <---metodologico <---progressista <---psicologica <---psicologico <---Benedetto Croce <---Fenomenologia <---Filologia <---Fisica <---Psicologia <---Russia <---Sistematica <---artigiani <---capitalista <---cristiana <---cristiani <---determinismo <---fenomenologia <---filologia <---gramsciano <---metodologia <---metodologica <---psicologia <---Agraria <---Belfagor <---Cosa <---Il lavoro <---La sera <---Metafisica <---Ordine Nuovo <---Partito <---Retorica <---Stalin <---Sulla <---d'Europa <---dell'Italia <---gramsciana <---idealisti <---lasciano <---mitologia <---mitologica <---opportunismo <---progressisti <---umanesimo <---Antonio Labriola <---Bibliografia <---Dei <---Dogmatica <---Engels <---Labriola <---Linguistica <---Matematica <---Mi pare <---Pochi <---Storia religiosa <---Togliatti <---Voglio <---antropologica <---artigiano <---astrattisti <---biologico <---cominciano <---conformismo <---cristiane <---crociana <---crociano <---economisti <---fanatismo <---gramsciane <---individualismo <---liberalismo <---naturalismo <---psicologici <---riformismo <---scetticismo <---Chiesa <---Come <---De Sanctis <---Diplomatica <---Etica <---Folklore <---Giappone <---Gli <---Grecia <---Hegel <---La guerra <---La lotta <---Machiavelli <---Medicina <---Nuovi Argomenti <---Pensiero filosofico <---Presso <---Pure <---Risorgimento <---Scienza politica <---Scienze naturali <---Stilistica <---Storia mondiale <---Teologia <---Teoretica <---Umberto Cosmo <---Viene <---analfabetismo <---astrattismo <---autonomismo <---biologica <---capitalisti <---classista <---colonialismo <---comuniste <---conformisti <---conservatorismo <---crociani <---dualismo <---economismo <---fatalismo <---filologica <---gramsciani <---immobilismo <---intrecciano <---leninisti <---lismo <---metodologici <---misticismo <---nazionalismo <---parallelismo <---positivista <---profetismo <---psicologiche <---realista <---siciliani <---socialiste <---sociologica <---sociologiche <---staliniano <---stiano <---teologia <---vogliano <---Agli <---Andate <---Balzac <---Bukharin <---Certo <---Chimica <---Contemporaneamente <---Corea <---Cosmo <---Davanti <---Dico <---Eranos Jahrbuch <---Etnologia <---Freud <---Goethe <---Hemingway <---Hitler <---Il Principe <---La Chiesa <---La Critica <---La Stampa <---Lecce <---Leeuw <---Logica formale <---Lévy-Bruhl <---NATO <---New Haven <---Niente <---Ogni <---Ottobre <---Pedagogia <---Psicanalisi <---Purgatorio <---Salvemini <---Sardegna <---Scienze sociali <---Shakespeare <---Signore <---Società <---Statistica <---Torino <---Trotzki <---Unione <---annunciano <---antifascista <---antropologia <---autonomista <---burocratismo <---cinismo <---clericalismo <---crocianesimo <---d'Israele <---dell'Africa <---dell'America <---dell'Ottocento <---diano <---engelsiana <---esistenzialismo <---esperantismo <---etnologia <---etnologico <---evoluzionismo <---facciano <---fascisti <---fenomenologica <---fenomenologico <---feticismo <---fisiologico <---hegeliana <---hegelismo <---illuminismo <---immanentismo <---imperialista <---incominciano <---indiana <---infantilismo <---interviste 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