Brano: [...]ra chiusa lo portò a tale santuario, dove rimase in permanenza. quattro mesi, rimanendo lei al capezzale, dove finalmente si guarì. Intanto per non chiudere il negozio di vendita a minuta e il caffettuccio, fece venire due sorelle sue da Saviano, (e da questo proposito ricordo a tutti che i migliori nemici sono i parenti) ed insieme alla serva e [al] garzone,. fecero man bassa di quello che era rimasto, così fu completato quasi la distruzione della casa, che il mio povero padre, e perché no? anche. mia madre, con sudore di sangue avevano acquistato.
Tirando avanti alla meglio, e per la lunga convalescenza di mio padre, e per la tenacia di mia madre fino al mese (non ricordo) dell'anno 1886 rimanemmo a Benevento. Però ai miei genitori sopravennero (malgrado fossero giovani) due cose. Mio padre divenne apatico, e poveretto non aveva torto, e a mia madre la mania di cambiar casa e paese, che completò il disastro. Ci trasferimmo ad Avellino, io pieno d'intelligenza, e desiderio vivo di entrare in convitto, sogno che svanì, rimanendo coll'aver f[...]
[...]e paese, che completò il disastro. Ci trasferimmo ad Avellino, io pieno d'intelligenza, e desiderio vivo di entrare in convitto, sogno che svanì, rimanendo coll'aver frequentato pochi mesi la terza elementare e Basta — niente più scuola —. Ad Avellino trasferimmo con due carrette una piena di mobilia e che, ricordo, era bellissima, s'intende di quei. tempi, e l'altro carretto ben carico di merce, cioè terraglie e cristalli.
Ad Avellino fittammo la casa Via Umberto 1°, e precisamente dove è ora il negozio di scarpe di Arturo Petracca: avanti la vendita e dietro l'abitazione. Ma gli affari scemavano giorno per giorno. Stando
(2) Nel ms. : « un fratello frate u.
54 ANGELO MUSCETTA
così le cose, a mia madre oltre la mania di cambiar casa, gli sopravvenne la nostalgia del paese suo natio (Saviano) e quella delle sorelle (molto affettuose per il saccheggio fatto) e nell'anno 1887 ci trasferimmo a Saviano. Tale trasferimento era contrario a mio padre, ma mia madre 10 convinse con uno stratagemma: quella casa era piena di spiriti, spiriti che, n[...]
[...]etro l'abitazione. Ma gli affari scemavano giorno per giorno. Stando
(2) Nel ms. : « un fratello frate u.
54 ANGELO MUSCETTA
così le cose, a mia madre oltre la mania di cambiar casa, gli sopravvenne la nostalgia del paese suo natio (Saviano) e quella delle sorelle (molto affettuose per il saccheggio fatto) e nell'anno 1887 ci trasferimmo a Saviano. Tale trasferimento era contrario a mio padre, ma mia madre 10 convinse con uno stratagemma: quella casa era piena di spiriti, spiriti che, neanche farlo apposta, apparivano durante l'assenza di mio padre. A questo proposito, chiedo perdono alla mia povera mamma, di queste accuse necessarie per la narrazione esatta, e non vorrei mi maledicesse, dall'altro mondo, perché l'ho amato e venerato can quell'affetto che si deve ad una madre, che ve n'é una sola. Mio padre, buono, onesto e lavoratore, acconsentì a questo altro trasloco (e molti altri dolorosi ne seguirono). A Saviano fittammo una casetta modesta per dormire, un piccolo deposito per la merce, con una stalla annessa: perché, dimenticavo di[...]
[...]suti e siccome questa sorella di mia madre non aveva figli, pensò bene mia madre non pagarglielo più: pagò,, s'intende, solo al sarto, pochi soldi. Descrivervi la moda della confezione è inutile, ricordo solo questo, che le mani si affaticavano per trovare le tasche, e dimenticavo dirvi che la stoffa [non era] di marca Made Englis ma semplicemente cotone cécere, qualche cosa come le tute dei muratori moderni. Però ero felice, la sera frequentavo la casa di un lontano parente di mia madre, calzolaio, e con suo figlio mio cugino, imparai qualche cosa, però ero retribuito bene, avevo 12 soldi. La domenica al giorno (1) quando tornavo dal mercato di Caiazzo ed insieme a mio cugino si usciva a fare qualche passeggiata, ed in tempo di stagione estiva, prendevamo lo spumone dell'epoca, e cioè 1 soldo quattro
(1) Di pomeriggio
MEMORIE DEL CAV ANGELO MUSCETTA 55
giarrette di neve zuccherato, con colori variopinti, anche se non nocivi (I), e dalla sera, specie d'inverno, al Teatro dell'Opera ossia l'Opera dei pupi. Quando avevamo il borsellino pien[...]
[...]A piedi, seguendo il carretto, e facendo buona guardia alle masserizie, feci circa quattro chilometri. La distanza, e la fame sopraggiunta, pareva quella strada che non finiva mai. Mio padre aveva avuto cura di fittare una bella casetta di due stanze e una bella cucina al primo piano, senza balconi, con due finestre, e propriamente in una traversa, sul Gran
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 57
Chaimin d'Aix, Rue Pherafins n. 6, poco lontano, dalla casa dello zio; e cosí, dopo averci pulito alla meglio, ci recammo a pranzo da questo zio. Mio padre ebbe cura di comprare una gallina per farci un ottima tazza di brodo (tanto necessaria a mettere a posto il nostro intestino rimasto privo di alimento per quattro giorni) malgrado la mancanza di suppellettili, che man mano venivano comprati, con qualche piccolo risparmio: tantoppiú che mio padre, per il suo carattere buono, e per la sua onestà e attaccamento al lavoro, dal Capo reparto, (che Doi divenne nostro compare, perché un figlio suo fu tenuto a battesimo da mio padre) ebbe un posto di fiduci[...]
[...] ed il lunedì successivo alle otto del mattino, [andai] a prendere servizio.
La domenica alle ore diciassette ricordo pioveva dirottamente, ed io non avevo ombrello, mi rincresceva sciupare il vestito nuovo e bello che avevo indossato. Aspettai, pochi minuti, smise di piovere e in fretta mi recai in casa del maestro, con un poco di ritardo, e feci le mie scuse. Mi ricevette nel suo studietto piccolo, ma pulito ed elegante, cosí come il resto della casa. Fece a me diverse domande, e volle sapere che cosa facevo, e chi erano i miei genitori. Gli raccontai in breve la mia posizione, ed i guai passati della mia famiglia, gli raccontai anche che l'indomani sarei andato core apprendista da quella grande calzoleria, il di cui name era Battista Sassone, che per fortuna il maestro conosceva perché cliente. Dissi che sarebbe stato mio desiderio prendere servizio come commissionario, ma non avevo il libretto di lavoro. Il maestro mi ascoltò benevolmente, e mi promise farmi avere il certificato di terza classe Elementare Francese (necessario per avere [...]
[...]un mio cugino avvisato a tempo e caricammo le poche masserizie e noi, partendo alla volta di Saviano. I parenti ci accolsero con gioia, ci istallammo in casa di due sorelle di mia madre, suore zia Peppa e zia Filomena, in attesa di stabilirci, forse ad Avellino. Ed infatti dopo quattrocinque giorni, partimmo io e mio padre alla volta di Avellino, pregando la sorella di mio padre, zia Angelarosa, il marito zio Sabino e zio Sabatino (che abitava alla casa del Notaio Titomanlio padre in via Beneventana) pregando questi parenti venirci in aiuto, anche a titolo di prestito, per iniziare il lavoro. Ma intanto, un poco perché le loro case non andavano bene, un poco per farci assumere una certa responsabilità, pregarono il compare Fusco perché c'improntasse qualche cosa, per iniziare il lavoro.
Qui entriamo nella terza fase, e potrei dire « dall'ago al milione »..
Verso la fine di agosto, sempre del medesimo anno, il compare Fusco consegnò a mio padre 8 coppi da lire 5 cadauno di bronzo, cioè in tutto lire 40 (ed a questo proposito, in cuor mio n[...]
[...] quell'epoca, comprammo un carrettino e un somarello, mezzo malandato, non vispo come il somarello che avevamo prima di emigrare in Francia. Fittammo un basso di due vani, una piccola cucina, il vano di entrata serviva per mettere quel poco di merce, e l'altro vano per dormire; vi era il letto grande, ed un letto ad una piazza e mezza, che dormivo io e le sorelle;
e questa casa è quella dove abita attualmento lo spazzino Erricuccio, di fronte alla casa dove abitava Mariuccia alla ferrovia. Fu pattuito lire 12 mensili, compreso una stalluccia che si accendeva dal portone vicino a Santomauro. Col nostro piccolo carretto facemmo tre viaggi, per portare i letti, materassi, un comò e una colonnetta, residui della mobilia di Benevento, perché il resto fu tutto venduto. Questa residua di mobilia la rimanemmo a Saviano, quando partimmo per Marsiglia,
e finalmente mia madre fu sodisfatta per questo trasloco e che tu l'ultimo.
Fuori i Platani, e propriamente di fronte al nuovo Ospedale, vi era una fabbrica di vetro soffiato, ossia vetro ordinario c[...]
[...]ffet, accettò senz'altro, e si stipulò, tramite il compare Fusco, il contratto di cessione tra il vecchio gestore Amedeo Fontana di Brescia, ottimo organizzatore, che per ragioni di famiglia doveva trasferirsi al suo paese, e mio zio Sabino Tommasetta. E la gestione fu affidata a me, naturalmente sotto il controllo di mio zio Sabino, e così il 21 aprile 1897 avvennero le consegne.
Si era trasferita. da Saviano ad Avellino (andando ad abitare nella casa attualmente di Sabino Venezia, confinando con la casa che avevamo presa in fitto dallo stesso) una sorella di mia madre di nome Matilde, col marito Gavino Martinetti di Iglesias (Sardegna) maresciallo di finanza a riposo, con cinque figli; il primo Peppin, che tutti conoscete, il secondo Giovanni, Domenichina, Tilde, e Palmira, tipo allegro, di cuore e lavoratore. La moglie, zia Matilde, tipo diverso dalle sorelle, bella, elegante, insomma signorile, terribile come mia madre (poteva dalla signorilità passare alla donna del popolo), aveva la stessa mania di mia madre, di effettuare spesso traslochi. Di fatti dopo quattro anni si trasferirono a Sa[...]
[...]ne avesse parlato a Don Ciccio Bocchino suo tutore, alla zio Canonico e a zio Francischiello, e poi saremmo andati a Montefusco, a parlare di ogni cosa. Passarono due mesi dalla fiera, ed il fratello Capotreno Carlo Recine era stato a Montefusco e ne aveva parlato alla sorella, ed agli zii, e cosí id 15 novembre 1897 nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefusco, io, lo zio Sabino, e il compare Fusco — ed eravamo diretti alla casa dello zio Don Ciccio Bocchino. Però il compare Ciro propose di andare prima alla casa della sposa, e cosí facemmo. Per quanto preavvisati della nostra visita, la futura sposa rimase sorpresa, e dopo di averci lo stesso ricevuti ci disse gentilmente che la richiesta doveva essere fatta in casa dello zio Bocchino, giusto come si era rimasto stabilito, si parlò del piú e del ;meno, e bastò questo perché i nostri cuori incominciassero a battere all'unisono, e bastò fra noi due .un furtivo sguardo (che è il primo linguaggio dell'amore) per intenderci. Preceduti da un buon tratto, da una strada diversa lei si diresse dallo zio Bocchino suo tutore, e dopo poco anche noi raggiungemmo [...]
[...].un furtivo sguardo (che è il primo linguaggio dell'amore) per intenderci. Preceduti da un buon tratto, da una strada diversa lei si diresse dallo zio Bocchino suo tutore, e dopo poco anche noi raggiungemmo l palazzo, che era in fondo al paese. Ci presentammo, ed arrivato al mio turno, lo zio Bocchino disse: — Ma
(1) Caro
78 ANGELO MUSCETTA
io conosco bene Angelino, figlio di Amato — Diventai rosso come un gambero, perché ricordavo che in quella casa, negli anni precedenti, dalla
piazza del mercato portavo dei cesti di roba, che lo zio Bocchino acquistava da mio padre, ed io come misero ,garzoncello andavo in quella casa, perché la zia Luisella Recine Bocchino mi riempiva le tasche piene di frutta a secondo la stagione, oltre un bel pezzo di pane, con salame o formaggio, e altro ben di Dio. Lascio a voi lettori, figli nuore nipoti, la mia grande umiliazione, entrare in qualità di futuro sposo, in quella casa, che diversi anni prima avevo vergogna e paura di sporcare i pavimenti, con le scarpe piene di chiodi.
S'intavolarono le discussioni, e superate quelle piú essenziali, cioè le simpatie suscitate reciprocamente, fra me e la sposa, si parlò della posizione reciproca, non per farne un mercato, ma perché bisognava dar conto allo zio Canonico, allo zio Francischiello e al fratello Capotreno di residenza a Napoli. Quindi lo zio Bocchino si riservò dare una risposta entro quindiciventi giorni. Ci offrirono del vino perché s'era fatto tardi, per quanto il compare Fusco ripetute volte fece comprender[...]
[...]ella di zia Cristina, però all'indomani andammo a salutare un altro zio in secondo grado, Giacomino Recine, ammogliato senza figli, ed abbastanza ricco, e costui volle assolutamente che fossi andato a dormire da lui tutte le sere che mi trattenevo a Montefusco, per tutto il periodo di fidanzamento, e per quest'altro zio,
80 ANGELO MUSCETTA
diventai piú di un figlio. E quindi la seconda sera fui suo ospite: la sua abitazione era poco lontana dalla casa della fidanzata, e dal balcone della mia camera da letto alla finestra della camera da letto della fidanzata ci divideva un piccolo vicolo stretto. Io dormivo in un letto grande insieme a questo zio, letto con quattro materassi di lana, che io non ne avevo la massima idea: di una sofficità che, per me, quei tre o quattro giorni di permanenza a Montefusco rappresentavano un paradiso, perché ad Avellino id mio letto era un piccolo materasso su un tavolo da pranzo, e il riposo era solo di trequattro ore. A questo proposito, voglio raccontarvi un piccolo episodio. Una sera faceva un freddo terrib[...]
[...]no i pensieri che in me stesso fantasticai durante le tre ore idi viaggio, avevo una voglia matta di piangere, ero buono di animo, tenero ancora di età, ma vecchio di esperienza, di lavoro, di sagrif2cii, e nei miei venti anni nulla avevo goduto, e fidavo nel destino e nella Provvidenza, in giorni migliori.
Stavamo per arrivare a Montefusco e cercai dominarmi, svegliandomi dal torpore di amarezze in cui ero innocentemente caduto, e mi avviai .alla casa, dove una creatura umana mi aspettava piena di amore e piena di passione, salutai, lei che sulla soglia della porta mi aspettava, salii in fretta quei sei scalini esterni, tenuti da una inferriata, ed entrai salutando e baciando la mano alla zia Filomena, seconda madre di Vincenzina, poiché rimasta orfana lei e il fratello Carlo. Questa zia di anima buona, mezzo devota, fu per lei una vera seconda madre. Con una forza di volontà cercai dominare il mio turbamento, portando i saluti di tutti i miei, ma a Vincenzina non era sfuggito che io non era il tipo allegro delle altre volte, a cui raccont[...]
[...]llo Carlo (unico fratello) non potette intervenire allo sposalizio perché la figlia Amelia (di cui è una protagonista di queste memorie, come rileverete nei primi capitoli, e che poi divenne mia seconda moglie) era in quel periodo in fin di vita, ammalata di tifo, che in seguito fortunatamente superò.
Dopo la cerimonia, si partí alla volta di Avellino, accompagnati da quasi tutti i parenti intimi e fioccava la neve piacevolmente. Ad Avellino nella casa dove abita adesso Siani Vincenzo, ci aspettava un lauto banchetto. A questo proposito debbo precisare una cosa. Mio zio Sabino aveva i suoi gravi difetti, ma aveva anche i suoi meriti, e cioè ci teneva a fare bella figura, un poco perché aveva assistito a due lauti e lussuosi banchetti, un poco anche per riguardo ai parenti venuti da Montefusco, tutti parenti 'rispettabili e perché no? dei veri signori.
Noi avevamo un cuoco abruzzese al 'buffet, che era qualche cosa di speciale, ed a lui lo zio Sabina affidò l'incarico di un menù speciale, dall'antipasto alla lasagna imibottita (perché era c[...]
[...]bi pietà di loro e pensando anche quanto avevano fatto per me, creandomi una famiglia, finii per accettare, e tranne mio padre che seguitava il suo mestiere, e mia madre che con la cameriera vigilava cinque camere mobiliate nel palazzo Alvino, che avevano nove ferrovieri a pensione, io, mia moglie e le mie sorelle, ci riunimmo con zio Sabino e zia Angelarosa. Per ragioni di economia, cambiammo casa. Io e mia moglie due camere al secondo piano, alla casa di Giordano (Melella); e dove sta ora la trattoria di Melena presero alloggio mio padre, mia madre e mia sorella.
Mio zio Sabina e mia zia Angelarosa fiatarono la casa al secondo piano dove sta ora il bar di Umberto Avagliano, compreso di tre camerette e cucina. Le tre camerette furono utilizzate per piccolo albergo, mentre la piccola cucina fu adibita per camera da letto di mio zio e mia zia, cucina umida, che a stento conteneva i1 letto. Avevo pietà dei miei zii nel .modo come si erano potuto adattarsi, ma intanto andava in certo qual modo pareggiare il bilancio molto passivo. Quanti sacrificii, quante privazioni, è inutile descriverlo, eppure ringraziavo sempre la provvidenza. Eravamo arrivati a1 gennaio del 1903 e sembrava che le cose
MEMORIE DEL CAV. [...]
[...]ra di comprarci una casetta, perché il loro progetto era quello di vdlersi rimpatriare con la famiglia. Questa rimessa fu di un gran sollievo, perché mio zio Sabino, profittando ohe vi era una pianta disponibile (l'attuale fabricato) alla ferrovia, pensò di iniziare il lavoro, e costruire un fabricato, composto di dodici vani, oltre i scantinati. Si iniziarono i lavori, vennero altre rimesse dal Brasile fino a raggiungere la somma di lire 8.500. La casa fu ultimata, e con l'appaltatore Maiali padre fu stabilito che la resta dell'importo del fabricato venisse pagata in tre annualità. Mio zio Sabino e mia zia Angelarosa si stabilirono nel nuovo fabricato, e segnatamente nella camera attuale n. 8 col balcone prospiciente sul piazzale della stazione, ed il resto delle camere per uso di albergo. Io, Vincenzina mia moglie e i due bambini Amato e Sabino ci trasferimmo al palazzo di Ciro Alvino al primo piano. Si lavorava, e s'intravedeva un futuro miglioramento finanziario.
In quell'epoca, non so per quale ragione, ci fu una grande immigrazione, [...]
[...]e lire 41 che in quell'epoca era una forte somma. La buonanima di Vincenzina, mia moglie, e lo zio Sabino e zia Angelarosa, non potevano fare a meno di commentare le mie gioviali trovate. Quanta ero felice.
Nel gennaio del 1905 rimpatriarono dal Brasile il cognato di mio zio Sabino con la moglie e tre figli, e naturalmente si piazzarono in casa nostra a mangiare e dormire. Ne avevano il diritto, perché mio zio doveva a loro, se si era costruito la casa. Intanto il mio dubbio incominciava a rodermi il cervello, pensando che questi nipoti, due donne e un maschio, giovanotti, potevano farmi dare lo sgambetto, per piazzarsi loro con lo zio, e io con moglie e due figli potevo trovarmi sul lastrico. Affidai il mio destino alle preghiere, ed una forza occulta mi fu di sprone: diventai dinamico, instancabile, e con il lavoro enorme che si era venuto a creare si aveva bisogno di aiuto, di altro personale, e naturalmente mio zio Sabino cercò utilizzare i suoi parenti, che tornati dal Brasile erano diventati tanti parassiti, non sapevano e non volevan[...]
[...]ruirsi o comprare una casa. E tutto questo non era una cosa facile.
Mio zio Sabino possedeva una casa dopo il palazzo Maioli prima del ponte dell'acquedotto del Serino, composta di quattro vani ed accessorii, e su questa casa era stata ipotecata la dote di mia moglie Vincenzina. Ed un giorno, profittando della malattia di mio zio Sabina, gli suggerii che la questione dei parenti brasiliani si poteva risolvere nei modi seguenti: cedere a costoro la casa di quattro vani, su cui era gravata l'ipoteca, facendo passare detta ipoteca alla casa fabricata di recente alla ferrovia, naturalmente con una deliberazione del Tribunale, trattandosi di ipoteca dotale.
MEMORIE DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 93
Dopo numerose e difficili pratiche, ottenni tale deliberazione: fu ceduta questa casa, dando a contanti la differenza, e con sollievo mio e dello zio Sabino ci liberammo dei parenti parassiti brasiliani, i quali pensarono a vivere per conto loro. Un figlio era barbiere, una figlia sarta, la quale si sposò un sarto di Pianodardine, e dopo poco tempo uno dopo l'altro emigrarono nell'America del Nord.
I1 1906 mio Zio Sabino ebbe un forte atta[...]
[...]ttere che mettessi fiori e accendessi dei ceri. Non mancai comprare una nicchia che a quell'epoca (date le mie condizioni finanziarie) era già una cosa di lusso, accarezzando sempre un sogno, che poi divenne realtà, di far riposare le sue ossa eternamente in una nicchia di una nostra cappella gentilizia.
Da quell'epoca incominciò una vita nuova per me; piena di sacrificii e piena di responsabilità. Fu necessario trasferirmi dal palazzo Alvino alla casa da poco fabricata, e precisamente nella camera n. 8 abitata dal defunto zio Sabino, e alla stanzetta attigua n. 7 si trasferì la zia Angelarosa, con i miei due figli Amato e Sabino, mentre nel basso, dove attualmente esiste la trattoria di Melella Giordano, abitava mio padre, mia madre, e le mie due sorelle, tornate da S. Giorgio del Sannio.
Il lavoro del buffet era di molto aumentato: poco per volta pagai tutti i debiti lasciati dal mio povero zio, fino all'ultimo centesimo, perché non volevo che si parlasse male di mio zio defunto. Posso garantirvi che la mia felicità era completa, lavorav[...]
[...]i ogni specie, ai vini pregiati di Chianti, ai migliori liquori. Avevo in cassa come riserva lire 6000, somma favolosa per quei tempi, e che al momento che scrivo non si può comprare neanche un paio di scarpe modeste. Eravamo tanto felici, che abbracciavamo il lavoro a piene mani.
L'anno 1910, e precisamente nel mese di maggio, si ammalò il mio povero padre con un forte dolore nelle costale che non gli dava tregua. Fu giuocoforza trasferirlo nella casa nuova al n. 5, per non dare l'impressione che i medici per visitarlo dovevano entrare in quel basso umido, ed intanto diversi medici non sapevano decifrare la natura di quel male. Finalmente dovetti decidermi far venire da Napoli uno specialista che si decise fare qualche puntura, e pare che il 20 giugno migliorava leggermente, e che mi lasciasse intravedere qualche speranza. Come se non bastasse la mia preoccupazione per lui, si ammalò la mia povera Vincenzina. Dopo visitata mia moglie, mi disse queste testuali parole: — Per vostro padre uniformatevi che non vi è speranza: la sua miglioria è[...]
[...]TTA
per gli altri figli, che per un buon padre rimane sempre uguale per tutti, anche se in momento di narrazione se ne voglia tessere qualche elogio.
Dal principio del secondo matrimonio non fu il solo negozio che fu causa della mia ascesa a gradazione, ma furono molti i sagrificii: due sole camere per dormire, una per noi ed un'altra piccola (che fu adibita dopo per salotto) per la zia Angelarosa, e i figli Amato e Sabino, e tutto il resto della casa adibita per albergo, che ci ha sempre fruttato abbastanza, oltre tre quartini al palazzo Alvino di fronte, che fittavamo, a camere mobigliate, che la mia povera mamma e una persona di servizio ne curavano la manutenzione. La nostra vita fu sempre piena di sagrificii, di lavoro, di privazioni, essa non conosceva, nè concepiva il lusso, solo si affacciavano alla mente i primi due rimorsi (se così vogliamo chiamare) per la mia povera Vincenzina e per il mio povero padre, che solamente quando era venuto il momento che potevano godere la vita, la falce crudele della morte mi vietò tale ambito desi[...]