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Il segmento testuale Meglio è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 423Analitici , di cui in selezione 12 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]naro. Esattamente così ». Con una smorfia di sprezzo depose la bottiglia sul tavolo, riportò soddisfatto il busto all'indietro chiudendo a pugno anche la mano sinistra.
« Al diavolo », imprecò César Borgne. « Prendo fuori una bottiglia di grappa, la prendo per festeggiare e tu, sacrenom, me l'adoperi per i tuoi stupidi esempi. Mi hai fatto passare la voglia ». Allontanò da sé la bottiglia. « Me la sento sullo stomaco anche solo a guardarla ».
«Meglio così », disse Salomone Croux. «Per me la grappa è veleno. Mi dá bruciore di stomaco ».
« E invece no, la beviamo », disse César Borgne. « E sai alla faccia di chi? Alla faccia degli invidiosi ». Mise tra i denti la fettina di tappo che emergeva dal collo della bottiglia, strinse, fece ruotare il vetro. Con un rumore di rutto il tappo si staccò dal vetro. César fece scarrere due bicchieri da vino lungo il piano del tavolo, uno verso Salomone che gli stava di fronte, uno verso il ragazzo Attilio che gli stava di fianco. Li riempi, riempi il proprio bicchiere. Era una grappa di pura vinaccia, d[...]

[...] i piedi, tirava e quasi si strozzava. La mucca Claretta, invece, volse al padrone gli occhi grandi, acquosi e stupidi. Non capiva e infatti non si scompose.
« È ben affilato? », disse Salomone. Voleva divertirsi ma gli era venuto il dubbio che l'uccisione della mucca, fatta malamente, non gli sarebbe piaciuta. Il ragazzo Attilio aveva affondato il viso nelle mani.
« È corto », ammise a malincuore César. « La buco senza arrivare al cuore ».
« Meglio se la dai al macellaio », disse Salomone.
«Non gliela dò, al macellaio non la dò. Non la dò a nessuno ».
« Fai bene. I macellai sono tutti macellai. Povera Claretta, lei non ha colpa se tu hai venduto il tuo unico prato. Meglio sarebbe tirarle una schioppettata in fronte. Morirà senza accorgersene ».
« No, Cesar, non con il fucile! », implorò il ragazzo Attilio, togliendosi le mani dagli occhi per portarle alle orecchie.
« E invece proprio con il fucile », disse César. Mandò il coltello a conficcarsi nella mangiatoia, si spostò al cassone dove teneva il Mauser, ne sollevò il coperchio. Seguiva il suggerimento di Salomone, ne provava rabbia, ma che farci?, mica poteva, per contraddire Salomone, ammazzare la mucca dando fuoco alla stalla.
Stava immergendo la mano nel cassone quando la voce di Salomone lo fermò. « S[...]

[...]Guicherdaz. « Bisogna fare qualche cosa! ».
Giù nella piazzetta, disposti a mezzaluna, a rispettosa distanza dal punto dove César poteva cadere, stavano coloro i quali, giunti in ritardo, avevano trovato il campanile completamente ingombro. Tra costoro mancava un tipo deciso come Laurent Pascal. Il solo a fare una specie di proposta era stato il figlio dell'idraulico Grange, il lettore di romanzi a fumetti, ridisceso dal campanile in piazza per meglio godersi lo spettacolo. « Ci vorrebbe il mitra di Pecos Bill », aveva detto. Di li l'idea di abbattere la mucca con un colpo in fronte. Non c'era uomo in paese che non avesse fucile, ma erano fucili da caccia con cartucce a pallini. L'unico possessore di un vero '91 e relativi caricatori era Ferdinando Berthod il quale lavorava alla Cogne, in miniera, e non rientrava se non il sabato sera. La giovane moglie di Ferdinando, seguita da un po' di giovanotti intraprendenti, era corsa a casa, pur non avendo molte speranze di trovare il cantuccio dove il marito nascondeva la sua preda bellica dell'ot[...]

[...]'industriale saprà che tu... mi capisci?... non sarà.
QUESTIONE DI PRATI 109
tanto crudele da non ridarle il tuo prato. Glielo darà in ogni caso. Voglio dire: anche se l'affare che aveva fatto era buono ».
« Mia moglie dovrebbe rompergli il muso », disse César stringendo il pugno sanguinolente. Allentò la stretta, scosse la testa. «Non è bene, no, non è bene che una donna rompa il muso a un uomo. Fammi bere ». Bevve e disse: « Non è bene, no. Meglio dare il danaro a te».
« Il denaro a me ? », disse Salomone. « Io non voglio danaro ».
« Ahi », si lamentò César. « Muoio, Salomone, muoio. Svelto, fammi bere ».
« Perché il danaro a me? », disse Salomone.
« Bevi, Salomone, bevi. Tu fingi di bere. Tu non bevi. Oh, bravo. Quel prato, sai?, che mi volevi dare, sai? Ci ho ripensato ».
«Quale prato? ».
« Quello sotto il canale, accanto al mio. L'altro no, non è un buon prato. Per quello accanto al mio ti dò quattrocentomila. Te li dò in contanti, subito ».
« Impossibile », disse Salomone. « Per quella cifra posso darti il prato sopra il can[...]



da Theodor Wiesengrand Adorno, Aldous Huxley e l'utopia [traduzione di Elèmire Zolla] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...] prima degli aspetti antiliberali dell'eguaglianza illimitata, rimase un'eccezione; il rifiuto di ciò che nel gergo dei conservatori della cultura tedesca fu chiamato americanismo fu proprio di americani come Poe, Emerson e Thoreau piuttosto che dei nuovi arrivati. Cent'anni dopo emigrarono non più singoli intellettuali ma la stessa intellighenzia europea come strato sociale; ve non solo i suoi componenti ebrei. Tutti costoro non volevano vivere meglio ma sopravvivere: le possibilità non erano più sconfinate e l'imposizione dell'adattamento veniva a colpirli per il tramite della concorrenza commerciale.
ALDOUS HUXLEY E L'UTOPIA 97
AI posto delle distese selvagge che si schiudevano al pioniere e nelle quali egli s'illudeva anche di rigenerarsi spiritualmente, si
stabilita una civiltà che imprigiona come un sistema la vita intera, senza lasciar sussistere neanche quegli spiragli che il disordine europeo fino all'epoca delle grosse aziende aveva lasciato aperti alla coscienza non irreggimentata. All'intellettuale_
.i __. autonomo se
si f[...]

[...]lla vita subordinata al supercartello. Il renitente che rifiuta di capitolare e di adattarsi senza residui rimane vittima dei traumi che inesorabilmente colpiscono chi non si lasci convertire in cosa dal mondo delle cose che gli torreggia sopra ciclopico. L'intellettuale, impotente nel meccanismo dei rapporti mercificati sviluppati in ogni direzione e unici ad essere riconosciati, reágiscé al trauma con il panico.
Ìl precipitato di tutto ciò, o meglio la sua razionalizzazione, é Brave New World di Huxley. Il romanzo, una fantasia avveniristica configurata in modo rudimentale, tenta di capire il trauma partendo dal principio della smitologizzazione del mondo, esasperandolo fino all'assurdo, ricavando l'idea della dignità umana dal riconoscimento della disumanità. La conclusione é la percezione della somiglianza di tutti i prodotti in serie, uomini o cose che siano. La metafora schopenhaueriana dei prodotti di fabbrica della natura viene presa alla lettera.
Greggi brulicanti di gemelli vengono preparati nella storta. Un incubo di infiniti s[...]

[...]nga piú saggio perché si ribella contro la stolidità noni'si'può"dtht—&&lite
ALDOUS HURLEY E L'UTOPIA 109
dalla fatuità di Bernard Marx. Senonché lo sguardo che valuta i fenomeni imparzialmente, liberamente, altamente, che vuole elevarsi al di sopra della limitatezza della negazione, del processo dialettico, non è, proprio per questa ragione, lo sguardo della verità o della giustizia, che dovrebbe invece non tanto cogliere l'insufficienza del Meglio, per comprometterlo davanti al Male, quanto trarre da quell'insufficienza ulteriore forza per la rivolta. Alla sottovalutazione delle forze della negatività a causa della loro impotenza corrisponde la debolezza della positività, che viene contrapposta come assoluta ° alla dialettica.
Quando il « selvaggio » durante il colloquio decisivo con il world controller dichiara « what you need is something with tears for a change », la esaltazione volutamente millantatoria della sofferenza non é soltanto una caratteristica dell'individualista cocciuto, ma riconferma la metafisica cristiana, che prome[...]

[...]enti di storia universale e di stile di vita, non arriva neanche a decifrare i sintomi dell'unificazione (della quale fornisce una descrizione penetrante) come espressioni dell'essenza antagonistica, della pressione del potere, la cui totalità é teleologica. Nonostante tutto lo scherno rovesciato su « everbody's happy nowadays » la sua immagine storica racchiude un elemento profondamente armonico nella sua configurazione formale, la quale rivela meglio l'essenza di quanto non faccia la materialità delle circostanze. La concezione del progresso ininterrotto si distingue da quella liberale per l'accento, non per lo sguardo. Huxley pronostica, come un liberale benthamiano uno sviluppo che porti alla massima felicità per il massimo numero: soltanto che la prospettiva non lo attrae. Egli giudica il brave new world con lo stesso sano senso comune il cui dispotismo é dileggiato in Brave New World. Perciò appaiono dovunque nel romanzo momenti non analizzati affini proprio a quel tipo di filosofia ripulita e disinfettata alla quale Huxley è così poc[...]

[...]urore, alla base del romanza sta una costruzione della storia che ha tempo. Alla storia viene attribuito ciò che è dell'uomo. Si sta con essa in un rapporto parassitario. Il romanza sposta la colpa' del presente sui non nati e in ciò si riflette il funesto « non deve diventar diverso », prodotto ultimo dell'amalgama protoprotestante di interiorizzazione e repressione. Poiché l'uomo é aduggiato dal peccato originale e non é capace di attingere il Meglio in terra, lo stesso miglioramento del mondo viene deformato dal peccato. Ma il sangue dei nascituri non colpisce il romanzo, che si rivela inadeguato per la fragilità di uno schema generale vuoto sovente agghindato con trovate grandiose. Poiché il mutamento dell'uomo non si lascia calcolare e si sottrae all'immaginazione preconizzatrice, viene sostituito dalla caricatura degli uomini d'oggi, secondo l'antichissimo e abusato procedimento della satira. La finzione del futuro si piega all'assoluto potere del presente: ciò che ancora non é stato diventa comico attraverso l'effetto di bassa lega c[...]



da Carlo Muscetta, [Saggio introduttivo a] Angelo Muscetta, Memorie di un commerciante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]ipensamenti. Rarissime correzioni o aggiunte di qualche parola spiccano nella scrittura chiara, posata, sicura. Ma se sono di scarsa importanza dal punto di vista stilistico, interessano per lo scrupolo di esattezza (corne certe rettifiche al numero dei « viaggi » di un trasloco o al numero dei giorni di una traversata, o alcuni spazi bianchi da colmare con una data accertata). Altre volte il narratore vuol rimediare allo scorso penna, o adeguar meglio l'espressione al contenuto, nell'intento di conseguire una maggior proprietà linguistica, talvolta è soltanto una sintomatica pretensione di forme cartacee preferite a quelle vive. Pochi son gli esempi tra quelli che mette canto di citare. Il « modesto lavoro » del padre è corretto in cc onesto » (c. 1); « ero stufo di qualche mio compagno» diventa «ero un pochino invidioso» (c. 4); «mettendolo» (c. 5) è sostituito da « adibendolo » (a un lavoro piú leggero); « rimase » (che in dialetto vale 'restò di Sasso') diventa « si commosse» (c. 14). Si tratta in gran parte di correzioni contestuali e [...]

[...]rsamente dagli scrittori più popolari (incluso Mastriani, incluso lo stesso De Amicis), ha sempre un po' il debole di indomenicarsi, di mettersi addosso il vestito migliore a disposizione. Perciò sulla semplicità estrema della forma narrativa risalta un linguaggio pieno di echi non diciamo libreschi, ma cartacei, proprio di chi ci tiene a distinguersi e ad evitare i pericoli dialettali del parlato. Non gli basta dire: « a prenderci », gli sembra meglio « a rilevarci ». E « sedermi a mensa » gli par necessario, per un banchetto imbandito da « veri signori ». L'aspirazione a un più borghese scrivere civile
MEMORIE DI UN COMMERCIANTE 43
lo sollecita verso una continua disposizione a forme di ipercorrettezza. Non meravigliatevi quindi se cercate la penna di un (( nullatenendo» e vi trovate dinanzi quella di un cavaliere, che a parte neologismi e tecnicismi (come cementane, alienare) non diciamo che sfoggia il suo peculio lessicale, ma anche in fatto di lingua vorrebbe dimostrare che non ignora cosa sia la proprietà. Un rimorso lo turba alla f[...]

[...]e l'essenziale di un carattere non è sfuggito al Suo « occhio clinico ».
Tutto e tutti convergono sempre verso il protagonista e la costruzione della sua azienda. E le figure sono più o meno caratterizzate a seconda di ciò che prima d'ogni altra cosa interessa lo autobiografo. Il verismo cronistico dei particolari è compensato dall'intensità degli episodi e dall'evidenza dell'azione, in cui le sagome dei personaggi sono chiaramente individuate. Meglio di ogni altro vien fuori il carattere dello zio Sabino, singolare tipo di borghese velleitario, che vorrebbe fare affari solo per far credito ai clienti ferrovieri della sua trattoria, ma che fallirebbe senza l'aiuto di Angelina, oggetto del suo amoreinvidia, delle sue gratuite sopraffazioni di autoritario inconcludente « con gli occhi fuori delle orbite » e perfino « la pistola in pugno »; ma che infine si arrende alle intercessioni della moglie Angela Rosa e al nipote. Il quale diventa suo erede universale, anche perché non ha le sue vanità, non confonde la beneficenza col commercio, riesce[...]

[...]ome aziende prospere e in espansione) ma nemmeno il suo valentissimo medico che lo curava con affetto più che filiale, l'ultimo amico conquistato per forza di «simpatia ». A lui rispondeva, spesso, ripetendo il motto che a quattrocchi aveva pronto durante il fascismo, quando gli affari andavano male, e il suo contraddittorio atteggiamento nei confronti del regime era passato dal cauto consenso all'aperta preoccupazione: « Come va, Cavaliere? » « Meglio, molto meglio dell'anno venturo ».
Sopravviveva con grande stento e tenuto su con cento farmaci grazie alle cure della povera figlia Vincenzina, essa stessa immagine di pene immedicabili, e tanto più crudeli, quanto più un uomo é forte, com'era mio padre.
Capii meglio la sua tempra quando lo vidi l'ultima volta sul letto funebre, prima che lo tumulassero nella « cappella gentilizia », al cui ingresso si legge il latino (1942) di una elegiaca protesta: mors iniquo saeclo optima rerum.
Era il giorno che fu lanciato lo Sputnik. E mi parve che tutti i padri se ne fossero andati via, finita per sempre l'età moderna, e cominciata quella cosmica e atomica.
Aveva perduto la pingue floridezza della sua bonomia. Affilato, smunto, col naso un po' adunco, somigliava tanto alla «terribile» nonna che, col pretesto degli spiriti, sfogava il suo folletto interiore, una [...]



da Mario Montagnana, Il maresciallo Giuseppe Stalin in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 1 - giugno

Brano: [...]fetto verso il paese del socialismo
Vi è qualcosa che può sembrare quasi inspiegabile in tutta l'opera di Stalin per chi, non essendo marxista, la esamini riel suo complesso e in tutti i suoi particolari. Ma per noi marxisti non vi è in questo nulla di soprannaturale e nulla di inspiegabile. La spiegazione consiste, semplicemente, nel fatto che Stalin è la più alta espressione della classe più avanzata della società attuale e che egli possiede, Meglio che ogni altro, la teoria marxistaleninista nel senso che ha saputo, c far propria la sostanza di questa teoria e imparar a servirsene per la direzione della lotta di classe del proletariato ,; nel senso che egli ha saputo c arricchire questa teoria della nuova esperienza del movimento operaio, arricchirla di nuove tesi e conclusioni, svilupparla e farla progredire senza esitazioni e, ispirandòsi alla sostauza della teoria, sostituire alcune sue tesi e conclusioni invecchiate con nuove tesi e conclusioni conformi alla nuova situazione storica ».
« La forza della teoria marxista leninista — [...]



da Appunti-Libri. t.m.[appunti di] Georges Duthuit, Les Fauves, Genève, Ed. des Trois Collines, 1949 in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]è ancor stringato di quello di Malraux; ciò che ne resta fuori è quasi tut cidente artistico e, ccme principale responsabile, soprattutto l’I Infatti: ‘et nous aurons à nous demander, surtout avec Matisse, quoi, chez les Italiens, la couleur n’a que si peu de graces à pourquoi, mème chez les Vénitiens, elle n’apparait qu’ adulterée, lée, gàchée’. Ritirar la tessera di ‘coloristes’ e di ‘fauves ante ai veneziani, ci pare un po’ forte. Meglio far rispondere per bocc settecentista francese, il conte di Caylus, nel passo sulla ‘ chan del colore di Tiziano, riportato nella parte antologica di questo nu Oppure con le parole di Matisse medesimo riportate dagli editori vrini nella prefazione : ‘ le fauvisme est la partie vivante des m des coloristes surtout...’ Notabili anche le stroncature dell’arte italiana a p. 139143, 20 Terza dimensione, prospettiva: orrori! Giotto, esempio di individ smo forsennato, e simili. Questa scissicne di cultura figurativa fra Europe, dà a riflettere. Eppure il libro resta importante. Chi non be [...]



da Roberto Longhi, Proposte per una critica d'arte in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...] sicuramente dalla lingua viva degli studi greci, mi par che cominci quell’antologia della buona critica d’arte, di cui si vorrà dare qui una traccia sommaria, velocissima ; per trarne, potendo, un abbozzo di conclusione.

Crolla il mondo antico; tutti morti, i raffinati conoscitori grecoromani. Alla trascendenza del Medioevo non resta che umiliare ogni dottrina mondana e ridursi, per l’arte, a un’umile precettistica di laboratorio. Ma è tanto meglio per la critica diretta, perchè al momento buono le descrizioni dei ‘prati marmorei’ di Santa Sofia in Paolo Silenziario e i ‘tituli’ di tanti anonimi poeti sotto i mosaici romani, ci rivelano interpretazioni ineffabilmente libere. Chi non rammenta almeno: ‘Aurea concisis surgit pictura metallis Et complexa simul clauditur ipsa dies Fontibus e niveis credas aurora subire Correptas nubes roribus arva rigans Vel qualem inter sidera lucem proferet Irim Purpureusque pavo ipse colore nitens’. Qui, la prima, e come alta, ‘equivalenza verbale’ di un’opera d’arte; sciolta affatto dal soggetto app[...]

[...]de poeta che non intendeva quella lingua e non glie ne vogliamo far carico. Anche la citazione della Madonna di Giotto che aveva in casa, non mostra che deferenza per sentito dire e si ammanta di retorica antica, inefficiente.

Boccaccio, Sacchetti? Essi non riflettono che opinioni degli studi sul peso civile della pittura circostante. Semplici dichiarazioni di voto favorevole, e non più. Alla fine del secolo, Villani vorrebbe fare qualcosa di meglio, ma finisce per modellare i caratteri dei grandi pittori trecentisti sulla falsariga di Plinio. Comincia la parte meno brillante dell’umanismo.

Così, dopo il supremo accenno di Dante, in tutta la critica del Trecento non trovo di schietto, per l’antologia, che il nome di Bruno Datini, figlio di un mercante pratese. Si era alla fine del secolo quando Niccolò di Pietro Gerini, pittore di Firenze, gli andava vantando un suo Crocefisso ‘che, se venisse Giotto, non potrebbe megliorarlo’. Secco secco gli risponde Bruno: ‘Tu di’ vero? A me sembra di legno’. E perchè anche oggi, conoscendo bene il[...]

[...] caratteri dei grandi pittori trecentisti sulla falsariga di Plinio. Comincia la parte meno brillante dell’umanismo.

Così, dopo il supremo accenno di Dante, in tutta la critica del Trecento non trovo di schietto, per l’antologia, che il nome di Bruno Datini, figlio di un mercante pratese. Si era alla fine del secolo quando Niccolò di Pietro Gerini, pittore di Firenze, gli andava vantando un suo Crocefisso ‘che, se venisse Giotto, non potrebbe megliorarlo’. Secco secco gli risponde Bruno: ‘Tu di’ vero? A me sembra di legno’. E perchè anche oggi, conoscendo bene il Gerini, sappiamo che Bruno aveva ragioni da venPROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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dere stroncandolo a quel modo, ma salvando in pari tempo Giotto dal sembrar di legno (come purtroppo sembra invece a tanti, segretamente, anche oggi) iscriviamo il nome di Bruno nell’antologia, quasi a maggior diritto del tenero Cennini che incanta per la lingua ove si trasmette qualche parola viva degli studi, ma poco veramente risuona di critica immediata.

Con quel che avvenne nell’arte [...]

[...]e, è più scarso di quel che si dice. Ve n’è spesso il riflesso morale autorevolissimo, perchè, ad esempio, il peso del compianto del Brunelleschi per la morte di Masaccio (‘abbiamo fatto una gran perdita’) è immenso per cagione di chi lo esprime; e non sarebbe se la stessa frase fosse riecheggiata, per sentito dire, dalle labbra di qualche togato umanista. Ma persino l’Alberti, che è l’Alberti, parlando dei ‘nuovi uomini’ dell’arte non sa far di meglio che pareggiarli agli antichi. Nuovi ed antichi? Sia pure. Ma si desiderava di più. Cresce, per altro, il nuovo mito della pitturascienza, il mito geometrico, neoeuclideo, la deificazione delle norme, delle proporzioni, degli ordini. E tutto perciò finisce in trattato, non in critica accostante. Gran cosa se, dalla serqua degli enunciati albertiani, si cava il tratto calzante sull’ ‘ amistà dei colori5 o quest’altro più delicato : ‘ Sarà circolo forma di superficie quale un’intera linea quasi come una ghirlanda l’advolge.’ L’‘esprit de finesse’ vince qui sulT ‘esprit de géométrie’, e il circol[...]

[...]ello ‘difficile e nuovo5 di Giotto, alle ‘cose dolci e delicate5 dei senesi e persino al misterioso modo di ‘dipingere unito5 e fuso ch5era stato quello di Stefano e di Giottino. Maggior merito ancora quello di avere inteso, accanto a sè, una certa pittura ch’egli avrebbe pagato chi gliela facesse dispiacere. Pure, quando si legge il suo passo su Giorgione che ‘usava di cacciarsi avanti le cose vive e naturali, e di contraffarle quanto sapeva il meglio con i colori, e macchiarle con le tinte crude e dolci, secondo che il vivo mostrava senza far disegno5, ci si accorge che basta stralciare il giudizio di condanna che vien subito dopo e conservare soltanto quel primo stupendo riflesso, per esser certi che il Vasari aveva bene inteso anche l’odiatissima pittura veneziana.

Qui pertanto tocca alPantologia anche il nome dell5 Aretino; e cioè non dove si prova nella innocua dialettica di comporre assieme pittura e scultura sotto Castrazione misticoplatonica del ‘disegno5 ‘da quando esso apparve in tavola o in sassi5 ; ma dove, fingendo di descr[...]

[...]egli non si è mai spinto più in alto in critica d’arte che quando, ad un tempo, saliva in poesia. Giacché le osservazioni dell’ ‘Eupalinos’ possono ancora trovare un arresto nella soverchia agghindatura, ma questa cede e si scioglie affatto in quel c Cantico delle colonne ’ che resta, alla fine, la interpretazione più eccelsa che della carne viva, spirante, (‘chair mate et belles ombres’) di certa architettura greca si sia mai data in poesia.

Meglio tacere del séguito. I troppi riflessi pratici dei fatti d’arte moderna in Francia, mercati, profezie premature dei nuovi valori ed altro, hanno portato a una deviazione in forma di oratoria pubblicistica, che non ha mancato di agganciarsi per vie traverse all’eloquenza di cattedra universitaria (ove se ne salvino le pagine più illuminanti del Focillon) ed oggi si trascina nelle perorazioni spesso indiscriminate delle ‘gens du Louvre’. E, anche passando

lPROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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all’altro estremo, non mi sentirei di riporre in una classe diversa (e perciò di accogliere nelP[...]

[...]anch’esso. Ma se si ripercorre da allora il progresso nell’intendere quasi ad infinitum la trama dei rapporti, si trova che anche qui il maggior merito dell’arricchimento spetta soprattutto ai prosatori o poeti (non importa come chiamarli). Per un esempio: la costruzione quasi molecolare del destino terrestre del pittore Elstir nel poema (o romanzo storico) di Proust può servire di eccellente modello al critico (dunque allo storico) dell’arte permeglio intrecciare ad infinitum le cosiddette ‘biografie spirituali5 dei suoi protagonisti, in una vera e propria ‘rePROPOSTE PER UNA CRITICA D’ARTE

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cherche du temps perdu’. E chi dice che quell’esempio non abbia già fruttificato?

Per citare pochi esempi: la mediocre eleganza di un J.Emile Bianche come pittore non è, io credo, ragion sufficiente per dimenticare la sua eccellenza di memorialista, di evocatore di atmosfere per l’arte francese del tardo Ottocento. Ricordate il suo brano su Lautrec? 6Degas... et puis enfin, Lautrec vint! Il apparut avec les « Girls » maigres aux triples jup[...]



da Nicola Chiaromonte, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Arte e comunismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]na necessità che lo sorpassa infinitamente: il Destino. Che si manifesti nella fatalità della battaglia, o sotto forma di comando che impone di accettare la propria disfatta morale, al Destino non si sfugge con gli argomenti. Il comunista é l'uomo che, di fronte alle necessità dell'azione, é pronto a far gettito non solo della propria esistenza fisica,

72 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
ma anche della propria coscienza d'individuo, o, per meglio dire, del proprio modo di concepire la logica degli eventi. Ma, nell'abnegazione totale, c'è una realtà alla quale il comunista non può rinunciare, ed é la realtà della coscienza. Perché la coscienza è data all'uomo come gli é data il destino: inesorabilmente. Ora, la coscienza della verità di quello che gli accade, il militante, nella lotta, può soltanto averla, non esprimerla; spetta — sosteneva Malraux — all'artista comunista di darle parola, forma e . figura. Li, in quell'opera che non poteva essere se non pienamente responsabile e dunque pienamente libera, si sarebbe affermata la libertà[...]

[...]unista. Atto grandiosamente negativo, al quale é dovuto l'omaggio della nostra totale repulsione. Ma atto nel quale tutto muore, e dal quale nulla può nascere, tranne vantaggio per il potere.
Di che si discute, dunque?
Se il comunista fosse un rivoluzionario e non, com'è, il soldato di un potere ideocratico, di fronte all'arte egli dovrebbe sa
74 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
per ripetere l'oltraggio dei rivoluzionari russi del 1860: cc Meglio un ciabattino che Shakespeare ». Chi si è dedicato alla redenzione degli oppressi, può anche disprezzare l'arte, o non curarsene. Ma quell'oltraggio era una sfida e un atto di fede, oltre che una negazione. Il comunista non può permettersi gesti così inconsulti. Tutto può giovare al potere, e il contrario di tutto. Quindi sola é permessa al buon comunista la convinzione che l'aspetto ufficiale delle cose è l'unico vero, che il mondo, cioè, è popolato di oggetti da manipolare, o da eliminare. L'imitazioné inflessibile della verità ufficiale è il canone della sua etica come della sua estetica. [...]



da Sergio Solmi, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Nota sul comunismo e la pittura in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]one, imposta e guidata dall'alto, di particolari «contenuti» nello svolgimento delle espressioni della letteratura e dell'arte: contenuti che sono, nello stesso tempo, anche forma, tenute presenti le finalità educative e divulgative dei programmi culturali del comunismo.
Lo spirito formato, come il mio, alla scuola della spontaneità liberale, suole, a questo punto, senz'altro scandalizzarsi e rifiutare ogni ulteriore discussione. Forse a torto. Meglio vale intendere in che cosa effettivamente si concreti l'« imposizione» comunista e quale ne sia il reale senso; e cercar di vedere quali possano essere le conseguenze sulla libertà della cultura e dell'arte nell'ipo
62 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
tesi di un crollo, o di una profonda modifica, delle attuali strutture economicosociali. E conviene prendere le mosse da una fondamentale antinomia, insita nel concetto stesso dell'arte, che, mentre da una parte si presenta come determinata espressione storicosociale, condizionata da un dato ambiente di costume e di cultura, dall'altra reca [...]

[...] dell'arte, viene ad elevare straordinariamente il proprio livello culturale, in paragone ai tempi in cui la stessa funzionalità dell'oggetto estetico poteva apparire oziosa o misteriosa, salvo, forse, per i suoi legami col
66 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
culto religioso o con l'arredamento rustico. Inoltre, un'arte facilmente intelligibile, come quella industrializzata, sembra prestarsi a veicolo di contenuti educativi e didascalici ben meglio di quanto lo possa l'arte « individuale », con l'inevitabile resistenza dei suoi «mondi » particolari, ambigui, irreducibili. Per i fini che il politico vuole ottenere, sul piano educativo e formativo di una spiritualità comune, gli schemi fissati dal gusto piccoloborghese si rivelerebbero senza dubbio i più adatti: si potrebbe forse pensare, in un certo senso, a una loro applicazione indeterminata nel tempo, così come avvenne per il cristianesimo dei primi secoli, quando esso assunse le forme della figurazione ellenistica fissandole nei moduli bizantini.
Se immaginiamo lo stato divenuto uni[...]

[...]fia e del cinematografo. Oggi una pittura descrittiva o cele brativa di uomini e di avvenimenti ci sembra superflua e incongrua, dal momenta che la fotografia batterà sempre per somiglianza il ritratto, e che un film documentario renderà gli aspetti oggettivi di una battaglia con un senso di verità ben piú stringente di quanto non possa farlo un pittore. E la rappresentazione esortativa e agitatoria, rivolgendosi a pubblici di massa, sarà sempre meglio destinata a esprimersi nei modi grossolanamente sommari ed emotivi del manifesto. Per riprendere la distinzione del Berenson fra elemento «decorativo» ed elemento «illustrativo» dell'arte, bisogna riconoscere che questa emorragia dei contenuti, degli oggetti, questa distorsione nelle finalità pratiche tradizionali della pittura, le impone fatalmente un forte squilibrio nel senso del « decorativo », dando luogo a un'arte in cui l'aspetto documentario può esser magari trasposto, suggerito, evocato o sottinteso, ma ben difficilmente «rappresentato D. Per captare l'oggetto che le é inalienabilmen[...]



da Franco Fido, Saggi e studi. Giacinta nel paese degli uomini: interpretazioni delle «villeggiature» in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]a Goldoni e ai suoi spettatori, niente prepara veramente alle Villeggiature. È significativo che si sia fatto talvolta a proposito della trilogia il nome di Cecov (Banti 1961, pp. 25, 37): confronto con un moderno tanto legittimo quanto altri che si potrebbero ugualmente proporre, con Ibsen o con Brecht, come metafore critiche di una tensione problematica verso il futuro piú che verso il passato.
Niente, dicevo, ci prepara alle Villeggiature, o meglio nessuna singola commedia importante di Goldoni: bensí una serie di elementi sparsi in
* Gli scritti di Goldoni si citano da Tutte le opere, a cura di GIUSEPPE ORTOLANI, Milano, Mondadori, 193556, voll. 14, dando fra parentesi il volume e la pagina. La bibliografia finale è strettamente funzionale, cioè esclude titoli anche importanti la cui u presenza » non sia dichiarata o implicita nel mio discorso. Nel caso di lavori stampati piú volte in sedi diverse, si indica di preferenza l'ultima pubblicazione.
374 FRANCO FIDO
testi diversi, che acquistano rilievo solo se passati in rassegna e valu[...]

[...] Zelinda e Lindoro, La gelosia di Lindoro, Le inquietudini di Zelinda.
Da una parte, nella prefazione al Ritorno, Goldoni insiste sulla differenza delle Villeggiature dalle altre pièces « serializzate », cioè sul fatto « che le altre le ha immaginate una dopo l'altra, e queste tutte e tre in una volta » (Opere, vii 1147). Dall'altra, come ha ben visto Jacques Joly, tutti questi cicli senza eccezione hanno in comune il tema principale, l'amore o meglio l'analisi della passione 6: talché il prolungamento della fabula in sei o nove atti corrisponde alla necessità di render plausibile « une évolution psychologique du personnage en rapport avec les exigences de la passion », e il « genere » che ne risulta, a metà strada fra il teatro comico tradizionale e il romanzo, è la precoce versione goldoniana di quel genre sérieux che avrà in Diderot, Mercier e Beaumarchais i suoi maggiori teorici (Joly 1978, pp. 19798 e Petronio 1962). In questo quadro il caso piú considerevole e (tranne che dal Joly) sottovalutato è quello delle tragicommedie « persian[...]

[...]re e quelle di Felice e Marcolina sui rusteghi e Todero. Ma all'interno di una struttura piú ampia (la trilogia), e di un genere meno vincolato alla misura del quotidiano (la tragicommedia) sia la passione che l'antagonismo crescono in proporzione, e salgono a un diapason mai toccato prima. Conseguentemente, le armi « femminili » tradizionali, civetteria, pazienza, astuzia, sono abbandonate come altrettanti segni di debolezza e di compromesso, o meglio come vestigia d'una ancestrale condizione servile.
Dal fantasma della schiavitú femminile sarà letteralmente ossessionata Giacinta nelle Villeggiature: « Se principia ora a pretendere, a comandare, se gli riesce ora d'avvilirmi, di mettermi in soggezione, è finita: sarò schiava perpetuamente » (del futuro marito: Smanie, i, 11); « non sono nata una schiava, e non voglio essere schiava... » (Smanie, ir, 11); « Non ha ... da trattarmi villanamente, e da tenermi in conto di schiava » (Ritorno, i, 5).
In questa prospettiva, il percorso dalla trilogia esotica del 175356 a quella « nazionale » de[...]

[...]sa piú tardi all'incostante Paoluccio: « Lasciatemi sfogare almeno la mia passione »: III, 8). Ma il paggio Zerbino, commentando le rimostranze della padrona al marito che era partito per la caccia senza salutarla offre del suo paterna una spiegazione terra terra (« Poverina! la compatisco. Vorrebbe ora l'addio che non le ha dato questa mattina »: i, 4), che sembra confermata da quanto dice Lavinia a Gasparo nella scena seguente: « Fareste molto meglio a starvene a letto la mattina, come fanno gli altri mariti colle loro mogli ».
Nei dialoghi di Lavinia con Zerbino e don Gasparo (I, 45) la parola letto torna 11 volte, ma il marito è deciso a non capire le allusioni della moglie, cosí come nel III atto, quando Lavinia finge un'indisposizione quale « pretesto ragionevole » per « sciogliere la compagnia, troncar le scene per tempo, finir la villeggiatura » (9), don Gasparo si trincera dietro l'ironia di un'interpretazione letterale: « Voi altre donne avete sempre qualche cosa che duole ... Andate a letto, e domani si farà venire il chirurgo, [...]

[...]ibid.). Ora la libertà, una diversa libertà, è precisamente ciò di cui Felicita e Leonide pensano di essere prive nelle loro case cittadine: « Che importa a me che ci sia sale, olio e zucchero, se manca il miglior condimento, ch'è quello della libertà? » (I, 2, Felicita), e che vagheggiano nella condizione felice della villeggiatura: « In campagna ogni giorno si vedon visi nuovi che vanno e vengono, e si trattano con libertà » (I, 4, Leonide); o meglio ancora:
LEONIDE: ... Siamo andati in dodici in compagnia: e tutti uomini, donne, padroni, servitori, carrozze, cavalli, tutti alla nostra villa. Arrivati colà, trovammo preparata una sontuosa cena, dopo cena si giocò al faraone, e siccome il sonno andava prendendo ora l'uno, ora l'altro, e mio fratello ed io eravamo impegnati nel gioco, ciascheduno che aveva volontà di dormire, andò nel primo letto che ritrovò, ed io fui obbligata dormire colla cameriera, e mio fratello sul canapè.
FELICITA: Questo è piacere! Questa libertà mi piace... (I, 3).
Come in una famosa « novella rusticana » del s[...]

[...]lle Baruffe chiozzotte (II, 27), e sempre nel II atto delle Avventure la prima e l'ultima battuta di Giacinta si corrispondono, questa (« Oh amore! oh impegno! oh maledetta villeggiatura! »: Ii, 12) riecheggiando in forma esclamativa il petrarchismo antifrastico di quella (« Maledico l'ora e il punto che ci son venuta... » II, 1).
Annunciato nelle Avventure, il tema del pentimento domina il Ritorno: « Sconto bene il piacere della villeggiatura. Meglio per me ch'io non ci fossi nemmeno andata! » (I, 4, Vittoria); « Volesse il cielo ch'io avessi
GIACINTA NEL PAESE DEGLI UOMINI: INTERPRETAZIONE DELLE « VILLEGGIATURE » 387
sposato il signor Leonardo quel giorno medesimo che io mi sono in carta obbligata » (sc. ultima, Giacinta). Questi rimpianti hanno suggerito a Jacques Joly l'acuta osservazione che Giacinta vorrebbe abolire il tempo, cioè « ce qui a permis au drammaturge d'édifier sa trilogie. Le temps qui passe amène le désordre; l'ordre idéal suppose non la durée mais le présent de l'acte. Toute la trilogie se déroule ainsi dans une sort[...]

[...]in cui si trovano chiusi i protagonisti.
Un'ultima osservazione di carattere strutturale che gli stessi atti ii e iii delle Avventure suggeriscono, riguarda l'abbondanza e l'importanza dei monologhi: non perché l'autore non riesca a tradurre in dialogo e azione 1'animus dei personaggi, ma perché — di nuovo accade di pensare a Cecov — questi borghesi parlano di sé, « si dicono » e si ascoltano molto piú di quanto non ascoltino gli altri. Vedremo meglio tale aspetto della trilogia quando ci occuperemo di Giacinta, personaggio monologante per eccellenza.
Parlando delle sue tre commedie sulla villeggiatura Goldoni scrive: « nella prima si vedono i pazzi preparativi; nella seconda la folle condotta; nella terza le conseguenze dolorose che ne provengono. I personaggi principali sono di quell'ordine di persone che ho voluto prendere precisamente di mira, cioè di un rango civile, non nobile e non ricco » (Opere, VII 1007). Nelle Smanie la partenza di Leonardo per la villeggiatura è amareggiata dai
14 Può essere o non essere un caso che l'unico «[...]

[...]bliografia di MAUZI 1960, pp. 66483.
390 FRANCO FIDO
stessa autocritica di Giacinta alla fine della propria storia: « i miei deliri, gli affanni miei, le mie debolezze ... l'ambizione, la vanità, il fanatismo delle
mie superbe villeggiature » (ivi, III, 12).
Rappresentante principale e maestro dell'arte delle convenienze si afferma Guglielmo, già nelle Smanie (« Veramente quello che si fa dalla maggior parte, si dee credere che sia sempre il meglio »: i, 9), ma specialmente nel
Ritorno:
[a Leonardo] Favorite dirmi in che cosa ho mancato ... io non credo che un matrimonio fra due persone civili s'abbia a formare senza le debite convenienze (i, 8);
[a Vittoria] ... parmi che il decoro vostro esiga questo rispetto ... Il nostro debito ci sprona egualmente a quest'atto di convenienza ... ce n'è bisogno per quella massima di onestà, di decoro, che io ho suggerita ... So le mie convenienze, signora (n, 4);
[a Giacinta] Vuole la convenienza, che quando si riceve una lettera, si risponda (III, 8).
Sulla scorta degli esempi citati si potreb[...]

[...]lle sue concittadine, come nella Buona famiglia del 1755:
ISABELLA: Perché non fa insegnare anche a me, signor padre, che imparerei tanto volentieri le lettere?
FABRIZIO: Figliuola mia, le lettere non sono per voi. Non dico già che non aveste ingegno atto ad apprenderle, che so benissimo altre valenti donne averle egregiamente apprese; ma le cure devono essere distribuite. La briga della casa non è poca briga, sapete? e le donne vi si adattano meglio; e voi, o qui o altrove, avrete bisogno d'essere istruita in ciò piú che in altro; e i lavori di mano che fate voi altre donne, sono utili alla famiglia quanto le arti che proprie sono dell'uomo. Contentatevi di far quello che a voi si destina, e piú del talento fate conto della bontà di cuore. Imitate la madre vostra e sarete certa di riuscir bene (I, 9).
La paternalistica unzione di un discorso come questo sembra fatta apposta per suscitare le ire e le denunce delle femministe del Chiari (si ricordi la tirata della pecoraia Cefisa nella Pastorella fedele), o delle stesse eroine, Ircana, La[...]

[...]e della sua classe, andava da una eteronomia serenamente accettata a una sterile e dolorosa autonomia. A Leonardo che nel turbamento di Giacinta alla fine del Ritorno vede un « segno di poco amore » e di decisione forzata, la fanciulla può rispondere: « No, forzatamente non mi conduco a sposarvi. Niuno potrebbe usarmi violenza, quand'io non fossi da me medesima persuasa » (III, 12). Giacinta sacrifica la propria felicità alla propria immagine, o meglio rifiuta di concepire una felicità che implichi la correzione e la banalizzazione di tale immagine: « E che vorresti tu ch'io facessi? Che mancassi alla mia parola? che si lacerasse un contratto? L'ho io sottoscritto ... È noto ai parenti, è pubblico per la città. Che direbbe il mondo di me? ... Si tratta della reputazione » (Avventure, II, 1).
In mancanza di meglio, fra linguaggio metastasiano e linguaggio mercantile Giacinta sceglie quest'ultimo. Trascurati ormai dal padre, i vecchi valori dei mercanti vengono ricuperati dalla figlia, che cerca di asserire la propria intelligenza e autonomia all'interno del sistema che essi rappresentano, non fuori e contro di esso, sperando di forzare Fulgenzio al rispetto invece che alla condanna. « Ringrazio il signor Fulgenzio del bene che dall'opera sua riconosco, e vi assicuro, signore, che non me ne scorderò fin ch'io viva », gli dirà nel commiato, un commiato in cui tutte le espressioni di tenerezza rivolte men[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Vita sfortunata di Ziu Marrosu Gangas vecchio orgolese in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: VITA SFORTUNATA DI ZIU MÀRROSU GANGAS VECCHIO ORGOLESE

Sono nato il 18 maggio 1872, ad Orgosolo, da Giovanni Antonio e da Marrosu Giuseppa, e il giorno stesso che nacqui mio padre moriva. Mia madre qualche poco dopo tornava a sposarsi con un suo antico compare, ed è meglio che non racconto quello che ho passato allora sino all’età di 10 anni.

Comincio a dire da quando avevo quasi l’età di 11 anni e fui messo a fare il servo pastore ai porci del mio padrino Luppu Raimondo, che li aveva insieme con quelli del famoso brigante Giovanni Corbeddu di Oliena. Dio può dire come onestamente erano stati fatti! A quella scuola io ho passato la mia prima vita. Non ho ammazzato nessuno, ma sono stato con Corbeddu 17 o 18 anni. Non ho imparato mica il ginnasio, e quello che l’uomo vede, fa. «Narami in chi abitas a ti naro chi ses» dice il proverbio. Non mi davano da mangia[...]

[...]u Raimondo, che li aveva insieme con quelli del famoso brigante Giovanni Corbeddu di Oliena. Dio può dire come onestamente erano stati fatti! A quella scuola io ho passato la mia prima vita. Non ho ammazzato nessuno, ma sono stato con Corbeddu 17 o 18 anni. Non ho imparato mica il ginnasio, e quello che l’uomo vede, fa. «Narami in chi abitas a ti naro chi ses» dice il proverbio. Non mi davano da mangiare se non me lo sapevo procurare da me. Ma è meglio che comincio a raccontare subito come ho dovuto arrangiarmi.

Una volta, insieme ad un altro ragazzo, di stato mio, abbiamo fame (non mangiavamo da qualche giorno); ci pensiamo un poco; e poi andiamo a trovarci qualche bestia. C’era chiusi in un muro vicino qualche agnello. Io da fuori metto le mani: e così ho preso le pelli.

Sento gridare: — O quello! Porca madonna!

E poi: — Ti possano ammazzare!

— Che c’è? Che c’è? — mi metto a dire spaventato.

Altro che agnello: era il padrone!

— Ti possano ammazzare!

— Pè, pè, pè, pè.

Sortono due uomini dall’ovile vicino, due compag[...]

[...]Allora prende quei rami, e mi ha fatto il fuoco in culo.

Un'altra volta con Pietro, un pastore mio amico, andiamo ancora a cercare un gregge. Ed io metto presto sopra le mani. Sentiamo gridare: «Ohi, mamma mia, mamma mia! Qui ci ammazzano». Uno prende il fucile che aveva appresso e se ne scappa. Anche due o tre che stavano lì, a dormire con lui, prendono il fucile che avevano e si mettono a scappare: erano carabinieri!

Con Corbeddu stavamo meglio. Ero più grande e mi aveva messo allora al Sopramonte. C’erano latitanti di Orgosolo, di Oliena, di Nuoro, di Orune. Ci avevo 25 latitanti. Tutto un gruppo.

Andiamo a fare le capanne. Un giorno sento gridi di maiale: era una volpe che si è presa un porcetto. Gli sparo: e così cade. A colpa di quell’accidente ecco un falco. Subito si mette a cadere per prendere

il porcetto. Tiro: e l’ho colpito. Vado per prenderlo dove era caduto, e il fucile l’ho messo da parte, vicino a un «presetu», ossia un buco nella pietra dove ci sta, per la pioggia, l’acqua. Tornavo e portavo quel falcone e quell[...]

[...]o. — Manda subito a chiamare quella strega di padrona.

— Magnana, magnana, dice.

Dico: — Bene. Qui si mangia.

Voleva invece dire domani.

— O ci paghi o ti spacco la testa — dico io. — Presto presto.

Ci ha dato 80, 90 pesi, qualche cosa di più. Da mangiare. Ma è scappata via.

Il giorno dopo si perde il posto.

Andiamo a un’altra casa. Ci manda ancora il Patronato, lo scrivanello di Benetutti. E qui restiamo molto.

Arrivo e: Meglio!

C’erano 4 o 5 maiali.

Anche qui la padrona era donna. «Non sarà mai come quella». E aveva due figlie belle. Ci porta in giro a vedere e appena io vedo i maiali mi metto a fare: — Ohi, ohi! — Per paura.

— Non fanno niente. Non fanno niente — dice la padrona. Ed io niente: facevo finta di aver paura, sempre paura.

In una stanza dormiva una serva e le due figlie. Un giorno vedo una nella stanza, nuda, e con un fischio speciale chiamo i maiali. Ecco i maiali ed io mi butto in quella stanza là.

— Andate via! Andate via! — e si mette la mano là.

— Oh, oh. Ci ho paura di quei porc[...]

[...]
Esco. E me li vado a spendere in sarvenas e. maiali.

Il giorno dopo lo trovo. E in sospetto:

— Dov’è la tua famiglia?

Gli ho dato un indirizzo falso, di certi parenti che mi avrebbero ucciso : questo sì.

Scrive. Ed ha avuta una lettera piena di parolacce.

— È per la carità che ti ho fatto?

— Che se non me li spendevo io, te li spendevi tu con femmine e sarvenas.

E così era.

Me ne torno allora ad Orgosolo, al mio paese: è meglio che l’America. Riprendo il mio mestiere di raccoglitore di pecore.

In questa seconda mia vita ho avuto dispiaceri, quasi solo dispiaceri. Ma ci ho anche fatti belli.

Ero appena tornato quando una volta, a Sindia, per un piccolo fatto di pecore incontro carabinieri. Ero appena sortito dal paese, col bestiame, quando:

— Fermati!

— Porca miseria.

— Fermati!

Ci spara subito e un colpo di striscio, mi ha colpito il collo. Non114

FRANCO CAGNETTA

ci ho più visto: un paio di salti. Afferro un carabiniere e lo butto a terra. Il mio compagno fa lo stesso con un altro. Gli prend[...]

[...]e gambe a una pecora o più pecore e portarle sulle spalle.

Se si ha l’accordo con uno o più servi del pastore si può cercare, più apertamente, di attaccare il pastore. È una rapina falsa. Ma tante volte occorre una rapina vera.116

FRANCO CAGNETTA

Allora ci vuole coraggio — che questo non si vende — e fucile, cartucce, funi, coltello, e un po’ di vino. Non si va soli ma con qualcuno. E si circonda la capanna. Si fa silenzio e due sempre meglio davanti alla porta, pronti. Un altro entra, senza bussare — meglio se il pastore dorme — e si butta addosso. È meglio gettarsi prima sulle mani che sul resto: può essere armato e può reagire anche. Bisogna anche cercare con un pugno, un calcio, o che so io, di dare sulla bocca, così non può gridare.

Si lega poi, pensando prima a mani e piedi, e un fazzoletto in bocca, oppure straccio che sia.

Se sono più i pastori si va in più. E la cosa è più difficile.

Un ostacolo sono i cani che se non mordono fanno almeno rumore. Bisogna prima pensare a farsi conoscere buttando il giorno prima uno straccio nostro, che il cane si abitua all’odore. Se non si ha tempo si deve pensare a calmarlo con il buttare un pe[...]

[...] non può gridare.

Si lega poi, pensando prima a mani e piedi, e un fazzoletto in bocca, oppure straccio che sia.

Se sono più i pastori si va in più. E la cosa è più difficile.

Un ostacolo sono i cani che se non mordono fanno almeno rumore. Bisogna prima pensare a farsi conoscere buttando il giorno prima uno straccio nostro, che il cane si abitua all’odore. Se non si ha tempo si deve pensare a calmarlo con il buttare un pezzo di carne, o meglio una polpetta avvelenata, o col cacciarli con qualche sasso o col fucile. In antico si faceva la presura : con parole o una pelle di gatto : e non è bene.

Ma un cane in proprio può servire, oltre che per difesa e contro i cani altrui, perché si può abituarlo a pigliare una pecora da un gregge, quella che gli indicate; e a guidare e a difendere tutto il gregge, quando è rubato.

È meglio fare la rapina mai in proprio territorio: si può essere conosciuti, e può essere un amico.

È meglio fidarsi dell’uomo coraggioso, sia compagno di rapina o rapinato, che del vile. Non si sa mai che cosa, per viltà, può fare: o vi uccide o, per sbaglio, potete ucciderlo. E siete nei guai.

All’invenzione di ciascuno è affidata, di volta in volta, la riuscita. E tutti i trucchi sono buoni per catturare le pecore, ma che siano grasse, belle: bisogna saper scegliere. Ci vuol la nascita — occhio e natura — per esser bravi e grandi rubatori. Per i pastori ci vuole di sapere tutto usare: metodi buoni, imbrogli, e inganno, e pur violenza.

2) Questa è soltanto la prima parte di questo mio brevet[...]

[...]ramontana. Era imprudente ad uscire contro il vento. E il vento l’ha beccato.

Il mio povero figlio si trovava invece in giro, in territorio di Mamoiada. Aveva una cavalla rubata che voleva riportare al padrone di Ollolai. Si incontra là due carabinieri che lo hanno visto e gli han sparato.

— Il taglione ti do — dice Antonio Maria.

Ma uno stava nascosto e così il carabiniere lo ha sparato.

Del figlio Diego che è morto, or mi è poco, è meglio che non parlo.120

FRANCO CAGNETTA

Delle mie figlie dicono, pure, che di notte si mettono i calzoni e fanno cose che sono peggio di quelle che fanno gli uomini.

È falso.

10 ho fatto di tutto per educarli sempre su una strada buona. A sa balentia. Gli ho sempre detto che: 1) non devono avere paura; 2) devono usare il cervello; 3) devono sapere usare le armi.

Per esser coraggiosi, sin da piccoli, li tenevo alla campagna. Tante volte li facevo: — Bau, bau — all’improvviso. Poi gli dicevo: — Lo faccio io.

Paura non avevano più di nessuno.

11 coraggio ognuno se lo prende da se[...]

[...]
La notte li mandavo sempre fuori, in ogni ora. C’era un modo che ho usato con Giuseppe e con Antonio Maria. Per ogni croce che mi portavano dal cimitero a mezzanotte gli davo una lira. E la notte stessa dovevano riportarla : il cimitero si rispetta.

Io dicevo: — Non avete paura per niente. Non esiste niente.

Gli mettevo l’arma in mano e giocavano come ogni bambina con la bambola.

Una volta ho trovato Giuseppe con un fucile che sparava: meglio di me. Ed io, non per vantarmi, con il fucile ci sapevo fare.

Hanno detto che li ho educati ladri, imbroglioni, assassini. Che per avere un pezzo di carne ogni giorno li avrei voluti vedere morire e ridotti ad un pezzo di carne. Che dicevo: — Vergogna, oggi sei meno delinquente di un altro. Fai ancora a tempo. Provvedi.

Non è vero. I miei figli si sono fatti da loro e li ho educati così bene che non si sono mai lasciati comandare da uno più debole e più vecchio di loro, che ero io.

Ma tanta forza, tanta valentia è scomparsa oggi. Che mi è rimasto di loro, di Giuseppe, di Diego, di An[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Meglio, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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