Brano: [...]uto stesso, tanto che dopo la sua morte il fratello consegnò all’istituto una cassa delle sue carte. Essa conteneva tra l’altro e qui mi servo delle parole di Mario Medici nella Prefazione « un notes di appunti di mano di Piero Nardi, come dire del più autorevole biografo di Boito, e fogli dattiloscritti, sempre provenienti dal Nardi, relativi a testi di lettere e dispacci indirizzati da Verdi a Boito ». Sono per lo più documenti brevi,152
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d’importanza relativamente minore, ma « attendibili senz’ombra di dubbio » — sono parole di Mario Medici « ed i cui originali sembrano essersi volatilizzati ».
Infine due lettere di Verdi provengono dall’archivio di Sant’Agata dove se ne conserva l’autografo (forse una brutta copia?), e due provengono da altre fonti.
Restava, naturalmente, da ripristinare l’altra voce del dialogo epistolare. Le lettere di Boito a Verdi — salvo due i cui originali si trovano, stranamente, nella Donazione Albertini — sono conservate negli archivi di Sant’Agata, e la cortesia della famiglia CarraraVerd[...]
[...]’Amleto\ ed a proposito entro di botto in un Gran progettoW... eh'Ella sa ch’io rumino peggio di un bue!!... Dunque Ella mi fece motto due o tre volte del Nerone... e vidi che questo soggetto non le spiaceva.
Ieri Boito fu da me, ed io pumfl sparai la cannonata: Boito mi domandò una notte di riflessione, e stamane fu qui, e si trattenne lungamente meco di questo affare. La conclusione si è che Boito si riputerebbe l’uomo il più felice.154
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il più fortunato se potesse scrivere il libretto del Nerone per Lei: e rinuncerebbe subito e con piacere all’idea di fare la musica (prefazione, pag. xxvi).
Si affaccia qui il primo esempio di quella straordinaria devozione di Boito verso il maestro, spinta fino airautoannientamento, che non sarebbe poi mai venuta meno nei venti anni della loro collaborazione. E stranamente Verdi, che più tardi vedremo scrupolosissimo verso i diritti del collega, questa volta non montò in cattedra di correttezza, non ricusò l’offerta generosa, ma in due lettere del 28 e del 30 gennaio tergiversò. « Non [...]
[...]a Ricordi, è tutto diverso: « Nei frequenti nostri ritrovi Boito parlò sempre di Verdi con venerazione ed entusiasmo; se altrimenti, non mi sarebbe amico ». Non solo, ma quando vengono i due compagnoni, Boito e Faccio, nel suo ufficio dove campeggia un grande ritratto di Verdi, lo sogguardano esclamando: « Ma e quello li, proprio non scriverà più? » (prefazione, pag. xxvm).
Le fatiche, un poco untuose, di Ricordi andarono a buon porto:156
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Questa camicia di Nesso dell’editore mi mette sempre in una ambigua posizione!!... poiché per un sentimento di delicatezza temo sempre ch’Ella possa credere che sia Vaffarista che parla!!... e ciò mi ripugna. Certo sarebbe soverchia ingenuità il dirle che un’opera di Verdi non sia una vera fortuna materialmente parlando!!... ma questa idea è cento volte sorpassata e per così dire oscurata dalla immensa indicibile emozione che mi dà il pensiero di un lavoro che renderà sempre più glorioso, s’è possibile, il di lei nome, e farà risplendere di nuova luce quella carissima Arte italiana (ibidem[...]
[...] non sentivo, e se l’ho potuta dimostrare nei fatti nel mio libretto gli è perché mi son messo nel punto di vista dell’arte Verdiana, gli è perché ho sentito scrivendo quei versi ciò ch’ella avrebbe sentito illustrandoli con quell’altro linguaggio mille volte più intimo e più possente, il suono ». Per convincere Verdi con la sua appassionata protesta Boito non esita a rilasciare una commovente confessione della propria impotenza creativa.158
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Maestro, ciò che Lei non può sospettare è l’ironia che per me pareva contenuta in quell’offerta senza sua colpa. Veda: già da sette od otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro) vivo sotto quell’incubo; nei giorni che non lavoro passo le giornate a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell’asino e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfisiato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato[...]
[...]i Verdi a Milano. « Parlando con Arrigo Boito appunto dell’opera comica, questi afferrò la palla al balzo e propose a Verdi un soggetto, e non solo propose, ma con rapidità meravigliosa si può dire che in poche ore abbozzò e presentò al maestro una tela: Falstaff» (note alla Lettera 118).
Questa volta Verdi, a cui l’intenzione di scrivere un Falstaff su libretto di Ghislanzoni era già stata affibbiata più di vent’anni prima, tra il Don160
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Carlo e il rifacimento della Forza del destino, e lui aveva smentito all’amico Arrivabene: « Non scrivo Falstaff », questa volta Verdi si accostò al lavoro con entusiasmo quasi impaziente, basti dire che il giorno dopo ritornava già sull’argomento con una nuova lettera destinata ad esaurire formalmente le solite perplessità, i soliti se e ma, « Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensato alla cifra enorme dei miei anni? », e poi lo scrupolo che magari Boito, scrivendo Falstaff, dovesse « distrarre la mente » dal suo ormai mitico Nerone.
Ora come superare questi ostacoli?... Avete Voi u[...]
[...]la pittoresca storia esterna dei rapporti culturali ed umani tra i due amici, e dei capolavori nati dalla loro collaborazione. Ma da un punto di vista più propriamente critico, quali prospettive apre questa pubblicazione?
Si tenga presente che non si tratta, per lo più, di inediti. Su 301 lettere sono totalmente inedite 81, e non delle più importanti, salvo una mezza dozzina. Spesso sono biglietti brevi degli ultimi anni, qualche volta162
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dispacci telegrafici. Le altre, quelle più significative, sono note in tutto o in parte, o perché pubblicate isolatamente, o perché citate parzialmente — sbocconcellate, per così dire — dagli studiosi che hanno avuto la fortuna di prenderne conoscenza. Non c’è quindi da aspettarsi capovolgimenti critici o rivelazioni sensazionali, anche se il collegamento organico costituisce un quadro d’insieme ben più completo di quello che si poteva ipotizzare quando la conoscenza di queste lettere era sparpagliata.
Ma il fatto è che proprio il carteggio tra Verdi e Boito riveste oggi caratteri di at[...]
[...]rebbe totalmente sbagliato pensare che Boito, in fondo, cercasse di far scrivere da Verdi le opere « moderne » che non era capace a scrivere lui.
Con tutto questo non si nega che Boito, senza affatto prevaricare sulla natura di Verdi, lo abbia talvolta accortamente difeso da certi pericolosi ritorni di fiamma del Verdi quarantottesco degli anni di galera. Prendiamo ad esempio la prima lettera, su quel terzo atto di Otello che impegnerà164
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così a lungo le forze dei due artisti. Curiosamente, Verdi contrapponeva « il pezzo scenico » (che secondo lui mancava ancora) al « pezzo musicale », che « ci sarebbe ed un Maestro potrebbe esserne contento ». Ossia, Verdi si faceva parte diligente del dramma, contro la musica! Secondo lui, dopo Pinsulto di Otello a Desdemona « Demonio, taci » — « non vi è più nulla a dire. Tutt’al più una frase, un rimprovero, una maledizione contro il barbaro che ha insultato una donna, E qui o calar il sipario, o saltar fuori con una trovata all’infuori di Shakspeare [sic] » (Lettera 1). La trovata che[...]
[...]idisce in volto, / Già la mia man l’afferra per le chiome. / Io so il suo nome... È nella sua paura».
Né è da meno il sarcasmo di Gabriele Adorno quando sospetta nel Doge l’« uom possente » ch’era stato mandante del ratto di Amelia: «T’acqueta! il reo si spense / Pria di svelarlo (...) Pel cielo! / Uom possente tu se’! ». Siamo già all’altezza e allo stile di Otello.
Per contro Verdi boccia gentilmente, con molti elogi, un’idea abba166
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stanza strampalata di Boito, quella d’un penultimo atto nella chiesa di S. Siro piena d’armati col Boccanegra alla testa, irruzione del Fiesco, zuffa, Boccanegra ferito a un braccio, Paolo che lo fascia con una benda avvelenata! « L’atto da Lei ideato nella chiesa di S. Siro è stupendo sotto ogni rapporto. Bello per novità bello per colore storico bello dal lato scenico musicale; ma mi impegnerebbe troppo, e non potrei sobbarcarmi a tanto lavoro » (Lettera 7). Forse Verdi rideva sotto i baffi nell’atto di ricusare questa complicata macchinazione, che faceva il paio con la sua idea di met[...]
[...]ito ne comprendeva al volo la genialità di soluzione teatrale ed applaudiva con entusiasmo (Lettera 77). «Bravo!!! approvo pienissimamente quel taglio dei quattro versi (...). Ora, l’entrata che non ci accontentava, è trovata, ed è splendida. Una possente esclamazione di vittoria che finisce in uno scoppio d’uragano e in un grido del popolo! Bravo, bravo! eccellente anche l’idea di fare dire quella frase su d’un punto alto della scena! ».168
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La risposta di Boito ad un quesito che Verdi gli aveva posto, sull’opportunità o meno di introdurre anche voci femminili nel coro del Brindisi (primo Atto), si può assumere come criterio universale valido per tutta la composizione dell’opera. « La ragione musicale è quella che deve decidere » (Lettera 83). Ne viene decisamente smentita la curiosa opinione manifestata dal traduttore inglese del libretto, Francis Hueffer, redattore musicale del « Times », che nell 'Otello Verdi avesse « saputo aderire alla verità del dramma e del declamato con una abnegazione di se stesso così coerente e mer[...]
[...]aso che in un’opera si deve sempre battere il martello sul chiodo del protagonista.
All’idillio di Fenton e Nannetta e all’elogio della gioventù Boito invece ci teneva moltissimo. E, dopo un rispettoso esordio (« Tutto ciò ch’Ella pensa è buono») subito replicò (Lettera 125): «Ma i matrimoni ci vogliono, senza le nozze non c’è contentezza (...) e Fen. e Nan. devono sposarsi. Quel loro amore mi piace, serve a far più fresca e più solida170
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tutta la commedia. Quell’amore la deve vivificar tutta e tanto e sempre per modo che vorrei quasi quasi eliminare il duetto dei due innamorati ».
O come mai voleva eliminare il duetto degli innamorati, se a questo amore dei giovani ci teneva tanto? Evidentemente perché avrebbe voluto farne una specie di basso continuo, anzi, ostinato, di tutto Vatto, e il duetto gli pareva forse che lo isolasse indebitamente nella nicchia di un pezzo ben definito. Sotto sotto, non si andrebbe forse lontano dal vero subodorando qui un caso di conflitto tra Pideale del dramma musicale, sostenuto dal moder[...]
[...] E a un giornalista francese ch’era venuto a visitarlo a Genova e per due ore lo aveva interrogato sui suoi propositi, attribuendogli l’intenzione di musicare un Romeo e Giulietta (« Vous en mourez d’envie »), non solo aveva potuto onestamente smentire questa ipotesi, ma aveva anche avuto la faccia tosta di non dire una parola sul Falstaff a cui stava lavorando: « Je vous affirme qu’Otello est ma dernière oeuvre » (note alla lettera 147).172
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Chissà come s’era divertito a dire sostanzialmente la verità, perché certo, finché il Falstaff non fosse finito, VOtello era la sua ultima opera!
Subentrano poi problemi di scene, di costumi, di regìa e di cantanti. Verdi spedisce Boito di qua e di là, ad ascoltare soprani e contralti (la parte del protagonista era da sempre destinata a Maurel, anche se Verdi gliela faceva cader dalPalto). Come Quickly, Boito avrebbe visto bene la giovane Guerrina Fabbri, che infatti lo diventerà, ma assai più tardi, con Mugnone e poi con Toscanini. Per la « prima » Verdi preferì la più esperta Giuseppi[...]
[...]kavalier. E poi da noi arrivò Gianni Schicchi.
Verdi predicava male e razzolava bene. Era sempre 11 a intonare le sue geremiadi: « Torniamo all’antico e sarà un progresso ». Di fatto, poi, a ottant’anni dava una tale spinta alla musica italiana, e la scagliava così avanti, che ci volle l’opera di tutta una generazione per raggiungerla, e c’è da dubitare a quel che spesso càpita di leggere ancor oggi che tutti ci siano veramente arrivati.
Massimo Mila