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Il segmento testuale Lingua è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 27Analitici , di cui in selezione 3 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da m.m.[M. Marchi], scheda sintetica di «Lingua nostra» in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: Lingua nostra
Rivista trimestrale diretta da Bruno Migliorini,
Gianfranco Folena e Ghino Ghinassi.
Casa editrice Sansoni, Firenze,
formato: cm. 27x20.
Rivista trimestrale, un tempo bimestrale, di stampo schiettamente storicolinguistico, fondata nel 1939 a Firenze da Giacomo Devoto e Bruno Migliorini. I. due studiosi, venuti a mancare a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro, ne sono stati condirettori dal 1939 al 1957. In seguito è stato associato alla direzione Gianfranco Folena, che a tutt'oggi resta condirettore della pubblicazione assieme a Ghino Ghinassi. Il programma del periodico fioren[...]

[...]o stati condirettori dal 1939 al 1957. In seguito è stato associato alla direzione Gianfranco Folena, che a tutt'oggi resta condirettore della pubblicazione assieme a Ghino Ghinassi. Il programma del periodico fiorentino si riassume nel tentativo di conciliare «il rispetto per una gloriosa tradizione » con « la rispondenza alle necessità moderne », in un clima di assoluta disponibilità verso ogni tipo di problematica che investa il settore della lingua italiana, non solo letteraria. In questa prospettiva si comprende bene (e si valuta l'importanza del fatto) perché proprio attraverso Lingua nostra siano stati portati avanti dagli storici della lingua più acuti e avanzati della nostra cultura letteraria i primi studi su una lingua « media collettiva », strumento di comunicazione sociale, al di là dei pur nutriti interessi a carattere squisitamente letterario. Di qui l'accesa polemica contro quanti, in un passato non troppo remoto, si trovarono impegnati a sostenere propositi di pericolosa restaurazione letteraria; di qui l'alternarsi, sulle colonne della rivista, di indagini linguistiche e stilistiche su « opere » a interventi dedicati al linguaggio sportivo (Devoto, Caretti), alla lingua della pubblicità (M. L. Altieri Biagi), al lessico audiovisivo (L. Graziuso) e di caserma (L. Renzi).
L'attuale articolazione della rivista prevede quattro sezioni: « una storicofilologica (storia della lingua; etimologie; storia della questione della lingua; testi; onomastica); una descrittiva (studio di terminologie tecniche; testimonianze linguistiche di scrittori e di scienziati; analisi stilistiche; sinonimia; la lingua italiana nelle varie regioni e all'estero); una normativa (suggerimenti e discussioni circa il retto uso della lingua); una bibliografica (discussione e segnalazione di libri ed articoli importanti) ». All'ultima attività del periodico hanno preso parte G. Herczeg, D. De Robertis, C. Cordié, G. Nencioni, A. Leone, G. R. Cardona, F. Rodolico e C. Torchio. Lingua nostra provvede con regolarità alla compilazione di indici annuali per autore, vocaboli e argomenti principali; per le annate più antiche si può ricorrere utilmente al volume cornpendiario Indici di « Lingua nostra » (19391959), a cura di L. Crocetti, Firenze, Sansoni, 1961. (m. m.)



da Michele A. Cortellazzo, recensione su Hans Ulrich Gumbrecht, Funktionen parlamentarischer Rhetorik in der französichen Revolution. Vorstudien Entwicklung einer historischen Textpragmatik, Munchen, Wilheilm Verlag, 1978, pp.165 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]Si ha l'impressione che gli storici e gli studiosi delle idee politiche, se apprezzano e cercano di trar vantaggio da indagini semantiche sul lessico politico, stentano a vedere l'utilità di analisi linguistiche e testuali di scritti o discorsi politici condotte a livelli diversi da quello lessicale (ad es. quello retorico); un'impressione che diventa certezza leggendo articoli come la rassegna di I. Zanni Rosiello su alcuni studi francesi sulla lingua politica (Lessicologia e storiografia politica, « Lingua e stile », VI, 1971, pp. 121131), dove si afferma esplicitamente che solo la semantica strutturale « attrae l'attenzione, secondo le rispettive finalità di ricerca, dello storico non meno dello studioso di scienze sociali » (p. 123). Il libro di Gumbrecht sembra fatto apposta per smentire questa limitazione ed anzi, come chiarisce il sottotitolo, si propone proprio di fondare una metodologia specifica per lo studio di testi storici. A questo obiettivo è dedicata l'introduzione (Rezeptionsästhetik Sprachhandlungstheorie Historische Textpragmatik: Einleitung in systematischer Perspektive, pp.[...]

[...]rozesses gegen Ludwig XVI. und die Replik des Girondisten Vergniaud (28.131. Dezember 1792) (pp. 6292); Die Sicherung institutionalisierter Einmütigkeit: epideiktische Reden zum Tode Marats (Juli/September 1793) (pp. 93125). I testi esaminati sono riportati in appendice.
La base teorica di tutto il libro proviene dalla Rezeptionsästhetik e dalla linguistica pragmatica (quella parte della linguistica che, recependo gli spunti della filosofia del linguaggio inglese, si interessa della lingua come mezzo d'azione e non solo di comunicazione e descrive, quindi, modalità, motivazioni e fini delle azioni linguistiche e il loro rapporto con la situazione comunicativa che le genera). Le azioni linguistiche del passato, quelle che formano l'oggetto di studio anche della storiografia, ci sono trasmesse attraverso testi. Da essi possiamo ricostruire (sia pure in maniera incompleta,
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perché non ci sono tramandati tutti gli elementi del contesto comunicativo) il senso delle azioni linguistiche e interpretare la situazione comunicativa, operando un procedimento di tipo ermeneu[...]

[...]arare ma anche nascondere l'atto linguistico finale, che è anche l'atto complessivo dell'intero discorso, un atto di richiesta perentoria (di destituzione dei ministri). Ne esce una concezione dell'atto retorico in gran parte
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analoga a quella proposta in Italia dai ricercatori dell'Istituto di Psicologia del CNR di Roma (cfr. D. Parisi e C. Castelfranchi, La retorica come scopistica della comunicazione, in Retorica e scienze del linguaggio, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 59), che vedono negli atti comunicativi la compresenza di scopi e sovrascopi, questi ultimi spesso nascosti (con la sola, ma fondamentale differenza che in questo modo viene attribuito un carattere retorico ad ogni evento comunicativo).
Le applicazioni dei concetti della pragmatica linguistica a concreti testi storici, e non solo a situazioni comunicative ideali costruite a tavolino, ha provocato in Germania un intenso dibattito in campo linguistico (v. per es. H. U. Gumbrecht, Historische Textpragmatik als Grundlagenwissenscha f t der Geschichtsschreibung, «Len[...]

[...]co (si pensi al Mussolini interventista rispetto al Mussolini socialista, oppure al reazionario Strauss — « Ein Chamäleon als Kanzlerkandidat », come ha titolato la « Zeit » — che ora cerca di vestire i panni piú moderati del conservatore); la tendenza del codice politico a polarizzarsi in un sistema binario, nel quale ogni protagonista storico viene associato al valore positivo o a quello negativo (un processo descritto ad esempio da E. Leso, « Lingua Nostra », 37, 1976, pp. 17, a proposito di moderato nel triennio rivoluzionario italiano 17961799, quando la parola da termine medio di una opposizione fra terrorista, cioè « rivoluzionario » e aristocratico, diventò membro di
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una opposizione binaria moderatoterrorista, in cui moderato assume il valore negativo e viene assimilato a aristocratico, realista ecc.); l'esistenza di situazioni politiche nelle quali l'unanimità di giudizio è data per obbligatoria e l'unico tipo di discorso accettato è quello epidittico, che prevede l'identità di conoscenze fra emittente e ricevente [...]

[...] conoscenza di tre momenti importanti della Rivoluzione Francese. Del resto la scelta di tale momento storico come caso esemplare per lo studio delle convenzioni di interazione comunicativa istituzionalizzate è condivisa da molti altri romanisti tedeschi. Lo si è visto anche al recente « Romanistentag » (Saarbrücken, 2628 settembre 1979), nel quale una densa sezione, diretta dallo stesso Gumbrecht e dalla SchliebenLange, era dedicata proprio a « Lingua e letteratura nella Rivoluzione Francese »: le analisi di testi politici (come, ad esempio, i « Cahiers de doléances ») si sono affiancate a quelle sul lessico politico della Rivoluzione e a quelle sulla sua politica linguistica. Dagli studi in questi tre settori di contatto fra lingua e Rivoluzione Francese (coltivati, naturalmente, anche in Francia ed ora in parte anche da noi), proviene una gran messe di informazioni, di interpretazioni ed anche di ipotesi nuove di cui gli storici non possono non tener conto.
MICHELE A. CORTELAZZO
MARGHERITA ISNARDI PARENTE, Città e regimi politici nel pensiero greco, Torino, Loescher, 1979, pp. 266.
Accade spesso di ripetere la definizione aristotelica secondo la quale « l'uomo è un animale politico », ma non altrettanto spesso di riflettere sul singolare fatto per cui se ne travisa e nello stesso tempo non se ne travisa il senso. Lo[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]guardo alla filologia tedesca, spicca un alto riconoscimento del valore del Leo. Osserva il La Penna (p. 55) che questa « è un'eccezione che non incide troppo sull'atteggiamento generale », ed è vero. Ma su un punto la lettura del Leo influí positivamente su Marchesi: sulla valutazione di Plauto, poeta di grande originalità, ma non popolaresco in senso immediato e triviale, bensí dotato di cultura, di raffinato senso ritmico, esprimentesi in una lingua piena di espressività e di forza vitale, ma non « volgare ». Si confronti l'accenno a Plauto nella recensione già citata al Leo (SM, in, p.. 1108) con ciò che nella Storia della letteratura latina (i`, p. 75) si dice di Plauto poeta « ellenistico », non « ignorante di genio », ma « grande poeta » e perciò « uomo di grande cultura: perché l'arte si alimenta di conoscenza e di studio: altrimenti è improvvisazione artistica di breve durata »; si vedano ancora, nella Storia (vol. cit., pp. 7375), i paragrafi sulla lingua plautina (che « non è quella del volgo, com'è mala consuetudine ripetere ») [...]

[...]nfronti l'accenno a Plauto nella recensione già citata al Leo (SM, in, p.. 1108) con ciò che nella Storia della letteratura latina (i`, p. 75) si dice di Plauto poeta « ellenistico », non « ignorante di genio », ma « grande poeta » e perciò « uomo di grande cultura: perché l'arte si alimenta di conoscenza e di studio: altrimenti è improvvisazione artistica di breve durata »; si vedano ancora, nella Storia (vol. cit., pp. 7375), i paragrafi sulla lingua plautina (che « non è quella del volgo, com'è mala consuetudine ripetere ») e sulla metrica; e si riconoscerà ben chiaro l'influsso del Leo. A proposito dell'origine dei cantica c'è perfino un accenno alle due teorie del Leo e di Eduard Fraenkel (derivazione dalla lirica ellenistica o dai cantica tragici?): dalla lettura del Leo Marchesi era passato, sia pure nei limiti di una rapida e non approfondita informazione, alla conoscenza di lavori plautini della scuola del Leo.
Come si vede, qui fa capolino una concezione del rapporto fra ispirazione poetica e « cultura » che contrasta, felicement[...]

[...]e soffrivano in varia misura, per Marchesi, di quelle angustie « civiche » di cui la cultura romana si era liberata. Di qui proviene, fra l'altro, la sua tenace battaglia, dopo la caduta del fascismo, per l'insegnamento del latino esteso a tutti i ragazzi, o quanto piú possibile esteso (cfr. La Penna, p. 84 s.). In uno degli ultimi scritti dedicati a questo problema (ora in Umanesimo e comunismo, Roma, Editori Riuniti, 19742, p. 389) ribadiva: « Lingua morta, dunque, la lingua latina: ma in questa lingua parla al mondo una delle piú grandi letterature: e certamente la piú universale » 6.
6 Accanto all'argomento, piú tipicamente marchesiano, dell'« universalità », compare in questi scritti anche la tesi classicistaumanistica, secondo la quale l'arte classica è l'unica che può essere gustata solo nella lingua originale e non in traduzioni, laddove in Shakespeare o in Tolstoj « la grandiosità e la ricchezza della scena e l'immensa forza suggestiva della rivelazione umana s'impongono su ogni vizio di forma » (Umanesimo e comunismo, p. 397). Ma, a parte quell'accenno stranamente sprezzante a « ogni vizio di forma » in autori grandissimi, è facile obiettare che la maggiore o minore traducibilità delle opere artistiche si misura caso per caso, e anche a seconda del genere letterario, non già con una contrapposizione globale antichimoderni. Sarebbe arduo sostenere che, traducendo in lingua diversa dall'[...]

[...]suggestiva della rivelazione umana s'impongono su ogni vizio di forma » (Umanesimo e comunismo, p. 397). Ma, a parte quell'accenno stranamente sprezzante a « ogni vizio di forma » in autori grandissimi, è facile obiettare che la maggiore o minore traducibilità delle opere artistiche si misura caso per caso, e anche a seconda del genere letterario, non già con una contrapposizione globale antichimoderni. Sarebbe arduo sostenere che, traducendo in lingua diversa dall'originale Shelley o Leopardi o Verlaine,
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Ma come si era formata questa cosmopoli romana che « costituiva veramente non uno Stato, ma una civiltà » (Storia lett. lat., if, p. 468)? Non con mezzi pacifici, ma con una delle piú lunghe e feroci serie di conquiste militari, e con uno dei piú esosi sfruttamenti dei conquistati, che la storia ricordi. Per far sorgere l'homo, c'era voluto il civis: un civis molto piú ricco di disciplina e di virtú militari che di spirito democratico (troppo presto soffocato dopo i parziali successi dei primi secoli della Repubb[...]

[...]on mi sento di escludere questa ipotesi; ma confesso che ci credo poco. Le decine e decine di congetture del Castiglioni, tranne forse una o due, erano, diciamo la verità, del tutto inutili, normalizzatrici a sproposito; il Castiglioni, congetturatore spesso troppo analogista come il suo maestro Vitelli, ma quasi sempre ottimo conoscitore dell'usus scribendi degli autori da lui presi in esame, non si era minimamente curato di studiare a fondo la lingua e lo stile di Arnobio, cosí personali pur nell'ambito del latino tardo. Non direi che un simile profluvio di congetturalismo ozioso costituisse il miglior modo di ispirare a un critico conservatore come Marchesi fiducia nelle congetture; e infatti Marchesi relegò pressoché tutte le congetture di Castiglioni nell'apparato critico, e nell'apparato critico stesso le menzionò, è da credere, piú per cortesia verso l'amico che per fiducia in una loro sia pur vaga probabilità, e parecchie ne omise nella seconda edizione (citandone, in cambio, poche altre, a dire il vero non migliori). Queste mie par[...]

[...]. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che da un lato anticipavano molti sviluppi delle lingue romanze, dall'altro si riconnettevano al latino arcaico, in parte per consapevole arcaismo, in parte maggiore per riemersione di una ininterrotta corrente di lingua popolare rimasta celata sotto la lingua letteraria degli scrittori dell'età classica. Non si trattava, quindi, da parte del Löfstedt e della sua scuola, di « venerazione » della tradizione manoscritta, ma di lotta contro le congetture normalizzatrici, classicistiche, ciceronianizzanti: lotta che in parte (e senza dubbio con qualche esagerazione) investiva i testi classici stessi, lo stesso Cicerone, meno ligio ad un uniforme ciceronianismo di quanto fosse apparso fin allora. E la scuola svedese aveva avuto come s'è accennato, i suoi precursori in Germania (oltre a precursori italiani piú remoti e rimasti isolati, come Giacomo Leopa[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Lingua, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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