Brano: PAGINE DI UNA ` INCHIESTA A PALERMO
Presentiamo questi quattro frammenti di una vasta inchiesta che Danilo Dolci sta conducendo per l'editore Einaudi e che ha per oggetto quanti a Palermo, in città e in provincia, vivono di un lavoro che non è lavoro, si industriano, si arrangiano, vivono e non vivono. Si. tratta, dal punto di vista sociale, di un'inchiesta circoscritta soltanto al cosiddetto (( proletariato degli stracci », nelle forme di disgregazione che son proprie di Palermo e provincia: quasi un quinto delle popolazione in Palermo città. È un monde, umano ben caratterizzato, che ha per squallido scenario della sua. vita i cortili Cuscino, la Kalsa, Ballarti, Piazza Donnissini, Castello S. Pietro; Spine Sante, Partinico etc. Ë un mondo che non conosce mestieri, ma, come si è detto, modi di arrangiarsi, e, arrangiandosi, di campare la vita: arrifiatori, panerar[...]
[...]circoscritta soltanto al cosiddetto (( proletariato degli stracci », nelle forme di disgregazione che son proprie di Palermo e provincia: quasi un quinto delle popolazione in Palermo città. È un monde, umano ben caratterizzato, che ha per squallido scenario della sua. vita i cortili Cuscino, la Kalsa, Ballarti, Piazza Donnissini, Castello S. Pietro; Spine Sante, Partinico etc. Ë un mondo che non conosce mestieri, ma, come si è detto, modi di arrangiarsi, e, arrangiandosi, di campare la vita: arrifiatori, panerari, venditori di milza, di mussu, di budelle arrostite, minestrari, caramellai, cioccolatari; bancarellari, spicciafaccende, ruffiani, prostitute ufficiali e private, cantastorie, cenciaioli, e infine ladri o peggio. Così intenzionalmente circoscritta ai ceti sociali disgregati di Palermo e provincia l'inchiesta del Dolci si sottrae alla solita obiezione che Palermo e provincia ((non sono soltanto questo »: che è poi la obiezione di coloro che in fondo, per vari motivi, non sono disposti a riconoscere che Palermo e provincia sono ((anche» questo.[...]
[...]to non é legittimo lo scrupolo che quei particolari, indebitamente fraintesi nel loro significato, possano turbare le candide anime di fanciulli e di fanciulle.
ERNESTO DE MART P%10
CORTILE CASCINO
È chiamata « Cortile Cascino » la zona — a 200 metri dalla Cattedrale — da via D'Ossuna a Cortile Grotta; e, in senso lato, anche l'altra, a nord, separata dalla prima dalla linea ferrata.
I nudi e sudici bambini che giocano sulla ferrovia e nel fango, è quanto più impressiona a prima vista. Cinque costruzioni scalcinate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due otre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi.
Diverse donne nella strada, intente, spidocchiano la testa di un parente o di un vicino. Due o tre fontane. Qualche a maarla » sulla porta.
Gli scoli, nel cortile Cascino propriamente detto, si raccolgono in uno spiazzo fetido. Se d'estate grande è sempre il pericolo del tifo, d'inverno nelle case più basse c'é da morire annegati. Una decina di locali, i più sottoposti, hanno p[...]
[...]ili Cascino» le stanze sono 130 circa per 160 famiglie; nel secondo sono 80 per un centinaio di famiglie.
Essendo costanti le caratteristiche, si sono considerate 100 stanze consecutive, di cui riportiamo alcuni dati (v. lo specchio intercalato).
La maggior parte delle famiglie, spiegando noi il perché del lavoro, é stata ospitale; alcune opponevano difficoltà perché « non volevano andare sul giornale: tanto le cose vanno sempre avanti così. Vengono specialmente per le votazioni, talianu (guardano), si schifianu o promettono case popolari: ma se ne vanno tutti ».
Le 100 abitazioni, con 118 stanze complessive e 5 ripostigli, ospitano 498 persone: circa 130 famiglie: 14 di queste con libretto di povertà.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 139
Essendoci un gabinetto in una sola famiglia (« gli uomini puliti vanno sulla ferrovia »), in ogni stanza preparano da mangiare, mangiano, e fanno tanto « i bisogni corporali » che i figli; di media, persone 4,23.
Nessuna casa con acqua corrente. I pavimenti: 4 di terra, 7 di terra e piastrelle rotte, 37 di cemento rotto e di piastrelle rotte, 51 di piastrelle rotte, 4 di cemento, 15 di piastrelle.
Una quindicina di famiglie sono senza luce. Delle rimanenti, più della meta l'hanno dai vicini.
Una stanza (di 2,50 X 6,00; h = 3,20) con 11 persone; una stanza (di 4,00 X 4,30; h = 4,00) per 10 persone; 3 stanze, ciascuna per 9 persone; 6, ciascuna per 8 persone; 14, per 7 persone; 8, per 6 persone; 11, per 5 persone; 19, per[...]
[...]ati, a scuola.
I figli, non trovando lavoro, crescendo, continuano, per lo più « trafficanti» e cenciaiuoli, l'attività dei padri: di cui 31 sono stati, anche diverse volte, in carcere: ma per lo piú, « per cose di poco conto ».
Essendo 386 le persone oltre i 6 anni, e 317 gli anni complessivi di scuola, ogni persona, di media, ha frequentato 8,2 decimi di prima elementare.
140 DANILO DOLCI
Leggenda: L.P _ libretto povertà; I = larghezza o lunghezza
N. Farn. L. P. Stanze
N. 1. 1. h. 0 Ÿ
o
i F.G. 2 4,0 4,0 3,5 m
3,3 4,5 3,5 no
2 U.A. 1 2,5 2,3 2,4 no
3 F.A. 1 3,8 3,6 3,6 m
4 P.G. si 1 2,8 3,5 3,2 no
5 S.V. 1 2,2 7,0 3,2 no
6 P.V. 1 3,8 3,6 3,2 no
7 L.L. 1 3,5 3,2 3,6 no
8 P.A. si 1 3,5 3,2 3,6 no
9 P.M. 1 3,5 3,2 3,4 no
10 F.S. 1 3,2 4,8 3,8 no
11 C.G. si 1 2,2 4,0 2,2 no
12 M.V. 1 2,1 3,3 2,8 no
13 F.G. 1 3,0 3,0 2,8 no
14 F.C. si 1 2,8 3,2 2,3 no
15 S.V. sì 1 3,0 3,0 3,5 no
16 P.A. 1 3,0 3,0 3,5 no
17 N.G. 1 2,5 6,0 3,2 no
18 P.A. sì 1 3,0 2,1 2,1 no
19 S.G. 1 2,5 3,0 3,0 no
20 R.P[...]
[...]G. 2 4,0 4,0 3,5 m
3,3 4,5 3,5 no
2 U.A. 1 2,5 2,3 2,4 no
3 F.A. 1 3,8 3,6 3,6 m
4 P.G. si 1 2,8 3,5 3,2 no
5 S.V. 1 2,2 7,0 3,2 no
6 P.V. 1 3,8 3,6 3,2 no
7 L.L. 1 3,5 3,2 3,6 no
8 P.A. si 1 3,5 3,2 3,6 no
9 P.M. 1 3,5 3,2 3,4 no
10 F.S. 1 3,2 4,8 3,8 no
11 C.G. si 1 2,2 4,0 2,2 no
12 M.V. 1 2,1 3,3 2,8 no
13 F.G. 1 3,0 3,0 2,8 no
14 F.C. si 1 2,8 3,2 2,3 no
15 S.V. sì 1 3,0 3,0 3,5 no
16 P.A. 1 3,0 3,0 3,5 no
17 N.G. 1 2,5 6,0 3,2 no
18 P.A. sì 1 3,0 2,1 2,1 no
19 S.G. 1 2,5 3,0 3,0 no
20 R.P. 1 2,5 3,0 2,3 no
21 S.S. 1 3,5 3,5 2,5 no
22 P.F. 1 4,5 3,5 1,8 no
23 M.F. 1 5,0 3,2 3,2 no
24 V.C. 1 2,0 1,7 2,0 no
25 M.S. sì 1 7,5 2,2 2,2 no
26 P.I. 2 3,0 4,0 2,6 no
2,0 3,0 2,5
27 L.G. 1 3,5 2,5 3,2 no
28 M.F. 1 3,5 2,5 3,2 no
29 C.I. 1 3,0 5,0 5,0 no
30 F.P. 1 2,6 3,2 3,5 no
31 F.A. 1 3,0 3,0 2,6 no
32 M.A. 1 3,5 3,5 3,8 no
33 P.G. 1 3,5 2,7 3,0 no
34 F.C. 1 4,0 2,7 3,0 no
35 S.D. 1 4,0 2,5 3,0 no
36 C.G. 2 5,0 2,5 2,5 no
3,0 2,5 2,5 no
37 L.N. 1 2,5 3,0 3,5 no[...]
[...]0 3,0 3,5 no
73 F.C. 1 6,0 3,0 3,5 no
74 M.P. 2 3,0 2,5 3,0 no
2,0 3,5 3,0 no
75 G.F. 1 5,0 3,0 3,5 no
76 X.Y. 1 5,0 3,7 3,5 no
77 RV. 1 4,0 4,3 4,0 no
78 T.F. 1 5,5 3,5 4,0 no
79 S.D. 1 5,0 3,5 4,0 no
80 S.G. 1 3,8 4,0 2,5 no
81 F.A. 1 3,0 3,2 2,9 no
82 C.G. 1 3,5 3,5 3,2 no
83 M.T. 1 3,5 3,5 3,2 no
84 M.G. 1 4,5 3,5 3,2 no
85 O.S. 1 5,0 3,5 3,0 no
86 I.F. 1 3,5 3,5 3,5 no
87 X.Y. 1 2,5 3,0 2,2 no
88 N.G. 1 3,1 4,0 2,2 no
89 L.P. sì 1 3,0 3,7 2,7 no
90 L.R. 1 2,5 2,5 2,4 no
91 A.B. sì 1 3,5 4,0 3,0 no
92 X.Y. si 1 4,0 5,0 3,5 no
93 O.A. 2 2,5 3,0 2,1 no
2,5 2,8 2,0 no
94 B.A. 1 2,5 4,5 2,3 no
95 S.G. 1 3,8 2,8 2,1 no
96 N.M. 1 5,0 2,8 2,3 no
97 F.G. 1 3,2 3,8 3,5 no
98 F.S. 1 4,5 3,0 2,6 no
99 C.G. 1 2,7 4,0 2,7 no
100 C.A. 1 4,5 2,2 2,6 no
2
5
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7
5
8
10
9
7
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4
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3 2 2 2
2
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3
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2
3 2 2 2 2
2 no
3 no
4 no
2 no
W.C.
no no no no no no no no no[...]
[...] certo scennemu se fa acqua. Se uno si curca, aggranca a dormire sempre cussi; aggranca e si stinnicchia e dice l'altro: — Aspetta che mi metto buono. — Chiddu in fondo dice: — Lassami mettere lu pede.
Quattro a li pedi e quattro al capizzo. D'estate fa caldo, si piglia la segatura dal mastro d'ascia e si mette in terra e si dorme anche in terra ».
Ridono intorno, con maliziosi sottintesi negli occhi, anche alcuni bambini mentre un vicino aggiunge che ogni tanto, traballando il letto, c'é qualcuno che deve stringersi ad un altro. Intanto ci hanno buttato addosso da sopra, per isbaglio, dell'acqua calda e ora pioviggina fitta fitta della terricciola. Un blocco di qualcosa, in testa.
« Dormiamo con la porta aperta per respirare meglio; d'inverno la chiudiamo. Pure me soru cun so maritu, s'accurcano cu nuatri. Ma i masculi si curcano vestuti, sono tanto educati. Cu li picciriddi...
Di giorno stiamo tutti fora. Cuciniamo ca fora, sotto la scala, che quandu piove semu riparati chiù assai.
È dodici anni che mi infilai dintra sta grotta che prima serviva di rifugio. Poi c'é venuta me soru. Dodici anni. Vo[...]
[...] d'unne l'have?
Venivano a vedere comunista, signorine. Una volta mia nipote curcata docu la fotografaru e stu ritrattu sul giornale giunse a Roma e Napoli. Appizzato in pubblico. Poi ci furono le votazioni e l'appizzaru ancora. Ma ca semu, ca semu arrestate.
Ci ho un quadro di Santa Rosalia, ci accendiamo ogni giorno i lu
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 147
vini. La pregamu e per una casa ci promettemu due viaggi. Se mi fa levare da sto fango, due viaggi a Monte Pellegrino, scalzi, a pedi in terra, con le torce in mano fino a Monte Pellegrino. È bello. Bellissimo. C'é Santa Rosalia, tutta curcata, con tutto l'oro in testa. Che bellu veru! Nuatri ci facemu la promessa : — Santa Rosalia fammi stare bona, fammi capitare una casa. — Vede che bella! e ci fa vedere un'immagine nuova che comincia ad ammuffirsi.
« Have un rinale d'oro, un rinale pieno d'oro. Le scarpe tutte d'oro. Che bella. Bastone d'oro. Sono promissioni che dipende come nescono di bocca. Se uno sta bono, ci porta le promissioni lá in capo: la vesta, orologi, piccioli[...]
[...]narchia, e tutti dicono: — Dobbiamo fare fognature a questo cortile. — E più di cento anni che é così. Ci fanno vedere che tutto il mondo é nostro, poi niente. Più vampa c'é, più disperazione. — Nun dubitasse signora, nun dubitasse. — Magari signorine sono venute. Assai. Quando fu delle votazioni. Ma niente dunanu. Avìanu a acchianare i comunisti e invece acchianaru i parrini. Ma niente dunanu, né chisti né chiddi.
Chissa nica ebbe lavaggi di sangu, febbre, intossicazione al sangue. U picciriddu puru, ci ficimu u vutu. Di Santa Rosalia, allu picciriddu. Se stava bono. E é misu lu votu ora a Santa Rosalia, siccome me soru lava in qualche cucinedda.
La più grande ha nove anni. Sprovvista, la picciridda, putemu mandarli mai a scola?
Me cugnatu e me ziu nesciunu matina matina, e vanno fora sulla ferrovia; per fare i bisogni, c'è la ferrovia. Invece noi sei, nel rinale tutte cose. E poi buttiamo fora.
Me cugnatu e me ziu, pezzantini. Nésciunu di notte con la cesta e raccogliono. Vedono un mucchio di immondizie e la scartano. C'è l'immondizia che la sera buttano fora i s[...]
[...]natu e me ziu, pezzantini. Nésciunu di notte con la cesta e raccogliono. Vedono un mucchio di immondizie e la scartano. C'è l'immondizia che la sera buttano fora i signori, le camerere che fanno la pulizia.
Vannu per le strade e dove ci sono le immondizie, cogliono stracci, ossa, vetro, buccie di arancio, buccie di limone, scarpe rotte, pane secco,
148 DANILO DOLCI
e fanno la giornatedda, meschini. Poi le vendono e le pulisce chi le compra. Vengono alla mattina. C'è quando piove e non escono e si sta morti di fame.
Per riempire una cesta ci vuole certe volte mezza nottata, certe volte un'ora, dipende dalla provvidenza di Dio, dalla provvidenza che manda Santa Rosalia. Quando la cartella é piena, vengono a casa. Se é poco, si possono accucchiare solo 100 lire, tornano fuori ancora. Possono guadagnare 300, 400 lire.
Quando have la cesta in collo, certe volte ci sono le guardie: — Cosa portate in quella cesta! — Risponde: — Stracci, ossa vetro... — E ci
rispondono loro, le guardie: Buttalo a terra per vedere cosa c'è
dentro. Poi le guardie fanno così che coi piedi scalìanu li stracci, per vedere se ci sono cose losche, con le lampadine tascabili. Quando le guardie non ci garbizzano, o che vogliono tornare dentro, dicono: — Favorisce con noi, che domani se ne parla e va a "Casa. — Dicono [...]
[...] Minestra niente; anche se la famiglia vuol fare entrare la minestra nella carta velina, non la fanno entrare.
Dopo tre giorni, posato su una tavola, le informazioni sono bene:
— Andate fuori. — E si busca il pane di nuovo un'altra volta. Succede dopo due o tre mesi la stessa canzone, in un'altra pattuglia, e si va a passare di nuovo questo capriccio: informazioni, carta d'identità. Se il padre di famiglia porta la cartella vuota, i bambini piangono:
— Papà u pane, voglio u pane. — Certo queste cose si sanno. E il papà per non sentire piangere i bambini va a fare una passeggiata e poi torna, tanto per svariare il cervello. Certe volte la moglie dice: — Chissi stannu
PAGINE DI UNA INCHIESTA. A PALERMO 149
piangendu: come facemu? — Il marito, certo, che deve fare, che non
s'affida ad andare a rubare. Per questo ci vuole quello nativo.
Certe volte ci donano a credenza.
Aspettamo che Santa Rosalia ci fazza la grazia. Di illuminarci il
cervello alle teste grosse ».
IGNAZIO P.
«Qui nel Cortile Cascino (via D'Ossuna, cortile Grotta), non abbiamo mai lavorato nessuno nei cantieri perché non abbiamo avuto mai lavoro. Siamo tutti cenciaioli in generale, i maschi; le donne, lavandaie. Qualche giovane qualche volta ha trovato lavoro per qualche tempo, qualche cantiere: ma quando, dopo poco, lo lasciavano[...]
[...] cenciaioli in generale, i maschi; le donne, lavandaie. Qualche giovane qualche volta ha trovato lavoro per qualche tempo, qualche cantiere: ma quando, dopo poco, lo lasciavano a spasso, tornava a fare il cenciaiolo che almeno era quasi continuo.
Circa sett'anni fa, circa cinque persone morirono qui di tifo: come infatti siamo stati esiliati nel cortile dai carabinieri, che il cortile era infettivo: nessuno doveva uscire. C'era la sporchezza, fango, rifiuto di pozzi neri; ci sono le donne che al mattino i rifiuti corporali li buttano sulla ferrovia vicina, ma certe donne buttano li davanti nello spiazzo che fa il posto di concentramento dell'acqua morta. (A tempo d'inverno vengono i pompieri, tanto si alza l'acqua e il fango: ma i pompieri dicono che non c'é niente da fare: tirano solo fuori un po' d'acqua, la succhiano dal fondo delle case e vanno via). Questo tifo pidocchiale che é venuto, é venuto più di una volta: un'altra volta sono morte due persone, di tifo, e ammalate diverse decine di bambini. Soprattutto i bambini, morivano di tifo.
Quando ci hanno esiliati i carabinieri, che nessuno poteva uscire fuori, ci portavano da mangiare nelle caldaie. Quando venivano i carabinieri ad avvisarci che portavano da mangiare, sonavano la tromba. E ci venivano centinaia di persone con le latte, queste che ci mettono la conserva, pentole e così, e ci mettevamo in coda, in riga come i militari. Ci davano da mangiare perché non potevamo uscire a andare a lavorare. Per i bisogni corporali andavamo sempre, per forza, nel cortile o, se c'era qualche carabiniere buono, ci lasciava andare sulla ferrovia.
150 DANILO DOLCI
Nel mangiare, poi, c'era una specie di medicinale per disinfettarci i corpi: e doveva essere purgativo perché tutti i millecinquecento, maschi
e donne, avevamo il corpo sciolto (diarrea).
Il tifo, per forza doveva venire: perché le sporchezze erano trappe, le case sono strette, senza l'acqua, e ci stanno anche otto, dieci, e anche più persone per stanza: piccole celle. Qualcuna con pavimento di terra,
e certe sono grotte. In tante case per sedersi usano pietre o latte di conserva. Pidocchi a quintali. Quando sono morti quelli là, erano pieni di pidocchi che facevano paura. Sono venuti a portare del[...]
[...]onne dall'altro. Dormivano a terra, con soltanto qualche coperta. Sono stati qualche quattro
o cinque giorni. Insistevano per avere qualche abitazione. Gli regalavano 1500, 2000 lire ogni famiglia e rimandavano da dove erano venuti. Perché dice che case non ce n'erano.
Noi uomini alla mattina, tutte le mattine, chissà da quando (mi ricordo, anche la buonanima di mio padre) andiamo a fare i nostri bisogni corporali sulla ferrovia. Certe volte vengono i Metropoli di servizio e ci danno la multa: 2500 lire. Dobbiamo pagare a caro prezzo pure fare i servizi corporali. Le donne fanno a casa sua nella stanzetta. I bambini fanno o in giro o sulla ferrovia: sei mesi fa c'è andato sotto il treno un piccolo di cinque anni di alcune case più sotto.
A duecento metri dalla Cattedrale, dal centro di Palermo.
Oltre i cenciaioli e le lavandaie, alcuni non fanno nulla, alcun i fanno le bandierine con l'immagine di Santa Rosalia, poche fanno le prostitute ma in altra parte di Palermo, perché li siamo troppo stretti: per non essere viste dal vicino di[...]
[...] non m'hanno trovato nulla. Il maresciallo mi ha interrogato e mi ha detto se avevo documenti: il giorno proprio prima ero venuto da militare. Io mi trovavo sprovvisto di documenti e il maresciallo mi ha mandato in carcere. Io non ero stato mai arrestato nella mia vita. Circa cinque mesi che ero io al carcere, mi hanno fatto la causa. E mi imputarono per tentato furto, e mi hanno condannato à dodici mesi: non ci avevo avvocato che non avevo da mangiare né per me né per la famiglia. Allora poi mi sono appellato. E mi hanno tolto sei mesi. Così io sono diventato delinquente per la legge. Così io mi sono macchiato le carte.
Quando sono uscito dal carcere, per fortuna non ci sono stato mai più. Ho sofferto molto, perché il mestiere che faccio non guadagno una somma da poter soddisfare la famiglia. Quindi è necessario che mia moglie deve andare a persona di servizio.
Ho avuto la febbre maltese per diciotto mesi. Sono analfabeta come quasi tutti quanti noi. Alla mattina mi alzo alle sette, sia d'inverno che di stagione. Piglio il mio carret[...]
[...]del mestiere. Nessuno si interessa di quello che capita fuori del cortile, tranne quando ammazzano qualcuno nella città.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 153
La religione non conta qui dentro, perché la maggioranza sono compagni (io mi devo iscrivere alla D. C. Non per darci il voto ma per poter fare le cose mie) però, a tempo di votazione, viene il prete e qualche borghese, offrendo qualche coppa di pasta, con la speranza di avere il voto. Vengono, la maggioranza, la Monarchia; hanno fatto i tesserini, lasciavano l'indirizzo che dovevano andare a prendere un chilo di pasta. La maggioranza c'è chi ha paura e vota per il partito che loro ci dicono. Paura che il partito sapesse che non han votato per lui. La maggioranza non va in Chiesa, non c'è domenica né giorni di festa. La domenica c'è il pensiero come svolgere per pater apparecchiare la tavola con qualcosa da mangiare.
E un rione difficile. Una volta sono venuti due persone per far fotografie e uno di qui, ubriaco alle dieci e mezzo di mattino, monarchico, ha sdraiato le mani d'improvviso e ci ha acchiappato la macchina fotografica, che non vogliono che facciano fotografie. E quelli là, meschini, si misera in paura che si spezzava la macchina fotografica di 80.000 lire.
Chi ci ha otto figli, chi sei, chi dieci: é l'unica delizia avere figli. E l'unica delizia della povertà.
Due tre volte ci son venuti i preti in questo quartiere, per insegnare la dottrina ai bambini : mancavano due mesi alle elezion[...]
[...]e, e poi si torna col mezzo frontino, infilando la mano nella borsa e prendendo il portafoglio o quello che c'era.
Quando si era già avviati, c'è un altro problema, quello dell'omertà del bambino che doveva essere provato, prima di essere affittato a borseggiare. Qualcuno di questi adulti, che veniva pure da questa carriera diceva: — Questo è un bravo ragazzo che non parla — e lo portava in giro per le città d'Italia. Io per la prima volta fui ingaggiato da un certo B. La prima volta ero timido, mi veniva come d'andare al gabinetto. Per me era una cosa paurosa, temevo che quello se ne accorgesse e mi desse botte. Da solo non era capace: ma c'era l'altro e mi dava coraggio. Io non volevo dimostrarmi un timido, un vile, e non essere ingaggiato. I soldi poi lui li portava alla famiglia dove stavo, una parte, perché li mangiavo e dormivo. A me,. non mi dava mai la soddisfazione di sapere quello che si trovava dentro i portafogli: apriva
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 155
lui. Potevo riuscire due o tre volte al giorno. E lui faceva da palo, quello che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le famiglie avevano un bambino avviato alla mia stessa strada. Via S. Agostino, Cortile Catarro, Cortile Salaro (Scalilla), e quasi in ogni strada intorno, vi era o un borsaiolo o un centro di insegnamento di borsaioli. E la cosa ancora continua, lì e a Ballar) e altrove, ma[...]
[...]cializzati, ma non hanno nessuna specializzazione. Allora ce n'erano famose, capitanate dal terribile Sciabbica che ora è in pensione e che ora, per istinto, ancora privatamente va in cerca... — Un altro famoso capo squadra c'era — lu Signorino —, perché era tutto impomatato. Sciabbica correva come una lepre.
Mi ricordo ancora che « scennevo », (mettiamo io ero « apparanzato » con te, e « scendevamo » vuol dire andavamo a « lavorare »), ed all'angolo della via Sant'Agostino con via Maqueda (dove era il centro « di lavoro » delle varie « paranze », vicino a tutte le vetrine e i negozi) veniva « la squadra ». E mi accorsi che era capitanata da Sciabbica. Avvertii subito i compagni, facemmo un dietrofront e ognuno di noi fuggì nei vicoletti. Io corsi a scattafiato fino a casa, che bastava essere preso per rimanere in carcere a disposizione, minimo tre giorni. Arrivai a casa tutto spaurito che mi spaventavo solo al pensiero che mi avesse riconosciuto. Quando si arriva di corsa a casa, quelli di casa non sanno se si arriva di corsa con « u [...]
[...]estata : « a nona » prende quello che vogliono dare gli altri. La parte uguale viene divisa tra il ragazzo e quello che ha preso il portafoglio. « A nona », nella paranza, viene considerato un avventizio. La maggior parte dei borseggiati sona dei contadini, venuti dalla provincia o per entrare in una clinica o in cerca di lavoro a per fare la provvigione, e portano i risparmi della loro fatica. E poi vanno ricercati « i fardaioli »: quelli che vengono dalle Americhe, dopo aver lavorato laggiù per molti anni: questi spesso hanno « u surciu abbuzzatu » : pieno di soldi. Poi ci sono gli specialisti per gli autobus, ché non sono tutti capaci di fare una cosa. Qui la difficoltà sta nell'alzare, soprattutto d'inverno, quando c'è il cappotto, per sfilare dalle tasche dei calzoni.
Fino a dodici anni, sempre la stessa cosa. Tante volte per far « lavorare » bene i piccioteddi, gli promettevano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 157
suo, una specie d[...]
[...] che certe volté a chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livello, sono cominciate: siamo andati anche in continente. Che si faceva? La stessa cosa. Solo a ricordare fa male. Certe volte si faceva « l'appiccico ». Io fingevo di essere un bambino scappato di casa e l'altro, con una cinta in mano, fingeva di cercarmi da tre giorni: mi, vedeva, fingeva di volermi cinghiare, io mi ripavaro abbracciando i ginocchi di uno che prima ci eravamo assicurati che avesse « u surci » ne « la culatta ». Io gridavo, gli stringevo i ginocchi gridando — perdono —, e chiedendo aiuto a quell'uomo. Quello si impietosiva, si chinava cercando di proteggermi dalle busse, e intanto l'altro gli sfilava il portafoglio. Perché io fossi messo a conoscenza che l'operazione era riuscita, vi era un segnale convenzionale: mi faceva « a resta »: raschiava con la gola. Allora io mollavo.
Spesse volte eravamo accompagnati da una carrozzella da nolo, con il vetturino che già sapeva, per precauzione nel caso si fosse scoperti. Una volta in corso dei Mille, qui a Palermo, all'altezza del Mulino Pecoraro, mi vedo venire un uomo che porta[...]
[...]resta »: raschiava con la gola. Allora io mollavo.
Spesse volte eravamo accompagnati da una carrozzella da nolo, con il vetturino che già sapeva, per precauzione nel caso si fosse scoperti. Una volta in corso dei Mille, qui a Palermo, all'altezza del Mulino Pecoraro, mi vedo venire un uomo che portava una decina di fiaschi vuoti. E ci gettammo per l'operazione. Questo, mentre l'altro gli stava sfilando il portafoglio, se ne accorse. E allora, fingendo che gli stavano cadendo i calzoni, pregò un altro curioso che passava, di reggerci i fiaschi: e prese la rivoltella e incominciò a sparare. Noi tutti impauriti ci buttammo subito sulla carrozzella e fuggimmo. Che poi la gente credeva che fosse un rapimento di una ragazza, come di costume.
Che da Palermo e Napoli, si girava. Si stava in albergo, ci si do
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veva vestire bene. Si diceva di essere commercianti. A Milano, Torino: tutta mezza l'Italia ho conosciuto. Una volta il mio apparanzato era in possesso della tessera di giornalista. E tornavamo ogni tanto a Palermo, all[...]
[...]uali lavoravo, dispiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa che feci, perché anch'io volevo starmene libero e ormai mi piaceva girare l'Italia. Difatti dopo Otto giorni fui riformato: ma ancora oggi agli occhi mi é rimasta un po' di congiuntivite cronica, per quello. Tornato a casa, ripresi a gironzolare per l'Italia. In questo periodo riportai due condanne di venti giorni e trenta, segnate ma non scontate perché minorenne. Un giorno fui arrestato a Roma, e da quella questura ebbi fatte le pratiche per essere rinchiuso, questa volta nell'Istituto Vittorio Emanuele III,. in provinzia di . Mantova. E qui fu la mia prima esperienza « rivoluzionaria ». Ci davano botte, il Direttore faceva cose che é meglio non. dire; bastava che noi giocassimo a tamburello quando lui dormiva, durante il giorno, per buscarci due o tre giorni di ce[...]
[...]i piú grandicelli, e a sorte toccò proprio a me consegnarla.
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nelle mani del Podestà. È andata a finire che il Direttore, quando son tornato, mi ha puntato la rivoltella addosso, ma lui poi é stato costretto ad andarsene.
Tre anni sono stato 11: vita di recluso, si pub immaginare. Si sacrificava certe volte una parte del pane per cambiarlo, coi contadini che venivano 11, in sigarette fatte a mano. Strada lunghissima fino alla scuola e tutta la gente che diceva: — Povarin, povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quelli là non si sa: se il primo lasciava tutto alla legge dell'anarchia, quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo quasi la barba e ero came il padre dei bambini del paese, che erano mischiati insieme nella classe. Mi ricordo ancora ch[...]
[...] quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo quasi la barba e ero came il padre dei bambini del paese, che erano mischiati insieme nella classe. Mi ricordo ancora che il primo giorno di scuola c'era il maestro che aveva disegnato un triangolo alla lavagna e diceva: — L'area del triangolo si trova moltiplicando la base per l'altezza e dividendo... —, e mi domando: — Tu laggiù l'hai capito? — Io non avevo capito niente ma gli dissi di si. Dettava: — O cavallina cavallina stoma, virgola —, e io scrivevo — virgola —; e poi: — Tu fosti buona ma parlar non sai, punto —, e io scrivevo — punto —.
Avevo diciott'anni quando frequentavo la sesta; e perché anda vamo a baciarci in mezzo le aiole, vicino la scuola, con la nipote del Podestà, mi cacciarono dall'istituto. Non ho appreso così nessun mestiere, tranne un pa' di agricoltura li: a me cittadino 'mi insegnavano cose di terra. A[...]
[...]ti dire che certi bambini del paese venivano a dire: — Ti fazzu nescere u latte se mi dai una lira —. Mi vergogno a dirle certe cose. Siccome il ca
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sino era fuori limite del confino, c'era uno che era arrivato ad essere geloso della propria cagna. Ma non ci si crede se non ci si va. Questa era secondo loro l'opera di redenzione. Ventidue anni avevo quando sono uscito. Soldato non l'ho fatto, di leva, in conseguenza di quella congiuntivite cronica. A Roma subito un'altra volta. Lavoravo da bar biere. Lavoravo, a casa, amicizie, cose normali. In questo periodo capivo che dovevo staccarmi da tutto il mondo nel quale avevo vissuto: e sentivo la necessità di crearmi una famiglia, per avere degli affetti e per avere delle responsabilità. Un uomo che non sente di avere delle responsabilità, dove va a finire?
E sono venuto a Palermo, come per nostalgia di rivedere i posti dov'ero da piccolo. Ma ora andavo al Caffè delle Rose, andavo a passeggiare sotto l'orologio del Massimo, dove si davano l'appuntamento tutti i, gagarelli [...]
[...]re che amorosa anche economica, mi voleva lasciare. In questa sua decisione io vedevo la fine di tutti i miei sacrifici e proposi di fuircene. Ce ne fuggimmo a Roma. Mi trovai così senza una casa propria e senza lavoro. Intanto alcuni a
Palermo dicevano: Meschina, sta picciotta si consumò. Si pigghiò
unu ca nun have travagghiu —.
Andammo ad abitare in casa della mamma adottiva, che fu l'unico mio conforto. Malgrado la sua povertà ci dava da mangiare. Ci sposammo con la semplicità da poveri. Poco dopo mia moglie s'ammalò, la ricoverammo all'ospedale, io continuavo a non lavorare, le difficoltà aumentavano di giorno in giorno, andavo spesso a letto senza mangiare perché non avevo soldi, andavo a trovare mia moglie all'ospedale a mani vuote. Era assai umiliante per me, non mi sentivo uomo, marito; un giorno che mi fu possibile portarle un'arancia, mi parve giorno di festa. Un'arancia. Che cosa é un'arancia? Eppure per me era tutto.
Mi sentivo isolato da tutti, andavo da un barbiere all'altro per avere lavoro: niente. Volevo andare a trovare qualche mia vecchia conoscenza per rifare quell'altro « lavoro »: la paura di lasciare mia moglie solo mi teneva. Incontrai un giorno un mio amico che borseggiava: mi regalò cinque lire che mi servirono per man[...]
[...]o che mi fu possibile portarle un'arancia, mi parve giorno di festa. Un'arancia. Che cosa é un'arancia? Eppure per me era tutto.
Mi sentivo isolato da tutti, andavo da un barbiere all'altro per avere lavoro: niente. Volevo andare a trovare qualche mia vecchia conoscenza per rifare quell'altro « lavoro »: la paura di lasciare mia moglie solo mi teneva. Incontrai un giorno un mio amico che borseggiava: mi regalò cinque lire che mi servirono per mangiare due giorni e portare qualche cosa a mia moglie. Mia madre, che comprendeva la mia intima lotta, una sera mentre a tavola mangiavo un piatto di minestra, mi disse: — A Gi', stai attento a quello che fai. Ricordate che adesso ci hai moje e nun poi fa' quello che te pare, speciarmente che quella na regazzina —. Quel consiglio mi rasserenò e, pare, mi portò fortuna. Pochi giorni dopo trovai lavoro in un barbiere napoletano guadagnando 25 lire la settimana oltre le mance dei quali il padrone teneva conto, altrimenti avrebbe dovuto darmi 35 lire. Mi sentivo finalmente felice.
Poi mia moglie usci dall'ospedale e siamo andati ad abitare alla Marinella, in casa di una mia cugina. Ogni tanto andavo a trovare la mamma adottiv[...]
[...]cessità mi costrinse a parlarci. Egli permise che io e mia moglie andassimo ad abitare in casa sua. Egli era sposato, con figli. La moglie non ci accolse con entusiasmo ma, siccome comandava il marito, dovette per forza accondiscendere.
Mio padre viveva una vita misera. Era stato cacciato fuori dal Municipio perché era socialista costituzionale. Nei primi giorni, siccome avevo qualche risparmio che mi avevo portato da Roma, ero io che davo da mangiare a tutti. Faceva anche lui lo sbrigapratiche siccome là in municipio aveva gli amici.
Ricordo che una sera, io ancora non ero rincasato, le mie sorelle brontolavano perché non c'era niente da mangiare, quando arrivai io. Mia sorella mi disse: — Gino, u papà have i piccioli e nun vole accattare u mangiare —. Allora mi rivolsi a mio padre per accertarmi. Mio padre mi confermò si di avere i soldi, ma erano relativi ai documenti di una cliente. La sua rettitudine mi meravigliò, conoscendo io quali erano una gran parte degli spicciafaccende a Palermo: imbroglioni e truffatori legati agli uffici dei tribunali, nelle preture, dappertutto. Se tu vuoi un documento falso, attraverso questi si riesce ad averlo.
Ho dovuto poi uscire di casa da mio padre, perché sua moglie, la sera mentre eravamo coricati su due materassi per terra, ci tirava i sassolini. Per farci credere che nella casa c'erano gli [...]
[...] dopo che chiudeva il barbiere dirimpetto: e quello faceva lo stesso, e non si andava a casa che alle dieci).
In casa di mio padre avevo visto un giorno una fotografia di una giovane vestita per bene, e gli chiesi: — Chi è quella lì? — E lui disse:
È tua sorella, che sta in casa dello zio. Ero venuto poi .a conoscenza di dove abitava quella mia sorella, figlia della mia stessa madre, di sette anni più grande di me. E, per trovarla, ho dovuto fingermi uno che portava notizie di un suo zio da Roma. Per quella preoccupazione della società borghese, la quale non trova la forza di assumere le proprie responsabilità, e quindi cerca di camuffare tutto, anche gli affetti della famiglia (se mio padre avesse avuto il coraggio di dire subito: — Questo é mio figlio —, cosi come fece mia madre, io non sarei stato eccetera e eccetera), ho dovuto avere un appuntamento con mia sorella in una altra casa e non in quella di mio zio, dove lei stava. Non appena entrato, mio cugino ci presentò. Ci sedemmo in un sofà e restammo lì alcuni minuti senza parlar[...]
[...]fondito il problema religioso e politico. E mi fece alcuni discorsi sulla religione e sul fascismo, e si meravigliava che non fossi cattolico e fascista. Lei era laureata in lettere. Io alla sua meraviglia risposi che, se avessi avuto la tutela che aveva avuto lei, probabilmente avrei avuto la fortuna di diventare fascista, cattolico e laureato come lei.
Questo affetto di sorella io non lo sentivo. Borghesemente si dice che ci sia la voce del sangue. Io non la sentivo sta voce. E me ne andai indifferentemente, rimanendo d'accordo che ci saremmo rivisti.
Difatti ci siamo rincontrati: e una volta, mentre andava a rinnovarsi. la tessera del partita e volle essere da me accompagnata a piazza Bologni, alla sede del fascio. Mentre camminavamo mi avvertî che se avessimo incontrato un uomo bassetto, io mi sarei dovuto allontanare, essendo questo il fidanzato e avrebbe potuto sospettare (e anche non voleva che si sapesse che eravamo fratello e sorella).
E non ci siamo visti piú. Ci siamo rivisti finita la guerra, quando mori mio padre. E freq[...]
[...], vita nuova e per tutti, lavoro per tutti e redenzione, quindi non più Sciabbica, perché se c'é lavora, non c'é ladri, tranne che per i cleptomani. Questo nell'idea, ora ti dico il contatto fisico come è stato. Io avevo il salone, si viveva d'intrallazzo, io vendevo le sigarette di contrabband che mi venivano fornite direttamente da una guardia di finanza. Io la cosa la facevo senza scrupoli perché si può dire che la facevano tutti i saloni. Mangiavo bene così, mentre intorno c'era fame. Un giorno volevo organizzare una dimostrazione contra l'affamamento: l'ho organizzata. Mi appartai nel retrobottega, scrissi MI manifesto nel quale finivo: — Viva Stalin, viva Roosvelt, viva il Comunismo siciliano.
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Raccolsi soldi per stamparlo, comprai la colla, e fécimo per conto nostro il partito Antifascista d'Azione: e nella nostra intenzione era quello di dare bastonate ai fascisti. Con l'aiuto di alcuni altri miei conoscenti, li andammo ad incollare nelle vie e distribuirli ai passanti, nei centri della ci[...]
[...] incominciavo ad avere una forma di esaurimento nervosa. Scrissi alla direzione della scuola, a Roma al Partito, per chiedere un consiglio se valesse la pena di continuare, e avevo anche il dubbio che la rivoluzione non sarebbe venuta entro il termine della mia vita. Mi hanno risposto che il solo fatto che io studiassi in quelle condizioni era un fatto positivo, e che la storia non si doveva misurare con la vita di un uomo. Un giorno mi sentii congratulato da un compagno perché avevo risposto bene ai temi finali: il sedicesimo su quattromila. Poi mi hanno messo a lavorare nel Comitato Direttivo e quindi condividevo la responsabilità del lavoro, in direzione dei contadini.
La prima volta che andai a tenere una riunione in un paese di provincia, i contadini attendevano il responsabile in prima persona. Trovai la stanza addobbata a festa. Quando videro che ero io, mi dissero : — Ma comu; tu venisti? Avia a venere P... —. E io ebbi la sensazione che si fosse creato il mito uomo e fin da allora mi sforzai a dire ai contadini che non ci sono[...]
[...]forzai a dire ai contadini che non ci sono, nella lotta di classe, interessi particolari, e quindi l'uomo si perde di fronte alle masse. Specie quando
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questo non sa interpretare questi interessi. Me ne tornai contento perché quella deferenza che mi aveva accolto quando arrivai, s'era mutata in affetto e in simpatia perché, malgrado non sapessi ancora esprimermi in termini tecnici, avevo saputo parlare un linguaggio da uomo che aveva lottato per il diritto alla vita. E li c'è la redenzione: in principio avevo lottato solo e per me...
Mi inviarono al Congresso nazionale della Federbraccianti a Mantova, nel '49: e li ho avuto la sensazione viva che i contadini siciliani, che in quel momento si accingevano ad occupare le terre dei baroni, non erano soli nella lotta, ma con tutta la classe operaia italiana. M'é venuto da piangere quando una popolana leccese, salita sul podio, scusandosi di non sapere l'italiano ha detto: — Fino quando nun ci dannu la terra, fino a quando li picciriddi mie tengono li piedi scalzi, io non mi stancherò mai di lottare assieme alla mia compagna e non m'importano le bastonate della polizia —.
Poi sono tornato e subito andato a Marineo, dove c'era in corso la lotta per l'occupazione delle terre. Trovai li un compagno il quale aveva generato una confusione da non capirci piú niente, e l'indomani alla testa dei contadini mi portai sul fondo che occupammo. In quell'occasione ho ricevuto una lezione dura, dal punto di vista pratico: perché mentre io, con la lettura dei kolcos in Russia, invitavo i contadini alla coltivazione collettiva, essi invece procedeva[...]
[...]gria continua, una contentezza come se si fosse già sul posto a lavorare. Era emozionante vedere come alcuni contadini, i quali erano reduci dalla guerra di liberazione, si facevano avanti per prendere loro la direzione dell'operazione. E mi si facevano attorno. Qualcuno guardava se veniva la polizia.
Ci siamo incamminati verso il feudo: era un mare, non si capiva niente, non ho la sensazione di quanti ettari era: cielo e terra. La strada era lunga, non si arrivava mai. Quando siamo arrivati, per paura che sul posto ci fossero mafiosi nascosti, v'era una specie di promontorio, e li ci fermammo a discutere se conveniva andarci tutti assieme o a quattro a quattro. Intanto che discutevamo, il capo della sezione locale se ne é andato solo, dentro il feudo. E così noi anche preoccupati per lui, solo, andammo tutti.
E qui quello che ti dicevo prima: uno mette la cinta, l'altro le pietre, l'altro un pezzo di canna. Ognuno prendeva per conto proprio. Il terreno i proprietari, credendo di fare i furbi, l'avevano fatto arare pochi giorni prima [...]
[...]r lui, solo, andammo tutti.
E qui quello che ti dicevo prima: uno mette la cinta, l'altro le pietre, l'altro un pezzo di canna. Ognuno prendeva per conto proprio. Il terreno i proprietari, credendo di fare i furbi, l'avevano fatto arare pochi giorni prima per dire che non era incolto. E intanto i contadini cominciarono a « rifundere »: spaccare i blocchi di terra.
La giornata passe) così, a lavorare. A un certo momento ci sedemmo a gruppi, a mangiare pane e formaggio e qualche contadino aveva portato un po' di vino.
Ma la mattina avevamo visto sbucare da lontano un uomo, vestito da mafioso, con gli stivaloni, la giacca e la coppola di velluto
(«coppole di seta, coppole di velluto,
m'hai dato appuntamento e 'un sei venuto...»)
e i calzoni alla cavallerizza. Schioppo sulla spalla. Dice: — Che facete? Cu vi ci purtau ca? — Io ci andai incontro e ci dissi che in virtù della legge SegniGullo, occupavamo le terre. Ce lo dissi in modo gentile, che dietro le pale di ficurinni se ti tira una scoppiettata chi la vede poi? Iddu se n'andò.
V[...]
[...]re ad andare sul fondo senza farci arrestare. Era chiaro che non potevamo andare tutti in massa, altrimenti saremmo stati scoperti e arrestati. Siamo stati a discutere due ore nella camera del lavoro, tutti i dirigenti della zona, per pensare a tutte le trazzere, i sentieri, come conveniva meglio per non farci scoprire. Io ascoltavo perché non conoscevo la zona. A un certo momenta decisero che ci saremmo partiti a gruppi di quattro, di cinque, fingendo di andare a zappare. E fissandoci un appuntamento a Case Nuove, e quando saremmo stati tutti là, a bandiere al vento, saremmo andati a Sagana, e di li scendere alla Piana degli Aranci al feudo.
Siccome dovevano venire anche dagli altri paesi vicini, i responsabili andarono ad avvisare. Io rimasi a Carini e l'indomani all'alba andavamo a topoliare (bussare) casa per casa: — Turi. Arrisvegliati,
che emu a ghire alla terra. Nun ne vuoi terra? La terra!!!... E par
timmo, così a gruppi. Incontrammo una pattuglia di carabinieri ma questi s'ingannarono. Non ti posso dire quanto io abbia soffe[...]
[...]à, a bandiere al vento, saremmo andati a Sagana, e di li scendere alla Piana degli Aranci al feudo.
Siccome dovevano venire anche dagli altri paesi vicini, i responsabili andarono ad avvisare. Io rimasi a Carini e l'indomani all'alba andavamo a topoliare (bussare) casa per casa: — Turi. Arrisvegliati,
che emu a ghire alla terra. Nun ne vuoi terra? La terra!!!... E par
timmo, così a gruppi. Incontrammo una pattuglia di carabinieri ma questi s'ingannarono. Non ti posso dire quanto io abbia sofferto per la strada, per la montagna, con la gamba sciancata (mi son ferito quando sono andato volontario per la guerra di Liberazione). Tante volte mi reggevo alla coda del mulo, e una volta mi buttai per terra che credevo di non farcela piú.
Arrivammo verso le sette. Attendemmo. Via via venivano gli altri: trecento circa. Aprimmo le bandiere e partimmo verso Sagana. Appena
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arrivati vicino alle case, scorgemmo da lontano un altro gruppo di contadini con le bandiere: erano di Partinico.
Ci unimmo e ci baci[...]
[...]accordo che il terreno lo avrebbero dato senza bisogno di occuparlo.
Aspettavamo che venissero i contadini, di Montelepre, e ci mettemmo a giocare a « lignicedda ». Si attese, si attese, questi compagni non venivano. C'era qualcuno che diceva di cominciare ad andare a occupare il terreno. Si mandò uno incontro, a vedere cosa succedesse a Montelepre. Intanto che si attendeva, si vide da lontano sulla strada qualcosa che si faceva sempre più distinguere. Qualcuno diceva già: — Compagni, compagni che arrivano. — Invece era una massa di carabinieri che luccicavano da lontano per le armi e le mostrine. Altro che compagni: armati fino ai denti, mettici quattro erre. Che per loro eravamo tutti banditi. E forse i banditi intanto stavano guardandoci da qualche pizzo col binocolo, a godersi lo spettacolo.
Erano arrivati con degli autocarri. Poi ci presero tutti e ci fecero entrare in un cortile grande, dove c'era una vecchia galera dei Borboni. Il maresciallo si mise su un tavolino (che li avevano il loro comando), e ci fecero mettere in fila, [...]
[...]izia li cacciava coi mitra: — Via. Avanti. Andatevene. — Allora perché non nascessero provocazioni, noi stessi dicevamo ai contadini: — Avanti, itevinne alle vostre case.
Ritorna la staffetta intanto, mentre i contadini se ne vanno, e dice che avevano accerchiato Montelepre e per quello i contadini non avevano potuto venire. Quello che era tornato era un tipo in gamba, setten trionale, che non aveva paura né di banditi né di carabinieri; li arringò e li condusse all'occupazione del feudo. Ma poi glie lo hanno tolto.
Intanto a me e gli altri ci condussero vicino a dei camion che erano sullo stradale. Intanto arrivò una macchina, l'ufficiale si fece sotto e fece tanto di saluto: doveva essere il Prefetto. Dopo che la macchina andò via, subito ci ordinarono di salire su due camion e ci condussero alla caserma dei carabinieri. Quando poi si accorsero che gli altri erano andati sul feudo, ci portarono al carcere, all'Ucciardone (dove poi hanno avvelenato Pisciotta con una tazza di caffè, senza che poi nessuno fiatasse) e ci denunciarono pe[...]
[...]dirmi nello studio delle questioni sociali; avevamo costituita la cellula « Sagana » e abbiamo fatto qualche reclutato), ritornai alla Federbraccianti, alla mia attività normale.
Quando é venuto Eisenhower in Italia per ispezionare le truppe, la popolazione aveva inscenato una dimostrazione contro la guerra. Io mi trovavo in piazza Massimo, perché volevo partecipare anch'io. Ad un dato momento non so cosa é avvenuto, una confusione, ho visto spingere una donna su una camionetta e l'Onorevole Colajanni che,
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qualificandosi come deputato regionale, cercava di dissuadere la polizia ad arrestare quella donna. Si è gridato: — Viva la Sicilia. Viva il Parlamento Siciliano — credendo che stessero arrestando Colajanni. E successo un parapiglia. Cominciò la solita girandola della celere e mi sono sentito afferrare per il collo da un scelbino. Pur mostrando il mio distintivo (lo porto «abusivamente », la galera c'è, perché è un mio diritto: lo Stato mi passa la pensione di guerra ma l'Associazione mutilati [...]
[...]sicurezza, poi portato al carcere e deferito alla commissione per il confino di polizia. Nel carcere appresi il valore che aveva « l'Unità » che, malgrado la galera, mi teneva in contatto col partito. Anzi, un giorno, aprendo la pagina, vedo che c'era un articolo sotto forma di lettera aperta, sottoscritta da tutti gli organismi di massa e da alcuni deputati, nel quale si diceva: — Chi è Gino O.? —E li la mia biografia e il maturarsi della mia lunga redenzione alla testa delle lotte per la libertà e per la pace. Se non ci fossero stati i compagni a difendermi, sarei andato sicuramente per cinque anni al confino.
Nella commissione per l'ammonizione, c'era il Prefetto il quale voleva sapere cosa stessi facendo in mezzo la folla. Anzi, mi disse apposta :
Nella folla mancano i portafogli. — Io mi sentivo come male, umiliato. Intorno a me, in un ambiente di gran lusso, sentivo i profumi di alcuni paltò posati sui divani di velluto e delle sigarette di lusso. Insiste, indicando il mio paltò che avevo comprato sulla bancarella della roba « a[...]
[...]di velluto e delle sigarette di lusso. Insiste, indicando il mio paltò che avevo comprato sulla bancarella della roba « americana)): — Come, lei porta questo cappotto di lusso?
Fui ammonito per due anni (non potevo far più attività politica perché non potevo più andare nei paesi, secondo il regolamento di polizia. Dovevo forse andare dai marescialli e dirgli: — Sono un ammonito che debbo fare una riunione ai contadini? — Anzi, in quel tempo ritengo che il partito mi tenesse a quel posto per un senso di solidarietà, perché non mi perdessi). Cercavo continuamente di sfuggire il passato
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e loro insistevano invece per inchiodarmici. Quando tu arrivi li, loro cercano di reclutare il loro cliente: spie, confidenti.
A me capitò che continuamente venivo chiamato al Mandamento, ora per una scusa, ora per l'altra. Una volta il Commissario mi disse: — Tu (ero ,già padre di cinque figli) mai sei stato in carcere? — gli risposi: — No. — Allora lui mi promise che mi avrebbe fatto togliere l'ammonizione. Poi mi mandò a richiamare, [...]
[...] Ma se mancu mi vulite dare la licenza perché sono pregiudicato! E m'ammunistivu. — Ma tu la vuoi l'ammonizione. Se fai una vita tranquilla, e mi porti qualche notizia... A me solo direttamente... Senza parlare con nuddu...
A Palermo dicono: — A tia pensu! piuttosto mi sarei ammazzato, piuttosto che fare il cioccolattaro.
A Palermo, per dire a uno « spia », ci si dice «cioccolattaro ».
I cioccolattari sono una specie di associazione, delle ganghe, costituite abitualmente da pregiudicati, quattro o cinque. Prendono un centinaio di cioccolatti, dentro ci mettono dei bigliettini con scritte delle cifre che vanno da 10 a 500, a 3000, a 4000, 5000. Questi cioccolattini numerati si aggiungono ad altri trecento circa normali.
I cioccolattini con dentro un bigliettino da 500 o 5000, hanno sulla carta fuori, segnati dei puntini impercettibili che solo i zaraffo (il compare) sa. I cioccolattari vendono i numeri come gli arriffatori. Prima, per attirare la gente, fannu u trippiu: i buffoni, come certi arriffatori in coppia: si danno schiaffi, fanno Bragalone, fanno nascere l'uovo dal cappello. Chi vince ha il diritto di pescare, a sorte. Quando la vendita fredda, interviene il compare; finisce sempre che la gente prende i cioccolattini o vuoti o con le cifre basse: 100 lire, 200. L[...]
[...]partita, per morire dalla fame. Questi poveracci poi votano dove dice questo piccolo ras; votano per la partita, che a loro glie ne frega della politica, in genere. Qui ci si infilano i mafiosi per portare voti dove dicono i ras. Ma la mafia é un'altra cosa: quando a una bottega ci fanno uno scasso, questi si interessano nei diversi quartieri del ricupero della merce del loro protetto. Il proprietario poi ci paga « un pizzu : i picciotti vonno mangiare ».
Adesso faccio di nuovo il barbiere ambulante, che ho sei figli e il partito é povero e non ha la possibilità di stipendiarmi. Ho alcuni clienti già fissi che ci vado a casa secondo i giorni stabiliti, per? solo con questi clienti non potremmo vivere. Siccome sono conosciuto soprattutto nel rione Capo, la gente mi chiama, quando passo con la borsa, e mette sulla strada una sedia e dell'acqua in un catino su uno scalino; e tiro a stento la vita.
Lo strazia é questo, che certe volte la mattina, quando esco di casa, mi faccio il conto che quel giorno dovrei guadagnare certi soldi. Vado d[...]
[...] Stato. Quando ero piccolo e vedevo le guardie, ero come il coniglio di fronte ai fari dell'automobile; oggi invece quando l'incontro mi fanno pieta : sono ancora allo stesso punto, non hanno fatto nessun passo in avanti: hanno la stessa mentalita).
Confusione immensa, la gente è accalcata talmente da dare l'impressione d'essere l'uno sopra l'altro. — Zitti, per favore! — L'agente chiama: — Mazzola, Ganci, Di Maggio. — Presente! — Non c'è. —
Tenga, la passi giù in fondo. — Scusi, é il mio? No. — Intanto in
mezzo la folla si brontola: — Che schifo, ma che razza d'ordine c'è? — Ci vorrebbe una bomba. — Stia zitto altrimenti lo arrestano come quello dell'altro giorno. — Le donne sono in mezzo agli uomini. Un giovane, nella confusione, pomicia: con la mano in tasca accarezza la vicina. Piove, ci si vorrebbe riparare dentro l'ufficio. Si spinge. Dal di dentro si respinge e la guardia grida: — Indietro! — Si insiste per entrare. Un invalido si fa largo coni gomiti. — Documenti? Scusi lei dove va? —
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Minasola! Minasola! — Il portone si chiude, si riapre. — Scusi ha chiamato Geraci? — Per favore il mio tesserino. — Venga domani. — Ma io sono ammalato. — Che cosa posso farci io?
È una torre di Babele, non un ufficio di collocamento.
Certe volte rifletto che son trascorsi quarantadue anni di vita senza aver approdato a niente. Però penso che parte dei miei anni li sto spendendo per agevolare gli altri, perché altri non siano costretti a fare le mie esperienze. Poi, ritengo di vivere per un obbligo verso la mia famiglia, verso i miei figli, verso il partito, che ritengo sono state le lotte, le esperienze del partito che mi hanno reso uomo nuovo. Spesso la mattina, quando mi alzo prima di andare a lavorare, vado al lettino dove dor mono due dei miei bambini e, baciando il più piccolo, penso che almeno lui ha le carezze e i baci che io non ho avuto. — A qualcosa servo anch'io — mi viene da pensare anche se mi rimane...
Questa mia vita passata così e che a un certo momento mi dava una specie di complesso di inferiorità nei confronti degli altri, malgrado questa mia nuova concezione della vita, è affiorata qua e là in certe occasioni. Specie quando bisognava a[...]
[...]ndono; il momento in cui ti fermi, l'olio, che per me rappresenta la verità, viene a galla, per forza di cose deve venire a galla.
Con questa fiducia, pur guadagnandomi il pane, continuo insieme agli altri ad operare per il bene della collettività. Ogni qual volta si presenta un'occasione di una lotta che interessi un determinato cortile, o una famiglia, mi trova pronto. Leggi che cosa ci ha scritto un compagno in questi giorni: « ...desidero ringraziare te e tutti gli altri compagni per ciò che avete fatto per farmi passare meglio i miei mesi di noia che ho passato a Palermo. Ringraziarvi per l'esperienza politica che mi avete dato modo di acquisire (e che vi prometto di farne buon uso), ringraziarvi per la indimenticabile cena che mi avete offerta prima di venirmene via; ringraziarvi infine per tutte le gentilezze e le cortesie che avete usato per me e per i miei compagni militari. Non vi dimenticherò mai. E quando sarò vecchio e mi prenderò i miei nipotini sulle ginocchia, invece di raccontar loro delle meravigliose favole di fate e di maghi, racconterò loro dei bravi compagni palermitani che lottavano per una Sicilia più bella, più progredita e libera dagli sfruttatori che la dissanguano. Racconterò loro dell'accoglienza fraterna che avete fatto ad alcuni compagni che venimmo dalla lontana Emilia ».
DANILO DOLCI