Brano: [...]utue influenze fra scienze religiose diverse, e da singolari convergenze di orientamento pur nella varietà di indirizzi, di provenienze culturali, di metodi e di prospettive. Etnologi come Frobenius, Jensen, Malinowski, Leenhardt, storici e fenomenologi della religione come R. Otto, Hauer, van der Leeuw, Eliade, W. Otto, Kerényi, sociologi come LévyBruhl, LéviStrauss e Caillois, filosofi come Cassirer, Bergson, Machelard, Gusdorf, psicologi come Jung e Neumann, hanno inaugurato una valutazione della vita religiosa e del mito che, in netto contrasto con l’età precedente, è orientata verso il riconoscimento di profonde motivazioni esistenziali del « sacro », del « mitico », del « simbolico ». Ciò che sorprende di più in questa generale convergenza di indirizzi diversi verso un obiettivo tendenzialmente affine è che ad un certo momento entrano nel movimento, o ne appaiono comunque influenzate, anche tradizioni culturali che, per la loro provenienza e per le loro origini variamente laicizzanti, razionalistiche, idealistiche, materialistiche e[...]
[...]lematica del genere. Così, p. es., nel quadro della scuola di Marburgo, tradizionalmente interessata alla ricerca delle condizioni logicotrascendentali della scienza, Ernesto Cassirer dallo studio del simbolo matematico nella scienza passa alla analisi della struttura e della funzione del simbolismo mitico (1); il movimento psicoanalitico che procedeva da presupposti materialistici e positivistici si volge, soprattutto per opera della secessione junghiana, ad una rivalutazione della vita religiosa e del mito; la tradizione epistemologica francese, che già col Bergson accentua le radici esistenziali della funzione fabulatrice (2), palesa con Gastone Bachelard una netta flessione verso il mondo dei « simboli » (3).
Una analoga vicenda è possibile riscontrare nella tradizione sociologica francese, particolarmente a proposito del LévyBruhl; il quale nei suoi primi lavori sulla mentalità primitiva si muove ancora sul piano
(1) E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, II (Das mythische Denken), Berlino 1925.
(2) Bergson, Le de[...]
[...]nconscia dei comportamenti irrazionali della vita religiosa, ma si finiva poi col perdere il piano cosciente e la qualità specifica della esperienza del sacro. Alla interpretazione freudiana della religione si poteva obiettare che la religione non è riducibile a maschera della sessualità per la stessa ragione che il Duomo di Colonia, ancorché sia fatto di pietre, non può essere valutato con i criteri della mineralogia (11): ma nei ri
(11) C. G. Jung, Wcmdlungen und Symbóle der Libido, in.Jahrbuch fùr Psychoanalytische un psychopatologische Forschung, III (1911), p. 126. Allo stesso modo il mitoMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA
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guardi di R. Otto sussisteva la obiezione che la esperienza irrazionale del numinoso poteva per l’uomo di scienza riguadagnare coerenza e razionalità se si fossero tenute presenti le « ragioni dell’inconscio ».
D’altra parte nel periodo successivo alla prima guerra mondiale si produssero proprio nel movimento psicanalitico alcuni nuovi orientamenti che in parte dovevano contribuire indirettamen[...]
[...]piacere », ma rendevano necessaria l’ipotesi di un istinto di morte, inteso come coazione al ritorno, all’eterno ritorno. In tal modo nei paesi di lingua tedesca, e nell’atmosfera della sconfitta militare, del crollo di due imperi e del conseguente smarrimento morale faceva inplatonico della caverna non è riducibile alla nostalgia dell’utero materno, anche se Platone ebbe — al pari degli altri mortali — fantasie di carattere sessuale: cfr. C. G. Jung, Seelenprobleme der Gegenwart, Ziirich 1931, p. 47 sg.
(12) Jenseits des Lustprinzips., Intern. psychoanal. Verlag, Vien 1920.12
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dipendentemente la sua comparsa in due domini culturali indipendenti il principio del ritorno ciclico e della corsa alla morte: nel 1918 e nel 1922 vedevano la luce i due volumi della prima edizione del Tramonto dellrOcadente dello Spengler, che inaugurava — come si è detto — la crisi dello storicismo tedesco, nel 1920 il fondatore della psicanalisi introduceva la coazione a ripetere e l’istinto di morte nella vita psichica individuale, [...]
[...]zza della esperienza religiosa, significa rivivere, sotto forma di racconto, una realtà dei tempi primordiali (15). Anche un altro etnologo, il Preuss, che era venuto formulando le sue considerazioni sul mito attraverso lo studio della mitologia vivente dei Cora amerindiani, pervenne a conclusioni analoghe (16). Uno studioso del mondo classico, Karl Kerényi, nella Introduzione alla essenza della mitologia — pubblicata in collaborazione con
lo Jung — così ha raffigurato la « vita per citazioni » delPuomo antico :
Prima di agire l’uomo antico avrebbe fatto sempre un passo indietro, alla maniera del torero che si prepara al colpo mortaile. Egli avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro, per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La sua vita ritrovava in questo modo la propria espressione ed il proprio senso (17).
Ma lo studioso che più a lungo e con maggiore dovizia di dati storicoreligiosi si è soffermato su questo «passo indietro» del nesso [...]
[...]sare inosservato. Senza dubbio non vi è identità fra i tre fenomeni: ma che essi stiano in rapporto, e possano illuminarsi a vicenda, par fuori di dubbio. È quindi comprensibile che nel seno stesso del movimento psicoanalitico maturasse, soprattutto dopo la prima guerra mondiale, una crisi che doveva esercitare una notevole influenza diretta nel campo delle scienze religiose. Noi possiamo considerare tale crisi, che si ricollega all’indirizzo di Jung e della sua scuola, da diversi punti di vista. Ma da quello che qui ci interessa l’junghismo appare, in primo luogo, un nuovo apprezzamento del significato e della funzione del simbolo: il quale non è più interpretato, come nel freudismo ortodosso, una semplice maschera del passato ritornante in modo irriconoscibile e irrisolvente, ma si configura come un ponte per un verso rivolto al passato che rischia di tornare nella estraneità e nella servitù del sintomo nevrotico, e per l’altro verso orientato verso la realizzazione di valori culturali di cui è il presentimento, la prefigurazione e il dinamico dischiudersi. In rapporto a questo diverso apprezzamento, mentre nella prospetti[...]
[...]ù del sintomo nevrotico, e per l’altro verso orientato verso la realizzazione di valori culturali di cui è il presentimento, la prefigurazione e il dinamico dischiudersi. In rapporto a questo diverso apprezzamento, mentre nella prospettiva del22
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freudismo ortodosso si trattava di smascherare la maschera simbolica, e di ridurla alla situazione primordiale storica di cui era, appunto, la «maschera», nella prospettiva dell’junghismo la riduzione smascheratrice non era più sufficiente sia rispetto alla interpretazione teorica che alla pratica terapeutica, ma si faceva valere l’esigenza di aiutare il malato a convertire i suoi simboli da chiusi in aperti, da cifrati in dichiarativi di una più compiuta realizzazione di sé, da estranei e servili in culturalmente integrati: cioè, in ultima istanza, i simboli si configuravano come vie di accesso al mondo dei valori, e quindi come strumenti vitali per lo sviluppo della personalità. Nella prospettiva dell’junghismo il significato e la efficacia dei simboli non consistevano [...]
[...]pretazione teorica che alla pratica terapeutica, ma si faceva valere l’esigenza di aiutare il malato a convertire i suoi simboli da chiusi in aperti, da cifrati in dichiarativi di una più compiuta realizzazione di sé, da estranei e servili in culturalmente integrati: cioè, in ultima istanza, i simboli si configuravano come vie di accesso al mondo dei valori, e quindi come strumenti vitali per lo sviluppo della personalità. Nella prospettiva dell’junghismo il significato e la efficacia dei simboli non consistevano più nel loro volgersi indietro, verso una fase anteriore, o nel loro volgersi avanti, verso un ulteriore sviluppo, ma scaturivano dalla dinamica dei due momenti, dal loro cruv póXXeiv, dal loro carattere di « totalità » del dinamismo psichico, onde essi mediante la ripetizione di uno stadio inferiore tendevano già ad uno sviluppo più alto, e per inaugurare questo sviluppo più alto si avvalevano dello stadio inferiore (31). Ora già per queste ragioni è evidente il rapporto col simbolismo miticorituale della vita religiosa, poiché[...]
[...]ticorituale della vita religiosa, poiché nei miti e nelle cerimonie, e in genere nella religione considerata nel suo dinamismo e nella sua concretezza, si compie continuamente questa vicenda di ripetizione e ripresa, di catabasi e di anabasi, di fondazione e di apertura, di origine e di prospettiva (32). Purtroppo a complicare, e in parte a oscurare, questo tema ermeneutico per le scienze religiose innegabilmente fecondo, è intervenuta la teoria junghiana degli archetipi. Nella sua pratica terapeutica lo Jung fu sorpreso di ritrovare nei simboli onirici — come nelle fantasie e nei deliri di nevrotici e di psicotici — alcuni frammenti di temi mitici che facevano parte organica di sistemi religiosi scomparsi o comunque lontanissimi dalla coscienza culturale del paziente: e tale concordanza si presentava in dati casi in modo da escludere ogni forma di criptomnesia o di consapevole utilizzazione di nozioni occasionalmente apprese. D’altra parte sussistono — ed ogni storico delle religioni lo sa — sorprendenti affinità fra temi mitici di civiltà religiose diverse, e anche qui in modo tale che solo a pr[...]
[...]za culturale del paziente: e tale concordanza si presentava in dati casi in modo da escludere ogni forma di criptomnesia o di consapevole utilizzazione di nozioni occasionalmente apprese. D’altra parte sussistono — ed ogni storico delle religioni lo sa — sorprendenti affinità fra temi mitici di civiltà religiose diverse, e anche qui in modo tale che solo a prezzo di sin troppe ingegnose ipotesi diffusionistiche potevano
(31) Per la concezione junghiana del simbolo si veda R. Hostie, C. G. Jung und die Religion, Monaco 1957, pp. 44 sgg. (L’originale in olandese dell’opera dello Hostie porta il titolo Analytische Psychologie en Godsdienst, UtrechtAntewerpen 1955).
(32) In Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino 1958, ho cercato appunto di esplorare, in un concreto esempio storico, il rapporto fra crisi, simbolismo miticorituale e mondo dei valori.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA
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essere spiegate mediante la trasmissione culturale da un punto alPaltro dello spazio, e da un’epoca ad un’altra. Jung credette di poter spiegare queste imbarazzanti concordanze m[...]
[...] Hostie porta il titolo Analytische Psychologie en Godsdienst, UtrechtAntewerpen 1955).
(32) In Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino 1958, ho cercato appunto di esplorare, in un concreto esempio storico, il rapporto fra crisi, simbolismo miticorituale e mondo dei valori.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA
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essere spiegate mediante la trasmissione culturale da un punto alPaltro dello spazio, e da un’epoca ad un’altra. Jung credette di poter spiegare queste imbarazzanti concordanze mediante l’ipotesi di un inconscio collettivo, come deposito di tracce, o disposizioni, o pieghe psichiche, le quali avrebbero determinato certi binari definiti del rappresentare e certe tendenze al parallelismo delle immagini, indipendentemente dalla tradizione cosciente, come anche dai contenuti rimossi dei singoli individui. Questi archetipi, nel loro insieme, assolvevano la funzione dinamica di stimolare il processo di individuazione, cioè l’ideale della totalità del se stesso, in quanto pieno accordo della sfera cosciente e di qu[...]
[...]elle immagini, indipendentemente dalla tradizione cosciente, come anche dai contenuti rimossi dei singoli individui. Questi archetipi, nel loro insieme, assolvevano la funzione dinamica di stimolare il processo di individuazione, cioè l’ideale della totalità del se stesso, in quanto pieno accordo della sfera cosciente e di quella inconscia e in quanto progressiva reintegrazione delle unilateralità dell’io. Quanto alla origine di questi archetipi Jung parla talora di un precipitato di esperienze ancestrali ricorrenti indefinitamente ripetute nei millenni, e di ricorrenti risposte similari a tali esperienze: onde poi, almeno da un certo momento, ne sarebbe risultata una « impronta » psichica, un centro dinamico di orientamento delle immagini e dei simboli. Ogni volta che la coscienza individuale si rilascia, l’inconscio collettivo con i suoi archetipi tende a battere le vie usate e a reagire secondo modi arcaici : la corrente bloccata nel suo corso travalica gli argini e torna a scorrere nel vecchio letto che con infinita pazienza si era sc[...]
[...]immagini e dei simboli. Ogni volta che la coscienza individuale si rilascia, l’inconscio collettivo con i suoi archetipi tende a battere le vie usate e a reagire secondo modi arcaici : la corrente bloccata nel suo corso travalica gli argini e torna a scorrere nel vecchio letto che con infinita pazienza si era scavato nei millenni. Dietro gli archetipi vi sarebbe dunque, in questa prospettiva, una storia arcaica sepolta di cui, non come lo stesso Jung riconosce (33), non sappiamo proprio nulla. Ma in Jung si è fatta più recentemente valere anche un’altra prospettiva. Gli archetipi sono, sì, semplicemente «impronte» che la scienza psicologica deve limitarsi a ipotizzare rinunziando al problema della origine, tuttavia la fede e la teologia potrebbero ricondurre l’impronta a Colui che lascia l’impronta, cioè a Dio.
« Se come psicologo dico che Dio è un archetipo, mi riferisco con questa affermazione a un « tipo » dell’anima, che notoriamente deriva da typos, impronta. Già la parola « archetipo » presuppone un qualcuno che imprime l’impronta. La psicologia come scienza dell’anima deve limitarsi[...]
[...]oggetto... Se essa dovesse anche soltanto come causa ipotetica postulare un Dio, avrebbe implicitamente avanzato l’esistenza di una possibile dimostrazione di Dio, oltrepassando così la sua competenza in modo assolutamente inammissibile. La scienza può essere soltanto scienza: non ci sono dimostrazioni scientifiche della fede» (34).
(33) Ùber die Energeti\ der Seele, 1919, p. 189.
(34) In Psychologie und Alchemìe, 1944, p. 27 sg. (2) C. G. Jung, Aion, 1951, p. 107.24
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In altra sua opera Jung si chiede, se il « se stesso » sia un simbolo di Cristo o se Cristo sia un simbolo del « se stesso » e (35) dichiara di aver optato per questa seconda soluzione, ma si affretta ad aggiungere che tale opzione non ha un valore ontologico, ma soltanto metodologico, concedendo che altri con eguale diritto potrebbe scegliere la prima soluzione: e P. Zacharias, accogliendo prontamente la concessione, ha valutato appunto quali sarebbero le conseguenze teologiche quando si assuma il « se stesso » come simbolo di Cristo (36). D’altra parte in una conversazione personale col suo esegeta cattolico R. Ho[...]
[...]zione, ma si affretta ad aggiungere che tale opzione non ha un valore ontologico, ma soltanto metodologico, concedendo che altri con eguale diritto potrebbe scegliere la prima soluzione: e P. Zacharias, accogliendo prontamente la concessione, ha valutato appunto quali sarebbero le conseguenze teologiche quando si assuma il « se stesso » come simbolo di Cristo (36). D’altra parte in una conversazione personale col suo esegeta cattolico R. Hostie, Jung ha finito col definire a questo modo la sua posizione religiosa : « È chiaro che Dio esiste, ma perché mi si chiede sempre di provare la sua esistenza con dimostrazioni tratte dalla psicologia? » (37). Del resto lo Jung aveva desiderato a lungo di poter collaborare con teologi preparati in psicologia, i quali « benevolmente e con comprensione lo avessero aiutato a correggere e ad integrare la sua insufficiente terminologia teologica», e non mancò di compiacersi quando un domenicano, P. White, gli consentì di realizzare la collaborazione « da lunghi anni attesa » (38). Questa « intesa » che si va progressivamente stabilendo fra junghismo e mondo cattolico è giustificata dal fatto che effettivamente lo Jung negli ultimi decenni si è reso sempre più largamente partecipe del movimento di rivalutazione esistenziale della religione. Colui che fu già nel 1902 discepolo di Pierre Janet alla Salpetrière, e che dal 1907 al 1913 fu collaboratore di Freud condividendone sostanzialmente la valutazione negativa della religione, fu indotto successivamente a modificare profondamente il proprio punto di vista. Dalla religione ricondotta in parte ad una sublimazione della sessualità infantile e in parte ad una sorta di nevrosi collettiva, Jung si aprì gradualmente al riconoscimento del valore storicoculturale d[...]
[...] di rivalutazione esistenziale della religione. Colui che fu già nel 1902 discepolo di Pierre Janet alla Salpetrière, e che dal 1907 al 1913 fu collaboratore di Freud condividendone sostanzialmente la valutazione negativa della religione, fu indotto successivamente a modificare profondamente il proprio punto di vista. Dalla religione ricondotta in parte ad una sublimazione della sessualità infantile e in parte ad una sorta di nevrosi collettiva, Jung si aprì gradualmente al riconoscimento del valore storicoculturale della vita religiosa, pur continuando a considerarla come stadio superabile della evoluzione individuale o collettiva verso la autonomia morale: successivamente la religione gli si configurò non più come una fase preparatoria, ma come il coronamento e il vertice del destino culturale dell'uomo. Ora ciò che lo aiutò a compiere questo ultimo passo fu proprio l’opera di R. Otto, che — come abbiamo visto — inaugura idealmente l’epoca culturale che stiamo analizzando. Jung
(35) Aion, p. 107.
(36) P. Zacharias, Die Bedeutung d[...]
[...]sa, pur continuando a considerarla come stadio superabile della evoluzione individuale o collettiva verso la autonomia morale: successivamente la religione gli si configurò non più come una fase preparatoria, ma come il coronamento e il vertice del destino culturale dell'uomo. Ora ciò che lo aiutò a compiere questo ultimo passo fu proprio l’opera di R. Otto, che — come abbiamo visto — inaugura idealmente l’epoca culturale che stiamo analizzando. Jung
(35) Aion, p. 107.
(36) P. Zacharias, Die Bedeutung der Psychologie C. G. Jungs jiir die christliche Theologie, in Zeitschrift fùr Religionund Geistesgeschichte, V, 1953, pp. 13 sgg.
(37) R. Hostie, op. cit., p. 201, nota 98.
(38) Lettera di Jung al domenicano P. V. White, in White, God and thè unconscious, 1944, p. 260.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA
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potè infatti stabilire una sorprendente concordanza fra l’esperienza del « vivente rapporto con gli archetipi », quali gli veniva suggeriti dalla sua pratica di psicoterapeuta, e i momenti del numinoso così come R. Otto li aveva indicati nella sua ricerca fenomenologica sul Sacro. Il sentimento di dipendenza, il maestoso, l’efficace per eccellenza, il mistero tremendo e fascinante, il tutt’altro che chiama perentoriamente al rapporto, potevano essere agevolmente trado[...]
[...]zione di decidere, e doveva lasciare il passo alla fede e alla teologia. Una posizione del genere non era più incompatibile con la teologia, ed in sostanza manifestava un sostanziale accordo con le note tesi cattoliche circa i « limiti di competenza » della ricerca scientifica in generale (40).
Attraverso il suo condizionamento inconscio, sottolineato con tanto
(39) Si veda, per questa parte dell’influenza di R. Otto, sulla interpretazione junghiana della religione, Jung, Psychologie and Religion, New Haven, 1938 (Psychologie und Religion, Ziirich 1940).
(40) Cfr. R. Hostie, op. cit.y p. 235. Per un più diretto rapporto dell’junghismo con la concreta documentazione storicoreligiosa si veda: Jung e Wilhelm, Das Geheimnis dcr goldenenen Biute, Miinchen 1929 (19443); Jung e Kerenyi, Einfiihrung in das Wesen der Mythologie, AmsterdamLeipzig 1942; Jung, Psychologie und Alchemie, Ziirich 1944; Jung, Ueber MandalaSymboliin Gestcdtungen des XJnbewussten, Ziirich 1950; Aion. Untersuchungen zur Symbolgeschichte, Ziirich 1951. Per la interpretazione junghiana dei simboli cattolici: Jung, Versueh einer psychologischen Deutung des Trinitatsdogmas in Symboli\ des Geistes, Ziirich 1948; Das Wandlungssymbol in der Messe, in Von den Wurzeln des Bewusstseins, Ziirich 1954; Antwort auf Hiob, Ziirich 1952. In quest’ultima monografia lo Jung considera la proclamazione del dogma dell’assunzione corporea al cielo della vergine Maria come « il più importante evento religioso dal tempo della Riforma in poi» (p. 160), poiché segnerebbe la compiuta valorizzazione dell’archetipo della femminilità e della maternità per eccellenza, e quindi la possibilità per i credenti di ritrovare in cielo tutti i tratti femminili e materni che la concezione troppo rigidamente maschile della Trinità ' lascia in qualche modo nell’ombra. Non a caso, secondo Jung, la proclamazione del Dogma è avvenuta solo nel 1950, poiché mai come oggi si avverte, nell’at[...]
[...]ne corporea al cielo della vergine Maria come « il più importante evento religioso dal tempo della Riforma in poi» (p. 160), poiché segnerebbe la compiuta valorizzazione dell’archetipo della femminilità e della maternità per eccellenza, e quindi la possibilità per i credenti di ritrovare in cielo tutti i tratti femminili e materni che la concezione troppo rigidamente maschile della Trinità ' lascia in qualche modo nell’ombra. Non a caso, secondo Jung, la proclamazione del Dogma è avvenuta solo nel 1950, poiché mai come oggi si avverte, nell’attuale congiuntura storica, il pericolo di un impulso distruttivo cui il mondo è esposto (la bomba atomica!), e quindi mai come oggi i tempi sono maturi per una adeguata valorizzazione dell’archetipo femminile della figura della Madre di Dio. Sull’archetipo femminile si veda ora la grassa fatica di E. Neumann, Die Grosse Mutter. Der Archetyp des grossen Weiblichen, Ziirich 1956. Dello Jung è da leggere anche il commentario psicologico al libro tebetano dei morti in M. Y. EvansWentz, The Tebetan Boo\ o[...]
[...]vvenuta solo nel 1950, poiché mai come oggi si avverte, nell’attuale congiuntura storica, il pericolo di un impulso distruttivo cui il mondo è esposto (la bomba atomica!), e quindi mai come oggi i tempi sono maturi per una adeguata valorizzazione dell’archetipo femminile della figura della Madre di Dio. Sull’archetipo femminile si veda ora la grassa fatica di E. Neumann, Die Grosse Mutter. Der Archetyp des grossen Weiblichen, Ziirich 1956. Dello Jung è da leggere anche il commentario psicologico al libro tebetano dei morti in M. Y. EvansWentz, The Tebetan Boo\ of thè Dead, London 1957, pp. XXXVLXIV. Fra gli scritti junghiani ancora inediti vi è anche un commentaro agli esercizi spirituali di S. Ignazio. Il lettore italiano che voglia formarsi un’idea dei rapporti fra junghismo26
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vigore dalla psicoanalisi, il simbolo mitico affondava dunque le sue radici nel profondo della vita psichica, e quindi si collegava strettamente col mondo degli istinti e con lo stesso ordine biologico. La teoria junghiana degli archetipi come «organi» dell’inconscio collettivo, richiama — sia pure in via meramente ipotetica — ad una base anatomicofisiologica degli archetipi stessi. Ma il nesso più ardito fra mito e biologia si ritrova in alcune tesi di Roger Caillois, e segnatamente nel suo saggio sulla mantide religiosa. La riplasmazione mitica di questo insetto, attestata in diversissimi ambienti culturali, sarebbe fondata, secondo il Caillois, in parte sul suo aspetto antropomorfo in parte sulle sue abitudini sessuali, caratterizzate dalla indifferenziazione del piacere sessuale e di quello della nutri[...]
[...]ppresenta una condotta di cui l’uomo avverte la sollecitazione : solo che mentre nella mantide si tratta di un comportamento istintivo, nell’uomo, si tratta di un 'immagine mitica che sta come equivalente e come surrogato del comportamento umanamente interdetto. Il mito della mantide testimonierebbe quindi — sempre secondo il Caillois — « un condizionamento biologico dell’immaginazione » (41). Un analogo orientamento interpretativo ritroviamo in Jung e in Kerènyi, lì dove essi concordemente accennano alla possibilità che il ricorrente simbolo della quaternità possa avere un fondamento cosmico nel fatto che il carbonio, la principale sostanza chimica dell’organismo vivente, ha quattro valenze, il che rinvia addirittura all’anorganico. Ma si tratta, come è evidente di ipotesi sin troppo ingegnose, in cui par quasi che gli antichi miti si vengano inestricabilmente mescolando con le affabulazioni dei loro interpreti moderni (42).
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Il contributo anglosassone al movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito è rap[...]
[...] Murray e nella Harrison prese rilievo la persua
e scienze religiose può avvalersi delle poche traduzioni comprese nella collana etnologica della casa editrice Boringhieri e della collana Psiche e Coscienza della casa editrice Astrolabio, nonché della recente traduzione del volume di J. Campbell, The Hero with a thousand faces pubblicata nel 1958 dalla casa editrice Feltrinelli.
(41) R. Caillois, L’homme et le sacre, 19502, p. 39 sg.
(42) JungKerényi, Prolegomeni dio studio scientifico della mitologia, trad. ital. Torino 1948, p. 33 sg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA
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sione che il mito, nella concretezza della vita religiosa, affonda le sue radici nel rito e nel culto, e che fuori di questo rapporto il mito non è più tale, ma diventa arte, dramma, letteratura, filosofia, scienza, cioè — in generale — opera umana avviata alla consapevolezza della sua umanità e mondanità (43). Ma il vero e proprio atto di nascita di questo indirizzo è segnato da due symposia editi da S. Hooke, nei quali un gruppo di studiosi sottop[...]
[...]ecifica e la funzione dinamica dei simboli miticorituali nella concretezza delle singole civiltà religiose. Sotto la spinta della psicanalisi fu tuttavia scoperta la omologia fra la rivissuta iterazione rituale di un mito delle origini e la abreazione nel corso della terapia psicanalistica, e fu dallo stesso Freud abbozzata una distinzione fra la « coazione a ripetere » e l’attiva ripetizione del giuoco e del rito. Ma fu soprattutto merito dello Jung l’aver messo in rilievo il dinamismo del « simbolo », e cioè il suo carattere di ponte che dischiude il passaggio dalla crisi alla reintegrazione, dal passato che torna in modo cifrato e irrelativo al presente che nella decisione responsabile determina il passato e il futuro, dal sintomo chiuso, isolante, e passivamente subito all’apertura verso il mondo dei valori culturali. Tuttavia nel corso della travagliata vicenda del pensiero dello Jung si riscontra, rispetto alla vita religiosa, un graduale mutarsi delle prospettive di partenza: onde la esperienza religiosa finì col configurarsiMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA
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come vivente rapporto con gli archetipi, e col ricongiungersi per questa via al «numinoso» di Rudolf Otto, determinando in tal modo anche nell’ambito del movimento psicoanalitico una singolare convergenza verso le posizioni della fede religiosa in atto e verso le interpretazioni della teologia.
Un quarto tema del movimento di rivalutazione esistenziale della vita religiosa e del mito negli ultimi[...]