Brano: [...]itiva (La bella selvaggia e La peruviana), alle commedie sulla guerra e sui militari (L'amante militare, L'impostore e La guerra), sul mondo dello spettacolo (Il teatro comico,
4 « Al di d'ancuo no ghe ne xe piú de quei zoveni del nostro tempo. V'arecordeu? » (I rusteghi, ii, 5, Simon). « Se nascerà dei fioi ... i vegnirà grandi, i me servirà. I manderò fora in tei mi loghi... » (Sior Todero, I, 7). « Prevedendo ch'ei possa un giorno essere mio marito, vo' avvezzarlo per tempo a non esser geloso » (Smanie, i, 11).
Sui Rusteghi, cfr. Mémoires, II, 34 (Opere, i, 392). Per il Todero la prefazione: « Todero ... non è brontolon solamente, ma avaro e superbo » (Opere, vili, 51) e quanto dice di lui Marcolina: « El xe un vecchio che gh'ha ste tre piccole qualità: avaro, superbo e ostinà » (II, 14). Per le Villeggiature la prefazione alle Smanie (Opere, vii, 1008).
376 FRANCO FIDO
L'impresario delle Smirne, La scuola di ballo), sulle donne del popolo a Venezia (Le massere, Le donne de casa soa, Il campiello), e cosí via.
Accanto a queste coste[...]
[...]mi « femminili » tradizionali, civetteria, pazienza, astuzia, sono abbandonate come altrettanti segni di debolezza e di compromesso, o meglio come vestigia d'una ancestrale condizione servile.
Dal fantasma della schiavitú femminile sarà letteralmente ossessionata Giacinta nelle Villeggiature: « Se principia ora a pretendere, a comandare, se gli riesce ora d'avvilirmi, di mettermi in soggezione, è finita: sarò schiava perpetuamente » (del futuro marito: Smanie, i, 11); « non sono nata una schiava, e non voglio essere schiava... » (Smanie, ir, 11); « Non ha ... da trattarmi villanamente, e da tenermi in conto di schiava » (Ritorno, i, 5).
In questa prospettiva, il percorso dalla trilogia esotica del 175356 a quella « nazionale » del 1761 porta Goldoni e la sua nobilmente smaniosa interprete dall'enfatica semplificazione della schiavitú letterale patita da Ircana, alle sorprendenti e inquietanti conseguenze della schiavitú metaforica paventata da Giacinta.
Nel primo caso, preoccupato di rispondere subito al rivale Chiari e di apparire con t[...]
[...]rli, secondo un processo opposto a quello vagheggiato poi dall'ingenuo Filippo: « al giorno d'oggi non vi è malizia. Pare che l'innocenza della campagna si comunichi ai cittadini » (Smanie, i, 10).
Ancora come la trilogia, La villeggiatura del 1756 è la storia di una signora sensibile ed esigente che torna dalla campagna sofferente e sconfitta. In villa la protagonista donna Lavinia ha cercato a lungo di ridestare l'affetto o almeno i sensi del marito don Gasparo, gran cacciatore di selvaggina e di giovani contadine, e al tempo stesso di ricondurre al suo onesto servizio don Paoluccio, il cicisbeo al quale si è mantenuta fedele durante i due anni trascorsi dal Cavaliere viaggiando per l'Europa. Alla fine, frustrata sia da Imene che da Amore, per impiegare una dicotomia pariniana del tutto pertinente, la signora deve incoraggiare la candidatura a suo cicisbeo dell'introverso don Mauro, servente appena licenziato dalla vivace donna Florida, se non vuole tornare sola in città.
Non meno evidenti e importanti sono le differenze tra La villeggi[...]
[...]... che sudicione! »; per cui quando esse legano don Ciccio alla sedia su cui si è finalmente addormentato coi legacci delle sue calze, la burla è resa socialmente accettabile dal generale clima di laisser aller e di aggressività che impronta tutta l'azione.
All'estremo opposto del materiale don Ciccio, la tenera e sospirosa donna Lavinia è oggetto d'una non meno severa Verfremdung. Tra i tentativi assai ingenui per risvegliare l'attenzione del marito e il savoir faire con cui tratta ospiti e cicisbei, la sua principale caratteristica è d'esser « dominata dalla passione », come dice di lei donna Florida (ii, 7, e lei stessa piú tardi all'incostante Paoluccio: « Lasciatemi sfogare almeno la mia passione »: III, 8). Ma il paggio Zerbino, commentando le rimostranze della padrona al marito che era partito per la caccia senza salutarla offre del suo paterna una spiegazione terra terra (« Poverina! la compatisco. Vorrebbe ora l'addio che non le ha dato questa mattina »: i, 4), che sembra confermata da quanto dice Lavinia a Gasparo nella scena seguente: « Fareste molto meglio a starvene a letto la mattina, come fanno gli altri mariti colle loro mogli ».
Nei dialoghi di Lavinia con Zerbino e don Gasparo (I, 45) la parola letto torna 11 volte, ma il marito è deciso a non capire le allusioni della moglie, cosí come nel III atto, quando Lavinia finge un'indisposizione quale « pretest[...]
[...] per la caccia senza salutarla offre del suo paterna una spiegazione terra terra (« Poverina! la compatisco. Vorrebbe ora l'addio che non le ha dato questa mattina »: i, 4), che sembra confermata da quanto dice Lavinia a Gasparo nella scena seguente: « Fareste molto meglio a starvene a letto la mattina, come fanno gli altri mariti colle loro mogli ».
Nei dialoghi di Lavinia con Zerbino e don Gasparo (I, 45) la parola letto torna 11 volte, ma il marito è deciso a non capire le allusioni della moglie, cosí come nel III atto, quando Lavinia finge un'indisposizione quale « pretesto ragionevole » per « sciogliere la compagnia, troncar le scene per tempo, finir la villeggiatura » (9), don Gasparo si trincera dietro l'ironia di un'interpretazione letterale: « Voi altre donne avete sempre qualche cosa che duole ... Andate a letto, e domani si farà venire il chirurgo, e vi caverà sangue » (III, 10; e fra sé: « Queste donne si fanno venir male quando vogliono ... Don Paoluccio le avrà fatto venire le pulsazioni »: in, 11).
Il fatto è che i sintomi [...]
[...], troncar le scene per tempo, finir la villeggiatura » (9), don Gasparo si trincera dietro l'ironia di un'interpretazione letterale: « Voi altre donne avete sempre qualche cosa che duole ... Andate a letto, e domani si farà venire il chirurgo, e vi caverà sangue » (III, 10; e fra sé: « Queste donne si fanno venir male quando vogliono ... Don Paoluccio le avrà fatto venire le pulsazioni »: in, 11).
Il fatto è che i sintomi accusati da Lavinia (« Marito mio, ho del gran male intorno, mi sento una pulsazione interna, un'agitazione negli spiriti, una lassitudine universale con giramenti di capo ») sono l'involontaria con
GIACINTA NEL PAESE DEGLI UOMINI: INTERPRETAZIONE DELLE « VILLEGGIATURE » 383
fessione di una condizione isterica, e questa il risultato del disagio con cui la signora si adatta alla perpetua dimensione teatrale della vita patrizia, esasperata dalla paradossale clausura in campagna: pubblico scambio di complimenti, recitazioni d'avventure di viaggio o galanti, bons mots, pungenti malignità, ma anche teatro segreto dei sentime[...]
[...]ch'io di dar la colpa a mio padre », ma insiste che se si è esposta alla tentazione la colpa è sua, per « la maledetta ambizione di non voler dipendere » (Avventure, ii, 1).
Di fatto, la storia di Giacinta è un tessuto di comprensibili errori e di riflessioni autocritiche, in cui l'eroina si fa di volta in volta storica severa del proprio dramma: « Ho avuto fretta di maritarmi, piú per uscire di sog
392 FRANCO FIDO
gezione, che per volontà di marito. Ho creduto, che quel poco d'amore ch'io sentia per Leonardo, bastasse per un matrimonio civile ... » (Avventure, III, 2). A questo primo errore, di sottovalutare la possibilità di un sentimento piú forte, di credere che a una fanciulla civile basti sempre un matrimonio civile, segue l'altro dell'invito a Guglielmo per « educare » Leonardo alla fiducia. Una volta innamorata dell'ospite, la ragazza teme di perdere
« il decoro, la reputazione, e l'onore », e precipita le cose, forzando praticamente Guglielmo a dichiararsi per l'ignara Vittoria.
In questa situazione si è visto spesso un confli[...]
[...]anzi — per limitarci a due fra i migliori e cronologicamente piú vicini alle Villeggiature — vediamo prender consistenza un tipo, sostanzialmente nuovo nella nostra letteratura, di donna indipendente e decisa, leale con gli amici ma scettica sui motivi di quanti la circondano, convinta che nei rapporti sociali contano soprattutto le apparenze. Le « memorie » di queste dame sono costellate di massime: « La prima bellezza d'una giovane, che vada a marito, vien dalla dote ... Chi serve per vivere, ha non di rado un'anima vendereccia, che si fa un idolo del favor de' padroni: ma non adora in essi che la propria fortuna ... ella ha stabilita la massima di voler piuttosto non esser mai sposa, che vedersi madre in pochi anni d'una famiglia di miserabili » 24, che si informano alla dottrina illuministica dell'amor sui: « Il solo interesse viene ad essere l'anima di tutte le nostre vicende. Qual cosa si fa per gli altri, che non si faccia colla gran massima universale di vederlo ridondare in pro' di noi stessi? ... Senza questo spirito d'interesse n[...]