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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Lei è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 207Analitici , di cui in selezione 3 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Massimo Mila, L'antico e il progresso nel carteggio tra Verdi e Boito in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]rumino peggio di un bue!!... Dunque Ella mi fece motto due o tre volte del Nerone... e vidi che questo soggetto non le spiaceva.

Ieri Boito fu da me, ed io pumfl sparai la cannonata: Boito mi domandò una notte di riflessione, e stamane fu qui, e si trattenne lungamente meco di questo affare. La conclusione si è che Boito si riputerebbe l’uomo il più felice.154

MASSIMO MILA

il più fortunato se potesse scrivere il libretto del Nerone per Lei: e rinuncerebbe subito e con piacere all’idea di fare la musica (prefazione, pag. xxvi).

Si affaccia qui il primo esempio di quella straordinaria devozione di Boito verso il maestro, spinta fino airautoannientamento, che non sarebbe poi mai venuta meno nei venti anni della loro collaborazione. E stranamente Verdi, che più tardi vedremo scrupolosissimo verso i diritti del collega, questa volta non montò in cattedra di correttezza, non ricusò l’offerta generosa, ma in due lettere del 28 e del 30 gennaio tergiversò. « Non posso oggi rispondervi sull’affare Nerone!! Non ho un minuto da perdere[...]

[...]orazione. E stranamente Verdi, che più tardi vedremo scrupolosissimo verso i diritti del collega, questa volta non montò in cattedra di correttezza, non ricusò l’offerta generosa, ma in due lettere del 28 e del 30 gennaio tergiversò. « Non posso oggi rispondervi sull’affare Nerone!! Non ho un minuto da perdere. Gran progetto, voi dite! verissimo, ma è realizzabile? » (prefazione, pag. xxvi). E poi (mentre Ricordi assicurava: « Boito, sotto la di Lei direzione, farebbe bene, molto bene »): « Eccomi a voi pel Nerone. È inutile che io ripeta quanto io ami questo soggetto. È inutile altresì che aggiunga quanto mi sarebbe grato aver a collaborare un giovine poeta, di cui ho avuto anche ultimamente, in quest 'Amleto, occasione di ammirare il moltissimo talento » (si trattava del libretto per VAmleto di Faccio).

« Ma voi conoscete abbastanza bene le cose mie, ed i miei impegni... Non ho il coraggio di dire: facciamo, né oso rinunciare a così bel progetto. Ma ditemi, caro Giulio, non potremmo lasciare sospeso per qualche tempo questo affare, [...]

[...]a lettera sia da riportare a ottobre, piuttosto che a settembre, pare convalidarlo anche una lunga lettera di Ricordi a Verdi, il 5 settembre, che rispecchia uno stadio non ancora cosi avanzato delle trattative. Con molti salamelecchi l’editore indugia ancora a persuadere il maestro dei sentimenti di devozione che quei giovani scapestrati Boito e Faccio

nutrono per lui. « So, se la memoria non mi falla, che Boito ebbe qualche torto verso di lei; ma carattere nervoso, bizzarro, scommetto che non seppe di commetterlo, o non trovò mai modo di rimediarvi ». Adesso, assicura Ricordi, è tutto diverso: « Nei frequenti nostri ritrovi Boito parlò sempre di Verdi con venerazione ed entusiasmo; se altrimenti, non mi sarebbe amico ». Non solo, ma quando vengono i due compagnoni, Boito e Faccio, nel suo ufficio dove campeggia un grande ritratto di Verdi, lo sogguardano esclamando: « Ma e quello li, proprio non scriverà più? » (prefazione, pag. xxvm).

Le fatiche, un poco untuose, di Ricordi andarono a buon porto:156

MASSIMO MILA

Questa [...]

[...]ua posizione!!... poiché per un sentimento di delicatezza temo sempre ch’Ella possa credere che sia Vaffarista che parla!!... e ciò mi ripugna. Certo sarebbe soverchia ingenuità il dirle che un’opera di Verdi non sia una vera fortuna materialmente parlando!!... ma questa idea è cento volte sorpassata e per così dire oscurata dalla immensa indicibile emozione che mi dà il pensiero di un lavoro che renderà sempre più glorioso, s’è possibile, il di lei nome, e farà risplendere di nuova luce quella carissima Arte italiana (ibidem).

Verdi conosceva bene i suoi polli, ossia i suoi editori, italiani e francesi, ed era l’ultima persona a lasciarsi abbagliare da simili sparate, ma questa volta abbassò prudentemente qualcuna delle sue barriere difensive. Il 10 novembre 1879 accusava pacatamente ricevuta del libretto a Ricordi. « Ricevo in questo momento il ciocolatte. Lo leggerò stasera, perché ora ho la testa imbrogliata d’affari » (prefazione, pag. xxix).

Poi si chiuse nel mistero di un lungo silenzio, almeno allo stato attuale dei documen[...]

[...]mostrare nei fatti nel mio libretto gli è perché mi son messo nel punto di vista dell’arte Verdiana, gli è perché ho sentito scrivendo quei versi ciò ch’ella avrebbe sentito illustrandoli con quell’altro linguaggio mille volte più intimo e più possente, il suono ». Per convincere Verdi con la sua appassionata protesta Boito non esita a rilasciare una commovente confessione della propria impotenza creativa.158

MASSIMO MILA

Maestro, ciò che Lei non può sospettare è l’ironia che per me pareva contenuta in quell’offerta senza sua colpa. Veda: già da sette od otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro) vivo sotto quell’incubo; nei giorni che non lavoro passo le giornate a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell’asino e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfisiato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro soggetto al mondo, neanche l’Otello di Schakespeare [sic], potrebbe distogliermi dal mio tema (...). Giudichi ora Lei se con questa ostinazione potevo accettare l’offerta sua. Ma per ca[...]

[...] giorni che non lavoro passo le giornate a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell’asino e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfisiato [sic] da un Ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca (cioè l’epoca del mio argomento) e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro soggetto al mondo, neanche l’Otello di Schakespeare [sic], potrebbe distogliermi dal mio tema (...). Giudichi ora Lei se con questa ostinazione potevo accettare l’offerta sua. Ma per carità Lei non abbandoni l’Otello, non lo abbandoni, le è predestinato, lo faccia, aveva già incominciato a lavorare ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito.

Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna e mi scriva presto: Caro Boito fatemi il piacere di mutare questi versi ecc. ecc. ed io li muterò subito con gioja e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell’Arte io nel mondo delle allucinazioni (Lettera 46).

Verdi accettò le scuse, con una certa degnazione.

Lietissimo di questa nostra spiegazione, che era però meglio fosse avvenuta quando tornaste da Napoli. Ripeto anch’io le vostre parole, per ciò che riguarda Otello. Se n’è parlato troppo! Troppo il tempo trascorso! Troppo i miei anni d’età! E troppo i miei anni di servizio1.!! Che il pubblico non abbia a dirmi troppo evidentemente ‘ Basta ’!

La conclusione si è che tutto questo ha sparso qualche cosa di freddo su quest’Otello, ed ha irrigidita la man[...]

[...]itiene a stanchezza fisica connessa con la vecchiaia. Verdi eXYOtello non lavora a spizzico, né a piccole dosi, come lui stesso amava dare ad intendere e come in effetti avverrà per il Falstaff. S’interrompe talvolta, a lungo, per cause esterne. Quando lavora, la sua applicazione è feroce, tale quale come negli « anni di galera ». Boito nel’antico e il progresso nel carteggio tra verdi e boito

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era impressionato: « Giulio mi disse che Lei aveva già quasi terminato lo strumentale del i Atto!! Badi di non affaticarsi troppo. Il tempo non le manca » (Lettera 79).

Il disgelo avvenne verso la fine dell’anno. Il 9 dicembre, da Genova, Verdi annuncia: « Pare impossibile, ma pure è vero!!! Mah!!!! M’occupo, e scrivo!!... senza pensare al poi... anzi con decisa avversione al poi. Sentite dunque (...) avrei bisogno di quattro versi per ciascuno a parte » (Lettera 53).

Ci fu ancora un’interruzione nell’estate seguente. Verdi si era trasferito a Sant’Agata verso la fine d’aprile, e il 10 settembre 1885 scriveva: «Da che sono qui (ho[...]

[...]e spalle una diecina d’anni, allora... Che gioja! Poter dire al Pubblico: «Siamo qui ancora!! A noi!!» (Lettera 119).

Era chiaro che non chiedeva di meglio che d’essere contraddetto, e Boito lo intese a meraviglia. Due giorni dopo (a quei tempi le lettere viaggiavano con una prontezza incredibile) gli rispondeva tutto quello che lui desiderava sentire:

Non penso mai alla sua età né quando le parlo, né quando le scrivo, né quando lavoro per Lei.

Lo scrivere un’opera comica non credo che la affaticherebbe.

La tragedia fa realmente soffrire chi la scrive, il pensiero subisce una suggestione dolorosa che esalta morbosamente i nervi.

Ma lo scherzo e il riso della commedia esilarano la mente e il corpo.

Lei ha una gran voglia di lavorare, questa è una prova indubbia di salute e di potenza. Le Ave Marie non le bastano, ci vuol dell’altro.

Lei ha desiderato tutta la sua vita un bel tema d’opera comica (...). C’è un modo solo di finire meglio che colYOtello ed è quello di finire vittoriosamente col Falstaff (Lettera 121).

Ci vollero tre anni perché Verdi potesse scrivere, il 20 settembre 1892: « Ho consegnato a Tito il terzo atto di Falstaff » (Lettera 200). La composizione si era svolta abbastanza lentamente, con frequenti soste non dovute, questa volta, ad altre occupazioni, come per l'Otello, ma per vera e propria stanchezza senile. « In quanto al pancione Ahi ahi!!! Non ho fatto nulla!! » (Lettera 154). Oppure: «Ho lavorato p[...]

[...]ulenza culturale, e più tardi un’assistenza di persona per sorvegliare l’esecuzione a Parigi, ma le lettere di Boito, impegnatissimo nella divorante relazione con Eleonora Duse, e sempre più sprofondato nell’incerto lavoro al Nerone, si diradano. S’infittiscono, come appelli, i brevi biglietti di Verdi, rimasto solo nella deserta Sant’Agata dopo la morte di Giuseppina, e un po’ impedito nella locomozione. Facciamo un affare, gli propone Boito: « Lei mi presta la sua testa io le regalo le mie gambe » (Lettera 285). Veramente, pur essendosi spesso lagnato (« io che sono mezzo sordo, mezzo cieco, che parlo a stento e che non posso occuparmi in nissun modo. Più altri incomodi che Voi sapete », Lettera 251), è solo in un biglietto del 4 agosto 1898, che Verdi, a 85 anni, se ne esce in questa sorprendente ammissione: « Ma ora da un anno circa sento il peso dell’età! » (Lettera 271).

Il ricordo del grande lavoro compiuto stava alle spalle d’entrambi come un paradiso perduto. « Caro Maestro », sta scritto nell’ultima lettera di Boito, « era m[...]

[...]ccuparmi in nissun modo. Più altri incomodi che Voi sapete », Lettera 251), è solo in un biglietto del 4 agosto 1898, che Verdi, a 85 anni, se ne esce in questa sorprendente ammissione: « Ma ora da un anno circa sento il peso dell’età! » (Lettera 271).

Il ricordo del grande lavoro compiuto stava alle spalle d’entrambi come un paradiso perduto. « Caro Maestro », sta scritto nell’ultima lettera di Boito, « era meglio quando si lavorava insieme, Lei col vecchio Shakespeare e me; andavamo così d’accordo tutti due anzi tutti tre! » (Lettera 289). Era l’ottobre 1900. Boito aveva imparato a scrivere Shakespeare correttamente. A Verdi non restavano che tre mesi di vita.

Si potrebbe indugiare lungamente a rintracciare, attraverso le lettere, la pittoresca storia esterna dei rapporti culturali ed umani tra i due amici, e dei capolavori nati dalla loro collaborazione. Ma da un punto di vista più propriamente critico, quali prospettive apre questa pubblicazione?

Si tenga presente che non si tratta, per lo più, di inediti. Su 301 lettere son[...]

[...] letterato e musicista ad un tempo, operista egli stesso, Verdi non aveva bisogno di condurlo per mano come faceva con Francesco Maria Piave. Tanto più che non c’era in Boito (tutto il Carteggio lo prova) la minima pretesa di sopraffazione estetica o intellettuale nei riguardi del venerato maestro, ma al contrario come abbiam già visto una lucida volontà d’immedesimazione nel suo modus operandi drammatico, fino al totale autoannientamento. «Ora Lei riconosce nell’opera delle mie mani » scriveva a Verdi il 18 ottobre 1880, proprio ai primi passi del lavoro per Otello « il pensiero che Ella mi ha dettato e che io ho trascritto senza lasciarmi turbare da nessun dubbio, neanche dai dubbij che Lei stesso accampava » (Lettera 4). Ed ancor prima, a Giuseppina Verdi, in una lettera finora inedita: « Oggi ho ricevuto una interessantissima lettera del Maestro e l’ho già letta e riletta dieci volte e meditata; non avrò pace con me medesimo finché non avrò realizzato il concetto di quello scritto (...). Mi riservo a rispondergli quando potrò presentargli il frutto dei germi ch’egli seminò nel mio pensiero » (note alla Lettera 2).

Altro che sopraffazione di Boito su Verdi! Tra l’altro, si badi, tutte le discussioni, proposte, soppesamenti, battono solo sul versante drammaturgico dell’operaz[...]

[...]cussioni, proposte, soppesamenti, battono solo sul versante drammaturgico dell’operazione. Mai che Boito metta bocca sull’aspetto specifico della creazione musicale. Verdi fa, disfà, innova, conserva, tutto per conto suo. Anzi, a volte Boito era costretto a chiedere di poter sentire qualcosa. Nove ottobre 1885, quando il quarto Atto à!Otello era finito, ma il dannatissimo terzo no: « Io non potrò compier bene quel breve lavoro di connessione che Lei aspetta da me, per quella scena, senza prima aver udito gli accenti e i ritmi notati da Lei » (Lettera 61). Figurarsi il povero Piave se avrebbe avuto di queste necessità!

Nessun traviamento, dunque, del genio musicale e drammatico di Verdi, ad opera delle seduzioni intellettualistiche di Boito, ma una collaborazione ad armi pari, almeno sul secondo versante, quale certo non sarebbe mai stata pensabile con Piave né con Solerà, e nemmeno con Cammarano

o con Ghislanzoni. Sarebbe totalmente sbagliato pensare che Boito, in fondo, cercasse di far scrivere da Verdi le opere « moderne » che non era capace a scrivere lui.

Con tutto questo non si nega che Boito, senza affatto prevar[...]

[...] spense / Pria di svelarlo (...) Pel cielo! / Uom possente tu se’! ». Siamo già all’altezza e allo stile di Otello.

Per contro Verdi boccia gentilmente, con molti elogi, un’idea abba166

MASSIMO MILA

stanza strampalata di Boito, quella d’un penultimo atto nella chiesa di S. Siro piena d’armati col Boccanegra alla testa, irruzione del Fiesco, zuffa, Boccanegra ferito a un braccio, Paolo che lo fascia con una benda avvelenata! « L’atto da Lei ideato nella chiesa di S. Siro è stupendo sotto ogni rapporto. Bello per novità bello per colore storico bello dal lato scenico musicale; ma mi impegnerebbe troppo, e non potrei sobbarcarmi a tanto lavoro » (Lettera 7). Forse Verdi rideva sotto i baffi nell’atto di ricusare questa complicata macchinazione, che faceva il paio con la sua idea di mettere un assalto dei Turchi nel terz’Atto di Otello.

Un’altra volta, da musicista a musicista, dà una piccola lezioncina al collega: « La pregherei di cambiarmi il verso o i versi del Padre per evitare la parola aureola. Io non sono difficile per[...]

[...]o Otello, Non tornerà più qui!! » (Lettera 88). Ancora due anni dopo sentivano quel gran vuoto. « Basta », scriveva Boito dalla villeggiatura canavesana di San Giuseppe, il 9 ottobre 1888, « Vorrei che ritornasse quel tempo quando ogni nostra lettera aveva per tema lo studio d’una grande opera d’arte » (Lettera 107). Verdi si baloccava con la scala enigmatica d’un’Ave Maria, e Boito quasi lo prendeva in giro: « Molte Ave Maria ci vogliono perché Lei possa farsi perdonare da S. S. il Credo di Jago » (Lettera 115). Salta fuori perfino (nota alla Lettera 117) la notizia sorprendente del progetto verdiano d’un poema sinfonico su La notte dell’innominato, ne parlò in un articolo su Manzoni e Verdi ne « La Lettura » nel giugno 1923, un misterioso X. Y., che asseriva di tenerne il racconto da Boito, con particolari circostanziati sulla trama sonoranarrativapsicologica del lavoro.

Perciò si capisce la prontezza con cui fu accolta da Verdi la proposta del Falstaff, sapientemente architettata da Ricordi con la complicità di Boito. « Facciamo ad[...]

[...]ne ciclonica, dichiarazioni opportunamente riferite in alcune delle note apposte a questo carteggio dai curatori. Recandosi a conferire con Verdi a Sant’Agata il 4 novembre 1889 (« Arriverò lunedi venturo e se il second’Atto non sarà ancora finito

lo finirò durante la settimana che starò a Sant’Agata », Lettera 130) quasi si scusava con l’amica per l’assenza (i loro incontri erano rari e difficili per la professione errabonda dell’attrice), e lei gli dava il suo benestare. « Andate dal vostro Galantuomo di Sant’Agata. Di quello mi fido. È il solo dei vostri amici che non giudica, né in bene né in male, i fatti degli altri ». (Curioso che Boito, scrivendo alla Duse, le dava del tu, chiamandola con dolci nomignoli d’alcova, Bumba, Buscoletta, e lei invece gli dava, pudicamente dannunziana, del Voi. Quanto a Verdi e Boito, il musicista passò dal Lei al Voi dopo 24 lettere, in un rapido dispaccio del 7 febbraio 1881; Boito rimase sempre fermo al Lei, Ella, con tanto di maiuscole, e due volte sole, forse per un lapsus, firmò solamente Arrigo, senza il cognome.)L’ANTICO E IL PROGRESSO NEL CARTEGGIO TRA VERDI E BOITO

171

È curioso sentire Verdi che, a opera quasi ultimata, s’informa da Boito se Falstaff vuole l’accento sulla prima sillaba o sulla seconda, e poco dopo rinnova la domanda per « Vindsor ». Le risposte di Boito (« Falstaff come tutti i nomi inglesi bisillabi è accentato sulla prima», Lettera 143; e: « Windsor. Cosi: Gàje comàri di Windsor è l’òra ecc... », Lettera 162) gli offriranno il destro d’una precisazione:

E qui[...]

[...]uesco personaggio era entrato come una realtà concreta nella vita dei due autori. « Il pancione è sulla strada che conduce alla pazzia », informava Verdi il 12 giugno 1891. «Vi sono dei giorni che non si muove, dorme ed è di cattivo umore; altre volte grida, corre salta, fà il diavolo a quattro... » (Lettera 173). E Boito di rimando: « Evviva! Lo lasci fare, lo lasci correre, romperà tutti i vetri e tutti i mobili della sua camera, poco importa, Lei ne comprerà degli altri, sfracellerà il pianoforte, poco importa, Lei ne comprerà un altro, vada tutto a soqquadro! ma la gran scena sarà fatta! Evviva! “Dài! Dài! Dài! Dài! / Che pandemonio!!”» (Lettera 174).

Sarebbe stato difficile immaginare questa ebbrezza, questa vera e propria intossicazione falstaffiana dalle interviste contegnose e riservate che Verdi rilasciava in pubblico in quegli stessi giorni. « No... Falstaff non è compiuto (...). Lavoro per mio divertimento (...). Potrò condurre a compimento Falstaff?... chi lo sa? Tanto meno posso dire se lo farò rappresentare: temo che l’ambiente della Scala sia troppo vasto per una commedia nella quale la r[...]



da Franco Lucentini, La porta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]a Napoli, il viaggetto a Genova, é finito, basta! Già che non é più figlia mia da un pezzo, ma se vuole stare qui, qui ha da stare e qui deve dormire, e deve aiutare a casa. Va bene? E degli americani, qui, non si deve sentire la puzza. Va bene? I viaggetti, eh? Brutta maledetta impunita! ».
Quello che a mia madre gli scocciava di piú, di tutta la faccenda di Adriana, erano i viaggetti, specialmente per il fatto che quando la figlia stava fuori lei si doveva sfogare da sola. Inoltre sospettava, con fondamento, che da questi viaggetti mia sorella ci ricavasse parecchio, e non si dava pace che a casa non si fosse mai visto un soldo.
«Insomma si può sapere dove sei stata tutto questo mese? » urlò attraverso il tramezzo a mia sorella, che s'era alzata e si sentiva muovere dall'altra parte.
Secondo i calcoli di mia madre, contando tre o quattro mila lire a notte, l'ultimo viaggetto di Adriana doveva avere fruttato sopra centomila lire. Invece non aveva fruttato niente, perché questa volta lei era finita subito a San Gallicano. Ma mia madre[...]

[...] ci ricavasse parecchio, e non si dava pace che a casa non si fosse mai visto un soldo.
«Insomma si può sapere dove sei stata tutto questo mese? » urlò attraverso il tramezzo a mia sorella, che s'era alzata e si sentiva muovere dall'altra parte.
Secondo i calcoli di mia madre, contando tre o quattro mila lire a notte, l'ultimo viaggetto di Adriana doveva avere fruttato sopra centomila lire. Invece non aveva fruttato niente, perché questa volta lei era finita subito a San Gallicano. Ma mia madre non lo sapeva.
«Allora andiamo? » disse mia sorella entrando in cucina con le valigie.
Mia madre, quando vide le valigie, quasi soffocava.
« Ah! Ahé! » disse.
« Troia! Mignottona! » urlò. « Ma che? Hai sentito quello che gli ho detto adesso a tuo fratello? E rivai via, adesso, che nemmeno sei tornata? E ti credi di ritornare un'altra volta, che io ti faccio tornare? Uh, sporcacciona, vattene, vattene, vattene che t'ammazzo ».
LA PORTA 81
« Io l'ammazzo, a questa. L'ammazzo! » urlava.
«Ma non gliel'hai detto che andavo via? », disse mia so[...]

[...], questo progetto tuo dei tre anni là dentro, non so se sia buono e nemmeno l'ho capito bene; ma se ci hai penato tanto per metterlo su è meglio che lo fai come hai deciso, oppure( cambialo e stacci dieci anni, stacci un anno solo, non ci stare per niente, ma io non ti voglio levare niente. Io poi mi posso sempre arrangiare magnificamente, una che mi mantiene la trovo sempre, senza che devo venirti a levare la roba a te ».
Non avevo pensato che lei avrebbe tirato fuori quell'altro argomento, ma mi accorsi subito, dalla faccia, che stava per farlo.
« Ha spiovuto » dissi in fretta, « vogliamo andare? ».
« Aspetta » disse. « Senti ».
« Sento » dissi scocciato.
Senti » disse. «Quando devi fare il mantenuto di una di quelle vecchie... Dico, quando ti devi mettere con una cafona di quel tipo, magari piú impestata di me, allora... non é che io ti stia a fare ancora delle proposte, delle dichiarazioni... ma allora il mantenuto mio non lo potresti fare? A te che ti costa? Di, non lo potresti fare? ».
Quando lei ricominciava con quella facce[...]

[...]» dissi in fretta, « vogliamo andare? ».
« Aspetta » disse. « Senti ».
« Sento » dissi scocciato.
Senti » disse. «Quando devi fare il mantenuto di una di quelle vecchie... Dico, quando ti devi mettere con una cafona di quel tipo, magari piú impestata di me, allora... non é che io ti stia a fare ancora delle proposte, delle dichiarazioni... ma allora il mantenuto mio non lo potresti fare? A te che ti costa? Di, non lo potresti fare? ».
Quando lei ricominciava con quella faccenda io non ci avevo altro argomento che quello, fondamentale, che non mi andava. Ma era difficile starglielo a sbattere in faccia ogni volta.
«E il progetto? » dissi goffo. «La vita in cantina? Volevi comin
ciare oggi e già ti sei stufata? ».
« Ah, quella é una scemenza » disse. « E una scemenza ».
« Sarà una scemenza » dissi, « ma ci sei stata appresso tanto tempo!
Ci tenevi tanto. Poi, pub essere pure che non sia una scemenza, che
ne so? In ogni modo...».
« In ogni modo » disse mia sorella, « lo sai che per averti a te pian
terei tutto, in qualunque mom[...]

[...]lie, un ferro da stiro.
«Mica male» dissi.
« Pere)» dissi, « almeno sul letto, invece di una coperta americana
ce ne potevi mettere una damascata. Rossa o azzurra. Tutte le donne
ce l'hanno ».
« Tutte le puttane, vuoi dire » rise mia sorella. « Ma io tanto ci devo
dormire sola ».
Oltre alla coperta del letto, tutta la roba che c'era li dentro era
americana, comprese le latte di benzina che dovevano servire per il
fornello e per il lume. Lei non aveva aperto le gambe per quattro soldi.
Le casse dei viveri, in certi punti, arrivavano al soffitto.
«Ma é un deposito dell'UNRRA! » dissi.
« Sono stati gentili con me » disse mia sorella. « Le casse me le por
tavano direttamente qui con le jeep ».
« Dietro quella tenda che c'é? » dissi.
« Il bagno » disse. « Cioé, proprio il bagno non c'è; c'é il cesso e
un lavandino ».
«Insomma stai sistemata benino» dissi. «Peró... ».
«Peró? » disse.
S'era seduta sul letto e s'era tolte le scarpe bagnate. Si stava cam
biando le calze.
« Per') ? » ripeté.
« Ecco » dissi. « Ci sono diverse [...]

[...] eh? » dissi dopo. « T'ho detto quello che ti dovevo dire. Te l'avrei detto prima, se l'avessi capito prima D.
Adriana si abbassò la veste, si infilò le pantofole. Venne vicino a me, accanto al tavolo, e mi dette un bacio sulla faccia.
«Tu sei sempre acuto» disse ridendo, «capisci tutto. Ma pensi sempre troppo a te, sei un pochetto presuntuoso, e allora qualche volta capisci tutto, ma non capisci il resto ».
« Che vuoi dire? » dissi smontato. Lei rideva, era molto bella, e si vedeva chiaro che in quel momenta se ne fregava di me, ci aveva qualche altra cosa che l'interessava. Non era la prima volta che ci facevo una figura così con una donna.
« Come sei caro! » disse tenendomi abbracciato. « Come , ti voglio bene! ».
« Adesso ti spiego » disse. « Tu hai capito bene, hai capita che non bastava. Non ti sbagli mai, tu! È vero che ci ho la grande passione, la grande speranza. Ma non sei tu. Pianterei ancora tutto, per te, ma quello che aspetto qui dentro non sei tu. Io pure, la commedia me la faccio da sola, non credere che sono tanto c[...]

[...]a tutto, per te, ma quello che aspetto qui dentro non sei tu. Io pure, la commedia me la faccio da sola, non credere che sono tanto cretina. Anzi me la volevo fare tanto da sola che non volevo nemmeno starti a spiegare, perché tu non credessi che ti ci volevo tirare dentro ».
«Vedi come ti sei sbagliato? E perché non mi vuoi bene! » disse baciandomi di nuovo. « È vero pure che non lo sapevi, tu, che qui c'è un'altra porta ».
Avevo i capelli di lei sulla faccia, brillavano alla luce del lume. « Che porta? » dissi di soprassalto.
« Quella lá » disse.
Si staccò da me e girò intorno al tavolo, andò in mezzo alla cantina.
« Questa » disse.
ß8 FRANCO LUCENTINI
A meta del muro di sinistra, da dove stavo io, si vedevano delle macchie scure che prima non avevo visto. Ma non sembrava una porta. Presi il lume e mi volevo avvicinare.
« No » strillò. « Il lume lascialo la ».
Lasciai il lume e mi avvicinai.
« Che cos'è? » dissi.
Dietro quattro tavole, inchiodate al muro di traverso, si vedeva il vano nero di una porta. La voce risuonava for[...]

[...]antinato, ma non sta nella costruzione; le fondamenta finiscono qui ».
« E dove porta? » dissi. « C'è un'altra uscita, li sotto? ».
« No » disse. « È scavato dentro la terra, non ci sono uscite. Non so quanto è grande, perché non ci sono mai scesa. Non so altro. Adesso mi dovresti schiodare queste tavole ».
Stetti un momento a pensare che altro ci poteva essere sotto quella storia: ero ancora sospettoso, anzi più sospettoso di prima, dopo che lei era riuscita a smontarmi. Poi ci rinunciai. Accostai alla porta una cassa di latte in scatola e ci montai sopra, cominciai a schiodare la tavola in alto.
« Ci hai un pezzo di ferro, qualche cosa per fare leva? » dissi. « Non viene ».
Andò al tavolo e si mise a cercare nel cassetto. La vedevo cercare con la testa chinata, i capelli biondi sul viso, nel cerchio bianco del lume. Portava un abito grigio, morbido, con una camicetta bianca. Per la prima valta pensai a quando sarebbe rimasta sola, seduta davanti al tavolo, aspettando.
Tornò con un coltello da cucina a un apriscatole.
«Puoi fare [...]

[...]re nel cassetto. La vedevo cercare con la testa chinata, i capelli biondi sul viso, nel cerchio bianco del lume. Portava un abito grigio, morbido, con una camicetta bianca. Per la prima valta pensai a quando sarebbe rimasta sola, seduta davanti al tavolo, aspettando.
Tornò con un coltello da cucina a un apriscatole.
«Puoi fare con uno di questi? » disse.
Presi il coltello ma non era forte abbastanza, si piegava.
« Dammi quell'altro » dissi.
Lei mi tese l'apriscatole, alzandosi sulla punta dei piedi. Nell'ombra, sembrava ancora piú morbida, con la sua faccia chiara e i capelli sciolti sulle spalle. Il lume brillava in fondo alla cantina.
LA PORTA 89
« Come sei elegante » dissi. « Come sei bella ».
« Che ti prende? » rise.
L'apriscatole non era molto adatto, ma riuscii lo stesso a schiodare
la tavola in alto. Le altre vennero via facilmente. Scesi dada cassa per
schiodare l'ultima.
Dalla porta veniva un odore di muffa. Una scala di legno, senza
ringhiera, portava in basso; si vedevano i primi gradini.
« Questo legno dev'esser[...]

[...]he ti credi di trovare? Che credi... Di un po', perché, prima, non m'hai fatto portare il lume? Non ridere, stupida! Che c'é, là sotto? ».
« Non lo so » disse. « Non ci voglio scendere e non lo voglio sapere. Non ci voglio nemmeno guardare col lume e non voglio che ci guardi tu ».
Mi cominciai a impaurire. Non credevo che fosse proprio matta, ma pensavo per forza che ci avesse qualche brutta intenzione. Guardai il coltello che teneva in mano.
Lei si mise a ridere.
« Quanto sei stupido! Che, hai paura che ti voglio ammazzare? » rise.
Non pareva isterica, ma non mi sentivo per niente sicuro. «Perché m'hai fatto levare le tavole? » dissi.
Seguitò a ridere, però non era più un riso allegro.
«Perché m'hai fatto levare le tavole?» dissi ancora.
« Vieni qui » disse, « mettiamoci a sedere ».
Tornammo verso il tavolo. Lei ripose coltello e apriscatole, poi si mise a sedere sul letto. Io la guardavo continuamente. Sapevo che se ne sarebbe accorta, ma le tenni lo stesso gli occhi sulle mani, attento a tutto quello che faceva.
« Puoi guardare sotto il cuscino » disse sconsolata. « Non c'é nessuna rivoltella ».
« Tu lo sai la vita che faccio » dissi. « Lo sai di che cos 'é che ho sempre paura. Mi dovresti capire ».
YU' FRANCO LUCENTINI
« Ti capisco » disse.
Restammo zitti per un pezzo, pensando ognuno per conto suo. Io stavo appoggiato. all'orlo del. tavolo, di fronte a lei.
Lei adesso pareva molto stanca. [...]

[...]arebbe accorta, ma le tenni lo stesso gli occhi sulle mani, attento a tutto quello che faceva.
« Puoi guardare sotto il cuscino » disse sconsolata. « Non c'é nessuna rivoltella ».
« Tu lo sai la vita che faccio » dissi. « Lo sai di che cos 'é che ho sempre paura. Mi dovresti capire ».
YU' FRANCO LUCENTINI
« Ti capisco » disse.
Restammo zitti per un pezzo, pensando ognuno per conto suo. Io stavo appoggiato. all'orlo del. tavolo, di fronte a lei.
Lei adesso pareva molto stanca. Si aggiustò il cuscino dietro la testa e si sdraiò.
« Prendimi le sigarette, nella borsa » disse.
Le presi le sigarette, tornai ad appoggiarmi al tavolo.
Fumò senza parlare. Restò a guardare il soffitto.
« Tu lo sai il sentimento che ci ho per .te » disse.
« Si » dissi. « Non é una cosa nuova ».
E non è solo_ quello » disse. c< Ci sono altre cose, che sento. Un mucchio di cose, non ti saprei dire precisamente. Se fosse diverso, se fosse una vita diversa, sono cose che si potrebbero ordinare... ci potremmo fare una figura decente, pulita. Ma c'é andata male. C[...]

[...]se... fanno solo un vomitò, in gola. Così come stiamo, tutto sarebbe megliq di questo vomito, di questo disordine. Se ci fosse una cosa sola, qualunque cosa, che mandasse via tutto il resto, che non desse tempo di sentire niente altro, che spazzasse via tutto... ».
« La grande passione » dissi.
« Che ci vuoi fare » disse. « Sono una povera puttana, no? ».
Si girò sul letto per schiacciare la sigaretta nel portacenere, sullo sgabello accanto a lei. Mi sorrise con un sorriso sforzato, sembrò che volesse cambiare argomento.
« Lo sai che sono abbastanza paurosa » disse. cc Non credi che potrei avere paura, qui dentro? ».
« Ma certo » dissi, « specialmente con quella porta aperta II in mezzo, senza nemmeno sapere che c'è sotto. Io credo che in tre anni ci diventerei un pazzo. Una volta... ».
Mi fermai di colpo, sbalordito.
« Ah...» dissi.
« Ah, questo » dissi.
Mia sorella mi guardava, aspettava che dicessi qualche cosa, che protestassi.
Mi alzai e cominciai a camminare per la cantina, guardando le scritte sulle casse dei viveri: «Ar[...]

[...]
« Ah, questo » dissi.
Mia sorella mi guardava, aspettava che dicessi qualche cosa, che protestassi.
Mi alzai e cominciai a camminare per la cantina, guardando le scritte sulle casse dei viveri: «Army Ration C »; « Evaporated Milk »; « Safety Matches »; « Cocoa »; « Army Ration C »; « Army Ration C ».
LA PORTA 91

Due volte mi fermai davanti alla porta e guardai in basso. Non si
vedeva niente, veniva un odore di muffa e fango.
Tornai da lei, mi sedetti sul letto.
« Così la grande passione era questa? » dissi. « La paura? Quello
che deve spazzare via tutto, ripulire tutto, é la paura? ».
« Non ho trovato altro » disse. « Io non ho saputo trovare altro ».
Mi prese una mano e la carezzava, poi la lasciò.
«Non credi che ce ne sia abbastanza di sopra, di paura? » dissi.
« Ma é sporca » disse. « È diversa. Quella che aspetto qui é un'altra ».
Lei aspettava la paura bianca, assoluta. Ce l'aveva già sulla pelle.
«Non so che dire » dissi. « Per il gusto mio é un po' forte. Mi sem
bra pure un po' inutile. Non capisco che cosa speri».
« Spero una cosa » disse. « Aspetto qualche cosa ».
« Ma che cosa? » dissi.
« Qualcuno » disse.
« Come? ».
« Aspetto qualcuno » disse.
« Ma tu mi vuoi fare diventare scemo » dissi. « Che é adesso que
sta novità? Chi aspetti? ».
« Oddìo » si lamentò, « non ti posso spiegare, non te lo so spiegare.
Sono così stanca. Stanotte non ho dormito per niente. Vorrei dormire ».
«Oh! e dormi! » dissi. «Mettit[...]

[...]la cantina, guardando i pacchi e le casse. Una cassa era aperta e mezza piena di riviste americane e romanzi; presi una rivista e tornai a sedermi accanto al letto. In quel momento Adriana aprì gli occhi, mi guardò, fece un grande urlo. Saltai sul letto, prendendola per le braccia.
« Adriana » strillai, « amore mio, che c'é, che é stato? Che hai? Tesoro, che hai? Sono io! Di che hai avuto paura? Che hai visto? Non avere paura. Ci sto qui io ».
Lei stette un momento a guardarmi, esterrefatta, con gli occhi spalancati e la bocca aperta. Poi chiuse gli occhi, li riaprì.
« Oddio » disse, « m'ero sognata... ».
Mi misi seduto sul letto e la sollevai per le spalle, cercando un altro cuscino da metterle dietro la testa.
« Aspetta » dissi, « ti prendo un altro cuscino, ti porto qualche cosa da bere ».
«No» disse, «stai qui. Stai qui ».
« Sto qui » dissi. « Non avere paura ».
La tenevo stretta contro il petto e la sentivo che tremava.
« Appòggiati così » dissi, sistemandola con la testa e le spalle appoggiate a me. «Non avere paura ».
S[...]

[...]l'improvviso tremava più forte.
«Mi sono sognata...» disse.
«Non parlare» dissi, «stai calma. Adesso stai calma, tesoro, non parlare».
La camicia le era scesa dalle spalle, la ricoprii. .Le carezzavo le braccia, i capelli, il viso. Masse una mano sulla coperta, cercando la mia. Prendendole la mano pensai a tutta la vita che aveva fatto, alla vita che avevo fatto io. Alla vita che facevamo tutti. Le tenni la mano stretta, senza parlare, mentre lei tremava sempre più piano.
Alla fine si calmò, girò la testa e mi guardò, sorrise.
« Povera me » disse, .« quanto sono stupida. Che sorella stupida che ci hai ».
LA PORTA 95
«Non sei stupida » dissi. « Sei un amore. A tutti gli può succedere
di credersi chi sa che, di volere fare chi sa che, e poi dopo si vede
che non si può fare, che non gli si fa, che é meglio fare come tutti.
Anche a te ti può succedere, hai visto? Queste non sono cose per te...
Tu sei piccola... carina... ».
Si mise a ridere.
« Non sono mica piccola. Sono alta » disse.
« Va bene » dissi, « sei alta. Ma adesso ce[...]

[...]stricciattolo ».
Mi guardò ridendo.
96
FRANCO LUCENTINI

« Tu sei sempre cosh » rise. « Con te non si pub parlare. Perché poi dovrebbe essere orribile? Potrebbe essere un bellissimo giovane! ». Giusto » dissi. « Ma allora a che ti serve che sia uno spettro, un mostro? Non ne puoi trovare uno che non é mostro, senza stare a girare tanto? Senza..., senza stare a... aspettare tanto? ».
Seguitò a ridere e risi io pure, ma ridevo stonato. Lei . se ne accorse e non rise piú. Voltò piano la faccia in sú, con gli occhi azzurri spalancati, guardandomi senza espressione. Respirava appena, con la bocca sotto la mia.
Bestemmiai e mi volli alzare, ma non mi potevo muovere.
H.
Fuori doveva essere giorno, a momenti. Il lume s'era quasi spento.
«Franco, dormi? » disse.
Guardavo il soffito, che non si vedeva quasi piú, le ombre radu
nate agli angoli. Lo specchio dell'armadio luccicava come gli specchi
delle camere mobiliate, la sera, tra gli ultimi sospiri e le lenzuola spie
gazzate, col sudore addosso freddato.
« No » dissi.
« Non [...]

[...]mente, con una smorfia avvilita, arrossi. Fino al collo e ai capelli.
« Che stupida! » disse. « Dio, che stupida. Come non ci pensavo! ». « Ce le puoi buttare dopo » dissi imbarazzato, mentre salivamo le scale.
Ma non sarebbe stato lo stesso, come se ce le avesse buttate davanti a me. Anche l'ultima scena, una scena innocente, le era andata male. Ci aveva fatto un'altra figura da stupida, per giunta, davanti a me.
Se la pieta che ci avevo per lei fosse stata un po' più grande, appena, di quella che ci avevo per me, allora qualche cosa, forse, si sarebbe potuta davvero rompere... Io l'avrei potuta spaccare, per lei e per me. Ma per un'altra pieta non c'era posto. Ci fu solo un momento, all'ultimo, mentre stava per richiudere la porta. Pensai a tutto il tempo di paura che l'aspettava, fino a quando sarebbe scesa per la scala di legno, per riprendere la chiave... E poi a quando sarebbe risalita, a quando si sarebbe ritrovata un'altra volta nella luce grigia di sopra, come adesso mi trovavo io... Volevo prenderla per la mano, dire, ma non mi mossi. Davanti alla porta richiusa, restai a sentire i passi . che scendevano.
Tornai al Caffè Notturno. Ma anche gli altri caffè, ormai, stavano aprendo.
« Mi fa un[...]

[...]ttro mesi dovettero fare posto a un'infornata di politici, mi tolsero l'isolamento.
« Dài una pulita » disse la guardia. « Fai bene la branda e metti la roba tua da una parte. Arrivano due. Sta attento che sono persone per bene, non sono delinquentoni come te. Sta attenta che te ne puoi pentire ».
Arrivò un tizio distinto, bene in carne, con un giovanottello mezzo deficiente, dall'aria feroce.
Quello distinto era pure molto gioviale.
« Anche lei politico, naturalmente! » disse appena entrato, stendendomi la mano.
« Ho rubato » dissi.
Rimase sconcertato, con la mano per aria.
«Ma... politicamente? » disse.
« No » dissi. « Non credo. Ho rubato a una banca ».
Quello si incazzò spaventosamente, mandò a chiamare il sottocapo, disse che non s'era mai visto mettere i politici con i delinquenti comuni. Alla fine si dovette calmare, visto che non c'era altro posto. Accettò le scuse del sottocapo.
«Del resto» disse sorridendo il sottocapo, « loro sono qui di passaggio! La loro posizione, spero, sarà presto chiarita! ».
« Ah, lo credo be[...]

[...]rubato a una banca ».
Quello si incazzò spaventosamente, mandò a chiamare il sottocapo, disse che non s'era mai visto mettere i politici con i delinquenti comuni. Alla fine si dovette calmare, visto che non c'era altro posto. Accettò le scuse del sottocapo.
«Del resto» disse sorridendo il sottocapo, « loro sono qui di passaggio! La loro posizione, spero, sarà presto chiarita! ».
« Ah, lo credo bene » lo rassicurò quello, « lo credo bene! Come lei sa, Sua Maestà si interessa direttamente di noi! ».
Il giovanottello non aveva detto una parola. Venne da me e guardò la roba che avevo sistemato sopra la mensola accanto alla finestra.
« Tu sgombra la roba tua e mettila là » disse indicando la mensola vicino alla porta, dalla parte dei buglioli. « Sposta pure la branda, qui ci dobbiamo stare noi ».
« Hai sentito quello che ha detto? » disse il sottocapo. « Fai presto, che si devono sistemare le altre brande ».
Per tutto il tempo che stettero a sistemarsi, il giovanottello seguitò a cercare un modo per farmi mandare in cella di punizione [...]

[...]ma ero stato sempre calmo.
« Adesso calmati » dissero. « Noi ripassiamo dopo ».
Quando ripassarono m'ero calmato.
((Ti sei calmato? » dissero.
« Sì » dissi.
((Ti serve qualche cosa? ».
« No » dissi. « Grazie, non mi serve niente ».
Quello della truffa mi offri un bicchiere di vino.
« Grazie » dissi. « Non bevo ».
Tutto quel giorno e il giorno appresso pensai a Adriana. Alla paura di sopra e a quella di sotto. All'idea che ci aveva avuto lei di andarsi a mettere là sotto. Alla porta che guardava lei e alla porta che guardavo io. Dalla porta che guardavo io adesso, ci entravano gli scopini, il sottocapo, le guardie, il prete, il barbiere; quelli per truffa, per politica, per furto, per ammazzamento. Poi sarebbe cambiata, l'ombra dell'inferriata non ci sarebbe nemmeno passata più, la sera, e ci sarebbe entrata qualche vecchia, qualcuna meno vecchia, ma meno fessa no; qualche altro borghese, militare o prete; qualche amico e parente da farci qualche bella conversazione, tanto da riaggiustarsi i coglioni un momento; qualcuno che sarebbe entrato contento di trovare un amico, ma che poi non av[...]

[...] di farmi passare la febbre. Ogni volta che suonavano il campanello saltavo. Non avevo paura che fossero i poliziotti, pensavo che poteva essere Adriana. Perché poi la cosa, adesso, non era più così spirituale come s'era messa al principio. Adesso me la sognavo, la notte, che ci stavo a letto. Il giorno ci ripensavo. Tutto il giorno e la notte, alla fine, ci stavo a pensare. Ma c'erano di mezzo quelle due porte chiuse. Poi, non sapevo nemmeno se lei stesse ancora là dentro. Poteva essere che se ne fosse andata, senza tornare .a casa. Poteva essere capitata qualche altra cosa.
Non aspettai che la febbre mi fosse passata. Mi alzai una sera verso
LA PORTA 105
le sei, andai in cucina a farmi la barba. Ci avevo le gambe deboli, ma la testa non mi faceva male, anzi mi sentivo leggero.
« Che, mi dái una stirata ai calzoni? » dissi a mia madre.
« Che, stai meglio? Esci? ».
« Vado a fare due passi » dissi.
Per la strada non ci avevo fretta, mi fermavo a guardare le vetrine. Al Pantheon mi misi a sedere sul muretto e guardavo i gatti, di so[...]

[...]'anno prima; non c'era nessun segno per capire se Adriana era uscita o no. Tornai sulla strada e mi fermai sul portone a pensare, mi accesi una sigaretta. Dopo tornai e bussai forte con un pezzo di mattone, tre volte. Poi bussai ancora, ma più forte non potevo bussare, sarebbe venuta gente. Aspettai una mezz'ora, con l'orecchio alla porta, ma non si senti nessun rumore. Cercavo di ricordarmi la lunghezza della scala, della cantina, per capire se lei avrebbe potuto sentire o no. Poi ricominciai a bussare ogni tanto, più forte, approfittando del rumore di qualche camion, delle saracinesche che si chiudevano, nella strada. Prima che chiudessero il portone me ne andai. Tornai a casa e mi rimisi a letto.
Due sere dopo stavo un'altra volta appoggiato al portone di quella casa. Pioveva. M'ero portato delle vecchie chiavi, del filo di ferro, per vedere se mi riusciva dì aprire, ma non s'era aperto. Avevo bussato ancora, ma nessuno aveva risposto. Poi ero andato girando un po' per le strade finché non aveva cominciato a piovere. Adesso stavo rip[...]

[...]grembiule bianco legato sul davanti, macchiato, con una blusetta stinta. Teneva in mano un pacchetto involtato in carta di giornale.
«Franco, Franco » diceva. « Franco ».
Mi prese un braccio e lo stringeva forte, tirando la manica. Inghiottivo e non potevo parlare. Le carezzai la mano che teneva il pacchetto, fredda e bagnata, le aggiustai la manica del grembiule, che s'era appiccicata intorno al polso. Stesi la mano per carezzarle la faccia e lei si accostò di piú, mi strinse convulsa mentre le baciavo la bocca fredda, nel buio, con un tuono nelle orecchie sempre più vicino, che stava per scoppiare.
Ma lentamente si staccò e si passò una mano sulle labbra. Poi le braccia le ricaddero lungo il corpo e rimase ferma, guardando il muro dietro a me.
«Amore mio» dissi, ma la voce non suonò.
«Adriana» dissi, e le presi una mano, ma lei la ritirò.
« T'avevo mandato una lettera » dissi. « Una lettera dove ti dicevo che io, adesso... ti volevo bene, ma tu... Credevo che tu» dicevo, adesso invece non era più come... Era finito.
Guardava sempre il muro, aggiustando la carta bagnata del pacchetto, che si rompeva.
« Si » disse. « È finito ».
« Ho freddo » disse. « Ero uscita un momento, così in grembiule... ». « Così» dissi, « adesso esci? Non stai più sempre lá sotto? ».
« Ero andata a comprare qualche ovo » disse. « Quelle fresche sono meglio di quelle in polvere che ci ho giù ».
« Io ero venuto l'altro ieri » dissi. « Ho [...]

[...]lcuno, delle conoscenze. È venuto un ame
ricano... No, non per quello che pensi tu... Non lo faccio più, adesso.
Ma poi ci ho una donna che fa la pulizia, mi lava un po' di roba, e c'è
qualche altra persona, si sta un po' a parlare... ».
« Per me » dissi, « anche se ci hai un americano... posso venire giù
un momenta... Stiamo un po' a sedere... ».
Si avviò per la scala della cantina, dove adesso ci avevano messo un
lume. Io scesi dietro a lei.
« Così la porta... » dissi. « Quello che doveva entrare...? ».
« Ah..., ah, niente » disse. « Niente ».
L'americano era un sergente inglese, la stava aspettando in fondo
alla scala.
« Allò » disse.
« Giò » disse mia sorella, « questo si chiama Franco, é un amico ».
«Amico» disse l'americano.
Altri quattro o cinque stavano seduti al tavolo in fondo. Una donna
stava lavorando al fornello, ci venne incontro e prese il pacchetto delle
uova.
« Questo é un amico » disse mia sorella a quelli che stavano in
torno al tavolo.
« Piacere » dissi.
« Ah, piacere! » dissi quando vidi che uno [...]

[...]e a fondo di ogni questione. E fa bene! Lo spirito del giornalismo é un po' come quello della religiosità, quando sia illuminato dalla 'fede ».
Il discorso non pareva molto chiaro, ma sembrò che il dottor Micheli lo apprezzasse e anche il sergente italiano annui con la testa. La ragazza col pettone s'era appoggiata coi gomiti sul tavolino per sentire meglio. Guardai Adriana, ma non pareva che ci trovasse niente di straordinario, anzi entrò pure lei nella conversazione.
« Anche mio... il mio amico, qui, ha lavorato in un giornale » disse. «Ah, un collega! » disse il dottor Micheli, ma non pareva molto convinto. Però si alzò e mi dette la mano.
« Permette? » disse. « Dottor Micheli ».
« Piacere » dissi.
Adriana » dissi, « io devo andare via, mi accompagni? ».
«Non prenda freddo, signorina » disse il dottor Micheli. « Si metta almeno qualcosa sulle spalle ».
«No, lo accompagno solo fino alla porta ».
Vidi l'americano che ci veniva appresso; voleva trovare Adriana da sola, per la scala, quando sarebbe riscesa. Al principio della seco[...]

[...], la presi per le braccia e la misi contro il muro, 'scrollandola.
«Adriana» dissi. «Che é successo? Che t'è successo? Che hai fatto? Come l'hai potuto fare? ».
« Ahi » disse. «Non mi fare male ».
Guardandola adesso vidi come era dimagrita, come era ridotta, con gli occhi annebbiati e la pelle della faccia senza colore. I capelli pare
LA PORTA 109
vano grigi, la voce non si riconosceva più. La paura doveva essere cresciuta, lá sotto, mentre lei non se ne accorgeva. Doveva essere salita su da quel pozzo mentre lei credeva ancora di resisterci, di potersi difendere. Poi doveva averla presa all'improvviso e sbattuta, sfasciata del tutto. M'ero immaginato una cosa così fino dal principio. Ma non m'ero immaginato che lei al momento dello sfascio avrebbe chiamato il prete... Il prete e quegli altri... Adesso ci stava in mezzo. Lei, che per quanto avesse fatto e girato, in una merda simile non c'era stata mai.
« Adriana », dissi carezzandola. « È stata la paura, no? E per la paura che stai crisi? Che ti sei ridotta a stare con quelli? ».
« Perché? » disse. « Che ci hanno, quelli? ».
« Non sono come gli altri? » disse.
« Come gli altri? » dissi. « Come gli altri? Si. Si, ma...».
« Tu ci hai di meglio? » disse. « Conosci qualcuno meglio, da mandarmelo qua? ».
Volevo ancora rispondere, mi pareva che ci dovesse essere qualche cosa da rispondere, ma non c'era. C'era una cosa sola, forse ci avrei avuto ancora la faccia [...]

[...]crisi? Che ti sei ridotta a stare con quelli? ».
« Perché? » disse. « Che ci hanno, quelli? ».
« Non sono come gli altri? » disse.
« Come gli altri? » dissi. « Come gli altri? Si. Si, ma...».
« Tu ci hai di meglio? » disse. « Conosci qualcuno meglio, da mandarmelo qua? ».
Volevo ancora rispondere, mi pareva che ci dovesse essere qualche cosa da rispondere, ma non c'era. C'era una cosa sola, forse ci avrei avuto ancora la faccia di dirla, ma lei lo disse prima.
« Che, tu ti credi... » disse. « Tu ti credi di essere meglio, tu? ». Cominciai a risalire per andarmene. Poi mi fermai, dissi:
« Non mi volere male » dissi. « Ti voglio bene. Adesso non ci ho la forza di dirti le altre case che ti volevo dire. Ci ho la febbre, mi sento male. Tornerò quando stare, meglio. Adesso ti volevo dire che io... si, hai ragione, non sono meglio, forse non sono meglio. Ma se ti ricordi come eri tu quando ti ho lasciata qui, quando aspettavi qualcuno da quella porta... Tu, allora, eri meglio. Aspettare che qualcuno entrasse di là sotto era da pazzi, fo[...]

[...]rò mi dovettero mettere all'ospedale per un altro po' di tempo e ci ebbi maniera di mandare avanti la domanda per la residenza, con certi soldi che m'aveva trovato mia madre.
Quando tornai da Adriana la cantina era piena di gente. Stavano seduti sulle casse svuotate o per terra, appoggiati al muro. Il prete e il dottor Micheli, con altri due, stavano al tavolino e pareva che ci avessero fatto una specie di ufficio. Mia sorella stava seduta pure lei sopra una cassa, con due americani. La strappai dalla cassa e andai dritto dal prete, tenendola per un braccio.
« Che le avete fatto? » dissi.
Agguantai il prete pel collo e li scrollavo tutti e due, lei e il prete. Il dottor Micheli s'alzò e se ne voleva andare.
« Stai li » dissi. « T'ammazzo ».
Le lasciai il braccio e la presi per una mano.
« Che t'hanno fatto? » dissi. « Questo bagarozzo che ci ha fatto, qui sotto? La missione? La parrocchia? Tutti questi altri perché ce l'hanno chiamati? Per spartirsi meglio la roba? Per averci i testimoni a scarico? ».
Guardai il letto che pareva mezzo sfasciato.
«A te pure ti si sono spartita, eh? » dissi. «Tutti quanti o solo il comitato? E la roba tua se la sono spartita questi quattro, no? ».
Mia sorella non disse niente. Guardava da una parte [...]

[...]o, qui sotto? La missione? La parrocchia? Tutti questi altri perché ce l'hanno chiamati? Per spartirsi meglio la roba? Per averci i testimoni a scarico? ».
Guardai il letto che pareva mezzo sfasciato.
«A te pure ti si sono spartita, eh? » dissi. «Tutti quanti o solo il comitato? E la roba tua se la sono spartita questi quattro, no? ».
Mia sorella non disse niente. Guardava da una parte e 'cercava di liberare la mano. Il prete, quando vide che lei stava zitta, con uno strattone si liberò e si alzò in piedi.
« Se lei crede di doverci rivolgere degli appunti per quel che riguarda la distribuzione » disse, « può esaminare il registro e parlare liberamente con tutti i nostri assistiti. La invito, in ogni modo, a valersi di modi più civili. Per ogni altra cosa, se é parente dell'Adriana, può rivolgersi qui al signor Commissario ».
LA PORTA 111
Niente da dire, l'avevano messa in mezzo per bene. Il signor Commissario era uno di quegli altri tre.
«A disposizione» disse. «Vicecommissario di polizia Borino. Lei non mi sembra una faccia nuova ».
« Se é per la questione della residenza » dissi, « non vi credete [...]

[...] quel che riguarda la distribuzione » disse, « può esaminare il registro e parlare liberamente con tutti i nostri assistiti. La invito, in ogni modo, a valersi di modi più civili. Per ogni altra cosa, se é parente dell'Adriana, può rivolgersi qui al signor Commissario ».
LA PORTA 111
Niente da dire, l'avevano messa in mezzo per bene. Il signor Commissario era uno di quegli altri tre.
«A disposizione» disse. «Vicecommissario di polizia Borino. Lei non mi sembra una faccia nuova ».
« Se é per la questione della residenza » dissi, « non vi credete di mettermi paura. Sulla lista di quelli da rimpatriare non ci sto più».
« Sulla lista delle persone per bene » disse alzandosi e allungandomi due schiaffi, « ancora "non ci stai ».
Adriana approfittò dello scatto che feci e tirò via la mano, corse dall'altra parte della cantina. Altri due mi tennero per le spalle e il dottor Micheli, che s'era alzato un'altra volta per scappare, si rimise a sedere.
« Questo resta a disposizione per gli accertamenti » disse il commissario a quelli che mi te[...]

[...]ccertamenti » disse il commissario a quelli che mi tenevano.
Disse il prete: «Sia indulgente, sa, signor Commissario. Se é per quello che ha fatto a me, che per poco mi strozzava, e credo che l'intenzione di strozzarmi veramente ci fosse, gli perdono di cuore. Quanti mai, sapesse, anche tra i più sciagurati, come questo, avrebbero diritto più alla nostra compassione che alla nostra giustizia! ».
« Ma in questo modo » disse il dottor Micheli, « lei, Padre, viene a giustificare i delinquenti! ».
« Ah, no certo, caro dottore » disse il prete. «In questo modo, io vorrei ricordare che la carità si deve esercitare anche con i discoli! La stessa Chiesa, del resto... Ma non vorrei tediarla con argomentazioni filosofiche! ».
« No, continui Padre » disse il dottor Micheli. « L'argomento mi interessa profondamente ».
Venne davanti al tavolo il sergente italiano e salute,.
« Sono le sette » disse. « Faccio distribuire il latte? ».
« Si, ma mi raccomando » disse il prete, « il massimo ordine, ché non abbiano a ripetersi incidenti ».
«Non é un[...]

[...]an brave persone, sa ».
112 FRANCO LUCENTINI
« Ah, si » disse quello, intenerito. « Tu » disse a me, « adesso vatti a mettere in fila per il latte. Poi ci avremo tempo di discorrere ».
« Sergente », chiamò, «dài un gavettino pure a questo ».
Il sergente mi mise in mano una scatoletta di carne vuota, con una galletta.
« Stai qui in fila » disse.
« Allineàti! » disse.
« Anche le donne! » disse alla ragazza col pettone, che oramai stava pure lei coi proletari e cercava di passare avanti come se ci avesse avuto ancora qualche diritto.
Un'altra, che era . incinta, stava da una parte.
« Lei torni pure a sedersi, signora Bertozzi » disse il sergente. « Le farò portare là la sua razione ».
Intanto quelli che stavano al tavolo s'erano fatti apparecchiare e aspettavano che la donna al fornello avesse finito di cucinare per loro. Adriana non si vedeva.
Mi voltai e la vidi due file dietro la mia, col suo grembiule macchiato e con una scatoletta vuota e la galletta in mano.
Volevo andarle vicino, ma gli altri non mi fecero muovere finché iI sergente con un vecchio ché portava il bidone del latte non fu passato e il latte non fu distribuito a tutti. Era latte concentrato allungato co[...]



da Angus Wilson, Totentanz in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]bianche, lo sguardo d'aquila dello studioso che conosce gli
uomini cc tanto che ci siamo scordati quanto rivoluzionarie sieri alcune di esse D. Per la verità, la sua nozione di ciò che pensavano i suoi subordinati era estremamente vaga, un dirigente deve tenersi al di sopra di certi particolari.itSenza dubbio, saranno fuochi d'artificio, ma non escludo che l'età giovanile di Capper, la sua energia, gli assicureranno il successo. Non trova anche lei, Todhurst? »
La bianca faccia lustra e paffuta di Todhurst, cosparsa di peli rossicci, rimase impassibile. Era molto più giovane di Capper, e ancora deciso a non dimenticare che si trovava in una morta gara. Con pronuncia ostentamente Yorkshire, rispose: o Capper non é poi tanto giovane; può darsi che abbian sentito altre volte tutto quello che lui dirà, e non é escluso che glielo facciano capire ».
Il Preside riuscì abilmente ad ignorare questa risposta perché si avvicinava il viso rosso di Sir George, l'uomo d'affari più ricco e influente del Consiglio Universitario. Quell'omaccione rozzo[...]

[...]balzo una poltrona per avvicinarsi a parlare con Sir George. « Spero tanto di vederla spesso, con Lady Maclean, se tutte queste riunioni lo consentiranno ». In presenza del Preside stette serio, impettito, un poco in soggezione: «Mi riesce impossibile esprimere adeguatamente tutto quel che porterò via di qui... ». Senza dubbio, Brian aveva ritrovato se stesso. I denti bianchi e regolari scintillavano mentre parlava con la maglie del Preside. Con lei si presentò quasi ammiccando, da conquistatore professionale, perché in fin dei conti non era donna da la sciarsi abbindolare: «La cosa piú terribile è che il mio primo pensiero su questa faccenda é stato per tutte le cose buffe che ci aspettano! ». Con Todhurst, mostrò di condividere lo sprezzo per la morta gora: «Non starò a dire che avrei voluto che la nomina spettasse a
te, perché non lo penso. A parte le kunstgeschichte, vecchio mio, lo sappiamo tu ed io che tutta questa faccenda é una montatura! Non
dico con questo però che non ho intenzione di cavarne qualche cosa di utile, e proprio[...]

[...] lo aveva ravvivato la notizia: vivo, e così terribilmente scaltro,
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eppure modesto, e, dietró a tutto il resto, solido come una roccia, un giovane di quarant'anni che, certamente, sarebbe andato lontano.
Il suo metodo era molto più diretto, non aveva mai avuto le capacità innate da ciarlatano che aveva suo marito, anzi, a volte, le trovava ripugnanti. Non c'era più nessun bisogno di darsi pena per tutta quella gente, ormai, e lei non aveva la minima intenzione di farlo:
cc Sarebbe una sciocchezza dire che ci vedremo ancora, Sir George» gli disse, prima che lui potesse raccapezzarsi a rivolgerle qualche domanda. cc Soltanto nel prospero nord le arti vengono condotte su schemi puramente finanziari ». Todhurst, lo ignorò, come tutti gli altri professori giovani: «Dovete esser proprio felice! » le disse Jessi Colquhoun, la poetessa dei laghi. « Non potrò essere completamente felice» le rispose Isabel «fino a che non avremo passato il confine ». Alla moglie del Preside disse: ((Naturalmente, perderemo ogni contatto, ma no[...]

[...]e domanda. cc Soltanto nel prospero nord le arti vengono condotte su schemi puramente finanziari ». Todhurst, lo ignorò, come tutti gli altri professori giovani: «Dovete esser proprio felice! » le disse Jessi Colquhoun, la poetessa dei laghi. « Non potrò essere completamente felice» le rispose Isabel «fino a che non avremo passato il confine ». Alla moglie del Preside disse: ((Naturalmente, perderemo ogni contatto, ma non ne son così felice come lei pensa ». Infatti, pensava, se l'eccentricità di quella vecchia non fosse stata provinciale e scorbutica a quel punto, si poteva anche invitarla a Londra. Gli strali più velenosi, li serbò proprio per il Preside; mentre egli intonava: « Ci mancherà terribilmente, signora Capper! e il nostro Capper, l'uomo più capace della Facoltà! ». cc Mi piacerebbe tanto sapere che cosa dirà al Consiglio quando si renderanno conto della perdita che hanno fatto, il che avverrà inevitabilmente ». Rispose Isabella «Ci vorranno un mucchio di spiegazioni ».
Eppure, aveva proprio ragione la moglie del Preside, er[...]

[...]e bucavano la pelle, gli occhi troppo accesi, faceva pensare ad una strega in agonia. Non c'era voluto molto tempo perché la superiorità dei suo spirito e del suo gusto cessassero di dar fastidio in un mondo nel quale erano incomprensibili, e ben presto la noia e la mancanza di un pubblico impressero alla sua ironia un sapore saccente, tanto che alla fine la leggenda della lingua tagliente della signora Capper aveva cominciato a dar su i nervi a lei quanto agli altri. Il raso bianco e oro, i mori di legno della, sua camera stile Regency avevano cominciato ad irritarla man mano che perdevano freschez za, ma le sembrava fuori luogo rinnovare il mobilio, anche qualora avesse potuto permettersi quella spesa, in onore di gente
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che disprezzava tanto. Fingeva sempre meno di leggere e interessarsi di musica, anzi a malapena metteva il naso fuori per mesi. Tutto quel che sarebbe piaciuto in un ambiente più raffinato, qui era frainteso: il suo Anglicanismo intellettuale era considerato una goffa bigotteria, il suo adorato Carava[...]

[...]rella s'era salvata appena a tempo. Povera creatura patetica, con le sue meschine ambizioni ed i suoi abiti da cerimonia, va incontro a momenti molto difficili ! ».
Questo stato d'animo profetico si comunicò in parte a miss Thurkill, la quale si trovò a rispondere:
« Lo so. Non è orribile ? ».
Rimasero ferme un momento, stagliate contro il cielo grigio e tempestoso, la moglie del Preside con l'ampio impermeabile nero gonfio di vento dietro di lei, simile ad un pipistrello sinistro, miss Thurkill esile e tutta angoli, che pareva uno sciacallo che latra. Poi, la giovane donna ebbe un riso nervosa:
Bé, mi lasci scappare, se no mi bagno fino alle ossa ».
Non afferrò bene la risposta dell'altra per l'ulular del vento, ma suonò stranamente simile a «perché no? ».
Naturalmente, si trattava d'una esagerazione smodata di miss Thurkill il parlare di « cadaveri » in: casa, perché da un pezzo
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le ossa di zio Giuseppe e di zia Gladys erano irrevocabilmente trasformate in coralli dell'Atlantico, o sulla via di diventarlo. Ma ne[...]

[...]an.
Isabel era molto soddisfatta di tutto questo, ma mirava a qualche cosa di più che l'ambiente accademico, per elegante che fosse — era una romantica incorreggibile e dietro alle spalle di Brian vedeva una lunga teoria di mistici soldati di ritorno dalla Persia, di esploratori introvertiti, giovani Conservatori abili, Domenicani influenti, e romanzieri del continente di fama internazionale strappati dalle grinfie dell'O.G.P.U. — e, al centro, lei, la donna che contava. Il successo di Brian sarebbe stato un contributo, il denaro ancora di piú. Per il momento, il suo ruolo era passivo, le bastava farsi accettare e per questo era sufficiente il suo Anglocattolicismo chic — quasi domenicano come sapore teolo
gico, e quasi Gesuita Contro Riforma come gusto estetico — com binato con quel suo spirito maligno, le capacità mimiche e l'aspetto interessante. Nel frattempo, vigilava e imparava, riceveva con molta larghezza, era gentile con tutti e sceglieva accuratamente i pochi importanti destinati a portarla allo stadio successivo — le persone[...]

[...] ricche e dotate di parentele, che s'interessassero di storia dell'arte, ce n'era a josa, e di queste Lady Maude era certo fisicamente la mena incoraggiante. Con quegli occhietti miopi da majale, gli ampi cappelli precariamente appuntati su viluppi malsicuri di chiome color henné, il corpo immenso avviluppato di lontra, sarebbe sfuggita a qualsiasi occhio meno acuto di quelli di Isabella. Ma Lady Maude era stata dappertutto, aveva visto tutto. A lei erano stati rivelati tesori che la segretezza sovietica o la religiosità mussulmana avevan celato a qualsiasi altro sguardo occii dentale, milionari americani le avevano mostrato capolavori di provenienza talmente dubbia che non si potevano esporre pubblicamente senza complicazioni internazionali. Aveva passato ore ed ore a guardare i migliori falsificatori contemporanei all'opera. Aveva una memoria precisa e particolareggiata, e, benché le andasse calando la vista, le sue spesse lenti registravano ancora tutto quello che vedeva come se fosse stato fotografato da una macchina. All'infuori del[...]

[...] di ospiti, esitava. Fu in quel momento che
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conobbe Guy Rice. Sin dal suo arrivo a Londra, aveva visto tanti bei giovani invertiti, tutti con le stesse identiche voci, cravatte, pettinature complicate e frasario, che ormai era incline ad ignorarli. Non dubitava che alcuni di essi fossero importanti, ma era ben difficile distinguere in mezzo a tale uniformità e desiderava non commettere errori. Guy Rice, però, stabili di conoscere lei; intuì subito quanto fosse malcerta, dura e decisa. Era proprio il ricco chiodo che gli serviva per appenderci il suo formidabile fiuto per i «pastiches », che, se ne accorgeva allarmato, minacciavano di diventare fondi di magazzino. Derubarsi a vicenda, d'altro canto, era uno scambio leale, pensava, mentre la osservava in conversazione con un gruppetto davanti al fuoco.
«Non ho mai potuto capire» diceva ella «perché mai coloro che hanno combinato dei guai debbano scusarsi con il dire che non possono accettare l'autorità. Ma in questo caso, non mi sembra che la pazzia sia una buona scusa ». [...]

[...]va ella «perché mai coloro che hanno combinato dei guai debbano scusarsi con il dire che non possono accettare l'autorità. Ma in questo caso, non mi sembra che la pazzia sia una buona scusa ». Era uno dei suoi argomenti. preferiti. Guy batté la mano sul divano accanto a lui.
« Venga a sedersi qui, cara» le disse, con quell'accento apertamente plebeo che s'era sempre rifiutato di perdere — dopo tutto, era un modo di distinguersi anche quello.
« Lei fa tutto quel che può, vero? Ma s'accorge che non. funziona D. E seguitò a farle la lezioncina ed a darle consigli sui modo di comportarsi. Strano a dirsi, Isabella non se ne dispiacque affatto. Quando lui le disse: «Lei potrebbe essere così carina, mia cara, se si provasse, e sarebbe tanto piacevole, non trova? Tutti quei discorsi intelligenti, benissimo, ma quel che vuole la gente è di spassarsela un po', all'antica. Quel che desiderano? feste, quelle grandi riunioni perfettamente organizzate come si facevano in altri tempi » infatti, Guy era piuttosto anziano come giovanotto. «Divertirsi, capisce, da bambini, ma con raffinatezza ed anche con un pizzico di perfidia: e lei è proprio il tipo da offrir loro questo ». Le guardò da vicino il viso pallido, smunto. «Lo scheletro alla festa da ballo, ecco che cos'è[...]

[...] essere così carina, mia cara, se si provasse, e sarebbe tanto piacevole, non trova? Tutti quei discorsi intelligenti, benissimo, ma quel che vuole la gente è di spassarsela un po', all'antica. Quel che desiderano? feste, quelle grandi riunioni perfettamente organizzate come si facevano in altri tempi » infatti, Guy era piuttosto anziano come giovanotto. «Divertirsi, capisce, da bambini, ma con raffinatezza ed anche con un pizzico di perfidia: e lei è proprio il tipo da offrir loro questo ». Le guardò da vicino il viso pallido, smunto. «Lo scheletro alla festa da ballo, ecco che cos'è lei ».
La loro sorprendente amicizia aumentò di giorno in giorno: andavano a far commissioni, a far colazione insieme, ma il piú delle volte bastava loro stare a sedere uno vicino all'altro davanti
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ad una tazza di the, perché andavano pazzi entrambi per due buone chiacchiere. Egli la mise al corrente sul conto di tutti, con. giudizi spregiudicati non senza una punta di buon sentimentalismo scout del genere: « Io non le frequenterei troppo, cara; sono un po' fuori del giro! Povere care! Dicono che siano state delle tali vipere, un tempo! » oppure « ci si aggrappi con tutte le s[...]

[...]di buon sentimentalismo scout del genere: « Io non le frequenterei troppo, cara; sono un po' fuori del giro! Povere care! Dicono che siano state delle tali vipere, un tempo! » oppure « ci si aggrappi con tutte le sue forze: quella è una persona utile. La lasci parlare, tesoro, non domanda di meglio. Forse, alle volte, si sente un po' sola, capita a tutti ». La rassicurò anche a proposito del marito.
« Cosa ne pensa di Brian? » gli aveva chiesto lei.
«Lo stesso preciso di quel che ne pensa lei, cara. Mi secca a morte. Ma non si preoccupi, c'é migliaia di persone che adorano quel genere. Ognuno ha i suoi gusti ».
Le scelse gli abiti, dicendo con un sospiro: «Oh, Isabella, cara, come é sciccosa! » fino a che ella perdette quella pennellata di ricercatezza eccessiva che la moglie del preside aveva notato subito. Con il suo aiuto, ella fece della casa di Portman Square uno scenario magnifico, forse un tantino troppo perfetto. Egli s'intendeva di arredamento come un autentico professionista, e avendo spazio e denari a sufficienza, lasciò briglia sciolta alla sua passione per le contami[...]

[...] secondo impero, qualche pezzo divertente d'arte moderna; ma il suo maggior trionfo fu un ampio bucataio con impianti tubolari, biancheria americana e piante grasse in vasi: «Facciamo un caro, vecchio bucataio anteguerra, nel simpatico antiquato stile Monaco» aveva detto; e i Capper, perplessi, avevano acconsentito.
Differivano su di un punto solo: Isabella era irremovibilmente propensa a far le cose più economicamente possibile, dato che tanto lei quanto Brian avevano una tendenza innata per metter da parte. Guy si rifiutava di interessarsi a questo aspetto della sua esistenza, ma le presentò quello che sarebbe stato il quarto dei suoi grandi sostegni: Tanya Mule.
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È la più gran prostituta a piede libero, tesoro » le spiegò egli cc ma accetta proposte che nessun altro accetterebbe. Ha avuto il vento in poppa da quando é cominciata la guerra, da quando cioè l'arte del trovarobe è salita ai più alti fastigi ».
La signora Mule era stata bellissima nello stile di Gladys Cooper, ma ora aveva un viso devastato da milioni di r[...]

[...]rmoree, fu un riuscitissimo « Suicidio di Chatterton ». Parve ad Isabella che avesse l'aria un poco malinconica durante la serata, ma, quando gli chiese se aveva qualcosa, egli le rispose distrattamente: « No, cara, pro
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prio nulla. Forse, « un poco innamorato della morte clemente ». Voglio dire, i divertimenti risultano strazianti, quando ci si trova, no?». Ma, come la vide rabbuiarsi, le disse: « Ma no, non se la prenda, tesoro, lei è arrivata! » e, infatti, Isabella era troppo felice per pensare a qualcun altro oltre che a se stessa. Infatti, molte ore dopo che se n'era andato l'ultimo degli invitati, rimase tutta felice seduta davanti ai monumenti a farli a pezzi con un martello. E cantarellava tra sé e sé: cc Ve l"ho fatta, zio e zia carissimi! Spero che sia l'ultima volta che mi verrete a seccare qua dentro! ».
Entrando nel suo lussuoso appartamentino d'una camera, Guy si sentì vecchio e stanco. Si rendeva conto che Isabella non avrebbe ancora avuto bisogno di lui per molto tempo, ben presto sa rebbe stata avviata a[...]

[...]l bel mezzo di una festa, come faceva lui. Improvvisamente, sul tappeto, scorse una lettera scritta nella calligrafia rozza che gli era familiare. Per un momento gli girò la testa e si appoggiò alla parete. Impossibile seguitare così, a caccia di quattrini, per sempre. Per questa volta, forse, poteva procacciarsene da Isabella, in fondo gran parte del successo lo doveva a lui, ma questo non avrebbe fatto che affrettare la rottura inevitabile con lei. E, anche se aveva il coraggio di mettere a tacere questa, ce n'erano tante altre richieste di denaro, in altrettante diverse scritture rozze, che tutto il sentimentalismo del passato diventò paura. Rimase a lungo nell'ampia vasca verde, poi si mise a sedere di fronte allo specchio duplice per compiere una complicata manovra di creme e ciprie. Finalmente, indossò una vestaglia di seta bianca e rossa, e appese nel guardaroba la parrucca ed il costume di Chatterton. Quanto gli sarebbe piaciuto che Chatterton fosse lì per farci due chiacchiere. Poi, si diresse all'armadietto bianco dei medicinal[...]

[...]elciato umido di High Street, gettando una luce tenue e malinconica sulle pozzanghere di pioggia che s'erano formate qua e lá tra i ciottoli. Raggio ingannevole, però, poiché il vento soffiava gelido. Miss Thurkill si strinse addosso la toga professorale sull'esile persona, mentre usciva dalla sala di conferenze, e si affrettò verso il Caffè Erica. Voltando l'angolo, presso la libreria Strachan, scorse la moglie del Preside che avanzava verso di lei. Malgrado la temperatura gelida, la vecchia signora si moveva lentamente, perché l'amara messe invernale di influenza e bronchite le aveva indebolito il cuore; ora, pareva grassa e vacillante come i suoi bulldogs.
« Ha avuto la nomina a Londra ? » gridò — domanda crudele, perché conosceva benissimo ld. risposta negativa. —. « Tornata nella tomba, eh? » prosegui « Bé, almeno qui sappiamo d'esser morti ».
Miss Thurkill sogghignò nervosamente: «Non si direbbe che a Londra siano molto più vivi » disse. (( Sono andata a trovare i Capper, ma non sono riuscita a farmi aprire la porta: si sarebbe d[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Lei, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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