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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 633

Brano: [...]Miici mica m spanna oer liberare lina lata guerra a lana lann. aaH oppressione a dal marna t

POPOLO GENEROSO DI GARIBALDI ! LEVATI CONTRO I MASSACRATORI DI DONNE E DI BAMBINI INNOCENTI.

(imuo DEL COMITATO CEMTRitfVS ®EL PARTITO COMUNISTA OTTAWA)

italiano (9.8.1934), che durante la guerra di Spagna sarebbe stato rafforzato ed esteso, mediante accordi unitari, ad altre forze antifasciste.

Già nell’agosto 1932 s’era riunito ad Amsterdam il primo congresso mondiale contro la guerra, con la partecipazione di circa duemila delegati di tutte le correnti antifasciste e pacifiste. Ancora più imponente era stato il congresso operaio antifascista europeo tenuto a Parigi nel giugno 1933 (Sala Pleyel), che aveva visto la partecipazione di 3.500 delegati, tra cui 169 italiani, dei quali almeno una dozzina provenivano direttamente dall’Italia. Quelle prime manifestazioni unitarie si conclusero con la creazione, in ogni paese, di comitati d’azione contro la guerra che costituirono un passo decisivo ve»"so ulteriori ^ accordi unitari tra parti[...]

[...]lmeno una dozzina provenivano direttamente dall’Italia. Quelle prime manifestazioni unitarie si conclusero con la creazione, in ogni paese, di comitati d’azione contro la guerra che costituirono un passo decisivo ve»"so ulteriori ^ accordi unitari tra partiti antifascisti.

Nel febbraio 1935 i partiti comunista e socialista lanciarono un appello comune ai lavoratori italiani per metterli in guardia contro i tentativi del fascismo di trascinare il paese in una guerra di aggressione all’Etiopia. La parola d’ordine, largamente diffusa per mezzo della stampa clandestina, fu: « Giù le mani dall’Abissinia! ». All’inizio della guerra (ottobre 1935) fu convocato a Bruxelles (v.) un congresso italiano antifascista. Il P.C.I., oltre a condurre in Italia, tra la popolazione e i militari, la propaganda contro la guerra, inviò in Etiopia una missione composta da Ilio Barontini (v.), Bruno Rolla e Antonio Ukmar, per esprimere al popolo abissino la solidarietà degli antifascisti italiani e aiutarlo nella difesa della sua indipendenza.

In Spagna

Nell’aprile 1936 l'aggressione fascista contro il popolo spagnolo fece accorrere in difesa della Spagna (v.) antifascisti di tutto il mondo. Il primo scaglione di volontari italiani raggiunse la penisola iberica nell’agosto 1936. Il P.C.I. inviò un buon numero di suoi dirigenti e militanti qualificati, sia dall’Italia che dall’emigrazione: partirono volontari, tra gli altri, Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Antonio Roasio, Edoardo D’Onofrio, Vittorio Violali, Francesco Leone, Giacomo Pellegrini, Giuliano Pajetta, Vittorio Bardini, Velio Spano, Giuseppe Alberganti, Francesco Scotti, Nino Nannetti, che si affiancarono ai combattenti di « Giustizia e Libertà », anarchici, socialisti e repubblicani.

HAMAH! t

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,crurM del laacuino italiani' r intemaxionate. «I ' maro* r.'iiiH .la «>xt (minio ni\.w> «<i «»♦ nj«ati« In[...]

[...] aatllaacietl, la claaea epe rata, U papaia italiana, nan abbiale compiato tatto il Matro Aavara, per impedìre linemmiM ite

,flt, ... i.ivUov* in S patria, i» i .*.tecolardo ‘fri.,.

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ì. .fiotto rum Ho n*uun interesse noxiona'e da difenderà (a Spagna. Sessun motivo confessatole può' gtuttì ftearr i aggressione brigante*PO a di sterminio che U governa fascista conduce da quasi tre anni contro il popolo ’’Oiei'o f generoso della Spagna. dunque, alia ctassc operaia e al popolo italiano che incombe la principe:<■ reeponabdità tal successo ielle orde fasciate in Catalogna £ a no: che incombe a dovere d'onore dtmporre con la nostra lotta la fine deUagressitme Jactsta italiana contro la Spagna ; di esigere il ritiro dette truppe e delle armi txaXwft* dalla Spagna *

Il faatisu»» ha ponilo inflittele la Catalogni. i*eivhv !. proietan. a énmcnlklie i>on vmu ai», ora hh ntc unite jji ugni pai *» internarlocalmani? nall»

rv»t>4> uaa alma alla bariiarte laaciaia. j»*r « hi, iiH'iitrv la Miol[...]

[...]a di Spagna eantlaaa a lottare, nella certaxu eh* la tolldarietà pi* attiva a pia efficace dagli altri papali, e perticala rea onte «al popola itallaao, le aprir» la via dalla vittoria.

Il, MONDO CIVILE FREME DI ORRORE PER I MASSàCRf DEL FASCISMO ITALIANO IN SPAONA

U itialediMoti. minerai. abbatte .ull'|i.«l<;.....

«aal onorato e «nai’ aniata i*ei ■moda pai te atr tta *el\uK*< ehe il gmem» la*< i»»a la rotupien lai »«m h via turi contro il popolo pmltlro e rineroao della Spagne

contro un popolo ol*e non i lrie.te mila all Italia > »«

Calabria (35), Puglie (26), Campania (24), Basilicata (2).

Contro l'Asse

Il P.C.I. condusse una grande campagna contro la j politica d’intesa tra Roma e Berlino che doveva portare al Patto d’acciaio (v.), e contro la politica bellicista del nazifascismo. L’aumento del numero dei condannati dal Tribunale speciale testimonia l’intensificarsi dell’azione condotta in quel periodò dai comunisti per la pace.

Oltre ai settimanali, il partito aveva allora, nell’emigrazione, due quotidiani: La Voce degli italiani diretto da Giuseppe Di Vittorio e poi da Mario Montagnana, e II Giornale di Tunisi, diretto da Giorgio Amendola.

Numero speciale de « l'Unità » con l’appello del comitato centrale del P.C.I. in appoggio alla Repubblica spagnola (1939)

633



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 775

Brano: Monarchico, Partito

Manifestazione degli « Amici Forze Armate » durante un corteo di ex combattenti (Roma, 1970)

Il Partito monarchico popolare

Nelle file del Partito nazionale monarchico, la disputa intorno al tema della collaborazione con la D.C. sfiorò la rissa: Lauro e una parte della compagine erano per appoggiare De Gasperi; Covelli e la maggioranza dei parlamentari monarchici, che basavano le proprie fortune su motivi di demagogia sociale agitati al Sud, contrari. Il « comandante » dichiarò apertamente la sua propensione a sostenere il governo, ma fu smentito dal voto del Gruppo parlamentare monarchico. Essendo prevalsa la tesi di Covelli, De Gasperi si trovò completamente isolato e, dopo sei anni [...]

[...]a battaglia lo statista;trenttfio vinse sulle proprie ceneri, giacché lo sbocco fu una riedizione del « centrismo » sotto l’egida dello stesso Sceiba.

Nel turbinio delle crisi che portarono al governo ScelbaSaragat, i

monarchici si destreggiarono per mantenere il contatto con la maggioranza, riuscendovi abbastanza agevolmente, soprattutto nella pratica delle alleanze periferiche con la D.C.. Nondimeno, la crisi interna da cui era squassato il Partito monarchico stava giungendo al

lo stadio più acuto: se l’ala capeggiata da Lauro aveva fretta di trarre profitto dalle circostanze stringendo alleanze con la destra democristiana nei vecchi feudi meridionali del conservatorismo agrario, i covelliani miravano ad « alzare il prezzo » del loro appoggio alla D.C.. Infine Lauro ruppe gli indugi, uscì dal P.N.M. portandosi appresso la sua consistente clientela campana e fondò il Partito monarchico popolare (3.6.1954). Nelle elezioni amministrative del maggio 1956, il P.M.P. a Napoli travolse addirittura le altre forze politiche, riscuotendo ben 276.599 voti su 548.721 votanti. Fu, in primo luogo, un successo personale di Lauro e del « laurismo » quale tecnica di imbonimento e di corruzione, nonché di diffusione di aspettative miracolistiche in un contesto economicosociale e culturale in cui stagnavano rancori, disperazione, miserie inenarrabili di masse da sempre ridotte ai margini della vita nazionale. Rieletto sindaco, il « comandante » portò al parossismo i metodi di « sacco amministrativo » della città. Ma il governo laurino, benché agevolato e protetto[...]

[...]urale in cui stagnavano rancori, disperazione, miserie inenarrabili di masse da sempre ridotte ai margini della vita nazionale. Rieletto sindaco, il « comandante » portò al parossismo i metodi di « sacco amministrativo » della città. Ma il governo laurino, benché agevolato e protetto dalle alleanze con la D.C. locale e nazionale, finì per produrre tali e patenti illegalità che l’amministrazione partenopea venne sciolta d’imperio il 15.2.1958.

Il P.D.I.U.M.

Presentendo a questo punto un rapido declino delle loro forze, sia Lauro che Covelli mirarono al riavvicinamento dei due tronconi monarchici, secondo una linea di tendenza che, sbiadendo l’etichetta legittimistica, puntasse essenzialmente su un’intesa parlamentare e governativa con la D.C.. Questo disegno postulava l’unificazione di tutte le tendenze monarcoidi e di destra non controllate dal P.L.I. e dal M.S.I. e la ripetizione, su scala più vasta, del successo elettorale laurino nel Sud.

Lauro si ingegnò infatti di raggruppare intorno a sé movimenti e associazioni di nostalgi[...]

[...]i e associazioni di nostalgici come la Unione combattenti d’Italia Movimento per la Rinascita nazionale, presieduta dall’ex maresciallo Giovanni Messe (v.), il Centro pensionati italiani, il gruppo monarchico indipendente La Mole (che esisteva soltanto a Torino), e si studiò di avere il sostegno ufficiale della Confederazione generale italiana dell'agricoltura.

Le elezioni politiche del maggio 1958 non corrisposero alle speranze monarchiche: il P.M.P. ottenne 776.919 voti, quasi tutti raccolti nel Sud e in particolare nel Napoletano, per la percentuale del 2,6%; il P.N.M. ne raccolse 659.987, per la percentuale del 2,2%. Nel 1953, uniti, i monarchici avevano raggiunto un 2% in più.

Il negativo responso delle urne indusse i monarchici a riprendere le trattative per l’unificazione dei due partiti, e questi infatti si fusero nel congresso dell’11.4.1959. La nuova formazione assunse il nome di Partito democratico italiano che più tardi, al congresso del 1961, fu trasformato in Partito democratico italiano di unità monarchica.

Il governo Segni, succeduto al gabinetto Pantani come rinnovata affermazione della linea di destra prevalente nelle forze egemoni[...]

[...]gemoni della D.C., ottenne dai monarchici ponti doro. Senza dubbio il binomio LauroCovelli si convinse, in quelle circostanze, che l’inserimento del P.D.I.U.M. nell’area della maggioranza era divenuto un fatto foriero di ulteriori sviluppi positivi per le sue fortune. Viceversa, quegli anni tra il 1958 e il 1960 rappresentarono l’ultimo relativo sfavillare della stella monarchica nel cielo delle combinazioni del vertice di potere governativo.

Il P.L.I. diretto da Malagodi e la £>.C. avviatasi all’alleanza di centrosinistra, ma sempre capace di esercitare un’attrazione sulle for



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 172

Brano: [...]omia del Partito socialista era andata in parte mutando in seguito all’afflusso di nuovi strati sociali a danno della presenza operaia. La guerra provocò inoltre il naufragio della Seconda Internazionale che, praticamente dominata dai rappresentanti riformisti dei vari paesi, vide prevalere nelle proprie fila gli interessi “nazionali” che, nel sanguinoso conflitto, si contrapponevano a quelli del socialismo e della solidarietà internazionale.

Il P.S.I. la cui segreteria venne affidata a Costantino Lazzari (v.), il quale non faceva parte della corrente riformista, prese subito posizione contro la guerra, pubblicando nel luglio e nel settembre 1914 due manifesti che invitavano i lavoratori a schierarsi in favore della pace e della neutralità. L’atteggiamento dei riformisti in questa circostanza fu incerto, anche in conseguenza della crisi che aveva investito la Seconda Internazionale: alcuni di essi appoggiarono senza esitazioni la formula proposta dal partito « Non aderire, non sabotare », mentre altri si schierarono a favore degli inte[...]

[...] indebolire, niente altro. Non ci farà né più ricchi, né più

saggi, né più produttivi, né più liberi, né più onesti, né più felici di quel che siamo ».

Con la fine della guerra e il sorgere del fascismo, il contrasto tra riformisti e rivoluzionari aH'interno del Partito socialista divenne sempre più acuto: la scissione di Livorno (v.) del 1921 e quella di Roma dell’ottobre 1922 (dalla quale, capeggiato da Turati, Treves e Modigliani nacque il Partito socialista unitario, esplicitamente riformista) lacerarono le forze socialiste dando maggior spazio al fascismo che, nel frattempo, si era posto definitivamente al servizio degli interessi del grande capitalismo industriale e agrario. I riformisti cercarono di imbastire una loro azione specifica, ma ormai fuori da ogni connessione fra tattica e strategia e solo su posizioni difensive, per tentare di arrestare la sconfitta dei lavoratori. Già il 20.7.1922 (per la prima volta nella storia politica italiana) il socialista Turati si era recato dal re per proporgli di dar vita a un governo c[...]

[...] sindacalisti che arrivò a un compromesso con Mussolini attraverso la pubblicazione della rivista Problemi del Lavoro (v.)f o come Emilio Caldara (v.) che, trascinato in un tentativo di intesa con lo stesso Mussolini, fu duramente criticato dai socialisti più giovani.

Secondo dopoguerra

Dopo la Seconda guerra mondiale il riformismo, nelle diverse situazioni esistenti nei vari paesi europei, si orientò sempre più a divulgare il concetto che il progresso di una società non può essere affidato a un solo urto risolutore, ma ai mezzi forniti dalle nuove conquiste della democrazia. Alcuni concetti di fondo vennero di nuovo richiamati nei programmi dei riformisti come: portare avanti con le conquiste economiche il principio della libertà deH’uomo; togliere di mezzo tutti i privilegi e le ingiustizie creati dagli uomini stessi rifuggendo dai mezzi violenti; ricercare sempre più l'unione fra azione riformista e rivoluzionaria (intesa come mutamento della situazione esistente) per fare avanzare le forze del lavoro; dare consapevolezza a un riformismo moderno in cammino verso l’esaltazione del sapere, per aprire nuove vie e scoprire nuove verità da conquistare.

Come per tutte le grandi idee, divenute poi ideologia, anche nella storia del riformismo dall’800 ai tempi nostri non sono mancati travagli, forme[...]

[...]r fare avanzare le forze del lavoro; dare consapevolezza a un riformismo moderno in cammino verso l’esaltazione del sapere, per aprire nuove vie e scoprire nuove verità da conquistare.

Come per tutte le grandi idee, divenute poi ideologia, anche nella storia del riformismo dall’800 ai tempi nostri non sono mancati travagli, forme di degenerazione del pensiero e dell’azione, in certi casi tradotte in vere concessioni che hanno frenato in parte il progresso; non sono mancati quindi i momenti in cui i mezzi finivano distaccati dal fine. Ciò è costato sacrifici e sofferenze che hanno pesato anche per interi cicli storici, ma come giudizio generale si può affermare che il riformismo resta nella storia del movimento operaio come un contributo di progresso dell’uomo in lotta per l’edificazione di una nuova società.

Lib. Cav.

Bibliografia: Franco Venturi, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, Ed. Ricciardi, Napoli 1958; Filippo Turati, La via maestra del socialismo, a cura di Rodolfo Mondolfo, Ed. Cappelli, Bologna 1921; Rodolfo Mo[...]

[...]l socialismo, a cura di Rodolfo Mondolfo, Ed. Cappelli, Bologna 1921; Rodolfo Mondolfo, Sulle orme di Marx, Ed. Cappelli, Bologna 1919; R. Sestan, Il riformismo settecentesco in Italia, in “Rassegna Storica Toscana”, n. 23, aprilesettembre 1955; Arturo Labriola, Sindacalismo e riformismo, Ed. Nerbini, Firenze 1905; Rinaldo Rigola, Cento anni di movimento operaio, Ed. S.A.R.E.P., RomaMilano 1935; Furio Diaz, Illuminismo riformatore in Italia, in “Il Ponte”, n. 6, Firenze giugno 1959; S. Cotta, Il pensiero politico del nazionalismo e deirilluminismo, in “Questioni di storia moderna”, Milano 1951; Gina Martini, Il Riformismo, Allegranza, Milano 1946; Arturo Colombi, Socialismo e riformismo, Ed.

C.D.S., Roma 1948; Biagio Riguzzi, Sindacalismo e riformismo nel parmense, Ed. Laterza, Bari 1931; Leo Valiani, Il PSI nel

172



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 773

Brano: Monarchico, Partito

blica (73% dei voti dei delegati, contro il 19,2% a favore della monarchia e con l’astensione del 7,8%), ma De Gasperi e non pochi tra i dirigenti nazionali del partito si mantennero ermetici sulla propria scelta neH’una o nell’altra direzione.

Il P.D.I., verificato lo scarso seguito che gli veniva concesso dai seguaci della Corona, in vista della consultazione per la questione istituzionale e della tornata di elezioni amministrative che l’avrebbe preceduta nel marzo 1946, strinse un patto di unità d’azione con il movimento deW'Uomo Qualunque, lo sbracato e rumoroso partito creato dal commediografo Guglielmo Giannini, attorno al quale facevano ressa fascisti e monarchici, in un rigurgito di velleità nostalgiche caotico quanto impressionante per la vastità dei consensi incontrati. L’accostamento aH’U.Q. apparve però subito alquanto compro[...]

[...]tà nostalgiche caotico quanto impressionante per la vastità dei consensi incontrati. L’accostamento aH’U.Q. apparve però subito alquanto compromettente, sia perché questo movimento portava avanti parole d’ordine via via più grossolanamente fascistoidi, sia perché in esso si infittivano i pronunziamenti di personaggi del vecchio regime di assai dubbia fedeltà monarchica.

AH’approssimarsi della scadenza del referendum istituzionale del 2.6.1946 il P.D.I. confluì quindi nel Blocco nazionale della libertà, sorta di cartello elettorale nel quale, oltre al partito di Falcone Lucifero, comparivano i gruppi monarchici costituiti da Alberto Bergamini, dal generale Roberto Bencivenga e da Tullio Benedetti. Il 13.4.1946 il Blocco fu presentato pubblicamente. Sulla sponda liberale, con l’apporto dei demolaburisti, il 2.4.1946 vi era però stata la fondazione della Unione democratica nazionale, schieramento che a sua volta si apprestava ad affrontare la consultazione politica del 2 giugno per la Costituente e per il referendum, mettendo in cima alle[...]

[...]09.918 voti andati all'Uomo Qualunque (30 seggi). Sommando i suffragi ottenuti dall’U.D.N. e dall’U.Q. (cioè dalle due compagini su cui i consensi monarchici dovevano essere affluiti in gran copia) a quelli democristiani andati a favore della monarchia, se ne deduceva la debole incidenza del

Blocco sull’elettorato favorevole alla Corona. La sconfitta monarchica del 2 giugno e l’avvento della repubblica segnarono infatti la fine del P.D.I..

Il Partito nazionale monarchico

Mentre VUnione monarchica italiana, associazione presieduta da Tullio Benedetti, si attribuiva la funzione di centro di raccolta dei monarchici indipendentemente dalle loro affiliazioni partitiche, la rappresentanza vera e propria dell’idea monarchica nel quadro nazionale passò al Partito nazionale monarchico (P.N.M.) di Alfredo Covelli, tipico raggruppamento clientelare nel Mezzogiorno e a base ristrettissima nel Nord e Centro Italia, ove più che altro si ritrovarono aristocratici e ufficiali in pensione, anacronistici e talora patetici ex dipendenti di casa Sav[...]

[...]assò al Partito nazionale monarchico (P.N.M.) di Alfredo Covelli, tipico raggruppamento clientelare nel Mezzogiorno e a base ristrettissima nel Nord e Centro Italia, ove più che altro si ritrovarono aristocratici e ufficiali in pensione, anacronistici e talora patetici ex dipendenti di casa Savoia.

Il lancio, da parte della D.C. e delle destre, della crociata anticomunista che doveva sfociare nelle elezioni del 18.4.1948, collocò naturalmente il partito di Covelli nell'onda della mareggiata reazionaria. Il leader della formazione monarchica comprese che l'unico ruo

lo al quale il suo partito si poteva aggrappare — oltre a quello di parziale rappresentante delle nostalgie sabaude — consisteva nel raccogliere le spinte di destra degli strati borbonici del Mezzogiorno, da affiancare al più ampio e robusto movimento controllato dalla

D.C.: a tempo debito, il P.N.M. avrebbe poi tratto i vantaggi possibili da questa posizione di alleato di fatto della forza traente del fronte conservatore. Tuttavia il P.N.M. evitò prudentemente di misurarsi in modo autonomo di fronte all'elettorato e preferì unirsi ai liberali nel «Blocco Nazionale », al ? quale il 18.4.1948 le urne assegnarono 1.001.150 voti e 18 seggi. La successiva, decisa conversione a destra della D.C., concretizzatasi nel « centrismo » scelbiano e diretta a imprimere un corso autoritario alla politica governativa, offrì poi nuovi spazi di manovra a tutto il fronte reazionario, fino al neofascismo organizzato nelle file del M.S.I. (v. Movimento sociale italiano].

Il 9.4.1949, dalTesilio di Cascais, Umberto di Savoia designò ufficialm[...]

[...]948 le urne assegnarono 1.001.150 voti e 18 seggi. La successiva, decisa conversione a destra della D.C., concretizzatasi nel « centrismo » scelbiano e diretta a imprimere un corso autoritario alla politica governativa, offrì poi nuovi spazi di manovra a tutto il fronte reazionario, fino al neofascismo organizzato nelle file del M.S.I. (v. Movimento sociale italiano].

Il 9.4.1949, dalTesilio di Cascais, Umberto di Savoia designò ufficialmente il P.N.M. come la formazione politica cui era affidata la « difesa della monarchia ». Nel dicembre successivo, al congresso nazionale del partito, i monarchici proclamavano senza ambagi la necessità che la D.C. e il governo De Gasperi riconoscessero in loro la vera for

za in grado di concorrere a quell'alternativa « nazionale » in cui doveva trovare sbocco la spinta clericale, liberandosi di alleati quali i socialdemocratici e i liberali. In questa manovra, caldeggiata dalla Azione Cattolica di Luigi Gedda e da circoli assai prossimi al pontefice Pio XII, la frenesia anticomunista riportava a g[...]

[...]e scorie deH'avventurismo affaristico e politico.

Il « laurismo »

Nel P.N.M., accanto a Covelli, salì da quel momento ai fasti della leadership politica l’armatore napoletano Achille Lauro (v.), già espropriato della sua flotta mercantile per collaborazionismo e illeciti profitti di guerra, ma tornato in men che non si dica al vertice della scala armatoriale e di quella del mondo finanziario grazie a complicati e oscuri maneggi. Con Lauro, il Partito monarchico resuscitava le forme del « lazzaronismo » borbonico, buttando sulla bilancia della lotta e del costume politico strumenti di corruzione di massa che facevano leva sulla miseria del sottoproletariato meridionale e suH’affarismo cinico dei vecchi ceti agrari e parassitari.

Il « laurismo » acquistò così la dimensione emblematica delle pratiche politiche prive di scrupoli e puramente funzionali a interessi speculativi: la città di Napoli, che avrebbe avuto a proprio sindaco il « comandante » Lauro, sarebbe stata il teatro principale e la principale vittima di queste pratiche; [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 774

Brano: Monarchico, Partito

re l'Italia indietro nei decenni. Il patto chiuse anche disinvoltamente la polemica tra fascisti e monarchici sul « tradimento del 25 luglio e dell'8 settembre ». Benché su tali vicende i primi avessero levato accuse sanguinose e rivolto insulti irripetibili ai secondi (nei cui ranghi avevano pur militato uomini della Resistenza), la triade LauroCovelliMichelini decretò il colpo di spugna sul passato recente, lo cancellò dalla storia e trovò che la coincidenza di fini tra le parti era tale da rendere perfettamente logica l’alleanza.

L'alleanza clericomonarcofascista

All’atto pratico, il patto tra monarchici e neofascisti era[...]

[...]'8 settembre ». Benché su tali vicende i primi avessero levato accuse sanguinose e rivolto insulti irripetibili ai secondi (nei cui ranghi avevano pur militato uomini della Resistenza), la triade LauroCovelliMichelini decretò il colpo di spugna sul passato recente, lo cancellò dalla storia e trovò che la coincidenza di fini tra le parti era tale da rendere perfettamente logica l’alleanza.

L'alleanza clericomonarcofascista

All’atto pratico, il patto tra monarchici e neofascisti era anche un invito alla D.C. a intrecciare sempre più stabilmente rapporti con il fronte della destra reazionaria, direzione verso la quale avevano sempre premuto l’Azione Cattolica, i Comitati Civici e un’ala molto combattiva dello stesso Partito democristiano. Difatti l’invito non rimase inascoltato. Liste cosiddette « civiche » e nelle quali candidati democristiani, monarchici e missini comparivano insieme, furono apprestate per le elezioni del 25.5.1952. In centri come Salerno, Cerignola, Andria e altrove la D.C. consacrò ufficialmente questa alleanza, se[...]

[...]Sturzo », contrabbandata come l’estremo tentativo di impedire che Roma, sede del pontefice e cuore della Chiesa cattolica, « divenisse una succursale di Mosca, una serva obbediente del Cremlino », incontrò resistenze nel P.L.I., nel P.R.I., nel P.S.D.I., e qualche tentennamento anche nelle file democristiane, sicché fu abbandonata. Nonostante le smentite postume, tutto il retroscena di questa operazione fu presto noto: del resto sin dal 5 aprile il presidente del P.N.M. Achille Lauro aveva rivelato in una intervista i contatti avuti con la D.C. perché l’intesa elettorale fosse valida dovunque, progetti falliti solo per il fatto che la Direzione democristiana pretendeva che l’alleanza non fosse allargata in modo dichiarato al M.S.I..

La tattica elettorale della D.C. per sfaldare a proprio tornaconto lo schieramento di estrema destra si era concentrata anche sulle manovre scissionistiche all’interno del variopinto paesaggio monarchico. Il P.N.M. registrò così diverse diaspore locali. Un buon numero di suoi ex iscritti si ritrovò nel Fron[...]

[...]to in una intervista i contatti avuti con la D.C. perché l’intesa elettorale fosse valida dovunque, progetti falliti solo per il fatto che la Direzione democristiana pretendeva che l’alleanza non fosse allargata in modo dichiarato al M.S.I..

La tattica elettorale della D.C. per sfaldare a proprio tornaconto lo schieramento di estrema destra si era concentrata anche sulle manovre scissionistiche all’interno del variopinto paesaggio monarchico. Il P.N.M. registrò così diverse diaspore locali. Un buon numero di suoi ex iscritti si ritrovò nel Fronte monarchico, costituito dagli onorevoli Alliata, Marchesano, Consiglio, Coppa, e rappresentativo soprattutto di collusioni tra gruppi clientelari della destra meridionale.

In quel clima di arroventati appelli al raduno delle forze anticomuniste, il P.N.M. vide allargare i propri margini di azione e di parossistica campagna demagogica. I metodi laurini poterono sfrenarsi, impiegando strumenti di corruzione indecorosi e una volta di più indirizzati a carpire consensi nel sottoproletariato meridionale. I fiduciari del « comandante » rovesciarono sull’elettorato del Sud quantitativi enormi di pasta alimentare,, migliaia di scarpe spaiate (« Una scarpa subito, l’altra dopo il voto », era la promessa fatta dai galoppini elettorali), e di portafogli di plastica contenenti ciascuno un biglietto da mille lire.

I miliardi profusi e l’infuocata a[...]

[...] amministrative del 1952 le destre aumentarono i loro voti, dai 669.000 delle politiche del 18.4.1948, a ben

1.502.000. La D.C. subì per contro

una flessione, così come negativi furono gli esiti per i partiti minori della coalizione « centrista ».

Da quello scacco i democristiani, e De Gasperi in prima persona! dedussero l’utilità di proseguire, in un complesso lavorio di agevolazioni e di contemporanea ricerca di svuotarne la funzione, il proprio avvicinamento ai monarchici, nell’ottica di un completo recupero a destra che emarginasse i neofascisti. La D.C. scorgeva in ciò anche una delle carte decisive per le elezioni del 7.6.1953. Poiché il problema era di non perdere comunque il potere, il partito di De Gasperi individuò neH’allettamento alle destre, accoppiato al meccanismo truffaldino di una legge elettorale che eliminava il sistema proporzionale sostituendolo con quello maggioritario a premio (la cosiddetta « legge truffa »), lo strumento per schiacciare le opposizioni e ridurre gli alleati a semplici e docili comparse.

In una intervista al « Gazzettino Veneto » del 3.9.1952, De Gasperi stesso non esitò a lasciar intendere che la restaurazione monarchica era tecnicamente possibile: il che, tuttavia, aggiunse, rimaneva una ipotesi per il futuro, mentre per il presente il dov[...]

[...]ava il sistema proporzionale sostituendolo con quello maggioritario a premio (la cosiddetta « legge truffa »), lo strumento per schiacciare le opposizioni e ridurre gli alleati a semplici e docili comparse.

In una intervista al « Gazzettino Veneto » del 3.9.1952, De Gasperi stesso non esitò a lasciar intendere che la restaurazione monarchica era tecnicamente possibile: il che, tuttavia, aggiunse, rimaneva una ipotesi per il futuro, mentre per il presente il dovere dei fedeli sabaudi consisteva nel non disertare la lotta da condursi contro il comuniSmo. In altri termini, la D.C. blandiva il P.N.M. e nello stesso tempo chiamava l’elettorato monarchico a riservare i propri suffragi al blocco da lei guidato, facendogli balenare la possibilità che si pervenisse a un capovolgimento istituzionale.

Lauro e Covelli, dal canto loro, rinnovarono le istanze alla Chiesa perché accentuasse il proprio intervento sulla D.C. ai fini di unaintesa tra il blocco di centro e quel

lo di destra, sostenendo che neppure la « legge truffa » (contro cui votarono) avrebbe permesso al primo di assicurarsi il 51% dei voti.

In un certo senso, la profezia monarchica si avverò, poiché l’obiettivo democristiano non fu raggiunto. Il P.N.M. conquistò ben 1.854.850 voti, pari al 6,8% del totale dei suffragi, e ottenne 40 seggi alla Camera. La sconfitta della « legge truffa » inaugurò una crisi nel vecchio equilibrio degasperiano che il leader della D.C. cercò di tamponare per rimettersi alla guida di un gabinetto quadripartito: ma, dopo convulse trattative e una crisi durata l’intera estate del 1953, egli riuscì soltanto a rabberciare un « monocolore » che, non avendo più la D.C. la maggioranza in Parlamento, poteva contare unicamente sull’appoggio del P.N.M..

774



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 657

Brano: [...]ioni poste, fece presente all’inviato del governo Bonomi che non si rassegnava a modificare i propri principi « relativamente alla posizione politica del C.L.N. nel quadro della rinnovata democrazia italiana » e a confinare i Comitati in semplici funzioni consultive. Questa affermazione comparve nel documento sottoscritto da tutti i partiti del C.L.N.A.I., ma essa non toglieva la sostanza della rinuncia alla quale i Comitati si erano piegati.

Il Partito socialista, esprimendo l'amarezza di altri componenti del C.L.N.A.I., il 6.4.1945 presentò al Comitato un ordine del giorno nel quale dichiarava di aver approvato il testo del decreto concordato con Medici Tornaquinci « al solo scopo di mantenere, in questo grave momento, l’unità di tutti i partiti del C.L.N. ». Il P.S.I. ribadiva che il C.L.N., organo di direzione politica della Resistenza nell’Italia settentrionale, doveva conservare il suo carattere di organismo « squisitamente politico », avente il compito di « prendere la direzione del Paese a liberazione avvenuta ». Qualora tali funzioni politiche gli fossero state rifiutate, aggiungevano i socialisti, il C.L.N.A.I. non avrebbe più avuto motivo di essere. Essi censurarono infine il governo Bonomi per aver fatto proprie le posizioni degli Alleati e per aver mandato un proprio membro a sostenerle nell’Italia occupata.

Bibliografia: Paolo Greco, « C[...]

[...]iana. Dopo la seduta consiliare svoltasi il 24.4.1922 sotto la presidenza del sindaco socialista Enrico Mingardi, gli amministratori furono minacciosamente diffidati dai fascisti a non tenere altre riunioni. In seguito al tentativo di organizzare una seduta nell’agosto 1922, dall’1 gennaio 1923 (con i fascisti al governo) fu imposto al Comune un commissario prefettizio e infine la gestione passò a un podestà fascista.

Nel 1924 venne celebrato il processo per i fatti accaduti presso l’azienda Portonovo. In un clima intimidatorio, il Tribunale infierì contro i « rossi », infliggendo a 23 imputati pene varianti dai 7 ai 30 anni, per un totale di 251 anni di reclusione. Dopo una accurata preparazione clandestina, nel 1931 le mondine di Medicina e le « forestiere » venute a lavorare nel comune scioperarono manifestando pubblicamente per tre giorni (15, 16 e 17 giugno) al fine di impedire una riduzione dei loro salari. Grazie anche a grandi manifestazioni di piazza, esse piegarono infine gli agrari e i gerarchi sindacali. Dopo la lotta vitto[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 639

Brano: Pistoia

parve nel Pistoiese ogni parvenza di amministrazione della R.S.I. e tutto il potere fu accentrato dai tedeschi nelle loro mani. Da giugno a settembre la situazione non fece che peggiorare.

D’altra parte, l’influenza determinante del movimento operaio nella Resistenza pistoiese potè affermarsi solo gradualmente. Mentre i nuclei operai di Agliana e Montale (collegati con Prato) e quello della S.M.I. a San Marcello furono sempre alTavanguarkl'ia, quello jdeIla « San Giorgio » venne quasi completamente smobilitato in seguito al trasferimento degli impianti e di gran parte delle maestranze a Cambiano (presso Torino) e a Genova. Gli operai rimasti a Pistoia entrarono per l[...]

[...]solo gradualmente. Mentre i nuclei operai di Agliana e Montale (collegati con Prato) e quello della S.M.I. a San Marcello furono sempre alTavanguarkl'ia, quello jdeIla « San Giorgio » venne quasi completamente smobilitato in seguito al trasferimento degli impianti e di gran parte delle maestranze a Cambiano (presso Torino) e a Genova. Gli operai rimasti a Pistoia entrarono per lo più nelle formazioni partigiane della pianura e della montagna.

Il passaggio della presidenza del C.L.N. provinciale dal liberale avvocato Gradi al comunista Itolo Carobbi, avvenuto dopo una crisi che si protrasse dal dicembre 1943 al maggio 1944, è un sintomo indicativo del cambiamento dei rapporti di forza avvenuto in quel periodo fra le varie componenti politiche. La prolungata interruzione del C.L.N. era stata dovuta, oltre che alle difficoltà obiettive della situazione, alla grave crisi organizzativa in cui si erano venuti a trovare tutti i partiti anche per la subdola attività svolta dal provocatore Lioio Gelli in seno alle forze politiche locali.

Il [...]

[...]al dicembre 1943 al maggio 1944, è un sintomo indicativo del cambiamento dei rapporti di forza avvenuto in quel periodo fra le varie componenti politiche. La prolungata interruzione del C.L.N. era stata dovuta, oltre che alle difficoltà obiettive della situazione, alla grave crisi organizzativa in cui si erano venuti a trovare tutti i partiti anche per la subdola attività svolta dal provocatore Lioio Gelli in seno alle forze politiche locali.

Il P.C.I. cercò di rimediare alla debolezza di direzione locale inviando a Pistoia elementi qualificati come Vito Dolfi, Renato Bitossi, Faliero Pucci, Cesare Collini, Guerrando Olmi e Fernando Borghesi. Il P.S.I., da parte sua, fu quasi sempre assente come forza organizzata nel circondario pistoiese (ma non nella vai di Nievo!e) e il suo posto fu parzialmente occupato dal movimento di « Giustizia e libertà », i cui elementi più attivi, come Vincenzo Nardi (v.), all'indomani della Liberazione confluiranno nelle file socialiste. Vicende più complesse attraversò il gruppo degli anarchici libertari, anche . per l'immatura scomparsa di Silvano Fedi.

Quanto agli esponenti cattolici, che avevano influenza soprattutto fra i contadini, erano quelli che si attardavano di più, anche per motivi ideologici[...]

[...]sistenza italiana, dimostrazione

di maturità ed efficienza che meravigliò gli Alleati, giunti in città molti giorni dopo.

La liberazione di Pistoia da parte delle formazioni partigiane, sotto la direzione politica del C.L.N., fu un successo della Resistenza unitaria e determinò, nella storia della città di Pistoia, una svolta che si fa sentire ancora oggi. Non si volle e non vi fu nessun compromesso col vecchio personale politico fascista. Il primo provvedimento della giunta nominata dal C.L.N. provinciale fu quello di licenziare dalla pubblica amministrazione i vecchi arnesi fascisti e i collaborazionisti repubblichini, assumendo al loro posto nuovo personale formatosi nel corso della lotta antifascista e della Guerra di liberazione.

Fra i tratti peculiari della Resistenza pistoiese (come in quella di altre province) va ricordato l’aiuto multiforme prestato dalla popolazione e soprattutto dai contadini, a soldati sbandati delFesercito italiano e agli ex prigionieri di guerra alleati (inglesi, sudafricani, canadesi, americani, ru[...]

[...]e dopo la liberazione della città, fino aM’insurrezione nazionale dell'aprile 1945. L’A.N.P.I. provinciale assunse ruoli e compiti particolari che variarono con il modificarsi della situazione.

Fin dalla seduta inaugurale della propria sede (10.12.1944), l’A.N.P.I. di Pistoia si batté per l’unità dei partigiani, « espressione più genuina della nuova coscienza rivoluzionaria dei popoli ». Il modo con cui era stato impostato a livello nazionale il problema dell’epurazione suscitava «fra i partigiani un giusto risentimento verso quegli organi che intralciano il passo ai vari commissari per un sollecito allontanamento



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 370

Brano: [...]imento all'arma bianca.

Ma in trincea erano, praticamente, quasi tutti i maschi adulti dell’isola di estrazione rurale. Gli ufficiali, « pressoché tutti di complemento — come scriverà Emilio Lussu (v.), capo leggendario della Brigata — erano impiegati, professionisti, giovani laureati e studenti: la piccola e media borghesia sarda ».

La comunanza della vita di trincea saldò questi rappresentanti delle classi medie urbane e di villaggio con il proletariato rurale: la trincea diventò non solo una scuola di guerra, ma anche una scuola “politica”. La Sardegna conterà, alla fine del conflitto, 13.602 morti, pari a 138,6 morti per ogni mille chiamati alle armi, contro una media nazionale di 104,9.

Il Partito Sardo d'Azione

Dalla scuola “rivoluzionaria” della guerra e dalle disillusioni del dopoguerra (in particolare dalla mancata concessione delle terre), derivò

10 straordinario sviluppo assunto in Sardegna dal movimento degli ex combattenti. Tale movimento darà vita al Partito Sardo d’Azione, forse

11 più originale fenomeno della storia politica italiana di quegli anni. Tale partito, nato dalle sezioni dell'Associazione Nazionale Combattenti (Congresso di Oristano, aprile 1921) si ispirerà al cosiddetto “programma di Macomer” che, nell'agosto del 1920, era stato approvato in vista[...]

[...]atura tributaria indipendente. Nel programma “regionale” si chiedeva inoltre: l’autonomia « nell’Unità politica », lo sviluppo delle autonomie comunali, la demanializzazione delle risorse isolane (saline, tonnare, miniere), la banca regionale unica, un programma generale di rimboschimento, bonifiche, porti e linee di comunicazione, lo sviluppo della cooperazione in agricoltura come avvio ad una « ideale forma di socializzazione » della terra.

Il P.S. d'A. diventò subito il più forte movimento politico isolano, dandosi in breve anche forme organizzative di partito moderno, forme che il sistema politico sardo, articolato su gruppi clientelari, il maggiore dei quali faceva capo all'on. Francesco CoccoOrtu (“proconsole” giolittiani in Sardegna e più volte ministro), non aveva mai conosciuto.

Nel concreto, però, il movimento era molto meno omogeneo di quanto lo descrivessero i suoi documenti e di quanto l'avrebbero voluto i suoi leader: nell'ideologia del P.S. d'A. (che inglobò, con una decisione congressuale, tutti gli iscritti dell'A.N.C., dunque una massa abbast[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 722

Brano: [...]socialfascista, riferendosi all’appoggio dato dal P.C.P. al governo dei militari e dei socialisti del primo periodo. Nessuno in realtà sembrava avere idee chiare: Cunhal giustificò l’appoggio dato al M.F.A. come una manovra tattica, necessaria per predisporre una presa del potere in tempi brevi; altri accampavano l’esigenza di tentare immediatamente la via rivoluzionaria.

In ogni caso, sia pure in un siffatto clima di incertezze e confusione, il popolo portoghese compì per la prima volta un’esperienza democratica, sia attraverso le Sessao de esclaricimiento (assemblee convocate e gestite da ufficiali del M.F.A.) sia attraverso i grandi comizi e le piccole riunioni di quartiere o di (Fabbrica.

Aspri scontri si ebbero tra socialisti e comunisti quando si trattò di definire le modalità per organizzare i sindacati. Secondo il P.S.P., l’unità sindacale avrebbe dovuto svolgersi in modo graduale e spontaneo. Il P.C.P. sosteneva invece che il processo di unificazione dovesse avvenire sotto la guida del vertice e questo perché, fin dagli ultimi anni del regime di Caetano, il P.C.P.. era riuscito ad assicurarsi il controllo dell'Intersindacal, la centrale sindacale unitaria semilegale. Nel settembre 1975 si ebbe un grosso cambiamento politico: si dimise il primo ministro filocomunista Vasco Goncalves e gli subentrò De Azevedo, dando inizio a una tendenza moderata che culminò con un controgolpe il 25.11.1975. Mentre il governo De Azevedo attuava la « normalizzazione » nel paese, all’interno del movimento dei lavoratori si aprì un dibattito tra quanti sostenevano la necessità di rafforzare J'unità sindacale e attendere tempi migliori, e altri che invece propugnavano la lotta immediata. Tra i comunisti prevalse questa seconda linea e ciò costrinse il partito a superare il vecchio settarismo per giungere ad ampie alleanze di lotta contro il blocco mo[...]

[...]li subentrò De Azevedo, dando inizio a una tendenza moderata che culminò con un controgolpe il 25.11.1975. Mentre il governo De Azevedo attuava la « normalizzazione » nel paese, all’interno del movimento dei lavoratori si aprì un dibattito tra quanti sostenevano la necessità di rafforzare J'unità sindacale e attendere tempi migliori, e altri che invece propugnavano la lotta immediata. Tra i comunisti prevalse questa seconda linea e ciò costrinse il partito a superare il vecchio settarismo per giungere ad ampie alleanze di lotta contro il blocco moderatoreazionario insediatosi al potere.

Con l’appoggio dei militari radicali,

nel novembre 1975 i comunisti tentarono di rovesciare il governo De Azevedo, ma il tentativo non ebbe successo e, anzi, fornì agli avversari l’occasione di rinsaldarsi denunciando la « minaccia esterna », dato lo stretto legame del P.C.P. con I’Unione Sovietica. Furono così arrestati numerosi organizzatori del tentativo insurrezionale, tra cui parecchi ufficiali del M.F.A. che, nel 1974, avevano animato la Rivolu[...]

[...]mbre 1975 i comunisti tentarono di rovesciare il governo De Azevedo, ma il tentativo non ebbe successo e, anzi, fornì agli avversari l’occasione di rinsaldarsi denunciando la « minaccia esterna », dato lo stretto legame del P.C.P. con I’Unione Sovietica. Furono così arrestati numerosi organizzatori del tentativo insurrezionale, tra cui parecchi ufficiali del M.F.A. che, nel 1974, avevano animato la Rivoluzione dei garofani. Con questa sconfitta, il P.C.P. pagò il prezzo della sua debolezza strategica, mentre si attivò il processo di aggregazione tra borghesia e latifondisti che praticamente annullò le conquiste del 1974. Le elezioni politiche dell'aprile 1976 segnarono una schiacciante vittoria dei socialisti che poterono dar vita a un governo monocolore guidato da Mario Soares. Questi proseguì la linea di « normalizzazione » iniziata da De Azevedo con misure draconiane che tuttavia si scontrarono con i lavoratori organizzati nell’lntersindacal ancora saldamente guidata dai comunisti. Nel 1976 l’Intersindacal mutò il proprio nome in Confederacao General do Traballio (C.GT.) e, da essa, vennero estromessi molti [...]

[...] che praticamente annullò le conquiste del 1974. Le elezioni politiche dell'aprile 1976 segnarono una schiacciante vittoria dei socialisti che poterono dar vita a un governo monocolore guidato da Mario Soares. Questi proseguì la linea di « normalizzazione » iniziata da De Azevedo con misure draconiane che tuttavia si scontrarono con i lavoratori organizzati nell’lntersindacal ancora saldamente guidata dai comunisti. Nel 1976 l’Intersindacal mutò il proprio nome in Confederacao General do Traballio (C.GT.) e, da essa, vennero estromessi molti militanti sindacali non comunisti.

Alla vigilia degli anni Ottanta la scena politica portoghese appariva caratterizzata da incertezze e contraddizioni, da una situazione di ingovernabilità, nella quale i quattro maggiori partiti (comunista, socialista, socialdemocratico e di centrodestra), non riuscivano a trovare nessuna intesa per dar vita a coalizioni in grado di assumere la guida del paese.

F.Ga.

Porto Marghera

Porto industriale di Venezia (v.) e complesso di aziende insediate lungo le[...]

[...] depresse, più o meno come nel resto d’Italia, ma certamente più che nelle città del « triangolo industriale », e ancor più sopita era la loro coscienza sindacale. Ma la presenza dei veterani delle vecchie lotte, se pochi frutti aveva dato fino alla metà degli anni Trenta, aveva ricominciato a farsi attiva ed efficace durante la guerra di Spagna e, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, era stata aiutata anche dal ritorno degli emigrati.

Il Partito comunista era riuscito a formare qualche cellula clandestina e, nel 1939, era sorto perfino un « comitato insurrezionale » per Mestre e Marghera. Più debole la ripresa delle organizzazioni socialiste (nelle due forme del P.S.I. e del M.U.P.). Quanto alle nuove forze politiche, il Partito d’Azione troverà alcune adesioni nel personale tecnico e direttivo.

I primi segni di ripresa politica si

722



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 207

Brano: Azione, Partito d’

Ma l’unità dei partiti antifascisti su questo terreno riuscì a imporre, con Bonomi presidente, tutti i membri designati. Il Partito d’Azione entrò nel gabinetto con Alberto Cianca e Guido De Ruggiero in qualità di ministri; Sergio Fenoaltea, Antonio Manes, Antonino Ramirez e Giuseppe Bruno come sottosegretari.

Fu tuttavia un governo la cui direzione alimentò continuamente, durante i sei mesi della sua durata, ragioni di disaccordo e motivi di crisi. L’azione di sostegno al movimento partigiano nel Nord era giudicata universalmente incerta e perfino equivoca; l’epurazione dei fascisti appariva inefficiente; la burocrazia non mutava i funzionari né i sistemi; la polizia manteneva i vecchi metodi di repressione viol[...]

[...]semblea Costituente « per deliberare la Costituzione dello Stato ». Quello del luogotenente era quindi un attacco diretto all’autorità del C.L.N., e i tre partiti di sinistra chiamarono in causa Bonomi, che ne era il responsabile come presidente del Consiglio e del C.L.N. stesso. Tanto più che, nel governo e sulla stampa, i liberali facevano di tutto per indebolire il governo del C.L.N. e portarlo a una crisi liquidatoria. II Partito d’Azione fu il più deciso nelle critiche con cui le sinistre investirono Bonomi il quale, in una seduta movimentata, si vide sconfessato come presidente del Consiglio e isolato come presidente del C.L.N.. Egli presentò quindi le dimissioni, ma direttamente al luogotenente, senza discuterne col C. L.N. né col Consiglio dei ministri, e si appartò subito nel proprio ufficio al Viminale. Il C.L.N. dovette riunirsi in sua assenza e progettò la candidatura di Sforza alla presidenza del Consiglio. La prima reazione a tale proposta si ebbe alla Camera dei Comuni, dove Churchill colse l’occasione per esprimere il suo [...]

[...]a divisa fra Partito d’Azione e Partito socialista da un lato, Partito comunista dall’altro, e con i primi due partiti drasticamente contrari all’ingresso nel governo, mentre il terzo si dichiarò favorevole.

La discussione nel C.L.N. centrale

In succinto, nell’ultima riunione dei 6 partiti del C.L.N. (7.12.1944), sotto la presiv denza di Togliatti e presente Cevolotto (in sostituzione di Ruini), Brosio, De Gasperi, Lussu e Nenni discussero il problema, dopo un’introduzione del segretario del P.C.I. che dichiarava indispensabile il raggiungimento di un accordo, per il fatto che quattro partiti appoggiavano Bonomi. I socialisti avevano già risposto ai comunisti che la loro decisione di entrare da soli nel governo non avrebbe interferito nel patto di unità d’azione, ma Togliatti li invitava ugualmente a rivedere la propria posizione e pregava il Partito d’Azione di desistere dalle sue pregiudiziali, come del resto aveva fatto, egli sottolineava, al mornento dell’ingresso nel secondo gabinetto Badoglio.

Brosio — nel suo intervento — si disse d’accordo sull’urgenza di concludere e richiamò il P.S.I. aH’impegno unitario del C.L.N..

Lussu, non ritenendo che Bonomi fosse l’unico uomo su cui puntare, affermò che, anche se ciò fosse stato dimostrato, il suo partito non sarebbe entrato egualmente nel governo, ma non gli sarebbe stato ostile. Si poteva perciò innanzi tutto invitare Bonomi a desistere; e qualora si fosse trovato un altro nome, il Partito d’Azione avrebbe collaborato con il designato senza porre più alcuna pregiudiziale.

Nenni chiese a De Gasperi, perché non si continuasse a discutere a vuoto, di dichiarare la sua posizione di fronte ad un governo a tre senza socialisti, comunisti e Partito d’Azione, mostrandosi in ogni caso disposto ad accettare qualsiasi nome, una volta superato quello di Bonomi. Propo

neva poi, con Lussu, quello di Meuccio Ruini e dello stesso De Gasperi, offrendosi di fare parte di una delegazione che si recasse da Bonomi a chiedergli il ritiro.

Cevolotto non concordò sul nóme di Ruini, in q[...]

[...]il ritiro.

Cevolotto non concordò sul nóme di Ruini, in quanto ormai non avrebbe ottenuto l’unanimità.

De Gasperi obiettò che non aveva nulla da dire, in quanto riteneva « chiarissima » la propria posizione: ormai Bonomi aveva l’adesione di quattro partiti ed era inutile fare delle ipotesi. Egli non avrebbe chiesto a Bonomi di ritirarsi, né avrebbe consentito che si discutesse la propria candidatura. Era però impensabile che egli togliesse il proprio appoggio a Bonomi, concluse De Gasperi, dal momento che glielo assicuravano i comunisti.

Nenni fece allora osservare che Togliatti non avrebbe aderito alla candidatura Bonomi se la D.C. avesse garantito di essere disponibile per un governo a tre. Togliatti ribattè che esisteva una maggioranza per Bonomi senza che ve ne fosse un’altra in alternativa. De Gasperi chiuse il dialogo affermando che l’adesione di Togliatti riguardava Togliatti solo e che un governo con i socialisti era augurabile, ma un governo con le tre grandi correnti, liberale, democristiana e comunista, rappresentava u[...]

[...]i senza che ve ne fosse un’altra in alternativa. De Gasperi chiuse il dialogo affermando che l’adesione di Togliatti riguardava Togliatti solo e che un governo con i socialisti era augurabile, ma un governo con le tre grandi correnti, liberale, democristiana e comunista, rappresentava una situazione di equilibrio migliore di quella del governo a sei.

Partito d'Azione e Partito socialista rifiutarono così di entrare nel secondo governo Bonomi. Il P.C.I. credette invece che, facendone parte, si sarebbe inserito, come col secondo gabinetto Badoglio, nella realtà nazionale e internazionale a maggior titolo, e avrebbe avuto un più vasto contatto con le masse (il più largo consenso che, nella prima consultazione elettorale per la Costituente, andrà alle liste del P.S.I., dimostrerà — al contrario — il seguito tra le masse guadagnato dai socialisti con il loro atteggiamento).

L’autore di queste note ha riflettuto sempre sui problemi della strategia di classe, sui limiti che essa contiene e sulla politica delle alleanze: ebbe modo di trattarne allora ed in sèguito, anche in relazione dell'art. 7 della Costituzione, inerente i rapporti fra Stato e Chiesa (v. Concordato), con Paimiro Togliatti. Quest'ultimo accoglieva sorridendo le obiezioni, certo che l[...]

[...]ensiva e di ricupero che danneggia in definitiva i partiti stessi, alterando i termini reali delja lotta. La conclusione dell’operazione Bonomi sarà che, avendo premuto i comunisti sulla destra, liberali e democristiani verranno spinti ancor più su posizioni conservatrici; quindi si sposteranno a destra l’ala socialdemocratica del Partito socialista e, a più lunga scadenza, lo stesso P.S.I., nella sua grande maggioranza, col risultato di isolare il Partito comunista. Quando, durante una conversazione a Mosca nel 1951, Stalin rimproverò a Nenni che comunisti e socialisti si erano fatti estromettere dal governo De Gasperi nel 1947 senza provocare grandi reazioni popolari,

207


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Il P, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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