Brano: [...]a Goldoni e ai suoi spettatori, niente prepara veramente alle Villeggiature. È significativo che si sia fatto talvolta a proposito della trilogia il nome di Cecov (Banti 1961, pp. 25, 37): confronto con un moderno tanto legittimo quanto altri che si potrebbero ugualmente proporre, con Ibsen o con Brecht, come metafore critiche di una tensione problematica verso il futuro piú che verso il passato.
Niente, dicevo, ci prepara alle Villeggiature, o meglio nessuna singola commedia importante di Goldoni: bensí una serie di elementi sparsi in
* Gli scritti di Goldoni si citano da Tutte le opere, a cura di GIUSEPPE ORTOLANI, Milano, Mondadori, 193556, voll. 14, dando fra parentesi il volume e la pagina. La bibliografia finale è strettamente funzionale, cioè esclude titoli anche importanti la cui u presenza » non sia dichiarata o implicita nel mio discorso. Nel caso di lavori stampati piú volte in sedi diverse, si indica di preferenza l'ultima pubblicazione.
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testi diversi, che acquistano rilievo solo se passati in rassegna e valu[...]
[...] Zelinda e Lindoro, La gelosia di Lindoro, Le inquietudini di Zelinda.
Da una parte, nella prefazione al Ritorno, Goldoni insiste sulla differenza delle Villeggiature dalle altre pièces « serializzate », cioè sul fatto « che le altre le ha immaginate una dopo l'altra, e queste tutte e tre in una volta » (Opere, vii 1147). Dall'altra, come ha ben visto Jacques Joly, tutti questi cicli senza eccezione hanno in comune il tema principale, l'amore o meglio l'analisi della passione 6: talché il prolungamento della fabula in sei o nove atti corrisponde alla necessità di render plausibile « une évolution psychologique du personnage en rapport avec les exigences de la passion », e il « genere » che ne risulta, a metà strada fra il teatro comico tradizionale e il romanzo, è la precoce versione goldoniana di quel genre sérieux che avrà in Diderot, Mercier e Beaumarchais i suoi maggiori teorici (Joly 1978, pp. 19798 e Petronio 1962). In questo quadro il caso piú considerevole e (tranne che dal Joly) sottovalutato è quello delle tragicommedie « persian[...]
[...]re e quelle di Felice e Marcolina sui rusteghi e Todero. Ma all'interno di una struttura piú ampia (la trilogia), e di un genere meno vincolato alla misura del quotidiano (la tragicommedia) sia la passione che l'antagonismo crescono in proporzione, e salgono a un diapason mai toccato prima. Conseguentemente, le armi « femminili » tradizionali, civetteria, pazienza, astuzia, sono abbandonate come altrettanti segni di debolezza e di compromesso, o meglio come vestigia d'una ancestrale condizione servile.
Dal fantasma della schiavitú femminile sarà letteralmente ossessionata Giacinta nelle Villeggiature: « Se principia ora a pretendere, a comandare, se gli riesce ora d'avvilirmi, di mettermi in soggezione, è finita: sarò schiava perpetuamente » (del futuro marito: Smanie, i, 11); « non sono nata una schiava, e non voglio essere schiava... » (Smanie, ir, 11); « Non ha ... da trattarmi villanamente, e da tenermi in conto di schiava » (Ritorno, i, 5).
In questa prospettiva, il percorso dalla trilogia esotica del 175356 a quella « nazionale » de[...]
[...]sa piú tardi all'incostante Paoluccio: « Lasciatemi sfogare almeno la mia passione »: III, 8). Ma il paggio Zerbino, commentando le rimostranze della padrona al marito che era partito per la caccia senza salutarla offre del suo paterna una spiegazione terra terra (« Poverina! la compatisco. Vorrebbe ora l'addio che non le ha dato questa mattina »: i, 4), che sembra confermata da quanto dice Lavinia a Gasparo nella scena seguente: « Fareste molto meglio a starvene a letto la mattina, come fanno gli altri mariti colle loro mogli ».
Nei dialoghi di Lavinia con Zerbino e don Gasparo (I, 45) la parola letto torna 11 volte, ma il marito è deciso a non capire le allusioni della moglie, cosí come nel III atto, quando Lavinia finge un'indisposizione quale « pretesto ragionevole » per « sciogliere la compagnia, troncar le scene per tempo, finir la villeggiatura » (9), don Gasparo si trincera dietro l'ironia di un'interpretazione letterale: « Voi altre donne avete sempre qualche cosa che duole ... Andate a letto, e domani si farà venire il chirurgo, [...]
[...]ibid.). Ora la libertà, una diversa libertà, è precisamente ciò di cui Felicita e Leonide pensano di essere prive nelle loro case cittadine: « Che importa a me che ci sia sale, olio e zucchero, se manca il miglior condimento, ch'è quello della libertà? » (I, 2, Felicita), e che vagheggiano nella condizione felice della villeggiatura: « In campagna ogni giorno si vedon visi nuovi che vanno e vengono, e si trattano con libertà » (I, 4, Leonide); o meglio ancora:
LEONIDE: ... Siamo andati in dodici in compagnia: e tutti uomini, donne, padroni, servitori, carrozze, cavalli, tutti alla nostra villa. Arrivati colà, trovammo preparata una sontuosa cena, dopo cena si giocò al faraone, e siccome il sonno andava prendendo ora l'uno, ora l'altro, e mio fratello ed io eravamo impegnati nel gioco, ciascheduno che aveva volontà di dormire, andò nel primo letto che ritrovò, ed io fui obbligata dormire colla cameriera, e mio fratello sul canapè.
FELICITA: Questo è piacere! Questa libertà mi piace... (I, 3).
Come in una famosa « novella rusticana » del s[...]
[...]lle Baruffe chiozzotte (II, 27), e sempre nel II atto delle Avventure la prima e l'ultima battuta di Giacinta si corrispondono, questa (« Oh amore! oh impegno! oh maledetta villeggiatura! »: Ii, 12) riecheggiando in forma esclamativa il petrarchismo antifrastico di quella (« Maledico l'ora e il punto che ci son venuta... » II, 1).
Annunciato nelle Avventure, il tema del pentimento domina il Ritorno: « Sconto bene il piacere della villeggiatura. Meglio per me ch'io non ci fossi nemmeno andata! » (I, 4, Vittoria); « Volesse il cielo ch'io avessi
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sposato il signor Leonardo quel giorno medesimo che io mi sono in carta obbligata » (sc. ultima, Giacinta). Questi rimpianti hanno suggerito a Jacques Joly l'acuta osservazione che Giacinta vorrebbe abolire il tempo, cioè « ce qui a permis au drammaturge d'édifier sa trilogie. Le temps qui passe amène le désordre; l'ordre idéal suppose non la durée mais le présent de l'acte. Toute la trilogie se déroule ainsi dans une sort[...]
[...]in cui si trovano chiusi i protagonisti.
Un'ultima osservazione di carattere strutturale che gli stessi atti ii e iii delle Avventure suggeriscono, riguarda l'abbondanza e l'importanza dei monologhi: non perché l'autore non riesca a tradurre in dialogo e azione 1'animus dei personaggi, ma perché — di nuovo accade di pensare a Cecov — questi borghesi parlano di sé, « si dicono » e si ascoltano molto piú di quanto non ascoltino gli altri. Vedremo meglio tale aspetto della trilogia quando ci occuperemo di Giacinta, personaggio monologante per eccellenza.
Parlando delle sue tre commedie sulla villeggiatura Goldoni scrive: « nella prima si vedono i pazzi preparativi; nella seconda la folle condotta; nella terza le conseguenze dolorose che ne provengono. I personaggi principali sono di quell'ordine di persone che ho voluto prendere precisamente di mira, cioè di un rango civile, non nobile e non ricco » (Opere, VII 1007). Nelle Smanie la partenza di Leonardo per la villeggiatura è amareggiata dai
14 Può essere o non essere un caso che l'unico «[...]
[...]bliografia di MAUZI 1960, pp. 66483.
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stessa autocritica di Giacinta alla fine della propria storia: « i miei deliri, gli affanni miei, le mie debolezze ... l'ambizione, la vanità, il fanatismo delle
mie superbe villeggiature » (ivi, III, 12).
Rappresentante principale e maestro dell'arte delle convenienze si afferma Guglielmo, già nelle Smanie (« Veramente quello che si fa dalla maggior parte, si dee credere che sia sempre il meglio »: i, 9), ma specialmente nel
Ritorno:
[a Leonardo] Favorite dirmi in che cosa ho mancato ... io non credo che un matrimonio fra due persone civili s'abbia a formare senza le debite convenienze (i, 8);
[a Vittoria] ... parmi che il decoro vostro esiga questo rispetto ... Il nostro debito ci sprona egualmente a quest'atto di convenienza ... ce n'è bisogno per quella massima di onestà, di decoro, che io ho suggerita ... So le mie convenienze, signora (n, 4);
[a Giacinta] Vuole la convenienza, che quando si riceve una lettera, si risponda (III, 8).
Sulla scorta degli esempi citati si potreb[...]
[...]lle sue concittadine, come nella Buona famiglia del 1755:
ISABELLA: Perché non fa insegnare anche a me, signor padre, che imparerei tanto volentieri le lettere?
FABRIZIO: Figliuola mia, le lettere non sono per voi. Non dico già che non aveste ingegno atto ad apprenderle, che so benissimo altre valenti donne averle egregiamente apprese; ma le cure devono essere distribuite. La briga della casa non è poca briga, sapete? e le donne vi si adattano meglio; e voi, o qui o altrove, avrete bisogno d'essere istruita in ciò piú che in altro; e i lavori di mano che fate voi altre donne, sono utili alla famiglia quanto le arti che proprie sono dell'uomo. Contentatevi di far quello che a voi si destina, e piú del talento fate conto della bontà di cuore. Imitate la madre vostra e sarete certa di riuscir bene (I, 9).
La paternalistica unzione di un discorso come questo sembra fatta apposta per suscitare le ire e le denunce delle femministe del Chiari (si ricordi la tirata della pecoraia Cefisa nella Pastorella fedele), o delle stesse eroine, Ircana, La[...]
[...]e della sua classe, andava da una eteronomia serenamente accettata a una sterile e dolorosa autonomia. A Leonardo che nel turbamento di Giacinta alla fine del Ritorno vede un « segno di poco amore » e di decisione forzata, la fanciulla può rispondere: « No, forzatamente non mi conduco a sposarvi. Niuno potrebbe usarmi violenza, quand'io non fossi da me medesima persuasa » (III, 12). Giacinta sacrifica la propria felicità alla propria immagine, o meglio rifiuta di concepire una felicità che implichi la correzione e la banalizzazione di tale immagine: « E che vorresti tu ch'io facessi? Che mancassi alla mia parola? che si lacerasse un contratto? L'ho io sottoscritto ... È noto ai parenti, è pubblico per la città. Che direbbe il mondo di me? ... Si tratta della reputazione » (Avventure, II, 1).
In mancanza di meglio, fra linguaggio metastasiano e linguaggio mercantile Giacinta sceglie quest'ultimo. Trascurati ormai dal padre, i vecchi valori dei mercanti vengono ricuperati dalla figlia, che cerca di asserire la propria intelligenza e autonomia all'interno del sistema che essi rappresentano, non fuori e contro di esso, sperando di forzare Fulgenzio al rispetto invece che alla condanna. « Ringrazio il signor Fulgenzio del bene che dall'opera sua riconosco, e vi assicuro, signore, che non me ne scorderò fin ch'io viva », gli dirà nel commiato, un commiato in cui tutte le espressioni di tenerezza rivolte men[...]