Brano: [...]più ampiamente operanti nelle campagne, si sarebbero astenute dal sottoporre la nuova proprietà contadina al normale processo capitalistico di differenziazione e di « selezione ».
Certo, fra i molti casi possibili, il più improbabile è quello immaginato dal Romeo, che la trasformazione del rapporto mezzadrile avrebbe arrestato lo sviluppo delle zone capitalisticamente evolute. Lo stesso può dirsi per una soluzione del problema della terra nel Mezzogiorno. Ma in proposito bisogna aggiungere che la difficoltà, prospettata dal Romeo, e secondo cui una piccola proprietà coltivatrice non avrebbe trovato nel Mezzogiorno i mezzi finanziari per sopravvivere, nasce da un evidente difetto di ragionamento. Il Romeo ricorda il cattivo esito delle censuazioni del secolo scorso; ma le censuazioni furono un surrogato mediocre della riforma agraria. Per essere coerente, avrebbe dovuto far l’ipotesi di una riforma vittoriosa; di condizioni, quindi, particolarmente favorevoli, interne e internazionali; di un potere statale sorretto non dai proprietari fondiari, ma da un movimento rivoluzionario dei contadini; di una politica creditizia e fiscale, di una politica della spesa pubblica, di una
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I documenti del[...]
[...]. Queste condizioni mancarono, e si capisce l’esito delle censuazioni, come è comprensibile il monito di Cattaneo che la distribuzione delle terre, senza la necessaria provvista di capitali, era inutile e nociva. Sebbene debba dirsi, contro recenti e,, a mio debole avviso, eccessive valutazioni del realismo cattaneano, che l'economista lombardo era incapace di concepire concretamente le condizioni, politiche e sociali, del progresso agricolo nel Mezzogiorno, profondamente diverse da quelle su cui si erano modellate le sue vedute economiche \ L’agricoltura inglese, cui il Cattaneo teneva l’occhio, e quella stessa della cascina lombarda, seppure in grado diverso, non era libera dal peso della rendita, ma si era resa indipendente da molti e gravi vincoli e impacci ordinariamente imposti dalla proprietà allo sviluppo delle forze produttive agricole. Ivi le condizioni storiche deH’agricoltura eranodeterminate, ormai da secoli, dal capitale. Nel Mezzogiorno, invece, i residui feudali nel regime della proprietà terriera influenzavano in modo decisivo l[...]
[...] erano modellate le sue vedute economiche \ L’agricoltura inglese, cui il Cattaneo teneva l’occhio, e quella stessa della cascina lombarda, seppure in grado diverso, non era libera dal peso della rendita, ma si era resa indipendente da molti e gravi vincoli e impacci ordinariamente imposti dalla proprietà allo sviluppo delle forze produttive agricole. Ivi le condizioni storiche deH’agricoltura eranodeterminate, ormai da secoli, dal capitale. Nel Mezzogiorno, invece, i residui feudali nel regime della proprietà terriera influenzavano in modo decisivo la produzione agricola e il sistema agronomico, e la conservazione di questi residui, che improntavano di sé l’intera vita del sud, come causò le maggiori difficoltà nella formazione dei capitali e nelle « occasioni » di investimento, cosi costituì, come Gramsci ha indicato, la base principale della nascita e del progressivo aggravamento, nell’Italia unita, di una questione meridionale.
Ma per tornare alle fonti dell’accumulazione, non vi è dubbio che la « molla principale di tutto il processo » è[...]
[...]ezza dell’Italia, TorinoRoma, 1905, p. 152.
2 G. LUZZATTO, Storia economica dell’età moderna e contemporanea, IL L’età contemporanea, Padova, 1955, p. 379.
3 G. LUZZATTO, « L’economia italiana nel primo decennio dell’Unità », c., p. 272.
4 S. GOLZIO, Sulla misura delle variazioni del reddito Torino, 1951, p. 58.
s NITTI, Il capitale finanziario in Italia, Bari, 1915, p. 17.
6 Romeo, l. c., p. 24.378
I documenti del convegno
Mezzogiorno, grande o meno che ne sia il volume, stenti a trasformarsi in capitale produttivo. È da tener presente, naturalmente, il rastrellamento operato dallo Stato dei capitali monetari formatisi nel Mezzogiorno. Si deve tuttavia considerare, in proposito, che la rendita pubblica posseduta nell'Italia meridionale e insulare non tocca alia fine deH’800 il 18 % del totale, mentre la proporzione del risparmio appena raggiunge il 15 % nei primi anni del ’900 \ E quanto ad « irrorare » l’economia urbana, un esperto osservatore nota che il Banco di Napoli, il massimo istituto di credito meridionale, « non giunge... ad impiegare neanche le forze naturali delle quali dispone » : esso « lascia inerte » il denaro depositato2. Quel che manca è la fiducia, lamentano i contemporanei. Mancano, in realtà, le condiz[...]
[...]sservatore nota che il Banco di Napoli, il massimo istituto di credito meridionale, « non giunge... ad impiegare neanche le forze naturali delle quali dispone » : esso « lascia inerte » il denaro depositato2. Quel che manca è la fiducia, lamentano i contemporanei. Mancano, in realtà, le condizioni specifiche, strutturali, deiraccumulazione, o sono presenti in misura limitata. Fondamentalmente, per il particolare carattere dei residui feudali nel Mezzogiorno, è insufficiente e ristretto il mercato interno per la grande industria3.
Il Romeo non nega che il prezzo del « potenziamento forzato dell’economia capitalistica cittadina del nord » fu assai caro : « tutto il processo — scrive — si svolge a lungo su una base di compromesso con gli elementi semifeudali del vecchio mondo agrario, specie meridionale », condannando il Mezzogiorno ad una netta inferiorità economica, la quale tuttavia si presentò « per un certo periodo, e sotto certi aspetti si presenta tuttora, come una condizione storica dello sviluppo industriale del nord ». Il che è esatto, salva l’avvertenza che si tratta non dello sviluppo industriale del nord in generale, ma di quel tipo di sviluppo, circoscritto ad un particolare mercato, basato su un determinato metodo di accumulazione, vincolato cioè a premesse ed a condizioni in seno alle quali erano annidate forze limitatrici e ritardatrici.
Un esame delle particolarità del trend industriale italiano potr[...]
[...]. Un accordo che può anche apparire, sulla scorta di un astratto schema di sviluppo, « incongruo » alle esigenze dell’industrializzazione, ma che fu in effetti la forma imposta a quel tipo di industrializzazione, stentato e distorto come esso riuscì. E del resto, il prezzo dell’espansione industriale, di cui sarebbe assurdo negare la portata positiva nella storia d’Italia, fu non soltanto l’inferiorità economica, e si deve aggiungere civile, del Mezzogiorno, ma ancora l’emigrazione di massa, la disoccupazione cronica, ecc. Un bilancio del capitalismo italiano non può prescindere correttamente da queste voci e voglio dire anche un bilancio strettamente economico.
Per contro, il Romeo non ritiene che la Francia abbia tratto alcun vantaggio da una diversa, democratica soluzione della questione agraria al tempo della rivoluzione borghese, e giunge anzi a credere che a quella soluzione debbano ricondursi le più tarde difficoltà dell’agricoltura francese. La scelta dell’esempio francese deriva, come si comprende, dalla logica della posizione del Ro[...]
[...]ccupazione, La disoccupazione in Italia, Studi speciali, voi. IV, t. 2, Roma, 1953, p. 38 sgg.
3 Parenti Bloch, l. c., pp. 261288.
4 E. Sereni, Vecchio e nuovo nelle campagne italiane, Roma, 1956, pp. 24950; Atti del Convegno nazionale sulla meccanizzazione dell’agricoltura nelreconomia italiana (Cremona, 20 settembre 1953), Bologna s. d., p. 172.Renato Zangheri
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Quanto poi alla credenza del Romeo che l’inferiorità economica del Mezzogiorno sia stata una condizione « temporanea » dello sviluppo industriale del nord, « destinata ad essere rovesciata dallo stesso sviluppo interno dell’industrialismo settentrionale», si deve dire che ciò è vero solo nel senso che l’inferiorità meridionale nasce nel corso dello sviluppo della società capitalistica, che è una formazione storica, instabile, non permanente, e nel proprio seno alleva le forze non — come sembra credere il Romeo — della sua indefinita perfettibilità, ma del suo antagonistico superamento. In realtà, la lunga disamina che il Romeo ha fatto delle idee gramsciane sul Risorgim[...]